con illustrazioni di Liliana Carone 5 L e favole aiutano a crescere. Gli psicologi infantili...

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con illustrazioni di Liliana Carone

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con illustrazioni di Liliana Carone

«I libri le aprivano mondi nuovi e le facevano conoscere persone straordinarie

che vivevano una vita piena d’avventure [...]»Roald Dahl, Matilde

Consiglio Regionale della PugliaPresidente Mario LoizzoSezione Biblioteca e Comunicazione IstituzionaleDirigente Daniela Daloiso

Città dei BimbiPresidente Elisa Forte

Copyright © 2017, GELSOROSSO srl, Strada Palazzo dell’Intendenza, 1 – 70122 BariCopyright © 2017 Per le illustrazioni, Liliana Carone

Stampa: Ragusa Grafica Moderna - BariProgetto grafico: Lojacono&Tempesta - Bari

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L e favole aiutano a crescere. Gli psicologi infantili concorda-no nel ritenere che le fiabe abbiano guidato tante genera-zioni di bambini a scoprire la società esterna alla famiglia e

a capire dove collocarsi, una volta cresciuti.Non so quanto spazio rimanga oggi per le favole, visto che vedia-mo anche i piccoli padroneggiare ogni mezzo di comunicazione digitale e intrattenersi davanti a schermi e televisori.I loro strumenti di apprendimento sono sempre più interattivi e meno cartacei. Per questo apprezzo l’iniziativa del Servizio Biblio-teca che, in partenariato col network che fa capo all’associazione barese “Città dei Bimbi”, ha raccolto e dato alle stampe i testi vin-citori dell’edizione 2015 del concorso “I Racconti di Bibi”. Il tema del concorso per bambini e ragazzi? Spazia con la fantasia dove e con chi vuoi. Sogna ad occhi aperti e scrivi: (e se vuoi disegna) la tua storia. L’obiettivo? Concorrere alla crescita educativa e formativa dei giovani.Sogna a occhi aperti e scrivi: favole di piccoli per i piccoli, raccon-ti di ragazzini per ragazzini, storie scritte, che continuano ad ali-mentare l’immaginazione e a stimolare la fantasia, aiutando fin da tenera età ad affrontare la realtà.Nella prima edizione del concorso, nel 2014, i contributi di bam-bini e adolescenti, selezionati da una giuria di esperti, sono ap-parsi nel volume Fiabe per integrarsi 3, insieme quindi ai racconti della tradizione orale degli immigrati, storie che parlano di grandi valori: l’accoglienza, l’integrazione, la conoscenza, la convivenza pacifica tra i popoli.

Per la seconda edizione, i racconti di piccoli e giovanissimi sono in una monografia delle edizioni baresi Gelsorosso. Con questa antologia di fiabe riservate ai più piccoli, il Consiglio regionale lancia ancora una volta un messaggio di solidarietà e di fratellanza. Siamo orgogliosi di quanto abbiamo fatto e conti-nuiamo a fare: il progetto “I Racconti di Bibi” ha messo le ali ed è capace adesso di volare da solo.

Mario Loizzo Presidente Consiglio Regionale della Puglia

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L a collaborazione tra Città dei Bimbi e la Sezione Bibliote-ca e Comunicazione Istituzionale del Consiglio Regionale della Puglia, avviata con la prima edizione de “I Racconti

di Bibi”, pubblicati dal Consiglio all’interno del volume Fiabe per integrarsi 3, si consolida con il Protocollo d’Intesa siglato a dicem-bre del 2016 e con questa pubblicazione, interamente dedicata ai racconti vincitori della seconda edizione del concorso. Alle iniziative rivolte alla promozione della lettura che “Teca del Mediterraneo” organizza e diffonde sul territorio regionale, si aggiungono, anche grazie a questa proficua collaborazione, le attività legate più propriamente ai bambini e ai ragazzi, i futuri lettori.La lettura è un’attività fondamentale per veicolare saperi, cultura, informazione, per favorire l’integrazione e prevenire l’esclusione sociale e se, come sostenuto nei documenti IFLA e UNESCO, la mission di una biblioteca è far sì che il maggior numero di persone acceda al mondo dell’informazione e della conoscenza, oltre che alle opere dell’immaginazione, contribuendo all’aumento del nu-mero dei lettori, è necessario cominciare sin dalla prima infanzia.Dalle statistiche infatti, emerge che chi inizia a leggere nei primi anni di vita, avrà il doppio delle possibilità di diventare un lettore forte rispetto a chi ha acquisito l’abitudine alla lettura in età più adulta. Per queste ragioni, la Biblioteca del Consiglio Regionale della Pu-glia partecipa e promuove attività dedicate ai più piccoli, mossa anche dall’intento di realizzare, in un futuro molto vicino, una vera e propria “Sezione Ragazzi”, in vista del trasferimento della Biblioteca presso l’ex Caserma Rossani, dove potrà disporre degli spazi idonei ad accogliere anche i bambini, i ragazzi e i loro geni-tori.

Questo ambizioso progetto, seguendo le linee Guida dell’IFLA sul-le biblioteche per ragazzi, si dovrà concretizzare in un patrimonio librario dedicato e in una serie di servizi utili a soddisfare i bisogni informativi, culturali e ricreativi dei giovani utenti, contribuendo a favorire anche la loro crescita personale, con l’aiuto di personale bibliotecario specializzato.In quest’ottica, si sta avviando una rete di cooperazione con strutture già presenti e operanti sul territorio come la Biblioteca dei ragazzi-e del Comune di Bari, la Biblioteca pediatrica “Le quat-tro stagioni” presso il reparto di Pediatria del Policlinico di Bari, le biblioteche scolastiche e le librerie per ragazzi del territorio citta-dino.Altri partner fondamentali saranno le scuole, gli enti e le associa-zioni locali che vorranno collaborare alla realizzazione di questi obiettivi.

Daniela Daloiso Dirigente Sezione Biblioteca e Comunicazione Istituzionale Consiglio Regionale della Puglia

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Quanti sono i modi per promuovere la lettura? Ci vuole una patente per farlo? Ci sono strade obbligate oppure se la fantasia sale in cattedra vale la pena sperimentare nuovi approcci?

Noi di cittadeibimbi.it abbiamo scelto un mix di tradizione e inno-vazione per promuovere la lettura nelle scuole e nelle famiglie. Abbiamo iniziato a farlo con Cittadeilibri (www.cittadeilibri.it) dal 2014 con tappe del festival a Bari, Mola, Polignano a Mare e Mate-ra e con il concorso di scrittura “I Racconti di Bibi” (www.iraccon-tidibibi.it) sostenuto sin dalla sua nascita dalla Teca del Mediterra-neo e dalla Presidenza del Consiglio Regionale della Puglia.Nella maggior parte delle famiglie e, purtroppo, anche in molte classi delle nostre scuole, non vi sono gli strumenti e l’esperienza personale per sviluppare la pratica della lettura in assenza di sti-moli provenienti dall’esterno. Non tutti i bambini sono sensibili alla lettura e non tutti si lascia-no convincere con facilità di quanto sia prezioso leggere. Se im-postata come obbligo, la lettura finisce relegata nell’ambito dei doveri e da possibile gioiosa compagna di viaggio e di crescita si trasforma in zavorra che non si vede l’ora di abbandonare. Per questo agli ingredienti tradizionali per la promozione della lettura abbiamo aggiunto qualche diversivo che – in alcuni casi – ha an-che fatto storcere il naso a più di un addetto ai lavori.Un esempio? Abbiamo portato i libri allo stadio San Nicola, abbia-mo radunato bambini folli della Bari che invece di assistere agli allenamenti hanno trovato i loro beniamini pronti a leggere loro libri. A commentarli. A viverli! Per la prima volta in 10 anni, alcuni di quei piccoli studenti sono tornati a casa con un libro e il tanto agognato autografo dei calciatori!La promozione della lettura per noi di cittadeibimbi.it passa poi attraverso i laboratori di scrittura creativa nelle scuole e il bookcrossing: le nostre cassette di scambio libri sono state distri-

buite oltre che in alcuni negozi, soprattutto nelle biblioteche sco-lastiche e nelle classi di molti istituti pugliesi. È davvero bello rice-vere foto e reportage di maestre e studenti che descrivono come le cassette di cittadeilibri.it siano il simbolo della condivisione e dell’incontrollabile esplosione dei racconti. Per consolidare il rapporto con le istituzioni scolastiche, con l’obiettivo di far emergere a livello mediatico e nella nostra folta community di genitori e docenti le best practices portate avanti con abnegazione e sacrificio, cittadeibimbi.it ha istituito il “Pre-mio docente” e il “Premio dirigente” dell’anno.Patrizia Rossini, dirigente scolastico dell’Istituto “Japigia 1 – Ver-ga” e Maria Grazia Fiore, docente dell’Istituto Comprensivo “El/7 – Montello – Santomauro” di Bari sono state premiate il 1o giugno del 2016 per essersi distinte in una gestione 2.0 degli alunni. Senza mai trascurare il ruolo fondamentale dell’amico libro. I due istituti comprensivi di Bari connettono i nostri piccoli con il presente e il futuro attraverso il coding e la robotica, pur mantenendo ferma la convinzione che le imprescindibili tappe formative di ciascun alunno passano attraverso i libri, le biblioteche, la lettura. Sosteneva Cartesio: «La lettura dei buoni libri è una sorta di con-versazione con gli spiriti migliori dei secoli passati». A noi tutti pia-ce una scuola al passo con i tempi ma siamo convinti che – ora più che mai – volgere lo sguardo all’indietro può essere un grande investimento nel sapere e nel saper fare. Per grandi e più piccoli.

Elisa Forte Giornalista, Presidente Città dei Bimbi

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SCUOLA INFANZIA

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L’albero senza foglie

Scuola Infanzia Comunale “Principessa Iolanda” di Bari (sezione E)Ins: Marinella Monteleone

C’era una volta un bellissimo albero che abitava in un bosco.Aveva una chioma grande e piena piena di foglie tutte colorate dei colori dell’autunno, rosse, gialle, marroni, arancioni e tutti gli animaletti andavano sempre a ripararsi sotto quest’albero. Qui si era fatto la tana anche un piccolo riccio.Un giorno le foglie, che erano stanche di stare sull’albero, decise-ro che era più divertente giocare ad acchiapparsi e a rincorrersi. Cercarono così di staccarsi dai rami, ma non ci riuscirono.Passò da lì una nuvola, così venne loro in mente di chiederle aiuto.Iniziarono a gridare tutte insieme: «Nuvolaaaa! Nuvolaaaa! Ehiii siamo qui sottoooo! Nuvolaaa!».Il riccio che stava dormendo si svegliò per il chiasso, uscì dalla sua tana e iniziò ad urlare: «Ehii! Ma si può sapere chi fa tutto questo baccano? Io stavo dormendo!».«Nuvola aiutaci per favore, vogliamo giocare a rincorrerci, soffia un po’ di vento così possiamo volare via» dissero le foglie.La nuvola soffiò forte, le foglie si staccarono e iniziarono a rincor-rersi. Erano felici, ridevano… e volarono via lontanissimo.L’albero presto si sentì solo, le sue amiche foglie erano andate via e così iniziò a piangere.Il riccio allora chiamò tutti i suoi amici, lo scoiattolo, l’uccellino, il bruchetto, e insieme costruirono una casetta sull’albero e vissero per sempre insieme felici.L’albero non era più solo.

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SCUOLA INFANZIA

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Il bosco salva il mondo

Istituto Scuola Nuova per l’Infanzia “Snupy” di Bari (sezione A)Ins: Maria Labianca

C’era una volta un grande bosco nel quale vivevano tanti piccoli animali molto amici tra loro. Era finalmente arrivata la primavera e come ogni anno si ricomin-ciava a sentire la vocina degli animaletti che avevano riposato du-rante il lungo inverno.Improvvisamente un pianto provenne dall’albero più alto del bosco.Era l’amico scoiattolo che si lamentava: «Amici, amici! Ma che cosa è successo? Dove è finito il nostro bel bosco? Quando mi sono addormentato in autunno, ricordo che era tutto pulito e le uniche cose che ondeggiavano al vento erano le foglie che cade-vano dagli alberi!».Si avvicinarono la tartaruga, l’orso, le coccinelle, le farfalle, le ron-dini per consolarlo: «Ma perché ci sono per terra cartacce, buc-ce di banane, lattine, buste di plastica? Chi ha lasciato tutto que-sto!?».Gli animaletti del bosco erano mortificati e non sapevano cosa ri-spondere.L’orso disse: «È possibile che ci sia stato un gran vento e abbia trasportato tutta questa roba qui».«Ma no!» disse l’albero. «Mentre voi dormivate, qualche giorno fa, con l’arrivo delle belle giornate, gli uomini sono venuti a tro-varci e hanno lasciato tutta questa sporcizia!».«Gli uomini?» risposero tutti meravigliati.«No, non mi piace così! Io rivoglio il mio bosco pulito!» affermò a gran voce lo scoiattolo.

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«Ragazzi, è un problema che possiamo risolvere» disse una ron-dinella.«Sorvolando per mari e per monti, quando siamo andati via da questo bosco che abbiamo lasciato pulito, abbiamo visto paesi che usano contenitori per la raccolta differenziata. È questa la so-luzione!».«Ma cos’è questa raccolta differenziata?» risposero tutti insieme.«Tutto ciò che buttiamo non si disperde nell’ambiente, ma può essere trasformato e riutilizzato».«E come si fa?» disse lo scoiattolo.«Bisogna creare i contenitori per la raccolta differenziata».Gli animaletti del bosco si misero al lavoro, raccolsero i rami e costruirono diversi contenitori: uno per la carta e lo dipinsero di bianco come la neve, uno giallo come il sole per la plastica e uno verde come i prati per il vetro.Ripulirono il bosco e incisero su un cartello la scritta: “DIFFEREN-ZIAMO CON IL CUORE PER UN MONDO MIGLIORE!”.Quando, qualche giorno dopo, gli uomini tornarono in quel bosco di nuovo pulito notarono i cestini per la raccolta differenziata, si meravigliarono, ma furono ben contenti di gettare i rifiuti negli appositi contenitori.Da allora il bosco è sempre più bello perché gli uomini ne hanno cura.E lo scoiattolo e i suoi amichetti sono felici di aver salvato il loro mondo.

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SCUOLA INFANZIA

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Racconto del fantabosco

Scuola Paritaria “Cuore di Mamma” di Triggiano (sezione A)Ins: Porzia Tesoro

C’era una volta in un fantabosco un coniglietto, molto curioso e coraggioso. Un giorno decise di andare in una parte del bosco dove vivevano i lupi che facevano davvero paura. Si avvicinò zitto zitto, si nascose dietro un cespuglio e aspettò aspettò, silenzioso, osservando cosa facevano i lupi. Rimase sorpreso quando vide un gruppo di lupetti che, al suono di una dolce musica, danzava in cerchio a ritmo lento: quando questa si fermava i lupacchiotti si invertivano di posto e si scam-biavano un gesto affettuoso.Il coniglietto stupito e ormai troppo curioso, si avvicinò sempre più, tanto da farsi scoprire dai lupetti che, per niente spaventosi, lo invitarono al loro ballo della gentilezza.Quando fu ora per il coniglietto di andare via, un po’ triste e un po’ allegro per la scoperta, i lupetti lo salutarono con il loro mot-to: “Siamo bravi lupetti e non facciamo dispetti”.

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SCUOLA PRIMARIA

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Venerdì 13

Michele Giuliano (classe V)

Scuola Primaria “E. De Amicis” di Trani Ins: Anna Santa Saracino

Non avevo mai creduto che un numero e un giorno della settima-na potessero portare sfiga e così, proprio quella sera di un vener-dì 13, gli eventi mi misero alla prova. «Miky! Allora, che vuoi fare? Vieni con me e Diego a fare la spesa oppure preferisci rimanere a casa?».La mamma era già pronta per uscire mentre mio fratello Diego stava ancora armeggiando con la chiusura della giacca a vento. «Mamma, preferisco rimanere a casa. Tanto fra un po’ arriva papà e ci vediamo la partita».Dopo tre secoli, con l’aiuto della mamma, anche il fratellino fu pronto. «E va bene… Però schiodati dalla sedia! Sempre a giocare con la Wii… Anticipati i compiti per lunedì! Poi preparati lo zaino. E metti a posto il disordine che c’è in giro nella cameretta. Se chiama la nonna dille che poi la richiamo io. Cambia l’acqua alle tartarughe. Noi andiamo. Ciaao! Non aprire a nessuno, eh?».Pareva che dovessero mancare una settimana! Quando la porta si richiuse alle loro spalle, non ricordavo più nem-meno una delle cose che mi aveva detto di fare. Al suo ritorno ci sarebbero state di sicuro delle spiacevoli conseguenze, ma, in fondo, si sa: ogni venerdì 13 che si rispetti porta sempre con sé delle disgrazie.

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«Ah ah!», emisi un gran sospiro, finalmente solo e senza quel rom-piscatole che non mi lasciava mai finire una partita in pace! Come prima cosa mi misi a saltare sul letto senza correre il rischio che la spia di casa lo andasse a riferire a “Mrs Copriletto perfetto”. Mentre saltavo sempre più in alto nel tentativo di tirare il pendaglio al lampadario che mi avrebbe dato diritto ad un altro giro gratis, mi venne un’idea: avrei cercato tra le cassette “vietate” di papà – quel-le che teneva ben custodite in terza fila dopo la fila dei film d’amore mielosi della mamma e la prima dei film animati miei e di Diego – il film “Venerdì 13”, così al mio rientro a scuola avrei raccontato tutto ai miei amici e avrei dimostrato loro che non ero una pappamolla. Strafelice atterrai sul tappeto di Winnie the Pooh e mi diressi alla libreria del soggiorno dove, dopo pochi attimi, già ammiravo la custodia della cassetta dell’orrore che mio padre teneva nel suo “invincibile” nascondiglio. Accesi il televisore e il videoregistratore preistorico che papà era riuscito a non buttare alla fine di estenuanti trattative con la mam-ma. Mi sentivo molto eccitato. Il film non era neppure cominciato che all’improvviso calò il buio. «Questo non ci voleva!» pensai sconfortato. Non avevo più una torcia da quando mio padre mi aveva detto di usare quella del cellulare, ma proprio lui me l’aveva sequestrato il giorno prima perché avevo preso un brutto voto. Che fare? Iniziavo a sentire dei cigolii, qualcuno o qualcosa mi stava soffian-do nell’orecchio, vedevo un’ombra nello schermo nero e più la fissavo più sembrava muoversi e prendere un’orribile forma che si avvicinava poco a poco. Presi il cordless che era lì vicino, ma era muto. Accesi il computer della mamma che si trovava sul ripiano basso della libreria per inviarle un messaggio ma non c’era connessio-ne! Non me la sentivo di lasciare il soggiorno: sapevo che oltre quel-la stanza c’erano mostri ben peggiori in agguato, pronti a cattu-rarmi… ormai era quello che la mia immaginazione mi forzava a credere!

Mi nascosi sotto i cuscini del divano e… sentii qualcuno che mi toccava!!!Urlai. Era mio padre che aveva acceso la luce del soggiorno e aveva tro-vato la sua collezione di film horror sparsa ai piedi della libreria. «Miky, che hai fatto? Cos’è questo disordine? Come hai fatto a scoprire il nascondiglio? Non sono film adatti ai bambini questi».«Papà! Finalmente sei tornato! La luce se n’è andata… E il tele-fono non funzionava! Nemmeno il computer si accendeva! Dallo schermo stava uscendo un mostro! E qualcuno…».«Basta! Finiscila! Ma che dici? Prendendo le cassette hai staccato la presa multipla con le spine della tv, del telefono e del router! Miky dovrò darti ancora una punizione… Ecco l’ho trovata: stase-ra non ti porterò al cinema!».«Oh noooo! E che film dovevamo vedere?»«Beh, mi sembra chiaro… “Venerdì 13 n. 13”».

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SCUOLA PRIMARIA

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La dolce voce dei bambini

Classe IV B

Terzo Circolo Didattico “G. D’Annunzio” plesso “Papa Giovanni XXIII” di Trani

Ins: Barbara Carpentieri

Nel paese di Abbiamsempredafare tutti gli adulti erano sempre molto indaffarati e non volevano che i bambini dessero loro im-picci.C’erano le maestre che avevano sempre qualcosa di cui lamentar-si: li sgridavano se non svolgevano i compiti, ma anche quando li svolgevano erano le prime a scovare degli errori. C’erano i genitori sempre pronti a trovare un motivo per rimpro-verarli. Che noia quando cominciavano a ripetere «Sai, io alla tua età…».E che dire dei negozianti? Si lamentavano se li vedevano giocare a pallone per strada, perché rischiavano di colpire le vetrine dei negozi.Per non parlare degli automobilisti che cominciavano a strombaz-zare e a urlare come matti dai loro finestrini!Intanto nel paese mai nessuno si preoccupava di sistemare un posto dove i bambini potessero giocare senza dar disturbo a nessuno.I bambini non ne potevano proprio più. Decisero, quindi, di riunir-si per pensare a cosa fare.Nessuna soluzione venne loro in mente, seppure pensassero e ri-pensassero... ma non appena videro un loro compagno arrivare addirittura con un occhio nero per la sberla di suo padre, capirono

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che cosa bisognava fare: dovevano lasciare il loro paese, fuggire dagli adulti!Detto, fatto! Tornarono a casa e, mentre i genitori dormivano, si prepararono un bel fagotto con qualcosa da mangiare e lo misero nella cartel-la. La mattina seguente, invece di andare a scuola, si incammina-rono fuori città in cerca di un posto dove restare.Cammina e cammina si inoltrarono in un bosco fitto e, proprio dietro un albero alto e maestoso, trovarono la casetta di Fata Dol-cezza che, appena li vide, stanchi e infreddoliti, diede loro ospita-lità e tante gustose delizie da mangiare. All’amorevole fatina raccontarono tutto, dei rimproveri e delle continue lamentele dei grandi. Fata Dolcezza, con molta pazienza, fece loro capire che gli adul-ti spesso semplicemente non ricordano com’era essere bambini, ma che comunque amavano i loro piccoli.Nel frattempo, nel paese di Abbiamsempredafare ci si accorse che tutti i bambini erano scomparsi. Si ritrovarono nella scuola e le maestre confermarono che quella mattina gli alunni non si erano presentati.Le mamme cominciarono a disperarsi e a battersi il petto, i papà cominciarono ad incolpare le mamme, le mamme accusarono i papà di essere stati troppo severi. Poi toccò alle maestre che fu-rono rimproverate di assegnare troppi compiti e di essere troppo esigenti. Ma tutto d’un tratto le persone si accorsero che senza i bambini erano diventati tristi come il loro paese, senza più i loro schiamaz-zi e le loro risate.Sembrava che persino gli uccellini avessero smesso di cinguetta-re! Tutto era così malinconico e grigio!«Forse siamo stati troppo inflessibili» disse un papà.«Io credo che siamo tutti troppo presi dai nostri problemi e dai nostri impegni e abbiamo dimenticato come eravamo quando eravamo piccoli. Anche noi amavamo giocare, ridere, scherzare».

Così tutti gli adulti capirono quanto i bambini siano preziosi e quanto sia orribile vivere senza di loro. Decisero di raggiungerli e far loro sapere quello che avevano finalmente compreso, ma dov’erano andati?D’un tratto sentirono una soave melodia che proveniva dal bosco e si misero a seguire quel suono armonioso che altro non era che il dolce canto dei bambini guidati dalla Fata.Cammina, cammina, raggiunsero la casetta nel bosco e lì ritrova-rono i loro bambini sani e salvi, li riabbracciarono e da quel gior-no gli adulti cercarono di ricordare più spesso com’erano stati da bambini e i bambini cercarono di essere più comprensivi. E il sindaco della città decise di creare uno spazio dove i bambini potessero giocare e di dare un nuovo nome al loro paese, che si sarebbe chiamato “La città dei bambini”.

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SCUOLA PRIMARIA

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Speranza

Adriana Tridente (classe V C)

Scuola Primaria “N. Piccinni” di Bari Ins: Maddalena Casella

A poppa siede un vecchio nigeriano, cerca lassù quel grappolo di stelle: le Pleiadi. Al villaggio, là lontano, le chiamano le Piccole Sorelle, e quando sono in alto si fa festa, con il liquore del miglio. Ma quest’anno c’è siccità, di miglio non ne resta da fermentare, e molti moriranno.Il vecchio nel gran cielo guarda quelle seduto e fermo, con la fac-cia in su. Bisbiglia un canto timido alle stelle ma piange, e allora non le vede più, perché come intorno, in tutto il mare, le stelle sono macchie lampeggianti, il pianto nei suoi occhi fa sfumare le Pleiadi in barlumi tremolanti.Tre bambini si avvicinano e gli chiedono perché piange. Lui rispon-de che la colpa è della nostalgia perché pensa ai genitori morti in guerra, alla sua terra che non rivedrà più, alla festa delle Piccole Sorelle….I bambini gli chiedono che cos’è la guerra.«È la cosa più brutta e scura di tutto il mondo», risponde.I bambini cominciano a piangere. Le mamme corrono a prenderli e a calmarli, ma il vecchio dice: «Rimanete e vi racconterò una sto-ria che non vi farà più piangere».I bambini lasciano la mano delle mamme e si siedono vicino a lui.Lui inizia: «Prima di tutto mi chiamo Hassan; e voi?».«Io mi chiamo Maky». «Io Kubra».

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«Io Jamal; quanti anni hai?».«Uhm», risponde, «diciamo… tanti quanti la mia barba! Ora vi rac-conto».Hassan comincia: «C’era, tanto tempo fa, un bambino proprio come voi, che amava divertirsi e giocare con gli amici. Un giorno, però, il suo villaggio fu incendiato e derubato: era arrivata la guer-ra! Era venuta per impossessarsi della nostra unica ricchezza: la natura, in particolare il petrolio».Kubra chiede: «Cos’è il petrolio?».«Il petrolio è il motivo per cui si fa la guerra», risponde Jamal che ha capito.«Esatto!» dice Hassan «Quel bambino scappò dalle fiamme insie-me ad Ola, una bambina chiacchierona, ma sveglia. Diventarono ragazzi forti e belli, mangiando piante e gazzelle. Si fidanzarono e poi ebbero una figlia, Oba, e tanti nipoti. Quel bambino ero io. E lì, guardate ci sono Oba e i miei nipotini». Jamal chiede: «E Ola dov’è?».Hassan risponde con gli occhi lucidi: «Ola è salita in cielo e ci guar-da! La mia vita è stata felice, anche se in alcuni momenti sono sta-to triste. Ma voi vivrete meglio, felici in un mondo dove è sempre giorno, ma soprattutto dove sarete liberi e potrete esprimere i vostri pensieri, i diritti… Insomma quello che sto cercando di dir-vi è che non dovete essere tristi perché la tristezza genera altra tristezza e va superata, altrimenti vi fa suoi prigionieri. Voi dovete avere nei vostri cuori la speranza perché la speranza è la nostra salvezza e la nostra libertà! Quando avrete dei momenti di scorag-giamento interrogate il cielo e cercate le Piccole Sorelle, sempre pronte ad aiutarvi».

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SCUOLA MEDIA

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L’arcobaleno dell’amicizia

Deborah Corcella (classe III C)

Istituto Comprensivo “Mariano – Fermi” di Andria Ins: Carola Ventura

Tutti si chiedono cos’è l’amicizia, ma pochi sanno che l’amicizia è un mix di colori che insieme formano uno splendido arcobaleno colorato.Io sono Anna e frequento la terza media. All’apparenza sono una ragazzina normale, ma dentro mi sento diversa e questo non l’ha mai capito nessuno… nessuno tranne Meredith.Quando mi guardo allo specchio spesso resto delusa nel vedere la mia immagine riflessa, perché lì dentro non appaio come sono re-almente. Dentro mi sento allegra, solare e piena di energia men-tre l’immagine che si presenta riflessa nello specchio mostra quel-lo che appaio agli altri: un completo disastro! Quando Meredith è arrivata nella mia classe quest’anno, ho subito pensato che fosse una come tante, sempre ben vesti-ta, in ordine, che si dava un po’ di arie e che fosse lontana dal mio mondo incantato nel quale mi piace rifugiarmi. Meredith era di una bellezza disarmante: alta, bionda e con due grandi occhioni azzurri che però avevano il “difetto” di non vedere, perché era cieca dalla nascita e si era trasferita nella nostra città per sottoporsi ad un’operazione molto de-licata agli occhi. Queste furono le parole con cui la prof di italiano ci presentò la nostra nuova compagna di classe. Sentito ciò tutta la classe ri-mase in silenzio e Lisa (“la reginetta delle oche”) guardò la nuo-

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va arrivata come un essere inutile e indegno di entrare nel suo “club delle piccole ochette”.La prof accompagnò Meredith vicino a me e da quel giorno an-ch’io ebbi una compagna di banco, cosa insolita per me visto che non avevo neanche un’amica. Nei giorni successivi Meredith continuò a sedersi accanto a me ed era sorprendente come una ragazzina non vedente fosse così in gamba. Studiava su libri diversi dai nostri, ma conosceva tutte le risposte alle domande dei prof e, nonostante il suo “pro-blema”, svolgeva sempre il suo dovere.Fu lei un giorno a rompere il silenzio tra di noi e a chiedermi di farle compagnia in giardino per prendere un po’ d’aria e fare una passeggiata. Meredith si serviva di un bastone per cam-minare, ma non si sentiva affatto a disagio, anzi camminava fiera e sicura come una persona che ci vedeva benissimo. Ci sedemmo sotto la “mia” grande quercia e mentre i timidi raggi del sole del mattino le illuminarono il volto, Meredith mi disse: «Grazie per avermi portato qui, è davvero molto bel-lo!». «Come fai a sapere che è bello se non puoi vederlo?» le domandai curiosa. «La mia malattia mi costringe a vivere al buio, ma è proprio il buio che a volte mi permette di vedere cose che nessuno riesce a ve-dere. Questo posto è bello perché sento il canto degli uccellini, il calore dei raggi del sole e sento te, Anna» mi rispose Meredith. «Ti fanno male i tuoi occhi?» le chiesi un po’ imbarazzata. «No. I miei occhi non mi fanno male, ma mi piacerebbe tanto po-ter guardare i colori delle cose, chissà come devono essere belli!» mi rispose Meredith con un po’ di tristezza.A quelle parole rimanemmo in silenzio, un silenzio che però durò poco perché Meredith, come un uragano carico di energia, sor-ridendomi disse: «Ti va di fare un gioco con me e di insegnarmi a vedere i colori attraverso i tuoi occhi?».«Io? Ma io non ne sono capace! Non sono brava a scuola né brava nello sport e nessuno ha mai desiderato di essere mia amica. Stai

chiedendo una cosa troppo grande a un grande disastro come me…» le risposi tutto d’un fiato.Meredith ignorò la mia risposta e, molto determinata a farmi cam-biare idea, all’improvviso mi disse: «Anche io non ho mai avuto amici, perché molti hanno paura di me e della mia diversità, ma tu hai deciso di portarmi qui nel tuo posto speciale e questo vuol dire che io e te possiamo essere amiche…».Non avevo mai sentito nessuno rivolgersi a me con delle parole tanto belle e ignoravo come Meredith sapesse della “mia” quer-cia e del mio posto speciale. Conoscevo quell’angelo biondo da così poco tempo eppure lei, per qualche strano motivo, si fidava di me e io, per la prima volta nella mia vita, mi sentivo coraggiosa e determinata.La guardai intensamente. Qualcosa dentro di me mi diceva che non potevo e che non dovevo deluderla. Così mi feci coraggio e le dissi: «Non so ancora come, ma ti insegnerò i colori. Ti avverto, però, che non sarà affatto semplice signorinella perché io sono un’insegnante molto esigente!».«Esigente come il prof di storia?» domandò Meredith divertita.«Esigente come il prof di storia elevato alla massima potenza del prof di matematica!» le risposi io trattenendo un sorriso che non esitò ad esplodere. Quel giorno grazie a Meredith scoprii la bellezza e la forza di un sorriso condiviso. Tutti i giorni, dopo la scuola, io e Meredith ci fermavamo sotto quella che ormai era diventata la “nostra” quercia e parlavamo di tutto. Ci raccontavamo i nostri sogni, i nostri segreti, le nostre esperienze e Meredith mi raccontava della sua grande paura per l’operazione. Mi sentivo così piccola di fronte a lei. Parlare con Meredith faceva più bene a me che a lei, perché non avevo mai conosciuto una persona tanto speciale. «Di che colore è la nostra quercia?» mi domandò un giorno all’im-provviso. «La nostra quercia è verde» le risposi. «E com’è il verde? È bello?» mi domandò Meredith sempre più curiosa.

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Mi alzai, staccai una foglia dall’albero, poi ne presi un’altra da terra e le posai delicatamente tra le sue mani: «Prendi, questa foglia è più liscia e più bella perché non è ancora secca, mentre questa è più ruvida e si sgretola facilmente. La prima è verde come la speranza di una foglia che non vuole proprio staccarsi dal suo albero, mentre l’altra è marrone perché ormai è caduta giù e non spera più…».«Verde è il prato sul quale ogni giorno spero di sedermi accanto a te, Anna» mi rispose Meredith lasciandomi senza parole. Mancava ormai poco all’operazione, ma ogni giorno continuava-mo il nostro gioco e ogni giorno imparavamo cose nuove l’una dall’altra. «Qual è il tuo colore preferito Anna?» mi domandò un giorno.«Il mio colore preferito è il rosso perché è forte come l’amicizia e l’amore. Rosso è il colore del cuore, rosso è la forza che ogni gior-no vedo nei tuoi occhioni blu, grandi e sconfinati come il mare» le risposi mostrandole tutta l’ammirazione che avevo per lei. «Che bello!» esclamò Meredith «Il rosso da ora in poi sarà anche il mio colore preferito, mentre il colore che più detesto è il nero. Nero come il buio che vedo da quando sono nata e nero come Lisa che si crede tanto grande quando in realtà è piccola e fasti-diosa come una zanzara».«E come fai a sapere che le zanzare sono nere?» le domandai di-vertita.«Gli insetti non mi sono mai piaciuti, hanno un ronzio fastidioso e tutto ciò che non mi piace è nero!» disse Meredith sorridendo. Aveva la capacità di lasciarmi senza parole. Mi piaceva così tanto stare con lei e ogni volta il tempo in sua compagnia passava trop-po presto. Un giorno Meredith mi sembrò pensierosa e così senza esitare le domandai: «Che succede?».«Domani dovrò ricoverarmi per prepararmi all’operazione. Ho tanta paura Anna!» mi rispose tra le lacrime. «Io sarò qui ad aspettarti amica mia. Non avere paura, ormai sia-mo in due e noi due insieme siamo una forza!» le dissi cercando di darle coraggio.

«Se l’operazione dovesse andare bene, la prima cosa che mi pia-cerebbe vedere è la nostra amicizia…» disse Meredith lasciando-mi senza parole.«Mer, tesoro mio, l’amicizia non è una cosa che si può vedere o toccare» le risposi io. «Anna…» proseguì Meredith «la nostra amicizia è un mix di colori che insieme formano uno splendido arcobaleno colorato ed è proprio questo che voglio vedere, un arcobaleno grande e colorato proprio come il bene che ci unisce» concluse infine Meredith che, ancora una volta, era riuscita ad in-segnarmi qualcosa. La pioggia ora sta scendendo più lentamente e mentre ripenso a quanto l’amicizia con Meredith abbia cambiato la mia vita, lei è in sala operatoria e sta combattendo la sua battaglia più dura, quel-la contro l’oscurità. La pioggia ha smesso di scendere, le nubi si diradano e il sole ha cominciato a splendere. Dalla finestra della mia camera vedo spuntare un magnifico arcobaleno e sul mio viso ora è comparso un radioso sorriso, perché ho la certezza che un arcobaleno così grande e colorato, come la mia amicizia con Meredith, non può che vincere contro la buia oscurità del nero. Corro da lei in ospedale, ci affacciamo alla finestra e finalmente possiamo ammirare insieme il “nostro arcobaleno” che regna in-contrastato nel cielo azzurro sconfinato.

CLASSIFICATO

SCUOLA MEDIA

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Maria, Regina del paese delle Butterflies

Classe II E

Scuola Media “Verdi – Cafaro” di AndriaIns. Marianna Mastrangelo

C’era una volta, in una piccola città, una ragazza di nome Maria. Frequentava la prima classe di una scuola media e viveva con i nonni poiché la sua mamma e il suo papà erano morti in un inci-dente quando lei aveva appena due anni. Maria indossava sempre un medaglione d’argento, appartenuto alla sua mamma; all’interno del medaglione era custodito il peta-lo di una rosa bianca, il fiore simbolo della libertà, ed era incisa la frase “L’amore rende liberi”. I suoi nonni, purtroppo, erano poveri e dunque non potevano per-mettersi di comprarle vestiti nuovi, giocattoli, cellullari; inoltre, Maria non era molto bella e per queste ragioni tutti i suoi compa-gni di scuola la prendevano continuamente in giro. Senza amici, la ragazza passava le giornate nella sua camera a leg-gere libri. Era quella l’unica cosa che le permetteva di dimenticare la cattiveria dei suoi compagni di scuola e allo stesso tempo di sogna-re avventure fantastiche, visitare con la mente luoghi sperduti, reali e immaginari. Un giorno, mentre percorreva la strada per raggiun-gere la scuola, si accorse di essere seguita da alcune sue compagne di classe; fra loro c’era Jessica, la più bella e popolare ragazza della scuola nonché quella che più di ogni altra le dava il tormento. Jessica e le altre finsero di non averla riconosciuta e mantenendo-si a una distanza di circa un metro cominciarono a parlare male ad alta voce di lei. Espressero giudizi crudeli sul suo aspetto esteriore

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e sul suo modo di vestire finché Jessica concluse che una persona così non avrebbe mai avuto qualcuno al suo fianco nella vita. Maria esplose in un pianto irrefrenabile e corse via, accompagnata dalle risate di scherno delle compagne di scuola. Tornò a casa per cercare il conforto dei suoi nonni e si calmò solo nel pomeriggio. Pochi giorni dopo giunse il suo compleanno e i nonni non ebbe-ro dubbi su cosa regalarle: un libro. Le comprarono un romanzo d’avventura, intitolato Il Regno delle Butterflies. Fu subito entu-siasta del regalo: scartò il pacco, lesse la copertina e iniziò a sfo-gliarne le pagine. Fu in quel momento che ella scomparve in un bagliore accecante, proprio dinanzi agli sguardi increduli dei suoi nonni che per lo spavento ebbero un malore. Maria si ritrovò, di colpo, in un mondo magico, composto di im-mensi campi verdi, fiumi limpidi, case di marzapane e un cielo rosa. A un certo punto un canarino viola atterrò proprio sul suo braccio; era simpatico, chiacchierone e i due fecero subito amici-zia; d’altronde Maria non vedeva l’ora di conoscere qualcuno a cui non importasse del suo aspetto. Ne approfittò per chiedergli dove si trovassero e il canarino le rispose che si trovavano nel pa-ese delle Butterflies, un luogo che prendeva il nome dalle cinque fate degli elementi che là vivevano. Le fate, però, erano state at-tirate con un inganno nel castello di una strega che, grazie a un incantesimo, le aveva private dei loro poteri. Da allora erano pri-gioniere nelle segrete del castello, guardate a vista da un drago cattivo capace di pietrificare chiunque con un solo sguardo. L’uni-co modo per rompere il maleficio e liberare le fate era creare una pozione magica; in tanti ci avevano provato, ma senza successo, perché l’ingrediente principale della pozione non era ancora sta-to scoperto. Secondo una leggenda raccontata dagli abitanti del paese delle Butterflies un giorno sarebbe giunta una giovane ra-gazza che ci sarebbe finalmente riuscita. Maria, un po’ turbata, chiese al canarino se fosse lei la ragazza della leggenda e il canarino le rispose che per scoprirlo dovevano iniziare a raccogliere tutti gli elementi già noti della pozione. Si addentrarono in una foresta e da un albero antico cento anni Maria estrasse la linfa,

il primo degli ingrediente. Camminarono ancora un po’ e giunsero di-nanzi ad una fontana, che gli abitanti del regno chiamavano “Fontana dell’amore” perché aveva la forma di un cuore, da cui presero dell’ac-qua. Infine colsero un piccolo ramoscello che sbucava dal terreno: sembrava essere lo stelo di un fiore mai sbocciato, ma il canarino le spiegò che era una pianta che cresceva proprio in quel modo. Era l’ultimo degli ingredienti conosciuti. Adesso toccava a Maria. Ella pensò agli ingredienti raccolti e capì: la linfa della vita, l’amore e un fiore imprigionato nel suo bocciolo. L’ingrediente mancante doveva essere il petalo di rosa bianca che custodiva nel medaglione, ricordo dell’amore dei suoi geni-tori che le avevano donato la vita e al cui interno era incisa quella frase “L’amore rende liberi” che solo adesso capiva in tutto il suo senso. Aprì il medaglione, prese il petalo e lo gettò nel calderone insieme agli altri ingredienti. Le bastò pensare di liberare le fate per rompere l’incantesimo e riportare la felicità in tutto il regno. Il canarino raccontò a tutti gli abitanti cosa era successo e Maria fu pro-clamata Regina del paese delle Butterflies. Proprio in quel momento un bagliore accecante la riportò nel mondo reale. Maria corse dai suoi nonni che quasi non la riconobbero perché era diventata bellissima. Il giorno dopo la ragazza tornò a scuola e tutti i compagni si chie-sero chi fosse quella ragazza bellissima e carismatica. Durante l’intervallo Jessica e le altre ragazze le si avvicinarono per fare amicizia. Le chiesero chi fosse, come si chiamasse e dove avesse comprato quegli abiti stupendi. Rispose con sicurezza: «Il mio nome lo sapete già, sono Maria, ma in effetti è come se non mi conosceste. Siete sempre state cattive con me e adesso vorreste la mia amicizia solo perché este-riormente sono diventata bella. In realtà il mio cambiamento non è solo esteriore perché adesso sono anche una persona libera e li-beramente sceglierò le mie amicizie, sulla base dei miei sentimen-ti e non dell’opportunità. Buona giornata». Le ragazze andarono via, umiliate da quella risposta. Mentre si allontanavano Maria sentì Jessica dire alle altre: «Ma chi si crede di essere quella? Una regina?». Maria sorrise.

CLASSIFICATO

SCUOLA MEDIA

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3° ex aequo

Tempochefu alla riscossa

Miriam Paglionico (classe III)

Scuola Media “Michelangelo” di Bari Ins: Valeria Patrizia Germinario

C’era una volta, in un tempo lontano, una piccola sveglia rotta. Di quelle tonde con in cima due grossi campanelli, somiglianti tanto alle orecchie di un elefante, che emettevano squillanti “Driiiin… driiiin… driiiiin!”.Da anni ormai, ogni giorno la sveglia si impegnava a raccontare le sue storie del passato, sempre le stesse. Il suo nome era Tempo-chefu. Una brutta mattina, all’alba, si era rotta precipitando da un vecchio comodino impolverato e sgangherato. Il suo assonnato padrone, come sempre, aveva una “fretta del diavolo” e così con un brusco gesto al suo risveglio l’aveva buttata giù dal comodino. Quella caduta aveva fatto precipitare la sveglia in un buco nero e lì un vortice l’aveva risucchiata. Quanta paura ebbe Tempochefu! Era precipitata in una discarica buia, dove erano accatastate tante lancette, ore, orologi, numeri e oggetti vari, tutti malandati. Erano cose ormai “passate” che erano state lì abbandonate. L’atmosfera era di tristezza assoluta. Tempochefu notò subito un antico giradischi, accanto ad una pol-verosa macchina da scrivere. Si avvicinò e, con voce bassa, domandò: «Anche voi qui? Come mai?».«Come mai?! Noi tutti, qui, siamo vecchi secondo loro, secondo gli umani che corrono, corrono, corrono. Corrono da una parte all’altra senza pause, da casa in ufficio, dalla tranquillità alla fre-

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nesia. Sono sempre e solo molto indaffarati!» rispose la macchina da scrivere.«Il mio ex padrone non mi è stato mai tranquillamente ad ascoltare! “Devo correre a lavorare” mi ripeteva come un disco rotto» sog-giunse esperto e rammaricato il giradischi. «Ormai, ahimè, siamo tutti obsoleti, “passati”. Siamo solo “memo-rie” inutili!» subito aggiunse rassegnata la macchina da scrivere. Tempochefu non fece in tempo a rispondere, all’improvviso si le-varono delle grida acute, il cielo buio brillò di un oro splendente, la terra si fratturò di mille crepe. Un nuovo vortice soffiò e risucchiò qualunque rottame, oggetto, ricordo e ingranaggio presente nella discarica. Tempochefu e i suoi compagni furono precipitati in un luogo che a tutti sembrò subito avere qualcosa di familiare. Era quella la “terra dei ricor-di”, dove era stato confinato almeno un ricordo della vita precedente di ciascun oggetto legato ad ogni abitante del mondo. Qui il cielo non era azzurro, ma colmo di scene inanimate, ognuna delle quali rappre-sentava un momento della vita passata di ciascun essere vivente. Tempochefu, come tutti gli altri, era triste. Si sentiva davvero sola. Quel luogo era privo di allegria. La gente che abitava il mondo, in-fatti, l’aveva reso spento perché non ricordava più nulla. Non ricor-dando, annullava il proprio passato. Tutti gli elementi, appartenenti alla vita precedente, perdevano colore, calore, vividezza, energia. Più tempo passava e più diventavano deboli. Tempochefu, sempre più disorientata, notò la presenza di bambo-le di pezza, di trenini elettrici a pezzi, di orologi a muro, di cavalli a dondolo in legno tarlato. Si avvicinò per raccontare loro ciò che le era accaduto e per essere consolata e incoraggiata. Tutti ascoltarono con attenzione le sue parole.«Io, mentre le forze mi abbandonavano, ogni giorno al mio padro-ne dicevo: “Non buttare Tempochefu se tu nel Futuro vivere vorrai sicuro!”». Sempre più triste aggiunse: «Ma non mi ascoltava. È sta-to tutto inutile. Sono diventata come il Nulla!».Tutti i presenti annuirono e presero ciascuno a raccontare le loro storie.

La bambola di pezza disse: «Sapete, anche io sono stata abbando-nata. Un bel giorno la mia padroncina mi ha portata in soffitta, mi ha messa in uno scatolone e sono diventata anch’io il Nulla, un og-getto di cui nessuno più si è curato. Come se non fossi mai esistita!». Le storie degli altri, come per magia, ridiedero a Tempochefu la vo-lontà di ritornare a far parte del Presente e di combattere contro quegli umani che continuavano a ripetere: «Tempo da perdere non abbiamo, gli oggetti rotti noi buttiamo!». Fu proprio in quel momento che Tempochefu urlò: «Amici, è giunto il momento della riscossa!». E così, in un batter d’occhi, tutti si di-sposero in fila indiana, pronti a marciare. Partirono e lungo la strada attirarono l’attenzione di un vecchio robivecchi ormai disoccupato che, però, continuava a portare con sé i suoi fidati e arrugginiti ferri del mestiere. Affascinato da quegli oggetti, il robivecchi si mise subito all’opera. Aggiustò e riportò a nuova vita quelle antiche e dimenticate meraviglie. La marcia verso l’umano Presente riprese. Camminarono a lungo, superando vortici e correnti d’aria contrastanti. Giunti alla meta, ogni oggetto antico ebbe il compito di rendere non funzionante l’oggetto ultramoderno che lo aveva sostituito: le macchine da scri-vere i computer; le bambole di pezza le moderne Barbie; i giradischi gli stereo, le cornette telefoniche resero inutilizzabili i superacces-soriati iphone. Esterrefatti e un po’ spaventati da quel che succedeva, gli uomini si fermarono a riflettere sul da farsi. E ricordarono. Ognuno ricordò di avere in soffitta, nel ripostiglio, in un vecchio scatolone, in un cassetto altri utilissimi e importantissimi oggetti… vintage! Grazie a Tempochefu e ai suoi amici, gli umani riacquistarono la me-moria e il senso del tempo: impararono a fermarsi e a rivalutare le tracce del passato. Da quel dì non gettarono più gli oggetti “vec-chi”, ma si impegnarono a ripararli o a riciclarli. Finì così l’era dell’usa e getta. E tutti, uomini e oggetti, tornarono a vivere felici di essere utili testimonianze del tempo che fu.

CLASSIFICATO

SCUOLA MEDIA

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La vecchia quercia

Agata Santopietro (classe I A)

Istituto Comprensivo “Cassano – de Renzio” di Bitonto Ins: Angela Ciocia

Come sempre la grande quercia era lì, imperiosa e fiera, dominava la pianura, estendendo lo sguardo oltre l’orizzonte.Il suo tronco forte e robusto si innalzava nel cielo, oscurandone una parte con la sua ridente chioma.La vecchia quercia era la memoria di quei luoghi e di quelle terre baciate dal sole. Tanti i bambini che aveva sostenuto tra le sue braccia, che aveva visto crescere e diventare uomini. La sua chio-ma aveva accolto giochi, ascoltato racconti, conservato segreti, raccolto risate e pianti.Ora, con la costruzione delle industrie e la nascita della grande cit-tà, la vecchia quercia era rimasta sola, altri i luoghi di divertimento e svago erano scelti da adulti e bambini. La tristezza prese il suo cuore e tra la sua verde chioma spuntò qualche foglia di un grigio argenteo. Gli abitanti del paese si convinsero che la grande quercia fosse malata e che la sua malattia potesse contagiare tutti gli alberi del-la pianura. Pensarono così di abbatterla.Un giorno passò di lì un ragazzino, era nuovo del posto e si fer-mò all’ombra della grande quercia per trovare ristoro. Aprì il suo zainetto e ne estrasse una foto che ritraeva una donna. Il ragazzo baciò la donna in foto, era sua nonna e iniziò a piangere così tanto da addormentarsi.

3° ex aequo

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La grande quercia capì e si commosse tanto. Avrebbe voluto con-solare il piccolo, ma come fare? Toccata nel profondo del cuore, curvò la sua chioma sul ragazzo e lo avvolse, asciugandogli le lacrime.Quando il ragazzo si svegliò, guardò su e fu colpito da quel foglia-me argenteo. Iniziò a toccare delicatamente, quasi accarezzan-dole, quelle chiazze bigie che gli ricordavano il suo dolore e parlò alla grande e vecchia quercia: «Tranquilla, non preoccuparti, ora ci sono io qui con te. Non sei più sola. Non andare via anche tu. Io ti farò guarire. Ti curerò».Restò lì fino a sera e il giorno seguente ritornò in quel luogo a fare compagnia alla grande quercia e a guardare insieme l’orizzonte.Il ragazzo tornò sotto la sua ombra tante volte ancora; lì era libe-ro di parlare e raccontare, si sentiva vicino a sua nonna, mentre il vecchio albero aveva trovato un amico a cui offrire ristoro e pro-tezione proprio come solo una nonna sa fare.La grande quercia non si sentì più sola e le sue foglie ritornarono ad essere verdi e ridenti. Quel luogo tornò a racchiudere la magia di un tempo, fatta di sto-rie, canti, giochi…vita.Gli abitanti del paese non abbatterono più il vecchio albero che, fiero, è ancora lì che domina la pianura a segnare il tempo che fu e che sarà ancora.

CLASSIFICATO

DAI 6 AI 10 ANNI

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Una città con gli occhi dei bambini

Paola Carvutto (10 anni)

C’era una volta una città di nome Irab che veniva soprannominata dai bambini “La città della noia” perché nei pochi parchi che c’era-no, i canestri erano rotti, le piste di pattinaggio erano allagate, le altalene e gli scivoli inagibili e le piante erano morte.Un bel giorno di primavera, durante le vacanze di Pasqua, i bam-bini non sapendo cosa fare decisero di incontrarsi tutti davanti al cancello della scuola “Anna Frank” per discutere insieme dei problemi della città. Tutti i bambini furono d’accordo su quali cose bisognasse siste-mare anche se non sapevano come, quando all’improvviso a un bambino di nome Genius Genietti venne un’idea brillante: creare degli occhiali per far vedere agli adulti come i bambini vedevano la città.Gli altri bambini approvarono la sua trovata e il giorno dopo tutti andarono in un laboratorio e dopo vari esperimenti, tenta e ri-tenta, riuscirono a realizzare tanti occhiali quanti erano gli adulti della città. Li impacchettarono e glieli fecero recapitare. Tutti ricevettero il loro regalo: sindaco, assessori, genitori, mae-stri che rimasero a bocca aperta. Si intristirono così tanto nel ve-dere una città senza divertimenti che iniziarono subito i lavori.Ininterrottamente giorno e notte tutti con ruspe, martelli e tra-pani lavorarono per modificare la città realizzando parchi giganti con tanti giochi, spazi per tutti e piantando molti alberi.Alla fine tutti felici cambiarono anche il nome della città, bastò solo invertire le lettere da Irab diventò Bari.

CLASSIFICATO

DAI 6 AI 10 ANNI

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Prova ad essere chi vuoi

Sofia De Muro (10 anni)

Bianca era nel cortile della scuola, quando all’improvviso vide un bambino che strappava le foglie di un albero. Il fatto la turbò tan-to che iniziò a chiedersi come potesse essere vivere per un giorno la vita di una pianta.Arrivata a casa andò in tutta fretta nella sua stanza e si mise un cappellino di quando era piccola, verde come il colore delle piante. Si inginocchiò in un angolino immobile per cinque minuti: «Deve essere proprio noioso essere una pianta», pensò. Era ora di pranzare! Sua madre era in attesa di un bambino, per questo Bianca era molto felice e voleva che il bimbo nascesse su-bito: non voleva aspettare nove mesi! Bianca toccò il pancione e iniziò a chiedersi come potesse essere vivere per un giorno la vita del fratellino in arrivo.Cercò, cercò e cercò… alla fine trovò un ciuccio di quando era piccola. Si rannicchiò nel letto col ciuccio in bocca e si addormen-tò. Quando si svegliò pensò: «Com’è rilassante e coccoloso stare nella pancia!».Arrivò la notte, Bianca non riusciva a dormire, perciò prese il suo sacco a pelo e lo portò in terrazzo, ci si stese sopra ad ammirare le stelle. Iniziò a chiedersi come potesse essere vivere per un giorno la vita di una stella.La mattina dopo, infatti, prese un enorme foglio giallo di carta, lo ritagliò e con del nastro adesivo se lo attaccò alle braccia e alle gambe (anche se si staccava in continuazione) poi si stese sul pa-vimento e pensò: «Le stelle sono delle gran pigrone!».

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Dopo qualche giorno arrivò il suo compleanno.Erano tanti gli invitati alla sua festa e Bianca era felicissima e impa-ziente di aprire i regali e di soffiare sulle candeline.Sulla sua torta c’erano tante decorazioni sbrilluccicanti, ma Bian-ca concentrò la sua attenzione su una fogliolina di zucchero dall’aspetto squisito. Iniziò a chiedersi come potesse essere vive-re per un giorno la vita di una decorazione di zucchero. Si concentrò e pensò che tutti i suoi amici la volessero mangiare! Finì la festa e Bianca era sbalordita di come fosse passato in fretta il tempo. Poco dopo andò a dormire, felice della festa, ma dispiaciuta che fosse già ora di andare a letto.Erano cominciate per fortuna le vacanze. Fece un viaggio a Valle del Sole e lì imparò a nuotare nel mare. Diventò un vero e pro-prio “delfino” e – immaginate un po’? – iniziò a chiedersi come potesse essere vivere per un giorno la vita di un delfino, perciò andò anche in piscina (la mattina dopo, quando poteva) e si mise a nuotare in “stile sirena”. Come fu stancante essere un delfino! Dopo una settimana di pisci-na e mare Bianca tornò a casa stravolta dalle vacanze, ma felicissi-ma di aver imparato a nuotare!Il giorno della nascita del fratellino di Bianca era appena arrivato, era nato... Mattia!!!Bianca iniziò a chiedersi come potesse essere vivere per un giorno la vita di Mattia, che era appena nato.Notò che al fratellino dava fastidio la luce… andò col suo papà fuori l’ospedale e si mise a guardare il sole. «Come è fastidioso essere nati da… un giorno!».Il tempo passò e Bianca e Mattia diventarono ottimi fratelli e, quando il “piccolo” Mattia fu cresciuto, presero il volo per altre fantastiche avventure!!!Arrivò un giorno in cui la piccola Bianca, diventata grande, non era più una bambina ma una giovane donna. Dentro il suo cuore sentiva di essere tutto ciò che aveva imma-ginato da bambina: era pianta annoiata, un bimbo nella pancia

coccoloso, una stella pigra, una squisita fogliolina di zucchero, un delfino, il suo fratellino infastidito. Era tutto ciò e tanto altro ancora.Fine?

CLASSIFICATO

DAI 6 AI 10 ANNI

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La Compagnia della Rosa d’Oro di Sugarland

Myriam de Veredicis (9 anni)

In un giorno particolarmente profumato di primavera, pieno di sole e di felicità, due bambine di nome Arancina e Melina passeg-giano saltellando spensierate lungo i sentieri della Foresta Foglia-fritta, incantevole luogo di esplorazione ricco di tantissime piante saporite e maestosi alberi di zucchero. Fogliafritta si trova a nord di Sugarland, un paese magico dove tutto è più colorato, più profumato e più gustoso… insomma un posticino niente male per i più piccini e per i grandi col cuore di bimbo. Le due amichette si fermano con l’acquolina in bocca a raccoglie-re i pappanuvole, dolci fiorellini color turchese fatti di zucchero filato di cui le due amiche sono ghiottissime, che crescono nume-rosi in quella parte della foresta. Arancina ha lunghi capelli arancioni raccolti ai due lati con delle codine fermate da due graziosi fiocchidifragola rossi, bacche dol-ci e nutrienti. La sua carnagione è chiara come la luna, i suoi occhi sono grandi e castani, quando sorride le compaiono due bellissimi cuoricini rosa sulle guance, ed è d’animo altruista e generosa. Il suo animagico, il compagno di giochi fatato, si chiama Bonbon, un gufetto tutto bianco, candido e profumato come la panna montata, con due grandi occhi azzurri come due pasticcini. Egli è molto saggio e consiglia sempre Arancina con amore. È ghiotto di sogniallegri, dei frutti color verde smeraldo, che hanno il sapore di cioccolatini.

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Melina è la migliore amica di Arancina. Il suo visino, di carnagione scura, è paffutello, ha lunghi e folti capelli castani, che vestono meravigliosamente il suo faccino simpatico, e sono raccolti da una coroncina deliziosa, fatta da fiorellini rosa intrecciati, i fiordi-coccole, che cambiano colore e profumo in base alle belle emo-zioni di Melina. Melina è una bimba simpatica e socievole. Il suo animagico è Liquirizia, un gattino nero molto furbo, che profuma di erba ap-pena tagliata. Liquirizia ha due occhioni verdi brillanti e baffetti lunghi come delle antenne, che captano tutto ciò che gli gira intorno. Al calar del sole scoppia un brutto temporale con tuoni e lampi squarcianti il cielo oscurato, così le due amiche, spaventate, ven-gono subito rincuorate dai loro animagici, che le invitano a seguir-li sulla via del ritorno, verso il villaggio di Sugarland. Durante la corsa verso casa Arancina e Melina si perdono di vista senza accorgersene. Improvvisamente davanti ad Arancina com-pare il brutto volto di Zenzera, una zebra cattiva, che in passato è stata la fedele animagica della Regina Dolcechiaraluce di Sugar-land, che tutti i sugarlandesi ricordano buona e di spirito gentile. Ma un giorno Fetora, la vecchia strega delle Paludi Putride, mezza strega e mezza cavallo, del vicino regno di Puzzoland, per gelosia fa un orribile maleficio a Zenzera. Dovete sapere che Fetora è la matrigna di Zenzera. Quando Zen-zera è ancora cucciola il papà Vinello, mezzo zebra e mezzo elfo, non sopportando il carattere brusco e vendicativo di Fetora, de-cide di allontanarla dalla sua casa per proteggere se stesso e la figlia. Così purtroppo Fetora si vendica invocando un terribile sor-tilegio, che in poco tempo fa morire il povero papà Vinello e tra-sforma Zenzera, prima dolce creatura metà zebra e metà elfa, in una zebra di aspetto deforme e di odore molto sgradevole. Così Zenzera comincia a girovagare da sola nel regno di Sugarland cer-cando aiuto, ma di fronte al rifiuto e al disgusto delle persone, il suo dolore si trasforma in un rabbia furiosa mista ad invidia e voglia di vendetta.

Una voce cattiva nella testolina le ripete continuamente che gli abitanti sono insensibili e meritano di soffrire come lei. Zenzera decide allora di usare i poteri magici neri, trasferiti a lei per sbaglio durante il maleficio dalla matrigna diventata perciò innocua, per conquistare e sottomettere Sugarland e togliervi per sempre la luce, i colori, i profumi, gli odori e i sapori così da far assaggiare a quegli ingrati il suo dolore. Zenzera urla in faccia ad Arancina con una voce stridula: «Adesso io mi impossesso del vostro Mondo e delle vostre vite, brutte cre-ature insensibili!».Arancina sviene sia per la paura che per la puzza, Bonbon le svo-lazza intorno togliendo il cattivo odore e le urla di reagire. Aran-cina si rialza e corre verso Melina e Liquirizia per raccontare loro subito il pericolo che incombe su Sugarland. Le due amiche e i loro animagici si abbracciano impauriti sotto fulmini e pioggia scrosciante, e si accorgono che davvero la ma-gia oscura di Zenzera comincia a fare effetto: i colori vivaci sbia-discono, i profumi dolci scompaiono, e i sapori diventano sciapi. Il primo colore che scompare dalla loro vista è il rosso, seguito dal verde, dal giallo e dall’azzurro… Anche tutti gli abitanti di Sugar-land e i loro animagici cominciano a scolorirsi e a perdere la loro bellezza, terrorizzati perdono anche il loro buonumore e comin-ciano ad intristirsi, si chiudono dentro le loro case senza reagire, bloccati dalle loro paure più profonde. Il sindaco Dispettino Perino, un essere assai sgradevole e avido, che è stato il primo ad allontanare e convincere tutti a non aiu-tare Zenzera, cerca di raccogliere tutto l’oro di Sugarland per fuggire. Arancina e Melina insieme a Liquirizia e Bonbon decidono di af-frontare Zenzera per parlarle. La zebra vedendoli avvicinare co-mincia a lanciare verso i quattro coraggiosi dei fulmini stregati con delle bombe puzzolose. Ma i fulmini, attratti solo dai colori, (per fortuna i due animagici sono uno bianco e l’altro nero) non li colpiscono e usano i loro corpi come scudo contro il cattivo odo-re, proteggendo le bimbe.

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Giunti davanti a Zenzera le parlano con il cuore: «Perché stai fa-cendo tutto questo? Perché tanta cattiveria? Noi non ti abbiamo fatto niente e mai ti abbiamo conosciuto o disprezzato!». Zenzera, noncurante, lancia una maledizione, che raggiunge Bon-bon e la rende cieca e incapace di volare, ridendo compiaciuta del dolore dato.La compagnia fugge via per decidere un piano di attacco. Liquirizia ha un’intuizione e dice: «Ho notato che gli unici colori che non è riuscita a dissolvere sono i colori dell’Anima del nostro Regno, l’oro e il rosa, e il profumo e sapore di rosa e panna monta-ta. Quindi dobbiamo vestirci di rosa, prendere l’oro dal palazzo di Dispettino Perino e crearci degli scudi di protezione, così Zenzera non può più attaccarci. Io, con i miei poteri magici, vi trasformo in streghe puzzolenti così facciamo fuggire dalla paura quell’ingor-do e vigliacco di Dispettino Perino». E così fanno: costruiscono, fondendo l’oro, dei bellissimi scudi in-vincibili, si vestono di lucenti armature tutte rosa con meravigliosi ricami d’oro e si proclamano “La Compagnia della Rosa d’Oro”. Così attrezzati tornano ad affrontare Zenzera, entrata nel frat-tempo con prepotenza nel palazzo. Appena li vede scaglia contro di loro malefici e fulmini, ma tutti rimbalzano magicamente sugli scudi d’oro e le armature rosa, e i profumi di panna montata e rosa si diffondono nell’aria. Tutto intorno nel Regno comincia a riprendere colore, profumo, odore e sapore. Anche Bonbon vie-ne colpita dai raggi benevoli e riacquista la vista e la capacità di volare. Zenzera, annientata, si lascia cadere nella disperazione più pro-fonda piangendo con rumorosi singhiozzi. Arancina e Melina hanno pietà di lei e decidono di inviarle un mes-saggio in un pacchetto regalo, utilizzando il potere del volo ma-gico di Bonbon. Il gufetto coraggioso vola fino ai piedi di Zenzera e le consegna il regalino pregandola di leggere il loro messaggio. Inizialmente Zenzera tenta di distruggerlo, ma poi è commossa dal gesto d’amore, apre il pacchetto e srotola la pergamena pro-fumata di rosa e scritta in caratteri d’oro: “Cara Zenzera non di-

sperarti se per qualche motivo qualcuno ti ha fatto del male, noi capiamo il tuo dolore e sappiamo che soffrire fa arrabbiare. Noi vogliamo diventare tuoi amici e offrirti il nostro amore e amicizia e curare il tuo dolore”. Dal pacchetto spunta un fiorellino pappanuvole che Zenzera tra lacrime di gioia assaggia con gusto e, all’improvviso, un lampo di arcobaleno spezza la vecchia maledizione, e Zenzera ritorna ad essere la creatura magica di un tempo, mezza zebra e mezza elfo, con la sua bellezza, grazia, dolcezza e tutte le sue qualità lumino-se ritornano nel suo cuore e nella sua anima. La Compagnia della Rosa d’Oro come segno d’amicizia e fiducia le porta un fioremagicmiele, che le dona il potere di governare i sa-pori, un fiorlavanda, che ha il potere di governare gli odori, e una rosadorata, che ha il potere di donare amore e gioia al mondo. Zenzera, riconoscente, chiede ai suoi amici cosa può fare e come usare al meglio i regali meravigliosi che le hanno donato. La Compagnia della Rosa d’Oro e l’intero villaggio le chiede di go-vernare su Sugarland. Zenzera accetta felice rendendo tutto il re-gno di Sugarland ricolmo di felicità, luce, colori, sapori e profumi meravigliosi. Gli abitanti di Sugarland e la Compagnia della Rosa d’Oro orga-nizzano un banchetto pieno di succulenti pietanze, dolcetti e fio-rellini prelibati. Tutti riacquistano il sorriso e la voglia di danzare. Tutti colorati, tenendosi per mano, abbracciano Zenzera felici che l’Amore abbia cancellato la tristezza e il dolore su di lei e su tutti loro. Un vortice di colori scoppietta come fuochi d’artificio e la magia torna sul regno. La Compagnia della Rosa d’Oro si stringe intorno a Zenzera che felice lancia pappanuvole, fiocchidifragola, sogniallegri, fiordicoc-cole, erbettadolce a tutti, sorridendo e danzando della vita.

CLASSIFICATO

DAGLI 11 ANNI

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La casa di Elena

Elena De Cillis (12 anni)

Ci sono libri che narrano di storie fantastiche, così belle da rimanere nel nostro cuore per sempre ma, qualche volta, la realtà supera la fantasia e ci sorprende. A volte quello che ci capita sembra non ave-re un senso, ma poi tutto trova un nuovo ordine. Questo accade ad Elena, una bimba di appena 11 anni che vive in una cittadina del Sud Italia e che improvvisamente si scontra con uno di quei problemi che spaventano anche i grandi.Elena guardò fuori dalla finestra e vide suo padre sistemare qual-cosa nel portabagagli della loro auto. Il giorno della partenza era vicino; una nuova città li aspettava. Elena non avrebbe voluto, ma sapeva che era necessario per il bene della sua famiglia. Il suo papà aveva trovato un altro lavoro, “un’occasione da non perde-re” diceva. Tanti pensieri affollavano la sua mente. Avrebbe perso i compagni di scuola, gli insegnanti, la sua casa. Pensava in modo particolare alla sua amica Monica; con lei aveva condiviso i giochi, ma anche le prime difficoltà. Sentirsi al telefono o per sms non sarebbe stata la stessa cosa. Elena cercava di sembrare tranquilla agli occhi dei suoi genitori, amici e conoscenti, ma quando rimaneva sola scoppiava in lacrime; aveva tanta paura. Per non parlare poi dello sport. Elena amava nuotare e si allenava tutti i giorni con la sua squadra ormai da diver-si anni; era legata a tutti loro, aveva bisogno di vedere i loro sorri-si, i loro volti ogni giorno, insomma erano diventate delle persone importanti nella sua vita. E poi c’era lei, la sua insegnante, sempre

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attenta e brava; ogni giorno trasmetteva ai suoi bambini amore, fantasia e soprattutto la voglia di imparare. Nel cuore della piccola Elena aveva lasciato impresso un segno profondo. Con lei, Elena e i suoi compagni avevano costruito piano per piano quello che erano diventati; tutti insieme avevano affrontato difficoltà, avventure e coltivato speranze. Perdere tutto così da un giorno all’altro non le sembrava possibile e quando aveva provato a parlarne con qualcuno, un nodo di pianto le aveva stretto la gola ed era rimasta in silenzio. Elena aveva bisogno di confidare le sue paure, allora decise di scri-vere il suo diario, che ancora una volta l’avrebbe accompagnata.“Ciao caro diario, oggi vorrei raccontarti quello che mi sta accaden-do e io non so cosa fare. Dobbiamo trasferirci perché mio padre ha trovato un nuovo lavoro e dice che è una buona opportunità. Perderò tutti i miei amici, Monica, il nuoto, la mia maestra, questa casa… Lo so, forse sto esagerando, ma non riesco a sopportare questa situazione; non posso più fingere, non posso apparire qual-cuno che non sono cioè una persona felice e tranquilla. Proprio sta-mattina, affacciata alla finestra, pensavo e ripensavo che ho paura del mio futuro. Il giorno del trasloco si sta avvicinando, ho sempre voglia di piangere, spero che sia tutto un brutto sogno”.Il giorno del trasloco Elena era molto ansiosa. Quando il papà la chia-mò, si lanciò sul suo letto e lo riempì di amare lacrime; chissà se lo avrebbe rivisto. Guardò per l’ultima volta le pareti ormai vuote della sua stanza, poi abbassò la testa e uscì velocemente senza più girarsi indietro. Il viaggio non fu lungo, ma ad Elena sembrò infinito. Una volta arrivati a destinazione, vide intorno a sé una città completa-mente diversa da quello che lei immaginava, molto più bella. Elena e la sua famiglia arrivarono nell’appartamento, molto carino e abba-stanza grande. I genitori sembravano soddisfatti, anche Elena lo era. La piccola si fece coraggio, filò nella sua stanza e iniziò a mettere a posto i bagagli, ma quando trovò le foto di lei con la sua migliore ami-ca Monica e con la sua squadra di nuoto, scoppiò in un lungo pianto. La mattina seguente l’aspettò il primo giorno di scuola. Il giorno dopo, a scuola tutti la guardarono o così le sembrò; la sua compa-

gna di banco si chiamava Sofia; bellissima e di poche parole tanto da sembrare davvero antipatica. I primi giorni non furono per niente facili; al Nord i ritmi erano molto diversi. Anche il nuovo gruppo di nuoto era diverso: l’allenamento era più pesante e i compagni meno disponibili; e, pensate un po’, la più in gamba del gruppo era Sofia, già proprio lei, la sua odiosissima compagna di banco. Elena era come bloccata e nemmeno in piscina riuscì a dare il me-glio di sé. Qualche compagno cattivello la prese in giro dicendole che era troppo lenta e che avrebbe fatto meglio a non presentarsi alle gare di qualificazione. Era umiliata, cominciava a sentirsi davve-ro una lumaca incapace, come se avesse un braccio o una gamba rotti. Aveva deciso, non avrebbe gareggiato; non avrebbe gareg-giato mai più. Quello stesso giorno però accadde qualcosa. Elena era sul punto di sci-volare a bordo piscina ma qualcuno la trattenne; si trattava di Sofia, che era proprio dietro di lei. Elena era imbarazzatissima, quella ragazza la metteva proprio in soggezione; riuscì a malapena a ringraziarla. Una volta sui blocchi di partenza ad Elena tremarono le gambe, l’al-tro capo della vasca le sembrò davvero troppo lontano; era sul pun-to di scendere quando una voce accanto a lei le sussurrò: «Nuota accanto a me, lumachina», ma in quelle parole non c’era niente di provocatorio, nessun insulto. Girò la testa e vide che Sofia le sorrideva; non l’aveva mai vista sorri-dere, era ancora più bella. Per un attimo le ragazzine si guardarono e si strinsero la mano; una strana energia sigillò quel contratto. Elena infilò cuffia e occhialini, al via si tuffò in acqua e cercò di nuo-tare più veloce che poté. Una volta fuori dall’acqua, l’allenatore le disse che aveva fatto un ottimo tempo; per Elena fu naturale ab-bracciare Sofia. Improvvisamente tutto le sembrò di nuovo possibi-le. Tutto stava ritrovando un nuovo ordine. I suoi amici, la sua vec-chia casa, i suoi ricordi da bambina sarebbero rimasti con lei per sempre, ma ora sapeva che doveva guardare avanti con coraggio e fiducia; avrebbe amato anche quei posti perché la nostra casa è dove c’è qualcuno pronto a sostenerci e ad amarci.

CLASSIFICATO

DAGLI 11 ANNI

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Il libro del buio

Mattia Pio Clemente (14 anni)

Ogni mattina andavo nella nostra biblioteca per leggere tutti i libri e i manoscritti che insegnavano i tanti incantesimi della mia fami-glia e lì mi successe una cosa davvero misteriosa. Mentre giravo perplessa tra libri e libri, vidi qualcosa che luccica-va, mi avvicinai incuriosita e scoprii che si trattava di una cassafor-te in argento con una ruota a meccanismo cifrato. Accanto vi era perfino un’indicazione scritta su un foglio di pergamena ingiallito dal tempo: il cartiglio diceva di girare la ruota in senso antiorario, cosa che feci. Sentii uno strano “tlack” e la cassaforte si aprì, cigolando. Dentro vi era un enorme libro con la copertina nera, impreziosito da fregi d’argento e d’oro: il titolo inciso era Il Libro del Buio. Tornai di corsa a casa e lo feci vedere a mia madre che, non mo-strando alcuno stupore, disse: «Ah! È Il Libro del Buio, uno dei no-stri manuali di magia nera, che non si usa da millenni. Scommetto che l’hai trovato in biblioteca, eh?».Io annuii. Lei continuò: «Pensiamo che tua nonna Rosy l’abbia nascosto probabilmente in una cassaforte e che il libro le si sia rivoltato contro imprigionandola tra le sue pagine. La nostra profezia dice: “Quando una dolce bambina tredicenne entrerà nel libro, ove sono entrate le tenebre, sconfiggerà i mostri che ci vivono, riusci-rà a liberare la potente Signora del Crepuscolo e il ginepro sterile tornerà a fiorire, solo allora tra i Periwinkle ritornerà la pace!”».Chiesi dubbiosa: «E chi è la bambina indicata nella profezia?».

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Mia madre fece un lungo sospiro e confessò: «Sei tu. E sarai tu a ricondurre tua nonna a casa e a riportare la pace tra noi Pe-riwinkle».Questa confessione mi diede tanto coraggio e pensai dentro di me: «Non preoccuparti nonna, ti libererò e ritornerai a casa!».Decisi di entrare nel libro, ma come fare?Mentre meditavo incerta, il libro cadde dallo scaffale su cui io l’avevo messo e si posò tra le mie mani. Cadendo, si aprì su una pagina in cui vi era scritto: “Per entrare nel libro, bisogna soffiare sul portale disegnato alla pagina seguente”.Cominciai a soffiare fortissimo e il libro prese a vibrare e alla fine fui risucchiata in un vortice di piume nere. Quando mi rialzai, il paesaggio era così cambiato che rimasi di sale. Le montagne erano fatte di diorite nera, i fiumi e i laghi di petrolio, la lunga strada su cui poggiavo i piedi era di carbone. M’incamminai e giunsi davanti ad una porta che avrei dovuto at-traversare per arrivare al Castello Nero, luogo ove era rinchiusa mia nonna. A fare la guardia alla porta vi era un enorme drago a undici teste che disse con un vocione tonante: «Altolà! Chi sei e che cosa vuoi?».Non esitai e dissi: «Il mio nome è Jeannette. Sono venuta qui per liberare mia nonna Rosy e per batterti con un potere a cui nem-meno tu saprai opporti!».Il drago frustò la coda e tuonò: «E quale?».Io, ricordandomi del suo nome, che tante volte avevo sentito in famiglia, esclamai: «Col tuo nome, Norred».Il drago, colto di sorpresa, sentendosi nominare da una bella bam-bina come me, ebbe un infarto e stramazzò al suolo. Io, contentis-sima di averlo battuto, gli feci uno sguardo sprezzante e dissi: «E vattene all’inferno!».Attraversai così la prima porta. Mentre camminavo, sentivo sempre nelle orecchie una voce mu-sicale e funebre allo stesso tempo che mi diceva: «Jeannette, sono Braiwine, l’Angelo del Male! Sono dietro di te, non mi vedi?».Mi girai di scatto e la vidi! Mia cugina, in carne e ossa, la Signora

degli Inferi! Mi spaventai moltissimo. Braiwine è di origini ucraine, per questo i capelli biondi sono intrecciati in una grossa treccia a mo’ di cerchio intorno alla bella chioma. Indossa sempre un lungo vestito nero di falanel, la seta che nel mio paese è estratta dal vello delle pecore, con maniche di pizzi e merletti. Ha ali nere piu-mate e soprattutto immense da coprire il cielo. Un paio di corna nere, che emanano lava rossa. Ed ha occhi rossi come il fuoco. Poi, in quanto dèa del male, ha sull’occhio sinistro un sigillo, un disegno nero, raffigurante la stella demoniaca. Disse, con la sua voce che sa di morte e desolazione: «Vai a liberare tua nonna?».Io annuii ed ella continuò: «Puoi contare su di me. Prima però vor-rei presentarti agli altri componenti della Lega degli Angeli, di cui io sono la capessa».Ci incamminammo, ad un certo punto ci fermammo e urlò: «Noc-turnia! Lunaria! Loralei! Sylvia! Marinia! Fritillia! Styxia! Glacia! Vic-toriana! Amorea! Micaela! Coelestia! Boadiceia! Sacaria! Raphael! Loxia! Ventosia! Venite, potenti creature dominatrici dei cieli, vi devo far conoscere mia cugina!».Diciassette figure di Angeli Leggendari si palesarono, obbedienti al richiamo. Alcuni erano privi di ali, altri avevano ali membrano-se, altri ancora piumate, altri avevano ali simili a quelle di insetti giganteschi. Erano tutti magnanimi e autorevoli. E Braiwine disse: «Miei cari collaboratori, vi presento mia cugina Jeannette, una delle poche discendenti di Rosy e Karl!».Tutti erano intenti a guardare le mie ali da farfallone nere e verdi. Li salutai cordialmente e loro ricambiarono, giulivi. Scambiando-ci sguardi d’intesa, ci sentivamo tutti finalmente pronti a liberare mia nonna.

CLASSIFICATO

DAGLI 11 ANNI

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Trabocchetti mortali

Gabriele Mancini (13 anni)

“Ferocemente accoltellato, è morto in Craven Road”.Questa era la notizia in prima pagina del Guardian e dell’Economist e riportata da tutti i tabloid londinesi in una giornata di novem-bre di fine Ottocento. La brutale notizia arrivò anche all’ufficio dell’agente di Scotland Yard, James Morrison, intelligente investi-gatore, amico fidato del commissario Lewinson. Dei due, l’agente era quello che risolveva i casi, ma era il commissario a prenderse-ne sempre il merito. James era astemio, indossava sempre una giacca blu oltremare, una camicia di seta bianca e portava un vecchio revolver calibro 9.Non fu affatto sorpreso della notizia: era già il nono omicidio in un mese e la polizia brancolava nel buio più totale. Le vittime erano illustri sir e baroni di Londra.Con Lewinson si accingeva ad andare sulla scena del crimine per raccogliere qualche importante indizio che li avrebbe portati alla verità. In Craven Road s’era già stanziata la polizia e gli anatomopatologi stavano controllando la vittima e la scena. «La vittima è sir Hawk di Greenwich, grande signore con un patri-monio di oltre dieci milioni di sterline, accoltellato dieci volte al pet-to più o meno verso mezzanotte» disse il commissario a James. L’investigatore prese la sua lente d’ingrandimento e s’avvicinò al corpo: i tagli erano profondi e laceranti, non molto estesi.«L’arma del delitto potrebbe essere un pugnale molto arruggi-nito dato che i medici hanno trovato dei microscopici frammenti

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di metallo nelle ferite» esclamò James. Lewinson confermò la sua ipotesi, ma ormai era tardi e avrebbe continuato le indagini il giorno seguente, così ritornò al commissariato. James invece restò, era sicuro che qualche indizio fosse sfuggito alla scientifica e continuò a cercare. Vicino al luogo del delitto, sotto un tubo di scarico della fognatura, notò un foglietto accar-tocciato, lo aprì e lesse: “Complimenti poliziotto, hai scoperto il mio biglietto! Già nove ne ho uccisi e se mi vuoi trovare, gli indovinelli devi cercare o una nuova vittima ucciderò. Ti ho pre-parato una caccia al ‘tesoro’ e ti conviene sbrigarti, l’orologio sta ticchettando, il signore sta chiudendo bottega e oh mamma mia quant’è buona questa mela! P.S. Se cerchi di avvisare i tuoi amici sei morto!”.James era scosso, ma non sapeva se il messaggio fosse vero, co-munque non poteva rischiare!Rifletté un momento e pensò: «L’orologio e bottega, deve essere l’orologiaio, ma quale a Londra? Ce ne sono tantissimi! Aspetta! La frase “Mamma mia quant’è buona questa mela”…mmm… Non ha senso! Forse è l’orologiaio vicino al giardinetto dei giovani meli, certo, quello in Piccadilly Circus!».Arrivò, ansimante, correndo nella grande piazza e, vicino al luogo indicato dall’indovinello, trovò un altro messaggio: “Bravo agen-te! Se trovi altri due biglietti di dirò dov’è il mio nascondiglio. Pa-rola di ‘Mr Knife’. Comunque sul luogo del delitto devi ritornare. E se fossi al posto del signore di Greenwich cosa vedresti?”.James aveva capito tutto, doveva ritornare a Craven Road, luo-go del delitto del signore Hawk di Greenwich e mettersi sdraiato come il cadavere, quindi guardare da quella prospettiva.Fece tutto quello richiesto e vide un bigliettino spuntare dalla fe-ritoia di un balcone, salì sul palazzo, lo afferrò e lesse: “Caro, sei molto perspicace, ma non ci sarà nessun terzo biglietto perché ti ho fatto un trabocchetto! Sei morto! Bye bye, se vuoi puoi bere un’ultima cup of tea!”.Proprio in quel momento sentì un coltello minaccioso dietro la schiena e una voce: «Complimenti agente Morrison, potresti esse-

re il mio aiutante, ma io mi diverto uccidendo, un normale hobby vero?!». Mr Knife era un uomo alto e allampanato, indossava una masche-ra di cuoio rosso come il sangue, una giacca elegante, una cravat-ta nera, dei pantaloni da uomo d’affari e impugnava un coltello a doppio taglio, quello che quando entra lacera e quando esce strappa. Insomma uno strano mix di eleganza e orrore. «Beh! – esclamò James – dato che è giunta la mia ora potresti dir-mi tutta la verità».«Mi chiamo Doran Nixon, alias Mr Knife, sono nato ricco e felice e mio padre era uno degli uomini più potenti di Londra, ma tutti i sir e i baroni di Londra, invidiosi e assetati di potere, lo hanno fatto uccidere! Così sono cresciuto nella miseria e nella povertà. Quan-do avevo quattordici anni ho lavorato come garzone presso un venditore d’armi e un giorno, in seguito ad una lite, l’ho accoltel-lato e in quel momento ho capito che l’unica cosa che mi eccitava e che mi rendeva felice era uccidere. Non solo i soldi e il potere danno la felicità. Da lì ho iniziato ad uccidere tutti i nobili londine-si, anche per vendicare mio padre. Una vendetta, lo ammetto, un po’ old fashioned».Il killer sollevò il coltello per colpire James che con una mano lo bloccò, ma si ferì al polso.Stava perdendo molto sangue ma trovò la forza per impugnare il revolver e, con mano ferma, sparò tre colpi diretti al criminale che uccise. James si sentì improvvisamente stanco, indolenzito per l’emorragia e svenne.Qualche giorno dopo si svegliò e si ritrovò fortunatamente in ospedale. C’era anche Lewinson che gli fece un encomio per la brillante risoluzione del caso e gli spiegò che, passando per Cra-ven Road per rivedere la scena del crimine, lo aveva visto svenuto e aveva avvisato un’ambulanza. James era stremato e scosso da quella notte: l’unica cosa di cui aveva bisogno era un meritato ri-poso.

EXTRA CATEGORIA

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Un regno da salvare

Giuseppe Ciancio (anni 8)

Un pomeriggio Filippo, mentre passeggiava nel bosco, vide un villag-gio fatto di casette a forma di funghi dal cappello rosso e dal gam-bo marrone. Stupito si avvicinò ad un omino piccolo e verde, con la barba arancione e un cappello a punta. L’omino raccontò a Filippo la storia di quello strano villaggio: un mostro ne aveva distrutto tutte le case e così gli abitanti si erano rifugiati in grossi funghi secolari. L’omino verde disse al bambino che solo lui poteva salvare il loro regno. L’elfo gli indicò su una cartina la grotta in cui cer-care la spada incantata da consegnare al guardiano del posto, un mostriciattolo mezzo drago e mezzo uomo, che li avrebbe liberati e fatti tornare nel regno da cui erano stati cacciati tem-po prima. La mattina seguente Filippo si avventurò nel bosco alla ricerca della grotta. Dopo ore di ricerche la trovò. Un minotauro la custo-diva e proteggeva dagli intrusi. Il minotauro gli disse che non poteva entrare. Filippo gli spiegò che doveva trovare la spada incantata per salvare il villaggio di funghi. Il grosso minotauro gli avrebbe concesso di entrare solo dopo aver superato una prova. La prova consisteva nel superare la collina malvagia e il lago di coccodrilli. Filippo costruì una spada di pietra e con questa si difese dai nemi-ci che incontrò sulla collina. Arrivato al lago dei coccodrilli comin-ciò a dondolarsi su una liana. Superato il lago e superata la prova, tornò dal minotauro.

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La creatura gli concesse così di entrare. Varcate le porte del re-gno si mise alla ricerca della spada incantata, custodita da un drago malvagio. Con la spada di pietra da lui costruita combatté il drago. E così dopo lunghe ore di combattimento lo sconfisse. Recupe-rata la spada incantata, ritornò al villaggio di funghi; insieme a un esercito di omini verdi si incamminò verso il palazzo del guardiano del regno, un mostriciattolo mezzo drago e mezzo uomo. Gli omini consegnarono il codice d’accesso al bambino. Dopo aver fatto vedere la spada incantata al guardiano del regno, che ne controllò l’autenticità, Filippo combatté contro il mostro che ave-va distrutto il regno. Il ragazzino sconfisse il mostro con facilità; così gli omini ricon-quistarono il loro villaggio. I piccoli esseri ringraziarono Filippo e, come premio per averli aiutati, gli donarono la preziosa spada in-cantata.Ritornato a casa dopo l’incredibile avventura raccontò ai suoi amici l’esperienza vissuta. I compagni però non gli credettero. Il bambino, allora, li invitò il pomeriggio seguente a casa sua per la merenda e nella penombra della sua cameretta gli mostrò la bel-lissima spada incantata. Nel frattempo gli omini, dopo aver riconquistato il loro villaggio, lo ricostruirono e vissero felici e contenti.

EXTRA CATEGORIA

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Il circo

Nicola Elio Binetti (11 anni)

dall’esperienza al testo

Sono andato al circo sabato 31 ottobre con papino, mammina e Vittoria.Arrivati al circo mi sono seduto vicino a mammina.Ho visto le zebre, una giraffa, un ippopotamo, i cavalli, i dromeda-ri, gli struzzi, i cammelli, i lama, due yak e il pappagallo Polly.Ho visto Peppa Pig con cui ho fatto la foto. È stato bello e mi è piaciuto molto.È stato mitico vedere i cagnolini saltare nei cerchi.

Indice

Saluto di Mario Loizzo, Presidente Consiglio Regionale della Puglia 4

Introduzione di Daniela Daloiso, Dirigente Sezione Biblioteca e Comunicazione IstituzionaleConsiglio Regionale della Puglia 6

Prefazione di Elisa Forte, Presidente Città dei Bimbi 8

L’albero senza foglie 10Il bosco salva il mondo 12Racconto del fantabosco 16Venerdì 13 18La dolce voce dei bambini 22Speranza 26L’arcobaleno dell’amicizia 30Maria, Regina del paese delle Butterflies 36Tempochefu alla riscossa 40La vecchia quercia 44Una città con gli occhi dei bambini 48Prova ad essere chi vuoi 50La Compagnia della Rosa d’Oro di Sugarland 54La casa di Elena 60Il libro del buio 64Trabocchetti mortali 68Un regno da salvare 72Il circo 76

Finito di stampare nel mese di marzo 2017presso Ragusa Grafica Moderna, Bari