Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

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Quaderni della ricerca n. 102 - settembre 2009 Dipartimento SAIFET Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente www.regione.lombardia.it Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione anaerobica ConDIFA LOMBARDIA COSTRUIAMOLA INSIEME. Il sito della ricerca in agricoltura www .agricoltura.r egione.lombar dia.it

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Quaderni della ricercan. 102 - settembre 2009

Dipartimento SAIFET Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente

www.regione.lombardia.it

Concentratore innovativoper il digestato di

fermentazione anaerobicaConDIFA

LOMBARDIA COSTRUIAMOLA INSIEME.

Il sito della ricerca in agricolturawww.agricoltura.regione.lombardia.it

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Concentratore innovativoper il digestato di

fermentazione anaerobicaConDIFA

Quaderni della ricercan. 102 - settembre 2009

Dipartimento SAIFET Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente

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Studio condotto nell’ambito del progetto di ricerca n. 1136: Studio relativo ad un concentrato-re innovativo a ridotto consumo energetico e limitati costi di gestione per il digestato di fer-mentazione anaerobica. (d.g.r. 2 agosto 2007, n. 5214 - Piano per la ricerca e lo sviluppo 2007).

Autori del testo

Antonio PanviniComitato Termotecnico Italiano

Ester Foppa PedrettiGiuseppe Toscano

Fabrizio CorinaldesiUniversità Politecnica delle Marche - SAIFET

Coordinamento scientificoProf. Giovanni Riva

[email protected]

Per informazioni:

Regione Lombardia - Direzione Generale AgricolturaU.O. Interventi per la competitività e l’innovazione tecnologica delle aziende

Struttura Ricerca e innovazione tecnologicaVia Pola, 12/14 - 20124 Milano

Tel. +39.02.6765.2537 - Fax +39.02.6765.2757e-mail: [email protected]

Referente: Gianpaolo Bertoncini - Tel. +39.02.6765.2524e-mail: [email protected]

© Copyright Regione Lombardia

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Sommario

PRESENTAZIONE 5

SINTESI DELLO STUDIO E CONCLUSIONI 7

RACCOMANDAZIONI 15

1 IL PROBLEMA DELL’AZOTO 171.1 Premessa 171.2 La Direttiva Nitrati 181.3 Il recepimento regionale e nazionale della Direttiva 191.4 L’impatto della normativa 211.5 Osservazioni conclusive 22

2 TECNOLOGIE PER LA RIMOZIONE DELL’AZOTO DAI REFLUI 232.1 Premesse 232.2 Processi chimico-fisici 242.3 Processi biologici 292.4 Sintesi sui processi di rimozione (strippaggio e concentrazione esclusi) 35

3 CARATTERISTICHE DEL DIGESTATO 37

4 LA TECNOLOGIA DELLO STRIPPAGGIO 394.1 Basi del processo 394.2 Configurazioni impiantistiche 404.3 Influenza del pH 424.4 Influenza della Temperatura 434.5 Tasso di rimozione dell’ammoniaca disciolta nel refluo 434.6 Portata dell’aria di lavaggio 44

5 LA TECNOLOGIA DELLA CONCENTRAZIONE 455.1 Introduzione 455.2 Calcolo della quantità di acqua da evaporare 455.3 I composti volatili 465.4 Configurazioni Impiantistiche 47

6 PROVE SVOLTE: MATERIALI E METODI 516.1 Premesse 516.2 Dispositivi ed impianti utilizzati 516.3 Apparati e metodi di misura 566.4 L’analisi degli indici di processo e dei costi di esercizio 60

7 RISULTATI OTTENUTI 637.1 Premesse 637.2 Strippaggio a media temperatura 637.3 Analisi degli indici di processo 68

8 CONSIDERAZIONI FINALI 71

9 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 73

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Quaderni della ricerca

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Presentazione

La Regione Lombardia, in materia di nitrati, sta promuovendo da qualcheanno molteplici attività di ricerca per ottemperare alle richieste dellaCommissione Europea di limitare l’impatto ambientale del comparto zoo-tecnico.Uno dei principali temi è quello del controllo del potenziale inquinamentodelle falde seguendo le indicazioni della Direttiva “Nitrati” (91/676/CEE),che ha avuto recepimento a livello nazionale nel 2006 e ha sollecitato ladesignazione di ulteriori aree vulnerabili anche in Lombardia.

In tale ambito risulta ancora strategico impegnarsi nello studio di soluzioniper la corretta gestione ambientale degli effluenti di allevamento.

Le strategie applicabili tendono all’adozione di tecnologie che trattano gli effluenti di allevamento in mododa valorizzarne le funzioni fertilizzanti, ottenendo prodotti che possono essere valorizzati sul mercato, conparticolare riguardo al recupero dell’azoto contenuto.

Gli studi finanziati dalla Regione considerano soluzioni operative che possano essere applicate in impianticonsortili o in impianti realizzabili in aziende agricole di dimensioni medio-grandi.

Nello specifico, questo Quaderno della Ricerca si propone di fornire un contributo per illustrare le presta-zioni offerte da due sistemi idonei per la gestione della frazione liquida ottenuta dal trattamento deglieffluenti di allevamento. Un contributo per risolvere la sfida di contenere i costi dei processi di utilizzo degli effluenti in modo darenderli compatibili con lo sviluppo delle attività zootecniche.

Il lavoro si inquadra in una più ampia strategia della Regione che si sta dotando di strumenti e conoscenzeper dare risposte concrete al mondo produttivo e più in generale ai cittadini, nel rispetto delle indicazionifissate dall’Unione Europea in tema di sostenibilità ambientale, protezione del suolo e valorizzazione dellerisorse idriche.

Luca Daniel FerrazziAssessore all’Agricoltura

Regione Lombardia

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Quaderni della ricerca

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Sintesi dello studio e conclusioni

Scopo dello studio

Lo Studio affronta, sulla base di valutazioni sperimentali appositamente svolte, la fattibilità tecnica ed eco-nomica delle tecnologie di strippaggio e concentrazione dei liquami zootecnici ai fini del controllo del ciclodell’azoto contenuto nelle deiezioni zootecniche.Da un punto di vista generale, le tecniche oggi a disposizione per tale finalità sono riassunte in Tabella A1.

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Quaderni della ricerca

Lo Studio in una prima parte analizza i singoli processi per poi analizzare più in dettaglio le tecniche distrippaggio dell’ammoniaca e di concentrazione dei liquami. Questi processi sono definibili “termici”, in quanto il loro funzionamento richiede una sensibile quantità dicalore che, in presenza di impianti di deiezione anaerobica, è normalmente resa disponibile a costi sostan-zialmente nulli dai gruppi elettrogeni alimentati a biogas.Per disporre dei dati necessari a impostare delle valutazioni economiche si è quindi reso necessario stu-diare a fondo i processi in oggetto attraverso la realizzazione di:• un impianto pilota a colonna a letto percolante per lo strippaggio dell’azoto ammoniacale funzionante a

media temperatura (fino a 45° C circa) e capace di trattare circa 5 m3/giorno di liquame; • un dispositivo sperimentale su scala ridotta per lo strippaggio dell’azoto ammoniacale a temperatura più

elevata (fino a 80-90° C); • un dispositivo su scala ridotta per la concentrazione e l’evaporazione dei liquami.

Nel corso del programma di lavoro è stata allargata l’attività anche all’analisi del processo di correzione delpH del digestato sviluppando dei test su un dispositivo in scala ridotta per la de-alcalinizzazione.I test sono stati condotti con digestati provenienti da impianti di digestione anaerobica operanti nella regio-ne Lombardia con caratteristiche sintetizzate nella Tabelle A1 e A3.

Tabella A1 - Sistemi di rimozione dell’azoto

Tipologia di processo

Processi chimico-fisici

Processi biologici

Tecnologia di rimozione

Separazione meccanica

Separazione con membrane

Microfiltrazione e ultrafiltrazione (UF) Osmosi Inversa (OI) Elettrodialisi (ED)

Precipitazione chimica di sali di ammonio (Struvite)

Strippaggio ammoniaca

Evaporazione/Concentrazione

Nitrificazione-denitrificazione

Processi basati sulla ossidazione arrestata a nitrito

Digestione anaerobica

Processi biologici innovativi

Processo Anammox Processo MBR

Tabella A2 - Tipologia di digestati utilizzati nei programmi sperimentali.

DIGESTATO

A

B

C

D

E

TIPOLOGIA DIGESTATO

Liquame bovino + trinciato mais + polpa cipolle

Liquame bovino + trinciato mais + trinciato triticale

Liquame suino + trinciato triticale + trinciato mais + polpa barbabietola

Liquame suino

Pollina + mais ceroso + insilato erba medica

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In termini di azoto ammoniacale (DNA) risulta possibile raggiunge anche valori dell’84% (Figura A2; dige-stato A a 45° C). Le prestazioni più limitate si riscontrano a temperature di 20° C con DNA che si attestanotra il 55% ed il 64% circa.

Strippaggio con colonna a letto percolante a media temperatura (impianto pilota)Nell’ambito di questi test sono state utilizzate tutte le tipologie di digestato indicate nella Tabella A2.Indicando con DNT il differenziale dei valori di concentrazione dell’azoto totale (NT) del digestato prima diessere introdotto in colonna e in uscita da questa nella Figura A1 è possibile osservare l’incidenza della tem-peratura sulla quantità di NT strippato. Le riduzioni di azoto totale variano quindi, in dipendenza dalle diver-se condizioni, dal 40% al 70% circa.

Risultati sperimentali

Figura A1 - Strippaggio con impianto pilo-ta: riduzione di NT (azoto totale; calcoloeffettuato rispetto al valore iniziale) ottenuticon i diversi digestati per tre livelli di tem-peratura (pH = 10,5).

Tabella A3 - Contenuto di Ss e concentrazione (su s.s.) di alcuni elementi contenuti nei digestati impiegati.

DIGESTATO

A

B

C

D

E

SOSTANZA

SECCA

(%)

2,4

1,8

1,8

0,9

3,3

Ca

(mg/kg)

14110

9520

18470

26420

39580

Mg

(mg/kg)

992

1177

1550

2901

4069

Na

(mg/kg)

71020

102100

24290

58910

10250

P

(mg/kg)

12100

14630

26000

30780

44790

Zn

(mg/kg)

291

196

382

654

690

K

(mg/kg)

69360

74100

49780

213200

138600

Figura A2 - Strippaggio con impianto pilo-ta: valori di DNA per i diversi digestati nelletre condizioni di temperatura (pH = 10,5).

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Concentrazione del digestato per evaporazione (test di laboratorio)La Figura A4 evidenzia, in funzione del valore di pH e della massa evaporata, l’andamento del DNT. Il pHdel digestato è quindi importante sull’efficienza del processo, che in questo caso mira alla conservazionedella massa di azoto totale nel concentrato. In particolare, si osserva che con pH inferiori a 6,5 i valori diDNT risultano inferiori al 15%: in altri termini circa l’85% del NT rimane nel prodotto concentrato. In gene-rale, minore è il valore iniziale del pH del digestato, maggiore è la quantità di azoto che rimane nel con-centrato finale. Con pH superiori a 7, il processo è accompagnato da un trasferimento di importanti quan-tità di azoto nel distillato. A esempio, senza la modifica dell’alcalinità del digestato (pH 8,4), si osservacome già con il 33% della massa evaporata più del 50% di NT passa nel distillato.

Figura A4 - Test di concentrazione: anda-mento di NT nella massa di evaporato in fun-zione della incidenza di quest’ultima sullaquantità di digestato iniziale.

Strippaggio a temperature temperature più elevate (test di laboratorio)Nel grafico di Figura A3 è visibile l’effetto della variazione del pH e della temperatura del digestato sullarimozione di ammonio dal prodotto. I valori di DNA osservati a pH 10,5 e a 45° C sono del tutto simili a quelli ottenuti nelle stesse condizioniin laboratorio, il che evidenzia come i risultati ottenuti con l’impianto pilota e l’apparato sprimentale sianoconfrontabili. È interessante notare come alle stesse condizioni di pH a 80° C i valori di DNA raggiungono il 100%. Senzamodificare pH (8,5) si ottengono prestazioni di poco superiori a quelli ottenibili a 45° C e pH = 10,5.

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Figura A3 - Test di strippaggio in laborato-rio: andamento di DNA (resa di strippaggio)in funzione del pH e della temperatura.

De-alcalinizzazione con anidride carbonica (test di laboratorio)Nella Figura A5 vengono riportati i risultati dei test relativi alla modifica del pH del digestato basico amezzo di anidride carbonica (simulazione dell’utilizzo dei gas di scarico dei motori alimentati a biogas perquesta finalità).

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Bilancio energeticoIl sistema basato sulla concentrazione, confrontato con le due tecniche di strippaggio a diversi livelli di tem-peratura, richiede un maggiore consumo energetico (Figura A7). Più precisamente, i consumi specifici

Figura A6 - Valori minimi e massimi deiconsumi e delle produzioni specifiche per lediverse tecniche di rimozione dell’azotoimpiegate.

Bilancio di massaNel grafico di Figura A6 sono riportati i valori dei consumi e delle produzioni specifiche per unità di volu-me di digestato trattato con le tre modalità di rimozione dell’azoto considerate nel programma sperimenta-le. Data la variabilità delle caratteristiche del digestato (soprattutto in termini di azoto totale e di sostanzasecca) si è ritenuto più adatto riportare i valori minimi e massimi dei diversi parametri.L’impiego della soda riguarda il solo processo di strippaggio a media temperatura. Dai test di laboratorioeffettuati è stato possibile valutare un consumo specifico compreso tra 8,8 kg e 11,4 kg/m3 di digestato.Per ciò che riguarda l’uso di acido solforico, previsto in tutti i processi esaminati, si verifica una variabili-tà più contenuta. In ogni caso sono necessarie elevate dosi di prodotto: da un minimo di 8,8 kg per i pro-cessi svolti a meno di 45° C a un massimo di 10,8 kg/m3 di digestato per temperature di 80°C. Per la tecnica di concentrazione si stima invece un impiego variabile tra i 3 ed i 3,3 kg/m3. Per ciò che concerne la produzione di solfato di ammonio, da considerare solo per la tecnica dello strip-paggio, le produzioni superano di poco i 15 kg/m3 per temperature inferiori a 45°C e raggiungono i 18 kg/m3

a 80°C.

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Figura A5 - Test di de-alcalinizzazione:andamento del pH del digestato in funzionedel flusso di CO2. I due valori di portata diCO2 corrispondono a portate normalizzatedi 7,6 e 18 m3/h per m3 di digestato.

Bilanci di massa, energia e costi

È stato considerato un valore del pH di circa 10,5 (rappresentativo di un digestato alcalinizzato e strippato)ed è risultato possibile raggiungere valori di pH di 8,5 (rappresentativo di un digestato non alcalinizzato),in un tempi variabili tra 60 e 165 minuti, rispettivamente con portate equivalenti di CO2 di 7,6 e 18 m3/hper m3 di digestato.

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Costi di processoLe Figura A9 e A10 mostrano i valori stimati dei costi specifici calcolati, nel caso due scenari (A e B) chesi differenziano sostanzialmente per l’opportunità di usufruire o meno del calore messo gratuitamente a dis-posizione da gruppi elettrogeni alimentati a biogas (nell’ipotesi di effettuare i processi di rimozione dell’a-zoto laddove esista un impianto di fermentazione anaerobica di sufficienti dimensioni). Un primo aspetto che si evidenzia è relativo alla forte differenza dei costi specifici della tecnica di concen-trazione tra lo scenario A (sfavorevole) che oscillano tra 27 e 37 €/m3 di digestato, e lo scenario B (favore-vole) dove i costi crollano tra 2,6 e 3,0 €/m3. La riduzione dei costi specifici tra i due scenari è importante anche nel caso della tecnica di strippaggio.Gli effetti sono più evidenti per la variante operativa operante a 80°C che passa da 15,5 -18,9 €/m3 a 4,2 –4,7 €/m3 (Tabelle A4 e A5).

Figura A8 - Confronto tra i consumi ener-getici specifici suddivisi in termici ed elet-trici in funzione delle tre tecniche di rimo-zione dell’azoto.

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oscillano tra 1.100 e 1.500 MJ/m3 di digestato, in funzione della tipologia impiantistica considerata (eva-poratori a due o a tre effetti). La tecnica dello strippaggio comporta invece consumi che variano tra 400-500 MJ/m3 e 120-150 MJ/m3

rispettivamente per livelli di temperatura di 80°C e inferiori a 45° C.L’analisi dei consumi energetici elettrici e termici (Figura A8) mette in luce gli elevati consumi di energiatermica della tecnica di concentrazione.

Figura A7 - Bilanci energetici totali: valoriminimi e massimi dei consumi specifici (perm3 di digestato) per le tre tecniche conside-rate (strippaggio a due livelli di temperaturae concentrazione).

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Figura A10 - Costi specifici per unità divolume di prodotto trattato - scenario B(ipotesi di recupero dell’energia termica dagruppi elettrogeni alimentati a biogas acostu nulli; situazione favorevole).

Tabella A4 - Suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario A; energia termica a prezzi di mercato).

VOCE DI COSTO

Energia elettrica (€/m3)

Soda (€/m3)

Acido solforico (€/m3)

Energia termica (€/m3)

Min

4,00

3,94

4,40

0,23

STRIPPAGGIO

Processo a 45° C Processo a 80° CCONCENTRAZIONE

Max

4,80

5,12

4,90

0,30

Min

3,57

0,00

4,90

7,11

Max

4,29

0,00

5,39

9,24

Min

1,94

0,00

1,50

23,68

Max

2,32

0,00

1,65

33,27

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Figura A9 - Costi specifici per unità divolume di prodotto trattato - scenario A(energia termica a costi di mercato; situa-zione sfavorevole).

Tabella A5 - Suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario B; energia termica a costi nulli).

VOCE DI COSTO

Energia elettrica (€/m3)

Soda (€/m3)

Acido solforico (€/m3)

Energia termica (€/m3)

Min

1,13

3,94

4,40

0,23

STRIPPAGGIO

Processo a 45° C Processo a 80° CCONCENTRAZIONE

Max

1,35

5,12

4,90

0,30

Min

1,00

0,00

4,90

7,11

Max

1,21

0,00

5,39

9,24

Min

1,09

0,00

1,50

23,68

Max

1,31

0,00

1,65

33,27

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Conclusioni

Analizzando le prestazioni dei sistemi di strippaggio, si raggiungono prestazioni soddisfacenti solo se siopera a temperature dell’ordine degli 80°C e/o se si raggiungono pH mediamente alcalini. A 80°C si rag-giungono perdite di azoto ammoniacale dell’ordine del 90% corrispondenti in media a circa il 70-80% del-l’azoto totale contenuto nel digestato. Per mantenere prestazioni simili con le temperature più ridotte si dovrebbe operare almeno a 45° C con pHsuperiori a 10.Nel caso del processo di concentrazione, modificando di poco il pH del digestato (fino a circa 6,5) è pos-sibile trattenere fino all’80% di azoto totale nel concentrato. Tuttavia, in termini energetici, i consumi ener-getici sono importanti (oltre 1.100 MJ/m3 contro massimi di 500 MJ/m3 per lo strippaggio).

Sul piano anche economico l’elemento chiave è rappresentato dalla disponibilità e dal costo dell’energiatermica.

Nell’ipotesi di costo nullo dell’energia termica (presenza di cogeneratori) il potenziale interesse del siste-ma di concentrazione è evidente (costo inferiore ai 3 €/m3 del prodotto trattato), cosi come per il sistema distrippaggio (costi inferiori a 5 €/m3 del prodotto trattato). Viceversa, nell’ipotesi di valorizzare l’energia termica ai costi di mercato risulta più competitivo lo strip-paggio anche se in assoluto non può essere ritenuto un trattamento economico.

In Tabella A6 vengono infine riportate delle considerazioni di sintesi.

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Tabella A6 - Considerazioni di sintesi.

Fase del processo

o aspetto caratterizzante

Pretrattamento

del digestato

Costo dell’energia termica

Gestione dei prodotti

chimici

Post- trattamento

del digestato

Poco influente

Complessa per

quantità e tipologia

Necessaria la

riduzione del pH

Poco influente

Ridotta

Nessuna in particolare

Molto influente

Ridotta

Necessaria la stabilizzazione

del concentrato

È necessario rimuovere i solidi sospesi

STRIPPAGGIO

Processo a 45° C Processo a 80° CCONCENTRAZIONE

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Raccomandazioni

Per le tecnologie qui considerate rimangono aperte una serie di questioni tecniche ed economiche. Tra queste:• problematica del recupero del digestato basico nei trattamenti di strippaggio svolti a temperatura mode-

ste. Le sperimentazioni svolte con lo Studio evidenziano la possibilità di impiegare CO2 per la normaliz-zazione del pH. In linea teorica, l’anidride carbonica necessaria può essere potenzialmente recuperata dabiogas (nell’ipotesi di operare presso un impianto di digestione anaerobica);

• reale fattibilità del reimpiego del solfato di ammonio. Con lo Studio non sono state affrontate le proble-matiche relative al suo recupero e reimpiego. Dalle esperienze svolte sull’impianto pilota, tuttavia, emer-ge come il prodotto che ne deriva risulti significativamente contaminato;

• necessario miglioramento delle efficienze dei processi e del consumo di sostanze chimiche ai fini dellariduzione dei costi;

• necessità di stabilizzare il concentrato nel caso del processo di evaporazione (attraverso essiccazione ocompostaggio).

Tutti questi aspetti portano a raccomandare a promuovere ulteriori studi sia sul lato processistico che suquello tecnologico al fine di ridurre maggiormente i costi di trattamento con unità idonee ad operare nellevicinanze di impianti di digestione anaerobica, quindi di dimensioni contenute e di interesse dell’aziendazootecnica.

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Quaderni della ricerca

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1 Il problema dell’azoto

1.1 Premessa

I nitrati sono composti tossici per l’uomo e per gli animali quando presenti nelle acque in concentrazionisuperiori ai 50 mg/litro1. Tali composti sono molto solubili: le acque li asportano dal terreno e li veicolanonei fiumi, nei laghi e nelle falde. Hanno diversa origine, in particolare possono:• derivare dalla mineralizzazione della sostanza organica del terreno (origine naturale);• essere direttamente apportati al terreno con la concimazione organica e minerale, con lo spandimento di

altro materiale di origine animale o vegetale connesso allo svolgimento delle attività produttive e con gliscarichi civili (origine antropica).

L’esigenza di emanare una normativa specifica per ridurre e prevenire l’inquinamento delle acque causatodai nitrati di origine agricola ha portato l’Unione Europea ad emanare la Direttiva n. 91/676/CEE meglionota come Direttiva Nitrati. La Direttiva riserva particolare attenzione al bilancio dell’azoto nel terreno e individua per il settore agri-colo le norme tecniche relative alla fertilizzazione e alla gestione degli effluenti degli allevamenti, alloscopo di limitare il fenomeno della lisciviazione dell’azoto nitrico. In particolare fissa un limite allo span-dimento degli effluenti zootecnici pari a 170 kg di azoto per ettaro (Nuvoli, 2007). Pertanto, con l’emana-zione della Direttiva, l’Unione Europea sancisce le responsabilità della produzione agricola in generale e diquella zootecnica in particolare, nell’aumento, avvenuto “in alcune regioni degli stati membri” dei nitratinelle acque e del conseguente superamento dei limiti precedentemente fissati per tali composti.

L’impostazione dalla Direttiva Nitrati è quella della presa di coscienza di un problema e delle conseguentiopportune azioni per tentarne la risoluzione. Sono legate a tale Direttiva le prime riflessioni, a livello europeo, sull’espansione dei processi produttiviagricoli e sulla conseguente opportunità di promuovere un’agricoltura sostenibile in grado di prendere mag-giormente in considerazione le problematiche ecologiche e l’ambiente in generale.

Per l’Italia, le più evidenti problematiche relative alla gestione dei carichi di azoto sui suoli agricoli sonolocalizzate in un areale ben preciso: la Pianura Padana. In tale territorio le condizioni pedoclimatiche, ladisponibilità di acqua irrigua e, non ultime, le politiche agricole passate, hanno favorito lo sviluppo dellazootecnia intensiva con la conseguente concentrazione di capi allevati. È così venuto progressivamentemeno il concetto di equilibrio tra alimenti prodotti, animali allevati e deiezioni prodotte. Le deiezioni ani-mali sono così passate da fonte primaria di alimenti nutritivi per le piante coltivate (quindi risorsa) a mate-riale di scarso valore da allontanare dall’allevamento al minor costo possibile e con il minor dispendio dimanodopera (quindi rifiuto).

È stato, in definitiva, il prevalere del concetto di smaltimento in luogo di quello di “concimazione organi-ca” che ha generato e alimentato le attuali problematiche (Sangiorgi et al., 2000).

Senza avere la pretesa di tracciare un quadro delle responsabilità si vuole in questa sede evidenziare che,come del resto lo stesso testo europeo sottolinea, l’aumento dei nitrati nella acque era un fenomeno già incorso e le cui origini sono da datare antecedentemente al 1991. L’intensificazione e la specializzazione produttiva sono stati fenomeni originatesi ed affermatesi nei decen-ni precedenti; decenni nei quali le politiche agricole europee non erano certo orientate alle conseguenzeambientali delle produzioni ma, al contrario, al loro progressivo aumento attraverso un’intensa politica deiprezzi. Si vuol rimarcare in sostanza come, per le realtà nazionali a maggior vocazione per l’agricoltura e l’alleva-mento intensivi, la Direttiva Nitrati interviene in un contesto nel quale la correzione di una situazione inatto non era e non è operazione di poco conto. ____________________________________________________1 L’azoto inorganico fornisce una fonte di nutrienti per le alghe che vivono nelle acque. La combinazione di azoto e fosforo può causare un’incon-trollata proliferazione delle stesse, con il conseguente soffocamento dei corsi d'acqua. Questo fenomeno è noto come eutrofizzazione.

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Quaderni della ricerca

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Figura 2 - Zone vulnerabili ai nitrati (ZVN- Casear, 2007).

1.2 La Direttiva Nitrati

Le prescrizioni e le tempistiche che la Direttiva n. 91/676/CEE assegnava ad ogni stato membro possonoessere riassunte come di seguito riportato:• designazione, entro due anni dall’entrata in vigore, delle aree vulnerabili ai nitrati di origine agricola per

ciascun stato membro (Figura 2);• fissazione, sempre entro due anni, di uno o più Codici di Buona Pratica Agricola;• emanazione, entro due anni dalla prima definizione delle aree vulnerabili, di Programmi di Azione da

attuare entro tali zone e loro attuazione entro quattro anni;• elaborazione di opportuni programmi di controllo degli effetti dei Programmi di Azione.

Quanto sopra definisce, in sostanza, i compiti essenziali per implementare il sistema di protezione delleacque.

Nel presente Capitolo, dopo aver preso in esame i principali contenuti della Direttiva, verrà analizzato loscenario nazionale e lombardo in particolare relativo alla sua applicazione. In conclusione si cercherà dicomprendere gli effetti conseguenti all’adempimento di tali normative e come queste si potranno ripercuo-tere sulla realtà zootecnica lombarda delineando quelle che, allo stato attuale, appaiono le soluzioni più rea-listiche per una limitazione del carico di azoto per unità di superficie.

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Figura 1 - Azoto totale distribuito (minera-le e organico - Casear, 2007).

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In ambito nazionale dove, lo si ricorda, la materia ambientale è di competenza regionale, la prima reazio-ne, in ordine di tempo, alle more della Direttiva è stata quella della regione Lombardia che, con l’emana-zione nel dicembre 1993 della nota Legge Regionale N. 37 (“Norme per il trattamento, la maturazione el’utilizzo dei reflui zootecnici”), ha cercato di attuare un primo adeguamento ai dettami della Direttiva.In questo quadro, la regione Lombardia ha riaffermato il principio secondo cui, i reflui di allevamento, nonsono un rifiuto ma bensì una risorsa che ogni allevatore può e deve utilizzare al meglio per provvedere allanutrizione azotata delle proprie colture.Attraverso la L.R. 37/93 e il suo Regolamento Attuativo (promulgato nel 1996) la regione ha provveduto a:• individuare le aree vulnerabili del territorio regionale;• classificare l’intero territorio regionale in base al “carico di animali” presenti (comuni ad “alto carico zoo-

tecnico” e comuni “a basso carico zootecnico”);• obbligare le aziende zootecniche, di consistenza superiore a 8 t di peso vivo (3 t nel caso di allevamenti

avicunicoli), a dimostrare, attraverso un vero e proprio piano di concimazione azotata delle colture (deno-minato Piano di Utilizzazione Agronomica dei reflui di allevamento P.U.A.) che l’azoto distribuito con ledeiezioni non eccedesse i fabbisogni delle colture stesse evitando rischi di inquinamento delle acque;

Per comprendere con quali “strumenti” ogni stato membro debba procedere è utile esaminare anche quan-to contenuto negli allegati della Direttiva e in particolare negli Allegati II e III che definiscono i principigenerali e i dettami secondo cui normare l’applicazione al suolo degli effluenti di allevamento. In partico-lare l’Allegato II individua gli aspetti che debbono essere trattati dai Codici di Buona Pratica Agricolanazionali. Tra questi si segnalano:• i periodi in cui l’applicazione al terreno degli effluenti di allevamento non è opportuna;• la distribuzione degli effluenti sui terreni in pendenza;• l’applicazione in caso di terreno saturo d’acqua, gelato o innevato;• le avvertenze da adottare in caso di distribuzione vicino ai corsi d’acqua;• la capacità delle strutture di stoccaggio e le opere messe in atto al fine di evitare che “percolati” da

effluenti o da altri materiali, quali insilati, possano venire a contatto con le acque superficiali o profonde;• le tecniche di applicazione al terreno dei fertilizzanti compresi i concimi chimici di sintesi;• la gestione dei terreni e in particolare delle rotazioni;• l’opportunità delle coperture vegetali durante i periodi piovosi al fine di limitare la percolazione dei

nutrienti azotati;• la definizione di piani di concimazione delle colture e la tenuta dei registri di applicazione dei fertiliz-

zanti;• la gestione dei sistemi di irrigazione al fine di prevenire l’inquinamento per scorrimento e percolazione

delle acque.

All’interno dell’Allegato III viene richiesta un’ulteriore specificazione delle norme di cui sopra in quantotrattasi dei contenuti e delle prescrizioni che, ogni Programma d’Azione, deve adottare per le aree vulnera-bili. In particolare si richiede di definire: • i periodi in cui è proibita l’applicazione al terreno;• la capacità dei contenitori degli effluenti che, in ogni caso, deve essere superiore a quella necessaria a con-

tenere le deiezioni durante i periodi di divieto di spandimento di cui al punto precedente;• le limitazioni di applicazione al suolo degli effluenti di allevamento le quali, a loro volta, dipendono: (i)

dalle condizioni, dal tipo e dalla pendenza del suolo; (ii) dalle condizioni climatiche, dalle precipitazionie dall’irrigazione; (iii) dall’uso del terreno e dalle prassi agricole con particolare riferimento alle rotazio-ni; (iv) dal fabbisogno di azoto delle colture tenuto ovviamente conto di tutti gli apporti azotati al suolo(bilancio dell’azoto).

Le misure di cui sopra debbono garantire che il quantitativo di effluente di allevamento sparso ogni anno sulterreno delle aree vulnerabili non superi 170 kg di azoto, elevabili a 210 kg nel caso venga presentato il Pianodi Utilizzazione Agronomica (P.U.A.), fatto salvo i primi quattro anni dei Programmi di Azione in cui, i quan-titativi predetti possono, a discrezione di ogni stato membro, essere elevati rispettivamente a 210 kg e 250 kg.

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1.3 Il recepimento regionale e nazionale della Direttiva

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• determinare i limiti massimi di effluenti di allevamento applicabili ai suoli agricoli che, in linea generalenon possono, come sopra detto, superare i fabbisogni delle colture mentre, nelle aree vulnerabili non pos-sono, in ogni caso, superare il valore soglia di 170 kg/ha di azoto;

• stabilire il principio secondo il quale gli effluenti di allevamento, prima del loro utilizzo sul suolo agra-rio, devono subire un adeguato periodo di “maturazione”. Si è provveduto, in pratica, a determinare lacapacità minima dei contenitori di stoccaggio dei reflui la quale, non è solo funzione del periodo minimodi maturazione ma anche del calendario di distribuzione dei reflui il quale, a sua volta, dipende dall’av-vicendamento praticato da ogni singola azienda;

• stabilire i vincoli allo spandimento degli effluenti in funzione delle condizioni meteorologiche, del suoloe della pendenza.

Il primo atto a livello nazionale relativo all’applicazione della Direttiva nitrati è stata l’approvazione delCodice di Buona Pratica Agricola (CBPA) avvenuta mediante il D.M. 19 aprile 1999. I punti nodali di taleD.M. sono la disamina dell’intero ciclo dell’azoto e la sottolineatura di concetti chiave quali quelli relativiall’efficienza della concimazione azotata, ai periodi di applicazione e di conservazione degli effluenti zoo-tecnici in funzione dei cicli colturali, dall’andamento meteorologico e delle caratteristiche del suolo.

Successivamente, a poco meno di un mese di distanza dal D.M. 19 aprile 1999 veniva emanato il DecretoLegislativo 11 maggio 1999 n. 152 dal titolo: “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento erecepimento della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e dellaDirettiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati prove-nienti da fonti agricole”. Gli articoli 19 e 38 e l’Allegato VII di detto decreto individuano le aree vulnera-bili esistenti e riconosciute, dettano i tempi per il monitoraggio delle acque e per la conseguente designa-zione e/o revisione delle aree vulnerabili, fissano le procedure (Programmi di Azione) per l’attuazione delladisciplina dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento di dette aree. I soggetti demandati atali compiti sono le regioni.

Per quanto riguarda le specifiche norme tecniche che avrebbero dovuto governare l’utilizzazione agrono-mica degli effluenti di allevamento l’articolo 38 del decreto 152/99 rimanda ad un ulteriore decreto da ema-narsi a cura del Ministero delle Politiche agricole e Forestali di concerto con altri ministeri. L’emanazionedi tale decreto è avvenuta nell’aprile dello scorso anno (D.M. 7/4/2006 avente come oggetto: “Criteri enorme per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento” di cui all’ar-ticolo 38 del Dlgs n. 152/99). Sempre dell’aprile 2006 è l’emanazione del Dlgs 152/2006 che abroga la precedente versione pur confer-mandone, per quanto riguarda la parte relativa ai nitrati di origine agricola (articolo 92), i dettami.Nella sostanza il decreto 7/4/2006 codifica e differenzia, con puntualità, per le aree vulnerabili e per quel-le ordinarie i seguenti aspetti:• la tipologia (liquame e/o letame) e la produzione annuale di reflui per le principali specie zootecniche in

funzione del peso vivo allevato e del sistema di stabulazione adottato;• la produzione netta di azoto delle principali specie allevate in funzione, anch’essa, della tipologia di sta-

bulazione e del peso vivo mediamente allevato. Viene, in particolare, introdotto il concetto di “azoto alcampo” che rappresenta l’azoto contenuto nelle deiezioni al netto delle perdite per volatilizzazione del-l’ammoniaca;

• la capacità minima di contenimento degli stoccaggi; • il quantitativo massimo di azoto che può essere distribuito con gli effluenti di allevamento. Per le aree vul-

nerabili il limite è ribadito in 170 kg/ha per anno;• i periodi di divieto di distribuzione degli effluenti;• le modalità alle quali le aziende zootecniche devono attenersi per poter operare la distribuzione (comuni-

cazioni all’autorità competente, contenuti dei Piani di Utilizzazione ecc.);• la tempistica entro la quale le regioni devono fare proprio il testo del decreto attraverso l’emanazione di

propri provvedimenti.

Con i provvedimenti contenuti nella DGR N° VIII/3297 dell’11 ottobre 2006 e nella DGR N° VII/3439 del7 novembre 2006 la Regione Lombardia provvede, rispettivamente, a designare le nuove aree vulnerabilisul proprio territorio ai sensi del Dlgs 152/2006 (Norme in materia ambientale) e ad adeguare il proprio

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Page 22: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

Considerando l’eterogenea distribuzione degli allevamenti in Italia (all’epoca dell’emanazione dellaDirettiva Nitrati: Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna detenevano una quota complessiva pari,rispettivamente, al 64% del patrimonio bovino nazionale, al 65% del patrimonio suino nazionale e al 70%del patrimonio avicolo nazionale - Tabella 1 - mentre la SAU di tali regioni corrispondeva a circa il 31% diquella nazionale) si intuisce subito la portata del problema e le difficoltà che le prescrizioni della Direttivahanno innescato nella realtà zootecnica padana.

Alla luce di tutto questo le DGR 3297/06, 3439/06, 5215/2007 e 5868/2007 della Regione Lombardia, inse-rendosi in una realtà quantomeno “delicata” - si veda a questo proposito la Figura 3, la quale relaziona ilcarico di azoto escreto dagli animali allevati (bovini e suini) alla SAU comunale (carico di azoto zootecni-co comunale/SAU comunale) - avranno ricadute alquanto significative in quanto, con l’aumento dei comu-ni designati vulnerabili, molte aziende si troveranno, in pratica, nella condizione di non avere terreno suf-ficiente allo spandimento per l’abbassamento del quantitativo massimo di azoto distribuibile per unità disuperficie (da 340 a 170 kg/ha).

Pur essendo già previste, soprattutto a livello di nuovo PSR, adeguate misure di sostegno, l’adeguamentodelle aziende implicherà notevoli sforzi finanziari. Il tutto affinché la zootecnia lombarda continui a reci-tare quel ruolo di punta che storicamente le compete.

Programma di Azione “per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati diorigine agricola per le aziende localizzate in zona vulnerabile ai sensi del Dlgs N° 152 del 3 aprile 2006art 92 e D.M. del 7 aprile 2006”.L’aspetto importante della DGR 3297 è, ovviamente, l’aumento dell’area designata vulnerabile. Taleaumento è avvenuto in modo significativo proprio nelle aree dove maggiore è la concentrazione zootecni-ca. A titolo di esempio si segnala che, nella provincia di Brescia, i comuni vulnerabili ai sensi della L.R.37/93 erano 8 mentre, con l’entrata in vigore della citata DGR, il loro numero è salito a 81.La DGR 3439 fa proprie e integra, per tener conto delle peculiarità lombarde, le disposizioni del D.M7/4/2006. Sulla scorta di quanto contenuto nel D.M. vengono pertanto codificati tutti i principali aspetti tec-nici e amministrativi/autorizzativi con i quali, ogni azienda zootecnica ricadente in area vulnerabile, dovràprossimamente confrontarsi per poter provvedere all’utilizzazione agronomica dei propri reflui.

Con ulteriore provvedimento del 2 agosto 2006 (DGR N° VIII/5215 “Integrazione con modifica al pro-gramma d’azione per la tutela e risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origineagricola per le aziende localizzate in zona vulnerabile e adeguamento dei relativi criteri e norme tecnichegenerali di cui alla DGR N° VI/17149/1996” la Regione Lombardia completa il proprio quadro normativorelativo all’applicazione della Direttiva Nitrati definendo tempistiche e regole alle quali dovranno adeguarsile aziende agricole lombarde siano esse zootecniche o non zootecniche. Il considerare anche le aziende senzaallevamento rappresenta una delle principali novità introdotte con la nuova normativa ed è indice della volon-tà regionale di normare tutto l’azoto utilizzato dall’agricoltura sia esso di origine animale sia esso di sintesi.

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1.4 L’impatto della normativa

Tabella 1 - Consistenza del patrimonio bovino, suino e avicolo nelle regioni Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna nel1990. Fonte: ISTAT 4° Censimento Generale dell’Agricoltura.

Regione

Lombardia

Veneto

Piemonte

Emilia Romagna

Totale delle 4 regioni

Totale nazionale

Bovini

(n.)

1.958.787

1.138.554

987.694

858.768

4.943.802

7.676.716

% sul totale

Nazionale

(%)

25,5

14,8

12,9

11,2

64,4

100,0

Suini

(n.)

2.561.350

556.373

811.414

1.896.156

5.825.293

8.894.711

% sul totale

Nazionale

(%)

28,8

6,3

9,1

21,3

65,5

100,0

Avicoli

(n.)

29.276.420

49.672.082

13.855.419

26.063.042

118.866.962

169.513.824

% sul totale

Nazionale

(%)

17,3

29,3

8,2

15,4

70,1

100,0

Page 23: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

La pur sintetica disamina effettuata evidenzia come l’inquinamento delle acque provocato da fonti agrico-le rappresenti un tema di estrema delicatezza. Per le realtà tradizionalmente vocate per la zootecnia, di cuila Lombardia rappresenta senza dubbio la principale espressione, anche e soprattutto alla luce delle recen-ti innovazioni normative, occorrerà mettere a disposizione del modo zootecnico adeguati strumenti di“accompagnamento” e opportune innovazioni tecnologiche affinché risulti possibile continuare ad allevareanche se in maniera differente e con maggior riguardo verso le problematiche ambientali.

Le misure finalizzate alle limitazione dei fenomeni dannosi all’ambiente dell’attività zootecnica non devo-no, infatti, tradursi in un “disimpegno”. L’attività zootecnica è nata e si è sviluppata in Lombardia e nelleregioni limitrofe perché, in tali territori, esistevano e esistono le migliori condizioni affinché, essa abbia,nonostante le cicliche crisi, sostenibilità economica. Come sopra detto la sfida odierna è ritrovare anche lasostenibilità ambientale del fare allevamento.

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Figura 3 - Carico diazoto totale zootecnicoin Lombardia (fonte:Sangiorgi et al., 2000).

1.5 Osservazioni conclusive

Page 24: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

2 Tecnologie per la rimozione dell’azoto dai reflui

2.1 Premesse

L’azoto è un elemento chimico estremamente diffuso in natura in molte forme sia organiche che inorgani-che. In forma molecolare costituisce oltre il 78% dell’atmosfera terrestre, in forma organica fa parte diimportanti molecole biologiche e nella rimanente forma inorganica costituisce si può trovare in forma nitro-sa, nitrica e ammoniacale. Le attività antropiche hanno portato a fenomeni di concentrazione di alcunesostanze azotate in determinati elementi dell’ambiente: le acque. Nella Tabella 2 si riportano le forme diriferimento più comuni di questo elemento chimico nell’ambito della gestione delle acque reflue.

Come indicato nella Tabella, l’azoto è presente nelle acque reflue (domestiche e industriali) principalmen-te sotto forma di ammoniaca e azoto organico. A seconda del pH, l’ammoniaca può esistere in soluzionecome gas (NH3), in soluzione come ione ammonio (NH4

+) o come sale di ammonio in forma solida. L’ammoniaca e i composti azotati organici possono essere misurati collettivamente utilizzando il metodoKjeldahl per la misura di Azoto Totale (TKN). Anche se i moderni impianti di trattamento per le acquereflue possono rimuovere piuttosto bene BOD, TSS e gli agenti patogeni, purtroppo riescono ad eliminaresolo una piccola quantità di TKN presenti nell’affluente, a meno che non sono specificamente configuratiper la rimozione di azoto.

Per la rimozione di azoto dai reflui sono stati messi a punto una varietà di metodi. La Tabella 3 ne elenca i più comuni, suddivisi per tipologie e dalla quale si evincono i trattamenti chimico-fisici e/o biologici a cui possono essere sottoposti i reflui sia civili che industriali (e quindi anche i liquamie i digestati).

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Quaderni della ricerca

Tabella 2 - Le più comuni forme di azoto nelle acque reflue.

Forma dell’azoto

Ammoniaca/Ammonio

Total Kjeldahl Nitrogen

(somma dell’azoto organico

con l’ammoniaca/ammonio)

Nitrato

Nitrito

Simbolo chimico

NH3/NH4

TKN

NO3

NO2

Comune luogo di reperimento

Acque reflue domestiche

Acque reflue domestiche, effluente

Effluente nitrificato

Effluente parzialmente nitrificato

Concentrazione tipica nel

luogo di reperimento

30-50 mg/l

30-60 mg/l

1-35 mg/l

0,1-2 mg/l

Tabella 3 - Sistemi di rimozione dell’azoto dalle acque reflue.

Tipologia di processo

Processi chimico-fisici

Processi biologici

Tecnologia di rimozione

Separazione meccanica

Separazione con membrane

Microfiltrazione e ultrafiltrazione (UF) Osmosi Inversa (OI) Elettrodialisi (ED)

Precipitazione chimica di sali di ammonio (Struvite)

Strippaggio ammoniaca

Evaporazione/Concentrazione

Nitrificazione-denitrificazione

Processi basati sulla ossidazione arrestata a nitrito

Digestione anaerobica

Processi biologici innovativi

Processo Anammox Processo MBR

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2.2 Processi Chimico-Fisici

2.2.1 Separazione meccanicaSeparazione dei solidi grossolani. Si applica ai liquami zootecnici dove le sostanze minerali e organi-che sono in parte disciolte e in parte sospese. La componente sospesa è costituita da particelle con diver-sa granulometria. Il trattamento di separazione adotta tecniche per la rimozione di queste particelle inmodo da rendere la componente liquida più facile da gestire, con minore formazione di odori, riduzionedella formazione di sedimenti o crostoni nelle vasche di stoccaggio. La componente separata è palabilecon un contenuto in solidi dell’ordine del 20-40%. Ha il vantaggio di poter essere trasportata in modopiù agevole e distribuita sui terreni con un minor rischio ambientale rispetto ai liquami. Richiede però unperiodo di sosta su platea per ridurre la produzione di odori e rendere più stabile la sostanza organica.Infatti, in questa frazione si concentrano maggiormente alcuni nutrienti. Di conseguenza anche l’azoto èpresente principalmente in forma organica (60-80% dell’azoto totale). Il separato ha quindi caratteristi-che ammendanti che lo rendono particolarmente adatto alle fertilizzazioni prima delle lavorazioni prin-cipali del terreno. In figura 4 è riportata una rappresentazione schematica del diagramma di flusso del-l’intero processo [10].Le tipologie di separatori in commercio sono finalizzate al trattamento del liquame grezzo per migliora-re la gestione dell’effluente. Sono sistemi meccanici che si basano, essenzialmente, sullo stesso princi-pio: separare le particelle di dimensione superiori mediante il passaggio del liquame attraverso una super-ficie grigliata o forata. Le dimensioni dei fori o delle aperture definisce il grado di separazione che siottiene. In genere, questo parametro è un compromesso tra la portata delle attrezzature, il rischio di inta-samento e una buona efficienza di separazione. Le tipologie di separatore differiscono per la modalità con cui il liquame viene convogliato attraverso ilsistema filtrante: i vagli statici per gravità; i vibrovagli grazie alla vibrazione della griglia; i vagli rotati-vi per gravità e rotazione; i separatori a rulli cilindrici grazie alla pressione di rulli controrotanti; i sepa-ratori a vite elicoidale mediante la compressione del liquame contro alla griglia.

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Figura 4 - Schema separazione dei solidigrossolani (Fonte: Provolo, 2008).

Figura 5 - Caratteristiche della frazionesolida separata (Fonte: Provolo, 2008).

La quantità di frazione palabile che si ottiene non deve essere confusa con l’efficienza di separazione cherappresenta il rapporto tra la frazione di solidi, azoto, fosforo che viene separata e quella contenuta nelliquame in ingresso al trattamento. A parità di efficienza di separazione, i volumi di palabile possono varia-re notevolmente in relazione al contenuto in acqua del separato (Figura 5). In particolare, per quanto riguarda l’azoto, la sua riduzione a seguito della separazione dei solidi grossola-ni con l’esportazione del palabile, è stata stimata essere dell’ordine del 4-16%, cosn un costo relativo di 0,2-1,2 € m-3 di effluente avviato al trattamento.

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Separazione dei solidi grossolani e fini. I solidi contenuti nei liquami possono essere classificati in baseal loro diametro in grossolani (superiori a 0,1 mm) e fini (inferiori a 0,1 mm). Le tecniche che consentonola rimozione anche dei solidi fini si possono basare su: separazione meccanica con la produzione di un sepa-rato palabile, separazione per gravità mediante sedimentazione e separazione per flottazione. Queste dueultime tecniche consentono di ottenere come effluente un liquido chiarificato e un liquido addensato manon palabile (fango). Un successivo trattamento meccanico può ridurne l’umidità in modo da ottenere unprodotto finale palabile. La rimozione dei solidi fini dalla componente liquida viene ottenuta anche conl’impiego di additivi chimici che migliorano l’efficienza di rimozione del sistema. L’efficienza di rimozio-ne è elevata per le componenti solide sospese. L’impiego di flocculanti, consentendo l’aggregazione delleparticelle più piccole in aggregati di maggiori dimensioni ne favorisce la separazione. Le sostanze disciolte, come l’azoto in forma ammoniacale non vengono però trattenute. In Figura 6 è ripor-tata una rappresentazione schematica del diagramma di flusso dell’intero processo.

Le separazione per gravità (sedimentazione) si basa sulla deposizione dei solidi che avviene naturalmentein una miscela non agitata in cui i solidi sono sospesi. I tempi richiesti per la sedimentazione delle parti-celle sono in relazione alla dimensione delle stesse. Le vasche di sedimentazione utilizzate per la rimozio-ne dei solidi di un impianto di trattamento sono dimensionate per un tempo di permanenza del liquido dicirca 3 ore. I bacini di sedimentazione prevedono la deposizione durante la fase di stoccaggio con svuotamento perio-dico (1-2 volte all’anno) del fango e hanno capacità corrispondente agli effluenti prodotti in 30-60 giorni.La separazione per flottazione sfrutta l’immissione di aria e, in genere, di additivi per aggregare le parti-celle solide e farle affiorare. Un sistema meccanico raschiafango rimuove poi l’addensato che galleggia insuperficie dal chiarificato che viene inviato agli stadi successivi del trattamento. Questo sistema è in gradodi rimuovere anche la frazione colloidale dei solidi sospesi che rappresenta una quota significativa dellasostanza organica più resistente alla degradazione biologica.I sistemi meccanici sono riconducibili a due tipologie di separatori: centrifughe e nastropresse. Le primesfruttano l’effetto della forza centrifuga per espellere l’acqua e trattenere grazie a un cestello forato i soli-di. Le nastropresse sono costituite da due nastri di materiale semipermeabile entro i quali viene progressi-vamente compresso il liquido che fuoriesce mentre le particelle solide trattenute all’interno vengono scari-cate alla fine del percorso. Entrambe queste attrezzature vengono normalmente utilizzate per rendere palabili e contenere i volumi deifanghi in uscita dagli impianti di trattamento. I costi elevati non le rendono adatte a un utilizzo su tutto illiquame prodotto dall’allevamento. Un sistema di separazione che è stato utilizzato solo a livello di impian-ti pilota è costituito da tubi geotessili filtranti con capacità variabile da 50 a 5000 m3 che vengono riempiticon liquame e percolano per gravità il liquido trattenendo i solidi anche fini concentrandoli al 25-30% di

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Figura 6 - Schema separazione dei solidigrossolani e fini (Fonte: Provolo, 2008).

Tabella 4 - Dispositivi di separazione meccanica dei solidi grossolani. Efficienze ottenibili nella rimozione della sostanza secca edei nutrienti (N e P) e relativi costi (Fonte: Provolo, 2008).

Tipo di separatore

Vagli

Cilindrico

Elicoidale

Efficienza di separazione (%)

Solidi

20-25

28-40

35-48

N

4-7

8-15

6-16

P

8-12

30-42

28-42

Costo (€m-3)

0,2-0,4

0,6-1,2

0,6-1,2

Page 27: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

I vari dispositivi elencati nelle Tabelle 4 e 5 possono essere abbinati fra loro, così da ottenere linee di sepa-razione con elevate efficienze di rimozione dell’azoto come, ad esempio, viene proposto nella regione belgadelle Fiandre (una delle aree europee a maggior densità zootecnica), con un sistema mobile su containerscarrabile della ditta Greenfield (Figura 7). Tale sistema, consente negli allevamenti suinicoli di esportare dalle aziende una frazione solida che rap-presenta in peso circa il 15-20% del liquame trattato e contiene circa il 50% dell’azoto totale; il costo delservizio ammonta a circa 12 €/m3 di liquame tal quale trattato, ed è comprensivo della gestione della fra-zione solida, che in genere viene esportata come ammendante organico nelle regioni della Francia del nord,confinanti con le Fiandre.

sostanza secca. Tutti questi sistemi di separazione si avvantaggiano dell’uso di additivi chimici che sono didue tipologie: coagulanti, in genere sali di ferro o di alluminio e flocculanti (polielettroliti) che favorisco-no l’aggregazione tra le molecole. Le prestazioni delle tecniche riportate variano considerevolmente in relazione alle caratteristiche del pro-dotto influente. In particolare, l’efficienza di separazione dei solidi è maggiore se sono concentrati. Larimozione dell’azoto è legata alla sua presenza in forma organica non solubile (Tabella 5). In particolare, per quanto riguarda l’azoto, la sua riduzione a seguito della separazione dei solidi grossola-ni e fini con l’esportazione del palabile, è stata stimata essere dell’ordine del 20-35%, con un costo relati-vo di 0,3-4,2 € m-3 di effluente avviato al trattamento [10].

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Tabella 5 - Dispositivi di separazione meccanica dei solidi grossolani e fini. Efficienze ottenibili nella rimozione della sostanzasecca e dei nutrienti (N e P) e relativi costi (Fonte: Provolo, 2008).

Tipo di separatore

Sedimentatore

Flottatore

Centrifuga

Nastropressa

Efficienza di separazione (%)

Solidi

50-70

70-90

55-65

50-70

N

25-35

30-40

20-26

20-35

P

50-65

70-90

73-87

60-80

Costo (€*m-3)

0,3-0,4

1,3-1,9

1,2-2,0

2,9-4,2

Figura 7 - Schema di separazione applicatonel sistema mobile su container scarrabileproposto dalla ditta Greenfield. (Fonte:Piccinini, 2007).

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Per applicare la tecnologia delle membrane ai liquami zootecnici è in genere necessario che la frazioneorganica sia stata parzialmente decomposta e i solidi sospesi siano stati rimossi, pena il rapido decadi-mento dell’efficienza separativa delle membrane a causa dell’intasamento dei pori. Quindi la tecnologiaa membrana viene a configurarsi come un trattamento di finissaggio in coda ad una linea di trattamentobiologico complessa e costosa che prevede, in genere: digestione anaerobica separazione solido/liquidoe trattamento aerobico di ossidazione/nitrificazione/denitrificazione sulla frazione liquida chiarificata.La ricerca è tuttavia indirizzata a semplificare questa linea, riducendo notevolmente o eliminando la fasedi trattamento aerobico prima dello stadio a membrane. È necessario, per questo, mettere a punto delletecniche per ovviare al problema dell’intasamento (fouling) dei pori delle membrane. Una soluzione èquella proposta dalla ditta statunitense New Logic Research Inc., che prevede di tenere in vibrazione lemembrane stesse (sistema VSEP); un impianto con tale tecnologia è in fase di avviamento in un grossoallevamento suino in Belgio, per il trattamento depurativo del liquame in coda alla digestione anaerobi-ca con recupero di biogas e separazione solido/liquido. Tra le società impiantistiche impegnate a risolvere questo problema, la ditta tedesca Haase inserisce ilsistema a membrane dopo un’unità di separazione solido-liquido; si tratta di un sistema già applicato sulpercolato di discarica di rifiuti urbani. Anche la ditta danese Bioscan e la ditta austriaca AAT propongono la separazione con membrane in codaalla digestione anaerobica; un impianto della AAT è stato avviato di recente in Svizzera in coda alla sepa-razione solido/liquido dopo un impianto di biogas che tratta liquami zootecnici e scarti di macellazione.

2.2.2 Separazione con membraneMicrofiltrazione e ultrafiltrazione (UF). Il principio su cui si basano queste tecniche è la separazionefisica. I solidi disciolti, la torbidità e i microrganismi sono rimossi a seconda della forma e dimensionedei pori nelle membrane. Le sostanze con dimensioni più grandi dei pori delle membrane vengono com-pletamente rimosse, mentre quelle più piccole vengono solo parzialmente rimosse, contribuendo a crea-re uno strato “di rifiuto” sulla membrana. Nella microfiltrazione e nell’ultrafiltrazione le membranehanno dimensione dei pori dell’ordine rispettivamente di 0,1-10 µm e di 0,001-0,1 µm. La microfiltra-zione e l’ultrafiltrazione sono processi dipendenti dalla pressione e rimuovono solidi disciolti ed altresostanze dall’acqua ad un livello inferiore rispetto alla nano filtrazione e all’osmosi inversa.

Osmosi inversa (OI). Separando due soluzioni a concentrazione diversa con una membrana semiper-meabile, si assiste al passaggio delle molecole di solvente dalla soluzione a concentrazione più bassaverso la soluzione a concentrazione maggiore: il passaggio avviene fintanto che le due soluzioni non rag-giungono la stessa concentrazione. La membrana si comporta come un setaccio fatto da maglie moltopiccole, ma grandi abbastanza da permettere il passaggio delle molecole di solvente, però non di solutoche hanno dimensioni maggiori. Il fenomeno dell’osmosi è reversibile: esercitando dal lato della solu-zione più concentrata una pressione maggiore della pressione osmotica, si consente alle molecole del sol-vente di passare verso la soluzione meno concentrata. Per l’osmosi inversa è necessario fornire dall’e-sterno, mediante una pompa, la pressione necessaria a controbilanciare la pressione osmotica.

Elettrodialisi (ED). L’elettrodialisi è un processo durante il quale gli ioni sono trasportati attraverso unamembrana semipermeabile, sotto l’azione di un potenziale elettrico; le membrane sono catione o anioneselettive, ossia possono essere attraversate da ioni positivi o ioni negativi. Disponendo di più membranein fila, che permettono alternativamente il passaggio di ioni caricati positivamente o negativamente, sipossono rimuovere tali ioni dall’acqua reflua. Lo schema di separazione con membrane proposto più fre-quentemente è quello che prevede l’abbinamento dell’ultrafiltrazione (UF) con l’osmosi inversa (OI)(Figura 8).

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Figura 8 - Schema di abbinamento di ultra-filtrazione e osmosi inversa (Fonte: Picci-nini, 2007).

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Sul mercato vengono proposti vari reattori e altrettanti processi di recupero della struvite, con costi diinvestimento e di esercizio variabili, ma tutti non trascurabili; sono in genere applicati ai reflui civili,all’interno del ciclo di depurazione e per la rimozione non tanto dell’azoto quanto del fosforo, in parti-colare in Giappone (Figura 10).

2.2.3 Precipitazione chimica con sali d’ammonio (struvite)La struvite o magnesio ammonio fosfato (MAP) esaidrato è un composto cristallino costituito da ioniMg2+, NH4

+ e PO43–, in rapporto 1:1:1.

La formazione della struvite avviene secondo la reazione:

Mg2+ + NH4+ + PO4

3- + 6H2O = MgNH4PO4 * 6H2O

La struvite è un composto di colore bianco o biancastro, poco solubile in acqua, molto solubile in solu-zione acide e altamente insolubile in soluzioni alcaline. Nei liquami suini ad esempio i tre composti,ammoniaca, magnesio e fosfato, sono presenti e, in certe condizioni, raggiungono il rapporto 1:1:1,necessario per la precipitazione della struvite. La cristallizzazione e il recupero della struvite dai liquami possono essere condotti in reattori ove ven-gono realizzate le condizioni idonee per la sua precipitazione controllata, che avviene a valori di pH mag-giori di 8; tali valori si possono ottenere aggiungendo al liquame dei composti alcalini, quali calce, sodao idrato di magnesio, o strippando dal liquame stesso l’anidride carbonica (CO2), insufflando aria.

Se tali tecniche si dimostreranno efficienti ed efficaci, anche senza il trattamento aerobico di ossidazio-ne/nitrificazione/denitrificazione, l’inserimento della tecnologia nelle linee di trattamento dei liquamizootecnici potrebbe divenire tecnicamente ed economicamente sostenibile. Occorre però ricordare che iconcentrati sia di UF che di OI, pur potendo essere teoricamente utilizzati come fertilizzanti, presentanoelevate concentrazioni saline e non è chiaro il tipo di mercato che potranno avere; non è da escludere chedebbano essere “smaltiti” con conseguenti costi.

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Figura 9 - Precipitato di struvite (Fonte: Malpei, 2008).

Figura 10 - Processo dirimozione dell’azoto me-diante precipitazione dellastruvite (Fonte: Provolo,2008).

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2.3.1 PremesseQuando le acque reflue contengono alte concentra-zioni di azoto organico (comprese tra 0,5-4 g NH4

+ L-1) si preferiscono le tecniche di rimozionebiologica (BNR) rispetto sia ai processi chimici chechimico-fisici (come la precipitazione chimica consali d’ammonio o lo strippaggio). Essi si basanosulla capacità dei microrganismi di assimilare azotoper creare nuove cellule, per ossidare l’ammonio anitrito o nitrato e di ridurre il nitrito/nitrato ad azotogassoso. Questa scelta è frutto di un’analisi deicosti, delle richieste in termini di input chimici edenergetici, delle esperienze operative, dell’affidabi-lità del processo e dell’impatto ambientale.

2.3 Processi biologici

Figura 11 - Confronto dei costi relativi ai trattamenti chimico-fisici e biologici a seguito di test in un impianto pilota (Fonte: J.M. Alvarez, 2007).

Con i reflui civili, quale trattamento terziario di finissaggio in coda al trattamento depurativo aerobico afanghi attivi, si ottengono efficienze elevate sia sul fosforo che sull’azoto. Nei liquami suini l’azoto è presente in concentrazione molto più elevata del fosforo e quindi con la tec-nica di precipitazione della struvite si possono sì raggiungere elevate efficienze di rimozione per il fosfo-ro (sino all’80%), ma per l’azoto si può valutare che non sia possibile superare efficienze di rimozionedel 20-30%. Inoltre, è necessario operare in presenza di azoto essenzialmente in forma ammoniacale enon organica e, quindi, converrebbe applicare questa tecnica dopo la digestione anaerobica che, comenoto, mineralizza l’azoto organico ad azoto ammoniacale. Altra questione importante ai fini della con-venienza economica della tecnica, è l’effettiva possibilità di utilizzare, e quindi commercializzare, lastruvite come fertilizzante fosfatico e/o azotato a lento rilascio; attualmente la struvite non è inserita nel-l’elenco dei fertilizzanti riconosciuti dalla normativa nazionale; l’unico Paese dove sia consolidato l’usodella struvite nella produzione di concimi organo-minerali, utilizzati nella concimazione del riso, è ilGiappone.

2.2.4 Considerazioni sui processi chimico-fisiciIn Tabella 6, si riportano i dati relativi alle efficienze di rimozione di azoto e di fosforo nei diversi siste-mi di estrazione di azoto che portano alla formazione di concime minerale precedentemente descritti(microfiltrazione, osmosi inversa, precipitazione della struvite, ad esclusione dello strippaggio che comegià detto, verrà trattato nel Capitolo successivo). In particolare, si ritiene che la riduzione dell’azoto a seguito dei trattamenti di estrazione dello stessocome concime minerale, è stata stimata nell’ordine del 50-70% nel caso in cui non vi sia stata esporta-zione del palabile, mentre nel caso contrario è intorno al 50-95%.Bisogna comunque precisare che le tecniche descritte non sono state sperimentate in modo adeguato incondizioni operative. Pertanto, i valori riportati vanno intesi come valori indicativi. Inoltre i costi, dovesono stati indicati, sono basati sui risultati di impianti pilota e potrebbero risultare notevolmente diversiin caso di diffusione delle tecniche.

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Tabella 6 - Dispositivi di estrazione di azoto come concime minerale. Efficienze ottenibili nella rimozione dei nutrienti (N e P) erelativi costi (Fonte: Provolo, 2008).

Tipo di impianto

Strippaggio

Precipitazione

Microfiltrazione

Osmosi inversa

Rimozione dell’effluente

N (%)

60-80

80

50

95

P (%)

30-90

85

85

99

Costo (€*m-3)

9-12

15-20

12

-

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____________________________________________________2 NITRIFICAZIONE = Ossidazione dell’ammonio a NO2

- e NO3- È necessario O2: 4,6 kg O2/kg N

NH4+ + 3/2 O2 → NO2

- + H2O + 2 H+

NO2- + 1/2 O2 → NO3

-

DENITRIFICAZIONE = NO2- e NO3

- ridotti a N2 gassoso. È spesso necessario C organico esterno: 5,5 kg COD/kg N6 NO3

- + 5 CH3OH + CO2 → 3 N2 + 6 HCO3- + 7 H2O

6 NO2- + 3 CH3OH + 3 CO2 → 3 N2 + 6 HCO3

- + 3 H2O

30

2.3.2 Nitrificazione/denitrificazione2

La tecnica di rimozione biologica (BNR) convenzionale, consiste nell’ossidazione dell’ammonio a nitrato(nitrificazione) seguita dalla riduzione del nitrato ad azoto elementare gassoso (denitrificazione) utilizzan-do carbonio organico esterno (COD) come donatore di elettroni. Per i reflui zootecnici i processi di nitrificazione/denitrificazione convenzionali utilizzati negli impianti didepurazione delle acque reflue civili, risultano costosi, sia per l’elevata quantità di energia elettrica richie-sta per fornire l’ossigeno necessario per l’ossidazione dell’azoto ammoniacale, sia per la frequente neces-sità di aggiungere materiali carboniosi esterni nella fase di denitrificazione. In questi sistemi convenziona-li di depurazione biologica a fanghi attivi, il flusso di alimentazione e di scarico delle vasche è continuo ele varie fasi del processo depurativo (ossidazione-nitrificazione, denitrificazione, sedimentazione) avven-gono in vasche separate, con la conseguente necessità della presenza di tubazioni e pompe di ricircolo erilancio dei vari flussi liquidi e fangosi. Questo stadio, che è quello centrale del trattamento viene spesso,ma non necessariamente, preceduto dalla separazione dei solidi grossolani e fini in ingresso all’impianto eseguito dalla rimozione della biomassa in eccesso uscita dall’impianto. Inoltre, viene in alcuni casi previ-sta la rimozione del fosforo mediante salificazione e sedimentazione. Le scelte impiantistiche dipendono dall’obiettivo del trattamento, che va dalla semplice riduzione del cari-co organico e azotato alla depurazione completa con scarico in acque superficiali. Infatti se l’obiettivo èsolo quello di rimuovere l’azoto non è necessario il trattamento di separazione preventiva e di rimozione deifanghi a valle.

Una valida alternativa ai sistemi biologici convenzionali è il sistema SBR (Sequencing batch reactor o reat-tore biologico sequenziale). L’SBR è un trattamento biologico a biomassa sospesa. Il flusso di alimentazio-ne e di scarico delle vasche non é continuo, come nei sistemi classici di depurazione biologica a fanghi atti-vi, ma all’interno della stessa vasca vengono create, in successione, le condizioni necessarie allo svolgi-mento delle reazioni biologiche. Il ciclo completo prevede quattro fasi di lavoro principali (Figura 12): • alimentazione: il refluo viene introdotto nella vasca previa miscelazione ed ossigenazione per favorire la

successiva fase di reazione biologica;• reazione: le reazioni biologiche avviate durante la fase di alimentazione si sviluppano a pieno durante

questa fase; • sedimentazione: in questa fase sia la miscelazione che l’ossigenazione vengono interrotte e i microrgani-

smi si depositano separandosi dal refluo;• estrazione/scarico.

Nella fase di reazione la miscelazione e l’ossigenazione sono discontinue, alternando fasi aerobiche edanossiche per favorire sia l’attività dei batteri nitrificanti che di quelli denitrificanti. Al termine della fasedi sedimentazione si provvede all’estrazione del liquame chiarificato dalla superficie e dei fanghi di supe-ro dal fondo della vasca. L’utilizzo della stessa vasca per il trattamento del liquame e la separazione dellabiomassa esclude l’utilizzo di un sedimentatore finale. I fanghi prodotti dal processo possono, dopo essere stati eventualmente utilizzati per la produzione di ener-gia, essere stoccati tal quali o previa disidratazione mediante separazione con centrifughe o con nastro-presse. Il sistema SBR è già stato per esempio applicato da tempo e con successo nella depurazione deiliquami suini, anche in allevamenti di grandi dimensioni. Tali esperienze hanno messo in evidenza che isistemi SBR presentano indubbi vantaggi rispetto agli impianti convenzionali a fanghi attivi a flusso conti-

Tra i trattamenti biologici si annoverano il processo di nitrificazione/denitrificazione; i processi basati sul-l’ossidazione arrestata a nitrito, la digestione anaerobica e alcuni processi biologici innovativi.

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2.3.3 Processi basati sull’ossidazione arrestata a nitrito Se il processo biologico di rimozione dell’azoto è posto a valle della digestione anaerobica dei liquami sui-nicoli e quindi può operare su liquami “caldi”, è applicabile il processo di nitrificazione arrestata a nitrito(detta nitrosazione), facendo in modo di creare condizioni di processo inadatte alla successiva ossidazionea nitrato. In questo modo si può ottenere un risparmio fino al 25% del fabbisogno di aerazione (e quindi di

Per tutti questi aspetti si ritiene che il sistema SBR sia da preferire agli schemi impiantistici che prevedonodenitrificazione, ossidazione-nitrificazione e sedimentazione in comparti separati. In Tabella 8, a titolo diesempio, si riporta l’efficienza di due linee di trattamento depurativo aerobico a fango attivo (con nitrifi-cazione-denitrificazione) di liquami suinicoli.

Tabella 7 - Dispositivi di rimozione biologica dell’azoto. Efficienze ottenibili nella rimozione della sostanza secca e dei nutrienti(N e P) e relativi costi (Fonte: Provolo, 2008).

Tipo di separatore

SBR senza separazione

SBR con separazione *

Processo continuo *

* con esportazione del palabile

Efficienza di rimozione (%)

Solidi

5-10

10-60*

10-99*

N

50-70

70-90*

70-95*

P

0

15-75*

15-95*

Costo (€*m-3)

3,4-3,6

4,1-4,7

5,5-6,6

Per quanto riguarda le efficienze di rimozione dei solidi e di azoto e fosforo i dati riportati in Tabella 7 sonoorientativi e possono variare notevolmente in relazione alla tipologia di effluente che viene avviato al trat-tamento. In ogni caso il rendimento diminuisce all’aumentare della concentrazione del refluo in ingresso.In particolare, si ritiene che la riduzione dell’azoto a seguito del trattamento SBR, è stata stimata nell’ordi-ne del 50-70% nel caso in cui non vi sia stata esportazione del palabile, mentre nel caso contrario è intor-no al 50-95%, con un costo relativo di 3,4-6,6 € m-3 di effluente avviato al trattamento.

nuo. In particolare, tali sistemi sono risultati avere dimensioni più contenute a parità di rese di depurazio-ne. Inoltre, presentano una semplificazione costruttiva e delle operazioni di manutenzione che li rende mag-giormente flessibili nella gestione.

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Figura 12 - Processo di nitrificazione/deni-trificazione (Fonte: Provolo, 2008).

Figura 13 - Diagramma schematico di fun-zionamento del sistema Sbr per la rimozio-ne biologica dell’azoto (Fonte: J. M.Alvarez, 2007).

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Tabella 8 - Efficienza di due linee di trattamento depurativo anaerobico a fango attivo (con nitrificazione-denitrificazione) di liquamisuinicoli (Fonte: Piccinini, 2007).

Linee di trattamento

depurativoCentrifugazione + trattamento

depurativo + stoccaggio

180 giorni

Vagliatura + sedimentazione +

trattamento depurativo +

scarico in fognatura

Volume (%)

10-20

20-30

Frazione solida e densa Frazione liquida

N (%)

20-35

25-35

P (%)

70-80

90-97

Volume (%)

80-90

70-80

N (%)

10-15

2-8

P (%)

20-30

3-10

energia elettrica) e fino al 40% del carbonio organico (COD) necessario nella successiva fase di denitrifi-cazione. Inoltre, le cinetiche più veloci e i conseguenti minori tempi di ritenzione necessari comportanominori volumi per le vasche di reazione e minori costi di investimento. Il processo Sharon (acronimo di Single reactor high activity ammonia removal over nitrite) è un esempiodi ossidazione arrestata a nitrito (Figura 14). Questo processo biologico si svolge in un reattore continuodove vengono alternate fasi aerobiche ed anossiche a particolari condizioni di temperatura e di tempo diritenzione (HRT), che favoriscono la crescita di microrganismi ossidanti l’ammonio e assicurano la totaleeliminazione mediante lavaggio degli ossidanti del nitrito, in modo da eliminare biologicamente l’azotofino alla forma di nitrito. Infatti, poiché tale processo lavora generalmente a temperature comprese tra 30°Ce 40°C e con tempi di ritenzione di circa 1,5-2,5 giorni, in questo intervallo di temperatura e di tempo diritenzione i batteri in grado di ossidare il nitrito a nitrato non possono crescere e quindi l’ossidazione del-l’ammonio si ferma a nitrito. In particolare, una ottimizzazione del processo è stata raggiunta utilizzando metanolo e lavorando a 33°C,con un tempo di ritenzione di 2,1 giorni e una durata del ciclo di 2 ore. A queste condizioni è stata aspor-tata una quantità di azoto pari a 0,33 kg N m-3 d-1. In figura 14 si possono vedere i tipici andamenti del meta-nolo, NH4

+, NO2 e del pH durante questo tipo di trattamento, noto anche come processoSharon/Denitrificazione.

Figura 14 - Schema del processo di denitri-ficazione bloccata a nitrito seguita dalladenitrificazione (Fonte: Piccinini, 2007).

Figura 15 - Andamenti di metanolo, NH4+-N,

NO2-N e pH nel processo Sharon/-Denitrificazione. Le frecce indicano carico direfluo e metanolo (Fonte: J. M. Alvarez,2007).

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Le controindicazioni del processo combinato Nitrosazione Anammox sono gli alti tempi di avviamento (dasei mesi ad un anno se si usano fanghi attivi convenzionali come inoculo), una minore stabilità di processo(le condizioni ottimali non sono ancora completamente note), che comporta personale altamente specializ-zato per la conduzione, e le poche esperienze a piena scala; ad esempio su liquami suini sono stati condot-ti solamente test in laboratorio e non esistono ancora impianti in scala reale.

I due processi, nitrosazione e Anammox, possono essere condotti in impianti separati oppure combinati inun unico processo denominato Canon (acronimo per Completely autotrophic N-removal over nitrite), conconseguente ulteriore riduzione dei costi di investimento ed esercizio (figura 20). In questo tipo di tratta-mento il processo di ossidazione autotrofa dell’ammonio avviene in un reattore a biofilm in condizioni limi-tanti di ossigeno, tale che circa il 50% dell'ammonio può essere ossidato. Se il biofilm è stabile, automati-camente una popolazione Anammox si svilupperà negli strati più profondi del biofilm. Pertanto, l’elimina-zione autotrofa completa di azoto può essere effettuata in un unico reattore a biofilm.

In impianti comunali di trattamento delle acque reflue si può realizzare in linea generale (con reattoresecondario) un’alta efficienza di rimozione biologica se i batteri che costituiscono la popolazione naturaledell'impianto di depurazione è bio-aumentata. Questo bio-aumento di batteri nitrificanti può ridurre il tempo di ritenzione solido della fase aerobica SRT(e quindi anche il tempo totale di ritenzione) del processo di rimozione dei nutrienti. Questa strategia ditrattamento è stata testata a piena scala con ottimi risultati. Viene denominato come “Biological

2.3.4 La digestione anaerobica Il processo biologico di digestione anaerobica, in assenza di ossigeno, mineralizza la sostanza organica pro-ducendo un miscela gassosa, il biogas, ricca in metano. L’azoto organico viene mineralizzato ad azotoammoniacale, senza cambiamenti significativi nella quantità complessiva; piccoli quantitativi di azotoammoniacale (1-2%) si spostano dal liquame al biogas. Il recupero energetico ottenibile con il biogas puòconsentire però di ridurre notevolmente e/o di azzerare i consumi energetici dell’impianto di rimozione bio-logica dell’azoto associabile all’impianto di biogas.

2.3.5 Processi biologici innovativiProcesso Anammox e processi combinati (Nitrosazione/ Anammox, Canon e Babe). Il processo (Figura 7;acronimo di ANaerobic AMMonium OXidation) può essere sintetizzato con la seguente reazione:

NH4+ + NO2

- → N2gas + 2 H2O

I batteri Anammox operano in assenza di ossigeno libero, a bassi potenziali di ossidoriduzione (redox) ehanno tassi di crescita molto lenti (Figura 16). Poiché il processo richiede la presenza di azoto nitroso, chei batteri Anammox utilizzano per ossidare l’azoto ammoniacale, il processo di nitrosazione, quale lo Sharon

(Figura 18), deve precedere il processo Anammox. Rispetto al processo convenzionale di nitrificazione-denitrificazione ilprocesso combinato Nitrosazione/Anammox consente di ridurre il fab-bisogno di ossigeno di oltre il 65%, di contenere notevolmente la pro-duzione di fanghi di supero e di azzerare la richiesta di carbonio ester-no. Si ottiene quindi una forte riduzione del costo di gestione rispetto aquello convenzionale (Figura 17).

33

Figura 16 - Foto batteri Anammox(Fonte: Malpei, 2008).

Figura 17 - Schema del processoAnammox (Fonte: Piccinini, 2007).

Figura 18 - Schema delprocesso Sharon (Fonte:Piccinini, 2007).

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Augmentation Batch Enhanced” o processo BABE. La Figura 21 mostra un diagramma di flusso schema-tico del processo con il quale viene prelevata una quantità limitata dei fanghi che viene messa in una cister-na (reattore BABE). Di conseguenza i batteri autoctoni delle acque reflue crescono e proliferano nel fango.Questa strategia è un metodo molto utile per potenziare gli impianti di trattamento delle acque reflue e otte-nere una migliore qualità degli effluenti: per sistemi con elevato carico di fanghi attivi il processo BABE per-mette alla nitrificazione di iniziare al di sotto del livello minimo di tempo di ritenzione solido, e per sistemia basso carico questo nuovo processo può essere utilizzato per ampliare la denitrificazione anche a bassivolumi di carico. Inoltre, è stato dimostrato che vi è una riduzione dello spazio necessario del 50% se vieneutilizzata la tecnologia BABE al posto di quella convenzionale (areazione estensiva e volumi anossici).

34

Figura 19 - Schema di processo combinato Sharon-Anammox per la rimozione di azoto (Fonte: J. M.Alvarez, 2007).

Figura 20 - Schema del processo Canon (Fonte:Piccinini, 2007).

Figura 21 - Diagramma schematico del processoBABE (Fonte: J. M. Alvarez, 2007).

Processo MBR. I processi di depurazione biologica abbinati ad un sistema di separazione dei solidi a mem-brana sono chiamati bioreattori a membrana (Membrane bioreactors, MBR). In questi sistemi, la biomassasospesa prodotta nel reattore biologico a fanghi attivi viene trattenuta su opportune superfici filtranti chepermettono la separazione dei fanghi. I MBR permettono quindi di disaccoppiare totalmente la ritenzione della biomassa dalle caratteristiche di sedi-mentabilità o di adesione dei microrganismi che la compongono e sostituiscono il comparto di sedimentazione. Il processo presenta alcuni vantaggi: • permette di raggiungere e mantenere nei reattori concentrazioni di biomassa più alte rispetto a quelle nor-

malmente ottenute nei trattamenti convenzionali e svincolate dai tempi di residenza idraulici; • mantenere un controllo molto accurato dell’età del fango poiché lo spurgo di fango è strettamente rego-

lato dall’operatore; riduce la massa di fanghi di supero, grazie al loro elevato tempo di residenza e al bassocarico sul fango normalmente scelto per i MBR;

• migliora la qualità dell’effluente finale, dato che la filtrazione su membrana garantisce una separazione

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In Tabella 9 viene infine presentata una panoramica dei processi fino qui analizzati.

2.4 Sintesi sui processi di rimozione (strippaggio 2.4 e concentrazione esclusi)

Tabella 9 - Principali caratteristiche dei processi di rimozione dell’azoto.

(C/F = chimico/fisico; B = biologico)

Tecnologia

Separazione meccanica

Microfiltrazione

Osmosi inversa

Precipitazione struvite

Nitrificazione/denitrificazione (BNR)

Sequencing batch reactor (SBR)

Digestione anaerobica

Tipologiaprocesso

C/F

C/F

C/F

B

B

B

Riduzioneazoto (%)

4-40

50

95

60-80

80

90

70-95

50-90

50-95

Prodotti secondari

Fanghi

Materiale palabile

Materiale palabile

Materiale palabile + solfato d’ammonio

Materiale palabile +struvite

Concentrato + acquacondensata

Fanghi di supero

Materiale palabile

Aspetti principali

Richiede platee per stoccaggio

N e P vengono separati e concentrati

Produzione palabili organici

Riduzione volume refluoConcentrato stabile ed esente da patogeniRecupero acqua con condensazione

Riduzione dell’N senza ulteriori trattamenti

Energia prodotta impiegata per la + rimozione dell’N

Produzione energia riduce costi abbattimento N

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praticamente totale dei solidi sospesi, impedendo così il trascinamento di fango biologico residuo, cui siaccompagna un apprezzabile carico inquinante;

• limita l’ingombro degli impianti, data la possibilità di sviluppare in altezza l’unità biologica (bioreattore)e l’assenza del sedimentatore secondario, normalmente di notevoli dimensioni.

I bioreattori MBR possono utilizzare membrane del tipo tubolare, piano o a fibre cave. Queste ultime risul-tano attualmente le più interessanti e mature come tecnologia; la membrana è costituita da un sottile tubo inpolimero che agisce da elemento filtrante, supportato da un tubo interno costituito da polimero macroporo-so. La porosità della membrana la colloca a cavallo dell’ultrafiltrazione e della microfiltrazione (0,2 µm).Una pompa centrifuga crea una leggera depressione (0,1-0,5 bar) all’interno delle fibre e induce l’estrazio-ne dell’acqua depurata (permeato) dalla miscela che scorre all’interno della fibra stessa. Quando la porta-ta del permeato tende a diminuire a causa dell’aumento della resistenza alla filtrazione sulle membranedovuto al loro sporcamento (fouling), viene effettuato il contro lavaggio invertendo il flusso della stessapompa di processo, che preleva il permeato stoccato in un serbatoio e lo invia all’interno delle fibre caveattraverso il medesimo circuito idraulico utilizzato in fase di filtrazione. Quando la permeabilità delle fibre a fine ciclo diminuisce sensibilmente, viene effettuato un vero e propriotrattamento di lavaggio con una soluzione di opportuni composti chimici, la cui composizione dipende dallecaratteristiche del refluo trattato e dalla natura del materiale incrostante. L’inserimento di membrane fil-tranti nelle linee biologiche di depurazione è certamente una delle innovazioni tecnologiche più interessan-ti e promettenti nel settore depurazione. Nel trattamento di liquami ad alto contenuto di solidi sospesi, dicarico organico ed azotato quali quelli zootecnici, il problema principale, non ancora supportato da realiz-zazioni in scala reale funzionanti da un periodo sufficientemente lungo, è quello della durata delle mem-brane. Il loro costo è elevato e quindi una frequente sostituzione avrebbe forte incidenza negativa sui costidi esercizio dell’impianto.

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Ai fini dell’uso agronomico il digestato comporta, da un lato, una potenziale maggiore efficienza (in quan-to prontamente assimilabile dalla coltura), dall’altro, richiede una maggiore attenzione alle epoche di dis-tribuzione per poter massimizzare tale aspetto. Le sue caratteristiche chimico-fisiche sono strettamente correlate a natura e rapporti quantitativi dei sub-strati caricati. Le Tabelle 11 e 12 evidenziano dei valori tipici; risulta evidente la variabilità della composi-zione chimica del prodotto e per tal motivo è indispensabile la caratterizzazione del materiale prima del suoutilizzo come fertilizzante.

Il digestato, indipendentemente dalla natura delle matrici di partenza, non è classificabile come un fertiliz-zante ai sensi della normativa nazionale (D.Lgs 217/06) e quindi non è liberamente utilizzabile.

3 Caratteristiche del digestato

Il digestato si presenta come un substrato omogeneo, stabilizzato e quindi, deodorizzato e generalmentesotto forma liquida, poiché la tecnologia applicata in modo prevalente nel contesto agro-zootecnico operasu substrati che presentano un contenuto di sostanza secca pari o inferiore al 10% (“digestione “a umido”),oppure compreso tra il 10 e il 20% (digestione “a semisecco”). Dal punto di vista agronomico ha un buon potere fertilizzante, in quanto apporta sostanza organica ed ele-menti nutritivi (azoto, fosforo e potassio); caratteristica comune a tutti i digestati è la maggiore quota diazoto che si presenta sotto forma ammoniacale rispetto a quella organica delle matrici in ingresso fresche.Inoltre, poiché il digestato ha già subito un processo di digestione anaerobica presenta una valore di CODe un contenuto di solidi volatili (VS) inferiori al liquame fresco, come riassunto in Tabella 10.

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Quaderni della ricerca

Tabella 10 - Caratterizzazione di liquame suino e frazione liquida freschi e dopo digestione anaerobica (digestato); (Fonte: A.Bonmatí i Blasi, 2001).

* Espresso come CaCO3. **Espresso come acido acetico.

Parametro

pH

Solidi totali (TS)

Solidi volatili (VS)

Domanda chimica di ossigeno(COD)

Azoto ammoniacale (N-NH4+)

Azoto totale Kjeldhal (NTK)

Azoto organico (Norg)

Alcalinità totale (TALK)*

Alcalinità parziale (PALK)*

Rapporto alcalinità (RALK)

Acidi grassi volatili totali (TVFA)**

Fosforo (P)

Potassio (K)

Unità dimisura

g/kg

g/kg

g/kg

g/kg

g/kg

g/kg

g/kg

g/kg

g/kg

g/kg

g/kg

Min

6,6

13,7

6,4

8,1

1,6

2,0

0,4

5,1

3,5

0,17

0,1

0,1

1,6

Max

8,7

169,0

121,3

191,2

8,0

10,2

3,7

59,2

30,0

0,70

10,8

6,6

7,8

Media

7,7

62,2

42,3

73,0

4,5

6,0

1,5

21,5

12,2

0,42

5,0

1,4

4,8

8,4

31,7

17,2

41,2

3,7

4,8

1,0

14,5

11,8

0,19

0,2

-

-

7,7

49,1

30,9

68,8

3,5

5,8

2,3

9,9

5,5

0,44

14,8

1,2

6,2

8,5

15,7

8,6

13,1

2,0

2,6

0,6

6,0

5,0

0,13

0,6

0,4

4,4

Liquame fresco Liquame dopo digestione

anaerobica

Frazione liquida fresca

Frazione liquida dopo

digestione anaerobica

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Nel caso di digestione anaerobica di soli effluenti zootecnici, secondo la Direttiva Nitrati, il digestato restaa tutti gli effetti “effluente zootecnico” e come tale deve essere gestito. In proposito si ricorda che il criterio fondamentale che ne regola l’uso agronomico è il rispetto di un dosag-gio massimo ammesso di azoto per unità di superficie, pari rispettivamente a 170 kg/ha e a 340 kg/ha all’an-no a seconda che la distribuzione avvenga su suolo classificato o meno “vulnerabile ai nitrati”.

Dal punto di vista formale, anche la miscela risultante dalla digestione anaerobica di effluenti zootecnici,residui colturali e colture energetiche tipo sorgo, mais e foraggi, sottoposti a processo di insilamento,dovrebbe essere assimilata agli effluenti zootecnici, anche se il DM 07-04-2006 e le normative regionali chelo recepiscono non lo evidenzino espressamente.

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Tabella 11 - Digestato da effluenti bovini e biomasse vegetali (fonte: CRPA, 2006).

pH

[-]

7,79

ST

g/kg tq

43,22

ST

%

4,32

SV/ST

%

65,55

NTK

mg/kg tq

3.800

NTK

% ST

9,05

N-NH4

mg/kg tq

2.337

NTK

%ST

61,53

Fosforo

% ST

0,83

Potassio

% ST

9,44

Tabella 12 - Digestato da biomasse vegetali (fonte: CRPA, 2006).

pH

[-]

7,84

ST

g/kg tq

73,69

ST

%

7,37

SV/ST

%

71,41

NTK

mg/kg tq

4.652

NTK

% ST

6,31

N-NH4

mg/kg tq

2.498

NTK

% ST

53,70

Fosforo

% ST

0,83

Potassio

% ST

5,49

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Le alte temperature favoriscono quindi il trasferimento dell’ammoniaca in fase gassosa. L’equilibrio di dissociazione dell’ammoniaca in soluzione acquosa segue la relazione:

[NH3] = ([NH3 + NH4+]) • (1 + [H+]/Ka)-1 = ([NH3 + NH4

+]) • (1 + 10pKa-pH)-1 (3)

4 La tecnologia dello strippaggio

4.1 Basi del processo

La tecnica dello strippaggio combinata a quella dell’assorbimento può essere utilizzata per rimuovere erecuperare l’azoto ammoniacale da liquami quando. In dipendenza dal tipo e dall’età di questi ultimi, trail 50 e il 75% dell’azoto totale è infatti presente in tale forma. In sintesi, l’azoto ammoniacale presente in forma soluta viene trasferito in forma gassosa (ammoniaca) perpoi essere assorbita in una soluzione fortemente acida (tipicamente una soluzione di acido solforico), gene-rando in questo modo un sale d’ammonio, il quale a sua volta può cristallizzare.

La quantità di azoto ammoniacale che può essere strippata da un refluo liquido e assorbita in una soluzio-ne acida, dipende essenzialmente da due equilibri termodinamici:• equilibrio dell’ammoniaca in fase liquida e gassosa: NH3 (acq) ↔ NH3 (gas)• equilibrio di dissociazione dell’ammoniaca in fase liquida: NH4

+ ↔ NH3 (acq) + H+

Nel caso di soluzioni ammoniacali, l’equilibrio tra le due fasi (liquida e gassosa) è regolato dalla legge diHenry:

y = x • (He/P) (1)

dove: • y è la concentrazione di ammoniaca in fase gassosa (frazione molare); • x è la concentrazione dell’ammoniaca in fase liquida (frazione molare);• P è la pressione totale del sistema (bar);• He è la costante di Henry (bar).

Come tutte le costanti di equilibrio, anche la costante di Henry è fortemente influenzata dalla temperatura(Figura 22). Infatti:

ln HeNH3 = 14,48 – 4,341/T (2)

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Quaderni della ricerca

Figura 22 - (a) Andamento della costante di Henry (He) al variare della temperatura; (b) effetti di temperatura e del pH sull’equi-librio ammoniaca-ione ammonio in soluzione acquosa (Fonte: A. Bonmatí i Blasi, 2001).

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dove: • [NH3] è la concentrazione dell’ammoniaca in fase acquosa; • [NH3 + NH4

+] è la concentrazione totale di ammoniaca (in fase acquosa e come sua specie protonata); • [H+] è la concentrazione di ioni idrogeno;• Ka è la costante di dissociazione acida per l’ammoniaca, funzione della temperatura.

Conseguentemente, quanto più sono elevati il pH e la temperatura, tanta più ammoniaca in fase acquosa èpresente nel liquame e quindi è maggiore l’efficienza del processo di rimozione. In generale, a 20°C e pH di 7, o a valori inferiori sono presenti solo ioni ammonio. Con pH basici, invecel’equilibrio è progressivamente spostato in favore della formazione di ammoniaca in fase acquosa. Con pHintorno a 11,5-12 è presente solo l’ammoniaca acquosa è presente (3).

In conclusione, si evince che lo strippaggio effettuato a temperatura ambiente richiede un elevato valore dipH per spostare l’equilibrio verso la formazione dell’ammoniaca in fase liquida. Tuttavia, se la temperatu-ra viene aumentata il processo avviene anche a valore di pH più bassi. Quando invece si opera a valori di pH inferiori a 5 è chiaramente favorita la formazione di ione ammonia-cale, senza alcun effetto della temperatura sul processo.

4.2 Configurazioni impiantistiche

In generale, in tutte le applicazioni industriali, per ragioni economiche e pratiche, lo strippaggio viene effet-tuato per mezzo di aggiunta di additivi che correggono il pH del refluo elevandolo fino a valori dell’ordinedi 10,5-11,5. In corrispondenza di questi valori, infatti, tutta l’ammoniaca disciolta è pressoché presente nella forma libe-ra NH3 e non in quella combinata, NH4

+ e pertanto può essere assorbita dalla corrente di aria che viene acontatto con la superficie del refluo.

Gli schemi impiantistici più comuni prevedono l’abbinamento di una torre di strippaggio con una torre dilavaggio (scrubber) in cui il flusso di aria carico di ammoniaca viene messo a contatto con una soluzioneacida, in genere a base di acido solforico, per ottenere un sale. Il sale di ammonio così formatosi può esse-re gestito come soluzione esausta, oppure portato alla concentrazione di cristallizzazione, precipitato egestito in forma solida.

L’applicazione della tecnica dello strippaggio con successivo assorbimento in soluzione acida ai liquamideve essere sempre abbinata a un trattamento di separazione solido/liquido piuttosto spinto del refluo perevitare la presenza particelle grossolane che potrebbero intasare gli ugelli di insufflazione o formare affio-ramenti superficiali all’interno dei reattori con conseguenti anomalie.

Tutte le configurazioni sono mirate a sviluppare un contatto efficiente tra aria e refluo, favorendo quindi ilpassaggio delle materie volatili all’aria stessa.

La configurazione tipica è di colonna cilindrica, le cui dimensioni variano da circa 0,2 a oltre 3 m di dia-metro e da 2 a oltre 15 m in altezza. La colonna è comunemente realizzata in FRP (plastica rinforzata infibra di vetro), alluminio o acciaio inox (Figura 23). Il refluo viene disperso dalla parte alta della colonna e scende attraversando degli elementi generalmente dimateriale plastico posti al suo interno (letto percolatore). Allo stesso tempo l’aria, introdotta dal basso, sale in controcorrente attraverso il letto contenuto nella colon-na. Possono essere previsti dei demister nella parte superiore della colonna per limitare la perdita di vapo-re acqueo. Il tutto viene realizzato in modo da ottenere una grande superficie di scambio aria-liquido.L’ammoniaca trasferita all’aria esce dalla parte alta della colonna sotto forma di vapore. L’aria in uscita èrilasciata in atmosfera o, se necessario, viene ulteriormente trattata per recuperare l’ammoniaca a fini pro-duttivi e comunque per limitare le emissioni.

Altre configurazioni sono basate su colonne a piatti (Figura 24). In questo caso il refluo fluisce verso ilbasso, mentre l’aria viene fatta fluire in controcorrente.

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In Tabella 13 sono riassunti i vantaggi e svantaggi delle singole soluzioni costruttive. Le colonna con letto percolante e quelle a piatti possono operare nelle più svariate condizioni di processoe sono pertanto le più utilizzate. I sistemi a gorgogliamento sono meno efficienti ma la loro semplicità, adattabilità a lavorare con alte concen-trazioni di solidi sospesi e la loro insensibilità allo sporcamento talvolta costituiscono dei fattori necessari.Altri fattori come restrizioni sull’altezza possono fare ricadere la scelta sui sistemi a piatti anche se quellia letto percolante sono normalmente più economici. Entrambe le tipologie possono permettere di rimuove-re più del 99% dell’ammoniaca. All’aumentare della profondità dei piatti o del loro numero si incrementa l’efficienza di rimozione cosìcome aumentando il flusso d’aria. Spesso i sistemi a letto percolante vengono incrostati da depositi minerali. Questo avviene quando la concen-trazione del calcio supera 40 mg/litro, il ferro 0,3 mg/litro, il magnesio 10 mg/litro, o il manganese 0,05 mg/litroo quando vi è una crescita di batteri. Gli eventuali depositi solidi che devono necessariamente essere rimossi. Pertanto le diverse soluzioni costruttive devono prevedere sistemi per la pulizia (esempio: lavaggi con solu-zioni acide) e in ogni caso facilitare le relative operazioni. Quando si temono in modo particolare le incrostazioni i sistemi a piatti sembrerebbero preferibili. Spessoqueste unità sono costituite dai singoli piatti montati in gruppo. Pertanto piccoli sistemi possono esserefacilmente smontati per rimuovere i depositi biologici o minerali. Le unità più grandi presentano normal-mente delle aperture per consentire di utilizzare getti di acqua in pressione.

Ulteriori schemi impiantistici si basano sull’aerazione forzata in serbatoi muniti sul fondo di diffusori(Figura 25). Il trasferimento dei composti volatili dal refluo all’aria può essere migliorato aumentando laprofondità dello strato liquido e producendo bolle di piccola dimensione. Si tratta di un sistema semplice eche può essere applicato anche con reflui con alte concentrazioni di solidi sospesi.

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Figura 23 - Colonna di strippaggio a letto percolante (Fonte:Ju-Chang Huang, 2007).

Figura 24 - Colonna a piatti (Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).

Figura 25 - Sistema di rimozione a gorgogliamento (Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).

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Tabella 13 - Confronto tra colonna a letto percolante e a piatti (Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).

Efficienza

Costi

Schiume

Volumi di aria

Incrostazioni da solidisospesi di calcio, ferroe manganese e crescitamicrobica

Dimensioni

Colonne a letto percolante

Aumenta con l’incremento dell’altezza

Più basso con alti volumi di refluo

Minor produzione.

Minori volumi d’aria e quindi dispositivi per il controllo delle emissioni più economici

-

Elevato sviluppo in altezza

Colonne a piatti

Aumenta con l’incremento del numero di piatti

-

-

Opera con specifici volumi ottimali, minori possibilità di variazione.

Più facile da pulire

Compatte

Figura 26 - Calce richiesti per la correzione del pH nel caso direflui domestici (Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).

I volumi di aria necessari sono generalmente ridotti per il sistemi a letto percolante mentre sono più eleva-ti per quelli a piatti. I primi operano di solito con portate specifiche variabili da 1,5 a 76 (m3/min)/m2 disezione della colonna. I secondi invece richiedono da 9 a 18 (m3/min)/m2 di superficie dei piatti.

L’efficienza dello strippaggio dell’ammoniaca dipende principalmente da cinque fattori che vengonodescritti nei successivi paragrafi.

4.3 Influenza del pH

Come mostrato in Figura 26 e citato nelle Premesse, la presenza in soluzione delle due forme ammoniacali,rispettivamente coma gas disciolto NH3 e come ione ammonio NH4

+ dipende in gran parte dal valore del pH. Poiché solo il gas disciolto può essere rimosso dalla soluzione, è importante, a temperature limitate, aumen-tare il pH fino ad un valore intorno ad 11 o superiore in modo che circa il 95% dell'azoto ammoniacalevenga convertito in forma di gas ammoniaca gassosa. Per la correzione del pH viene spesso utilizzata la calce in quanto è il materiale più economico. La quanti-tà necessarie dipendono dalle caratteristiche del refluo (Figura 26; vale anche per i reflui zootecnici).

4.4 Influenza della temperatura

La temperatura del refluo influenza l’efficienza di rimozione dell’ammoniaca incidendo sulla sua solubili-tà nel liquido in cui è disciolta.

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Ad alte temperature l’energia cinetica delle molecole aumenta, con conseguente riduzione della solubilitàdei prodotti gassosi nelle soluzioni. Per un gas poco solubile la legge che ne regola la sua concentrazione presente in soluzione è quella di Raoult:

xg = pg / pg° (3)

dove:• xg indica la frazione molare del gas nella soluzione e quindi la sua concentrazione; • pg la pressione del gas sovrastante la soluzione; • pg° la pressione di vapore del gas ad una certa temperatura. Quest’ultimo parametro aumenta con l’in-

cremento di temperatura, riducendo xg.

Nel caso di gas con solubilità maggiori si fa riferimento alla legge di Henry stabilendo che a temperaturacostante la solubilità di un gas è dipendente dalla sua pressione nella fase gassosa sovrastante la soluzione.Indicando con C la concentrazione del gas nella soluzione e con p la sua pressione nella fase gassosa sovra-stante, la legge di Henry è così espressa:

C = K·p (4)

Il valore della K è tipico del gas e della soluzione in cui esso viene disciolto ed è dipendente dalla tempe-ratura. Nell’ambito di un processo di scambio che avviene all’interfaccia liquido-gas, aumentando la tem-peratura di processo si spostano le condizioni del sistema favorendo la liberazione delle forme gassose dallafase liquida. In un processo di strippaggio ciò si traduce nella maggiore capacità dell’aria di “caricarsi” diammoniaca rimuovendola dal mezzo in cui essa è disciolta.

4.5 Tasso di rimozione dell’ammoniaca disciolta nel refluo

Con il meccanismo di rimozione, le molecole di NH3 disciolte nel refluo devono prima diffondersi dallamassa liquida alla relativa superficie e successivamente da questa al flusso d'aria di lavaggio. Più in particolare risulta che:• il trasporto di molecole di NH3 dalla massa del refluo all'interfaccia aria-refluo si realizza per semplice

diffusione molecolare. L’agitazione del liquido aumenta l’efficienza del trasporto e nel caso di piccolispessori di liquido (come si verifica in particolare modo nei sistemi a letto percolante) questo fenomenoraramente diventa un fattore limitante del processo;

• il trasferimento delle molecole di NH3 dall’interfaccia aria-refluo alla fase gassosa è massimizzato quando latensione superficiale è minima e la pressione parziale dell’ammoniaca nell’aria di lavaggio è pure minima.

4.6 Portata dell’aria di lavaggio

La differenza di pressione dell'ammoniaca tra la fase liquida e gassosa rappresenta uno dei principali fatto-ri all’origine del processo di rimozione. La pressione parziale della NH3 nella fase gassosa può essere minimizzata aumentando quantità di arianecessaria che a sua volta può essere determinata dalla seguente relazione:

Lq (x1-x2) = G (y1-y2) (4)

dove: • Lq è la portata di refluo attraverso la colonna in moli per unità di tempo; • x1 è concentrazione di ammoniaca nella soluzione in entrata, in moli di ammoniaca per mole di refluo; • x2 è concentrazione di ammoniaca nella soluzione in uscita, in moli di ammoniaca per mole di refluo; • G è la portata d'aria attraverso la colonna in moli per unità di tempo; • y1 è concentrazione di ammoniaca nell’aria in uscita, in moli d’ammoniaca per mole di aria; • y2 è la concentrazione di ammoniaca nell’aria in entrata, in moli d’ammoniaca per mole di aria.

Ipotizzando che all’uscita della colonna il refluo e all’entrata della stessa l’aria presentano una concentra-zione di ammoniaca pari a zero, l’equazione (4) può essere riscritta come segue:

Lqx1= Gy1 o anche G/Lq= x1/y1 (5)

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Si tratta di linee rette perché il rapporto di X/Y è costante a una determinata temperatura e a prescinderedalla concentrazione di ammoniaca nell’acqua in ingresso. In aggiunta, il flusso d’aria teorico richiestodipende solo dalla temperatura dell’acqua e non dalla concentrazione di ammoniaca in ingresso. La valuta-zione si basa su una efficienza di rimozione pari al 100%, quindi teorica. Pertanto, per ottenere nella pratica una efficienza di rimozione maggiore del 90% si raccomanda di adotta-re un flusso d’aria pari a 1,5 volte il valore teorico.

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ove G/Lq è la quantità di aria richiesta per unità di volume di refluo che è pari al rapporto tra la concentra-zione di ammoniaca nell’acqua in entrata e nell’aria in uscita (x1/y1).

Nel caso che il refluo sia acqua, ad una data temperatura e a pressione atmosferica, la frazione molare diammoniaca presente nell’aria in uscita e nell’acqua in entrata della colonna può essere assunta come costan-te in base alla legge di Henry. Partendo da questa considerazione Tchobanoglous ha determinato una serie dirette che evidenzia le condizioni di equilibrio dell’ammoniaca in aria ed acqua a varie temperature (Figura 27).

Figura 27 - Equilibrio dell’ammoniaca inaria ed acqua a pressione atmosferica(Fonte: Ju-Chang Huang, 2007).

q q p ( g

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5 La tecnologia della concentrazione

5.1 IntroduzioneL’utilizzo agronomico dei reflui in zone lontane dagli allevamenti è fortemente limitato dai costi di trasportoa causa dell’elevato contenuto di acqua e quindi del tenore in nutrienti relativamente basso. In questo contesto una soluzione tecnologica da considerare - quasi diametralmente opposta a quella dellostrippaggio - potrebbe essere costituita dalla concentrazione e/o dalla completa essiccazione dei reflui. I vantaggi sarebbero molteplici e rilevanti:• grande riduzione dei volumi;• produzione di prodotti stabili;• riduzione delle emissioni ammoniacali;• eliminazione dei patogeni e spore.

La concentrazione si basa sulla rimozione di acqua normalmente mediante riscaldamento del refluo. Il risul-tato è la produzione di un refluo concentrato e di un evaporato che viene recuperato per condensazione. Ilprimo poi può essere completamente essiccato.L’obiettivo, in questo caso, è di mantenere la maggior quantità di azoto nella frazione concentrata produ-cendo un evaporato di caratteristiche tali da essere idoneo per l’irrigazione.

5.2 Calcolo della quantità di acqua da evaporare

Data una certa quantità A di soluzione diluita (refluo), una proporzione di solvente B (acqua) viene evapo-rata, mentre la rimanente parte C è rappresentata dal prodotto concentrato. Conseguentemente, la massa daevaporare è pari a:

B = A – C

Il rapporto di evaporazione e, che è un indice dell’intensità del processo, è dato da:

e = A/C

La valutazione dei diversi parametri può essere effettuata, in dipendenza del tipo di problema, con l’ausiliodella tabella 14 e delle Figure 28 e 29.

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Quaderni della ricerca

Tabella 14 - Formule di utilità (Fonte: Riva, 2008).

Dato a disposizione

Massa del prodotto iniziale A

Massa evaporata B

Massa di concentrato C

Dato da calcolare

B

C

A

C

A

B

Relazioni da utilizzare

B = A* (e – 1)/e

C = A* (1/e)

A = B * e/ (e – 1)

C = B * 1/ (e – 1)

A = C * e

B = C * (e – 1)

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5.3 I composti volatili

Il trattamento dei liquami mediante evaporazione può determinare emissioni di composti volatili. Nel casodei liquami i principali sono l’ammoniaca e alcuni acidi grassi (VFA). Attraverso l’aggiustamento del pHquesti possono essere comunque trasformati in ioni non volatili. La Figura 30, a esempio, evidenzia come sia necessario un pH compreso tra 5 e 6 per la completa ionizza-zione dell’ammoniaca. Dall’altra parte, riducendo il pH aumenta la frazione di acido acetico (HAc) nonionizzata. Risultati sperimentali hanno mostrato che a pH 4 al condensato vengono trasferiti l’1% di ammo-niaca e il 75% di acido acetico, mentre a pH=10 sono trasferiti il 93% dell’ammoniaca e l’1% di acido ace-tico. Questo dimostra che se una soluzione liquida presenta un’alta concentrazione di azoto ammoniacale edi acidi grassi volatili (VFA) non è possibile prevenire la volatilizzazione di entrambi i composti andandoad aggiustare il pH fino ad un determinato valore. Per evitare l’insorgenza di tale problema è necessario quindi effettuare un processo di evaporazione a duefasi o un trattamento preventivo. Inoltre, i composti organici volatili (VOCs) non ionizzati non possono essere fissati attraverso modifica-zioni di pH. Un trattamento preventivo (come lo strippaggio o la digestione anaerobica) volto alla rimozio-ne dei VOCs è necessario per prevenire la loro emissione durante l’evaporazione.

Qualsiasi processo richiedente calore implica elevati input energetici. La necessità di energia termica è quindi il fattore limitante del processo di evaporazione. Tuttavia, quandosi combina la digestione anaerobica con l’evaporazione, il biogas prodotto e utilizzato per la produzione dienergia elettrica potrebbe costituire una fonte economica di calore.

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Figura 28 - Calcolo della quantità di sol-vente da asportare in funzione delle con-centrazioni iniziali e finali. Es.: per portareun fluido con concentrazione iniziale del10% (asse delle ascisse) a una concentra-zione finale del 50% (selezionare la retta)occorre asportare circa 0,8 kg di acqua perogni kg di prodotto iniziale (asse delle ordi-nate; Fonte: Riva, 2008).

Figura 29 - Calcolo delle quantità di sol-vente da evaporare in base alle concentra-zioni iniziali e finali della soluzione perdue diversi livelli di temperatura che posso-no essere assunti come limite superiore einferiore del normale campo di temperatu-re di lavoro. Si tratta di una correlazione tracontenuto percentuale di sostanza secca(TS), massa volumica del prodotto in g/cm3

(Fonte: Riva, 2008).

p

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5.4 Configurazioni impiantistiche

Gli impianti di concentrazione di tipo termico si basano sull’impiego di evaporatori, che derivano per lo piùdall’industria agro-alimentare. Nel settore agricolo infatti, la concentrazione viene anche vista come speci-fica soluzione a problemi di gestione delle eccedenze produttive e/o di reflui inquinanti. Un esempio lega-to al primo problema è quello della produzione di latte in polvere nei Paesi del centro - nord Europa, neiquali la quantità di latte prodotto è superiore al fabbisogno interno. Un esempio del secondo tipo è quellodel siero di latte, principale sottoprodotto della produzione dei formaggi. In Figura 31 è riportato lo schema relativo ad un evaporatore batch da laboratorio.

Nella loro configurazione più semplice gli evaporatori sono composti essenzialmente da quattro elementi. • scambiatore di calore, dove il prodotto riceve l’energia necessaria per l’evaporazione del solvente da un

vettore riscaldante che nella generalità dei casi è vapore in condensazione. La tipologia dello scambiato-re può essere varia (dalla semplice vasca con intercapedine degli evaporatori meno recenti ai più moder-ni evaporatori a fascio tubiero o a piastre);

• separatore, nel quale il concentrato viene separato dal vapore del solvente;• condensatore, in cui il vapore prodotto nell’ebollizione viene condensato. Può essere a scambio indiretto

(scambiatore a fascio tubiero o a piastre) o per miscelazione diretta con acqua di raffreddamento;• pompa del vuoto, per produrre e mantenere il livello di pressione più opportuno all'interno dell'evapora-

tore. Lavorare al di sotto della pressione atmosferica è un accorgimento spesso indispensabile per preser-vare la qualità del prodotto.

La parte dell’evaporatore oggetto di più varianti costruttive e più interessante da analizzare è senz’altro ilcomplesso evaporatore - separatore.

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Figura 30 - Ammoniaca (NH3) e la frazio-ne dell’acido acetico (HAc) in funzione delpH a diverse temperature (Fonte: AugustBonmatí i Blasi, 2001).

Figura 31 - Rappresentazione schematicadi un evaporatore discontinuo da laborato-rio (Fonte: August Bonmatí i Blasi, 2001).

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Come esempio di schema industriale si cita il processo Valpuren, concepito per trattare liquami suini. Sitratta di un processo in cui è compresa anche una fase di digestione anaerobica (Figure 33, 34 e 35). Il bio-gas prodotto viene utilizzato per alimentare un cogeneratore con conseguente produzione di energia elettri-ca e calore. Quest’ultimo viene recuperato per la concentrazione del liquame. Il condensato e l’acqua recu-perata possono essere a loro volta utilizzati, ad esempio come fertilizzanti.

In termini generali, il processo di evaporazione ha efficacia su prodotti che mantengono una consistenzaliquida. Il limite operativo dei concentratori sembra essere intorno al 20-25% di ST. Si consiglia sempre un pre-trat-tamento finalizzato alla rimozione dei solidi sospesi. Se tale trattamento è assente le particelle in sospen-sione formano una matrice e il concentrato cessa di essere un liquido scorrevole.

Nel caso del trattamento dei reflui viene adottato il tradizionale evaporatore con agitatore. Tale impianto èadatto per operazioni discontinue (batch). Può essere conseguita una operatività semicontinua addizionan-do nel corso del processo il liquido da concentrare, in modo da mantenere costante il volume caricato(Figura 32). Questo tipo di evaporatore si presenta particolarmente adatto per liquidi viscosi e pastosi. Iltasso di evaporazione è generalmente lento a causa dello sfavorevole rapporto tra volume del prodotto esuperficie riscaldante che normalmente peggiora all’aumentare delle dimensioni dell’impianto.Conseguentemente, la differenza di temperatura tra vettore riscaldante e prodotto (∆T) è relativamente alta.

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Figura 32 - Rappresentazione schematicadi un evaporatore semi-continuo (Fonte:August Bonmatí i Blasi, 2001).

Figura 33 - Rappresentazione schematicadel processo Valpuren® (Fonte: Servicios deGestion Tecnologica, 2006).

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In molti casi si ricorre all’evaporazione a pressioni inferiori a quella atmosferica che offre diversi vantaggi:• poiché avviene in un sistema chiuso i vapori esausti possono essere facilmente trattati;• la temperatura limitate di processo riducono l’emissione di composti volatili.

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Figura 34 - Diagramma schematico delprocesso Valpuren® (Fonte: J. M. Alvarez,2007).

Figura 35 - Impianto per il trattamento deiliquami secondo il processo Valpuren® aJuneda-Lleida.

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6 Prove svolte: materiali e metodi

6.1 Premesse

In questo Capitolo si riporta la descrizione degli impianti e dei sistemi utilizzati a livello sperimentale nelpresente Studio come tecnologie per la rimozione dell’azoto da digestato o da prodotto refluo zootecnico edefinite le metodologie adottate per condurre le prove sperimentali. Più in particolare, il lavoro svolto ha previsto la disamina dei processi di rimozione dell’azoto su specificiapparati. Più precisamente:• un impianto pilota per lo strippaggio dell’azoto ammoniacale a media temperatura (inferiore a 45°C); • un dispositivo su scala ridotta per lo strippaggio dell’azoto ammoniacale ad alta temperatura (fino a

80°C); • un dispositivo su scala ridotta per la concentrazione per evaporazione del digestato.

Nel corso del programma di lavoro è stata allargata l’attività anche all’analisi del processo di correzione delpH del digestato sviluppando dei test su un dispositivo in scala ridotta per la de-alcalinizzazione.La valutazione dell’efficienza degli impianti di rimozione dell’azoto è definita dalla riduzione percentualedell’azoto totale (DNT) e della forma ammoniacale (DNA). Più in particolare:

DNT = (NTi – NTf ) / NTiDNA = (NAi – NAf ) / NAi

Dove:• NTi è il contenuto di azoto prima del processo di rimozione dell’azoto;• NTf è il contenuto di azoto dopo il processo di rimozione dell’azoto;• NAi è il contenuto di ammonio prima del processo di rimozione dell’azoto;• NAf è il contenuto di ammonio dopo processo di rimozione dell’azoto.

6.2 Dispositivi ed impianti utilizzati

6.2.1 L’impianto pilota di strippaggioLe prove sperimentali per la valutazione della tecnica di strippaggio dell’azoto a media temperatura sonostate effettuate su un impianto pilota realizzato appositamente dalla ditta Piantoni Ecologia di Sovere. La struttura, da considerarsi di carattere sperimentale, è stata realizzata e dimensionata nell’ottica di ope-rare in aziende agricole e posta su piattaforma per consentire un trasporto e montaggio agevole presso lestesse (Figura 36). Questo sistema si basa sulla capacità di rimozione dell’ammoniaca gassosa disciolta neldigestato (o liquame) da parte di una corrente di aria in pressione, captata dall’ambiente, attraverso unacolonna verticale. L’azione di desorbimento dell’ammoniaca dalla fase liquida da parte del flusso di aria èfavorita dall’aumento di superficie di contatto tra la stessa fase liquida, che scorre verso il basso, e la fasegassosa (aria) che sale lungo la colonna.

In termini generali, l’impianto presenta due serbatoi principali da 1.000 litri nei quali sono contenuti il pro-dotto liquido prima del processo di strippaggio (serbatoio A) ed il prodotto liquido in uscita dalla colonnadopo il trattamento (serbatoio B).

All’interno del serbatoio A è disposto un agitatore meccanico la cui funzione è di favorire il mantenimen-to dell’omogeneità della massa liquida. Esternamente è presente una camicia di riscaldamento del prodot-to, per la quale è previsto l’utilizzo di acqua calda. Alla base del serbatoio è disposto un tubo di uscita diret-to in aspirazione ad una pompa peristaltica di potenza 0,1 kW.

Il dispositivo è in grado di pompare circa 120 litri/ora di prodotto in mandata lungo un tubo di raccordo conla sommità della colonna di strippaggio. Questo elemento presenta un altezza di circa 2.700 mm ed un dia-metro esterno di 323 mm. Al proprio interno è riempito di “pall ring” in polipropilene di circa 30 mm di diametro (letto di per-

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Quaderni della ricerca

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L’aria in controcorrente al flusso del liquido viene richiamata dalla parte bassa della colonna attraverso unforo di ingresso laterale (diametro 250 mm) con apertura regolata attraverso valvola a farfalla. L’entrata di aria è ottenuta mediante aspirazione con pompa per vuoto ad anello liquido collegata attraver-so un tubo nella parte alta della colonna. La mandata della pompa convoglia l’aria aspirata in un appositorecipiente con gorgogliatore in cui è presente una soluzione di acido solforico. L’ammoniaca presente nelflusso di aria estratta dalla colonna viene quindi catturata dalla soluzione acida per formazione di solfato diammonio. Il prodotto liquido strippato viene raccolto al di sotto della griglia di supporto delle pall ring ed inviato alserbatoio B mediante un apposito condotto.

colazione), forate per consentire il passaggio al loro interno ed il mescolamento delle fasi liquide e gas-sose (Figura 37). Il compito di queste sfere è di frammentare il volume di digestato in ingresso edaumentare così la superficie di contatto tra il prodotto liquido e l’aria favorendo lo strippaggio dell’a-zoto ammoniacale.L’intera massa di pall ring è disposta su un’altezza di circa 150 mm ed è sostenuta da una griglia basa-le posta trasversalmente e nella parte bassa della colonna. Il prodotto liquido entra dalla parte alta della colonna attraverso un distributore a doccia posto al cen-tro e poco al di sotto della flangia di testa.

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Figura 37 - Pall ring contenute all’internodella colonna di strippaggio.

Figura 36 - L’impianto utilizzato per leprove di strippaggio: sono visibili in primopiano i due serbatoi (nel testo indicati conA - serbatoio a sinistra nell’immagine - econ B - serbatoio a destra-) che contengonoil digestato prima e dopo il passaggio incolonna di strippaggio ed in secondo pianola pompa per il vuoto e la parte inferioredella colonna di strippaggio.

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6.2.2 Il dispositivo per le prove di strippaggio ad alta temperatura I test di strippaggio ad alta temperatura sono stati realizzati su un dispositivo in scala ridotta assemblato concomponentistica da laboratorio (Figura 41). Nei dettagli l’apparato è composto principalmente da unmatraccio da 1.000 ml disposto in un bagnomaria posto sopra piastra riscaldante per raggiungere la tempe-ratura prefissata per la prova (fino ad un massimo di 80°C) controllata tramite termostato. All’interno del matraccio ed immerso nella matrice liquida da sottoporre a strippaggio è stato inserito unsistema che consente di insufflare dell’aria proveniente da una bombola di stoccaggio in pressione. L’aria

Figura 40 - Schema prospettico dell’impianto di strippaggio(D801 = serbatoio A; D802 = serbatoio B; C801 = colonna distrippaggio).

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Figura 38 - Schema della colonna di strippaggio (a sinistra) e immagine della parte superiore della colonna di strippaggio (a destra).

Figura 39 - In primo piano la pompa del vuoto (di colore blu)e dietro il serbatoio con la soluzione acida in cui è convogliatoil flusso di aria carica di ammoniaca proveniente dalla colonnadi strippaggio per il recupero si solfato ammonico.

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insufflata all’interno del liquido è stata fatta fuoriuscire da una serie di fori attraverso della pietra porosa perfavorirne la dispersione e aumentare la superficie specifica di contatto tra la fase liquida e quella gassosa.La fase gassosa (aria contenente l’ammoniaca strippata) fuoriesce dalla parte alta del matraccio e passandoattraverso un raccordo ed un tubo in vetro raggiunge un secondo pallone (da 500 ml) contenente una solu-zione di acido solforico. In questa fase i gas gorgogliano e l’ammoniaca viene bloccata formando il solfa-to di ammonio.

6.2.3 Il dispositivo per la concentrazione mediante evaporazione Le prove sperimentali per la concentrazione dell’azoto nel digestato, sono state condotte ricorrendo ad undispositivo da laboratorio composto principalmente da elementi in vetro (Figura 41). L’apparato è costituito da un pallone di 2.000 ml di volume in cui viene introdotto il digestato da concen-trare. Il pallone è collocato all’interno di un vasca contenente acqua e con funzione di bagno termostatico.Il riscaldamento del sistema avviene mediante piastra riscaldante posta al di sotto della vasca e la tempera-tura viene controllata con un termometro di precisione (0,1°C). Dalla parte alta del pallone è posizionatoun raccordo che funge da collegamento con un condensatore inclinato verso il basso. I vapori prodotti all’interno del pallone che giungono al suo interno raffreddano per la presenza di acquacorrente (13°C) nella camicia esterna del condensatore e passano in fase liquida. Il prodotto condensatoviene infine raccolto per gravità in un secondo pallone di vetro. L’intero sistema è posto in leggera depressione (0,6-0,7 bar assoluti) per favorire il processo di evaporazio-ne a temperature limitate (circa 60°C).

6.2.4 L’apparato per le prove di de-alcalinizzazione mediante uso di anidride car-bonicaI test di riduzione del pH dei prodotti liquidi basici (pH>10) di risulta dalla fase di strippaggio a media tem-peratura, sono stati effettuati su un dispositivo di laboratorio costituito da un cilindro graduato, di capienzapari a 1.000 ml, all’interno del quale si dispone il campione da sottoporre al trattamento di correzione. All’interno del cilindro si dispone di un condotto in polietilene, immerso nella matrice liquida da trattare,che trasporta anidride carbonica in leggera pressione. Per aumentare la superficie di contatto tra il liquido basico ed il gas, all’uscita dal condotto il gas è statofatto lambire su una pietra porosa. La misura del flusso di anidride carbonica è stata ottenuta mediante flussimetro sulla linea di trasporto delgas, mentre il monitoraggio in continuo del pH del liquido da trattare è stato eseguito con un piaccametro.

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Figura 41 - Test di laboratorio per la con-centrazione del digestato.

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Prove di strippaggio ad alta temperatura.In tutti i test sono stati impiegati circa 500 ml di digestato, opportunamente pretrattato per condizionare ilpH, ed un portata di aria compressa fatta gorgogliare all’interno del campione stimata attorno ai 25-30cm3/min (evitando la formazione di schiume).

6.2.5 MetodologiaTest preliminari sull’impianto pilota: valutazione del pH e della portata ottimale di aria.La fase sperimentale preliminare, costituita da una serie di test di strippaggio in diverse condizioni di lavo-ro esercizio, è stata basilare per l’ottimizzazione di alcuni parametri operativi di funzionamento dell’im-pianto, poi mantenuti stabili nel corso delle prove sperimentali base (descritte nel successivo paragrafo). Per l’esecuzione di questi test è stata una sola tipologia di digestato, convenzionalmente chiamato digestato A.

Gli elementi operativi considerati sono stati:• flusso di portata di aria in ingresso alla colonna (Qa). In una prima fase di lavoro sono state impostate

tre differenti prove variando tra loro i livelli di portata dell’aria all’interno della colonna di strippaggio.Le portate dell’aria impostate sono state rispettivamente 60, 100 e 150 Nm3/h. Ciascuna prova ha richie-sto un tempo di 30’ durante il quale sono stati utilizzati circa 60 kg di digestato il cui valore di pH è statoinnalzato ad un valore prossimo a 11,5. Per ciascuna delle tre prove sono state condotte le misure sul dige-stato relative al contenuto delle diverse forme di azoto prima e dopo il trattamento in colonna;

• valore del pH del digestato. È relativo al grado di alcalinità del materiale. Per l’analisi dell’incidenza di que-sto parametro sul processo, sono stati condotti alcuni test di strippaggio addizionando al prodotto quantitàdiverse di idrossido di sodio. In particolare, sono stati ottenuti 5 materiali di partenza con i seguenti livelli dialcalinità: pH 8,5 – 9,0 – 10,0 – 10,5 – 11,5. Più elevato è il valore del pH maggiore è la produzione di ammo-niaca liberata dal digestato. Tuttavia, si è ritenuto pratico non superare il valore di pH 11,5 considerate le pro-blematiche che sorgerebbero a fine processo per la gestione di un prodotto con elevata alcalinità in uscita dallacolonna. Per queste prove si è ritenuto utile riscaldare il digestato portandolo ad una temperatura media distrippaggio dell’ordine dei 45°C (entrata in colonna a 50°C circa e uscita a 40° C). Per le condizioni di por-tata dell’aria in ingresso è stato definito il valore ritenuto ottimale dai risultati dei test della precedente fasesperimentale. In ciascun test è stata impiegata una quantità di digestato pari a 60 kg. Per la valutazione dellaresa di strippaggio anche in questo caso sono stati prelevati dei campioni di prodotto sottoposti all’analisi delcontenuto totale delle due forme azotate prima e dopo il passaggio in colonna.

I test del programma di strippaggio.Il programma base del progetto è stato impostato, una volta individuate le condizioni ottimali di processo (pHe portata di ingresso dell’aria in colonna), per valutare l’effetto della temperatura sulla rimozione di azoto,sulle 5 differenti tipologie di digestato (Tabella 15). Le temperature impostate nei test coincidono con:• T1: temperatura ambientale prossima ai 20°C;• T2: temperatura media di 30°C;• T3: temperatura media di 45°C.

Per ciascuno dei test condotti in colonna è stato impiegato un quantitativo di circa 60 kg di digestato cor-retto ad un pH prossimo a quello risultato ottimale dai test della fase preliminare (pH = 10,5). Analogamenteanche per la portata dell’aria è stato seguito lo stesso criterio impostandola al valore risultato ottimale neitest della fase preliminare (Qa = 150 Nm3/h). La valutazione delle prestazioni della colonna è stata ottenuta mediante calcolo di DNT e di DNA.

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Tabella 15 - Tipologia di digestati utilizzati nei programmi sperimentali.

Digestato

A

B

C

D

E

Azienda di provenienza

Cascina Postino

Cascina Sant’Eurosia

Cascina Valli

Cascina Sturla

Coop. Settefrati

Località

Villanova di Sillaro (LO)

Formigara (CR)

Pizzighettone (CR)

Marcaria (MN)

Rodigò (MN)

Tipologia digestato

Liquame bovino + trinciato mais + polpa cipolle

Liquame bovino + trinciato mais + trinciato triticale

Liquame suino + trinciato triticale + trinciato mais + polpa barbabietola

Liquame suino

Pollina + mais ceroso + insilato erba medica

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Le prove sono state condotte a quattro livelli di pH ed altrettanti livelli di temperatura: per quanto concer-ne i valori di pH sono state effettuate prove a pH non modificato e di seguito innalzando l’alcalinità a pH9,5, a pH 10,5 e a pH 11,5 addizionando idrossido di sodio. Per quanto riguarda le temperature oltre ai testad alta temperatura 80°C sono stati impostati dei confronti con le medie temperature: 20°C, 30°C e 45°C. Le singole prove hanno richiesto un tempo di circa 3 ore, all’interno delle quali, ogni 30 minuti, sono statieffettuati dei prelievi di digestato. Su tali campioni è stata condotta l’analisi dell’azoto ammoniacale.

Prove di concentrazione del digestato.In ciascuna delle prove di concentrazione sono stati impiegati circa 300 ml di materiale digestato di riscal-dato a circa 60°C in condizioni di bassa pressione. Più in particolare, sono stati eseguiti 6 test di concen-trazione a pH differenti e precisamente: 2,5, 3,8, 6,0, 6,5, 7,0 e 8,5 addizionando quantità diverse di acidosolforico al prodotto iniziale. Per ogni prova è stata valutata contemporaneamente la quantità di azoto rimasta nel concentrato e quella daesso liberata e confluita nel prodotto evaporato e condensato. Le determinazioni dell’azoto sono state eseguite mediante prelievi di campioni effettuati ad intervalli ditempo di 15 minuti per un totale di circa 90 minuti complessivi di ciascuna prova. Alla fine del test è stata determinata la massa finale del prodotto concentrato rimasto all’interno del pallo-ne e verificato il suo contenuto di azoto. Analogamente è stata misurata la massa di evaporato ed il suo contenuto di azoto finale. Il rapporto tra ilvolume iniziale ed il volume finale del prodotto è definito fattore di concentrazione (FC).

Prove di de-alcalinizzazione del digestato mediante uso di anidride carbonica.Nei test di de-alcalinizzazione del digestato basico (pH 10,5) sono stati adoperati circa 500 ml di prodotto.Il flusso di anidride carbonica, derivante dalla bombola in pressione, è stato fatto gorgogliare nel prodotto,regolato con due differenti livelli di portata pari a 3,8 ed 9 dm3/h ritenuti ottimali per evitare formazioni dischiume e per ottimizzare il tempo di contatto tra il gas ed il digestato (i flussi di gas rapportati al volumedi digestato trattato corrispondono rispettivamente a 7,2 e 18 m3/h per m3 di digestato). La durata dei test è stata regolata sulla base del tempo di raggiungimento del valore di alcalinità iniziale(pH 8,5) seguito in continuo mediante uso di piaccametro di precisione.

6.3 Apparati e metodi di misura

Vengono qui descritte le attrezzature e strumentazioni impiegate per le analisi chimiche dei campioni pre-levati nel corso dei test sperimentali. Nell’ambito dei diversi test si è fatto ricorso alle seguenti determinazioni:• azoto totale (NT);• azoto ammoniacale (NA);• sostanza secca (Ss);• pH.

In aggiunta, su tutte e cinque le tipologie di digestato utilizzate in questo lavoro è stato eseguito un con-trollo della composizione di alcuni elementi chimici (metalli).

Determinazione dell’azoto totale.Per questo tipo di determinazione è stato utilizzato un analizzatore elementare di azoto totale, LECO FP-528 (Figure 44 e 45). Il principio di funzionamento di questo strumento prevede una combustione rapida e completa del campio-ne all’interno di una fornace, ad alta temperatura ed in eccesso di ossigeno. I gas sono poi raccolti in uncontenitore di volume pari a 4,5 litri, all’interno del quale si vengono ad omogeneizzare. Un’aliquota deigas di combustione (circa 3 cc) viene trasferita tramite un flusso di elio e fatta passare attraverso un cata-lizzatore di rame per la rimozione dell’ossigeno e la conversione degli NOX ad azoto elementare N2. Quindii gas passano attraverso altri filtri per la rimozione dell’anidride carbonica e dell’acqua. Infine, un rivela-tore a termo-conducibilità permette la determinazione del contenuto in azoto. Il ciclo analitico si può quindi ritenere costituito da tre fasi: purificazione, combustione ed analisi vera epropria.Nella pratica di laboratorio, dopo lo sviluppo del metodo di analisi lo strumento viene sottoposto ad una

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Determinazione dello ione ammonio.Per l’analisi dello ione ammonio dei materiali campionati nel corso delle prove sperimentali è stato impie-gato un cromatografo ionico Metrohm 761 Compact IC (Figura 44). I campioni liquidi destinati alla deter-minazione dell’ammonio devono essere sottoposti ad una fase di diluizione, seguita da una operazione difiltrazione.

La cromatografia ionica è un metodo di analisi che, in generale, sfrutta la diversa affinità degli ioni nei con-fronti di due fasi diverse: la fase fissa e la fase mobile. Questa tecnica di analisi consente di riconoscere e separare gli ioni di un campione attraverso uno scambioionico che avviene tra la fase mobile che contiene il campione e la fase stazionaria che si trova all'internodella colonna cromatografica. Come risultato di questa analisi si ottiene un cromatogramma, cioè un diagramma costituito da una linea difondo ed una serie di picchi che consentono di identificare la presenza e la quantità di ammonio nella solu-zione analizzata. I campioni prima di essere sottoposti all’analisi cromatografica vengono diluiti con acqua ultra-pura per unfattore di diluizione pari ad 1:50 (rapporto di diluizione che è stato scelto in seguito ad una serie di proveiniziali per l’ottimizzazione dei parametri analitici).

fase di calibrazione fondamentale per ottimizzare l’accuratezza della misura. In questa fase vengono impie-gate sostanze standard a contenuto noto di azoto totale. Tutte le curve di calibrazione sono state eseguite apartire da uno standard di riferimento comunemente utilizzato dai laboratorio scientifici (glicina).La fase di calibrazione è preceduta da una fase di settaggio (blank analysis) delle condizioni operative dellostrumento e, in particolare dell’ottimizzazione dei gas di analisi: azoto ed elio. Segue un secondo settaggiodi calibratura a vuoto (blank calibration) tramite la quale si stima il valore effettivo di azoto totale respon-sabile dell’inquinamento dell’analisi dei campioni che sarà automaticamente decurtato dal risultato finaledi ogni successiva analisi. Infine, segue una nuova calibrazione mediante l’inserimento dello standard diriferimento, la cui concentrazione di azoto si avvicina il più possibile a quella prevista contenuta dai cam-pioni da analizzare. L’analisi procede su campioni pesati dallo stesso strumento, incapsulati all’interno di crogioli in alluminioe immessi in testa alla colonna di combustione dell’analizzatore. E’ stata fatta particolare attenzione alla modalità di chiusura del crogiolo per evitare fuoriuscite di sostan-ze volatili ed in particolare dell’ammoniaca. Dopo l’inserimento del campione, il crogiolo viene immedia-tamente chiuso ermeticamente nella precamera di combustione che viene spurgato dai gas che vi sono pene-trati durante la fase di carico evitando qualsiasi contaminazione da parte dei gas atmosferici. Lo strumentopoi lascia cadere il campione nel tubo di combustione alla temperatura di 950° C e mandato in rapida com-bustione mediante un flusso di ossigeno. Il dato dell’analisi viene restituito in automatico dall’analizzatoreed espressa come percentuale in peso.

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Figura 42 - Schema dell’analizzatore elementare LECO FP-528. Figura 43 - L’analizzatore di azoto totale LECO FP-528.

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Quindi la soluzione viene sottoposta a filtrazione ed inserita in provette da 12 ml pronte per l’analisi cro-matografica. Le provette in attesa di analisi vengono poste sull’auto-campionatore e chiuse con appositotappo in modo da evitare perdite di ammoniaca. Per la filtrazione sono state utilizzate filtri per siringa inteflon con porosità pari a 0,25 micron.A questo punto si esegue l’analisi cromatografica che, nell’ambito della sperimentazione, ha previsto l’utilizzodi una colonna cationica, Metrosep C 2 - 250 della Metrohm caratterizzata da 250 mm di lunghezza, 4 mm didiametro, una fase fissa costituita da gel di silice e gruppi carbossilici e diametro delle particelle pari a 7 µm.La fase mobile utilizzata è costituita da una soluzione acquosa di acido tartarico 4 ml e di acido dipicoli-nico 0,75 ml. Tale soluzione è stata preparata pesando 1,2 g di acido tartarico e 0,25 g di acido dipicolini-co entrambi disciolti in 2 litri di acqua ultrapura. In questo modo dopo qualche minuto di agitazione sottovuoto per degassare l’eluente il sistema è pronto per l’analisi. Anche questo strumento, prima di essereavviato all’analisi dei campioni, necessita di una fase preparatoria mediante una serie di corse cromatogra-fiche, che prevedono l’analisi di un bianco e di una serie di standard a contenuto di ammonio noto in mododa ricavarne la corrispondente curva di taratura. Quindi partendo dai dati di concentrazione di ammonio determinati dallo strumento, tenendo conto del fat-tore di diluizione e del fatto che il campione è stato filtrato eliminando il residuo solido, con dimensionidelle particelle superiori a 0,25 µm, in esso contenuto per ogni campione è stato possibile ricavare la corri-spondente concentrazione di ammonio, espressa in g/kg sul campione tal quale.

Determinazione della sostanza secca.Il metodo di determinazione del contenuto di sostanza secca (Ss) si basa sul principio termogravimetricomediante trattamento termico in stufa a 70°C e determinazione della relativa perdita di peso nel momentoin cui è stata eliminata tutta l’acqua in esso contenuta.La stufa utilizzata, è caratterizzata da ventilazione forzata, convezione naturale e da un volume di 120 litriche permettere il trattamento di più campioni contemporaneamente.Quindi dal punto di vista operativo dopo aver opportunamente pesato e annotato la massa (m1) del conte-nitore (tara) in alluminio con capacita pari ad 1 litro si immette nello stesso una quantità di campione paria circa 500 ml. Si prosegue quindi pesando ed annotando la massa del contenitore con il campione (m2) cheviene riposto in stufa per circa 24 ore. L’obiettivo di questa fase è di ottenere l’eliminazione completa del-l’umidità contenuta nel campione, fino a giungere a peso costante. Trascorse le 24 ore si procede quindi allamisura del peso dei vassoi di alluminio che presumibilmente contengono il campione completamente ani-dro (m3). Per garantire il raggiungimento dello stato anidro il vassoio viene reinserito in stufa per circa 1ora trascorsa la quale viene nuovamente pesato. A questo punto si verifica che tra le due pesate non ci sianodifferenze significative (> 2% tra le due misure), a prova del raggiungimento del peso costante del cam-pione. In caso negativo le ultime due operazione vengono ripetute fino a raggiungimento del peso costan-

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Figura 44 - Cromatografo ionico Metrohm 761 Compact IC.

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A fine ciclo di digestione, il campione viene raffreddato a temperatura ambiente e trasferito in un reci-piente tarato. Quindi viene aggiunta acqua deionizzata fino a portare il campione ad un volume totaledi 50 ml. A questo punto le soluzioni ottenute sono pronte per l’analisi all’ICP-OES (Figura 46). Perl’analisi degli elementi presi in considerazione, sullo strumento in questione è stato messo a punto unospecifico metodo. Questo è stato possibile per mezzo del software di supporto all’utilizzo dello spet-trofotometro (WinLab32).

te. Tutte le pesate relative alla determinazione della sostanza secca sono state effettuate mediante una bilan-cia tecnica con precisione di 0,01 g.

Mentre la SS viene calcolata mediante la seguente formula:

SS = (m3-m1) / (m2-m1) * 100

I risultati ottenuti sono stati espressi in percentuale in peso sul campione tal quale, con precisione dello 0,1%.

Caratterizzazione chimica dei materiali.Le analisi chimiche previste per il controllo degli elementi della componente inorganica sono state basatesulla determinazione del contenuto in Na, K, P, Ca, Mg e Zn.La metodologia utilizzata in questo lavoro ha previsto tre fasi distinte: l’essiccazione del campione liquido;la digestione con mineralizzatore a microonde della Anton Paar; l’analisi mediante spettrofotometro ademissione atomica al plasma (ICP-OES) Optima 2100 DV della PerkinElmer. La preparazione del campione inizia mediante un processo di concentrazione ed essiccazione in stufa a40°C dalla quale è stato ottenuto un campione solido a basso contenuto di umidità da poter sottoporre allasuccessiva fase di mineralizzazione. In questa fase circa 50 mg di campione opportunamente macinato edomogeneizzato viene inserito nell’apposito contenitore in teflon (vessel) ed avviato alla fase di mineraliz-zazione. Al campione viene aggiunta una miscela di acidi nella seguente successione: 6 ml di H2NO3(65%), 2 ml di H2O2 (30%) e 1 ml di HCl (27%).Il vessel viene quindi chiuso con apposito tappo e posto in un contenitore di sicurezza che a sua volta vieneinserito in un rotore posto all’interno del mineralizzatore a microonde (Figura 45), il quale è stato predi-sposto per effettuare un ciclo di mineralizzazione di un’ora e dieci minuti, compresa la fase di raffredda-mento finale. Il ciclo di digestione è stato appositamente studiato per il trattamento della tipologia di campioni in esame.A questo riguardo sono state effettuate una serie di prove preliminari, in cui sono stati variati i tempi delciclo e la potenza erogata dallo strumento nel corso delle fasi di trattamento del campione al microonde.Tali parametri operativi incidono sulle pressioni e sulle temperature a cui il campione viene sottoposto; inquesto caso è stato necessario raggiungere condizioni di 60 bar e 250°C.

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Figura 45 - Mineralizzatore Anton Paar Multiwave 3000 (sinistra) e set di vessel con tapposu apposito supporto copri rotore (destra).

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Il parametro di maggior rilievo a questo riguardo sono le lunghezzed’onda utilizzate per la determinazione degli elementi, che vengonoriportate in Tabella 16.

La determinazione delle concentrazioni di tali elementi è stata possibi-le per mezzo dell’analisi strumentale di una serie di bianchi, di stan-dard e successivamente dei campioni stessi. Il calcolo della concentra-zione dei diversi elementi è restituito sulla base della retta di taraturacalcolata automaticamente dal WinLab32 (software di gestionedell’ICP) che tiene conto del fattore di diluizione praticato con la pre-parazione del campione (peso iniziale della cenere di circa 50 mg por-tati a 50 ml).

6.4 L’analisi degli indici di processo e dei costi di esercizio

Lo svolgimento dei test per le due differenti tecniche di rimozione dell’azoto considerati in questo proget-to ha visto l’uso di prodotti chimici e l’impiego di energia termica ed elettrica. Con la finalità di stabilire il peso dei diversi fattori di processo, durante le prove sperimentali sono stati con-tabilizzati i principali input ed output di processo. Il risultato di questo lavoro ha permesso di sviluppare deiprimi bilanci di massa ed energetici come ulteriori elementi di valutazione e confronto tra le tecniche dirimozione dell’azoto dal digestato. Gli indici di consumo e di produzione finali sono riferiti all’unità divolume di prodotto trattato. All’analisi degli indici di processo si affianca una sintetica analisi dei costi di processo.

Valutazione dei consumi elettrici.L’energia elettrica è un fattore presente in tutti gli impianti soprattutto per movimentare, con l’uso di pompe,le masse fluide dei prodotti all’interno dei diversi sistemi. Nel caso della tecnica dello strippaggio la misura dei consumi è stata eseguita con analizzatore di rete elet-trica mono-trifase (VIP System) in grado di rilevare i valori medi e di picco dei più importanti parametri(tensione, potenza, frequenza, amperaggio, sfasamento, etc.) e memorizzarli temporaneamente per consen-tire rilevazioni continue.Relativamente alla tecnica di rimozione dell’azoto basata sulla concentrazione per evaporazione, i consumisono stati stimati sulla base di parametri rilevati dalla letteratura e da schede tecniche di impianti esistentiche operano con materiali con caratteristiche fisiche e chimiche confrontabili al digestato o ai liquami. Più in particolare, è stato fatto riferimento ad impianti a doppio e a triplo effetto per il trattamento di acquereflue, con capacità di lavoro in entrata di circa 2800 kg/h di prodotto in ingresso da trattare, dotato di siste-mi per una potenza installata complessiva di 34 kWe.

60

Figura 46 - Spettrofotometro ad emissioneal plasma Optima 2100 DV dellaPerkinElmer.

Tabella 16 - Lunghezze d’onda utilizzate per la rilevazione degli elementi.

Elemento

Ca

Mg

Na

P

Zn

K

∆ (nm)

317,933

285,213

589,592

213,617

206,200

766,490

Page 62: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

Valutazione dei consumi termici.Il fabbisogno termico degli impianti considerati nel progetto è dedicato esclusivamente ad aumentare latemperatura del digestato da sottoporre a trattamento di strippaggio o a concentrazione. Nel caso dello strip-paggio è stato ipotizzato un sistema semplificato a scambio termico con una resa di processo di 0,7. Per le temperature è stato previsto un aumento di temperatura media del digestato di 10°C, nel caso della varian-te operativa di strippaggio a media temperatura, mentre per la variante dello strippaggio ad alta temperatural’aumento di temperatura previsto del digestato è stato fissato a 50°C. Relativamente alla tecnica di rimozionedell’azoto mediante concentrazione per evaporazione si è fatto riferimento a dati tecnici da letteratura.

61

Tabella 17 - Consumi termici del sistema di evaporazione per concentrazione.

Note: 1 kg di vapore = 2,5 MJ.

Metodo

3 effetti

2 effetti

Consumo vapore (kg/kg acqua ev.)

0,44

0,63

Consumo termico (MJ/kg acqua ev.)

1,11

1,56

Produzione e consumi di sostanze chimiche.Lo strippaggio e la concentrazione sono due processi, come già detto, che richiedono l’uso di prodotti chi-mici. Allo scopo di impostare un bilancio di massa delle diverse tecniche di trattamento del digestato sonostati definiti i consumi dei più importanti elementi introdotti nei processi. In particolare:• l’idrossido di sodio (soda): utilizzato per modificare il pH del digestato prima dell’ingresso in colonna

del digestato; • l’acido solforico: impiegata per catturare l’ammoniaca gassosa prodotta nel corso dello strippaggio in

colonna;• il solfato di ammonio: conseguenza del precedente processo, rappresenta il prodotto finale dalla reazione

dell’ammoniaca con l’acido solforico.

Gli indici di consumo e produzione, riferito all’unità di volume di prodotto trattato, sono stati calcolatibasandosi sul reale utilizzo dei reagenti rapportato al volume di digestato trattato con i differenti dispositi-vi. Una valutazione semplificata dei consumi specifici è stata considerata anche nel trattamento del dige-stato basico con anidride carbonica.

Analisi dei costi di processo.Nell’analisi dei bilanci economici delle tecniche di rimozione dell’azoto sono state considerate una serie divoci di costo di processo legate principalmente al valore delle materie prime consumate. Specificatamenteper le singole voci sono state definite: • energia elettrica: 0,16 €/kWhe e 0,09 €/kWhe in funzione dello scenario economico;• costo della soda: 0,45 €/kg; • acido solforico: 0,45 €/kg;• calore: è stato ipotizzato un costo di 0,024 €/MJ generato da un sistema tradizionale alimentato a metano.

È stato valorizzato come voce economica positiva il solfato di ammonio con un beneficio di 0,1 €/kg di pro-dotto, calcolato equiparandolo al valore commerciale di una quantità equivalente in azoto dell’urea.La valutazione economica è stata condotta ipotizzando due scenari, A e B, di cui il primo svantaggioso edil secondo più favorevole. La differenza tra i due scenari è legata principalmente:• al diverso costo dell’energia elettrica: basato sulle opportunità derivante dall’uso di incentivi alla produ-

zione con energie rinnovabili;• al grado di efficienza del sistema: questo parametro può essere condizionato da aspetti, tra cui la con-

centrazione iniziale di azoto presente nel digestato da trattare, influente sulla resa di processo, e il cor-retto dimensionamento dell’impianto e dei parametri operativi. Da elementi emersi durante l’esperienzadiretta sull’impianto si ritiene che possono esserci importanti miglioramenti delle rese dei processi. Nellospecifico, nel caso dello scenario B, si è ipotizzato un consumo di energia elettrica metà di quello rileva-to nel corso delle prove sperimentali;

Page 63: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

62

• al recupero di energia termica dal cogeneratore che impiega il biogas: nel caso dello scenario B si preve-de l’uso dell’energia termica del cogeneratore alimentato a biogas per usi termici vari (anche nello stes-so impianto di strippaggio). La valorizzazione di questa soluzione tecnica si è basata sul mancato costodi energia termica prodotta da un impianto alimentato a metano valutata 2,4 c€/MJ;

• valorizzazione del solfato di ammonio: nello scenario B si è ipotizzato il recupero di questo prodotto insostituzione dell’urea paragonato al costo dell’azoto contenuto in essa e considerata con un valore com-merciale di 0,30 €/kg.

Page 64: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

In tutti i test è stato evidenziato un netto calo della concentrazione di NT ed NA. In particolare, per que-st’ultima forma azotata si superano valori dell’85% già al di sopra di una portata di aria di 100 m3/h.Tuttavia, oltre tale limite, l’efficacia della rimozione di azoto da parte del sistema non sembrerebbe pre-sentare miglioramenti.

7 Risultati ottenuti

7.1 Premesse

In questo Capitolo vengono riportati i risultati ottenuti nel corso delle prove sperimentali precedentementedescritte. I dati ottenuti si propongono suddivisi in funzione della tecnica di rimozione dell’azoto adottatanella sperimentazione. Più in particolare:• strippaggio a media temperatura: prove preliminari di settaggio e prove di base; • strippaggio ad alta temperatura; • concentrazione per evaporazione.

In aggiunta, si riportano i risultati dei test di de-alcalinizzazione con anidride carbonica del digestato basi-co prodotto a valle delle prove di stripaggio a media temperatura.

A questa parte segue una sezione dedicata a prime analisi di sintesi e al confronto dei rendimenti e degliindici di efficienza tra le diverse tecniche.

7.2 Strippaggio a media temperatura

7.2.1 Prove preliminariLe Tabelle che seguono (18 e 19) mostrano i valori delle concentrazioni di NT e di NA dei campioni prele-vati prima (pre) e dopo (post) trattamento in colonna di strippaggio durante i test preliminari. I risultati con-sentono di verificare l’incidenza della portata di aria e del pH del digestato sulla resa di processo. In particolare, nella Tabella 18 vengono mostrate le variazioni della concentrazione delle due forme di azotodel digestato a seguito di trattamento in colonna in condizione differenti di Qa.

63

Quaderni della ricerca

Tabella 18 - Variazione della concentrazione di NT e di NA in funzione della portata di aria in colonna (Qa).

Qa

(m3/h)

60

100

150

pH

11,5

11,4

11,7

T

(°C)

45

45

45

Pre

(g/kg)

5,2

5,6

5,4

Post

(g/kg)

2,1

1,6

1,5

Assoluto

(g/kg)

3,2

4,0

3,9

Relativo

(%)

61%

72%

72%

Pre

(g/kg)

4,24

4,52

4,35

Post

(g/kg)

1,07

0,52

0,49

Assoluto

(g/kg)

3,17

4,00

3,86

Relativo

(%)

75%

88%

89%

NT DNT NA DNA

Tabella 19 - Impianto pilota: valori di DNA e DNT in funzione del pH del digestato.

Q

(m3/h)

150

150

150

150

150

pH

7,6

9,0

9,9

10,4

11,7

T

(°C)

45

45

45

45

45

Pre

(g/kg)

5,7

5,4

5,5

5,7

5,4

Post

(g/kg)

4,9

2,7

2,2

2,2

1,5

Assoluto

(g/kg)

0,9

2,7

3,3

3,5

3,9

Relativo

(%)

15%

50%

61%

62%

72%

Pre

(g/kg)

4,65

4,41

4,45

4,61

4,35

Post

(g/kg)

3,79

1,71

1,11

1,09

0,48

Assoluto

(g/kg)

0,86

2,70

3,34

3,52

3,87

Relativo

(%)

18%

61%

75%

76%

89%

NT DNT NA DNA

Page 65: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

7.2.2 Prove di baseNella Tabella 20 vengono sintetizzati i risultati ottenuti dai test di strippaggio su colonna nelle diverse con-dizioni di temperatura. Nell’ambito di questi test sono state utilizzate tutte le tipologie di digestato consi-derate nel progetto. Nel dettaglio sono evidenziati i valori di concentrazione di NT del digestato prima (pre) di essere introdot-to in colonna e in uscita da questa (post), il DNT in valore assoluto e percentuale calcolato sul valore ini-ziale prima del trattamento. È possibile verificare l’incidenza della temperatura sulla quantità relativa di NT strippato (Figura 49). Il valore di DNA è compreso tra il 42%, nel caso dei test a 20°C (digestato C ed E), ed il 69% nel caso deitest a 45°C (digestato D). Da un’analisi generale delle diverse prove emerge come nelle diverse condizioni di esercizio adottate nonè stato possibile scendere al di sotto dei valori di 0,8 g/kg di NT riducendo il valore di NT al massimo di 3,7 g/kg (digestato A - 45°C).

Nei grafici che seguono, Figure 50, 51 e 52, si può rilevare, per ciascuna tipologia di digestato, la perditaassoluta di NT in corrispondenza delle tre temperature di lavoro. La riduzione di NT cresce sensibilmente passando dalla temperatura di 20°C a quella di 45°C ed è più evi-dente nei digestati con maggiore concentrazione di NT.

Si può supporre come l’assenza di benefici, in termini di strippaggio, da parte della colonna sopra deter-minati valori di portata dell’aria, sia legato al carattere sperimentale dell’impianto, dimensionato e confi-gurato con relativa attenzione nei confronti dei consumi specifici dei prodotti. Pertanto, i valori ottenuti siriferiscono alle specifiche condizioni sperimentali (caratteristiche geometriche della colonna impiegata edegli elementi presenti al suo interno, livello di flusso del digestato, ecc.). In termini assoluti, nelle migliori condizioni di strippaggio il digestato impiegato perde circa 4,0 g/kg diazoto (totale ed ammoniacale), corrispondente al 72% del valore totale iniziale e a circa l’89% dell’ammo-nio totale iniziale.

Per ciò che concerne l’effetto del pH del digestato sulle prestazioni della colonna si riportano i risultati deitest in Tabella 19. Impostando una condizione di portata di aria massima (150 m3/h), per favorire in misura più ampia i feno-meni di strippaggio in colonna, sono stati ottenuti valori di DNA compresi tra il 18%, con pH del digestatovicino alla neutralità, ed il 90% con valori di pH di 11,7. Inoltre, è stato evidenziato che nel range compre-so tra pH 7,5 e pH 10,5 la perdita di azoto ammoniacale è abbastanza lineare con l’aumento del pH. Al disopra di pH 10,5 la resa in strippaggio aumenta ma in misura inferiore (Figura 47).

Alla luce di questi risultati, ottenuti nella fase sperimentale preliminare, considerando gli obiettivi del pro-getto, si è ritenuto utile impostare le condizioni operative del programma di base a pH 10,5 e a portata diaria di 150 m3/h. La scelta di operare in condizioni di elevata portata dell’aria va incontro alla possibilità di impostare testcon valori di pH di compromesso tra la capacità di spingere gli equilibri dell’azoto a favore dello strippag-gio, il contenimento del consumo di prodotti chimici nel processo e le problematiche di gestione del dige-stato trattato in uscita dall’impianto.

64

Figura 47 - Impianto pilota: rese di strippaggio in funzionedella portata del flusso di aria in colonna.

Figura 48 - Impianto pilota: andamento della rimozione diazoto ammoniacale in funzione del pH del digestato.

Page 66: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

65

Figura 49 - Impianto pilota: riduzione di NT nelle prove con idiversi digestati alle tre condizioni di temperatura (pH = 10,5 –Qa = 150 m3/h).

Figura 50 - Impianto pilota: concentrazioni di NT prima (pre)e dopo (post) il test di strippaggio a 20° C.

Figura 52 - Impianto pilota: concentrazioni di NT prima (pre)e dopo (post) il test di strippaggio a 45° C.

Figura 51 - Impianto pilota: concentrazioni di NT prima (pre)e dopo (post) il test di strippaggio a 30° C.

Tabella 20 - Impianto pilota: valori della concentrazione di NT del prodotti prima (pre) e dopo (post) processo di strippaggio (pH = 10,5 - Qa = 150 m3/h).

Temperatura

(°C)

20

20

20

20

20

30

30

30

30

30

45

45

45

45

45

Tipo di digestato

A

B

C

D

E

A

B

C

D

E

A

B

C

D

E

Pre

(g/kg)

5,3

2,3

2,8

2,4

3,6

5,7

2,3

2,9

2,3

3,7

5,4

2,4

3,1

2,5

3,9

Post

(g/kg)

2,6

1,1

1,6

0,9

2,1

2,7

0,9

1,6

0,8

1,9

1,8

0,9

1,6

0,8

1,9

Assoluto

(g/kg)

2,7

1,3

1,2

1,4

1,5

3,0

1,3

1,3

1,6

1,8

3,7

1,6

1,5

1,7

1,9

Relativo

(%)

52%

54%

42%

60%

42%

53%

59%

45%

67%

49%

68%

65%

49%

69%

50%

NT DNT

Page 67: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

Anche in questi casi è visibile l’effetto della variazione del pH e della temperatura del digestato sullarimozione di ammonio dal prodotto. Inoltre, i valori di DNA osservati a pH 10,5 e temperatura di 45°C sono simili con quelli ottenuti nelle stes-se condizioni nelle prove base descritte nel precedente paragrafo (78,2% contro 83,6%) considerando con-frontabili, entro certi limiti di precisione, i risultati su piccola scala con quelli ricavati su colonna. Alle stes-se condizioni di pH e temperature di 80°C i valori di DNA raggiungono praticamente il 100%. Tuttavia, è interessante osservare come in condizioni di alta temperatura del digestato e senza modificare ilpH, che rimane ad 8,5, si ottengono prestazioni di poco superiori alle medie temperature (45°C) e pH = 10,5.La Figura 54 esprime in maniera sintetica il confronto tra i valori di DNA nelle diverse condizioni di pHe temperatura.

La curva dei valori di DNA relativa alla temperatura di 45°C conferma, come evidenziato nelle prove in colon-na (prove di base), la maggiore efficacia del pH sul processo di rimozione dell’azoto fino a valori di 10,5 v.

7.2.3 Strippaggio ad alta temperaturaIn Tabella 22 e di seguito nel grafico di Figura 54 sono mostrati i valori delle rese di strippaggio ottenu-te nei test per la valutazione dell’efficacia del processo alle alte temperature. I dati delle prime due colonne della tabella si riferiscono a condizioni simili a quelle impiegate nei testin colonna nell’impianto pilota. Nella terza colonna si riporta, invece, il dato di perdita di azoto ammo-niacale alle condizioni di 80°C, aspetto di maggiore interesse nell’ambito di questa serie specifica di test.

66

Figura 53 - Impianto pilota: valori di DNT dei diversi digestatinelle tre condizioni di temperatura (pH = 10,5 – Qa = 150 m3/h).

Figura 54 - Test di laboratorio: andamento di DNA (resa di strip-paggio) in funzione del pH e delle temperature.

Tabella 21 - Impianto pilota: valori di DNA nei test di strip-paggio a media temperatura.

Digestato

A

B

C

D

E

20°C

63,8

57,2

58,6

61,6

55,5

Temperatura

DNA (%)

30°C

64,9

61,9

63,0

68,4

64,3

45°C

83,6

68,3

67,5

70,7

65,9

Tabella 22 - Test di laboratorio: valori di DNA alle diverse tem-perature e pH.

pH

8,5

9,5

10,5

11,8

20°C

10,8%

8,3%

34,5%

46,4%

DNA

45°C

5,2%

54,6%

78,2%

81,4%

80°C

87,5%

87,5%

100,0%

100,0%

Gli andamenti si presentano analoghi, nelle stesse prove sperimentali, considerando anche i valori di NAprima e dopo trattamento (Figura 53).

In funzione di questi dati, che misurano più concretamente l’effettiva potenzialità di rimozione dell’azotoda parte della colonna, è evidente come sia possibile raggiungere valori di DNA dell’84% (digestato A)lavorando con temperatura di 45°C. Le prestazioni più limitate, come atteso, si riscontrano alla temperatura di 20°C con valori di DNA che siattestano tra il 55% ed il 64% circa (Tabella 21).

Page 68: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

7.2.5 De-alcalinizzazione con anidride carbonicaNella Figura 56 vengono riportati i risultati dei test relativi alla modifica del pH del digestato basico. Ilvalore iniziale del pH di questo prodotto è di circa 10,5 (ipotizzato in uscita dalla colonna in condizionidi strippaggio a media temperatura). Nell’ambito dei due test, condotti con flusso diverso di anidride carbonica, è stato raggiunto il valore dipH di 8,5, coincidente con il valore di pH iniziale del digestato prima del trattamento di rimozione del-l’azoto, in un tempo di 60 e 165 minuti, rispettivamente con portate del gas di 3,8 e 9 Nl/h.I test sono stati completati in corrispondenza di pH finali del prodotto di 7,6 (in 210 minuti) e di 7,1 (in130 minuti) rispettivamente con la portata più bassa e più alta di anidride carbonica.

7.2.4 Concentrazione per evaporazioneLa Tabella 23 e il relativo grafico di Figura 55 riportano i risultati ottenuti nell’ambito dei test di con-centrazione del digestato. Più nel dettaglio, viene mostrato in funzione del valore di pH e del fc l’andamento del DNT a seguito delriscaldamento dell’evaporato.

I test mettono in risalto l’importanza del pH del digestato sull’efficienza del processo. In particolare, siosserva che per valori di pH del prodotto inferiore a 6,5 i valori di DNT del prodotto risultano inferioreal 15%; in altri termini circa l’85% del NT rimane nel prodotto concentrato. In generale, minore è il valore iniziale di pH del digestato maggiore è la quantità di azoto che rimane nelconcentrato finale. Al di sopra dei valori di pH 7 il processo di concentrazione è accompagnato da un tra-sferimento di importanti quantità di azoto. È possibile osservare dalla Figura 60 come già a metà processo (50% massa evaporata - fc = 2) vengarimosso dal concentrato oltre il 55% di NT presente in fase iniziale.Conducendo il processo di concentrazione sul prodotto iniziale, senza aggiungere prodotti per modifica-re l’alcalinità (pH 8,4) si osserva come già in corrispondenza di fc di circa 1,5 (corrispondente al 33%della massa evaporata) più del 50% del NT passa nell’evaporato.

67

Figura 55 - Test di laboratorio: andamento di NT in funzionedella massa evaporata dal concentrato.

Figura 56 - Test di laboratorio: andamento del pH deldigestato in funzione del flusso di CO2.

Tabella 23 - Test di laboratorio: andamento del DNT nel con-centrato in funzione del fc

pH

2,5

3,8

6,0

6,5

7,0

8,4

DNA

Fattore di concentrazione

0,7%

5,7%

11,4%

14,0%

60,0%

63,5%

2,5

0,8%

7,0%

11,5%

14,2%

61,0%

64,0%

3,3

1,0%

8,0%

11,7%

14,3%

61,7%

64,1%

5,0

1,0%

8,7%

11,8%

14,4%

61,8%

64,1%

10,0

Page 69: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

7.3 Analisi degli indici di processo

7.3.1 Bilancio di massaNel grafico di Figura 57 sono riportati i valori dei consumi e delle produzioni specifiche per unità di volu-me di digestato trattato con le tre modalità di rimozione dell’azoto. Considerata la variabilità del digestato,in termini di azoto totale e di sostanza secca, e considerando l’efficienza non ottimizzata dell’impiantoimpiegato per ciascuna tecnica vengono si è ritenuto più adatto riportare i valori minimi e massimi deiparametri considerati.L’impiego della soda riguarda il solo processo di strippaggio a media temperatura. Dalle analisi è stato pos-sibile valutare un consumo specifico variabile compreso tra 8,8 kg/m3 e 11,4 kg/m3. La variabilità del datopuò essere legata anche al tipo di digestato che viene considerato variando, per la diversa composizione chi-mica, il comportamento in termini di potere tamponante.

Per ciò che riguarda l’uso di acido solforico, previsto in tutti i processi esaminati, si verifica una variabili-tà più contenuta. La tecnica di strippaggio a media ed alta temperatura richiede forti dosi di acido solfori-co (la differenza tra i due sistemi è di appena il 10%). In particolare, i livelli di consumo variano da un mini-mo di 8,8 kg/m3 di digestato del processo a media temperatura ad un massimo di 10,8 kg/m3 del processoad alta temperatura. Nella tecnica di concentrazione del digestato si stima un impiego variabile tra i 3 ed i3,3 kg/m3. Per ciò che concerne la produzione di solfato di ammonio, da considerare solo per la tecnica dello strip-paggio, le produzioni superano di poco i 15 kg/m3 per la tecnica a media temperatura e raggiungono valoridi circa 18 kg/m3 per il sistema ad alta temperatura.

7.2.6 Analisi chimiche sul digestatoIn Tabella 24 sono riportate le analisi di caratterizzazione dei digestati impiegato nell’ambito della spe-rimentazione. I valori ottenuti dalle analisi non evidenziano particolari aspetti di nota e appaiono in lineacon le caratteristiche medie di questo materiale.

68

Tabella 24 - Impianto pilota: valori della concentrazione di NT del prodotti prima (pre) e dopo (post) processo di strippaggio (pH = 10,5 - Qa = 150 m3/h).

Digestato

A

B

C

D

E

Sostanza secca

(%)

2,4

1,8

1,8

0,9

3,3

Ca

(mg/kg)

14110

9520

18470

26420

39580

Mg

(mg/kg)

992

1177

1550

2901

4069

Na

(mg/kg)

71020

102100

24290

58910

10250

P

(mg/kg)

12100

14630

26000

30780

44790

Zn

(mg/kg)

291

196

382

654

690

K

(mg/kg)

69360

74100

49780

213200

138600

Figura 57 - Elaborazione dei risultati speri-mentali: valori minimi e massimi dei consu-mi e delle produzioni specifiche per lediverse tecniche di rimozione dell’azotoimpiegate.

Page 70: Concentratore innovativo per il digestato di fermentazione ...

7.3.3 Analisi dei costi di processoI grafici delle Figure 61 e 62 mostrano i valori stimati dei costi specifici calcolati, nel caso dei due scena-ri A e B ipotizzati, relativamente per le tre tecniche di rimozione dell’azoto dal digestato.

7.3.2 Bilancio energeticoIl sistema di rimozione dell’azoto basato sulla tecnica della concentrazione, confrontato con le due tecni-che di strippaggio, richiede un maggior contributo energetico per unità di prodotto lavorato (Figura 59). La differenza è più elevata soprattutto quando il confronto è riferito alla tecnica di strippaggio a media tem-peratura (c’è un rapporto medio di circa 1:10). Più precisamente, i consumi specifici oscillano tra 1100 e1500 MJ/m3 di prodotto trattato in funzione della tipologia impiantistica di concentrazione considerata(sistema a due o a tre effetti). La tecnica dello strippaggio è più onerosa, in termini energetici, nel caso delle condizioni di alte tempera-ture, con consumi che vanno tra i 400 ed i 500 MJ/m3 e che, invece, si riducono a poco più di 120-150 MJ/m3

con le medie temperature.Un’analisi più dettagliata dei consumi energetici (Figura 60), suddivisi nelle due forme (elettrica e termi-ca) mette in luce, come atteso, il forte contributo di energia termica nelle tecniche di rimozione dell’azotoche lavorano ad alte temperature. In generale, i consumi elettrici dovrebbero mantenersi costanti in tutte lediverse tecniche di lavoro. Differente è l’uso del calore, almeno tre volte maggiore nel caso della tecnica diconcentrazione rispetto allo strippaggio ad alte temperature e, praticamente trascurabile nel caso di strip-paggio a media temperatura.

Nell’ambito dei bilanci di massa è stato considerato anche il consumo specifico di anidride carbonicaimpiegata nella correzione del pH del digestato trattato con processo di strippaggio a media temperatura. In quest’ultima tecnica di rimozione dell’azoto è stato visto che il pH ottimale di lavoro è di 10,5 (parten-do da un pH iniziale di 8,5 a cui riportare il prodotto a valle dello strippaggio). Rifacendosi ai due flussi digas impiegati nei test sperimentali, il consumo specifico di CO2 presenta una variazione assoluta tra i dueflussi di oltre 18 m3/m3*h di digestato (Figura 58).

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Figura 58 - Elaborazione dei risultati speri-mentali: consumi specifici di anidride carbo-nica in corrispondenza di due flussi del gas.

Figura 60 - Elaborazione dei risultati sperimentali: confrontotra i consumi energetici specifici suddivisi in termici ed elettri-ci in funzione delle tre tecniche di rimozione dell’azoto.

Figura 59 - Elaborazione dei risultati sperimentali: valori mini-mi e massimi dei consumi energetici specifici delle tre tecnichedi rimozione dell’azoto.

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Figura 62 - Elaborazione dei risultati sperimentali: costi speci-fici per unità di volume di prodotto trattato – scenario B.

Figura 61 - Elaborazione dei risultati sperimentali: costi speci-fici per unità di volume di prodotto trattato – scenario A.

Tabella 25 - Elaborazione dei risultati sperimentali: suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario A).

VOCE DI COSTO

Energia elettrica (€/m3)

Soda (€/m3)

Acido solforico (€/m3)

Energia termica (€/m3)

Min

4,00

3,94

4,40

0,23

STRIPPAGGIO

Bassa temperatura Alta temperaturaCONCENTRAZIONE

Max

4,80

5,12

4,90

0,30

Min

3,57

0,00

4,90

7,11

Max

4,29

0,00

5,39

9,24

Min

1,94

0,00

1,50

23,68

Max

2,32

0,00

1,65

33,27

Tabella 26 - Elaborazione dei risultati sperimentali: suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario B).

VOCE DI COSTO

Energia elettrica (€/m3)

Soda (€/m3)

Acido solforico (€/m3)

Energia termica (€/m3)

Min

1,13

3,94

4,40

0,23

STRIPPAGGIO

Bassa temperatura Alta temperaturaCONCENTRAZIONE

Max

1,35

5,12

4,90

0,30

Min

1,00

0,00

4,90

7,11

Max

1,21

0,00

5,39

9,24

Min

1,09

0,00

1,50

23,68

Max

1,31

0,00

1,65

33,27

Nelle Tabelle 25 e 26 i costi specifici sono suddivisi in funzione dei singoli input di processo. Un primoaspetto che si evidenzia è relativo alla forte differenza dei costi specifici della tecnica di concentrazione tralo scenario A, in cui si caratterizza come la meno economica e oscilla tra i 27 ed i 37 €/m3 di digestato, elo scenario B dove i costi crollano tra i 2,6 ed i 3,0 €/m3. La differenza emersa tra i due scenari è princi-palmente legata alla possibilità di recuperare calore e, quindi attribuirgli un costo zero. Il fattore calore nellaconcentrazione, infatti, incide per oltre l’85% dei costi totali.

La riduzione dei costi specifici tra i due scenari è importante anche nel caso della tecnica di strippaggio.Gli effetti sono più evidenti, per le stesse ragioni della concentrazione, con la variante operativa a più ele-vata temperatura che passa da un intervallo compreso tra i 15,5 -18,9 €/m3 dello scenario meno favorevo-le ai 4,2 - 4,7 €/m3 nel caso dello scenario più conveniente. Il peso economico del calore nel caso di questa tecnica oscilla tra il 45% ed il 60%. Per lo strippaggio convariante a media temperatura la forbice è più contenuta anche se compresa tra 12,5 - 15,1 €/m3 nel casodello scenario A e 7,9 - 9,6 €/m3 nel caso dello scenario B. In questo processo la componente economicapiù importante è data dai prodotti chimici che incidono, in funzione delle scenario, in misura compresa trail 65% ed il 90% circa dei costi totali.

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8 Considerazioni finali

Gli equilibri che regolano la forma chimica e lo stato di gran parte dell’azoto presente nei reflui zootecni-ci o del trattamento di questi nella digestione anaerobica (azoto ammoniacale), sono governati dalle condi-zioni di alcalinità e dal livello della temperatura del mezzo. Le tecniche esaminate in questo progetto, lo strippaggio e la concentrazione per evaporazione, ricorronopertanto all’uso di prodotti chimici per modificare le condizioni di pH della fase liquida contenente l’am-monio e all’uso di calore. Gli equilibri più importanti su cui lavorano le tecniche di rimozione dell’azotosono due:• l’equilibrio in soluzione dello ione ammonio con la molecola di ammoniaca;• l’equilibrio dell’ammoniaca disciolta in soluzione con quella in forma gassosa.

La tecnica dello strippaggio ricorre maggiormente all’uso di prodotti chimici o di energia termica se opera,rispettivamente, a temperature medie o a quelle alte. In quest’ultimo caso l’impiego di prodotti chimici èsostituito dall’uso del calore. La scelta del sistema di rimozione dell’azoto più adeguato è principalmente legata alla disponibilità ed aicosti specifici di questi fattori di processo oltre che alle problematiche e difficoltà generate dalla gestionedei prodotti finali, considerandone gli eventuali costi di impiego.

Analizzando le prestazioni del sistema, in termini di rimozione dell’azoto, si raggiungono elevati livelli solose si ricorre all’uso di alte temperature o se si raggiungono pH mediamente alcalini. Con lo strippaggio adalta temperatura (80°C) si raggiungono perdite di azoto ammoniacali dell’ordine del 90% corrispondenti inmedia a circa il 70-80% di azoto totale contenuto nel prodotto. Per mantenere prestazioni simili con le temperature più basse (strippaggio a media temperatura) non sidovrebbe scendere sotto i 45°C ed è richiesto di innalzare il pH del prodotto fino a valori di 10,5.

Lo stesso risultato è ottenuto, con specifiche condizioni, nel processo di concentrazione per evaporazione.Modificando di poco il pH del digestato (fino a valori di circa 6,5), è possibile concentrare e, quindi, rimuo-vere fino all’80% di azoto totale. Tuttavia, in termini energetici l’impegno su questo processo è moltoimportante, oltre 1100 MJ/m3 di prodotto trattato (contro il massimo di 500 MJ/m3 dello strippaggio), men-tre, confermando quanto visto nel caso dello strippaggio, si riduce l’impatto chimico.

Trasferendo i ragionamenti su un piano anche economico l’elemento su cui ruotano le decisioni di scelta èrappresentato dalla disponibilità e dal costo del calore. Questi fattori, ad esempio, possono presentarsi par-ticolarmente favorevoli nei casi in cui il sistema può recuperare calore dal cogeneratore di un impianto dibiogas (probabilmente presente nel caso di prodotti di digestione anaerobia). Nelle ipotesi dello scenario B, relativi all’analisi economica, in cui il calore è stato considerato con costonullo, la convenienza del sistema di concentrazione è evidente (costo inferiore ai 3 €/m3 di prodotto tratta-to). Viceversa, tale soluzione si colloca su costi eccessivi e al di fuori di qualsiasi ragionamento di propo-sta di impiego (oltre i 25 €/m3).

Anche nell’ambito dei sistemi di strippaggio la scelta è condizionata dalla disponibilità e dal costo dell’e-nergia termica. Nelle condizioni favorevoli lo strippaggio ad alta temperatura è più economico rispetto allamedia temperatura, presentando comunque un costo doppio rispetto alla tecnica di concentrazione. L’uso di prodotti chimici, di fatto, rende poco dipendenti dall’impiego del calore e stabilizza il costo di trat-tamento tra 8-15 €/m3 di digestato.

All’interno di queste sintetiche valutazioni rimangono aperte una serie di questioni tecniche. Tra queste:• la problematica del recupero del digestato basico nel trattamento di strippaggio a media temperatura: su

questo aspetto il progetto apre alla possibilità di impiegare CO2 per abbassare il pH del materiale. In lineateorica, l’anidride carbonica può essere potenzialmente recuperata dallo stesso biogas (se trattasi diimpianto di digestione anaerobica) effettuando al tempo stesso un’azione grezza di pulizia del gas;

• il reimpiego del solfato di ammonio: nel progetto non sono state affrontate le problematiche tecniche del

71

Quaderni della ricerca

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possibile recupero e reimpiego come prodotto da concimazione. Dalle prime esperienze sull’impiantopilota, emergono dei dubbi relativi al grado di purezza del materiale. Il prodotto che ne deriva in genererisulta contaminato da sostanze volatili prodotte, soprattutto, nel caso di processi ad alta temperatura. Aquesto si aggiunge anche la questione relativa alle modalità di gestione del materiale con tecniche facil-mente trasferibili nell’ambito delle aziende agricola;

• le possibilità di compostare il concentrato;• l’uso di potassa: in sostituzione della soda, diventa una soluzione da considerare per consentire di distri-

buire in campo il digestato trattato disturbando meno gli aspetti della salinità dei terreni. Si ricorda, tut-tavia, che la potassa a differenza della soda presenta costi unitari superiori;

• miglioramento delle efficienze: la riproduzione di processi su impianti pilota e su dispositivi in piccolascala rende meno accurata la valutazione degli indici relativi ai bilanci di massa ed ai bilanci energetici.Esportando i processi su scala maggiore e dimensionando opportunamente alcuni componenti dell’im-pianto e fattori operativi si ritiene ci sia un sensibile margine di miglioramento delle efficienze. In parti-colare, si è del parere che sia possibile ottimizzare con più cura le condizioni di temperatura del materia-le da trattare, il pH ed i livelli delle portate dei fluidi di processo.

Nella Tabella 27, infine, vengono riportate alcune considerazioni di sintesi.

72

Tabella 27 - Considerazioni di sintesi.

Fase del processo

o aspetto caratterizzante

Pretrattamento

del digestato

Costo dell’energia termica

Gestione dei prodotti

chimici

Post- trattamento

del digestato

Poco influente

Complessa per

quantità e tipologia

Necessaria la

riduzione del pH

Poco influente

Ridotta

Nessuna in particolare

Molto influente

Ridotta

Necessaria la stabilizzazione

del concentrato

È necessario rimuovere i solidi sospesi

STRIPPAGGIO

Processo a 45° C Processo a 80° CCONCENTRAZIONE

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9 Riferimenti bibliografici

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Quaderni della ricerca