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Conferenza ESPAnet Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015 Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a confronto Comunicazione sociale e cambiamento Analisi di caso: il Social Day Autore Carla Bertolo Università di Padova

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Conferenza ESPAnet

ITALIA Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015

Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di

sviluppo a confronto

Comunicazione sociale e cambiamento

Analisi di caso: il Social Day

Autore

Carla Bertolo

Università di Padova

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Comunicazione sociale e cambiamento

Analisi di caso: il Social Day

Il caso di studio che presento, il Social Day, descrive e analizza un percorso di comunic-azione

sociale non convenzionale e inter-generazionale, realizzato in primis sul territorio di Bassano del

Grappa1. Si tratta di un’iniziativa pluriennale, orientata a promuovere presso le giovani generazioni

pratiche di cittadinanza attiva, diffondendo nuove rappresentazioni dei problemi economico-sociali,

degli stili di vita e del modus essendi, in una prospettiva glo-cale2.

È ancora diffusa una pratica (e un pensiero) di comunicazione come iniziativa focalizzata su un

risultato immediato confidando (sempre più frequentemente) su effetti spiazzanti o di discutibile

identificazione, nonché su una sua presunta viralità. Nei fatti, i tempi della comunicazione sociale

richiedono di ripristinare una temporalità e una spazialità che poco hanno a che fare con

l’immediatezza o lo spiazzamento, per poter generare quegli esiti specifici di questa prassi

comunicativa:

- una sensibilizzazione che non si esaurisca nella solidarietà pigra3;

- una consapevolezza di sé in rapporto al contesto generale e alle sue problematiche.

Ovviamente, non esiste un modello di comunicazione sociale e le sue modalità di realizzazione

vanno ricercate in ogni singola esperienza.

Il presupposto sotteso in queste mie riflessioni è che la comunicazione sociale abbia come cifra

costitutiva -e dunque distintiva rispetto ad altre tipologie di comunicazione (pubblicità sociale e

pubblicità profit, comunicazione istituzionale, promozione di immagine eccetera)- le finalità, per le

quali lo scopo comunicativo è di apportare nuove rappresentazioni sociali e modus essendi che

interagiscono con gli individui nei mondi della vita quotidiana. Risorse simboliche e cognitive utili

1 Bassano del Grappa è una piccola città del Veneto di circa 43mila abitanti, situata nell’area pedemontana

della provincia di Vicenza. La sua area urbana è estesa, e comprende diversi piccoli comuni interessando

circa 70.000 abitanti, per arrivare a una popolazione complessiva che gravita attorno a essa di circa 150.000

abitanti. È una realtà particolarmente ricca di associazioni; considerando solo il territorio comunale, sono

circa 300 quelle registrate nell’albo comunale (dato dell’anno 2014), più una miriade di associazioni e gruppi

informali, di giovani e non. 2 L’analisi che presento in questo intervento riprende in parte, rielaborandole, considerazioni e dati pubblicati

nel volume Bertolo C., 2014). 3 Il concetto di solidarietà pigra va ricordato. Numerosi messaggi di comunicazione sociale sollecitano

pratiche oblative che ci consentono di sedare un qualche senso di colpa offrendo un obolo, per l’appunto,

quale i due euro inviati via sms e simili. Giovanna Gadotti (2008, pp. 61-78) la qualifica, seguendo Luc

Boltanski, come altruismo di maniera, per la sua capacità di consentire di dare una risposta ma senza

impegnarsi, e senza veramente coinvolgersi nel problema-oggetto e attivarsi verso le cause che lo hanno

prodotto e consolidano (esempio la povertà in certi Paesi e lo sfruttamento e depauperazione delle risorse da

parte di multinazionali). Boltanski (2000) ha illustrato le conseguenze connesse alla sollecitazione di risposte

solidali a distanza, cioè via media, che sollecitano emozioni senza azione; l’altruismo di maniera finisce con

l’avvicinarsi o a forme di rimozione dei problemi prospettati, e incrinerebbe in questo modo la capacità della

comunicazione sociale di produrre azioni efficaci e relazioni significative.

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per orientare e per accompagnare cambiamenti sostanziali nelle percezioni e nei vissuti che

qualificano le relazioni sé-alter-mondo. E quest’ultimo ‘contiene’ esseri umani e non umani, la

natura e le sue risorse, l’ambiente…

L’orizzonte di riferimento della comunicazione sociale è, come tutti i manuali sottolineano,

l’interesse generale e il bene comune; il campo di azione riguarda gli individui e la sfera dell’etica, e

presuppone il dialogare con valori, norme e regole individualmente interpretate e agite: nell’esito di

tale dialogo sta la sua generatività.

Non è una comunicazione “neutra” e valida per tutti i contesti; i contenuti di ciò che definiamo

come ‘interesse generale’ sono un costrutto culturale che nel mondo occidentale contemporaneo è

sostanziabile con concetti quali ‘diritti umani’, diritti universali’, ‘sostenibilità’ nelle diverse sfere

che riguardano la vita individuale e collettiva, ‘giustizia sociale’, ‘rispetto’ per (tutte) le diversità, e

così via.

In questo intervento mi propongo di mettere a fuoco le condizioni e le modalità che, a mio parere,

consentono di rispondere a due questioni che considero e propongo anche come criteri di analisi per

progetti di comunicazione sociale:

1. a quali condizioni la comunicazione sociale può esplicare una capacità generativa?;

2. qual è l’esito di questo suo potenziale, che cosa genera?.

Di seguito presenterò una breve descrizione dell’iniziativa e delle sue origini. Nel paragrafo

successivo metterò a fuoco quelli che emergono come caratteri distintivi del percorso comunicativo.

Infine, proporrò una riflessione sull’imprescindibile legame tra comunicazione sociale e

comunicazione organizzativa.

Alcuni cenni di carattere metodologico prima di entrare nel vivo dell’argomento. Si tratta di

un’osservazione sul campo che ho condotto fin dall’inizio dell’esperienza, nel 2007, con la

partecipazione a momenti di riflessività formativa e programmatica. In questi anni ho fornito un

supporto di co-analisi e di co-valutazione4, potendo così osservare le condizioni e le modalità di

sviluppo dell’iniziativa di anno in anno. Inoltre, ho seguito come relatrice due tesi di laurea dedicate

all’argomento, realizzate da laureande del corso (specialistica prima e magistrale poi) di

Comunicazione dell’Università di Padova5, con la realizzazione di un questionario strutturato, con

la conduzione di interviste qualitative post-evento a giovani partecipanti, e con interviste informali a

4 In media due incontri all’anno con i responsabili dei ‘nodi’ delle nuove realtà locali che si collegano al

Social Day, e altri incontri (a seconda delle esigenze) con i responsabili dell’iniziativa e del coordinamento. 5 Si tratta delle tesi di Selene Impagliatelli e di Alice De Santi; in bibliografia i riferimenti dei lavori.

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esponenti di associazioni. I dati ai quali farò riferimento sono ricavati dai materiali prodotti dagli

organizzatori dell’evento, reperibili nel sito dedicato6.

Descrizione dell’iniziativa e sintetica cronistoria

Il Social Day è un progetto gestito e realizzato con giovani, promosso dall’associazione Gruppo

Vulcano7 che agisce sul territorio di Bassano del Grappa Un percorso che si costruisce nel corso

dell’anno scolastico (settembre-aprile) e che ha il suo momento di conclusione (e di rilancio) con la

realizzazione di una giornata finale, per l’appunto l’evento Social Day, che ha una duplice valenza.

Esso rappresenta al contempo:

a. un evento in senso proprio, una performance con un obiettivo puntuale di fund-raising. capace di

produrre una significativa visibilità mediatica;

b. una tappa di sintesi e di rilancio del percorso che ha un’identità processuale.

Gli attori principali della giornata-evento sono i destinatari stessi del processo comunicativo.

Ragazze e ragazzi scelgono di sostituire l’attività scolastica con lo svolgere, individualmente o in

gruppo, un’attività presso qualsiasi realtà (un privato, un’azienda, un negozio, un ente pubblico,

un’associazione…) che si sia resa disponibile a dar loro un’incombenza in cambio di una donazione

in denaro. La raccolta di fondi è destinata a finanziare progetti di cooperazione e sviluppo per lo più

di portata sovra-nazionale.

Allo stesso tempo, il percorso ha un secondo obiettivo, più generale: avvicinare i giovani a un

modus essendi (e vivendi) che attivi il senso e le competenze per una cittadinanza attiva, affinché si

assumano la responsabilità della co-costruzione di una “città(mondo) sostenibile”.

Un’idea presente fin dall’inizio, infatti, è che il Social Day debba sostenere un processo capace di

produrre un mutamento sociale nei contesti della vita quotidiana. Per questo non può essere un

semplice evento, anche se periodico, bensì occasione per un percorso di sperimentazione diretta

dell’agire solidale e cooperativo. Il messaggio ponte è che il volontariato non può ridursi al “mettere

mano” al portafoglio; cambiamo e si cambia se ci si impegna con lo “sporcarsi le mani”8.

6 Per avere un quadro completo e dettagliato dell’evoluzione del percorso del Social Day negli anni, si veda il

sito Internet http://www.socialday.org. In questo intervento mi limiterò a citare dati sintetici a supporto

dell’argomentazione. 7 L’associazione Gruppo Vulcano di Bassano del Grappa è un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale

(ONLUS). Nasce per agevolare il confronto ed il dialogo tra organizzazioni di volontariato, settore pubblico

e privato sociale. L’Associazione sviluppa e sostiene iniziative di coordinamento, cooperazione,

integrazione, proponendo progetti territoriali ed extra territoriale per generare alleanze, dialogo e crescita,

promuovendo i valori di cittadinanza attiva, partecipazione giovanile, pace, giustizia e uguaglianza. 8 Le espressioni in corsivo virgolettate sono slogan e-o concetti correntemente utilizzati dagli organizzatori.

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La storia inizia nel 1961 in Svezia. I giovani delle scuole superiori svedesi, in memoria di Dag

Hammerskjöld, allora Segretario delle Nazioni Unite9, istituirono, nel 1962, EnDagförDag (Un

Giorno per Dag), una giornata-evento finalizzata a raccogliere fondi per sostenere progetti di

cooperazione internazionale a sostegno di coetanei di Paesi svantaggiati. L’iniziativa si caratterizza

da subito per il coinvolgimento pratico, operativo, degli studenti e per l’attenzione posta sui

problemi sociali, e si espande a macchia d’olio negli altri Paesi scandinavi.

Nel 1998 l’iniziativa approda in Germania, nello stato federale Schleswig-Holstein, per iniziativa

dell’organizzazione Schüler Helfen Leben (SHL), con la denominazione Der Soziale Tag. Il

progetto si basa sul coinvolgimento degli studenti delle scuole di ogni livello, e consiste

nell’organizzazione di una giornata dedicata alla raccolta di fondi da destinare ai coetanei

dell’Europa sud-orientale10. Cinzia Sasso, giornalista di ‘la Repubblica’, parla dell’iniziativa in un

articolo pubblicato nell’estate 2006; alcuni ragazzi, volontari dell’associazione Gruppo Vulcano,

lessero l’articolo e decisero di proporre la sperimentazione dell’iniziativa nel loro territorio. Nasce

così il Social Day11. Il progetto tedesco viene rielaborato adattandolo al contesto locale e

adeguandone le modalità e la filosofia di azione allo spirito con cui l’associazione già operava sul

territorio.

Via via l’esperienza di Bassano si allarga ad altri territori, prima nel vicentino e poi in altri comuni

di province venete e non (quelle di Padova, Treviso, Verona, Milano, Piacenza). Significativo è il

confronto dei dati tra la prima e l’ultima edizione del Social Day: alla prima edizione del 12 maggio

2007 parteciparono 150 ragazze-i, tutti di una scuola superiore di Bassano, con la raccolta di 2.407

euro; a quella del 5 aprile 2014 hanno partecipato 8.034 ragazze-i; 59 Istituti scolastici (93 plessi

scolastici) tra elementari, medie e superiori; 148 tra associazioni di volontariato e gruppi informali;

hanno offerto “lavoro” 1.018 tra ditte e aziende, e più di 500 tra enti, famiglie e associazioni. La

somma raccolta per i progetti da finanziare è di 62.935 euro. Dal 2007, numerosi progetti trovano

realizzazione in diversi Paesi del mondo: Nicaragua, Colombia, Guatemala, Ecuador, Bolivia,

Brasile Perù, Senegal, Sudan, Tanzania, Palestina, India, Romania e anche in Italia (con progetti

dell’associazione Libera Cooperativa Terre Ioniche).

9 Dag Hammerskjöld è noto soprattutto per il suo impegno di mediazione in alcune situazioni di crisi

internazionali negli anni 1950-60, attività per la quale gli fu attribuito, alla memoria, il premio Nobel per la

pace. E morto per cause mai accertate in un incidente aereo in Zambia. 10 È un’associazione nata a Bad Kreuznach per iniziativa di alcuni studenti, con lo scopo di raccogliere ed

inviare aiuti umanitari ai coetanei dei Balcani, colpiti in quel periodo dalla guerra civile (1991-1995).

Attualmente, la giornata viene organizzata in molti Ländern (regioni) arrivando a coinvolgere circa 100.000

ragazze-i delle scuole di ogni livello, all’anno. Dall’inizio dell’iniziativa sono stati raccolti (e finanziati

progetti) per 20milioni di Euro. 11 Traduzione letterale del Soziale Tag.

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Nel 2006 l’iniziativa viene organizzata anche a Bolzano (e solo qualche tempo dopo le due realtà si

conosceranno reciprocamente, grazie a un meeting europeo); nel frattempo si diffonde in altri Paesi,

tra cui il Belgio, e dal 2010 in Serbia.

Da alcuni anni è stata creata una rete tra i Social Day europei, SAME (Solidarity Action Day

Movement in Europe) animata e organizzata dalle-i giovani partecipanti, con la finalità di dare voce

alle-ai giovani affinché possano influenzare l’opinione pubblica e i processi decisionali politici

(advocacy). Ci sono modalità differenti tra le singole iniziative regionali, ma la rete avverte la

necessità di rendere esplicita la cornice di senso del percorso per poterla condividere e confrontare,

e per assicurarne la coerenza dei significati nell’ampliarsi a future adesioni) e alcuni princìpi

metodologici fondanti12. Sfondo comune è di agire nelle cornice dei diritti umani; di stimolare i

giovani a cooperare per un mondo sostenibile e giusto; di capacitare ragazze-i con differenti

background a imparare l’una dall’altra per rafforzare il loro senso di responsabilità sociale,

ecologica, e economica e le loro competenze, in modo da diventare cittadini attivi nelle loro società.

Condizioni e modalità del percorso comunicativo

Come scritto precedentemente, se l’obiettivo operativo è la raccolta fondi, l’obiettivo strategico è

quello di attivare percorsi, ripetibili nel tempo, adeguati per la sperimentazione del significato

dell’espressione cittadinanza attiva, al fine di generare l’emersione di una motivazione per la quale

il passaggio all’azione non sarà un attivarsi buonista e puntuale, ma potrà diventare un modo di

vivere, di sentirsi e di agire nella vita sociale.

Un percorso di senso che possiamo considerare un processo di comunicazione sociale, che agisce

nel medio-lungo periodo, con tipologie di azioni di differenti livelli di complessità organizzativa e

di tempistica.

Il valore aggiunto sta nelle dinamiche relazionali-comunicative attivate, che contengono la chiave

della generatività: il caso Social Day rende esplicite la natura e le potenzialità del legame tra

comunicazione generativa e comunicazione funzionale, tra la sua dimensione simbolica e quella

operativa.

12 Per questi motivi i giovani della rete hanno compiuto un rimarchevole lavoro per la messa a punto di linee-

guida (e, sottolineano, non un’imposizione di regole); uno strumento per sostenere il miglioramento

dell’operato dell’organizzazione, un aiuto per stimolare la riflessione sui punti di forza e sugli elementi che

possono essere migliorati. I princìpi comuni sono organizzati in venti punti condivisi e da condividere che

contengono orientamenti culturali (diritti umani, indipendenza da partiti politici e organizzazioni religiose,

rispetto della sostenibilità sociale e economica dei progetti…) e organizzativi (spetta ai giovani la guida del

processo e le scelte relative ai progetti e alle iniziative comprese quelle riguardanti le campagne di

comunicazione, trasparenza nell’uso delle risorse e nei progetti che devono divenire auto-sufficienti, scambio

costante delle informazioni e delle conoscenze….). Cfr. il documento SAME-Quality Guidelines,

consultabile sul sito: http://www.progettozatterablu.it/wp-content/uploads/2014/07/same-quality-guidelines-

pzb.pdf.

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È una tipologia di comunicazione che integra comunicazione sociale e comunicazione

organizzativa, e opera su quattro livelli.

i. Informazione: fare conoscere e incontrare sia le risorse istituzionali che quelle risorse del territorio

che agiscono nella prospettiva di una responsabilità solidale: associazioni, cooperative sociali,

gruppi…

ii. Sensibilizzazione: *accompagnare nell’acquisizione di consapevolezza della natura dei problemi

sociali ed economici, e delle loro origini-cause, che esistono tanto a livello locale che globale, e di

come essi influiscano sulle condizioni di vita delle persone e sulle loro prospettive di futuro; *fare

riflettere sul legame tra comportamenti quotidiani (consumi e stili di vita, priorità esistenziali e

atteggiamenti verso gli altri, eccetera), sostenibilità socio-ambientale, e così via…

iii. Formazione: si tratta di superare la dimensione informativa per fare entrare le-i giovani nei

territori del volontariato, sperimentando l’incontro con il disagio (e con coloro che vi stanno dentro

quotidianamente, come operatori e come utenti) e con la soggettiva potenzialità e possibilità di

azione... Una formazione al volontariato responsabile13, orientata alla cultura della partecipazione

solidale14, che consente ai ragazzi che partecipano agli incontri (che si svolgono nelle scuole, in

accordo e collaborazione con presidi e insegnanti) di mettersi in gioco, di porsi delle domande e di

essere affiancati da persone con le quali rielaborare, insieme, domande e problemi…

iv. Attivazione (enactement)15: l’esito del percorso formativo è duplice; da un lato un apprendimento

che porta a conoscere e osservare con nuovi strumenti la realtà nella quale le-i giovani vivono;

dall’altro lato la possibilità di scegliere, con consapevolezza e discernimento, se proseguire e

partecipare alla fase successiva, quella dell’organizzazione e della realizzazione dell’evento Social

Day. Per coloro che scelgono di proseguire si apre una fase di nuovi apprendimenti; l’evento non è

un pacchetto preconfezionato nel quale posizionarsi, ma un percorso di co-progettazione e co-

realizzazione. Un continuum di spazi e di momenti di incontro per scambiarsi idee, prendere

decisioni, organizzarsi per la realizzazione delle varie fasi che porteranno all’evento finale

(organizzare la presentazione del Social Day a compagne-i della propria scuola-classe affinché

ciascuna-o scelga di parteciparvi consapevolmente e possa attivarsi nella ricerca delle incombenze

da svolgere per raccogliere i fondi; conoscere e valutare i progetti di cooperazione da realizzare che

sono stati proposti (e anche questa scelta viene operata con modalità di trasparenza e decisione

13 Vedi il significato “volontariato della responsabilità” suggerito da Ambrosini M., 2004, p. 212). 14 Solidarietà è un termine variamente significato, il che lo rende piuttosto ambiguo. In questo volume lo

utilizzo secondo la descrizione proposta da Italo De Sandre che definisce la solidarietà come costituita da

dimensioni che sono processi generativi della vita quotidiana: il riconoscimento; la reciprocità; la

responsabilità. Come viene agita ciascuna di queste dimensioni e il senso dato loro dagli attori tratteggiano

modelli di solidarietà notevolmente diversi. Vedi De Sandre I., 2008, pp. 51-56. 15 Per i concetti di sensemaking e di enactment, vedi Weick K., 1997.

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condivisa); e soprattutto cogliere il significato della propria partecipazione, sentirsi attori

protagonisti dell’esercizio della propria responsabilità.

La nozione di enactment aiuta a evidenziare le caratteristiche del processo comunicativo di tipo

generativo. Abbiamo specificato che siamo in un percorso che si basa sulla costruzione di senso

condiviso, sense-making, per il quale la qualità delle relazioni (che presuppone attenzione, ascolto,

simpatia…) diventa la chiave di volta della comunicazione. Il come del processo acquista valore di

fondamenta per la tenuta e la sostenibilità dello stesso. È nel come che la comunicazione realizza il

suo potenziale generativo, attivando (enacting) gli attori, le interazioni, e l’ambiente attiva e

sostiene un processo in grado di mettere in relazione il senso prodotto con la pratica con il sistema

di relazioni. Non attivando questo valore che la comunicazione relazionale esprime, a mio parere,

non si dà possibilità di influire sostanzialmente per un qualche cambiamento, né a livello

individuale né a livello sociale.

E un’attività di comunicazione che genera significato nella relazionalità nei mondi di vita16;

l’esperienza delle-i giovani diventa il messaggio, contribuendo in questo modo anche alla creazione

di reti e reticoli, che tendono a permanere stabili nel processo e che aumentano di anno in anno

(generazione di capitale sociale ‘sensibile’).

Tale comunicazione sociale-relazionale risulta, per l’appunto, generativa in quanto:

- produce in sé un’esperienza tras-formativa;

- è riproducibile in altri contesti;

- ha garanzia di continuità grazie ai supporti organizzativi e di community che si sono creati nel

tempo e nello spazio: è costruzione intersoggettiva di significati.

Il processo-percorso è reso possibile e riproducibile per mezzo di una costante riflessività

organizzativa e di “lavoro di manutenzione” delle reti, e per il modello partecipativo orizzontale

sostenuto da un robusto coordinamento assunto dal ‘nodo centrale’ a tutte le reti (l’associazione

Gruppo Vulcano che ha ideato e mantiene vivo il precorso).

La finalità del Social Day, ribadisco, è duplice, e include un piano tangibile (raccogliere fondi per

finanziare dei progetti di cooperazione) e un piano altamente simbolico (fare sperimentare alle

giovani generazioni il senso e l’esito dell’impegnarsi come cittadini attivi, agendo sul territorio di

appartenenza ma preoccupandosi di sostenere realtà del mondo più svantaggiate). Come sintetizza

bene lo slogan dell’edizione 2014: agire localmente, pensare globalmente.

16 Jürgen Habermas (1971), con l’espressione “mondo di vita”, definisce l’ambito delle esperienze dirette che

si svolgono nell’esperienza quotidiana, nel quale si sviluppano le dinamiche dei movimenti e della vita

privata.

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Il risultato tangibile è conseguito da una particolare forma di fund-raising che, essendo frutto

dell’impegno in prima persona dei partecipanti, smobilita le persone dalla solidarietà pigra, alla

quale siamo, come noto, sempre più confortevolmente abituati dai numerosi appelli televisivi e via

Internet. Per la giornata-evento le giovani generazioni “chiamano” il territorio a essere attore di una

“Città Sensibile”, attivandolo per iniziative solidali, con modalità ispirate allo “sporcarsi le mani” e

al “fare insieme”.

L’altra anima del Social Day trova espressione nel valore simbolico della giornata dell’evento, che è

esito del percorso di formazione alla cittadinanza attiva. In questo sta, a mio parere, la forza

dell’iniziativa che si manifesta, anno dopo anno, nella capacità di crescere così tanto e in così poco

tempo.

Le dinamiche relazionali-comunicative attivate contengono la chiave dell’esito.

Un aspetto fondamentale è il metodo della co-progettazione, che rimane costante in ogni momento

operativo del processo; la-il giovane trova uno spazio di sperimentazione di sé in un contesto di

fiducia reciproca. È una vera e propria esperienza organizzativa che si trovano a vivere, il progetto è

loro, “ci mettono il pensiero, la voce, il volto, le mani”.

Ciascun-a giovane è protagonista del percorso e comunicatrice-ore: partecipa alla promozione

dell’iniziativa presso coetanei, famiglie, aziende, oratori, persone singole, collaborando alla

realizzazione degli strumenti pubblicitari (video, volantini, foto…), occupandosi della loro

diffusione … e poi, concluso l’evento, parteciperanno anche alla costruzione dei materiali di

memoria-restituzione….

Una comunicazione che utilizza anche materiali consueti (volantini, flyer, video, comunicati

stampa…) e i social network, ma questi prendono significato nell’esperienza del-la giovane che

diventa il messaggio, contribuendo in questo modo anche alla creazione di nuovi reticoli.

Ogni momento, ogni comunicazione, ogni passaggio facente parte del progetto è, quindi, denso

anche di rilevanza simbolica. È un progetto a più volti, intelligenze, sensibilità, non etero-diretto né

imposto (i ragazzi scelgono di loro spontanea volontà di cominciare a farne parte); non esistono

vincoli di appartenenza, né iscrizioni.

Per gli organizzatori non è di importanza preminente quante persone prenderanno parte alla

realizzazione del Social Day17, quello che conta è la qualità del coinvolgimento che si realizza nel

percorso. L’esito è correlato al processo; al significato che viene condiviso da sempre più persone,

giovani e non. La conoscenza dell’iniziativa in altre città e regioni avviene per lo più per reti

informali e con il passaparola; e sembra rispondere a un bisogno di trovare vie nuove, non di

appartenenza ma di partecipazione, non di solidarietà buonista ma di responsabilità personale e

17 Anche se, indubbiamente, l’evolversi della “quantità” anno dopo anno diventa un indice di valutazione del

processo, della sua capacità di contaminazione.

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collettiva, che si basa sul riconoscimento, sulla reciprocità, sul rispetto, sull’accorgersi e dunque

agire.

In questa prospettiva colgo il significato per cui gli organizzatori definiscono il Social Day come un

“percorso di senso”, e le reti che si stanno costruendo attorno ad esso le chiamano “reti di senso”.

Comunicazione e form-azione

Come già accennato, il percorso di formazione si svolge in due tempi: una fase di trasmissione di

conoscenze sui temi dei diritti, della legalità e della pace, e una fase esperienziale, nella quale

avviene l’incontro con le associazioni della rete grazie al quale le-i giovani possono conoscere e

scegliere consapevolmente dove svolgere il tirocinio di alcune giornate.

La soluzione di creare canali di accesso, tramite l’informazione e la conoscenza diretta si è

dimostrata efficace; tuttavia, quello che, a mio parere, ha consentito l’avvicinamento dei giovani è

stato il rispetto della loro autonomia e della loro libertà nella scelta (con chi, dove, quanto e come).

L’assunzione di responsabilità va di pari passo con il sentirsi liberi e autonomi nel farlo.

Le modalità di percorso sperimentato dagli organizzatori del Social Day hanno consentito

l’innestare esperienza e l’innestarsi nell’esperienza dei soggetti. Impegno, passione, condivisione,

da un lato, gratificazione, senso di utilità, appagamento dall’altro sono una miscela potente perché

fanno emergere emozioni importanti per il riconoscimento di sé18.

Comunicazione sociale, dunque, come costruzione intersoggettiva di significati; il che presuppone

individui in relazione che si incontrano in un processo di co-significazione. Una visione che trova

fondamento all’interno di una teoria della comunicazione che le riconosce un ruolo di processo di

creazione di “mondi di realtà” e di stili di vita19, con l’intrinseca potenzialità di essere costruttrice e

ri-produttrice di legame sociale, per la possibilità che le è propria di ricostruire ponti (funzione

bridging) e di creare o di rafforzare reti. Le relazioni intersoggettive diventano la componente

comunicazionale dominante, sia all’interno del percorso che nell’ambiente di riferimento.

La cittadinanza solidale, come forza aggregante, fa leva su nuovi significati ed emozioni; la

reciprocità contiene lo spazio della differenza, in un fluire che si sostanzia nel qui e ora

dell’esperienza, ma alimenta allo stesso tempo la visione di un mondo “sensatamente” accettabile.

Giovani che si sporcano le mani in un processo di condivisione di esperienze tra pari e tra

generazioni; e la generazione di adulti si assume il compito, che le è proprio, di sostenerli ma non di

sostituirsi.

18 Cfr. Fabrini A., Melucci A., 1992, p. 104. 19 Effetto già attribuito alle comunicazioni di massa e estendibile alle nuove forme di comunicazione che si

sono sviluppate soprattutto negli ultimi vent’anni con l’affermarsi di nuovi attori comunicativi (le istituzioni,

il terzo settore in particolare) e delle nuove tecnologie. Cfr. Morin E., 1963; Lalli P., Morcellini M. e Stella

R. (a cura di), 2008.

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Condizioni di generatività: l’intreccio con la comunicazione organizzativa

Ripercorro elementi del percorso del Social Day che reputo importanti sul piano metodologico al

fine di realizzare una comunicazione sociale generativa; aspetti di una metodologia di processo che

sono anche i presupposti per la sua riproducibilità.

Reti e manutenzione

Il primo fondamentale aspetto riguarda la creazione (e il loro sviluppo nel tempo) di reti operanti in

una prospettiva di work in progress. La rete, come noto, necessita di una propria intelligenza, di

significati e interessi comuni, il che presuppone che i nodi20, che la costituiscono, condividano

alcuni princìpi basilari, in particolare sul significato e sulle modalità dell’agire nel territorio21.

Le reti sociali si caratterizzano proprio per la loro capacità di perseguire obiettivi condivisi grazie ai

legami che le sostengono e ai fini comuni della cooperazione. Tuttavia, in quanto consistenti in

relazioni intersoggettive la loro persistenza è legata al lavoro che potremmo definire di

manutenzione (motivazione, condivisione, soddisfazione, metodo) per gestire e risolvere situazioni

di disimmetrie di potere che potrebbero insorgere, o che sono derivate da\per la posizione di un

nodo, per il diverso grado di intensità di coinvolgimento, per l’ampiezza stessa che essa può

raggiungere e quindi per la molteplicità di alterità rappresentate… Un lavoro permanente di ascolto

e di mediazione, di connessione e di riequilibrio sinergico.

Nel caso Social Day, come abbiamo visto, gli attori in rete sono molti, variabili negli anni (qualche

uscita e molte nuove entrate), differenti per natura e per tipologie di azione: attorno a organizzatori

e a ragazze-i vi sono diversi istituti scolastici, dalla scuola primaria alle superiori, associazioni di

volontariato che si occupano di problemi differenti in diversi contesti, enti pubblici, oratori, gruppi

informali, esercizi commerciali e aziende, fino a famiglie e persone singole.

Questi soggetti sono attivi in fasi diverse e con ruoli differenti, in connessione tramite un efficace

coordinamento22 che agisce a seconda della fase del processo e della funzione che devono svolgere.

Alcuni di loro partecipano a tutto il processo, altri sono più coinvolti in specifiche fasi del progetto.

Per esempio, alcune associazioni sono parte attiva fin dall’avvio della progettazione del percorso,

negli incontri formativi e con i tirocini, e con un ruolo in prima linea nella gestione del progetto e

nella realizzazione della giornata dell’evento; mentre altre associazioni possono partecipare solo

20 In questo caso mi riferisco ai nodi della rete costituiti da individui (e possono essere persone singole,

gruppi, soggetti formali, eccetera); una rete è però costituita anche di altri tipi di nodi significativi, quali i

luoghi e le attività, connessi tra loro dai percorsi tracciati per la realizzazione delle azioni di comune finalità. 21 La bibliografia sulle reti sociali è piuttosto ampia, pertanto mi limito a indicare per approfondire il volume

di Salvini A. (a cura di), 2007. 22 Le modalità con le quali viene realizzato il coordinamento è un aspetto cruciale; questo aspetto lo tratterò

successivamente.

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alla fase di formazione al volontariato e come sede di tirocinio. È evidente che il livello di impegno

e di condivisione avrà una diversa gradualità, ma il lavoro di scambio, di informazione e di

condivisione delle scelte operate passo dopo passo, dei problemi da affrontare e così via, viene

realizzato dall’organizzazione “capofila” verso tutte le componenti in rete nella prospettiva di un

percorso partecipato.

Una prima avvertenza metodologica riguarda dunque il lavoro per la rete, affinché possa

effettivamente essere lavoro in rete; si tratta di sedimentare intese e collaborazioni che siano

durature nel tempo e adeguate per generare gli esiti perseguiti. Il che comporta innanzitutto il

costruire e mantenere legami di fiducia. Legami che possono basarsi su precedenti interventi (nel

nostro caso, preesistenti collaborazioni tra scuola e associazioni promotrici hanno fondato la loro

credibilità e la buona reputazione) o che vanno costruiti nel coinvolgere nuovi soggetti.

Ma, anche se gli attori hanno già sperimentato una buona cooperazione, la fiducia non è una

condizione data una volta per tutte; essa chiede di essere confermata nel corso delle successive

collaborazioni e nelle varie fasi di realizzazione del progetto, sorretta da una valutazione positiva

nei fatti e nelle relazioni.

Ritengo utile soffermarmi brevemente sul significato e sulle condizioni della fiducia, poiché lo

considero un aspetto su cui lavorare nella progettazione e realizzazione di azioni di comunicazione

sociale.

Il fondamento della fiducia

Ricorrendo alla letteratura sul capitale sociale, possiamo definirla, con Antonio Mutti, come

“un’aspettativa di esperienze con valenza positiva per l’attore, maturata sotto condizioni di

incertezza, ma in presenza di un carico cognitivo e/o emotivo tale da permettere di superare la

soglia della mera speranza”23. La presenza di relazioni fiduciarie (forti e deboli, variamente estese e

interconnesse) favorisce tra i partecipanti la capacità di riconoscersi e di intendersi, di scambiarsi

informazioni, di aiutarsi reciprocamente e di cooperare a fini comuni.

Si tratta, dunque, di relazioni di reciprocità, informali o formali, regolate da norme che definiscono

la forma, i contenuti e i confini degli scambi, e che sono rese efficaci da sanzioni di tipo interno o

esterno agli attori24.

Per alimentare la relazione fiduciaria è dunque indispensabile una fattiva prassi cooperativa; nei

processi di intervento che agiscono sugli orientamenti culturali, come nel caso qui in discussione,

l’esistenza di questo tipo di reti (sia informali che istituite) assicura quella cooperazione sociale

volontaria che si presenta come una via per superare autoreferenzialità o errate valutazioni della

23 Vedi Mutti A., 1998, p. 42. 24 Mutti A., 1998, p. 13.

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competizione escludente; queste reti, finalizzate a un comune obiettivo di formazione delle giovani

generazioni all’impegno civico, possono realmente aumentare la capacità di incidere sul tessuto

sociale facilitando il coordinamento delle azioni individuali e\o di sottoinsiemi organizzativi25.

Se condividiamo che la fiducia sia l’elemento basilare che supporta la cooperazione, è interessante

chiedersi, con Mutti, come essa venga effettivamente generata26, e attraverso quali processi tale

fiducia, generata in ambiti ristretti, possa allargarsi verso ambiti più ampi (dal contesto di

prossimità, a quello associativo e al contesto territoriale in senso ampio). La risposta sta nella sua

potenzialità di creare legami che si sostanziano in dinamiche di cooperazione e di solidarietà.

Come ha scritto Anthony Giddens, le relazioni sono, per l’appunto, legami basati sulla fiducia nei

quali essa non viene concessa a priori ma costituisce qualcosa su cui si lavora e in cui questo lavoro

equivale a un processo di reciproca apertura: “La fiducia a livello personale diventa progetto al

quale devono lavorare le parti interessate.”27.

Nel suo saggio sulla fiducia, Luis Roniger analizza le questioni che riguardano le possibilità di

crollo e di focalizzazione della fiducia nel corso della sua estensione dalla sfera interpersonale a

quella istituzionale28. Egli evidenzia come i fondamenti della fiducia sono interattivi in due sensi:

implicano un riferimento all’integrità dell’altro, cioè riguardano il riconoscimento, la convalida e il

riferirsi reciproco delle identità; e riguardano, allo stesso tempo, la credibilità come espressione di

solidarietà e di impegno a non ingannare o tradire. La fiducia reciproca è la condizione affinché sia

possibile il dialogo e si contenga l’incertezza entro limiti accettabili.

La fiducia, precisa Mutti, “costituisce perciò una qualità essenziale dell’interazione sociale, un

tessuto connettivo indispensabile alla riproduzione della società. […] (essa) rimanda ad aspettative

di comportamento cooperativo e “non opportunistico”, nell’ampia gamma che va dal non abuso di

posizioni di potere, al mantenimento degli impegni, alla reciprocità non sbilanciata (equità)”29.

La fiducia ha dunque una natura precaria, e Niklas Luhmann stabilisce una relazione tra questa

natura e le modalità con la quale essa viene proiettata nell’ambiente: “Gli individui e le istituzioni

sociali nelle quali una persona pone la propria fiducia diventano complessi di simboli che risultano

particolarmente sensibili ai fattori di disturbo, e che registrano per così dire ogni evento sotto forma

di un problema di fiducia. […] I singoli eventi assumono un significato decisivo per il tutto […] una

semplice menzogna può far crollare completamente la fiducia, e persino gli errori più irrilevanti e le

25 Putnam R.D., 1993, p. 169. 26 Mutti A., 1998, p.37. 27 Giddens A., 1994, pp. 122-123. 28 Cfr. Roniger L, 1992, pp. 20-28. 29 Mutti A., 1987, pp. 227-228; vedi anche Mutti A. (2004); Ghisleni M., 2002.

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rappresentazioni erronee possono, in virtù del loro valore simbolico e spesso con inesorabile forza,

smascherare il ‘vero carattere’ di qualcuno o di qualcosa.”30.

Trasparenza, partecipazione, rispetto, reciprocità, scambio facilitato: sono alcune tra le parole

chiave del processo di rifondazione del rapporto di fiducia tra istituzioni, associazioni e giovani

cittadini. Processo che appare essere necessario per attivare quei cambiamenti relazionali in grado di

rigenerare coinvolgimento, consenso e partecipazione. Questi termini costituiscono punti di

riferimento per l’azione della comunicazione sociale; elementi di una cornice che dà significato alle

pratiche e alle azioni di questa particolare attività per la quale, e nella quale, le questioni della

fiducia e della responsabilità trovano nuove definizioni e verifiche.

La generatività del processo è una potenzialità che dipende, innanzitutto, dalla natura e dalla qualità

delle interazioni, nella “certezza” di poter contare su una solidarietà organizzativa inclusiva.

Ritroviamo nella dinamica sociale le medesime componenti che William Ouchi individua come

fattori che favoriscono il fallimento di un’organizzazione. L’autore utilizza l’espressione disabilità

emotiva per descrivere l’effetto prodotto sulle persone da relazioni non gratificanti, non

responsabilizzanti, non incoraggianti31. Il fallimento interno non farà altro che trasferirsi nella

società attraverso la disabilità emotiva degli individui, logorati nella loro salute psicologica, e

incapaci di attivare processi di comunicazione e di fiducia reciproca.

Condivisione, cooperazione, collaborazione prendono corpo attraverso emozioni, affetti; fiducia,

apprendimento, comunicazione: le parole chiave per la trasformazione.

La fiducia interpersonale si pone, dunque, come generatrice di adesione e di condivisione, di

produttività, di motivazione, di energia sociale.

Coordinamento e apprendimento

Se la comunicazione sociale per la cittadinanza (cioè per orientamenti e pratiche di impegno civico

come forma ed espressione di respons-ability) affronta e risponde alla necessità di connettere, in

una cornice di senso, i singoli individui con le diverse componenti e dimensioni della vita sociale

nello spazio pubblico, i processi che attiva e i significati veicolati, cioè l’azione comunicativa in sé,

hanno valore di ponte ermeneutico tra mondi di vita.

E’ nel mondo di vita, scrive Crespi, che si articolano gli scambi reciproci tra soggetti sociali e qui

può rafforzarsi il senso di appartenenza e il consolidamento delle identità, con lo sviluppo di forme

di razionalità di tipo comunicativo orientate alla cooperazione e alla solidarietà. Qui si gioca la

30 Luhmann N., 2002, p. 42. 31 Cfr. Ouchi W.G., 1988, pp. 243-244.

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possibilità di contrastare le chiusure delle appartenenze identitarie e l’indifferenza alle condizioni di

vita degli altri32.

Il passaggio, che va sottolineato ancora una volta, è quello che transita dalla comunicazione come

mera attività produttrice di messaggi, per quanto articolati possano essere, a una comunicazione

come insiemi di relazioni fra soggetti che convergono per collaborare in un medesimo processo; e,

poiché essa opera in una logica di rete, sul piano metodologico l’attenzione ai ruoli di

coordinamento diventa basilare.

La forma organizzativa di rete scelta dai promotori del Social Day si basa su una forma di

coordinamento che salvaguardia un decentramento rispettoso dell’autonomia e delle specificità

degli attori nei diversi contesti territoriali, ma si fa garante per mantenere coesione e condivisione di

significati. Nel percorso generativo dell’evento, la funzione di coordinamento mantiene viva la

costruzione del sensemaking, il significato condiviso dell’esperienza.

Alcune giornate di incontro all’anno (corrispondenti alle fasi cruciali per l’organizzazione del

percorso) sono dedicate al lavoro di condivisione sui temi di fondo. Più recentemente,

l’allargamento delle reti - che ha richiesto una maggiore strutturazione per l’impossibilità di

mantenere frequenti relazioni informali (che tuttavia sono assicurate dalle facilitazioni date con

l’utilizzo delle nuove tecnologie) - ha reso necessario attivare degli incontri con valenza più

formativa, per riflettere sulle modalità di azione e sui significati fattivamente veicolati

nell’operatività da ciascun attore, al fine di mantenere il comune orientamento sui princìpi di

fondo.

I promotori esercitano a tutto campo una leadership che possiamo definire come partecipata,

poiché si basa sull’autorevolezza dell’ascolto, sulla competenza nel gestire differenti punti di vista

mantenendo condivisa la barra della direzione. Grazie a questo stile, si aprono spazi di creatività,

di responsabilità decentrata, di grande coinvolgimento e passione.

Le reti di senso si configurano in questo modo come reti “socialmente capaci” 33, che sono

impegnate cioè a produrre benessere e socialità per una più vasta comunità, che contribuiscono a

sviluppare contesti amichevoli e responsabili, e che assicurano un “ritorno d’immagine e di

reputazione” adeguato a tutti i partecipanti e attori che ruotano attorno alla medesima rete.

Coordinamento e cooperazione, indispensabili per l’operatività, sono imperniati in una visione

centrata, prima di tutto, sulla valorizzazione delle persone. La comunicazione supporta la

strutturazione di relazioni significative tra attori e contesti, e si pone come fattore istitutivo

32 Cfr. Crespi, 2004, pp. 12-21. 33. Federico Butera utilizza questa espressione a proposito della generatività delle imprese sociali. Cfr. Butera

F., 1999, p. 275.

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dell’organizzazione stessa. I processi di integrazione e di gestione si realizzano in strutturati scambi

intersoggettivi, nei quali si creano il sapere e i frame cognitivi comuni.

La generatività dei percorsi di comunicazione sociale è pertanto strettamente correlata all’attenzione

per la comunicazione organizzativa34 che interagisce strettamente con la formazione, che attiva

ascolto, sostegno, accompagnamento, e libera spazi per autonomia e creatività. L’intelligenza di

tutti gli attori si riversa, in questa maniera, come intelligenza della rete e ne alimenta l’incisività

generativa.

In questo modo l’azione comunicativa alimenta circolarità, conoscenza, comprensione: sostiene

processi di apprendimento collettivo. Una comunicazione che necessita di viaggiare con un tempo-

spazio differente da quello rapido dell’evento-spot, per darsi il tempo di costruire spazi discorsivi,

nei quali siano possibili la conoscenza reciproca, l’approfondimento, la riflessione, e la

rielaborazione dei significati.

È compito del coordinamento diffondere, accompagnare, stimolare, raccontare questi processi di

conoscenza-azione, così come favorire lo sviluppo delle capacità comunicazionali. Ed è suo

compito individuare percorsi e strumenti utili per alimentare quella cultura della collaborazione e

della riflessione che serve per sviluppare una rete intelligente, che riconosce e coltiva l’intelligenza

di tutti gli attori.

La riflessività nell’esperienza comune consente di situarsi nell’ambiente avendo esplicitato e dato

consistenza ai criteri di azione e scelta35. Una prospettiva di conoscenza-azione che crea continuità e

memoria.

Ho evidenziato a più riprese che la natura del percorso del Social Day è di tipo partecipativo;

riprendo questo aspetto per sottolineare che non si tratta semplicemente di creare un formale setting

democratico, dove ciascuno concorre alla formazione delle decisioni. La finalità del percorso di

promuovere la cittadinanza attiva delle-dei giovani è una meta che si persegue con la confluenza di

almeno due sentieri.

Uno, di cui abbiamo già scritto, è quello durante il quale vengono create le condizioni e messe a

disposizione dei giovani le competenze affinché possano sperimentarsi da protagonisti

nell’esperienza, in tutte le sue fasi e implicazioni di senso.

34 Con comunicazione organizzativa si intende l’insieme dei processi strategici e operativi, di creazione, di

scambio e di condivisione di messaggi informativi e valoriali all’interno delle diverse reti di relazioni che

costituiscono l’essenza dell’organizzazione e della sua collocazione nell’ambiente. La comunicazione

organizzativa coinvolge i membri interni, i collaboratori interno-esterni e tutti i soggetti esterni in qualche

modo interessati o coinvolti nella vita dell’organizzazione compresi i suoi clienti effettivi o potenziali.

Costituisce parte integrante dei processi produttivi e decisionali […] viene usata per definire e condividere la

missione, la cultura, i valori d’impresa; viene impiegata inoltre per sviluppare la qualità dei prodotti e dei

servizi; favorisce infine la visibilità all’interno e all’esterno di tutta l’organizzazione, delle sue attività, delle

sue politiche e dei cambiamenti in corso”. Vedi, Invernizzi E., 2000, pp. 195-197. 35 Vedi Jedlowski P., 1994.

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Un secondo sentiero intrinseco all’ideazione stessa del Social Day, traccia il percorso che deve

rendere fattivamente i giovani (destinatari della comunicazione) destin-attori.36. Qui mi interessa

mettere in luce particolarmente questo sperimentarsi nel metodo di trasmissione di conoscenze e di

competenze tra ragazze-i, secondo l’orientamento della peer-education che apprendono e mettono

in atto, imparando e praticando il significato ampio di partecipazione: prendere parte al processo;

essere parte dell’organizzazione; sentirsi parte essendo protagonisti del percorso. Esperienza che i

ragazzi testimoniano essere per loro molto gratificante, per la fiducia che viene loro data, per il

riconoscimento e la scoperta di essere capaci e in grado di offrire e maturare competenze

nell’azione socialmente significativa.

L’impegno nella costruzione del SD diventa situazione significativa per la ricerca e la realizzazione

di un senso per sé nell’agire per e con altri, connettendo la propria soggettività con i campi possibili

dell’azione collettiva. In questo la comunicazione sociale può dispiegare il proprio potenziale di

generatività, e definirsi sociale perché ad essere intrinsecamente sociale è il processo che la regge,

che la anima e che la orienta.

La comunicazione sociale generativa è, per quanto ho cercato di documentare, quel processo che sa

porsi come medium relazionale per la definizione di testi, contesti che possano e sappiano favorire,

attivando relazioni orientate alla condivisione di senso e di significati, la co-costruzione di una

visione solidale e responsabile dell’esistenza. Una comunicazione che genera conoscenza con

l’esperienza, e che dedica attenzione a prassi di restituzione per la rielaborazione.

Ciascun anno vengono realizzati materiali con una funzione di documentazione e di memoria,

trasmissione e promozione per l’anno successivo (video, foto, testimonianze, disegni, il resoconto

sui progetti finanziati…); tutto a disposizione nel sito Internet, che mantiene le fila tra un anno e

l’altro, con un uso intensivo dei social network.

Viene dato spazio al raccontare l’esperienza. Come dopo un viaggio, scrive Jedlowski: “È sempre

attraverso il racconto che i viaggiatori ricostruiscono per loro stessi il senso di quanto vissuto e

selezionano gli elementi dell’esperienza che riconoscono essere salienti al fine di poter venire

impiegati in quel costante processo di costruzione della propria specificità e della propria

identità”37.

36 In ogni scuola, ragazze-i formano dei gruppi denominati staff, con il compito di gestire alcune fasi del

percorso (rapporti con le scuole, presentazione e motivazione alla partecipazione dei compagni di classe,

ricerca sponsor, pubblicizzazione dell’evento), accompagnati ma non sostituiti dai referenti delle

associazioni. Giovani che hanno partecipato alle edizioni degli anni precedenti diventano protagonisti

insieme ai nuovi-e compagni-e del rilancio della proposta formativa nelle loro scuole. 37 Ricorro alle riflessioni di Jedlowski sul racconto del ritorno dal viaggio, per rendere l’importanza del

racconto di esperienza (Jedlowski P., 2000).

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Nel dopo evento il raccontarsi diventa dunque anche lo strumento attraverso cui i protagonisti

riflettono sull’esperienza appena vissuta, mettono “ordine” e costruiscono le connessioni per

metabolizzarla e lasciare emergere possibili aspettative per il futuro che il percorso può avere

contribuito a fare emergere.

Nell’emergenza e con l’invadenza del fare spesso si tende a trascurare l’importanza di questi spazi

di narrazione, nei quali poter condividere lasciando fluire le emozioni e le interpretazioni; come ha

scritto Melucci, il raccontarsi ed il raccontare è un momento privilegiato per ricostruire o mantenere

un certo grado di continuità, coesione e coerenza nei percorsi di vita38.

Spunti per concludere

Provo a tirare le fila della narrazione di questa esperienza di comunicazione sociale generativa,

sintetizzando alcune delle peculiarità che le hanno consentito di essere tale.

In questo percorso si sono integrate diverse tipologie di comunicazione mettendo in essere una

modalità che si caratterizza per:

- la partecipazione attiva dei destinatari (giovani, ragazzi e bambini), della scuola, delle associazioni

e della comunità territoriale;

- la produzione di una forma di intrattenimento-formativo che offre risorse di consapevolezza, di

conoscenza e che attiva competenze;

- la riproducibilità in diversi territori e per diverse fasce di età (con i necessari adeguamenti)

- il coinvolgimento responsabile di diversi attori del contesto locale;

- la metodologia del lavoro in rete e per la rete, con un considerevole impegno di manutenzione e

sviluppo;

- la prospettiva processuale del progetto; un percorso in grado di generare un mutamento di

orientamenti culturali e di promuovere la cittadinanza attiva.

Affinché la comunicazione sociale sia generativa deve integrare dispositivi simbolici e azioni

concrete, per attivare l’agency39 dei destinatari. La riflessività della persona è, scrive Margaret

Archer, quel missing link che opera la mediazione fra la struttura e l’agire. Si tratta di ripristinare le

condizioni per quella conversazione interiore40 per la quale si ha consapevolezza, interrogazione e

rielaborazione. Azioni che impregnano il modo di essere in relazione del soggetto, che ha

riconosciuto le proprie aspirazioni e aspettative e che nell’interazione, consapevolmente orientata

con altri agenti e con le strutture, può pervenire a generare mutamenti. Il processo avviene seguendo

38 Melucci A., 1998. 39 Cioè, la capacità di agire con libertà intenzionale dotata di senso (all’interno, o in conflitto con, i vincoli

della socializzazione e del contesto di vita). 40 Archer M. S., 2007.

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una concatenazione tra concerns projects practices: i soggetti definiscono interiormente i

propri beni\significati (internal goods) nella loro conversazione interiore; essi sviluppano concreti

corsi di azione come progetti (micro-politics); e creano adeguate pratiche (modus vivendi)41.

L’agency del soggetto, per mezzo della conversazione interiore, è la capacità\volontà di non stare

dentro passivamente a modalità e dinamiche sociali ma di agire per con-formarle.

Tuttavia tale conversazione può essere silenziata o iperalimentata (e manipolata) dal tipo e dalla

qualità degli stimoli che provengono dall’ambiente esterno, dai contesti e dalle condizioni di vita,

dalle comunicazioni che affollano la sfera pubblica (e che possono agire come frame egemoni per

influenzare\orientare gli individui: i meccanismi dell’etero-determinazione…). Perciò è importante

coinvolgere praticamente le-gli adolescenti (come lo sono nel Social Day) in contesti nei quali

possono incontrare alternative risorse simboliche per instaurare (o recuperare) la capacità di

conversare con se stessi.

Il Social Day è comunicazione di sensibilizzazione e comunicazione form-attiva. Il frame è la

cittadinanza attiva; la posta in gioco è mettere le giovani generazioni in condizioni di sperimentare e

di sperimentarsi. Non si tratta dunque di progettare una campagna puntuale, ma di attivare un

processo trasformativo di medio e lungo periodo.

Le premesse di generatività si basano su un modello relazionale e processuale, con un’operatività di

tempi medio-lunghi42.

Realizzare un processo comunicazionale è creare una nuova narrazione avendo espliciti i modelli

mentali43 in campo, che sono le risorse interiorizzate utilizzate dagli individui per decodificare

soggettivamente la situazione, per interagire consapevolmente nell’apportare nuove risorse.

La generatività del processo è rappresentabile con la seguente sequenza: azione riflessività

conoscenza (di sé, della situazione, del sé e di alter in situazione) comunicazione-esperienza

riflessività nuova azione ….

Si tratta di pensare alla Comunicazione sociale come possibilità di attivare contesti di esperienze

che costruiscano il ponte tra individualismo e cittadinanza attiva.

41 Donati P.P., 2007, “Introduzione”, in Archer M. S., pp. 12-16. 42 La durata ovviamente sarà dipendente dal tema trattato, dalla profondità del cambiamento perseguito, e

dalle condizioni-vincoli del contesto. 43 Van Dijk definisce i modelli mentali come rappresentazioni soggettive di specifici episodi, fatti. Soggettive

ma non interamente personali, avendo anche importanti dimensioni sociali e intersoggettive (Van Dijk, 2009,

pp.111-112).

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