IL CAVALIERE ERRANTE - liber-rebil.it · incolta di capelli castano chiaro e l'ispida barbetta...

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GEORGE R.R. MARTIN IL CAVALIERE ERRANTE Una storia dei Sette Regni* Le piogge primaverili avevano ammorbidito il terreno, e Dunk non ebbe problemi a scavare la fossa. Scelse un punto sul versante occidentale della collina, per il vecchio che aveva sempre amato i tramonti. "Un altro giorno se n'è andato" diceva di solito con un sospiro "e chissà che cosa ci riserverà il domani, eh, Dunk?" Be', un domani aveva portato loro la pioggia che li inzuppò fino alle ossa, il giorno successivo raffiche di vento umido e quello dopo ancora un brusco abbassamento della temperatura. Il quarto giorno il vecchio era troppo debole per montare in sella. E ora se n'era andato. Solo pochi giorni prima, mentre cavalcavano, aveva intonato la vecchia canzone del cavaliere che va a Città del Gabbiano per vedere una bella fanciulla, però cambiando il nome della città. "Vado ad Ashford per vedere la bella pulzella, ehi-oh, ehi-oh." Quel verso risuonava tristemente nella testa di Dunk mentre scavava. Quando la buca fu abbastanza profonda, prese il vecchio tra le braccia e lo sollevò. Era stato un uomo piccolo e magro; senza la cotta di maglia, l'elmo e la cintura della spada doveva pesare non più di un sacco di foglie. Dunk era molto alto per la sua età, un ragazzo dinoccolato dall'ossatura robusta di sedici o diciassette anni (nessuno lo sapeva con esattezza), più vicino ai sette piedi che ai sei, e che stava appena cominciando a mettere su un po' di carne. Il vecchio aveva lodato spesso la sua forza. Era sempre stato generoso di lodi. Era tutto quello che aveva da dare. Lo adagiò sul fondo, poi stette per un po' a guardarlo dal ciglio della fossa. Nell'aria c'era di nuovo odore di pioggia, e sapeva che doveva riempire la buca prima che riprendesse a diluviare, ma gli riusciva penoso gettare la terra su quel vecchio volto stanco. "Dovrebbe esserci qui un septon, a recitare qualche preghiera per lui, ma ha soltanto me." Il vecchio aveva insegnato a Dunk tutto quello che sapeva su spade, lance e scudi, ma non era mai stato troppo bravo con le parole. «Ti lascerei la tua spada, ma nella terra arrugginirebbe» disse alla fine, in tono di scusa. «Gli dèi te ne daranno una nuova, penso. Vorrei che tu non fossi morto, ser.» Fece una pausa, incerto. Non conosceva preghiere, o almeno nessuna dall'inizio alla fine; il vecchio era poco portato per le preghiere. «Eri un vero cavaliere, e non mi hai mai picchiato senza che me lo meritassi» disse alla fine «tranne quella volta a Maidenpool. Era stato il ragazzo della locanda a mangiare il pasticcio della vedova, non io, te lo avevo detto. Ma ormai non ha più importanza. Che gli dèi ti proteggano, ser.» Buttò un po' di terra nella fossa, poi cominciò a riempirla metodicamente, senza più guardare il corpo sul fondo. "Ha avuto una vita lunga" pensò Dunk. "Deve essere stato più vicino ai sessanta che ai cinquanta, e quanti uomini possono dire lo stesso?" Almeno era vissuto fino a vedere un'altra primavera. Il sole era ormai tramontato quando diede da mangiare ai cavalli. Erano tre: la sua giumenta dalla schiena tutta insellata, il palafreno del vecchio e Tuono, il destriero, che veniva montato solo nei tornei oppure in battaglia. Il grande stallone sauro non era più scattante ed energico come un tempo, ma aveva ancora il suo sguardo vivido e lo spirito fiero, ed era il bene più prezioso che Dunk possedeva. "Se vendessi Tuono e il vecchio Castagna, con selle e briglie, ricaverei abbastanza argento per..." Dunk si incupì: l'unica vita che conosceva era quella dei cavalieri erranti, che si spostano di fortezza in fortezza, al servizio di questo o quel lord, combattendo le loro battaglie e mangiando alle loro mense, fino a quando la guerra finiva, e allora ripartivano. Ogni tanto c'era qualche torneo, anche se meno spesso di un tempo, e lui sapeva che durante gli inverni di carestia alcuni cavalieri erranti si davano al brigantaggio, anche se il vecchio non lo aveva mai fatto. "Potrei trovare un altro cavaliere errante che ha bisogno di uno scudiero che gli lucidi la cotta di ferro e curi i suoi animali" pensò. "O magari potrei andare in una città, a Lannisport o ad Approdo del Re, e unirmi alla guardia cittadina. Oppure..." Aveva ammucchiato le cose del vecchio sotto una quercia. Nel borsellino di stoffa c'erano tre cervi d'argento, diciannove centesimi di rame e un granato scheggiato; come quasi tutti i cavalieri erranti, aveva investito la maggior parte della sua ricchezza terrena nelle armi e nei cavalli. Dunk ora possedeva una cotta di maglia che aveva ripulito migliaia di volte dalla ruggine; un mezzo elmo di ferro con un largo nasale e un'ammaccatura alla tempia sinistra; una cintura per la spada di vecchio cuoio marrone e una spada lunga in un fodero di cuoio e

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GEORGE R.R. MARTINIL CAVALIERE ERRANTE

Una storia dei Sette Regni*

Le piogge primaverili avevano ammorbidito il terreno, e Dunk non ebbe problemi a scavare la fossa. Scelse un punto sul versante occidentale della collina, per il vecchio che aveva sempre amato i tramonti. "Un altro giorno se n'è andato" diceva di solito con un sospiro "e chissà che cosa ci riserverà il domani, eh, Dunk?"

Be', un domani aveva portato loro la pioggia che li inzuppò fino alle ossa, il giorno successivo raffiche di vento umido e quello dopo ancora un brusco abbassamento della temperatura. Il quarto giorno il vecchio era troppo debole per montare in sella. E ora se n'era andato. Solo pochi giorni prima, mentre cavalcavano, aveva intonato la vecchia canzone del cavaliere che va a Città del Gabbiano per vedere una bella fanciulla, però cambiando il nome della città. "Vado ad Ashford per vedere la bella pulzella, ehi-oh, ehi-oh." Quel verso risuonava tristemente nella testa di Dunk mentre scavava.

Quando la buca fu abbastanza profonda, prese il vecchio tra le braccia e lo sollevò. Era stato un uomo piccolo e magro; senza la cotta di maglia, l'elmo e la cintura della spada doveva pesare non più di un sacco di foglie. Dunk era molto alto per la sua età, un ragazzo dinoccolato dall'ossatura robusta di sedici o diciassette anni (nessuno lo sapeva con esattezza), più vicino ai sette piedi che ai sei, e che stava appena cominciando a mettere su un po' di carne. Il vecchio aveva lodato spesso la sua forza. Era sempre stato generoso di lodi. Era tutto quello che aveva da dare.

Lo adagiò sul fondo, poi stette per un po' a guardarlo dal ciglio della fossa. Nell'aria c'era di nuovo odore di pioggia, e sapeva che doveva riempire la buca prima che riprendesse a diluviare, ma gli riusciva penoso gettare la terra su quel vecchio volto stanco. "Dovrebbe esserci qui un septon, a recitare qualche preghiera per lui, ma ha soltanto me." Il vecchio aveva insegnato a Dunk tutto quello che sapeva su spade, lance e scudi, ma non era mai stato troppo bravo con le parole.

«Ti lascerei la tua spada, ma nella terra arrugginirebbe» disse alla fine, in tono di scusa. «Gli dèi te ne daranno una nuova, penso. Vorrei che tu non fossi morto, ser.» Fece una pausa, incerto. Non conosceva preghiere, o almeno nessuna dall'inizio alla fine; il vecchio era poco portato per le preghiere. «Eri un vero cavaliere, e non mi hai mai picchiato senza che me lo meritassi» disse alla fine «tranne quella volta a Maidenpool. Era stato il ragazzo della locanda a mangiare il pasticcio della vedova, non io, te lo avevo detto. Ma ormai non ha più importanza. Che gli dèi ti proteggano, ser.» Buttò un po' di terra nella fossa, poi cominciò a riempirla metodicamente, senza più guardare il corpo sul fondo. "Ha avuto una vita lunga" pensò Dunk. "Deve essere stato più vicino ai sessanta che ai cinquanta, e quanti uomini possono dire lo stesso?" Almeno era vissuto fino a vedere un'altra primavera.

Il sole era ormai tramontato quando diede da mangiare ai cavalli. Erano tre: la sua giumenta dalla schiena tutta insellata, il palafreno del vecchio e Tuono, il destriero, che veniva montato solo nei tornei oppure in battaglia. Il grande stallone sauro non era più scattante ed energico come un tempo, ma aveva ancora il suo sguardo vivido e lo spirito fiero, ed era il bene più prezioso che Dunk possedeva. "Se vendessi Tuono e il vecchio Castagna, con selle e briglie, ricaverei abbastanza argento per..." Dunk si incupì: l'unica vita che conosceva era quella dei cavalieri erranti, che si spostano di fortezza in fortezza, al servizio di questo o quel lord, combattendo le loro battaglie e mangiando alle loro mense, fino a quando la guerra finiva, e allora ripartivano. Ogni tanto c'era qualche torneo, anche se meno spesso di un tempo, e lui sapeva che durante gli inverni di carestia alcuni cavalieri erranti si davano al brigantaggio, anche se il vecchio non lo aveva mai fatto.

"Potrei trovare un altro cavaliere errante che ha bisogno di uno scudiero che gli lucidi la cotta di ferro e curi i suoi animali" pensò. "O magari potrei andare in una città, a Lannisport o ad Approdo del Re, e unirmi alla guardia cittadina. Oppure..."

Aveva ammucchiato le cose del vecchio sotto una quercia. Nel borsellino di stoffa c'erano tre cervi d'argento, diciannove centesimi di rame e un granato scheggiato; come quasi tutti i cavalieri erranti, aveva investito la maggior parte della sua ricchezza terrena nelle armi e nei cavalli. Dunk ora possedeva una cotta di maglia che aveva ripulito migliaia di volte dalla ruggine; un mezzo elmo di ferro con un largo nasale e un'ammaccatura alla tempia sinistra; una cintura per la spada di vecchio cuoio marrone e una spada lunga in un fodero di cuoio e

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legno; un pugnale, un rasoio, una cote; gambiere e gorgiera, una lancia da guerra di frassino tornito lunga otto piedi con la punta di ferro aguzza e uno scudo di rovere bordato di metallo graffiato, con lo stemma di ser Arlan di Pennytree: un calice alato d'argento in campo marrone.

Dunk guardò lo scudo, raccolse la cintura della spada e lanciò un'altra occhiata allo scudo. La cintura era fatta per i fianchi magri del vecchio. Non poteva andare bene a lui, come del resto la cotta di maglia. Appese il fodero della spada a un pezzo di corda che si legò in vita, poi estrasse la spada lunga.

La lama era diritta e pesante, di ottimo acciaio ben forgiato, l'impugnatura era di legno rivestito di morbida pelle, il pomo una pietra nera levigata. Nella sua disadorna semplicità, era una spada che si teneva bene in mano, e Dunk sapeva quanto fosse affilata, avendola ripassata con la cote e un lungo coltello molte sere prima di dormire. "Sta bene nel mio pugno come è sempre stata bene nel suo" pensò "e a Campo di Ashford c'è un torneo."

Pièdolce aveva un'andatura più confortevole del vecchio Castagna, tuttavia Dunk era indolenzito e stanco quando scorse la locanda, un'alta costruzione di legno intonacato vicino a un ruscello. La luce calda che trapelava dalle finestre era così invitante che non poté resistere. "Ho tre cervi d'argento" si disse. "Basteranno per un buon pasto e tutta la birra che voglio."

Mentre smontava, un ragazzino nudo emerse dal ruscello e cominciò ad asciugarsi con una cappa marrone di tela ruvida. «Sei lo stalliere?» gli chiese Dunk. Il bambino poteva avere al massimo otto o nove anni, magrolino e pallido in viso, i piedi nudi incrostati di fango fino alle caviglie. Ma quello che colpiva di più in lui erano i capelli, che non c'erano. «Vorrei che il mio palafreno venisse strigliato, e dell'avena per tutti e tre. Te ne puoi occupare tu?»

Il ragazzino lo guardò con strafottenza: «Potrei, se volessi».Dunk si accigliò. «Basta così. Sono un cavaliere, te la farò vedere io.»«Non hai l'aria di essere un cavaliere.»«Perché? I cavalieri sono tutti uguali?»«No, però non sono come te. La cintura della tua spada è un pezzo di corda.»«L'importante è che sostenga il fodero. Adesso pensa ai miei cavalli. C'è una moneta di

rame per te se fai un buon lavoro, altrimenti una sberla sulle orecchie.» E senza aspettare di vedere la sua reazione, si voltò e spinse con una spalla il battente della porta.

A quell'ora si sarebbe aspettato di trovare la locanda affollata, invece la sala era quasi deserta. Un giovane signorotto con un elegante mantello damascato era accasciato su un tavolo, con la testa in una pozza di vino, e stava russando piano. Non c'era nessun altro. Dunk si guardò intorno perplesso, finché una donna piccola e tozza, con la faccia pallida, emerse dalla cucina e disse: «Siediti dove ti pare. Vuoi della birra o da mangiare?».

«L'una e l'altro.» Dunk scelse una sedia vicino alla finestra, lontano dall'uomo che dormiva.«C'è del buon agnello arrostito con erbe aromatiche e delle anatre che ha cacciato mio

figlio. Che cosa vuoi?»Non mangiava in una locanda da sei mesi o forse più. «Tutti e due.»La donna rise. «Be', in effetti sei grande abbastanza.» Riempì un boccale di birra e glielo

portò al tavolo. «Vuoi anche una stanza per la notte?»«No.» Dunk non avrebbe desiderato niente di meglio che un morbido materasso di paglia e

un tetto sopra la testa, ma doveva stare attento al conio. Sarebbe andata ugualmente bene anche la nuda terra. «Un po' di cibo, della birra e mi rimetto in marcia per Ashford. Quanto dista da qui?»

«Un giorno di cavallo. Al bivio, dove c'è il mulino bruciato, gira a nord. Si sta occupando mio figlio dei tuoi cavalli, o è scappato via di nuovo?»

«No, è là» la rassicurò Dunk. «Sembra che non abbiate molti clienti.»«Mezza città è andata ad assistere al torneo. Volevano andarci anche i miei figli, se gli davo

il permesso. Un giorno, quando morirò, questa locanda sarà loro, ma il ragazzo preferirebbe diventare un soldato e andarsene in giro a fare lo spaccone, mentre la ragazza è tutta sospiri e risatine ogni volta che passa un cavaliere. Giuro che non capisco il perché. Sono fatti come gli altri uomini, e non ho mai saputo che un torneo possa cambiare il prezzo delle uova.» Scrutò Dunk con curiosità; la spada e lo scudo le dicevano una cosa, la cintura di corda e la tunica di tessuto grezzo un'altra. «Sei diretto anche tu al torneo?»

Lui bevve un sorso di birra prima di rispondere. Era bruna e pastosa in bocca, come piaceva a lui. «Aye» disse. «Intendo presentarmi come campione.»

«Ah, sì?» replicò la locandiera, in tono abbastanza rispettoso.Dall'altra parte della stanza, il signorotto alzò la testa dalla pozza di vino. Sotto la massa

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incolta di capelli castano chiaro e l'ispida barbetta bionda che gli ricopriva il mento, la sua faccia giallastra aveva un aspetto malsano. Si pulì la bocca, fissò Dunk e disse: «Ti ho sognato». La sua mano tremava quando puntò minaccioso l'indice nella sua direzione. «Stammi lontano, chiaro? Stammi lontano.»

Dunk lo guardò con aria incerta. «Mio signore?»La locandiera gli si avvicinò. «Non badare a quello là, ser. Non fa altro che bere e parlare dei

suoi sogni. Adesso ti porto da mangiare» disse allontanandosi.«Mangiare?» Il signorotto pronunciò quella parola come fosse un'oscenità. Poi si alzò in

piedi, appoggiandosi al tavolo per non cadere. «Sto per vomitare» annunciò. Il davanti della sua tunica era una rossa crosta di vecchie macchie di vino. «Volevo una puttana, ma qui non ce ne sono. Sono andate tutte al Campo di Ashford. Dèi misericordiosi! Ho bisogno di un po' di vino.» Uscì dalla sala con passo malfermo, e Dunk lo sentì salire le scale, canticchiando sottovoce.

"Un povero diavolo" pensò Dunk. "Ma come mai aveva l'impressione di conoscermi?" Ci rifletté un po', davanti al boccale di birra.

L'agnello era il più buono che avesse mai mangiato, e l'anatra era ancora meglio, cotta con ciliegie e limoni, e meno grassa del solito. La locandiera gli portò anche piselli al burro e pane d'avena ancora caldo di forno. "Ecco che cosa significa essere un cavaliere" pensò staccando l'ultimo pezzo di carne dall'osso. "Buon cibo e tutta la birra che vuoi, e nessuno a darti botte sulla testa." Bevve un altro boccale durante il pasto, un terzo per mandare giù tutto e un quarto perché non c'era nessuno a impedirglielo, e quando ebbe finito pagò la donna con un cervo d'argento ricevendo ancora come resto una manciata di monetine di rame.

Quando Dunk uscì dalla locanda era ormai buio pesto. Aveva la pancia piena e il borsellino un po' più leggero, ma si sentiva bene mentre si dirigeva verso le stalle. Udì il nitrito di un cavallo. «Piano, piccolo» diceva la voce di un ragazzo. Dunk affrettò il passo, preoccupato.

Trovò lo stalliere in sella a Tuono, con indosso l'armatura del vecchio. La cotta di maglia era più lunga di lui, e aveva dovuto inclinare indietro l'elmo sulla sua testa pelata, altrimenti gli sarebbe arrivato sugli occhi. Sembrava tutto intento nella parte, ed era molto buffo. Dunk si fermò sulla soglia e scoppiò a ridere.

Il ragazzo alzò lo sguardo, arrossì, e balzò a terra con un volteggio. «Mio signore, non intendevo...»

«Ladro» lo accusò Dunk, cercando di usare un tono severo. «Togliti subito quell'armatura, e ringrazia il cielo che Tuono non ti ha mollato un calcio su quella testa bacata. È un cavallo da guerra, non un pony da bambini.»

Lo stalliere si tolse l'elmo e lo lanciò sulla paglia. «Lo posso montare bene come te» dichiarò con fare sfrontato.

«Chiudi quella bocca, ne ho abbastanza della tua insolenza. Levati anche la cotta. Che cosa pensavi di fare?»

«Come faccio a parlare se tengo la bocca chiusa?» Il ragazzo si liberò della maglia di ferro, e poi la lasciò cadere per terra.

«Puoi aprire la bocca per rispondere» concesse Dunk. «Adesso raccogli quella cotta, puliscila e rimettila dove l'hai presa. E anche il mezzo elmo. Hai dato da mangiare ai cavalli, come ti avevo detto? E strigliato Pièdolce?»

«Sì» rispose il ragazzo togliendo la paglia dalla cotta di maglia. «Vai ad Ashford, vero? Portami con te, ser.»

La locandiera lo aveva già messo in guardia. «E tua madre che cosa direbbe?»«Mia madre?» Il bambino fece una smorfia. «Non direbbe niente, è morta.»Dunk rimase interdetto. La locandiera non era sua madre? Forse era solo un lavorante. La

testa di Dunk era un po' annebbiata dalla birra. «Sei orfano, ragazzo?» chiese con esitazione.«E tu?» ritorse il bambino.«Lo sono stato» ammise Dunk. "Finché il vecchio non mi prese con sé."«Se mi prendi con te, posso farti da scudiero.»«Non ho bisogno di scudieri» rispose lui.«Tutti i cavalieri hanno bisogno di uno scudiero» dichiarò il ragazzo. «E tu sembri averne più

bisogno degli altri.»Dunk alzò una mano minaccioso. «E tu sembri avere bisogno di una bella sberla sulle

orecchie. Riempimi un sacco di avena. Partirò per Ashford... da solo.»Se il ragazzo era spaventato, lo nascondeva bene. Restò lì, fermo, in atteggiamento di sfida,

con le braccia incrociate sul petto, ma quando Dunk ormai non ci sperava più, si voltò e andò a

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prendere l'avena.Dunk si sentì sollevato. "Peccato che... ma qui alla locanda non gli manca niente, vive

meglio che facendo lo scudiero a un cavaliere errante. Prendendolo con me non gli farei certo un favore."

Però ricordava bene la delusione del ragazzo. Quando montò in sella a Pièdolce e prese le briglie di Tuono, Dunk decise che un centesimo di rame lo avrebbe consolato. «Ecco, tieni, per il tuo aiuto.» Gli lanciò la moneta con un sorriso, ma l'altro non fece neanche il gesto di prenderla al volo. Cadde a terra, tra i suoi piedi nudi, e lì restò.

"La raccoglierà appena me ne sarò andato" pensò Dunk. Voltò il palafreno e lasciò la locanda, con gli altri due cavalli al seguito. Gli alberi erano illuminati dal chiarore della luna, il Cielo era senza nubi e punteggiato di stelle. Eppure mentre imboccava la strada si sentiva sulla schiena lo sguardo dello stalliere che, imbronciato e silenzioso, lo fissava.

Le ombre del pomeriggio si stavano allungando quando Dunk mise i cavalli al passo sul limitare del Campo di Ashford. Nel prato erano già stati montati sessanta padiglioni: alcuni piccoli, altri grandi, certi quadrati, altri rotondi, di stoffa, di lino oppure di seta, ma tutti dai colori sgargianti, con lunghi gonfaloni che ondeggiavano appesi al palo centrale, più variopinti di un campo di fiori selvatici, con rossi intensi e gialli solari, infinite tonalità di verde e blu, cupi neri, grigi e porpora.

Il vecchio aveva cavalcato con alcuni di quei cavalieri, altri Dunk li conosceva dai racconti ascoltati nelle locande o attorno a un fuoco da campo. Anche se non aveva mai imparato la magia del leggere e dello scrivere, il vecchio si era dimostrato inflessibile quando fu il momento di insegnargli l'araldica, spesso istruendolo mentre cavalcavano. Gli usignoli appartenevano a lord Caron delle Marche, abile con l'arpa alta come lo era con la lancia. Il cervo incoronato era di ser Lyonel Baratheon, la Tempesta-che-ride. Dunk riconobbe il cacciatore dei Tarly, il viola lampeggiante di Casa Dondarrion, la mela rossa dei Fossoway. A destra ruggiva il leone dei Lannister, oro in campo cremisi, a sinistra la tartaruga marina verde scuro degli Estermont nuotava in campo verde pallido. La tenda marrone sotto lo stallone rosso poteva essere solo di ser Otho Bracken, soprannominato il Bruto di Bracken da quando tre anni prima aveva ucciso lord Quentyn Blackwood in un torneo ad Approdo del Re. Dunk aveva sentito raccontare che ser Otho aveva colpito con tale violenza da sfondare con la sua ascia lunga smussata la visiera dell'elmo di lord Blackwood e la faccia che c'era sotto. Vide anche qualche vessillo Blackwood, sul margine occidentale del campo, il più lontano possibile da ser Otho. Marbrand, Mallister, Cargyll, Westerling, Swann, Mullendore, Hightower, Florent, Frey, Penrose, Stokeworth, Darry, Parren, Wylde... sembrava che ogni Casa dell'Ovest e del Sud avesse mandato ad Ashford un cavaliere o due a vedere la bella pulzella e sfidare in suo onore i campioni in lizza.

Eppure, per quanto fossero belli da guardare, sapeva che là, tra quei padiglioni, non c'era posto per lui. Una cappa di lana consunta sarebbe stata il suo unico riparo per la notte. Mentre i signori e i grandi cavalieri cenavano con capponi e maialini da latte, Dunk avrebbe mangiato un pezzo di manzo salato, secco e filamentoso. Sapeva fin troppo bene che se si fosse accampato tra quelle tende sgargianti avrebbe dovuto sopportare un silenzioso disprezzo e l'aperta derisione. Forse qualcuno lo avrebbe trattato con cortesia, ma in un modo che sarebbe stato quasi peggio.

Un cavaliere errante deve tenersi stretto il suo orgoglio, altrimenti è solo un mercenario. "Devo guadagnarmi il mio posto tra quella gente. Se combatto bene, un lord potrebbe portarmi con sé nel suo castello. Allora cavalcherò in nobile compagnia, mangerò carne fresca ogni sera in una delle sue sale e avrò il mio padiglione nei tornei. Prima però devo battermi bene." A malincuore voltò la schiena al terreno di gara e condusse i cavalli sotto le piante.

Nei paraggi del campo principale, a mezzo miglio buono dalla città e dal castello, trovò un punto dove un'ansa del ruscello aveva formato una pozza profonda. Sui suoi bordi crescevano folte le canne e un grande olmo frondoso la sovrastava. Lì l'erba primaverile era più verde che in qualsiasi stemma cavalleresco e soffice al tatto. Era un angolo delizioso, che nessuno aveva ancora rivendicato. "Questo sarà il mio padiglione" si disse Dunk "rivestito di foglie più verdi dei vessilli degli Estermont e dei Tyrell." Per prima cosa sistemò i cavalli. Dopo che li ebbe accuditi, si spogliò e si immerse nell'acqua per lavare via la polvere del viaggio. "Un vero cavaliere è pulito e devoto" ripeteva sempre il vecchio, insistendo perché si lavassero dalla testa ai piedi ogni volta che cambiava la luna, che puzzassero o no. Adesso che era un cavaliere, Dunk si ripromise di fare lo stesso.

Sedeva nudo sotto l'olmo godendosi il tepore dell'aria primaverile che gli asciugava la pelle,

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quando vide una libellula volare pigramente tra le canne. "Perché la chiamano 'mosca-drago'?" si chiese. "Non assomiglia per niente a un drago." Non che Dunk ne avesse mai visto uno. Il vecchio, però, sì, e da lui aveva sentito raccontare cento volte la storia di quando, da bambino, ser Arlan era stato portato dal nonno ad Approdo del Re, dove avevano visto l'ultimo drago l'anno prima che morisse. Era una femmina, verde, piccola e rachitica, con le ali raggrinzite. Nessuna delle sue uova si dischiuse mai. "Alcuni dicono che re Aegon l'abbia avvelenata" diceva il vecchio. "Pare sia stato il terzo Aegon, non il padre di re Daeron, ma quello chiamato Rovina-del-Drago o Aegon lo Sventurato. Temeva i draghi perché aveva visto quello dello zio divorare sua madre. Dalla morte dell'ultimo drago, le estati sono diventate più brevi e gli inverni più lunghi e più crudeli."

L'aria cominciò a rinfrescare appena il sole calò dietro le cime degli alberi. Quando Dunk sentì la pelle d'oca pizzicargli le braccia, sbatté la tunica e le brache contro il tronco dell'olmo per togliere il grosso della sporcizia, poi li indossò di nuovo. L'indomani avrebbe cercato il maestro del torneo per farsi registrare in qualità di partecipante, ma quella sera aveva altre questioni da risolvere, se voleva sperare di gareggiare.

Non aveva bisogno di guardare la sua immagine riflessa nell'acqua per rendersi conto che il suo aspetto non era propriamente quello di un cavaliere, così si sistemò lo scudo di ser Arlan di traverso sulla schiena in modo che lo stemma fosse in bella mostra. Dopo avere messo le pastoie ai cavalli, Dunk li lasciò a pascolare nella folta erba verde sotto l'olmo, mentre lui si incamminava verso il terreno su cui si sarebbe disputato il torneo.

In tempi normali, il Campo era un bene comune, usato dal popolino della città di Ashford che viveva al di là del fiume. Adesso però era tutto diverso. Una seconda città era spuntata nella notte, una città di seta invece che di pietra, più grande e bella della sorella maggiore. Decine e decine di mercanti avevano montato le loro bancarelle ai bordi del prato, vendendo lana e frutta, cinture e stivali, pelli e falchi, terrecotte, gemme, oggetti in peltro, spezie, piume e merci di ogni genere. Giocolieri, maghi e teatranti si aggiravano tra la folla esercitando i loro mestieri... così come le puttane e i borsaioli. Per precauzione, Dunk tenne sempre una mano sul borsellino.

Quando sentì l'odore stuzzicante delle salsicce che sfrigolavano su un fuoco fumoso, gli venne l'acquolina in bocca. Ne comprò una con una moneta di rame, e un corno di birra per mandarla giù. Mentre mangiava guardò un cavaliere di legno dipinto combattere con un drago di legno dipinto. Per di più, la marionettista che muoveva il drago era piacevole a vedersi, una bella ragazza alta, con la pelle olivastra e i capelli neri di Dome. Era affusolata come una lancia e aveva poco seno, ma Dunk era affascinato dal suo viso e da come le sue agili dita facevano chiudere di scatto le fauci del drago e lo facevano scivolare tirando le cordicelle. Le avrebbe lanciato volentieri una moneta di rame, se ne avesse avuto da scialare, ma in quel momento aveva bisogno di tutto il suo denaro.

Tra i mercanti c'erano degli armaioli, come Dunk aveva sperato. Un Tyroshi con la barba blu a due punte vendeva elmi decorati, oggetti splendidi e bizzarri a forma di uccelli o di belve, con inserti d'oro e d'argento. Più in là trovò un artigiano che vendeva lame d'acciaio a poco prezzo e un altro dal lavoro molto più raffinato, ma quello che gli serviva non era una spada.

L'uomo che cercava era proprio in fondo alla fila, con una maglia di ferro sottile e un paio di guanti d'acciaio a scaglie esposti sul banco. Dunk li esaminò da vicino. «Lavori bene» disse.

«Sono il migliore.» Il fabbro era tarchiato, alto non più di cinque piedi, ma aveva il torace e le braccia muscolosi come quelli di Dunk. Barba nera, mani enormi e nemmeno un briciolo di umiltà.

«Mi serve un'armatura per il torneo» gli disse Dunk. «Una bella cotta di ferro, con gorgiera, gambiere e un elmo intero.» Il mezzo elmo del vecchio era della sua misura, ma voleva per il viso una protezione maggiore di quella che poteva offrire un semplice nasale.

L'armaiolo lo squadrò dall'alto in basso. «Sei grosso, ma ho armato uomini ancora più grossi.» Uscì da dietro il banco. «Abbassati, che voglio misurarti le spalle. Aye, e anche il tuo collo taurino.» Dunk si inginocchiò. Il fabbro gli appoggiò sulle spalle una striscia di cuoio grezzo con dei nodi, grugnì; gliela fece scivolare attorno alla gola, grugnì di nuovo. «Solleva il braccio; no, il destro.» Grugnì per la terza volta. «Adesso ti puoi alzare.» L'interno della gamba, la circonferenza del polpaccio e la misura del polso provocarono altri grugniti. «Ho dei pezzi sul carro che dovrebbero andarti bene» dichiarò alla fine. «Mente decorazioni in oro o argento, intendiamoci, solo del buon acciaio. Io faccio elmi che sembrano elmi, non maiali volanti o strana frutta esotica, ma i miei ti saranno più utili se ti arriva un colpo di lancia in

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faccia.»«È esattamente quello che sto cercando» rispose Dunk. «Quanto?»«Ottocento cervi, perché voglio essere buono.»«Ottocento?» Era più di quello che immaginava. «Io... vi potrei dare in cambio una vecchia

armatura, adatta a un uomo più basso... un mezzo elmo, una cotta di maglia...»«Steely Pate vende solo quello che fa con le sue mani» dichiarò l'uomo «però potrei magari

riutilizzare il metallo. Se non è troppo arrugginita la prendo, e ti faccio seicento.»Dunk avrebbe potuto implorare Pate di dargli l'armatura sulla fiducia, ma immaginava che

genere di risposta avrebbe ottenuto. Aveva girato abbastanza con il vecchio per sapere che i venditori sono notoriamente diffidenti nei confronti dei cavalieri erranti, alcuni dei quali erano poco più che briganti. «Ti do due cervi d'argento adesso, e l'armatura e il resto dei soldi domani.»

L'armaiolo lo studiò per un momento. «Con due cervi d'argento puoi averla a nolo per un giorno. Dopo di che vendo l'armatura al prossimo acquirente.»

Dunk tirò fuori le monete dal borsellino e le mise nella mano callosa dell'uomo. «Avrai tutto. Intendo diventare un campione di questo torneo.»

«Davvero?» Pate diede un morso a una delle monete. «E rutti gli altri? Sono venuti solo per applaudirti, eh?»

La luna era ormai alta quando tornò al suo olmo. Dietro di lui, il Campo di Ashford era illuminato dalle fiamme delle torce. Gli arrivava ancora il suono dei canti e delle risate, ma il suo umore era tetro. Aveva in mente un unico modo per procurarsi il conio per l'armatura. E se fosse stato sconfitto... «Quello che mi serve è una sola vittoria» borbottò ad alta voce. «Non è sperare troppo.»

Il vecchio invece non aveva mai nutrito speranze di vittoria. Ser Arlan non aveva più partecipato a una giostra dal giorno in cui era stato disarcionato dal principe di Roccia del Drago, in un torneo a Capo Tempesta, molti anni prima. "Non tutti possono vantarsi di avere rotto sette lance contro il più valoroso cavaliere dei Sette Regni" diceva. "Non potevo sperare di fare meglio, perché dunque riprovarci?"

Dunk sospettava che l'età di ser Arlan c'entrasse più del principe di Roccia del Drago, ma non aveva mai osato dirlo. Il vecchio aveva il suo orgoglio, anche alla fine. "Diceva sempre che io sono forte e veloce; quello che era vero per lui non deve per forza essere vero per me" si ripeté caparbiamente.

Stava attraversando un tratto di erba alta, rimuginando sulle sue possibilità, quando scorse il bagliore di un fuoco tra gli arbusti. "Che cosa sarà?" si chiese. Non si fermò a pensare. All'istante, con la spada in pugno, si apriva un varco tra le erbacce.

Balzò in avanti ruggendo e imprecando, per poi bloccarsi di colpo alla vista della figura seduta vicino al falò. «Tu!» Abbassò la spada. «Che cosa ci fai qui?»

«Sto cuocendo un pesce» rispose il ragazzo pelato. «Ne vuoi un po'?»«Si può sapere come diavolo hai fatto ad arrivare fin qui? Hai rubato un cavallo?»«Ho viaggiato sul retro di un carro, guidato da un tizio che portava al castello degli agnelli

destinati alla tavola di lord Ashford.»«Bene, allora è meglio che vai a vedere se c'è ancora, oppure che ti cerchi un altro carro.

Non ti voglio tra i piedi.»«Non puoi mandarmi via» ribatté il ragazzo impertinente. «Ne avevo abbastanza di quella

locanda.»«Non intendo tollerare oltre la tua insolenza» lo avvertì Dunk. «Dovrei caricarti subito sul

mio cavallo e riportarti a casa.»«Ad Approdo del Re?» rispose il ragazzo. «Ti perderesti il torneo.»"Approdo del Re." Per un momento Dunk si chiese se lo stesse prendendo in giro, ma il

ragazzo non poteva sapere che anche lui era nato là. "Probabilmente un altro miserabile del Fondo delle Pulci, e chi può dargli torto se ha voluto scappare da un posto come quello?"

Si sentì uno sciocco, lì con la spada in pugno davanti a un orfano di otto anni. Rimise la lama nel fodero con lo sguardo torvo, per far capire al ragazzo che con lui c'era poco da scherzare. "Dovrei almeno dargli una bella battuta" pensò, ma il bambino aveva un aspetto così gracile che non riuscì proprio a picchiarlo. Si guardò intorno. Il fuoco stava bruciando allegramente in mezzo a un ordinato cerchio di pietre. I cavalli erano stati strigliati e i vestiti erano appesi all'olmo, ad asciugare sopra le fiamme. «E quelli, che cosa ci fanno lì?»

«Li ho lavati» rispose il ragazzo. «E ho spazzolato i cavalli, acceso il fuoco e pescato questo

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pesce. Avrei montato il tuo padiglione, ma non l'ho trovato.»«Eccolo, il mio padiglione.» Dunk fece un ampio gesto con la mano sopra la testa, indicando

i rami del grande olmo che si stagliava sopra di loro.«Quello è un albero» replicò il ragazzo, impassibile.«È l'unico padiglione di cui un vero cavaliere ha bisogno. Preferisco dormire sotto le stelle

che in una tenda fumosa.»«E se si mette a piovere?»«L'albero mi riparerà.»«Ma gli alberi lasciano passare la pioggia.»Dunk rise. «In genere, sì. Be', per la verità non ho denaro per permettermi un padiglione. E

tu faresti meglio a girare quel pesce, altrimenti sarà bruciato da una parte e crudo dall'altra. Non potresti mai fare lo sguattero.»

«Potrei, se volessi» ribatté il ragazzo, ma girò il pesce.«Che cosa è successo ai tuoi capelli?» gli chiese Dunk.«I maestri me li hanno rasati.» Improvvisamente imbarazzato, il ragazzo tirò su il cappuccio

della cappa marrone scuro, coprendosi la testa.Dunk aveva sentito che a volte facevano così per curare i pidocchi o certe malattie. «Hai

problemi di salute?»«No» disse il ragazzo. «Come ti chiami?»«Dunk.»La piccola canaglia scoppiò a ridere, come se fosse la cosa più buffa che avesse mai sentito.

«Dunk come "inzuppare"?» disse. «Ser Dunk? Non è un nome da cavaliere. È un'abbreviazione di Duncan?»

Lo era? Il vecchio lo aveva sempre chiamato Dunk e basta, almeno a quanto riusciva a rammentare, mentre della sua vita prima del vecchio non ricordava granché. «Sì, Duncan» rispose. «Ser Duncan di...» Dunk non aveva un altro nome, né una casata; ser Arlan lo aveva trovato che viveva come un selvaggio tra i bordelli e i vicoli di Fondo delle Pulci. Non aveva mai conosciuto né il padre né la madre. Che cosa doveva rispondere? "Ser Duncan di Fondo delle Pulci" non suonava molto cavalleresco. Poteva dire "di Pennytree", ma se poi gli avesse chiesto dove si trovava? Dunk non c'era mai stato, e anche il vecchio non ne aveva mai parlato tanto. Si rabbuiò per un momento, poi disse di botto: «Ser Duncan l'Alto». Lui era effettivamente alto, nessuno poteva sostenere il contrario, e suonava possente.

Ma il piccolo infiltrato non sembrò soddisfatto. «Mai sentito nominare.»«Perché, tu conosci tutti i cavalieri dei Sette Regni?»Il ragazzo lo guardò con sfrontatezza. «Quelli bravi, sì.»«Io lo sono, e dopo il torneo lo sapranno tutti. E tu, ce l'hai un nome?»Esitò. «Egg» rispose.Dunk non rise. "In effetti la sua testa sembra proprio un 'uovo'. I bambini possono essere

molto crudeli e gli adulti anche." «Egg» disse «dovrei batterti a sangue e mandarti via, ma la verità è che non ho un padiglione e nemmeno uno scudiero. Se giuri di fare quello che ti dico, puoi stare con me per tutta la durata del torneo. Dopo di che vedremo: se decido che varrà la pena tenerti, avrai abiti con cui coprirti e cibo per riempirti la pancia. I vestiti potranno essere di tessuto grezzo e il cibo carne di manzo salata e pesce secco, e magari di tanto in tanto un po' di carne di cervo, quando non ci sono guardaboschi in giro, ma comunque non soffrirai la fame. E prometto di non picchiarti, a meno che non te lo meriti.»

Egg sorrise. «Sì, mio lord.»«Ser» lo corresse Dunk. «Sono solo un cavaliere errante.» Si chiese se il vecchio lo stesse

guardando dall'alto. "Gli insegnerò le arti del combattimento, quelle che tu hai insegnato a me, ser. Sembra un giovane promettente, forse un giorno diventerà un cavaliere."

Il pesce era ancora un po' crudo all'interno quando lo mangiarono, e il ragazzo non aveva tolto tutte le lische, ma era comunque molto più gustoso della carne di manzo salata.

Accanto al fuoco che si stava spegnendo, Egg si addormentò subito. Dunk si sdraiò sulla schiena vicino a lui, con le grandi mani intrecciate dietro la testa, a guardare il cielo notturno. Poteva udire la musica che proveniva dall'arena del torneo, a mezzo miglio di distanza. C'erano stelle dappertutto, a migliaia. Una cadde mentre lui stava guardando: una striscia verde luminosa balenò nel buio e poi sparì.

"Una stella cadente porta fortuna a chi la vede" pensò Dunk. "Adesso tutti gli altri sono nei loro padiglioni, a guardare un soffitto di seta invece del cielo. Quindi la fortuna è soltanto mia."

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La mattina, Dunk si alzò al canto del gallo. Egg era ancora lì, rannicchiato sotto la cappa di scorta del vecchio. "Bene, il ragazzo non è scappato via durante la notte, è già qualcosa." Lo svegliò pungolandolo con il piede. «Forza, che c'è da lavorare.» Il ragazzo si alzò quasi subito, stropicciandosi gli occhi. «Aiutami a sellare Pièdolce» gli disse Dunk.

«Che cosa c'è per colazione?»«Manzo salato, dopo che avremo finito.»«Sono così affamato che mi mangerei un cavallo» disse Egg. «Ser.»«Mangerai il mio pugno se non fai subito quello che ti ho detto. Prendi le spazzole. Sono

nella bisaccia. Sì, quelle.»Insieme strigliarono il mantello sauro della giumenta, le posarono sul dorso la più bella sella

di ser Arlan e strinsero bene il sottopancia. Dunk vide che Egg lavorava bene, quando voleva.«Penso che starò via quasi tutto il giorno» disse al ragazzo nel montare in sella. «Tu resta

qui, e metti in ordine l'accampamento. Controlla che non si avvicinino altri ladri.»«Posso avere una spada per cacciarli via?» chiese Egg. I suoi occhi erano azzurri, notò

Dunk, molto scuri, quasi indaco. La calvizie li faceva sembrare enormi, non sapeva perché.«No» rispose Dunk. «Basta un coltello. Ed è meglio che tu sia qui quando ritorno, chiaro?

Prova a derubarmi e fuggire, e giuro che ti darò la caccia. Con i cani.»«Ma tu non hai cani» puntualizzò Egg.«Ne prenderò un paio apposta per te» ribatté Dunk. Fece girare il muso di Pièdolce verso il

Campo e partì a un trotto sostenuto, sperando che quella minaccia bastasse a conservare il ragazzo onesto. A parte gli abiti che indossava, l'armatura che aveva nel sacco e il cavallo che montava, tutto quello che Dunk possedeva al mondo era in quell'accampamento. "Sono un vero pazzo a fidarmi così di quel ragazzo, ma in fondo è quello che il vecchio ha fatto con me" rimuginò. "Deve avermelo mandato la Madre perché possa ripagare il mio debito."

Quando attraversò il Campo, sentì i colpi di numerosi martelli provenire dalla riva del ruscello, dove i carpentieri stavano costruendo le barriere per la giostra e un'alta tribuna. Venivano montati anche nuovi padiglioni, mentre i cavalieri arrivati i giorni precedenti dormivano per recuperare i bagordi della notte o stavano facendo colazione. Dunk poteva sentire l'odore della legna bruciata e anche della pancetta affumicata.

A nord del Campo scorreva il Cockleswent, un affluente del grande Mander. Al di là del basso guado c'erano la città e il castello. Durante le sue peregrinazioni con il vecchio, Dunk aveva visto molte città in cui c'era il mercato. Quella era molto più bella della media; le case imbiancate a calce con i loro tetti di paglia avevano un aspetto grazioso. Quando era un bambino, si chiedeva spesso come dovesse essere vivere in un posto così, dormire ogni notte con un tetto sopra la testa e svegliarsi ogni giorno circondato dalle stesse pareti. "Magari presto lo saprò. Aye, e anche Egg. Potrebbe capitare. Ogni giorno succedono le cose più strane."

Il castello di Ashford era una struttura di pietra costruita su una base triangolare, con torri cilindriche alte trenta piedi in corrispondenza di ogni vertice, unite da grosse mura merlate. Dai bastioni garrivano stendardi arancioni, con il sole bianco e la V rovesciata dello stemma del suo signore. Uomini in uniformi bianche e arancioni sorvegliavano le porte armati di alabarde, controllando la gente che entrava e usciva, ma apparentemente più intenti a scherzare con una bella lattaia che a impedire l'accesso a qualcuno. Dunk fermò il cavallo davanti a un uomo piccolo e barbuto che ritenne fosse il loro capitano, e gli chiese del responsabile del torneo.

«La persona che tu cerchi è Plummer, il maestro del torneo. Vieni, ti accompagno da lui.»Nel cortile uno stalliere prese in custodia Pièdolce. Dunk si mise a tracolla lo scudo

malconcio di ser Arlan e seguì il capitano delle guardie dietro le scuderie fino a un torrione d'angolo nel muro di cinta. Ripidi gradini di pietra portavano al camminamento superiore. «Vieni per inserire nella lizza il nome del tuo signore?» gli chiese il capitano mentre salivano.

«No, il mio.»«Ah!»L'uomo aveva sogghignato? Dunk non ne era certo. «È quella porta laggiù. Adesso ti lascio e

torno alla mia postazione.»Quando Dunk aprì la porta, l'uomo era seduto a un tavolo a cavalletti e stava graffiando con

una penna d'oca una pergamena. Aveva capelli grigi e sottili, e una faccia piccola, emaciata. «Sì?» disse alzando lo sguardo. «Che cosa vuoi, ragazzo?»

Dunk chiuse la porta. «Sei Plummer, il maestro del torneo? Sono qui per il torneo. Vorrei inserire il mio nome nella lizza.»

Plummer increspò le labbra. «Il torneo indetto dal mio lord è per cavalieri. Tu sei un

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cavaliere?»Lui annuì, chiedendosi se gli fossero diventate rosse le orecchie.«Un cavaliere con un nome, possibilmente?»«Dunk.» Perché aveva risposto così? «Ser Duncan. L'Alto.»«E si può sapere da dove vieni, ser Duncan l'Alto?»«Da tanti posti. Sono stato scudiero di ser Arlan di Pennytree da quando avevo cinque o sei

anni. Questo è il suo scudo.» Glielo mostrò. «Stava venendo al torneo, ma ha preso un'infreddatura ed è morto, così sono venuto io al posto suo. Mi ha nominato cavaliere con la sua spada prima di spirare.» Dunk estrasse la spada lunga e la posò sul tavolo di legno graffiato, in mezzo a loro.

Plummer la degnò appena di uno sguardo. «Si tratta senza dubbio di una spada. Però non ho mai sentito nominare questo ser Arlan di Pennytree. Hai detto che eri il suo scudiero?»

«Diceva sempre che voleva che io diventassi un cavaliere come lui. Quando stava per morire, mi ha chiesto di dargli la sua spada lunga e mi ha ordinato di inginocchiarmi. Mi ha toccato prima sulla spalla destra e poi sulla sinistra, ha pronunciato delle parole, e quando mi sono alzato ha detto che ero un cavaliere.»

«Mmh» fece Plummer grattandosi il naso. «Ogni cavaliere può nominare un altro cavaliere, è vero, ma l'usanza vuole che prima di prendere i voti l'aspirante cavaliere vegli per una notte e riceva l'unzione da un septon. Era presente qualche testimone alla tua investitura?»

«Solo un pettirosso sopra un biancospino. L'ho sentito mentre il vecchio pronunciava le parole di rito. Mi ha fatto giurare di essere un cavaliere bravo e onesto, di onorare i Sette Dèi, di difendere il debole e l'innocente, di servire il mio lord con lealtà e combattere per il regno con tutte le mie forze, e io ho giurato.»

«Certo.» Dunk non poté fare a meno di notare che Plummer non si degnava di chiamarlo "ser". «Devo consultarmi con lord Ashford. Tra i prodi cavalieri qui radunati, c'è per caso qualcuno che conosce te o il tuo defunto signore?»

Dunk ci pensò un momento. «C'è un padiglione su cui sventola il vessillo di Casa Dondarrion? Nero, con un fulmine viola?»

«Quello sarebbe ser Manfred, di quella Casa.»«Ser Arlan è stato al servizio di suo padre a Dorne, tre anni fa. È possibile che ser Manfred

si ricordi di me.»«Ti consiglio di parlare con lui. Se garantirà per te, conducilo qui domani, a questa stessa

ora.»«Come tu comandi, mio lord.» Si voltò e fece alcuni passi verso la porta.«Ser Duncan!»Dunk si voltò.«Sai che quando si viene vinti in un torneo si perdono armi, armatura e cavallo, che vanno

ai vincitori, e che bisogna poi riscattarli?»«Sì.»«E sei in grado di pagare il riscatto?»Adesso era sicuro di avere le orecchie rosse. «Non avrò bisogno del conio» disse, sperando

che fosse vero. "A me serve una sola vittoria. Se vinco la prima giostra, avrò l'armatura del mio avversario e il suo cavallo, o il suo oro, e mi potrò permettere una sconfitta."

Scese lentamente le scale, riluttante all'idea di passare alla fase successiva del piano. Nel cortile, fermò uno degli stallieri. «Devo parlare con il capo delle scuderie di lord Ashford.»

«Lo vado a chiamare.»Le stalle erano fredde e buie. Uno stallone grigio irrequieto tentò di morderlo mentre stava

passando, ma Pièdolce si limitò ad accennare un nitrito e si strofinò contro la sua mano quando lui le accarezzò il muso. «Tu farai la brava, vero?» mormorò Dunk. Il vecchio aveva sempre detto che un cavaliere non si deve affezionare al suo cavallo, perché c'erano buone probabilità che gli morisse sotto, e ben più di una, ma lui per primo non seguì mai quel consiglio. Dunk lo aveva sorpreso più di una volta a spendere l'ultima moneta di rame per comprare una mela al buon Castagna o dell'avena per Pièdolce e Tuono. La giumenta era stata il cavallo da sella di ser Arlan, e lo aveva trasportato instancabilmente per migliaia di miglia, in lungo e in largo per i Sette Regni. Dunk aveva la sensazione di tradire un vecchio amico, ma che altro poteva fare? Castagna era troppo vecchio per ricavarne qualcosa e Tuono gli serviva per giostrare.

Passò un po' di tempo prima che il capo delle scuderie si degnasse di comparire. Mentre aspettava, Dunk udì uno squillo di trombe sulle mura e una voce nel cortile. Incuriosito, guidò Pièdolce all'ingresso della stalla per vedere che cosa stesse succedendo. Attraverso le porte

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d'accesso alla città, una folta brigata di cavalieri e arcieri a cavallo si riversava nella fortezza: almeno un centinaio di uomini, in sella ad alcuni dei più bei cavalli che Dunk avesse mai visto. "Deve essere arrivato qualche lord importante." Agguantò per un braccio uno stalliere che stava passando di corsa. «Chi sono quelli?»

Il ragazzo lo guardò sorpreso. «Non vedi i vessilli?» Si liberò con uno strattone e scappò via."I vessilli..." Mentre Dunk si girava, una raffica di vento gonfiò lo stendardo di seta nera in

cima alla lunga asta e il feroce drago a tre teste di Casa Targaryen sembrò allargare le ali, emettendo lingue di fuoco scarlatto. Il portainsegne era un cavaliere alto, con un'armatura bianca a scaglie e inserti in oro e una candida cappa che gli fluttuava dietro le spalle. Anche altri due erano ricoperti di bianco dalla testa ai piedi. "Cavalieri della guardia reale con il vessillo del re." Non c'era da meravigliarsi che lord Ashford e i suoi figli fossero usciti di corsa dal castello, e anche la bella pulzella, una ragazza bassa con i capelli biondi e un roseo viso tondeggiante. "Non mi sembra poi così bella" pensò Durnk. La marionettista era più carina.

«Ragazzo, molla quel ronzino e occupati del mio cavallo.»Un cavaliere era smontato davanti alle stalle. "Sta dicendo a me" si rese conto Dunk. «Non

sono uno stalliere, mio lord.»«Non sei abbastanza sveglio?» Il cavaliere indossava una cappa nera bordata di raso

scarlatto, sotto la quale si intravedevano abiti splendenti come fiamme, un misto di rossi, gialli e oro. Magro e diritto come una daga, anche se solo di altezza media, aveva più o meno l'età di Dunk. Capelli ricci oro e argento incorniciavano un viso scolpito e altezzoso: fronte alta, mascelle squadrate, naso diritto, pelle chiara e liscia, senza imperfezioni. I suoi occhi erano viola scuro. «Se non sei capace di badare a un cavallo, vammi almeno a cercare del vino e una bella ragazza.»

«Io... mio lord, mi spiace ma non sono neanche un servo. Ho l'onore di essere un cavaliere.»

«Di questi tempi la cavalleria è caduta proprio in basso» dichiarò il principino, ma in quel momento arrivò di corsa uno degli stallieri, e lui si voltò per porgergli le redini del suo palafreno, uno splendido baio purosangue. Dunk venne dimenticato in un istante. Sollevato, tornò a rifugiarsi nelle stalle, in attesa del capo delle scuderie. Si sentiva già abbastanza a disagio tra i lord nei loro accampamenti, non aveva il diritto di parlare con i principi.

Sul fatto che l'avvenente sbarbatello fosse un principe non aveva dubbi. I Targaryen erano originari della perduta Valyria al di là del mare, e i loro capelli oro e argento e gli occhi viola li distinguevano dalle persone comuni. Dunk sapeva che il principe Baelor era più anziano, ma il ragazzo poteva benissimo essere uno dei suoi figli: Valarr, spesso chiamato il Giovane Principe per distinguerlo dal padre, oppure Matarys, il Principe-ancora-più-giovane, come lo aveva soprannominato tempo prima il vecchio giullare di lord Swann. Naturalmente c'erano anche altri principini, cugini di Valarr e Matarys. Il buon re Daeron aveva quattro figli ormai grandi, tre dei quali avevano a loro volta dei figli. All'epoca di suo padre, la stirpe dei re dei draghi era quasi estinta, ma in giro si diceva che Daeron II e i suoi figli l'avevano consolidata per sempre.

«Ehi, ragazzo, cercavi me?» Il capo delle scuderie di lord Ashford aveva una faccia rubizza, resa ancora più colorita dalla livrea arancione, e un brusco modo di parlare. «Che c'è? Non ho tempo per...»

«Voglio vendere questo palafreno» lo interruppe svelto Dunk, prima che l'uomo lo congedasse. «È una buona cavalla, dal passo sicuro...»

«Ti ho già detto che non ho tempo.» L'uomo si limitò a dare una rapida occhiata alla giumenta. «Il lord di Ashford non ne ha bisogno. Portala in città, forse Henly ti darà qualche cervo d'argento.» Mentre così parlava in modo sbrigativo, si stava già voltando per andarsene.

«Grazie» disse Dunk prima che sparisse. «Milord, è forse arrivato il re?»Il capo delle scuderie rise. «Grazie agli dèi, no. Questa invasione di principi crea già

abbastanza trambusto. Dove trovo le stalle per tutti questi animali? E il foraggio?» Si allontanò, urlando ordini ai suoi garzoni.

Mentre Dunk lasciava le scuderie, lord Ashford aveva accompagnato i suoi illustri ospiti all'interno del castello, ma due cavalieri della guardia reale con le loro armature bianche e le cappe immacolate si attardavano ancora nel cortile, a parlare con il capitano delle guardie. Dunk si fermò davanti a loro. «Miei lord, il mio nome è ser Duncan l'Alto.»

«Piacere, ser Duncan» rispose il cavaliere bianco più alto. «Io sono ser Roland Crakehall e lui è il mio amico fraterno, ser Donnei di Duskendale.»

I sette campioni della guardia reale erano i guerrieri più valorosi dei Sette Regni, a parte forse il legittimo successore di re Daeron, il principe Baelor Lancia Spezzata. «Siete venuti per

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partecipare al torneo?» chiese Dunk ansioso.«Non sarebbe corretto da parte nostra combattere contro coloro che abbiamo giurato di

proteggere» dichiarò ser Donnei, rosso di barba e di capelli.«Il principe Valarr ha l'onore di essere uno dei campioni di lady Ashford» spiegò ser Roland

«e due dei suoi cugini intendono sfidarlo. Noi siamo venuti solo per assistere.»Sollevato, Dunk ringraziò i cavalieri bianchi per la loro cortesia e uscì dalla fortezza, prima

che a un altro principe venisse in mente di avvicinarlo. "Tre principini" meditò dirigendo la giumenta verso la città di Ashford. Valarr era il figlio maggiore del principe Baelor, secondo nella linea di successione al Trono di Ferro, ma Dunk ignorava se avesse ereditato la leggendaria abilità del padre nell'uso di lancia e spada. Degli altri principi Targaryen sapeva ancora di meno. "Che cosa farò se mi toccherà giostrare contro un principe? E potrò poi sfidare qualcuno di così alto lignaggio?" Non conosceva la risposta. Il vecchio spesso lo prendeva in giro chiamandolo "Dunk dal cervello fino come le mura di un castello" e adesso cominciava a capire il perché.

Henly parve apprezzare abbastanza l'aspetto di Pièdolce, finché non capì che Dunk aveva intenzione di venderla. A quel punto vide nell'animale solo difetti. Offrì trecento cervi d'argento. Dunk ribatté che ne voleva tremila. Dopo molte contrattazioni e imprecazioni, arrivarono a settecentocinquanta. Era un prezzo più vicino all'offerta di partenza di Henly che alla richiesta iniziale di Dunk, e questo lo faceva sentire un perdente in quella tenzone, ma lo stalliere non sarebbe salito di più, così alla fine non gli rimase altra scelta che accettare. Si accese poi un'altra discussione, quando Dunk dichiarò che nella cifra non era compresa la sella, mentre Henly sosteneva di sì.

Alla fine tutte le questioni vennero risolte. Quando Henly andò a prendere i soldi, Dunk accarezzò il muso della giumenta, dicendole di farsi coraggio. «Se vinco, torno e ti ricompro, promesso.» Non aveva dubbi che per quel giorno tutte le pecche del palafreno sarebbero sparite e che il suo valore sarebbe almeno raddoppiato.

Lo stalliere gli diede tre pezzi d'oro e il resto in argento. Dunk diede un morso a una delle monete d'oro e sorrise. Era la prima volta che sentiva il sapore di quel metallo, e che lo toccava. L'uomo chiamò quelle monete "draghi", ed effettivamente su una faccia era inciso il drago a tre teste di Casa Targaryen, sull'altra il ritratto del re. Su due delle monete che gli aveva dato Henly il ritratto era quello di re Daeron; la terza, più vecchia e consumata, mostrava un altro volto. Il nome era impresso sotto la testa, ma Dunk non sapeva leggere. Vide anche che lungo i bordi l'oro era stato limato. Lo fece notare a Henly, alzando la voce. Lo stalliere brontolò, ma aggiunse qualche altra moneta d'argento e una manciata di monete di rame, per pareggiare i conti. Dunk gli restituì subito qualche moneta di rame, e indicando Pièdolce disse: «Questi sono per lei. Vedi di darle un po' d'avena, questa sera. Aye, e anche una mela».

Con lo scudo appeso al braccio e il sacco con la vecchia armatura in spalla, Dunk si incamminò per le strade assolate di Ashford. Il peso di tutto quel conio nel borsellino gli dava una strana sensazione, un misto di ansia e di ebbrezza. Il vecchio non gli aveva mai affidato più di una moneta o due per volta. Con tutto quel denaro avrebbe potuto vivere un anno. "E poi, quando l'avrò finito? Venderò Tuono?" Se avesse preso quella strada, avrebbe finito per diventare un accattone o un fuorilegge. "No, è un'occasione che non si ripresenterà mai più. Devo rischiare il tutto per tutto."

Quando riattraversò il guado verso la sponda meridionale del Cockleswent, era quasi mezzogiorno e l'arena del torneo si era rianimata. I vinai e i venditori di salsicce stavano facendo affari d'oro, un orso ammaestrato ballava mentre il suo padrone interpretava come un vero cantante L'orso e la bella fanciulla, i giocolieri si esibivano in numeri di destrezza e al teatrino delle marionette stava finendo proprio in quel momento un'altra battaglia.

Dunk si fermò a guardare l'uccisione del drago di legno. Quando il cavaliere gli mozzò la testa e la segatura rossa si riversò sull'erba, scoppiò in una risata e lanciò due monete di rame alla ragazza. «Una per ieri sera» gridò. Lei le afferrò al volo e gli fece il sorriso più dolce che avesse mai visto.

"È a me che sorride o alle monete?" Dunk non era mai stato con una ragazza, e le donne lo rendevano nervoso. Una volta, tre anni prima, quando la saccoccia del vecchio era piena dopo sei mesi di servizio presso il cieco lord Florent, aveva detto a Dunk che era tempo di portarlo in un bordello e fare di lui un uomo. Ma si era ubriacato, e una volta smaltita la sbornia non ricordò più quella promessa. Dunk era troppo imbarazzato per rammentargliela. Non era nemmeno sicuro di volere una puttana. Se non poteva avere una fanciulla di alto lignaggio

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come un vero cavaliere, ne voleva almeno una interessata più a lui che al suo argento.«Bevi un corno di birra?» chiese alla ragazza delle marionette che stava raccogliendo la

segatura tinta di rosso e la rimetteva nel drago. «Con me, intendo dire. O una salsiccia? Ne ho preso una ieri sera, ed era buona. Credo siano di maiale.»

«Ti ringrazio, milord, ma abbiamo un altro spettacolo.» La ragazza si alzò e corse via, verso la grassa e truce Dorniana che azionava la marionetta del cavaliere. Dunk restò lì come uno stupido. Gli piaceva come correva, però. "Una ragazza graziosa, e alta: non dovrei inginocchiarmi per baciarla." Lui sapeva baciare. Un anno prima, a Lannisport, la servetta di una taverna una sera glielo aveva insegnato, ma era così bassa che aveva dovuto sedersi sul tavolo per poter arrivare alle sue labbra. A quel ricordo Dunk sentì le orecchie che gli bruciavano. Ma quanto era sciocco! Doveva pensare a giostrare, non a baciare.

I carpentieri di lord Ashford stavano dipingendo di bianco le palizzate di legno alte fino alla cintola che avrebbero separato i partecipanti al torneo. Dunk si fermò per un po' a guardarli. C'erano cinque corsie con orientamento nord-sud, in modo che nessuno dei contendenti avesse il sole negli occhi. A sinistra della lizza era stata costruita una tribuna a tre piani, con una tettoia arancione per proteggere i lord e le lady dal sole e dalla pioggia. I più si sarebbero seduti su panche, ma al centro del palco erano state predisposte quattro poltrone con lo schienale alto per lord Ashford, la bella pulzella e gli ospiti illustri.

Sempre a sinistra, in fondo al Campo era stata montata una quintana e una decina di cavalieri stava giostrando, facendo ruotare il braccio di legno ogni volta che colpivano lo scudo scheggiato appeso a una delle due estremità. Quando fu il turno di Bruto di Bracken e poi di lord Caron delle Marche, Dunk guardò attentamente. "Io non sto bene in sella come loro" pensò con apprensione.

Più in là, altri si stavano allenando a piedi, attaccandosi con spade di legno, mentre i loro scudieri li attorniavano urlando consigli volgari. Dunk osservò un giovane tarchiato che cercava di atterrare un cavaliere muscoloso, che sembrava agile e veloce come un ghepardo. Avevano tutti e due la mela rossa dei Fossoway sullo scudo, ma il più giovane venne presto malmenato e tartassato. «Qui c'è una mela che non è ancora matura» ironizzò il più anziano, menando colpi sull'elmo dell'avversario. Il tempo di arrendersi, e il giovane Fossoway era contuso e sanguinante, mentre il suo nemico non si fermò neanche per riprendere fiato. Sollevò la visiera, si guardò intorno, vide Dunk e disse: «Ehi, tu. Sì, tu, quello grande e grosso, il cavaliere con il calice alato. È una spada lunga, quella che porti?».

«È mia di diritto» disse Dunk sulla difensiva. «Sono ser Duncan l'Alto.»«E io ser Steffon Fossoway. Mi vuoi sfidare, ser Duncan l'Alto? Sarebbe bello avere qualcuno

di nuovo con cui incrociare le spade. Mio cugino, come hai visto, non è ancora maturo.»«Forza, ser Duncan» gridò il Fossoway battuto, togliendosi l'elmo. «Io non sarò maturo, ma

mio cugino è marcio fino al midollo. Tiragli fuori i semi.»Dunk scosse la testa. Perché quei signorotti volevano coinvolgerlo nella loro disputa? Lui

non voleva immischiarsi. «Grazie, ser, ma ho delle faccende da sbrigare.» Non si sentiva tranquillo con tutto quel conio addosso. Prima pagava Steely Pate e prendeva l'armatura, meglio era.

Ser Steffon gli lanciò un'occhiata sprezzante. «Il cavaliere errante ha da fare.» Si guardò intorno e trovò un altro possibile avversario, che si aggirava da quelle parti. «Ser Grance, benvenuto. Vieni a sfidarmi. Conosco tutti i trucchetti di mio cugino e a quanto pare ser Duncan deve tornare ai suoi vagabondaggi. Vieni tu, forza.»

Dunk si allontanò paonazzo. Non conosceva molti trucchi, né piccoli né grandi, e non voleva che qualcuno lo vedesse combattere prima del torneo. Il vecchio diceva sempre che più conosci il tuo nemico, più è facile vincerlo. I cavalieri come ser Steffon avevano la vista lunga, con un'occhiata coglievano il punto debole di chiunque. Dunk era forte e veloce, il peso e la portata del colpo giocavano a suo favore, ma non credeva che per il momento le sue capacità fossero paragonabili a quelle degli altri. Ser Arlan lo aveva istruito come meglio poteva, ma il vecchio non era mai stato un grande cavaliere neanche da giovane. I grandi cavalieri non trascorrevano la vita errando da un castello all'altro, né morivano sul bordo di una strada fangosa. Dunk si era ripromesso di non fare quella fine. "Dimostrerò loro che posso essere più di un cavaliere errante."

«Ser Duncan.» Il giovane Fossoway aveva corso per raggiungerlo. «Non avrei dovuto incitarti a sfidare mio cugino. Ce l'avevo con lui per la sua arroganza, e tu sei così grande, pensavo... be', ho sbagliato. Non hai l'armatura, avrebbe potuto romperti una mano o fratturare un ginocchio. Gli piace picchiare gli avversari durante gli allenamenti, così saranno

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contusi e vulnerabili qualora li dovesse affrontare nel torneo.»«A te, però, non ha rotto niente.»«No, ma io faccio parte della sua famiglia, anche se lui è il ramo più stagionato del melo,

come non smette mai dì rammentarmi. Io sono Raymun Fossoway.»«Piacere. Tu e tuo cugino partecipate al torneo?»«Lui di sicuro. Quanto a me, lo farei se potessi. Per ora sono solo uno scudiero. Mio cugino

ha promesso di nominarmi cavaliere, ma insiste a dire che non sono ancora maturo.» Raymun aveva la faccia squadrata, il naso rincagnato, capelli corti e lanosi, ma il suo sorriso era simpatico. «Hai l'aspetto di uno sfidante. Quale scudo intendi colpire?»

«Non fa differenza» rispose Dunk. Doveva rispondere così, ma in realtà faceva una differenza abissale. «Non entrerò in lizza prima del terzo giorno.»

«E per allora alcuni campioni saranno caduti, certo» annuì Raymun. «Bene, che il Guerriero ti sorrida, ser.»

«Anche a te.» "Se lui è solo uno scudiero, che diritto ho io di essere un cavaliere? Uno di noi è uno sprovveduto." L'argento nel borsellino di Duncan tintinnava a ogni passo, ma avrebbe potuto perdere tutto in un attimo. Anche le regole di quel torneo giocavano a suo sfavore, rendendo molto improbabile la possibilità di trovarsi davanti un avversario debole o inesperto.

I tornei potevano svolgersi in decine di modi diversi, a seconda del capriccio del lord che li ospitava. Alcuni tornei erano battaglie simulate tra squadre di cavalieri, altri mischie selvagge in cui la gloria andava all'ultimo che restava in piedi. Dove si svolgevano combattimenti individuali, le coppie erano determinate a volte dalla sorte e a volte dal maestro dei giochi.

Lord Ashford aveva organizzato quel torneo per festeggiare il tredicesimo giorno del nome della figlia. La pulzella si sarebbe seduta a fianco del padre, come regina regnante di Amore e Bellezza. Cinque campioni che esibivano il suo favore l'avrebbero difesa. Tutti gli altri dovevano per forza essere sfidanti, ma chiunque fosse riuscito a vincere uno dei campioni poteva prendere il suo posto e presentarsi quindi come campione, finché un altro sfidante Io avesse disarcionato. Al termine dei tre giorni di giostre, i cinque che restavano dovevano stabilire se la bella fanciulla avrebbe conservato la corona di Amore e Bellezza, o se un'altra avrebbe dovuto portarla al posto suo.

Dunk osservò le lizze erbose e le poltrone vuote in tribuna, e valutò le sue possibilità. Una sola vittoria era tutto quello che gli serviva; dopo avrebbe potuto dire di essere uno dei campioni del Campo di Ashford, anche se solo per un'ora. Il vecchio era vissuto quasi sessant'anni, e non era mai stato un campione. "Non è sperare troppo, se gli dèi sono buoni." Ripensò a tutte le canzoni che aveva ascoltato, a quella del cieco Symeon Occhi-di-Stella e del nobile Serwyn dello Scudo a Specchio, del principe Aemon il Cavaliere del Drago, di ser Ryam Redywne e di Florian il Folle. Avevano tutti riportato vittorie contro avversari molto più temibili di quelli che avrebbe affrontato lui. "Loro però erano grandi eroi, uomini coraggiosi di nobile stirpe, a parte Florian. E io chi sono? Dunk di Fondo delle Pulci? O ser Duncan l'Alto?"

Avrebbe conosciuto abbastanza presto la verità. Prese il sacco con l'armatura e si diresse verso le bancarelle, alla ricerca di Steely Pate.

Egg si era dato un bel daffare, all'accampamento. Dunk ne fu contento; una parte di lui aveva temuto che lo scudiero sarebbe scappato. «Ti hanno fatto un buon prezzo per il cavallo?» chiese il ragazzo.

«Come fai a sapere che l'ho venduto?»«Sei partito in sella e torni a piedi, e se te l'avessero rubato saresti più arrabbiato.»«Mi hanno dato abbastanza per questa» rispose Dunk tirando fuori la nuova armatura per

mostrarla al ragazzo. «Se un giorno vuoi diventare cavaliere, devi imparare a riconoscere il buon acciaio da quello scadente. Guarda, questo è un lavoro ben fatto. La cotta è a maglia doppia, ogni anello è legato ad altri due, vedi? Protegge più di quella a maglia singola. E l'elmo. Pate ha arrotondato la parte superiore, vedi come curva? Una spada o un'ascia scivoleranno via, mentre potrebbero sfondare un elmo piatto.» Dunk si calò il grande elmo sulla testa. «Che effetto fa?»

«Non ha la visiera» notò Egg.«Ci sono buchi per l'aria. Le visiere sono punti deboli.» Steely Pate aveva detto così. «Se tu

sapessi quanti cavalieri si sono presi una freccia nell'occhio mentre sollevavano la visiera per una boccata d'aria fresca, non vorresti certo averla» gli disse Dunk.

«Non ha neanche il cimiero» disse il ragazzo. «È tutto liscio.»Dunk si tolse l'elmo. «La semplicità si addice ai miei gusti. Vedi come luccica l'acciaio? Il tuo

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compito sarà fare in modo che resti sempre così. Sai come si fa a pulire una cotta?»«In un barile di sabbia» rispose il ragazzo. «Ma tu non hai barili. Hai per caso comprato

anche un padiglione, ser?»«Il prezzo che ho spuntato non era così buono.» "Il ragazzo è troppo sfrontato, per il suo

bene devo togliergli questo vizio." Ma sapeva che non l'avrebbe fatto. Gli piaceva un po' di sfrontatezza. Sarebbe dovuto diventare più sfacciato anche lui. "Il mio scudiero è più coraggioso di me, e anche più sveglio." «Hai fatto un buon lavoro, Egg» disse Dunk. «Domani verrai con me a dare un'occhiata all'arena del torneo. Compreremo dell'avena per i cavalli e un po' di pane fresco per noi. Magari anche un pezzo di formaggio; a una bancarella ne vendevano di squisiti.»

«Non dovrò entrare nella fortezza, vero?»«Perché no? Un giorno, ho intenzione di vivere in un castello. Spero di conquistarmi un

posto come ospite di riguardo, prima della fine.»Il ragazzo non disse niente. "Forse ha paura di entrare nella sala di un lord" rifletté Dunk.

"In fondo non c'è da meravigliarsi. Col tempo gli passerà." Riprese ad ammirare la sua armatura, chiedendosi per quanto l'avrebbe indossata.

Ser Manfred era un uomo asciutto, dall'espressione scontrosa. Indossava una sopravveste nera con il fulmine viola di Casa Dondarrion, ma Dunk lo avrebbe comunque riconosciuto dalla massa ribelle di capelli rosso oro. «Ser Arlan serviva il lord tuo padre, quando lui e lord Caron hanno bruciato il re Avvoltoio tra le Montagne Rosse, ser» disse stando in ginocchio. «Io allora ero solo un ragazzo, ma gli facevo da scudiero. Si chiamava ser Arlan di Pennytree.»

Ser Manfred aggrottò la fronte. «No, non Io conosco. E neanche te, ragazzo.»Dunk gli mostrò lo scudo del vecchio. «Questo era il suo stemma, il calice alato.»«Il lord mio padre portò sulle montagne ottocento cavalieri e quasi quattromila uomini a

piedi. Non si può pretendere che mi ricordi tutti i loro nomi, o quali scudi portassero. Può darsi che siate stati con noi, ma...» Ser Manfred alzò le spalle.

Dunk rimase per un attimo interdetto. "Il vecchio restò ferito mentre era al soldo di tuo padre, come puoi esserti dimenticato di lui?" «Se un cavaliere o un lord non garantisce per me, non mi permetteranno di partecipare al torneo.»

«La cosa non mi riguarda» concluse ser Manfred. «Ti ho già dedicato abbastanza del mio tempo, ser.»

Se ritornava al castello senza ser Manfred, era perduto. Dunk guardò il fulmine viola ricamato sulla lana nera della sua sopravveste e disse: «Ricordo che tuo padre raccontò a tutto l'accampamento come la vostra Casa ricevette il suo stemma. Una notte di tempesta, mentre il capostipite della vostra stirpe stava portando un messaggio attraverso le Marche dormane, una freccia uccise il cavallo su cui galoppava ed egli cadde a terra. Due Dorniani, in cotta di ferro ed elmi crestati, sbucarono dalle tenebre. La sua spada si era spezzata nella caduta. Quando se ne accorse, pensò di essere spacciato. Ma allorché i due Dorniani si avvicinarono per dargli il colpo di grazia, nel cielo saettò un lampo. Era di un intenso viola fiammeggiante, si divise e fulminò i Dorniani con tutto il loro acciaio uccidendoli entrambi sul posto. Grazie al messaggio, il re della Tempesta conquistò la vittoria sui Dorniani, e come ringraziamento elevò il messaggero al rango di lord. Era il primo lord Dondarrion, così fu lui a scegliere lo stemma per le sue armi: un fulmine a due punte, viola in campo nero punteggiato di stelle.»

Se Dunk pensava che il racconto avrebbe impressionato ser Manfred, si sbagliava di grosso. «Ogni garzone e domestico che ha servito mio padre prima o poi sente questa storia. Il fatto di conoscerla non fa di te un cavaliere. Ora vattene, ser!»

Con il cuore pesante, Dunk tornò al castello di Ashford chiedendosi che cosa poteva dire a Plummer perché gli concedesse il diritto di sfidare i campioni. Lui non era nella torre e una guardia gli disse che lo avrebbe potuto trovare nella Sala Grande. «Lo devo aspettare qui?» chiese Dunk. «Quanto tempo ci metterà?»

«Come vuoi che lo sappia? Fa' come credi.»La Sala Grande non era poi così grande, ma Ashford era un piccolo castello. Dunk entrò da

una porta laterale e scorse subito Plummer. Era con lord Ashford e un'altra decina di uomini in fondo alla sala. Si diresse verso di loro, costeggiando una parete ricoperta da arazzi con frutta e fiori.

«... più preoccupato se fossero i tuoi figli, scommetto» stava dicendo con rabbia un uomo mentre Dunk si avvicinava. I capelli lisci e la barba di taglio squadrato erano così chiari che

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nella semioscurità della sala sembravano bianchi, ma quando fu più vicino vide che in realtà erano argento chiaro, con qualche riflesso dorato.

«Daeron l'ha già fatto altre volte» replicò un altro. Plummer gli impediva di vedere chi aveva parlato. «Non avresti dovuto ordinargli di mettersi in lizza. Il campo di un torneo non è cosa per lui, come del resto nemmeno per Aerys o Rhaegel.»

«Vuoi dire che preferisce cavalcare una puttana invece di un cavallo» replicò il primo uomo. Di costituzione massiccia e possente, il principe - perché sicuramente di lui si trattava - indossava una brigantina di pelle con borchie d'argento sotto una spessa cappa nera bordata di ermellino. Cicatrici della sifilide gli segnavano le guance, solo in parte coperte dalla barba argento. «Non ho bisogno che mi ricordi i difetti di mio figlio, fratello. Ha solo diciotto anni, può cambiare. Deve cambiare, maledizione, o giuro che lo vedrò morto.»

«Non dire assurdità. Daeron è quello che è, ma è comunque sangue del tuo sangue e anche del mio. Sono sicuro che ser Roland lo troverà, e anche Aegon.»

«Magari quando il torneo sarà finito.»«Aerion però è qui. Con la lancia è comunque più bravo di Daeron, se quello che ti

preoccupa è il torneo.» A quel punto Dunk riuscì a vedere l'uomo che stava parlando. Era seduto su un alto scranno, con un rotolo di pergamena in mano. Lord Ashford era in piedi alle sue spalle. Anche da seduto, si vedeva che era di una testa più alto degli altri, a giudicare dalle lunghe gambe stese in avanti. I capelli tagliati corti erano scuri, leggermente brizzolati, la forte mascella ben rasata. Il suo naso sembrava essere stato rotto più volte. Pur vestendo con estrema semplicità, con un farsetto verde, mantello marrone e stivali consumati, la sua persona emanava un senso di importanza, di potere e di sicurezza.

Involontariamente, Dunk era arrivato mentre era in corso una conversazione che non avrebbe mai dovuto sentire. "È meglio se esco e torno più tardi, quando hanno finito" pensò. Ma ormai era troppo tardi. Il principe con la barba argentea notò d'un tratto la sua presenza. «Chi sei, e perché vieni qui a disturbarci?» chiese bruscamente.

«È il cavaliere che il nostro buon Plummer stava aspettando» disse l'uomo seduto, sorridendo a Dunk in un modo che faceva pensare che aveva notato la sua presenza fin dall'inizio. «Gli intrusi qui siamo noi due, fratello. Avvicinati, ser.»

Dunk avanzò incerto, non sapendo bene che cosa aspettarsi. Guardò Plummer, ma non ricevette alcun aiuto. L'uomo dal volto emaciato, che il giorno prima era stato così deciso, adesso se ne stava in silenzio, intento a studiare le pietre del pavimento. «Miei lord» disse «ho chiesto a ser Manfred Dondarrion di garantire per me, in modo da poter entrare in lizza, ma ha rifiutato. Dice che non mi conosce. Ser Arlan, però, lo ha servito, lo giuro. Ho la sua spada e lo scudo...»

«Una spada e uno scudo non fanno un cavaliere» dichiarò lord Ashford, un grosso uomo calvo con la faccia tonda e rubizza. «Plummer mi ha parlato di te. Anche ammettendo che queste armi fossero di quel ser Arlan di Pennytree, è possibile che tu lo abbia trovato morto e gliele abbia rubate. A meno che tu non possieda qualche prova migliore a sostegno di quanto dici, uno scritto o...»

«Io mi ricordo di ser Arlan di Pennytree» disse in tono pacato l'uomo sullo scranno. «Non ha mai vinto un torneo, che io sappia, ma non si è nemmeno mai coperto di infamia. Ad Approdo del Re, sedici anni fa, buttò a terra lord Stokeworth e il Bastardo di Harrenhal nella mischia, e molti anni prima a Lannisport disarcionò anche il Leone Grigio, e allora il Leone non era grigio come adesso.»

«Me lo ha raccontato spesso» esclamò Dunk.L'uomo alto lo studiò. «Allora sono sicuro che ricorderai anche il vero nome del Leone

Grigio.»Per un momento nella testa di Dunk ci fu il buio assoluto. "Il vecchio mi ha raccontato quella

storia mille volte, il leone, il leone, si chiama, si chiama..." Era quasi disperato, quando all'improvviso il nome affiorò. «Ser Damon Lannister!» gridò. «Il Leone Grigio! Adesso è lord di Roccia Orientale.»

«Esatto» concordò compiaciuto l'uomo alto. «Lui domani entra in lizza.» Fece crepitare il rotolo di pergamena che aveva in mano.

«Come puoi ricordare un insignificante cavaliere errante che ha casualmente disarcionato Damon Lannister sedici anni fa?» chiese il principe con la barba argento, aggrottando la fronte.

«Sono solito raccogliere tutte le informazioni possibili sui miei avversari.»«E perché mai ti saresti abbassato a giostrare con un cavaliere errante?»«È successo nove anni fa, a Capo Tempesta. Lord Baratheon indisse un hastiludium per

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festeggiare la nascita di un nipote. Per sorteggio ser Arlan fu il mio avversario nella prima giostra. Rompemmo quattro lance, prima che finalmente lo disarcionassi.»

«Sette» precisò Dunk «e questo avveniva contro il principe di Roccia del Drago!» Non aveva ancora finito che avrebbe voluto rimangiarsi quelle parole. "Dunk dal cervello fino come le mura di un castello" poteva sentire il vecchio brontolare.

«Esatto.» Il principe dal naso rotto sorrise affabilmente. «Le storie crescono a forza di essere raccontate, lo so. Non pensare male del tuo signore, ma le lance furono soltanto quattro, temo.»

Dunk era contento che la sala fosse buia; sentiva le orecchie ardere. «Mio lord.» "No, anche questo è sbagliato." «Vostra grazia.» Cadde in ginocchio e abbassò la testa. «Quattro, sì, come hai detto tu, io non intendevo... non volevo... Il vecchio, ser Arlan, diceva sempre che il mio cervello è fino come le mura di un castello e lento come un uro.»

«E forte come un uro, direi, guardandoti» esclamò Baelor Lancia Spezzata. «Non è successo niente di male, ser. Alzati.»

Dunk si rimise in piedi, chiedendosi se doveva tenere il capo chino o se poteva guardare in faccia un principe. "Sto parlando con Baelor Targaryen, principe di Roccia del Drago, Primo Cavaliere del re, ed erede al Trono di Ferro di Aegon il Conquistatore. Che cosa può dire un cavaliere errante a un uomo del genere?" «Tu gli hai restituito il cavallo e l'armatura, senza riscatto, ricordo» balbettò. «Il vecchio... ser Arlan mi diceva che eri la cavalleria fatta persona, e che un giorno i Sette Regni sarebbero stati al sicuro nelle tue mani.»

«Non prima di molti anni, è il mio augurio» disse il principe Baelor.«No» disse Dunk, inorridito. Stava per dire: "Non intendevo che il re dovrebbe morire" ma si

fermò in tempo. «Chiedo scusa, milord. Vostra grazia, io...»In quel momento ricordò che l'uomo tarchiato con la barba argento si era rivolto al principe

Baelor chiamandolo fratello. "Anche lui è un discendente del drago, stupido che sono." Poteva essere solo il principe Maekar, il più giovane dei quattro figli del re Daeron. Il principe Aerys era più portato per gli studi e il principe Rhaegel era pazzo, malaticcio e remissivo. Loro non avrebbero di certo attraversato mezzo regno per partecipare a un torneo, invece di Maekar si diceva che fosse un temibile guerriero, seppure sempre all'ombra del fratello maggiore.

«Vuoi entrare in lizza, dunque?» chiese il principe Baelor. «La decisione spetta al responsabile dei giochi, ma non vedo alcun motivo per non ammetterti.»

Plummer chinò la testa. «Come tu dici, mio lord.»Dunk cercò di farfugliare un ringraziamento, ma il principe Maekar lo interruppe. «Molto

bene, ser, sei grato. Adesso va' via!»«Devi scusare il mio nobile fratello, ser» aggiunse il principe Baelor. «Due dei suoi figli si

sono persi lungo la strada per Ashford, ed è in pensiero per loro.»«Le piogge primaverili hanno ingrossato molti fiumi» disse Dunk. «Forse i principi sono stati

solo rallentati.»«Non sono venuto qui per discutere con un cavaliere errante» dichiarò il principe Maekar

rivolto al fratello.«Puoi andare, ser» disse il principe Baelor a Dunk, non senza garbo.«Sì, mio lord.» Fece un inchino e si voltò.Ma prima che uscisse dalla sala, il principe lo richiamò. «Ancora una cosa, ser. Tu sei del

sangue di ser Arlan?»«Sì, milord. Cioè, no, non lo sono.»Il principe indicò lo scudo ammaccato che Dunk portava sulla spalla, con dipinto il calice

alato. «Per legge solo un figlio ha il diritto di ereditare le armi di un cavaliere. Devi trovarti un nuovo emblema, ser, uno stemma tuo.»

«Lo farò» rispose Dunk. «Grazie ancora, vostra grazia. Mi batterò valorosamente, vedrai.» "Coraggioso come Baelor Lancia Spezzata" diceva spesso il vecchio.

I banchi dove si vendeva vino e si friggevano salsicce stavano facendo ottimi affari, e le puttane camminavano spudoratamente tra le bancarelle e i padiglioni. Alcune erano piuttosto carine, in particolare una ragazza con i capelli rossi. Mentre gli passava davanti, Dunk non poté fare a meno di guardare i suoi seni, come si muovevano sotto la camicetta slacciata. Pensò all'argento che aveva nel borsellino. "Potrei averla, se volessi, il suono del mio conio le basterebbe. Potrei portarmela nell'accampamento e scoparla per tutta la notte." Non era mai stato a letto con una donna, e per quanto ne sapeva avrebbe potuto morire durante la sua prima giostra. I tornei possono essere pericolosi... ma anche le puttane, il vecchio lo aveva

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messo in guardia! "E se mi derubasse mentre dormo? Che cosa farei allora?" Quando la ragazza con i capelli rossi si voltò a guardarlo da sopra la spalla, Dunk scrollò la testa e tirò dritto.

Trovò Egg allo spettacolo di marionette, seduto per terra a gambe incrociate con il cappuccio sollevato per nascondere la testa pelata. Il ragazzo aveva mostrato paura all'idea di entrare nel castello, e Dunk pensò che quella reazione fosse dovuta in parti uguali alla vergogna e alla timidezza. "Pensa di non essere degno di mescolarsi ai lord e alle lady, per non parlare dei principi." Era stato così anche per lui, quando era piccolo. Il mondo fuori dal Fondo delle Pulci appariva spaventoso e al tempo stesso eccitante. "Egg ha solo bisogno di un po' di tempo." Per il momento, gli sembrò meglio dare al ragazzo qualche moneta di rame e lasciare che si divertisse tra le bancarelle, piuttosto che trascinarlo controvoglia al castello.

Quella mattina al teatrino delle marionette stavano mettendo in scena la storia di Florian e Jonquil. La grassa Dorniana faceva muovere Florian nella sua variopinta armatura, mentre la giovane slanciata reggeva i fili di Jonquil. «Tu non sei un cavaliere» stava dicendo, mentre la bocca del pupazzo andava su e giù. «Io ti conosco, sei Florian il Folle.»

«Sì, mia signora» rispose l'altra marionetta, inginocchiandosi. «Il più folle di tutti i folli, e anche il più cavaliere di tutti i cavalieri.»

«Folle e cavaliere?» disse Jonquil. «È la prima volta che odo una cosa del genere.»«Mia dolce signora» disse Florian «tutti gli uomini sono folli e tutti gli uomini sono cavalieri,

quando si tratta di donne.»Era un bello spettacolo, triste e divertente insieme, con una vivace schermaglia finale e un

grande animale dipinto molto bene. Quando finì, la grassona girò tra la folla per raccogliere le offerte, mentre la ragazza riponeva le marionette.

Dunk passò a prendere Egg, e andarono da lei.«Milord?» esclamò la ragazza, con un'occhiata di traverso e un mezzo sorriso. Era di una

testa più bassa di lui, ma comunque più alta di tutte le fanciulle che aveva incontrato fino ad allora.

«Un bellissima rappresentazione!» esclamò Egg, entusiasta. «Mi piace come fate muovere Jonquil, il drago e gli altri personaggi. L'anno scorso ho visto uno spettacolo di marionette, ma i loro gesti erano goffi. I vostri sono molto più armoniosi.»

«Grazie» gli disse lei in tono gentile.«E le marionette sono fatte molto bene» aggiunse Dunk. «Soprattutto il drago. Un animale

spaventoso. Lo hai costruito tu?»Lei annuì. «Mio zio li intaglia e io li dipingo.»«Potresti dipingere qualcosa per me? Posso pagarti.» Tolse lo scudo dalla spalla e lo girò per

mostrarglielo. «Devo coprire il disegno del calice.»La ragazza guardò prima lo scudo e poi lui. «Che cosa dovrei dipingere?»Dunk non ci aveva pensato. Che cosa mettere al posto del calice alato del vecchio? Aveva la

testa vuota. "Dunk dal cervello fino come le mura di un castello." «Io non... non saprei.» Si accorse che le orecchie gli stavano diventando tutte rosse. «Devi pensare che sono completamente folle.»

Lei sorrise. «Tutti gli uomini sono folli e tutti gli uomini sono cavalieri.»«Che colori hai?» chiese Dunk, sperando che gli venisse qualche idea.«Mescolando le vernici posso fare tutti quelli che vuoi.»Il marrone del vecchio gli era sempre sembrato scialbo. «Lo sfondo deve avere i colori del

tramonto» dichiarò d'un tratto. «Il vecchio amava i tramonti. E lo stemma...»«Un olmo» disse Egg. «Un grande olmo come quello vicino allo stagno, con il tronco

marrone e i rami verdi.»«Sì» fece Dunk. «L'olmo va bene... ma con una stella cadente sopra. Lo potresti fare?»La ragazza annuì. «Dammi lo scudo. Lo dipingerò questa sera stessa, e domani te lo

restituisco.»Dunk glielo consegnò. «Il mio nome è ser Duncan l'Alto.»«Io sono Tanselle» rispose la ragazza ridendo. «Tanselle la Troppo-alta, come mi

chiamavano i ragazzi.»«Tu non sei troppo alta. Sei dell'altezza giusta per...» si lasciò sfuggire Dunk. Rendendosi

conto di quello che stava per dire, si bloccò e arrossì violentemente.«Per che cosa?» chiese Tanselle, raddrizzando la testa incuriosita.«Per le marionette» terminò lui con un filo di voce.

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Il primo giorno del torneo l'alba era limpida e luminosa. Dunk comprò un sacco di cose da mangiare, così prepararono la colazione con uova di oca, pane fritto e pancetta affumicata, ma quando fu tutto pronto si accorse di non avere appetito. Si sentiva lo stomaco duro come una pietra, anche se sapeva che quel giorno non avrebbe giostrato. Il diritto della prima sfida spettava ai cavalieri di più alto lignaggio e famosi, ai lord e ai loro figli, e ai campioni di altri tornei.

Egg chiacchierò tutto il tempo, parlando di questo e di quel personaggio, e dei risultati che avrebbe ottenuto. "Non stava scherzando, quando mi diceva di conoscere tutti i migliori cavalieri dei Sette Regni" pensò Dunk con una punta di amarezza. Trovava umiliante ascoltare con tanto interesse un piccolo orfano sventurato, ma le informazioni di Egg potevano tornargli utili se si fosse trovato davanti uno di quei cavalieri in una giostra.

Il Campo era affollato fino all'inverosimile, una moltitudine di persone che cercava di portarsi avanti sgomitando per poter vedere meglio. Anche Dunk, che pure era più alto della maggior parte di loro, lavorava di gomiti come tutti. Avanzò contorcendosi fino ad arrivare a sei iarde dalla palizzata. Quando Egg si lamentò di riuscire a vedere soltanto culi, Dunk se lo issò sulle spalle. Dall'altra parte del campo, la tribuna era piena di lord e lady illustri, alcuni cittadini benestanti e una moltitudine di cavalieri che quel giorno avevano deciso di non gareggiare. Non vide traccia del principe Maekar, ma riconobbe il principe Baelor seduto vicino a lord Ashford. Il sole faceva scintillare il fermaglio d'oro che fissava la cappa sulla spalla e la sottile corona attorno alle tempie, ma per il resto era vestito molto più sobriamente della maggior parte degli altri lord. "Per la verità, non sembra neanche un Targaryen, con quei capelli scuri." Dunk disse a Egg quello che aveva pensato.

«Si dice che abbia preso dalla madre» spiegò il ragazzo. «Era una principessa dorniana.»I cinque campioni avevano eretto i loro padiglioni all'estremità nord della lizza, con il fiume

alle spalle. I due più piccoli erano arancioni, e gli scudi appesi fuori mostravano un sole bianco con una V rovesciata. Dovevano appartenere ai figli di lord Ashford, Androw e Robert, fratelli della bella pulzella. Dunk non aveva sentito altri cavalieri parlare del loro valore, il che voleva dire che probabilmente sarebbero stati i primi a cadere.

Accanto ai padiglioni arancioni ce n'era uno verde scuro, molto più grande. Sopra garriva la rosa dorata di Alto Giardino, e lo stesso emblema era ripetuto sul grande scudo verde sulla soglia. «Quello è Leo Tyrell, lord di Alto Giardino» disse Egg.

«Lo sapevo» ribatté Dunk, irritato. «Il vecchio e io servivamo ad Alto Giardino prima che tu nascessi.» Lui ricordava ben poco di quegli anni, ma ser Arlan gli aveva parlato spesso di Leo Lungaspina, come a volte veniva chiamato; un impareggiabile giostratore, nonostante l'argento dei suoi capelli. «Quello deve essere lord Leo, vicino alla tenda, quell'uomo magro con la barba grigia, vestito di verde e oro.»

«Sì» confermò Egg. «L'ho visto una volta ad Approdo del Re. È uno che faresti meglio a non sfidare, ser.»

«Ragazzo, non ho bisogno dei tuoi consigli su chi sfidare o no.»Il quarto padiglione era composto da pezzi di stoffa romboidali cuciti assieme, rossi e

bianchi alternati. Dunk non conosceva i colori, ma Egg disse che appartenevano a un cavaliere della Valle di Arryn, ser Humfrey Hardyng. «Ha vinto una grande mischia a Maidenpool l'anno scorso, ser, e ha disarcionato ser Donnei di Duskendale, i lord Arryn e Royce nella lizza.»

L'ultimo padiglione era del principe Valarr. Era di seta nera e sulla sua cima garriva una fila di stendardi scarlatti a punta che sembravano lunghe fiamme rosse. Collocato sul suo sostegno, lo scudo era nero lucido, decorato con il drago a tre teste di Casa Targaryen. Accanto, c'era un cavaliere della guardia reale, la cui splendente armatura bianca si stagliava contro il nero della tenda. Guardandolo, Dunk si chiese se qualcuno degli sfidanti avrebbe osato colpire lo scudo con il drago. Valarr, dopo tutto, era nipote del re e figlio di Baelor Lancia Spezzata.

Non aveva di che preoccuparsi. Quando il suono dei corni convocò gli sfidanti, tutti e cinque i campioni della fanciulla furono chiamati a difenderla. Dunk sentì il mormorio di eccitazione della folla quando sul lato sud della lizza comparvero gli sfidanti, uno alla volta, e gli araldi annunciarono il nome di ciascun cavaliere. Essi si fermarono davanti alla tribuna abbassando le lance per salutare lord Ashford, il principe Baelor e la bella pulzella, poi con un volteggio si diressero verso il lato nord per scegliere gli avversari. Il Leone Grigio di Roccia Orientale colpì lo scudo di lord Tyrell, mentre il suo biondo erede, ser Tybolt Lannister, sfidò il figlio maggiore di lord Ashford. Lord Tully di Delta delle Acque toccò lo scudo con i rombi di ser Humfrey Hardyng, ser Abelar Hightower batté su quello di Valarr, mentre il più giovane Ashford fu scelto

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da ser Lyonel Baratheon, il cavaliere noto come la Tempesta-che-ride.Gli sfidanti tornarono al trotto verso il lato sud della lizza in attesa dei loro avversari: ser

Abelar con i colori argento e fumo, sullo scudo una torre di guardia in pietra, avvolta dalle fiamme; i due Lannister tutti rosso porpora, con il leone dorato di Roccia Orientale; la Tempesta-che-ride con una tunica di tessuto d'oro scintillante, un cervo nero sul petto e sullo scudo, e un palco di corna a raggiera in ferro sull'elmo; lord Tully con una cappa a strisce blu e rosse fissata alle spalle da due fermagli d'argento a forma di trota. Puntarono verso il cielo le lance lunghe dodici piedi, mentre raffiche di vento agitavano gli stendardi facendoli schioccare.

Sul limite nord del campo, gli scudieri tenevano fermi i destrieri vivacemente bardati perché i campioni li montassero. Questi ultimi indossarono gli elmi e impugnarono lancia e scudo. Il loro splendore era pari a quello dei loro avversari: le sete arancioni fluttuanti degli Ashford, i rombi rossi e bianchi di ser Humfrey, lord Leo con il suo cavallo bianco con la gualdrappa di raso verde a rose dorate, e ovviamente Valarr Targaryen. Il cavallo del Giovane Principe era nero come la notte, per armonizzarsi con i colori dell'armatura, della lancia, dello scudo e della gualdrappa. Sopra l'elmo c'era uno scintillante drago a tre teste, con le ali spiegate, smaltato di rosso acceso; uno uguale era dipinto sulla lucida superficie nera dello scudo. Ogni difensore aveva una fascia di seta arancione legata attorno al braccio, in segno del favore accordato dalla bella pulzella.

Non appena i campioni presero posizione, nel Campo di Ashford ci fu una calma quasi assoluta. Poi risuonò un corno e in un secondo l'immobilità si trasformò in tumulto. Dieci paia di speroni dorati entrarono nei fianchi di dieci grandi cavalli da guerra, mille voci iniziarono a strillare e gridare, quaranta zoccoli ferrati calpestarono e strapparono l'erba, dieci lance si abbassarono, il terreno sembrò quasi tremare, e campioni e sfidanti si unirono in un cozzare lacerante di legno e acciaio. Un istante, e i cavalieri erano già separati, e si giravano per un altro passaggio. Lord Tully vacillò ma riuscì a rimanere in sella. Quando la folla si rese conto che tutte e dieci le lance erano spezzate, ci fu un boato di approvazione. Era un ottimo auspicio per il successo del torneo e una dimostrazione dell'abilità dei concorrenti.

Gli scudieri porsero nuove lance ai duellanti in sostituzione di quelle rotte, e ancora una volta gli speroni affondarono nei fianchi dei destrieri. Dunk sentì la terra tremare sotto le piante dei piedi. Sulle sue spalle, Egg gridava felice e agitava le braccia magre. Il Giovane Principe passò vicinissimo a loro. Dunk vide la punta della sua lancia nera toccare la torre di guardia sullo scudo dell'avversario e scivolare di lato verso il petto, proprio mentre la lancia di ser Abelar si spezzava contro la corazza di Valarr. Lo stallone grigio con la bardatura argento e fumo si impennò per la forza dell'impatto, e ser Abelar Hightower perse le staffe e piombò a terra.

Anche lord Tully fu disarcionato da ser Humfrey Hardyng, ma si rimise subito in piedi ed estrasse la spada lunga; allora ser Humfrey scagliò via la lancia, integra, e smontò per proseguire il combattimento. Per ser Abelar non andò così. Il suo scudiero accorse, gli tolse l'elmo e chiamò aiuto; due servitori sollevarono per le braccia il cavaliere intontito, trasportandolo nel suo padiglione. In un'altra parte del campo i sei cavalieri che erano rimasti in sella si stavano scontrando per la terza volta. Altre lance si spezzarono, e questa volta lord Leo Tyrell mirò con tale consumata perizia che strappò via di netto l'elmo dalla testa del Leone Grigio. Trovandosi con il viso scoperto, il lord di Roccia Orientale alzò una mano in segno di saluto e smontò, abbandonando la competizione. Nel frattempo ser Humfrey aveva costretto lord Tully alla resa, mostrando con la spada la stessa abilità che con la lancia.

Tybolt Lannister e Androw Ashford galopparono l'uno contro l'altro per altre tre volte, prima che ser Androw finisse per perdere contemporaneamente lo scudo, la sella e l'incontro. L'altro Ashford resistette ancora più a lungo, spezzando non meno di nove lance contro ser Lyonel Baratheon, la Tempesta-che-ride. Campione e sfidante caddero entrambi al decimo passaggio, ma solo per rialzarsi e continuare a combattere, spada contro mazza. Alla fine ser Robert Ashford ammise la sconfitta, ma in tribuna il padre non sembrò affatto demoralizzato. Certo, entrambi i figli erano stati esclusi dai ranghi dei campioni, ma si erano comportati nobilmente contro due dei migliori cavalieri dei Sette Regni.

"Io, però, devo fare ancora meglio" pensò Dunk guardando vincitore e vinto abbracciarsi e uscire insieme dal campo. "A me non basta battermi bene e perdere. Devo vincere almeno la prima sfida, altrimenti perdo tutto."

Ser Tybolt Lannister e la Tempesta-che-ride adesso si sarebbero schierati tra i campioni, al posto di quelli che avevano sconfitto. Stavano già cominciando a smontare i padiglioni arancioni. Poco distante, il Giovane Principe stava comodamente seduto su una sedia da campo

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rialzata, davanti alla sua grande tenda nera. Era senza elmo. I suoi capelli erano neri come quelli del padre, ma con una striatura chiara. Un servitore gli portò una coppa d'argento e lui bevve un sorso. "Acqua, se è saggio" pensò Dunk "non vino." Si domandò se Valarr avesse davvero ereditato parte del valore del padre, o se gli era solo capitato l'avversario più debole.

Una fanfara di trombe annunciò che tre nuovi sfidanti erano entrati in lizza. Gli araldi declamarono i loro nomi. «Ser Pearse di Casa Caron, lord delle Marche.» Il cavaliere aveva un'arpa d'argento dipinta sullo scudo, anche se la sua sopravveste era decorata di usignoli. «Ser Joseth di Casa Mallister, da Seagard.» Ser Joseth sfoggiava un elmo alato; sullo scudo un'aquila argentea solcava un cielo indaco. «Ser Gawen di Casa Swann, lord di Elmo di Pietra a Capo Furore.» Due cigni, uno nero e uno bianco, lottavano furiosamente sulle sue braccia. L'armatura di lord Gawen, la sua cappa e la gualdrappa del cavallo erano tutto un alternarsi di bianco e nero, comprese le frange del fodero e della lancia.

Lord Caron, suonatore d'arpa, cantore e rinomato cavaliere, toccò con la punta della lancia la rosa di lord Tyrell. Ser Joseth picchiò sui rombi di ser Humfrey Hardyng. E il cavaliere bianco e nero, lord Gawen Swann, sfidò il principe nero con la sua guardia bianca. Dunk si grattò il mento. Lord Gawen era ancora più anziano del vecchio, e lui era già morto. «Egg, chi è il meno pericoloso tra questi sfidanti?» chiese al ragazzo sulle sue spalle che sembrava conoscere così bene tutti quei cavalieri.

«Lord Gawen» rispose subito il ragazzo. «L'avversario di Valarr.»«Del principe Valarr» lo corresse Dunk. «Uno scudiero deve sempre avere un linguaggio

rispettoso, ragazzo.»I tre sfidanti presero posizione mentre i tre campioni montavano in sella. La gente intorno a

loro faceva scommesse e incitava a gran voce quelli su cui aveva puntato, ma Dunk aveva occhi soltanto per il principe. Al primo passaggio, colpì di striscio lo scudo di lord Gawen, la punta smussata della sua lancia scivolò di lato come era successo con ser Abelar Hightower, solo che questa volta curvò nell'altra direzione, verso il vuoto. La lancia di Lord Gawen si spezzò di netto contro il petto del principe e Valarr sembrò per un attimo sul punto di cadere, prima di recuperare l'assetto.

La seconda volta che percorsero la lizza, Valarr tenne la lancia a sinistra, puntando al petto dell'avversario, invece lo colpì alla spalla. L'impatto fu comunque sufficiente a far perdere la lancia al vecchio cavaliere. Lord Gawen alzò il braccio per riprendere l'equilibrio, ma non ci riuscì e cadde. Il Giovane Principe smontò ed estrasse la spada, ma lord Gawen fece cenno di no con la mano e alzò la visiera. «Mi arrendo, vostra grazia» disse. «Bel combattimento.» I lord in tribuna gli fecero eco, gridando: «Bel combattimento, bravi!» mentre Valarr si inginocchiava per aiutare il lord dai capelli grigi a rimettersi in piedi.

«Non lo è stato, da parte di nessuno dei due» si lagnò Egg.«Zitto, altrimenti ti faccio tornare all'accampamento.»Un po' più in là, ser Joseth Mallister veniva portato fuori dal campo privo di conoscenza,

mentre il lord con l'arpa e quello con la rosa duellavano furiosamente con le asce lunghe, per la delizia del pubblico vociante. Dunk era così concentrato su Valarr Targaryen che li notò appena. "È un buon cavaliere, ma nulla di più" si ritrovò a pensare. "Con lui avrei qualche possibilità. Se gli dèi mi fossero favorevoli, potrei anche disarcionarlo, e una volta a terra il mio peso e la mia forza farebbero la differenza."

«Prendilo!» gridò Egg divertito, dimenandosi sulla schiena di Dunk per l'eccitazione. «Forza, colpiscilo! Sì, così, così!» Sembrava che stesse incoraggiando lord Caron. L'arpista adesso stava facendo ben altro genere di musica, incalzando lord Leo e costringendolo a indietreggiare, mentre l'acciaio risuonava contro l'acciaio. La folla era quasi equamente divisa tra loro, così grida di incoraggiamento e imprecazioni si mescolavano nell'aria del mattino. Schegge di legno e frammenti di vernice si staccavano dallo scudo di lord Leo, mentre l'ascia di lord Pearse colpiva i petali della rosa dorata, uno per uno, finché lo scudo cedette e si spaccò. Ma nel vibrare l'ultimo colpo la lama restò per un attimo incastrata nel legno... e l'ascia di lord Leo si abbatté sul manico dell'arma dell'avversario, tranciandolo a non più di un piede dalla sua mano. Gettato via lo scudo spezzato, lord Leo si lanciò subito all'attacco. Nel giro di poco, il cavaliere arpista era in ginocchio, a intonare la resa.

Per il resto della mattinata e parte del pomeriggio si andò avanti più o meno allo stesso modo, con gli sfidanti che scendevano in campo in due o tre, a volte anche in cinque insieme. Suonavano le trombe, gli araldi annunciavano i loro nomi, i cavalli da guerra caricavano, il pubblico incoraggiava, le lance si spezzavano come ramoscelli e le spade sbattevano contro gli elmi e le cotte. Fu, sia per il popolino che per i lord, una splendida giornata di giostre. Ser

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Humfrey Hardyng e ser Humfrey Beesbury, un giovane cavaliere spavaldo a strisce gialle e nere, con tre alveari sullo scudo, spezzarono non meno di dodici lance a testa in uno scontro epico che ben presto la gente chiamò "la battaglia degli Humfrey". Ser Tybolt Lannister venne disarcionato da ser Jon Penrose e cadendo ruppe la spada, ma andò avanti a lottare solo con lo scudo vincendo l'incontro, e restò campione. Ser Robyn Rhysling, cieco da un occhio, un vecchio cavaliere brizzolato con la barba sale e pepe, al primo scontro perse l'elmo per un colpo di lancia di lord Leo, ma rifiutò di arrendersi. Ancora tre volte galopparono l'uno contro l'altro, con il vento che frustava i capelli di ser Robyn mentre i frammenti delle lance spezzate volavano attorno alla sua faccia nuda come coltelli di legno, fatto che Dunk considerò ancora più mirabolante quando Egg gli rivelò che ser Robyn aveva perso l'occhio proprio a causa di una scheggia di lancia neanche cinque anni prima. Leo Tyrell era troppo cavalleresco per puntare ancora alla testa indifesa di ser Robyn, ma anche così l'ostinato coraggio di Rhysling (o era follia?) lasciò Dunk sbalordito. Alla fine, il lord di Alto Giardino colpì con forza la corazza di ser Robyn all'altezza del cuore, facendolo ruzzolare a terra.

Anche ser Lyonel Baratheon combatté vari incontri ammirevoli. Contro gli avversari a lui inferiori, spesso scoppiava in una fragorosa risata quando essi colpivano il suo scudo e continuava a ridere mentre montava in sella, caricava e li sbalzava dalle staffe. Se gli sfidanti portavano una sorta di cimiero sull'elmo, ser Lyonel lo tranciava via e lo lanciava alla folla. I cimieri erano elementi ornamentali, fatti di legno intagliato o cuoio modellato, talvolta dorati o smaltati, o addirittura fusi in argento, per cui gli uomini che lui sconfiggeva non apprezzarono questa abitudine che però ne fece un beniamino della folla. Ben presto fu sfidato solo da cavalieri senza cimiero. Anche se ser Lyonel abbatteva spesso e rumorosamente i suoi sfidanti ridendo, Dunk pensava che gli onori della giornata sarebbero dovuti andare a ser Humfrey Hardyng, che sconfisse quattordici cavalieri, tutti formidabili.

Nel frattempo il Giovane Principe, seduto davanti al padiglione nero, beveva dalla sua coppa d'argento e ogni tanto montava in sella per vincere un altro avversario mediocre. Aveva collezionato nove vittorie, ma a Dunk pareva che fossero tutte insignificanti. "Batte uomini anziani e scudieri appena diventati cavalieri, e qualche lord di nobile lignaggio e scarsa abilità. Gli uomini veramente pericolosi passano oltre il suo scudo come se non lo vedessero."

Più tardi, una fanfara di ottoni annunciò l'ingresso di un altro sfidante. Montava un superbo cavallo sauro con una gualdrappa nera a frange tra le quali si intravedevano lampi gialli, cremisi e arancioni. Mentre si avvicinava alla tribuna per fare il suo saluto, Dunk vide il viso sotto la visiera sollevata, e riconobbe il principe che aveva incontrato nelle stalle di lord Ashford.

Le gambe di Egg gli strinsero il collo. «Smettila!» esclamò Dunk bruscamente, aprendole con uno strattone. «Vuoi farmi soffocare?»

«Principe Aerion Chiarafiamma» annunciò l'araldo «della Fortezza Rossa di Approdo del Re, figlio di Maekar principe di Summerhall di Casa Targaryen, nipote di Daeron il Buono, secondo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, e lord dei Sette Regni.»

Aerion aveva sullo scudo un drago a tre teste, ma i colori erano molto più vividi di quelli di Valarr: una testa era arancione, l'altra gialla e la terza rossa, e le fiamme sprigionate dalle loro fauci avevano la lucentezza della foglia d'oro. La sopravveste era un vorticare di fumo e fuoco intrecciati, e sull'elmo annerito svettava un cimiero di rosse fiamme a smalto.

Dopo una sosta per abbassare la lancia davanti al principe Baelor, così breve da risultare quasi meccanica, galoppò verso il confine nord del campo, oltre il padiglione di lord Leo e della Tempesta-che-ride, rallentando solo in prossimità della tenda del principe Valarr. Il Giovane Principe si alzò e si mise rigido di fianco al suo scudo, e per un attimo Dunk fu sicuro che Aerion intendesse colpirlo... ma quello rise e proseguì, e batté con forza la punta della lancia contro i rombi di ser Humfrey Hardyng.

«Vieni fuori, piccolo cavaliere, esci di lì» gridò con voce stentorea. «È ora che affronti il drago.»

Ser Humfrey chinò rigidamente la testa al suo avversario mentre gli veniva portato il destriero, poi ignorandolo montò in sella, si allacciò l'elmo e prese lancia e scudo. Gli spettatori si acquietarono, quando i due cavalieri presero i loro posti. Dunk udì lo scatto della visiera del principe Aerion che si abbassava. Il corno suonò.

Ser Humfrey partì lentamente, acquistando via via velocità, invece il suo avversario lanciò il rosso destriero spronandolo con entrambi gli speroni. Le gambe di Egg si strinsero ancora di più. «Uccidilo!» gridò d'un tratto. «Uccidilo, è lì davanti, forza, uccidilo!» Dunk non capiva bene a quale dei due cavalieri si rivolgesse.

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La lancia del principe Aerion, a strisce rosse, arancioni e gialle e con la punta d'oro, oscillò dall'altra parte della barriera. "È troppo bassa" pensò Dunk quando la vide. "Mancherà il bersaglio e colpirà il cavallo di ser Humfrey, la deve tirare più su." Poi, con orrore crescente, cominciò a sospettare che Aerion avesse proprio quell'intenzione. "Non è possibile che..."

All'ultimo istante, lo stallone di ser Humfrey scartò di lato, con gli occhi sbarrati dal terrore, ma era troppo tardi. La lancia di Aerion trafisse l'animale appena sopra il pettorale che proteggeva lo sterno, e sbucò sul retro del collo con uno schizzo di sangue scintillante. Con un nitrito il cavallo crollò su un fianco, abbattendo la barriera di legno. Ser Humfrey cercò di balzare giù dalla sella, ma un piede gli restò impigliato nella staffa e si udì un urlo quando la sua gamba restò schiacciata tra lo steccato sfondato e il cavallo che cadeva.

Da tutto il Campo di Ashford si levarono grida. Alcuni uomini accorsero per liberare ser Humfrey, ma lo stallone, in agonia, quando si avvicinavano scalciava. Aerion, dopo essere passato con indifferenza attorno alla carneficina, arrivò alla fine della lizza, voltò il cavallo e tornò indietro al galoppo. Anche lui gridava, ma Dunk non riusciva a distinguere le parole sopra i lamenti quasi umani del cavallo morente. Smontato dalla sella, Aerion sguainò la spada e avanzò verso il nemico caduto. I suoi scudieri e uno di quelli di ser Humfrey lo dovettero allontanare a forza. Egg si dimenò sulle spalle di Dunk. «Fammi scendere» disse. «Povero cavallo, mettimi giù.»

Anche Dunk stava male. "Che cosa faccio, se una cosa del genere capita a Tuono?" Un armigero con un'ascia doppia finì lo stallone di ser Humfrey, facendo cessare gli orribili lamenti. Dunk si girò e si aprì un varco tra la calca. Una volta usciti dalla ressa, fece scendere Egg. Il ragazzo era senza cappuccio e aveva gli occhi rossi. «Uno spettacolo orribile, aye» gli disse Dunk «ma uno scudiero deve essere forte. Vedrai incidenti anche peggiori in altri tornei, temo.»

«Non è stato un incidente» ribatté Egg, con le labbra tremanti. «Aerion lo ha fatto apposta. Lo hai visto.»

Dunk si accigliò. Era sembrato anche a lui, ma era difficile accettare che un cavaliere potesse comportarsi in modo così poco cavalleresco, soprattutto uno della stirpe del drago. «Io ho visto un cavaliere verde come l'erba d'estate che ha perso il controllo della sua lancia» insistette caparbio «e non voglio sentire altro. Penso che per oggi le giostre siano finite. Andiamo.»

Dunk aveva ragione, per quel giorno non ci sarebbero state altre competizioni. Mentre sul Campo ritornava la quiete dopo il tumulto, il sole era calato a occidente e lord Ashford aveva proclamato la sospensione dei giochi. Non appena scesero le ombre della sera, cento torce vennero accese lungo la fila di bancarelle. Dunk comprò un corno di birra per sé e mezzo corno per il ragazzo, per rasserenarlo. Passeggiarono un po' ascoltando un'allegra melodia di flauti e tamburi, poi si fermarono a guardare uno spettacolo di marionette con protagonista Nymeria, la regina guerriera con le sue diecimila navi. Le marionettiste ne avevano soltanto due, ma riuscirono lo stesso a evocare un'entusiasmante battaglia navale. Dunk avrebbe voluto chiedere alla giovane Tanselle se aveva finito il suo scudo, ma vide che era molto indaffarata. "Aspetterò che finisca di lavorare" decise. "Magari allora avrà anche sete."

«Ser Duncan» lo chiamò una voce da dietro. E poi, ancora: «Ser Duncan». Improvvisamente Dunk si ricordò che era lui. «Oggi ti ho visto in mezzo alla folla, con questo ragazzo sulle spalle» disse Raymun Fossoway mentre si avvicinava sorridendo. «Per la verità, era difficile non notarvi.»

«Lui è il mio scudiero. Egg, questo è Raymun Fossoway.» Dunk dovette spingere avanti il ragazzo, che però stette lì a testa bassa fissando gli stivali di Raymun mentre mormorava un saluto.

«Piacere, ragazzo» disse Raymun con disinvoltura. «Ser Duncan, perché non vieni ad assistere dalla galleria in tribuna? Tutti i guerrieri sono i benvenuti.»

Dunk si trovava bene in mezzo alla gente comune e alla servitù; l'idea di rivendicare un posto tra lord, lady e cavalieri con possedimenti terrieri, lo metteva a disagio. «Non avrei potuto desiderare vista migliore per l'ultima giostra.»

Raymun fece una smorfia. «Neanch'io. Lord Ashford ha dichiarato ser Humfrey vincitore, premiandolo con il destriero del principe Aerion, ma non potrà più giostrare. Ha la gamba fratturata in due punti. Il principe Baelor ha mandato il suo medico personale a curarlo.»

«Un altro campione prenderà il posto di ser Humfrey?»«Lord Ashford intendeva nominare lord Caron, o magari l'altro ser Humfrey, quello che ha

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fatto lo splendido combattimento con Hardyng, ma il principe Baelor gli ha detto che, date le circostanze, non riteneva opportuno far levare lo scudo e il padiglione di ser Humfrey. Credo che continueranno con quattro campioni invece di cinque.»

"Quattro campioni" pensò Dunk. "Leo Tyrell, Lyonel Baratheon, Tybolt Lannister e il principe Valarr." Aveva visto abbastanza quel primo giorno per rendersi conto di avere scarse possibilità con i primi tre. Restava solo...

"Un cavaliere errante non può sfidare un principe. Valarr è secondo nella linea di successione al Trono di Ferro. È figlio di Baelor Lancia Spezzata, e nelle sue vene scorre il sangue di Aegon il Conquistatore, del Giovane Drago e del principe Aemon il Cavaliere Drago, e io sono solo un ragazzo che il vecchio ha trovato dietro la bottega di un vasaio nel Fondo delle Pulci."

Gli veniva male alla testa solo a pensarci. «Tuo cugino, chi intende sfidare?» chiese a Raymun.

«Ser Tybolt, anche se cambia poco. Sono tutti ugualmente forti. Mio cugino, però, osserva tutte le giostre con attenzione. Se qualcuno domani dovesse restare ferito, o mostrare segni di stanchezza o di debolezza, Steffon andrà subito a picchiare contro il suo scudo, ci puoi contare. Nessuno ha mai potuto accusarlo di un eccesso di cavalleria.» Rise, come per togliere l'amarezza dalle sue parole. «Ser Duncan, vuoi venire a bere una coppa di vino con me?»

«Ho una faccenda da sbrigare» rispose Dunk, a disagio all'idea di accettare un invito che non avrebbe potuto ricambiare.

«Posso stare qui io e ritirare il tuo scudo quando lo spettacolo di marionette sarà finito» disse Egg. «Più tardi mettono in scena Symeon Occhi-di-Stella, e rifanno anche il combattimento con il drago.»

«Ecco, vedi, il problema è risolto e il vino ci sta aspettando» disse Raymun. «Tra l'altro è una vendemmia di Arbor. Come puoi dire di no?»

A corto di scuse, Dunk fu costretto a seguirlo, lasciando Egg alle marionette. La mela di Casa Fossoway fluttuava sopra il padiglione dorato dove Raymun serviva il cugino come scudiero. Sul retro, due servi stavano spalmando un capretto con miele ed erbe aromatiche sopra un fuoco da campo. «C'è anche da mangiare, se hai fame» disse Raymun con noncuranza, tenendo sollevata una falda del padiglione per far passare Dunk. All'interno, del carbone ardeva in un braciere, scaldando piacevolmente l'aria. Raymun riempì due coppe di vino. «Dicono che Aerion sia in collera con lord Ashford per avere dato il suo cavallo a ser Humfrey come risarcimento» commentò mentre versava il vino «ma scommetto che è stata un'idea di suo zio.» Porse una coppa a Dunk.

«Il principe Baelor è un uomo d'onore.»«Come il Principe Chiarafiamma, no?» rise Raymun. «Non avere quell'aria così angosciata,

ser Duncan, siamo soli, qui. Non è un segreto che Aerion è un brutto soggetto. Grazie agli dèi, è abbastanza in basso nella linea di successione.»

«Credi che avesse davvero intenzione di uccidere il cavallo?»«Ci sono forse dubbi? Se il principe Maekar fosse stato qui, le cose sarebbero andate

diversamente, te lo assicuro. Gira la voce che Aerion sia tutto sorrisi e cavalleria finché è presente il padre, ma se lui non c'è...»

«Ho visto che la poltrona del principe Maekar era vuota.»«Ha lasciato Ashford per andare a cercare i suoi figli, insieme a Roland Crakehall della

guardia reale. Stando alle voci che circolano, ci sarebbero dei predoni, ma è ridicolo, scommetto che il principe ha solo preso l'ennesima sbornia.»

Il vino era buono e fruttato, il migliore che avesse mai assaggiato. Lo tenne un po' in bocca, quindi deglutì e chiese: «Di quale principe stai parlando?».

«Dell'erede di Maekar. Si chiama Daeron, come il re. È detto anche Daeron il Beone, ma solo quando il padre non è a portata d'orecchio. Con lui c'era anche il fratello minore. Sono partiti da Summerhall insieme, ma non sono mai arrivati ad Ashford.» Raymun terminò la sua coppa e la mise da parte. «Povero Maekar.»

«Povero?» esclamò Dunk stupito. «Il figlio del re?»«Il quarto figlio del re» precisò Raymun. «Senza il valore del principe Baelor, l'intelligenza

del principe Aerys, la mitezza del principe Rhaegel. E adesso deve anche vedere i suoi figli oscurati da quelli del fratello. Daeron è un beone, Aerion è presuntuoso e crudele, il terzo era così poco promettente che è stato lasciato alla Cittadella perché diventi un maestro e il più giovane...»

«Ser! Ser Duncan!» Egg entrò ansimando. Gli era caduto indietro il cappuccio, e nei suoi

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grandi occhi scuri guizzavano i brillanti riflessi della luce del braciere. «Vieni, presto. Le sta facendo male!»

Dunk si alzò in piedi frastornato. «Che cosa? Chi?»«Aerion!» gridò il ragazzo. «Sta facendo del male alla ragazza delle marionette. Presto.» E

voltatosi ripartì nella notte.Dunk fece per seguirlo, ma Raymun lo afferrò per un braccio. «Ser Duncan. Ha detto Aerion,

un principe di sangue. Sii prudente.»Era un buon consiglio, lo sapeva, il vecchio avrebbe detto lo stesso, ma non poteva dargli

ascolto. Si liberò dalla presa, con una spalla scostò la tenda e uscì. Udì delle grida provenire dalla zona delle bancarelle. Egg era ormai fuori vista. Dunk gli corse dietro. Le sue gambe erano più lunghe di quelle del ragazzo e in breve accorciò la distanza.

Attorno al teatrino delle marionette si era formata una muraglia di curiosi. Dunk si aprì un varco, ignorando le loro imprecazioni. Un armigero con l'uniforme reale si fece avanti per fermarlo. Dunk gli diede uno spintone, mandandolo a gambe all'aria.

Il teatrino era stato rovesciato. La grassa Dorniana era a terra, in lacrime. Un armigero faceva dondolare le marionette di Florian e Jonquil reggendole per i fili mentre un altro dava loro fuoco con una torcia. Intanto altri tre uomini aprivano le ceste, tiravano fuori il resto delle marionette e le calpestavano. Intorno a loro erano disseminati pezzi del drago di legno, un'ala rotta qui, la testa là, la coda in tre pezzi. E in mezzo a tutta quella bolgia c'era il principe Aerion, superbo nel suo farsetto di velluto rosso a maniche lunghe con le frange, che torceva il braccio di Tanselle con entrambe le mani. Lei era in ginocchio, che lo supplicava. Aerion la ignorava. Aprì a forza la mano della ragazza e le afferrò un dito. Dunk se ne stava lì come uno stupido, incapace di credere ai suoi occhi. Poi udì un crac e Tanselle strillò.

Uno degli uomini di Aerion cercò di afferrarlo, ma le sue mani strinsero l'aria. Tre lunghi passi, poi Dunk afferrò il principe per una spalla e con uno strattone lo fece girare. Dimenticò la spada e il pugnale, insieme a tutto quello che il vecchio gli aveva insegnato. Il primo pugno mandò Aerion a terra, poi la punta del suo stivale colpì il principe all'addome. Quando Aerion estrasse il pugnale, Dunk gli mise un piede sopra il polso, dopo di che gli sferrò un altro calcio, dritto in bocca. Sarebbe potuto andare avanti fino a ucciderlo, ma fu circondato dagli uomini del principe. Due lo tenevano per le braccia, mentre un terzo lo attaccava da dietro. Appena riusciva a liberarsi di uno, aveva addosso gli altri due.

Alla fine lo sbatterono a terra, immobilizzandogli braccia e gambe. Nel frattempo Aerion si era rialzato. Aveva la bocca piena di sangue. Si tastò le gengive. «Mi hai fatto cadere un dente» si lamentò. «Tanto per cominciare romperemo tutti i tuoi.» Gli tolse i capelli dagli occhi. «La tua faccia non mi è nuova.»

«Mi avevi preso per uno stalliere.»Aerion sorrise. «Sì, ricordo. Ti sei rifiutato di prendere il mio cavallo. Perché hai gettato via

la tua vita così? Per questa puttanella?» La ragazza era raggomitolata a terra, tenendosi la mano ferita. Lui le assestò un calcio con la punta dello stivale. «Non ne valeva la pena. È una traditrice: il drago non dovrebbe perdere mai.»

"È pazzo" pensò Dunk "ma pur sempre figlio di un principe e ha intenzione di uccidermi." A quel punto avrebbe recitato una preghiera se ne avesse saputo una per intero, ma non c'era tempo. C'era tempo solo per avere paura.

«Non hai altro da dire?» chiese Aerion. «Mi annoi, ser.» Si frugò ancora nella bocca insanguinata. «Prendi un martello e spezzagli tutti i denti, Wate» ordinò. «Poi squartalo e fagli vedere il colore dei suoi visceri.»

«No!» gridò il ragazzo. «Non fategli del male!»"Dèi misericordiosi! Il ragazzo, quel pazzo incosciente" pensò Dunk. Lottò contro le braccia

che lo bloccavano, ma non ci fu niente da fare. «Chiudi la bocca, stupido ragazzino. Corri via, o faranno del male anche a te!»

«Non lo faranno» disse Egg avvicinandosi. «Altrimenti ne dovranno rispondere a mio padre, e anche a mio zio. Lasciatelo andare, ho detto. Wate, Yorkel, voi sapete chi sono. Ubbidite.»

Dunk sentì le mani lasciare la presa, prima sul braccio sinistro, poi sul resto del corpo. Non capiva che cosa stesse succedendo. Gli armigeri erano indietreggiati, uno si era addirittura inginocchiato. In quel momento la folla si aprì lasciando passare Raymun Fossoway. Indossava la cotta e l'elmo, e teneva la mano sull'elsa della spada. Il cugino, ser Steffon, subito dietro di lui, aveva già snudato la lama; con loro c'era una mezza dozzina di uomini d'arme con il simbolo della mela rossa ricamata sul petto.

Il principe Aerion non li degnò di uno sguardo. «Piccolo impudente!» disse rivolto a Egg,

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sputando un grumo di sangue ai piedi del ragazzo. «Che cosa hai fatto ai capelli?»«Li ho tagliati, fratello» rispose Egg. «Non volevo assomigliarti.»

Il secondo giorno di torneo il cielo era coperto, con raffiche di vento che soffiavano da ovest. "Con un tempo così dovrebbe esserci meno gente" pensò Dunk. "Sarebbe stato più facile arrivare sotto la palizzata per veder giostrare da vicino. Egg avrebbe potuto sedersi sulla sponda e io sarei rimasto in piedi dietro di lui."

Invece Egg, vestito di sete e pellicce, aveva una poltrona nel palco centrale, mentre la visuale di Dunk si sarebbe limitata alle quattro pareti della cella nella torre in cui lord Ashford lo aveva fatto rinchiudere. Il locale aveva una piccola finestra, però rivolta nella direzione sbagliata. Appena sorse il sole Dunk si incuneò nello stretto sedile sotto la finestrella, a guardare con occhi malinconici la città, i campi e i boschi. Gli avevano tolto la cintura di corda, oltre alla spada e al pugnale, e anche l'argento. Sperava che Egg o Raymun si ricordassero di Castagna e di Tuono.

«Egg» mormorò tra sé e sé. Il suo scudiero, un povero ragazzo raccattato nelle strade di Approdo del Re. Era mai stato ingannato così un cavaliere? "Dunk dal cervello fino come le mura di un castello e lento come un uro."

Non gli era stato permesso di parlare con Egg da quando i soldati di lord Ashford avevano arrestato tutti al teatrino delle marionette. E nemmeno con Raymun, Tanselle, con nessuno, neanche con lord Ashford. Si chiedeva se li avrebbe mai più rivisti. Per quel che ne sapeva, avrebbero potuto tenerlo in quella piccola cella per sempre. "In che altro modo poteva andare a finire?" si chiese con amarezza. "Ho steso il figlio di un principe e gli ho dato un calcio in faccia."

Sotto quel cielo plumbeo, i fluenti abiti di gala dei lord di alto lignaggio e dei grandi campioni non sarebbero stati scintillanti come il giorno precedente. Il sole, nascosto dietro le nubi, non avrebbe fatto brillare gli elmi d'acciaio, né risplendere e lampeggiare le loro creste decorate d'oro e d'argento, e tuttavia Dunk desiderava essere tra la folla che assisteva alla giostra. Sarebbe stata una buona giornata per i cavalieri erranti, per uomini con una semplice cotta di maglia e cavalli senza bardature.

Però poteva almeno udire. Il suono dei corni degli araldi gli arrivava distintamente, e di tanto in tanto il boato della folla gli diceva che qualcuno era caduto, oppure si era rialzato, o aveva compiuto un'azione particolarmente audace. In lontananza udiva anche gli zoccoli dei cavalli, e talvolta il cozzare delle spade o lo spezzarsi di una lancia. Nell'ultimo caso Dunk provava sempre un brivido: gli ricordava il rumore del dito di Tanselle quando Aerion gliel'aveva spezzato. C'erano anche altri suoni, più vicini: passi nel corridoio fuori della porta, lo scalpitare dei cavalli nel cortile sottostante, urla e voci dalle mura del castello. A volte coprivano quelli del torneo. Dunk pensava che forse era anche meglio.

"Tra tutti, l'unico vero cavaliere è quello errante, Dunk" gli aveva detto il vecchio, molto tempo prima. "Gli altri servono i lord che li mantengono o dai quali hanno ricevuto la terra, invece noi scegliamo i signori da servire, uomini nelle cui cause crediamo. Tutti i cavalieri prestano giuramento di proteggere il debole e l'innocente, ma noi siamo forse quelli che mantengono meglio quel voto."

La mattina diventò pomeriggio. I suoni lontani del torneo cominciarono ad affievolirsi e a svanire. L'oscurità iniziò a filtrare nella cella, ma Dunk era ancora seduto sotto la finestra, a guardare nel buio cercando di ignorare la pancia vuota.

A un certo punto udì dei passi e il tintinnare delle chiavi di ferro. Si disincastrò dal sedile e si alzò in piedi mentre la porta si apriva. Entrarono due guardie, una delle quali reggeva una lampada a olio. Le seguiva un servo con un vassoio. Dietro c'era Egg. «Lasciate lampada e vassoio, e andate» ordinò il ragazzo.

Essi fecero come era stato loro detto, ma Dunk notò che lasciarono socchiusa la pesante porta di legno. Sentendo l'odore del cibo si rese conto di quanto fosse affamato. Gli avevano portato pane caldo e miele, una ciotola di crema di piselli, uno spiedo di cipolle e carne ben arrostita. Sedette vicino al vassoio, prese un pezzo di pane e se lo infilò in bocca. «Non ci sono coltelli» notò. «Pensavano forse che ti avrei potuto pugnalare, ragazzo?»

«Non mi hanno detto che cosa pensavano.» Egg indossava un farsetto di lana nera aderente, plissettato in vita e con maniche lunghe decorate da strisce di raso rosso. Ricamato sul petto, il drago a tre teste di Casa Targaryen. «Mio zio dice che devo chiederti umilmente scusa per averti ingannato.»

«Tuo zio sarebbe il principe Baelor?» replicò Dunk.

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Il ragazzo sembrava sinceramente dispiaciuto. «Non ti ho mai voluto mentire.»«Però l'hai fatto, su tutto, a cominciare dal nome. Non ho mai sentito parlare di un principe

Egg.»«È il diminutivo di Aegon. È stato mio fratello Aemon a darmi questo nome. Adesso lui è alla

Cittadella, a studiare per diventare un maestro. A volte mi chiamano così anche Daeron e le mie sorelle.»

Dunk sollevò lo spiedo e diede un morso alla carne. Capretto, insaporito con qualche spezia raffinata che non aveva mai assaggiato prima. Un po' di grasso gli colò sul mento. «Aegon» ripeté. «Certo, Aegon. Come Aegon il Drago. Quanti Aegon hanno regnato?»

«Quattro» rispose il ragazzo. «Ci sono stati quattro re Aegon.»Dunk masticò, deglutì e prese un altro pezzo di pane. «Perché l'hai fatto? Ti sei divertito a

prenderti gioco di uno stupido cavaliere errante?»«No.» Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime, ma il suo portamento restò eretto.

«Avrei dovuto fare da scudiero a Daeron, il mio fratello maggiore. Ho imparato tutto quello che bisogna sapere per essere un bravo scudiero, ma Daeron non è tanto bravo come cavaliere. Non voleva partecipare al torneo, così, lasciata Summerhall, ha seminato la nostra scorta, solo che invece di tornare indietro ha proseguito oltre Ashford, pensando che non ci avrebbero mai cercato in quella direzione. È stato lui a rasarmi la testa. Sapeva che nostro padre avrebbe mandato degli uomini a cercarci. Daeron ha dei capelli normali, castano chiari, invece i miei sono come quelli di Aerion e di mio padre.»

«Il sangue del drago» commentò Dunk. «Capelli oro e argento e occhi viola, lo sanno tutti.» "Dunk dal cervello fino come le mura di un castello."

«Sì, perciò Daeron me li ha tagliati. Voleva che ci nascondessimo fino alla conclusione del torneo. Solo che poi tu mi hai scambiato per uno stalliere e...» Abbassò lo sguardo. «Non mi interessava se Daeron combatteva oppure no, ma io volevo essere lo scudiero di qualcuno. Mi dispiace, ser. Davvero.»

Dunk lo guardò pensieroso. Sapeva come ci si sentiva a desiderare così tanto qualcosa da essere disposti a dire un'enorme bugia pur di ottenerlo. «Pensavo che tu fossi come me» disse. «Forse è così, ma non come credevo io.»

«Comunque veniamo tutti e due da Approdo del Re» rispose il ragazzo speranzoso.Dunk non poté fare a meno di ridere. «Sì, tu dalla cima del colle di Aegon e io dal fondo.»«Non sono poi così lontani, ser.»Dunk diede un morso a una cipolla. «Devo chiamarti "milord" o "vostra grazia" o in che altro

modo?»«A corte sì» ammise il ragazzo. «Altrimenti puoi continuare a chiamarmi Egg, se vuoi, ser.»«Che cosa ne faranno di me, Egg?»«Mio zio vuole vederti. Quando hai finito di mangiare, ser.»Dunk spinse da parte il vassoio e si alzò. «Allora sono pronto. Ho già dato un calcio in bocca

a un principe, non intendo lasciare che un altro mi aspetti.»

Lord Ashford aveva ceduto i suoi appartamenti al principe Baelor per il tempo della sua permanenza, così Egg - anzi Aegon - lo condusse nel solarium del lord. Baelor stava leggendo alla luce di una candela di cera vergine. Dunk si inginocchiò davanti a lui. «Alzati» disse il principe. «Vuoi un po' di vino?»

«Come desideri, vostra grazia.»«Versa a ser Duncan una coppa del dolce vino rosso dormano, Aegon» ordinò il principe.

«Cerca di non rovesciarglielo addosso, gli hai già procurato abbastanza guai.»«Non lo rovescerà, vostra grazia» disse Dunk. «È un bravo ragazzo, un bravo scudiero, e so

che non era sua intenzione nuocermi.»«Si può nuocere anche senza volerlo. Aegon sarebbe dovuto venire da me, quando ha visto

quello che il fratello stava facendo a quelle teatranti. Invece è corso da te. Una decisione sconsiderata. Quello che hai fatto, ser... be', al posto tuo mi sarei comportato nello stesso modo, ma io sono un principe reale, non un cavaliere errante. Non è mai saggio colpire il nipote di un re in un accesso d'ira, indipendentemente dalla causa.»

Dunk annuì fosco in viso. Egg gli porse una coppa d'argento piena di vino. Lui la prese e bevve un lungo sorso.

«Io odio Aerion» disse con veemenza Egg. «E sono dovuto correre da ser Duncan, zio, il castello era troppo lontano.»

«Aerion è tuo fratello» ribatté il principe in tono fermo «e i septon dicono che dobbiamo

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amare i nostri fratelli. Adesso lasciaci soli, Aegon, perché voglio parlare con ser Duncan in privato.»

Il ragazzo posò la caraffa e fece un rigido inchino. «Come desideri, vostra grazia.» Si diresse verso la porta del solarium e poi la richiuse piano dietro di sé.

Baelor Lancia Spezzata guardò a lungo Dunk negli occhi. «Ser Duncan, permettimi di chiederti... sei un bravo cavaliere, in tutta sincerità? Come te la cavi con le armi?»

Dunk non sapeva che cosa dire. «Ser Arlan mi ha insegnato a usare la spada e lo scudo, a giostrare e fare la quintana.»

Il principe Baelor sembrò turbato da quella risposta. «Mio fratello Maekar è tornato da qualche ora al castello. Ha trovato il suo erede ubriaco in una taverna a un giorno di strada verso sud. Maekar non lo ammetterà mai, ma credo nutrisse la segreta speranza che i suoi figli avrebbero offuscato i miei in questo torneo. Invece lo hanno entrambi coperto di infamia, ma lui che cosa può fare? Sono sangue del suo sangue. Maekar adesso è furibondo, e ha bisogno di qualcuno su cui sfogare la sua rabbia. Ha scelto te.»

«Me?» esclamò Dunk mestamente.«Aerion ha già imbottito la testa di suo padre e Daeron non ti ha certo aiutato. Per

giustificare la sua codardia, ha detto a mio fratello che un enorme cavaliere predone, incrociato per caso lungo la strada, ha rapito Aegon. Temo che tu sia stato scelto per la parte del cavaliere predone, ser. Secondo il suo racconto, Daeron avrebbe trascorso questi giorni a battere la zona in lungo e in largo per cercarti e liberare il fratello.»

«Ma Egg gli dirà la verità. Voglio dire Aegon.»«Sì, certo» rispose il principe Baelor «ma è risaputo che Egg ha anche mentito, come tu hai

buoni motivi di ricordare. A quale dei figli crederà mio fratello? Per quanto riguarda quelle teatranti, quando Aerion avrà finito di distorcere i fatti, nella sua versione sarà alto tradimento. Il drago è lo stemma della casa reale: rappresentarne uno che viene ridotto in schiavitù, con la segatura rossa che fuoriesce dal collo... be', è stato sicuramente un atto innocente, ma non certo saggio. Aerion lo definisce un velato attacco alla Casa Targaryen, un incitamento alla rivolta e Maekar probabilmente gli darà ragione. Mio fratello è un uomo collerico, e ha riposto tutte le sue speranze in Aerion, da quando Daeron si è rivelato una grande delusione per lui.» Il principe bevve un lungo sorso di vino, poi mise da parte la coppa. «Tuttavia, qualsiasi cosa mio fratello creda o non creda, una verità è indiscutibile: tu hai alzato le mani sul sangue del drago. Per questa offesa devi essere processato, giudicato e punito.»

«Punito?» Quella parola risuonò in modo sgradevole alle orecchie di Dunk.«Aerion vorrebbe la tua testa, con o senza denti. Non l'avrà, te lo prometto, ma non posso

negargli un processo. Con il nostro regale padre a centinaia di leghe di distanza, mio fratello e io ti dobbiamo giudicare, insieme a lord Ashford, signore di queste terre, e a lord Tyrell di Alto Giardino, suo feudatario. L'ultima volta che un uomo è stato ritenuto colpevole di avere aggredito qualcuno di sangue reale, è stato decretato che dovesse perdere la mano dell'offesa.»

«La mia mano?» disse Dunk atterrito.«E il tuo piede. Non gli hai forse dato anche un calcio?»Dunk non poté rispondere.«Raccomanderò agli altri giudici di essere clementi, stanne certo. Sono Primo Cavaliere del

re ed erede al trono, la mia parola ha un certo peso. Ma anche quella di mio fratello, ed è questo il punto.»

«Io...» cominciò Dunk «io... vostra grazia...» "Loro non intendevano compiere tradimento, era solo un drago di legno, non c'erano allusioni a un principe reale" avrebbe voluto dire, ma le parole ormai lo avevano abbandonato. Non era mai stato particolarmente bravo a tenere discorsi.

«Però hai un'altra possibilità» dichiarò il principe Baelor pacatamente. «Se migliore o peggiore non saprei dire, ma ti rammento che ogni cavaliere accusato di un crimine ha il diritto di chiedere un giudizio per combattimento. Quindi ti chiedo di nuovo, ser Duncan l'Alto... quanto sei bravo con le armi? Sinceramente?»

«Un giudizio dei sette» affermò il principe Aerion, sorridendo. «Ritengo sia mio diritto.»Il principe Baelor tamburellò con le dita sul tavolo, aggrottando la fronte. Alla sua sinistra,

lord Ashford annuì pensosamente.«Perché?» domandò il principe Maekar, sporgendosi verso il figlio. «Hai paura di affrontare

quel cavaliere errante da solo e lasci che siano gli dèi a decidere la veridicità delle tue accuse?»

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«Addirittura paura?» replicò Aerion. «Non essere assurdo, padre. Penso al mio amato fratello. Anche Daeron è stato ingannato da quel ser Duncan, ed è stato il primo a reclamare il suo sangue. Un giudizio dei sette permette a entrambi di saldare i conti con lui.»

«Non farmi favori, fratello» borbottò Daeron Targaryen. Il figlio maggiore del principe Maekar aveva un aspetto ancora peggiore di quando Dunk lo aveva visto la prima volta alla locanda. Adesso sembrava sobrio, il farsetto rosso e nero non era macchiato di vino, ma i suoi occhi erano iniettati di sangue e un velo di sudore scintillante gli copriva la fronte. «Io mi accontenterei di incitarti mentre ammazzi quel farabutto.»

«Sei troppo gentile, adorato fratello» disse il principe Aerion, tutto sorrisi. «Ma sarebbe egoista da parte mia privarti del diritto di dimostrare la veridicità delle tue parole mettendo a rischio il tuo corpo. Devo insistere per un giudizio dei sette.»

Dunk era confuso. «Vostra grazia, miei lord» disse rivolgendosi alla tribuna. «Non capisco, che cos'è questo "giudizio dei sette"?»

Il principe Baelor si mosse a disagio sullo scranno. «È un'altra forma di giudizio per combattimento. Antico, utilizzato raramente. È arrivato dal Mare Stretto con gli Andali e i loro Sette Dèi. In qualsiasi giudizio per combattimento, l'accusatore e l'accusato chiedono agli dèi di dirimere la loro contesa. Gli Andali ritenevano che se combattevano sette campioni per parte, gli dèi, così onorati, sarebbero stati più propensi a collaborare e a fare in modo di giungere a un equo risultato.»

«O forse avevano semplicemente una predilezione per le spade» aggiunse lord Leo Tyrell, con un sorriso cinico sulle labbra. «Comunque sia, ser Aerion ha ragione. Deve esserci un giudizio dei sette.»

«Devo combattere contro sette uomini?» chiese Dunk sopraffatto.«Non da solo, ser» rispose il principe Maekar spazientito. «Non fare il finto tonto, non ti

servirà. Devono essere sette contro sette, e tu devi trovare altri sei cavalieri che combattano al tuo fianco.»

"Sei cavalieri" pensò Dunk. Era come se gli avessero detto di trovarne seicento. Non aveva né fratelli, né cugini, né vecchi compagni che avevano combattuto al suo fianco in battaglia. Perché sei sconosciuti avrebbero dovuto rischiare la loro vita per difendere un cavaliere errante contro due principini di sangue reale? «Vostra grazia, miei lord» disse «e se nessuno si schierasse dalla mia parte?»

Maekar Targaryen lo guardò dall'alto in basso con freddezza. «Se una causa è giusta, gli uomini onesti la difenderanno. Se tu non trovi dei campioni, ser, vorrà dire che sei colpevole. Mi sembra evidente, no?»

Dunk non si era mai sentito così solo come quando uscì dalle porte del castello di Ashford e sentì la saracinesca calare sferragliando alle sue spalle. Una pioggerellina leggera gli inumidì la pelle come rugiada, eppure quel contatto lo fece rabbrividire. Dall'altra parte del fiume, aloni colorati avvolgevano i pochissimi padiglioni dove ancora ardevano i fuochi. Pensò che la notte era quasi finita. Di lì a poche ore sarebbe arrivata l'alba. "E con l'alba, la morte."

Gli avevano restituito la spada e l'argento, ma mentre varcava il guado i suoi pensieri erano lugubri. Si chiese se si aspettavano che sellasse un cavallo e fuggisse. Volendo, avrebbe anche potuto. Di certo avrebbe segnato la sua fine come cavaliere; da quel momento in poi sarebbe stato al massimo un fuorilegge, fino al giorno in cui un lord non lo avesse catturato e gli avesse tagliato la testa. "Meglio morire da cavaliere che vivere così" si disse con ostinazione. Bagnato fino alle ginocchia, percorse la lizza vuota. La maggior parte dei padiglioni era immersa nel buio, i loro proprietari dormivano da tempo, ma qua e là brillava ancora qualche candela. Dunk udì gemiti e mugolii di piacere provenire dall'interno di una tenda. Allora si chiese se sarebbe morto senza avere mai conosciuto una donna.

Poi udì il nitrito di un cavallo, e senza sapere come riconobbe Tuono. Tornò di corsa sui suoi passi e lo vide legato, insieme a Castagna, fuori da un padiglione cilindrico illuminato da una vaga luce dorata all'interno. Lo stendardo centrale pendeva fradicio, ma Dunk riuscì a riconoscere il contorno scuro della mela dei Fossoway. Gli sembrò un segno di speranza.

«Un giudizio per combattimento» disse Raymun gravemente. «Dèi misericordiosi, Duncan, questo significa lance da guerra, mazze ferrate, asce da battaglia... le spade non saranno smussate, capisci?»

«Raymun il Riluttante» lo schernì il cugino. Una mela d'oro con granati fermava la cappa di lana gialla di ser Steffon. «Non temere, cugino, è un combattimento per cavalieri. Non essendolo, tu non rischi niente. Ser Duncan, hai con te almeno un Fossoway, quello maturo. Ho

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visto ciò che Aerion ha fatto a quelle donne. Sono dalla tua parte.»«Anch'io» sbottò Raymun, rabbioso. «Volevo solo dire che...»Il cugino non lo lasciò finire. «Chi altro combatte con noi, ser Duncan?»Dunk allargò le braccia, sconfortato. «Non conosco nessun altro. Be', a parte ser Manfred

Dondarrion, che però non ha nemmeno voluto garantire che ero un cavaliere, non rischierà certo la vita per me.»

Ser Steffon sembrò un po' turbato. «Allora abbiamo bisogno di altri cinque uomini valorosi. Per fortuna io ho più di cinque amici. Leo Lungaspina, la Tempesta-che-ride, lord Caron, i Lannister, ser Otho Bracken... aye, e i Blackwood, anche se non riuscirai mai a schierare Blackwood e Bracken dalla stessa parte in una mischia. Vado a parlare con alcuni di loro.»

«Non saranno felici di venire svegliati» obiettò il cugino.«Anzi, meglio ancora» dichiarò ser Steffon. «Se sono arrabbiati combatteranno più

accanitamente. Fai pure affidamento su di me, ser Duncan. Cugino, se non sarò tornato prima dell'alba, prendi la mia armatura e fa' in modo che Furia sia pronto, sellato e bardato. Ci vedremo nel recinto degli sfidanti.» Poi rise. «Penso proprio che sarà una giornata memorabile.» Quando uscì dalla tenda, sembrava quasi contento.

Raymun invece no. «Cinque cavalieri» mormorò mestamente quando il cugino se ne fu andato. «Duncan, non voglio infrangere le tue speranze, ma...»

«Se tuo cugino riesce a portare gli uomini che ha nominato...»«Leo Lungaspina? Il Bruto di Bracken? La Tempesta-che-ride?» Raymun si alzò in piedi. «Lui

li conosce tutti, certo, ma non sono altrettanto sicuro che qualcuno di loro conosca lui. Steffon la vede come un'opportunità per coprirsi di gloria, ma c'è di mezzo la tua vita. Devi trovare i tuoi cavalieri. E io ti aiuterò. Meglio avere troppi campioni che troppo pochi.» Un rumore dall'esterno fece voltare la testa a Raymun. «Chi va là?» chiese mentre un ragazzo sgattaiolava dentro, seguito da un uomo smilzo con la cappa nera fradicia di pioggia.

«Egg?» Dunk si alzò in piedi. «Che cosa ci fai qui?»«Sono il tuo scudiero» rispose il ragazzo. «Hai bisogno di qualcuno che ti armi, ser.»«Il lord tuo padre sa che hai lasciato il castello?»«Dèi misericordiosi, spero di no.» Daeron Targaryen aprì la fibbia della cappa e se la lasciò

scivolare dalle esili spalle.«Tu? Come osi venire qui?» Dunk estrasse il coltello dal fodero. «Dovrei ficcartelo nella

pancia.»«Probabilmente sì» ammise il principe Daeron. «Anche se preferirei che mi versassi una

coppa di vino. Guarda le mie mani.» Ne tese una, facendo vedere a tutti come tremava.Dunk fece un passo verso di lui con aria minacciosa. «Non mi interessano le tue mani. Hai

mentito riguardo a me.»«Dovevo pur dire qualcosa, quando mio padre mi ha domandato che fine aveva fatto il mio

fratellino» replicò il principe. Si sedette, ignorando Dunk e il suo coltello. «A dire la verità, non mi ero neanche accorto che Egg fosse andato via. Non era in fondo alla mia coppa di vino e io non guardavo altro, per cui...» Sospirò.

«Ser, mio fratello si unirà ai sette accusatori» intervenne Egg. «L'ho scongiurato di non farlo, ma non vuole darmi ascolto. Dice che è l'unico modo per riscattare l'onore di Aerion, e il suo.»

«Anche se non sono stato io a chiedere tale riscatto» aggiunse il principe Daeron amaramente. «Chi ha il mio onore, può anche tenerselo, per quanto mi riguarda. Eppure, siamo a questo punto. Per ciò che vale, ser Duncan, hai poco da temere da parte mia. L'unica cosa che detesto più dei cavalli sono le spade. Oggetti pesanti e orribilmente affilati. Farò del mio meglio per apparire gagliardo alla prima carica, ma poi... be', magari potresti assestarmi un bel colpo sull'elmo, lateralmente. Fallo risuonare, ma non troppo forte, se capisci quello che intendo. I miei fratelli mi giudicano criticamente quando si tratta di combattere, danzare, pensare, leggere libri, ma nessuno di loro ha metà della mia abilità nel giacere immobile nel fango.»

Dunk restò a guardarlo, chiedendosi se lo stesse prendendo in giro. «Perché sei venuto?»«Per metterti in guardia da ciò che ti aspetta» rispose Daeron. «Mio padre ha ordinato alla

guardia reale di combattere con lui.»«La guardia reale?» esclamò Dunk sgomento.«Be', i tre che sono qui. Grazie al cielo, zio Baelor ha lasciato gli altri quattro ad Approdo del

Re con sua maestà nostro nonno.»Egg elencò i nomi. «Ser Roland Crakehall, ser Donnei di Duskendale e ser Willem Wylde.»

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«Loro hanno poco da scegliere» spiegò Daeron. «Hanno giurato di proteggere le vite del re e della famiglia reale, e i miei fratelli e io siamo sangue del drago, che gli dèi ci assistano.»

Dunk contò sulle dita. «Così si arriva a sei. E il settimo uomo, chi è?»Il principe Daeron scrollò le spalle. «Aerion troverà qualcuno. Se necessario, comprerà un

campione. Non è l'oro che gli manca.»«Tu chi hai?» chiese Egg.«Il cugino di Raymun, ser Steffon.»Daeron fece una smorfia. «E basta?»«Ser Steffon è andato a parlare con alcuni suoi amici.»«Io potrei procurarti qualcuno» propose Egg. «Dei cavalieri. Dico sul serio.»«Egg» disse Dunk «combatterò contro i tuoi fratelli.»«Però non ferirai Daeron» disse il ragazzo. «Ti ha chiesto di farlo cadere. Invece Aerion...

ricordo che, quando ero piccolo, veniva in camera mia la notte e mi metteva il coltello tra le gambe. Aveva troppi fratelli, diceva, forse una notte avrebbe fatto di me una sorella, così mi avrebbe potuto sposare. Ha anche buttato il mio gatto nel pozzo. Lui dice di no, ma racconta sempre bugie.»

Il principe Daeron alzò le spalle sfiduciato. «Egg ha ragione. Aerion è un vero mostro. Sai, pensa di essere un drago in fattezze umane. Per questo si è così infuriato per quello spettacolo di marionette. Peccato che non sia nato Fossoway, almeno si sarebbe sentito una mela e noi tutti saremmo stati molto più sereni, invece no.» Chinandosi raccolse da terra la cappa inzuppata dalla pioggia e le diede una scrollata. «Devo rientrare al castello prima che mio padre si domandi come mai ci metto così tanto ad affilare la spada, ma prima di andare vorrei parlarti un momento in privato, ser Duncan. Vieni a fare due passi con me?»

Dunk lo guardò per un attimo. «Come desideri, vostra grazia» disse poi rimettendo il pugnale nel fodero. «Devo anche passare a prendere il mio scudo.»

«Egg e io andremo a cercare dei cavalieri» promise Raymun.Il principe Daeron si chiuse la cappa sotto il mento e tirò su il cappuccio. Dunk lo seguì nella

pioggia leggera. Si incamminarono verso le bancarelle dei mercanti.«Ti ho sognato» disse il principe.«Me lo hai detto anche alla locanda.»«Davvero? Be', è così. I miei sogni non sono come i tuoi, ser Duncan. I miei sono veri. Mi

spaventano. Tu mi spaventi. Ho sognato di te e di un drago morto, sai. Una bestia grande, enorme, con ali così immense che potevano coprire tutto questo campo. Ti era piombato addosso, ma tu eri vivo e il drago era morto.»

«L'ho ucciso?»«Questo non lo so, ma tu eri lì e anche il drago. Un tempo noi Targaryen eravamo i signori

dei draghi. Adesso loro si sono estinti, e noi restiamo. Non desidero morire oggi. Solo gli dèi sanno perché, io no. Quindi fammi un piacere se puoi, e assicurati che sia mio fratello Aerion quello che uccidi.»

«Neppure io desidero morire» disse Dunk.«Be', io non ti ammazzerò, ser. Potrei anche ritirare la mia accusa, ma sarebbe inutile se

Aerion non ritira la sua.» Sospirò. «È possibile che io sia la causa della tua morte con la mia bugia. Se è così, mi dispiace. So di essere condannato all'inferno, probabilmente uno dove non c'è vino.» Alzò le spalle, e quel punto si separarono, sotto la pioggia fredda e leggera.

I mercanti avevano radunato i loro carri lungo il margine occidentale del campo, in un boschetto di frassini e betulle. Dunk si fermò sotto gli alberi e guardò disarmato lo spazio vuoto lasciato dal teatrino delle marionette. Partiti. Come del resto aveva temuto. "Avrei dovuto fare lo stesso, se non avessi un cervello fino come le mura di un castello." Si chiese come avrebbe fatto per lo scudo. Aveva il conio per comprarne uno nuovo, pensò, il problema era trovare qualcuno che glielo vendesse...

«Ser Duncan» chiamò una voce nell'oscurità. Dunk si voltò e vide Steely Pate, con una lanterna in mano. Sotto la corta cappa di pelle, l'armaiolo era nudo dalla cintola in su, il grande petto e le braccia robuste coperte di ispidi peli neri. «Se sei venuto per lo scudo, la ragazza lo ha lasciato a me.» Esaminò il corpo di Dunk. «Due mani e due piedi, vedo. Dunque ci sarà un giudizio per combattimento, eh?»

«Un giudizio dei sette. Tu come fai a saperlo?»«Be', avrebbero potuto darti un bacio in fronte e nominarti lord, ma era improbabile, e in

qualunque altro caso avresti avuto qualche arto in meno. Su, vieni con me.»

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Il suo carro era facilmente riconoscibile dalla spada e l'incudine dipinti sulla fiancata. Dunk seguì Pate all'interno. L'armaiolo appese la lanterna a un gancio, scosse la mantella bagnata e infilò dalla testa una tunica di tessuto grezzo. Un'asse imbullonata alla parete fungeva da tavolo. «Siediti» disse facendo scivolare verso di lui un basso sgabello.

Dunk si sedette. «Dov'è la ragazza?» chiese.«Sono partiti per Dome. Suo zio è un uomo saggio. Prima si parte, prima si dimentica. Se

resti, ti vedono, poi magari il drago ricorda. Tra l'altro, non voleva che la nipote assistesse alla tua morte.» Pate andò in fondo al carro, rovistò nell'oscurità e tornò con lo scudo. «Il bordo era di un acciaio vecchio e scadente, fragile e arrugginito» disse. «Ne ho messo uno nuovo, molto più robusto e ho aggiunto dei rinforzi di ferro sul retro. Adesso è più pesante, ma anche più resistente. La ragazza te lo ha dipinto.»

Tanselle aveva fatto un lavoro migliore di quanto lui avrebbe mai sperato. Anche alla luce della lanterna, i colori del tramonto erano intensi e vibranti, l'olmo alto, forte e maestoso. La stella cadente era una brillante striscia di colore nel cielo di legno. Eppure, adesso che Dunk lo aveva tra le mani, gli sembrava tutto sbagliato. La stella stava "cadendo", che razza di stemma era? Un segno che lui sarebbe crollato altrettanto rapidamente? E il tramonto non è forse l'araldo delle tenebre? «Avrei dovuto mantenere il calice» disse mestamente. «Almeno aveva le ali per volare via, e ser Arlan diceva che la coppa era colma di fede, amicizia e buone cose da bere. Su questo scudo tutto parla di morte.»

«L'olmo è vivo» lo corresse Pate. «Vedi come sono verdi le foglie? È senz'altro una chioma estiva. E ho visto scudi decorati con teschi, lupi e corvi, anche con uomini impiccati e teste sanguinanti. Svolgevano comunque la loro funzione, e così farà il tuo. Conosci l'antica invocazione allo scudo? "Quercia e ferro proteggetemi bene...»

«... o dell'inferno conoscerò le pene"» terminò Dunk. Erano anni che non ripensava a quella preghiera. Gliel'aveva insegnata il vecchio, tanto tempo prima. «Quanto vuoi, per il bordo nuovo e tutto il resto?» chiese all'armaiolo.

«Da te?» Pate si grattò la barba. «Una moneta di rame.»

Quando il primo chiarore soffuse il cielo a oriente, la pioggia era cessata, ma aveva compiuto la sua opera. Gli uomini di lord Ashford avevano rimosso le barriere e l'arena del torneo era una grande palude di fango marrone grigiastro frammisto a erba sradicata. Fili di nebbia si contorcevano sul terreno come pallidi serpenti mentre Dunk risaliva la lizza. Al suo fianco camminava Steely Pate.

La tribuna era già affollata di nobili che si stringevano nei loro mantelli per contrastare il gelo del mattino. Anche il popolino si dirigeva verso il campo, e centinaia di persone erano già ammassate lungo lo steccato. "Accorrono così numerosi per vedermi morire" pensò Dunk con amarezza, ma li aveva giudicati male. Qualche passo più in là, una donna gridò: «Che la fortuna ti assista». Un vecchio si fece avanti per stringergli la mano, e disse: «Che gli dèi ti diano la forza, ser». Poi un fratello questuante, con una veste marrone tutta sbrindellata, recitò una benedizione per la sua spada, e una fanciulla lo baciò sulla guancia. "Stanno dalla mia parte!" «Perché?» chiese a Pate. «Che cosa rappresento per loro?»

«Un cavaliere che ha tenuto fede al suo giuramento» rispose il fabbro.Trovarono Raymun fuori dal recinto degli sfidanti all'estremità sud della lizza, in attesa con il

cavallo del cugino e quello di Dunk. Tuono si muoveva irrequieto sotto il peso della testiera, del sottogola e del pettorale di maglia di ferro. Pate controllò l'armatura e disse che era un lavoro ben fatto, anche se non l'aveva forgiata lui. Da qualsiasi parte fosse arrivata, Dunk ne era riconoscente.

Poi vide gli altri: un uomo con un occhio solo e la barba sale e pepe e il giovane cavaliere con la sopravveste a strisce gialle e nere e gli alveari sullo scudo. "Robyn Rhysling e Humfrey Beesbury" pensò con stupore. "E anche ser Humfrey Hardyng." Quest'ultimo montava il cavallo sauro di Aerion, adesso bardato con i suoi rombi rossi e bianchi.

Andò verso di loro. «Signori, sono in debito con voi.»«Il debito è di Aerion» replicò ser Humfrey Hardyng «e noi intendiamo riscuoterlo.»«Avevo sentito che la tua gamba si era fratturata.»«Hai sentito la verità» disse Hardyng. «Non posso camminare, ma finché resto in sella

posso combattere.»Raymun prese Dunk da parte. «Speravo che Hardyng desiderasse una rivincita da Aerion, e

così è stato. Casualmente, l'altro Humfrey è marito di sua sorella. Egg ha portato ser Robyn, che conosceva da altri tornei. Quindi siete in cinque.»

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«Sei» disse Dunk, stupito, indicando un cavaliere che stava entrando nel recinto, seguito dallo scudiero che teneva le redini del cavallo. «La Tempesta-che-ride.» Di una testa più alto di ser Raymun e grande quasi come Dunk, ser Lyonel indossava una sopravveste di tessuto dorato con il cervo incoronato di Casa Baratheon, e teneva sotto il braccio l'elmo con le corna. Dunk gli si avvicinò tendendogli la mano. «Ser Lyonel, non potrò mai ringraziarti abbastanza per essere venuto, né ser Steffon per averti portato.»

«Ser Steffon?» Ser Lyonel lo guardò perplesso. «È stato il tuo scudiero a venire da me. Il ragazzo, Aegon. Il mio scudiero ha cercato di scacciarlo, ma lui gli è sgattaiolato tra le gambe e mi ha rovesciato una caraffa di vino in testa.» Rise. «Non c'era un giudizio dei sette da più di cento anni, lo sai? Non volevo perdermi l'occasione di combattere contro i cavalieri della guardia reale e in più torcere il naso al principe Maekar.»

«Sei» disse Dunk speranzoso a Raymun Fossoway mentre ser Lyonel si univa agli altri. «Tuo cugino porterà senz'altro l'ultimo.»

Dalla folla si levò un boato. Al margine nord del campo, una colonna di cavalieri al trotto uscì dalla bruma del fiume. Davanti le tre guardie reali, simili a fantasmi nelle loro scintillanti armature smaltate di bianco, con le lunghe cappe candide che fluttuavano dietro le spalle. Anche gli scudi erano bianchi, puri e intatti come una distesa di neve immacolata. Dietro cavalcavano il principe Maekar e i suoi figli. Aerion montava un pezzato grigio, e a ogni passo faville arancioni e rosse sprizzavano dalle pieghe ornamentali della gualdrappa. Il destriero del fratello era un baio di taglia inferiore, con una bardatura a scaglie nere e oro. Una piuma di seta verde pendeva dall'elmo di Daeron. Ma quello che incuteva più timore di tutti era il padre. Neri denti ricurvi di drago gli spuntavano sulle spalle, sulla cresta dell'elmo e lungo la schiena, e l'enorme mazza chiodata fissata alla sella era l'arma dall'aspetto più letale che Dunk avesse mai visto.

«Sei» esclamò d'un tratto Raymun. «Sono soltanto sei.»Era vero, notò Dunk. "Tre cavalieri neri e tre bianchi. Anche loro hanno un uomo in meno."

Possibile che Aerion non fosse riuscito a trovare un altro cavaliere? E allora? Avrebbero combattuto sei contro sei, se nessuno dei due schieramenti avesse trovato il settimo uomo?

Egg scivolò al suo fianco mentre Dunk cercava di trovare una risposta. «Ser, è ora di indossare l'armatura.»

«Grazie, scudiero. Saresti così gentile da aiutarmi?»Steely Pate diede una mano al ragazzo. Cotta di maglia e gorgiera, gambiere e guanti di

protezione, cuffia e brachetta, lo rivestirono d'acciaio, controllando tre volte ogni fibbia e ogni fermaglio. Ser Lyonel era seduto ad affilare la sua spada con una cote, i due Humfrey chiacchieravano tranquillamente, ser Robyn recitava una preghiera e Raymun Fossoway passeggiava avanti e indietro, chiedendosi che fine avesse fatto il cugino.

Dunk era tutto vestito quando finalmente arrivò ser Steffon. «Raymun» chiamò. «La mia cotta di maglia, per favore.» Si era cambiato e adesso portava un farsetto imbottito da indossare sotto l'acciaio.

«Ser Steffon» chiese Dunk. «Dove sono i vostri amici? Ci serve un altro cavaliere per arrivare a sette.»

«Temo che ve ne servano altri due» ribatté ser Steffon. Raymun gli allacciò la cotta di maglia sul dorso.

«Milord?» Dunk non capiva. «Perché due?»Ser Steffon prese un sottile guanto d'acciaio a scaglie e lo infilò nella mano sinistra,

flettendo le dita. «Io qui ne vedo soltanto cinque» rispose, mentre Raymun gli assicurava la cintura della spada. «Beesbury, Rhysling, Hardyng, Baratheon e te.»

«E tu sei il sesto» aggiunse Dunk.«Il settimo» lo corresse ser Steffon sorridendo «ma dall'altra parte. Combatto con il principe

Aerion e gli accusatori.»Raymun stava per porgere l'elmo al cugino. Si bloccò come colpito da un pugno. «No!»«Sì.» Ser Steffon alzò le spalle. «Sono sicuro che ser Duncan capisce. Ho dei doveri nei

confronti del mio principe.»«Gli avevi detto di fare affidamento su di te.» Raymun era impallidito.«Davvero ho detto così?» Prese l'elmo dalle mani del cugino. «Senz'altro allora ero sincero.

Portami il cavallo.»«Vattelo a prendere da solo» rispose Raymun furibondo. «Se pensi che voglia avere parte in

questa storia sei stupido quanto vile.»«Vile?» Ser Steffon fece schioccare la lingua. «Attento a come parli, Raymun. Siamo due

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mele dello stesso albero e tu sei il mio scudiero. O hai scordato il giuramento?»«No. E tu hai scordato il tuo? Ti sei impegnato a essere un cavaliere.»«Sarò più che un cavaliere, prima della fine di questa giornata. Lord Fossoway. Mi piace

come suona.» Sorridendo indossò l'altro guanto, si voltò e andò verso il suo cavallo. Anche se gli altri difensori lo guardavano con disprezzo, nessuno fece niente per fermarlo.

Dunk osservò poi ser Steffon attraversare il campo al trotto. Le sue mani si strinsero a pugno, ma la gola era troppo asciutta per pronunciare delle parole. "Tanto nessun discorso può convincere i tipi come lui."

«Nominami cavaliere.» Raymun posò una mano sulla spalla di Duncan e lo fece voltare. «Prenderò il posto di mio cugino. Ser Duncan, fammi cavaliere.» Si inginocchiò davanti a lui.

Dunk aggrottò la fronte, mise la mano sull'elsa della spada lunga, ma poi esitò. «Raymun, io... non posso.»

«Invece devi. Senza di me siete soltanto in cinque.»«Quello che dice il ragazzo è vero» intervenne ser Lyonel Baratheon. «Fallo, ser Duncan.

Ogni cavaliere può nominare un altro cavaliere.»«Dubiti forse del mio coraggio?» chiese Raymun.«No» rispose Dunk. «Non è questo, ma...» Continuava a esitare.Uno squillo di trombe tagliò l'aria nebbiosa del mattino. Egg arrivò correndo. «Ser, lord

Ashford vuole parlarti.»La Tempesta-che-ride fece un cenno di impazienza con la testa. «Va' da lui, ser Duncan.

Faccio io cavaliere lo scudiero Raymun.» Sfoderò la spada e spinse da parte Dunk. «Raymun di Casa Fossoway» cominciò solennemente appoggiando la spada sulla spalla destra dello scudiero. «In nome del Guerriero io ti chiedo di essere coraggioso.» La spada passò dalla spalla destra alla sinistra. «In nome del Padre ti chiedo di essere giusto.» La lama tornò sulla destra. «In nome della Madre ti chiedo di difendere il giovane e l'innocente.» Di nuovo sulla sinistra. «In nome della Fanciulla ti chiedo di proteggere tutte le donne...»

Dunk si allontanò, sentendosi al tempo stesso sollevato e in colpa. "Siamo sempre uno in meno" pensò mentre Egg gli portava Tuono. "Dove troverò un altro uomo?" Girò il cavallo e cavalcò lentamente verso la tribuna, dove lo aspettava lord Ashford. «Ser Duncan» lo salutò questi, di buon umore. «A quanto pare hai soltanto cinque campioni.»

«Sei» lo corresse Dunk. «Ser Lyonel sta nominando cavaliere Raymun Fossoway. Combatteremo in sei contro sette.» Sapeva che erano state vinte scommesse ben peggiori.

Ma lord Ashford scosse la testa. «Non è ammesso, ser. Se non trovi un altro cavaliere che si schieri dalla tua parte, dovrai essere dichiarato colpevole dei crimini di cui sei accusato.»

"Colpevole" pensò Dunk. "Colpevole di avere fatto cadere un dente, e per questo devo morire." «Milord, ti chiedo un momento.»

«E sia.»Dunk costeggiò lentamente la staccionata. La tribuna era gremita di cavalieri. «Miei lord»

esordì rivolgendosi loro «nessuno di voi ricorda ser Arlan di Pennytree? lo ero il suo scudiero. Siamo stati al servizio di molti di voi, abbiamo mangiato alle vostre mense e dormito nei vostri castelli.» Notò Manfred Dondarrion seduto nella fila più alta. «Ser Arlan riportò una ferita servendo tuo padre.» Il cavaliere disse qualcosa alla lady accanto a lui, senza prestargli attenzione. Dunk fu costretto a proseguire. «Lord Lannister, una volta ser Arlan ti disarcionò in un torneo.» Il Leone Grigio si guardò le mani inguantate, evitando volutamente di sollevare lo sguardo. «Era un brav'uomo e mi ha insegnato come essere un cavaliere. Non solo a usare la spada e la lancia, ma anche il senso dell'onore. Un cavaliere difende l'innocente, diceva. Ed è ciò che io ho fatto. Mi serve un altro cavaliere che combatta al mio fianco. Uno soltanto. Lord Coroni Lord Swann?» Lord Swann fece una risatina mentre lord Caron gli sussurrava qualcosa all'orecchio.

Dunk tirò le redini davanti a ser Otho Bracken, abbassando il tono della voce. «Ser Otho, tutti sanno che sei un grande campione. Unisciti a noi, ti prego. In nome degli dèi vecchi e nuovi. La mia causa è giusta.»

«Può darsi» rispose il Bruto di Bracken che almeno ebbe la grazia di rispondere «ma è la tua causa, non la mia. Ragazzo, io non ti conosco.»

Affranto, Dunk girò Tuono e galoppò su e giù, davanti a tutte quelle pallide facce che esprimevano solo freddezza. La disperazione lo fece urlare, «TRA VOI NON CI SONO DUNQUE VERI CAVALIERI?»

L'unica risposta fu il silenzio.Dall'altra parte del campo, il principe Aerion rideva. «Il drago non deve essere oltraggiato»

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gridò.Poi si alzò una voce. «Combatterò io al fianco di ser Duncan.»Uno stallone nero emerse dalle brume del fiume, con in sella un cavaliere nero. Dunk vide lo

stemma del drago e sull'elmo il cimiero con le tre teste ruggenti di smalto rosso. "Il Giovane Principe. Dèi misericordiosi, è proprio lui"?

Lord Ashford fece lo stesso errore. «Principe Valarr?»«No.» Il cavaliere nero alzò la visiera dell'elmo. «Non pensavo di entrare in lizza ad Ashford,

mio lord, così non ho portato l'armatura. Mio figlio è stato tanto gentile da prestarmela.» Il principe Baelor sorrise senza allegria.

Gli accusatori erano in preda allo sgomento, come Dunk poté notare. Il principe Maekar spronò in avanti la sua cavalcatura. «Fratello, hai forse perso il lume della ragione?» Indicò Dunk con un dito rivestito di ferro. «Quell'uomo ha aggredito mio figlio.»

«Quell'uomo ha protetto il debole, come è dovere di ogni vero cavaliere» replicò il principe Baelor. «Lascia che siano gli dèi a decidere se aveva torto o ragione.» Diede uno strattone alle redini, voltò l'enorme destriero nero di Valarr e trottò verso la parte meridionale del campo.

Dunk portò Tuono ad affiancarlo, e gli altri difensori si raccolsero attorno a loro: Robyn Rhysling e ser Lyonel, i due Humfrey. "Tutti bravi cavalieri, ma lo saranno abbastanza?" «Dov'è Raymun?»

«Ser Raymun, se ti compiace.» Arrivò al piccolo galoppo, con un sorriso raggiante sotto l'elmo piumato. «Chiedo scusa, ser. Ho dovuto apportare una piccola modifica all'emblema, per non rischiare di venire confuso con il mio disonorevole cugino.» Mostrò a tutti lo scudo. Il lucido campo dorato era rimasto uguale, e anche la mela Fossoway, solo che adesso il frutto era verde invece che rosso. «Temo di non essere ancora maturo... ma meglio acerbo che con i vermi, no?»

Ser Lyonel rise e anche Dunk abbozzò un sorriso. Perfino il principe Baelor sembrò approvare.

In quel mentre il septon di lord Ashford, portatosi davanti alla tribuna, sollevò il suo cristallo per invitare la folla alla preghiera.

«Ascoltatemi tutti» disse Baelor in tono pacato. «Alla prima carica gli accusatori saranno armati di pesanti lance da guerra. Lance di frassino, lunghe otto piedi, rinforzate per evitare che si spezzino e con punte di ferro così acuminate da perforare una lastra di metallo se dietro c'è lo slancio di un pesante cavallo da guerra.»

«Ci armeremo di lance uguali alle loro» dichiarò ser Humfrey Beesbury. Intanto alle sue spalle il septon invocava i Sette a volgere lo sguardo in basso e giudicare quella disputa attribuendo la vittoria agli uomini la cui causa era giusta.

«No» replicò Baelor. «Noi invece useremo lance da torneo.»«Le lance da torneo sono fatte per spezzarsi» obiettò Raymun.«Però sono lunghe dodici piedi. Se le nostre punte centrano il bersaglio, le loro non potranno

colpirci. Mirate all'elmo o al petto. In torneo è considerato cavalleresco spezzare la propria lancia contro lo scudo dell'avversario, ma qui potrebbe significare la morte. Se riusciamo a disarcionarli restando in sella, saremo avvantaggiati.» Guardò Dunk. «Se ser Duncan resta ucciso si deduce che gli dèi lo hanno giudicato colpevole, e quindi il combattimento finisce. Lo stesso se entrambi gli accusatori vengono uccisi o ritirano le loro accuse. Altrimenti, perché il giudizio sia considerato concluso tutti e sette i cavalieri da una parte o dall'altra devono morire o arrendersi.»

«Il principe Daeron non combatterà» disse Dunk.«C'è comunque poco da stare allegri» disse ser Lyonel con una risata. «Di contro, abbiamo

da affrontare tre spade bianche.»Baelor non perse la calma. «Mio fratello ha fatto un errore chiedendo alla guardia reale di

schierarsi con suo figlio. Il giuramento che hanno pronunciato vieta loro di ferire un principe di sangue, come fortunatamente io sono.» Accennò un sorriso. «Tenetemi lontani gli altri abbastanza a lungo, e io mi occuperò della guardia reale.»

«Mio principe, è cavalleresco agire così?» chiese ser Lyonel Baratheon mentre il septon finiva la sua invocazione.

«Ce lo diranno gli dèi» rispose Baelor Lancia Spezzata.Sul Campo di Ashford era calato un silenzio carico di attesa.A ottanta iarde di distanza lo stallone grigio di Aerion nitriva impaziente scalpitando nel

terreno fangoso. Al confronto Tuono sembrava molto tranquillo; era uno dei cavalli più anziani, veterano di una cinquantina di combattimenti e sapeva che cosa ci si aspettava da lui. Egg

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porse a Dunk lo scudo. «Che gli dèi siano con te, ser» gli augurò il ragazzo.La vista dell'olmo con la stella cadente lo rincuorò. Dunk passò il braccio sinistro sotto la

cinghia e afferrò saldamente l'impugnatura. "Quercia e ferro proteggetemi bene o dell'inferno conoscerò le pene." Steely Pate gli portò la lancia, ma Egg insistette che doveva essere lui a consegnarla a Dunk.

Al suo fianco, anche gli altri cavalieri impugnarono le loro lance e si disposero su un'unica linea. Il principe Baelor era alla sua destra, ser Lyonel alla sua sinistra, ma attraverso la stretta fessura del grande elmo Dunk vedeva soltanto ciò che gli stava davanti. La tribuna era sparita, e così la folla accalcata lungo la staccionata: c'era solo l'arena fangosa, la pallida bruma sospinta dal vento, il fiume, e a nord il castello e il principino sul suo cavallo grigio con le fiamme sull'elmo e il drago sullo scudo. Dunk vide lo scudiero di Aerion porgergli la lancia da guerra, lunga otto piedi e nera come la notte. "Me la pianterà nel cuore, se potrà."

Riecheggiò un corno.Per un attimo Dunk restò immobile come una mosca nell'ambra, mentre tutti gli altri cavalli

si stavano muovendo. Fu colto da un attacco di panico. "Non so più niente" pensò disperato. "Ho dimenticato tutto, mi coprirò di vergogna, perderò ogni cosa."

Fu salvato da Tuono. Il grande stallone marrone sapeva che cosa doveva fare, anche se il suo cavaliere pareva averlo dimenticato. Partì al piccolo trotto. Poi l'addestramento di Dunk ebbe il sopravvento. Diede un leggero colpo di speroni e abbassò la lancia. Contemporaneamente spostò lo scudo, fino a coprire quasi tutta la metà sinistra del corpo. Lo inclinò in modo da deviare i colpi. "Quercia e ferro proteggetemi bene o dell'inferno conoscerò le pene."

Il rumore della folla non era più forte del lontano infrangersi delle onde. Tuono passò al galoppo. I denti di Dunk battevano al ritmo della falcata. Premette i talloni verso il basso stringendo le gambe con tutte le forze, e lasciò che il suo corpo diventasse parte del movimento del cavallo. "Io sono Tuono e Tuono è me, siamo un unico animale, siamo uniti, siamo una cosa sola." L'aria all'interno dell'elmo era già così rovente che riusciva a stento a respirare.

In una giostra di torneo, il suo nemico sarebbe stato alla sua sinistra al di là della barriera, e lui avrebbe dovuto vibrare la lancia sopra il collo di Tuono. L'angolo avrebbe reso più probabile la rottura del legno al momento dell'impatto. Quel giorno invece si disputava uno scontro all'ultimo sangue: senza barriere a dividerli, i destrieri caricavano diritti l'uno contro l'altro. L'enorme cavallo nero del principe Baelor era molto più veloce di Tuono, e dalla fessura dell'elmo Dunk lo vide galoppare davanti a lui. Gli altri più che vederli li sentiva. "Loro non contano, conta solo Aerion, soltanto lui."

Fissò il drago avanzare. Gli zoccoli del pezzato grigio del principe Aerion sollevavano schizzi di fango e Dunk vide le froge dilatate. La lancia nera era ancora puntata verso l'alto. Un cavaliere che tiene la lancia verticale e la inclina all'ultimo momento rischia sempre di abbassarla troppo, diceva il vecchio. Puntò la lancia mirando al centro del petto del principino. "La lancia fa parte del mio braccio" si ripeteva Dunk. "È il mio dito, un dito di legno. Devo soltanto colpirlo con il mio lungo dito di legno."

Cercò di non guardare l'aguzza punta di ferro all'estremità della lancia nera di Aerion, più grande a ogni falcata. "Il drago, fissa il drago" si ripeteva. Il grande animale a tre teste ricopriva lo scudo del principe, con le sue ali rosse e il fuoco dorato. "No, fissa solo dove devi colpire" ricordò d'un tratto, ma la lancia aveva già cominciato ad allontanarsi dalla traiettoria. Dunk cercò di correggere la mira, ma era troppo tardi. Vide la punta colpire lo scudo di Aerion, trafiggere il drago in mezzo a due delle sue teste e far schizzare una goccia di fiamma dipinta. Mentre gli giungeva il crac attutito, sentì Tuono rinculare sotto di lui, traballante per la forza dell'impatto, e un attimo dopo qualcosa gli penetrò con violenza nel fianco. I cavalli cozzarono l'uno contro l'altro, con schianto e sferragliare di armature mentre Tuono inciampava e la lancia sfuggiva di mano a Dunk. Poi si ritrovò oltre il nemico, aggrappato alla sella nel disperato sforzo di restare in equilibrio. Tuono sbandò nella melma scivolosa e Dunk sentì le zampe che slittavano. Scivolarono, ruotarono e poi i quarti posteriori dello stallone si schiantarono al suolo. «Su, Tuono!» urlò Dunk, dando di speroni. «Su! Tirati su!» In un modo o nell'altro il vecchio cavallo da guerra si rialzò.

Dunk sentiva un dolore acuto sotto le costole e il braccio sinistro era indebolito. La lancia di Aerion aveva trapassato quercia, lana e acciaio; tre piedi di frassino scheggiato e ferro aguzzo sporgevano dal suo fianco. Dunk allungò il braccio destro, afferrò la lancia subito sotto la punta, strinse i denti e la tirò fuori con uno strattone. Il sangue filtrò attraverso le maglie della

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cotta arrossando la sopravveste. Il mondo vacillò e Dunk fu sul punto di cadere. Indistintamente, attraverso il dolore, poteva udire le voci scandire il suo nome. Il bello scudo appena dipinto era ormai inutilizzabile. Gettò via olmo, stella cadente, lancia spezzata, tutto, ed estrasse la spada, ma il dolore era tale che non era sicuro di poterla usare.

Nel girare Tuono in una curva stretta, cercò di capire che cosa stesse succedendo nel resto del campo. Ser Humfrey Hardyng era aggrappato al collo della sua cavalcatura, evidentemente ferito. L'altro ser Humfrey giaceva immobile in una pozza di fango chiazzato di sangue, una lancia spezzata gli spuntava dall'inguine. Vide il principe Baelor passare al galoppo, con la lancia ancora intatta, e disarcionare una delle guardie reali. Un altro cavaliere bianco era già a terra, e anche Maekar era stato disarcionato. La terza guardia reale stava rintuzzando l'attacco di ser Robyn Rhysling.

"E Aerion, dov'è Aerion?" Un rombo di zoccoli alle sue spalle gli fece girare la testa di scatto. Tuono nitrì e si impennò scalciando inutilmente mentre lo stallone grigio di Aerion si scagliava contro di lui al galoppo.

Questa volta non ci furono speranze di recupero. La spada lunga gli sfuggì di mano e la terra gli salì incontro. Il duro impatto con il suolo lo scosse fino al midollo. Il dolore fu così acuto che singhiozzò. Per un momento tutto quello che riuscì a fare fu restare fermo a terra. Il sapore del sangue gli riempiva la bocca. "Dunk il tonto che pensava di poter essere un cavaliere." Sapeva che o si rimetteva in piedi o era morto. Gemendo si fece forza sulle mani e sulle ginocchia. Non riusciva a respirare e nemmeno a vedere: la fessura dell'elmo era ostruita dal fango. Ondeggiando come un cieco, tolse la terra con la mano ricoperta di ferro. "Lì c'è..."

Attraverso le dita scorse un drago volante e una mazza chiodata che roteava in fondo a una catena. Poi la sua testa sembrò scoppiare.

Quando riaprì gli occhi era di nuovo a terra, sdraiato sulla schiena. Il fango era schizzato via dall'elmo, ma adesso aveva un occhio velato di sangue. Sopra di lui soltanto il cielo plumbeo. Sentiva la faccia pulsare e il freddo metallo umido schiacciargli la guancia e la tempia. "Mi ha spaccato la testa e sto morendo." Il peggio era che con lui sarebbero morti anche Raymun, il principe Baelor e gli altri. "Li ho traditi. Non sono un campione, non sono neanche un cavaliere errante. Non sono niente." Ricordò il principe Daeron vantarsi che nessuno era capace di giacere immobile nel fango come lui. "Perché non ha visto Dunk il tonto!" La vergogna era peggio del dolore fisico.

Sopra di lui apparve il drago.Aveva tre teste, e ali vivide come fiamme, rosse, gialle e arancioni. Stava ridendo. «Sei

morto, cavaliere errante?» chiese. «Se chiedi tregua e ammetti la tua colpevolezza, forse mi accontenterò di una mano e di un piede. Oh, e i denti, ma che sarà mai qualche dente? Un uomo come te può vivere anni a crema di piselli.» Il drago rise di nuovo. «No? Allora assaggia questa!» La mazza ferrata roteò nel cielo e calò sulla sua testa veloce come una stella cadente.

Dunk rotolò.Dove trovò la forza non lo sapeva, ma la trovò. Rotolò tra le gambe di Aerion, strinse un

braccio rivestito d'acciaio attorno alla sua coscia, lo trascinò nel fango mentre lui lanciava imprecazioni, e gli si gettò sopra. "Ci provi adesso a roteare la sua maledetta mazza." Il principe cercò di sbattere il bordo dello scudo contro la testa di Dunk, ma l'elmo ammaccato resse all'urto. Aerion era forte, ma Dunk, più grosso e anche più pesante, era più forte di lui. Afferrò lo scudo con entrambe le mani e lo torse finché le cinghie cedettero. A quel punto lo sbatté sull'elmo del principe, più e più volte, mandando in frantumi le fiamme smaltate del cimiero. Lo scudo era più grosso di quello di Dunk, solida quercia rinforzata. Una delle fiamme andò a pezzi, poi un'altra. Il principe rimase senza fiamme prima che Dunk rimanesse senza fiato.

Alla fine Aerion mollò la mazza e cercò di afferrare il pugnale che teneva al fianco. Riuscì a toglierlo dal fodero, ma quando Dunk gli schiacciò con forza la mano con lo scudo, il coltello cadde nel fango.

"Potresti vincere ser Duncan l'Alto ma non Dunk di Fondo delle Pulci." Il vecchio gli aveva insegnato a giostrare e a usare la spada, ma quel tipo di lotta l'aveva imparata prima, nei vicoli bui e nelle stradine tortuose dietro le bettole della città. Dunk buttò via lo scudo ammaccato e sollevò la visiera di Aerion.

La visiera è un punto debole, come gli aveva detto Steely Patee. Il principe aveva quasi smesso di dibattersi. I suoi occhi erano rossi e dilatati dal terrore. Dunk avvertì l'improvviso- -impulso di cavargliene uno e schiacciarlo come un acino d'uva tra le dita d'acciaio, ma non sarebbe stato cavalleresco. «ARRENDITI!» gridò.

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«Mi arrendo» sussurrò il drago, quasi senza muovere le labbra pallide. Dunk lo guardò stupito. Per un attimo non riuscì a credere alle sue orecchie. "Allora è finita?" Girò lentamente la testa prima da una parte poi dall'altra, sforzandosi di vedere. La fessura era in parte chiusa dal colpo che aveva preso sul lato sinistro. Scorse il principe Maekar con la mazza in mano, che cercava di aprirsi un varco per soccorrere il figlio. Il principe Baelor lo stava tenendo a bada.

Dunk si alzò in piedi barcollando e tirò su anche il principe Aerion. Cercò a tentoni i lacci dell'elmo, se lo tolse e lo scagliò via. D'un tratto fu sommerso da immagini e suoni: grugniti e imprecazioni, le urla della folla, i nitriti di uno stallone e lo scalpitio degli zoccoli di un cavallo che galoppava per il campo senza cavaliere. Dappertutto l'acciaio risuonava contro l'acciaio. Raymun e suo cugino stavano menandosi fendenti davanti alla tribuna, entrambi a piedi. I loro scudi erano ridotti a un ammasso di schegge, la mela verde e quella rossa potevano giusto servire per accendere il fuoco. Una delle guardie reali stava portando un confratello ferito fuori dal campo. Tutti in bianco, armatura e cappa, sembravano uguali. Il terzo cavaliere bianco era a terra, e la Tempesta-che-ride si era affiancato al principe Baelor contro il principe Maekar. Mazza, grande ascia e spada lunga sbattevano e sferragliavano contro elmo e scudo. Maekar incassava tre colpi per ognuno che metteva a segno e Dunk capì che sarebbe stato presto sopraffatto. "Devo porre fine al combattimento prima che ci siano altri morti."

Il principe Aerion si chinò di scatto per prendere la mazza. Dunk gli diede un calcio nel fondoschiena e lo fece cadere a faccia in giù, poi lo prese per una gamba e lo trascinò attraverso il campo. Nel tempo che occorse per arrivare alla tribuna dove sedeva lord Ashford, il principe Chiarafiamma era diventato marrone come una latrina. Dunk lo rimise in piedi e lo scrollò, schizzando un po' di fango su lord Ashford e la bella pulzella. «Diglielo!»

Aerion Chiarafiamma sputò una zolla di erba e terra. «Ritiro l'accusa.»

In seguito Dunk non sarebbe stato in grado di dire se aveva lasciato il campo con le sue gambe o se era stato aiutato. Gli faceva male dappertutto, in alcuni punti più che in altri. "Adesso sarò un vero cavaliere?" ricordava di essersi domandato. "Un campione?"

Egg lo aiutò a togliersi gambiere e gorgiera, insieme a Raymun e anche a Steely Pate. Dunk era troppo confuso per distinguerli. Per lui erano solo mani che lo strattonavano. Riconobbe Pate, che si lamentava. «Guarda come mi ha ridotto l'armatura» diceva. «Tutta ammaccata e graffiata. Aye, mi chiederai, perché mi preoccupo? Tanto per poterla togliere temo che gliela dovrò tagliare.»

«Raymun» chiamò Dunk ansioso, afferrando le mani dell'amico. «E gli altri, come stanno?» Aveva urgente bisogno di sapere. «Qualcuno di loro è morto?»

«Beesbury» rispose Raymun. «Ucciso da Donnei di Duskendale alla prima carica. Anche l'altro ser Humfrey è gravemente ferito. Per il resto solo lividi ed escoriazioni. A parte te.»

«E loro? Gli accusatori?»«Ser Willem Wylde della guardia reale è stato portato fuori dal campo privo di sensi, e io

penso di avere frantumato qualche costola a mio cugino, o almeno lo spero.»«E il principe Daeron?» proruppe Dunk. «È sopravvissuto?»«Dopo che ser Robyn lo ha disarcionato, non si è più mosso. Probabilmente ha un piede

rotto. Il suo cavallo gli è passato sopra mentre galoppava per il campo senza cavaliere.»Stordito e confuso, Dunk provò un enorme sollievo. «Allora il suo sogno non si è avverato. Il

drago morto. A meno che Aerion non sia rimasto ucciso. Ma non è così, vero?»«No» confermò Egg. «Lo hai risparmiato. Non rammenti?»«Credo di sì.» I suoi ricordi del combattimento stavano già diventando vaghi e confusi. «Un

momento mi sono sentito come ubriaco, e il momento dopo il dolore era tale che ero sicuro di morire.»

Lo fecero sdraiare sulla schiena continuando a parlare sopra di lui che intanto fissava il cielo sempre più grigio. Aveva l'impressione che fosse ancora mattino. Si chiese quanto fosse durato il combattimento.

«Dèi misericordiosi! La punta della lancia gli ha fatto penetrare la maglia di ferro nella carne» sentì che diceva Raymun. «Andrà in cancrena, se non...»

«Fallo ubriacare e poi versaci sopra dell'olio bollente» suggerì qualcuno. «I maestri fanno così.»

«Del vino!» La voce risuonò sepolcrale, metallica. «L'olio lo ucciderebbe, bisogna usare vino bollente! Farò venire il maestro Yormwell a dargli un'occhiata, appena finisce di medicare mio fratello.»

In piedi sopra di lui c'era un cavaliere alto, con l'armatura nera ammaccata e sfrisata da

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numerosi colpi. "Il principe Baelor." Il drago scarlatto sopra il suo elmo aveva perso una delle teste, le ali e quasi tutta la coda. «Vostra grazia» disse Dunk. «Mi metto al tuo servizio. Ti prego, al tuo servizio.»

«Sì, ho bisogno di uomini valorosi, ser Duncan.» Il cavaliere nero appoggiò una mano sulla spalla di Raymun per non cadere. «Al regno servono...» La sua voce era stranamente impastata, forse si era morso la lingua.

Dunk era sfinito, faticava a stare sveglio. «Al tuo servizio» mormorò ancora una volta.Il principe mosse lentamente la testa da una parte e dall'altra e si guardò intorno. «Ser

Raymun... l'elmo, per favore. La visiera... si è spaccata e le mie dita sono rigide come pezzi di legno.»

«Subito, vostra grazia.» Raymun prese l'elmo del principe con entrambe le mani ed emise un grugnito. «Messer Pate, dammi una mano.»

Steely Pate andò a prendere uno sgabello. «La parte posteriore è schiacciata, vostra grazia, sul lato sinistro. Si è incastrata nella gorgiera. Ottimo acciaio, per fermare un colpo del genere.»

«Probabilmente la mazza ferrata di mio fratello» disse Baelor con voce indistinta. «Lui è forte.» Fece una smorfia. «Mi gira la testa...»

«Ecco fatto.» Pate tolse l'elmo ammaccato. «Dèi misericordiosi, oh, proteggete...»Dunk vide fuoriuscire dall'elmo qualcosa di rosso e di umido. Qualcuno lanciò un urlo, acuto

e spaventoso. Contro il vuoto cielo grigio ondeggiava un principe alto con l'armatura nera e senza metà del cranio. Vide il sangue rosso e le ossa chiare, e sotto qualcos'altro, qualcosa di grigio-bluastro, che pulsava. Sul viso di Baelor Lancia Spezzata passò una strana espressione offuscata, come una nuvola davanti al sole. Alzò una mano e si toccò la nuca con due dita, oh, un gesto così lieve. Poi cadde.

Dunk intercettò la sua caduta. «Su!» dicono che gli abbia detto, come aveva fatto con Tuono durante la mischia. «Tirati su!» Ma lui in seguito non se ne ricordò mai, e il principe non si alzò.

Baelor di Casa Targaryen, principe di Roccia del Drago, Primo Cavaliere del re, protettore del regno e legittimo erede al Trono di Ferro dei Sette Regni dell'Occidente: il suo corpo venne bruciato nel cortile del castello di Ashiord, sulla riva settentrionale del fiume Cockleswent. Altre grandi Case possono scegliere di seppellire i loro morti nella scura terra o gettarli nelle fredde acque verdi del mare, ma i Targaryen erano sangue del drago, e la loro fine doveva avvenire per mezzo del fuoco.

Era stato il più grande cavaliere della sua epoca e secondo alcuni sarebbe dovuto andare nell'aldilà rivestito con la cotta di maglia e la corazza, e con la spada in pugno. Alla fine, però, prevalse il volere del padre, e re Daeron II era un uomo di indole pacifica. Quando Dunk, reggendosi a stento in piedi, passò vicino alla bara di Baelor, vide che il principe indossava una tunica di velluto nero con il ricamo scarlatto del drago a tre teste sul petto. Al collo portava una pesante catena d'oro. La spada giaceva al suo fianco nel fodero, sulla testa però aveva l'elmo, un elmo d'oro sottile con la visiera sollevata in modo che la gente potesse vedere il suo viso.

Valarr, il Giovane Principe, vegliava ai piedi della bara in cui giaceva il padre in abiti da cerimonia. Era una versione più bassa, magra e bella del progenitore, senza il naso due volte fratturato che faceva sembrare Baelor più un uomo del popolo che un re. Valarr aveva i capelli castani, attraversati da una luminosa striatura oro e argento. Quando Dunk la vide gli tornò alla mente l'immagine di Aerion, anche se sapeva che non era giusto associarlo a lui. I capelli di Egg stavano rispuntando chiari come quelli del fratello e il ragazzo aveva un aspetto abbastanza consono a un principe.

Quando si fermò per porgere imbarazzato le sue condoglianze, inframmezzate da ringraziamenti, il principe Valarr lo fissò con azzurri occhi glaciali e disse: «Mio padre aveva solo trentanove anni. Sarebbe potuto diventare un grande re, il più grande dopo Aegon il' Drago. Perché gli dèi hanno preso lui e hanno lasciato te?» Scosse la testa. «Vattene, ser Duncan, vattene via.»

Senza parole, Dunk uscì zoppicando dal castello, dirigendosi all'accampamento vicino allo specchio d'acqua verde. Non aveva risposte per Valarr, né per le domande che egli stesso si poneva. I maestri e il vino bollente avevano fatto il loro dovere, e la ferita stava guarendo bene, anche se gli sarebbe rimasta una profonda cicatrice grinzosa tra il braccio sinistro e il capezzolo. Ogni volta che la guardava non poteva fare a meno di pensare a Baelor. "Mi ha salvato la vita una volta con la spada e una volta con le parole, anche se quando le pronunciò

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era già morto." Il mondo era senza senso se un grande principe moriva perché un cavaliere errante potesse vivere. Dunk sedette sotto l'olmo e si fissò con aria cupa un piede.

Un pomeriggio, quando quattro guardie con l'uniforme reale irruppero nell'accampamento, era sicuro che alla fine fossero venuti a ucciderlo. Troppo debole per impugnare una spada, rimase seduto ad attenderli con la schiena appoggiata al tronco dell'olmo.

«Il nostro principe ti prega di concedergli un colloquio privato.»«Quale principe?» chiese Dunk cautamente.«Questo principe» disse una voce brusca prima che il capitano potesse rispondere, e da

dietro l'olmo spuntò Maekar Targaryen.Dunk si mise faticosamente in piedi. "Che cosa vorrà adesso da me?"Appena Maekar si fece avanti, le guardie sparirono rapide come erano comparse. Il principe

fissò Dunk per un lungo istante, poi si voltò e fece qualche passo, fermandosi vicino alla pozza d'acqua a guardare la propria immagine riflessa. «Ho mandato Aerion a Lys» annunciò d'un tratto. «Qualche anno nelle città libere può solo fargli bene.»

Dunk non era mai stato nelle città libere, per cui non sapeva che cosa replicare. Era contento che Aerion avesse lasciato i Sette Regni e sperava che non ci sarebbe più tornato, ma non era una cosa da dire a un padre riguardo al figlio. Restò in silenzio.

Il principe Maekar si voltò verso di lui. «C'è chi insinuerà che volevo uccidere mio fratello. Gli dèi sanno che è una menzogna, ma i sussurri mi perseguiteranno fino al giorno della mia morte. Ed è stata la mia mazza a vibrare il colpo letale, non ci sono dubbi in proposito. Gli unici altri avversari che ha affrontato nella mischia sono stati tre guardie reali, il cui giuramento impediva loro di fare altro che difendersi. Quindi sono stato io. Stranamente non ricordo il colpo che gli ha maciullato il cranio. È una grazia o una maledizione? L'una e l'altra, credo.»

Dal modo in cui guardava Dunk, il principe sembrava aspettarsi una risposta. «Non saprei dire, vostra grazia.» Forse avrebbe dovuto odiare Maekar, invece provava una strana simpatia per lui. «Tu hai fatto roteare la mazza, milord, ma il principe Baelor è morto per causa mia. Quindi io sono altrettanto responsabile.»

«Sì» ammise il principe. «Anche tu sentirai i sussurri. Il re è vecchio. Quando morirà, Valarr salirà sul Trono di Ferro al posto del padre. Ogni volta che si perderà una battaglia o andrà male un raccolto, gli stolti diranno: "Baelor non lo avrebbe permesso, ma il cavaliere errante lo ha ucciso".»

Dunk capì che aveva ragione. «Se non avessi combattuto, mi avreste tagliato via una mano. E un piede. A volte, siedo sotto questo albero, mi guardo i piedi e mi domando se non avrei potuto sacrificarne uno. Come può un mio piede valere la vita di un principe? Anche gli altri, i due Humfrey, erano uomini validi.» Ser Humfrey Hardyng era deceduto la notte prima in seguito alle ferite.

«E l'albero che risposta ti dà?»«Nessuna che io possa recepire. Ma il vecchio, ser Arlan, ogni giorno al tramonto diceva:

"Chissà che cosa ci riserverà il domani". Non lo sapeva, come non lo sappiamo noi. Be', e se dovesse arrivare il giorno in cui avrò bisogno di questo piede? _ Un giorno in cui il regno avrà bisogno di questo piede, più ancora della vita di un principe?»

All'udire quelle parole Maekar strinse i denti, le mascelle si contrassero sotto la barba argento chiaro, facendo assumere al viso un forma squadrata. «Non succederà» sibilò. «Il regno ha un'infinità di cavalieri erranti, tutti con i piedi.»

«Se vostra grazia ha una risposta migliore, sono pronto ad ascoltarla.»Maekar aggrottò la fronte. «Può darsi che gli dèi abbiano una inclinazione per gli scherzi

crudeli. O magari gli dèi non esistono. Forse nessuna di queste risposte ha senso. Lo chiederei all'Alto Septon, ma l'ultima volta che sono andato da lui mi ha detto che nessuno può realmente capire l'operato degli dèi. Forse dovrei provare a dormire sotto un albero.» Fece una smorfia. «Il mio figlio minore sembra essersi molto affezionato a te, ser. È ora che diventi uno scudiero, ma dice che non vuole servire altri cavalieri che te. È un piccolo ribelle, come avrai notato. Lo vuoi prendere con te?»

«Con me?» La bocca di Dunk si aprì e si richiuse, poi si aprì di nuovo. «Egg... Aegon, cioè... è un bravo ragazzo, ma... vostra grazia, so che è un onore, ma io... sono solo un cavaliere errante.»

«A questo si può porre rimedio» disse Maekar. «Aegon è tornato nel mio castello a Summerhall. Là c'è posto anche per te, se vuoi. Come cavaliere del mio castello. Mi giurerai obbedienza e Aegon potrà farti da scudiero. Mentre lui imparerà, il mio maestro d'armi

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completerà la tua formazione.» Il principe gli lanciò un'occhiata penetrante. «Il tuo ser Arlan ha fatto tutto quello che ha potuto, ma hai ancora molto da imparare.»

«Lo so, milord.» Dunk si guardò intorno. L'erba verde e le canne, il grande olmo, le increspature sulla superficie dell'acqua illuminata dal sole. Un'altra libellula stava sorvolando l'ansa del ruscello, o forse era la stessa. "Che cosa saranno, Dunk?" si chiese. "Draghi o libellule?" Qualche giorno prima avrebbe risposto senza esitare. Era quello che aveva sempre sognato, ma adesso che quella prospettiva era realizzabile lo spaventava. «Appena prima che il principe Baelor morisse, ho giurato di mettermi al suo servizio.»

«Presuntuoso da parte tua» replicò Maekar. «E lui che cosa ti ha risposto?»«Che il regno aveva bisogno di uomini valorosi.»«Questo è vero. E dunque?»«Prenderò tuo figlio come scudiero, vostra grazia, ma non a Summerhall. Almeno non per

un anno o due. Ha visto abbastanza castelli, oserei dire. Può stare con me a patto che mi segua nelle mie peregrinazioni.» Indicò il vecchio Castagna. «Cavalcherà il mio destriero, indosserà la mia vecchia cappa, terrà la mia spada affilata e la mia cotta lucida. Dormiremo nelle taverne e nelle stalle, e di tanto in tanto sotto il tetto di qualche cavaliere con possedimenti terrieri o di qualche lord minore, e magari sotto gli alberi, se vi saremo costretti.»

Il principe Maekar lo guardò incredulo. «Di' un po', il combattimento ti ha offuscato la mente? Aegon è un principe reale, sangue del drago. I principi non sono fatti per dormire nei fossati e mangiare carne di manzo secca.» Vide Dunk esitare. «Che cosa hai paura di dirmi? Vuota il sacco, ser.»

«Scommetto che Daeron non ha mai dormito in un fosso» disse Dunk, molto tranquillo «e probabilmente Aerion ha sempre mangiato solo carne tenera e al sangue.»

Maekar Targaryen, principe di Summerhall, guardò per un lungo istante Dunk di Fondo delle Pulci; la sua mascella si contraeva sotto la barba argento. Alla fine si voltò e andò via, senza una parola. Dunk lo sentì allontanarsi a cavallo con i suoi uomini. Una volta che loro furono partiti, non si udì più alcun rumore, a parte il leggero vibrare delle ali della libellula che volava a pelo dell'acqua.

Il ragazzo arrivò il mattino successivo, appena dopo il levarsi del sole. Indossava vecchi stivali, brache marroni, una tunica di lana dello stesso colore e una vecchia mantella da viaggio. «Il lord mio padre dice che ti devo servire.»

«Ti devo servire, ser» puntualizzò Dunk. «Per prima cosa puoi sellare i cavalli. Castagna è tuo, trattalo bene. Non voglio trovarti sopra Tuono, a meno che non sia io a metterti sulla sua groppa.»

Egg andò a prendere le selle. «Dove andiamo, ser?»Dunk ci pensò un momento. «Non sono mai stato oltre le Montagne Rosse. Ti piacerebbe

dare un'occhiata a Dorne?»Egg sorrise. «Ho sentito dire che fanno spettacoli di marionette.»

*"The Hedge Knight" copyright © 1998 by George R.R. Martin.

Un regalo di

FINE

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