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Organizzazione e direzione aziendale a cura di Roberto Cafferata Scritti di Paola Adinolfi, John Bessant, Cristina Boari, Roberto Cafferata, Alfred D. Chandler jr, Marco Frey, Alessandro Grandi, Maurizio Grassi, Dale Lake, Gianni Lorenzoni, Jay W. Lorsch, Paola Paniccia, Keith Pavitt, Giorgio Pellicelli, Joe Tidd, Dave Ulrich ARACNE

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Organizzazionee direzione aziendale

a cura diRoberto Cafferata

Scritti di

Paola Adinolfi, John Bessant, Cristina Boari,Roberto Cafferata, Alfred D. Chandler jr, Marco Frey,

Alessandro Grandi, Maurizio Grassi, Dale Lake,Gianni Lorenzoni, Jay W. Lorsch, Paola Paniccia,

Keith Pavitt, Giorgio Pellicelli, Joe Tidd, Dave Ulrich

ARACNE

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I edizione: aprile 2005

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INDICE

PresentazioneRoberto Cafferata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IX

Parte IOrganizzazione aziendale:

concetti e scuole

Sistemi, strutture, processi e persone

Roberto Cafferata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

La concezione razionalistaclassica dell’organizzazione

Roberto Cafferata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

La concezione cooperativa dell’organizzazioneDai limiti del razionalismoai limiti di razionalità dei decisori aziendali

Roberto Cafferata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

Contingenze organizzative

Jay W. Lorsch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93

Organizzazione che apprende,crea e valorizza la conoscenza

Paola Paniccia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115

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Parte IIStrutturare

le organizzazioni complesse

Tipologie di struttura organizzativa

Giorgio Pellicelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

Il rapporto tra strategia aziendalee struttura organizzativa

Alfred D. Chandler jr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169

Reti

Cristina Boari, Alessandro Grandi, Gianni Lorenzoni . . . . . . . . . . . . . . . . 185

Parte IIILavorare in impresa

Lavoro e direzionedel personale nell’impresa

Marco Frey . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215

Capacità organizzativee gestione delle risorse umaneper il vantaggio competitivo

Dave Ulrich e Dale Lake . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265

Strutture e personein un’organizzazione innovativa

Joe Tidd, John Bessant, Keith Pavitt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291

Indice

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Parte IVDirezione aziendale, leadership

e cambiamento organizzato

Teorie della leadership

Paola Adinolfi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315

Cambiamento organizzativoe teoria della leadership

Maurizio Grassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343

Il cambiamentoe le difficoltà del cambiamento

Roberto Cafferata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 361

Indice VII

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PRESENTAZIONE

Il volume Organizzazione e direzione aziendale rappresenta una evolu-zione del testo “Management e organizzazione aziendale: materiali di stu-dio”, pubblicato da Aracne (Roma, 2000) e curato da chi scrive.

La nuova edizione del 2005 è meglio profilata sui bisogni di didattica di uncorso di organizzazione, piuttosto che su quelli pertinenti ad un corso di mana-gement aziendale. A quest’ultimo scopo sono stati inclusi nel testo contributi diaggiornamento e approfondimento teorico — è il caso del saggio di PaolaPaniccia — e contributi di completamento di trattazioni già incluse nel prece-dente volume, ad esempio in tema di progettazione di strutture organizzative, dileadership e cambiamento, come nel caso dei saggi di Grassi e Cafferata.

Il nuovo volume, che raccoglie riflessioni di autori vari, è stato costruitocoerentemente all’andamento di un nuovo corso di organizzazione e direzio-ne aziendale svolto dal curatore nella Facoltà di Economia dell’Università diRoma “Tor Vergata”. Trattasi di un corso nel quale le aziende di produzionee di servizi sono al centro dell’interesse didattico e, pertanto, la trattazionedegli elementi di teoria e storia della disciplina non sfugge al confronto conl’ambiente aziendale di riferimento.

La parte prima del volume affronta la problematica della varietà dei modidi intendere e interpretare teoricamente il tema dell’organizzazione; unavarietà che è non poco correlata alla diversità delle scuole e al pensiero diteorici e pratici dell’organizzazione.

La seconda parte del volume si occupa delle problematiche di struttura-zione delle imprese, sia con riferimento al design organizzativo , sia con rife-rimento all’influenza che le scelte in tema di strategia possono avere sullascelta dei modelli di struttura. È questo l’insegnamento che ci ha tramandatoAlfred Chandler jr.

La terza parte del volume si confronta con i temi della gestione dellerisorse umane che popolano la struttura aziendale; la problematica del lavoroviene affrontata sia da un punto di vista di general management, sia con rife-rimento a organizzazioni investite dall’innovazione tecnologica e sociale.

IX

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La quarta e ultima parte si addentra nelle problematiche di direzione delpersonale sopra citate, discutendo il concetto di leadership, con esplicitoriferimento al bisogno di promuovere il cambiamento nelle strutture organiz-zative aziendali, soprattutto di grande dimensione.

Anche il cambiamento ha i suoi rischi e le sue difficoltà: è questo lo svol-gimento del tema che conclude il volume, allo scopo di suscitare interrogati-vi e stimoli per altre trattazioni.

Roberto Cafferata

Roma, 10 febbraio 2005

PresentazioneX

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PARTE I

ORGANIZZAZIONE AZIENDALE:CONCETTI E SCUOLE

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SISTEMI, STRUTTURE, PROCESSI E PERSONE*

PREMESSA

1. La teoria dell’organizzazione annovera una molteplicità di contributi, nonpochi dei quali sorgono per contaminazione di approcci scientifici differenti:sociologico, psicologico, economico generale, economico aziendale, infor-matico. Talune ricerche teoriche coltivano le ambiguità presenti — comevedremo — nel concetto di organizzazione.

Siamo di fronte ad un corpo di ipotesi non unitario, verificate da ragiona-menti scientifici, ma messe a confronto con diverso successo con la realtà.Trattasi di una teoria il cui grado di pluralismo è in via di accentuazione,anziché di riduzione (1).

È questa innanzitutto la conseguenza del confronto — non ancora com-posto da sintesi convincenti — tra due concezioni fondamentali, nonconfondibili nell’immensità delle correnti del pensiero.

Da una parte, si situano coloro che associano ad organizzazione l’idea del-l’insieme ordinato ma pulsante di individui e di gruppi di individui (organizza-zione sociale), ove la “persona” è l’elemento di base dell’analisi. Nell’uomo sivede il creatore della sua e di altre organizzazioni — oppure, al contrario, ilpromotore di conflitti e frantumazioni, cioè di disorganizzazione. In ogni caso,la persona è considerata il fattore critico sia dell’equilibrio, sia delle dinamicheorganizzative (concezione soggettivistica o volontaristica delle organizzazioni).

Dall’altra parte, si annoverano coloro che nell’organizzazione individua-no l’elemento focale della “struttura” e studiano preferibilmente le caratteri-stiche formali della totalità e delle parti (organizzazione sistemica) in cui gliindividui esplicano la loro azione, per il conseguimento di un preciso fine.Da siffatto punto di vista emergono come elementi “promotori” di struttura-

1

* Di R. Cafferata, Teoria dell’organizzazione. Un approccio non contingente, F. Angeli,Milano, 1984, Cap. I (con modificazioni apportate dall’A. nel dicembre 1999).

(1) Si leggano le convincenti note di W.G. Astley, A. Van de Ven, “Central Perspectives andDebates in Organization Theory”, Administrative Science Quaterly, n. 2, 1983, pp. 245–273.

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zione sia i vincoli (norme e regole) che tengono unite le persone nel sistema,sia gli obiettivi e i piani che ne orientano l’azione (concezione reificata e de-terministica delle organizzazioni).

Il pluralismo della teoria è, peraltro, anche la conseguenza della “com-plessità” dei fenomeni emergenti di organizzazione ovvero della diversità,dell’intreccio e dell’elevato numero degli elementi che danno vita a organiz-zazioni: le persone e le parti nella struttura, i rapporti interpersonali e i rap-porti tra persone e struttura.

2. Tenuto conto dei fondamentali aspetti del pluralismo della teoria sopradelineati, possiamo fin d’ora proporre una prima sintesi. In ogni organizza-zione che realmente abbiamo s’individuano persone, strutture (cioè elementiformali che ordinano e relazionano le parti), nonché processi innescati siadall’azione verso altre organizzazioni, sia dai rapporti personali e dalle inte-razioni tra uomini e struttura, che si compongono in modo ora prevedibile,ora imprevedibile nell’organizzazione stessa.

Da tutto quanto sopra riferito, è altresì possibile ricavare una prima defini-zione di organizzazione, largamente presente in dottrina: una organizzazione èun insieme sociale strutturato in parti, intenzionalmente ordinato e diretto all’ot-tenimento di un preciso fine, quello del soggetto (persona fisica o giuridica) chene ha il controllo. Trattasi, quindi, non tanto di un informe aggregato, di un’ac-colta di elementi, quanto invece di un sottosistema del più vasto sistema dellasocietà, ove ordine, finalizzazione e consapevole orientamento prevalgono (2).

Si noti che la complessità è ormai assunta, consapevolmente o inconsa-pevolmente, come caratteristica cosustanziale dell’organizzazione, sicché diquest’ultima si parla ordinariamente come di organizzazione complessa (3).

PERCHÉ SORGONO ORGANIZZAZIONI COMPLESSE?

3. Boulding ha efficacemente sintetizzato quali siano le forze che fungono da“vettori” ovvero da forze creative di organizzazione nel sistema della società.

R. Cafferata2

(2) Tale concetto è stato elaborato — a nostro avviso in modo ancora insuperato — dai teo-rici classici dei sistemi sociali (cfr. T. Parsons, Structure and Process in Modern Societies,The Free Press, New York, 1960, p. 17).

(3) Già in questo senso C.J. Barnard, Le funzioni del dirigente. Organizzazione e direzione,Utet, Torino, s.d., pp. 95 ss.

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Egli distingue forze emergenti dal lato della domanda e forze alimentate dallato dell’offerta, che, nell’evoluzione dalle società tradizionali alle societàmoderne, hanno diffuso e tuttora diffondono il fenomeno organizzativo (4).

Domanda. Boulding sottolinea che la domanda di organizzazione sorge e sisviluppa continuamente in vista del soddisfacimento di ineliminabili bisogniumani, obiettivo che è compiutamente realizzabile in “gruppo” e con sforzi“cooperativi” piuttosto che attraverso operazioni attivate da singoli individui.

Un insieme organizzato offre, inoltre, l’opportunità di dare preciso signi-ficato e preciso scopo alle attività svolte dai suoi membri. Esso formalizza ilruolo assolto da ciascun soggetto partecipante e, attraverso la struttura deiruoli, crea status. Boulding sottolinea che, ai fini dell’acquisizione di unostatus, la collocazione in un ruolo è di fondamentale importanza, soprattuttonei sistemi sociali caratterizzati da elevata mobilità e competitività, ove lesingole componenti — compreso il fattore umano — sono oggetto di scam-bio, aspirano a segnalarsi, fanno o usano il mercato.

Altre forze. Si può osservare, tuttavia, che l’esistenza di bisogni insoddi-sfatti e l’aspirazione al ruolo e allo status sono solo alcune delle forze chepremono dal lato della domanda di organizzazione. Stinchcombe prova adelencare una serie di altri “motivi” — in parte convergenti con quelli citatida Boulding — che stimolano la diffusione di organizzazioni complesse neisistemi sociali contemporanei (5):

a) la consapevolezza che occorre mettere assieme più risorse e più sforzi perrealizzare un comune obiettivo di sopravvivenza o di competitività, cioèun obiettivo di medio–lungo termine;

b) l’opportunità di conseguire uno sviluppo, cioè benefici futuri superiori aicosti delle risorse da sacrificare nel presente;

c) la percezione che la “formula” organizzativa ed i benefici dalla stessaestraibili possono sempre essere oggetto di appropriazione da parte diqualcuno, sicché si genera una concorrenza tra individui nel dar luogo aorganizzazioni per soddisfare bisogni;

d) più in generale, la disponibilità di risorse crea di per sé una spinta allastrutturazione delle operazioni necessarie al loro impiego.

Sistemi, strutture, processi e persone 3

(4) K.E. Boulding, The Organizational Revolution, Harper & Bro., New York, 1953, pp. 16 ss.(5) Cfr. A.L. Stinchcombe, “Social Structure and Organizations”, in: J.G. March (ed.),

Handbook of Organizations, Rand Mc Nally & Co., Chicago, 1965, pp. 146 ss.

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Offerta. Boulding nota che le organizzazioni già create possono essere, aloro volta, veicolo di moltiplicazione dei fenomeni organizzativi. In altreparole, dal lato dell’offerta, cioè dal seno stesso dell’organizzazione, possonoautogenerarsi capacità umane e fisiche in condizione di ulteriore impiego, lequali spingono in direzione della diffusione degli strumenti organizzativi.Autogenerazione di organizzazioni: è questo il processo emergente nei sistemisociali decentrati. Trattasi di un processo che è parzialmente autonomo dallosviluppo di una specifica domanda e, talvolta, si diffonde ancora più veloce-mente dei bisogni umani che invocano strutture e processi per soddisfarli.

4. L’intuizione di Boulding è rilevantissima. Grazie ad essa si può conclude-re che le organizzazioni sono strumenti utili — più ancora che isolati sforzipersonali — per risolvere problemi sociali diffusi. Per converso, limiti alladiffusione dei fenomeni organizzativi possono sorgere sia per carenza didomanda, sia per incapacità endogene d’offerta. Spinte e controspinte allacreazione di organizzazioni sono governate da quella che Boulding definisce“vita interna” del sistema sociale e sono amplificate dall’”energia” che ilsistema in azione è in grado di generare (6).

PERCHÉ SORGE LA NOZIONE DI “COMPLESSITÀ”?

5. Tanto per effetto della domanda che proviene dal più vasto sistema socia-le, quanto per autogenerazione, si producono — dunque — fenomeni diorganizzazione con caratteristiche sistemiche (7).

Nella sua General Theory, von Bertalanffy definisce sistemi “i complessicostituiti di elementi in interazione” (8), elementi che “interagiscono tra di loro econ l’ambiente circostante” (9). Un sistema è una “complessità organizzata” (10).

R. Cafferata4

(6) Cfr. K.E. Boulding, op. cit., pp. 25–32.(7) Sulle cause della diffusione di organizzazioni nel tempo, cfr. anche l’opera di S.

Tagliagambe e G. Usai, Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio–economico, Giuffré,Milano, 1999, pp. 73 ss..

(8) L. Von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi, Isedi, Milano, 1977, p. 67.(9) Ibidem, p. 145.(10) Ibidem, p. 46. Nello stesso senso cfr. anche H.A. Simon, “L’approccio alla teoria della dire-

zione”, in: H. Koontz (a cura di), Le nuove teorie manageriali, F. Angeli, Milano, 1976, p. 103.

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Il concetto di complessità è assai ambiguo, tanto quanto il concetto diorganizzazione. Avuto riguardo alla prevalente dottrina, osserviamo innanzi-tutto che complessità significa elevato numero degli elementi in gioco nelfenomeno organizzativo (variabili umane, tecniche, materiali e immateriali);in secondo luogo, essa segnala un numero altrettanto elevato di collegamenti(o interazioni) fra detti elementi, cioè una molteplicità e varietà di relazioniinfraorganizzative (11).

La complessità può autoalimentarsi. Ciò accade quando, all’insorgere diun “problema” (ad es.: una disfunzione oppure una vera e propria crisi), imeccanismi di regolazione danno luogo a processi di ridefinizione che por-tano al cambiamento organizzativo. Nel corso dei processi di cambiamento— e dalla “interrelazione e distillazione degli sforzi di gruppo in una com-posizione formale dove gli stessi assumono un significato e un’unità nuo-ve” (12) — sorge complessità che si aggiunge a complessità: nel processo dicambiamento insorgono nuove relazioni, possono mutare obiettivi e vincolidell’organizzazione, il sistema può complicarsi invece di semplificarsi, finoa necessitare di interventi di integrazione per ricondursi a unità.

6. In termini più tecnicamente («organizzativamente») precisi, la complessitàsi esprime attraverso tre fondamentali aspetti: la differenziazione, l’interazionee l’integrazione delle parti, delle persone, dei processi costituenti il sistema.

Considerata l’azienda di produzione, alla quale continueremo a riferircinel seguito, si nota innanzitutto che la divisione del lavoro comporta la diffe-renziazione dei ruoli e compiti individuali nel sistema aziendale ed il loroordinamento in struttura. La tipologia più generale di strutturazione è lagerarchia, che assume la forma di piramide proiettata su di un piano (13).

La struttura organizzativa in impresa è vivificata sia dalle persone che rico-prono ruoli, sia dai processi che intervengono nell’interazione all’interno delsistema: la complessità di un sistema dipende, quindi, non solo dalla differen-

Sistemi, strutture, processi e persone 5

(11) Cfr. R.E. Miles, Theories of Management, McGraw Hill–Kogakusha, 1975; J. Seiler,Analisi dei sistemi e comportamento organizzativo, Etas Libri, Milano, 1976; J. Child, Organiza-tion, Harper & Row, London, 1984. Ancora cfr. S. Tagliagambe, G. Usai, op. cit., p. 49.

(12) J.N. Warfield, Societal Systems. Planning, Policy and Complexity, Wiley & Sons,Toronto, 1976, p. 194.

(13) Cfr. M. Weber, Economia e società, voll. I/II, Ed. di Comunità, Milano, 1961; J. Hage,“An Axiomatic Theory of Organizations”, Administrative Science Quarterly, n. 3, 1965, pp.289–320; W.M. Evan, Organization Theory, Wiley & Sons, New York, 1976, pp. 5–13.

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ziazione, ma anche dai processi (decisioni, potere, comunicazioni, informazio-ni, contatti) che intervengono tra le più volte citate variabili del sistema.

La complessità di un sistema non si determina, quindi, per sommatoria,ma per effetto sinergico di più fattori (14):

a) la “divisione del lavoro” e l’ordinamento del “lavoro diviso” in una strut-tura;b) le “interazioni” tra parti e partecipanti;c) il “comportamento” degli individui e dei gruppi;d) i “processi” (decisioni, comunicazioni, esercizio del potere, conflitti, con-tatti faccia–a–faccia) entro e tra i livelli della struttura.

7. I tre aspetti della complessità appena sopra delineati — differenziazioni,interazione e integrazione — necessitano, a questo punto, di un approfondi-mento che, pur sembrando “teorico”, assume risvolti assolutamente “pratici”per chi voglia organizzare.

Abbiamo dianzi affermato che, in primis, la complessità è funzione delgrado di differenziazione. Quindi, anche il modello gerarchico varia in com-plessità, secondo il grado della differenziazione dei ruoli individuali e dellefunzioni di lavoro che vi vengono progettate.

La differenziazione assume le seguenti configurazioni (15):a) differenziazione orizzontale, inerente ai diversi ruoli specialistici e profes-

sionali che prevede la divisione del lavoro entro uno stesso livello;b) differenziazione verticale, inerente alla profondità gerarchica dei ruoli e ai

livelli di autorità;

R. Cafferata6

(14) Si veda D.S. Pugh, K.J. Hickson, C.R. Hinings, K.M. MacDonald, C. Turner, T. Lupton,“A Conceptual Scheme for Organizational Analysis”, Administrative Science Quarterly, n. 3,1969, pp. 289–315.

(15) Cfr. J.M. Pfiffner, F.P. Sherwood, Administrative Organization, Prentice–Hall,Englewood Cliffs, 1960; R.H. Hall, Organizations. Structure and Process, Prentice–Hall,Englewood Cliffs, 1972; e ancora J. Child, Organization, Harper & Row, London, 1984.

Sistema: Divisione del lavoro → Differenziazione → Struttura ↔ Persone ↔ Processi → Complessità

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c) dispersione spaziale, sicché — ad esempio in impresa — si distinguono(“differenziano”) la sede centrale dai dipartimenti o dalle divisioni operative,i centri di vendita dai centri di magazzinaggio e dalle altre unità aziendali.Tra persone, tra ruoli, tra unità o sottosistemi organizzativi si stabiliscono

interazioni. Le interazioni danno luogo a scambi di risorse materiali edimmateriali (prodotti, conoscenze, informazioni, idee, sentimenti), che crea-no dinamismi. Le interazioni innervano l’organizzazione, mettendo in motoprocessi che complicano e, talvolta, cambiano anche radicalmente la struttu-ra dell’organizzazione.

DINAMISMO E PROCESSI NEI SISTEMI

8. Esistono almeno cinque ordini di processi attivati dalle interazioniinfra–organizzative:

a) i processi decisionali dei partecipanti all’organizzazione. Ogni individuoprende decisioni, ma la struttura ordina uomini, ruoli e parti, sicché ledecisioni si qualificano per la loro gerarchia: le decisioni possono essere“strategiche” (sono prese ai livelli alti della struttura) o “di routine” (sonoprese ai livelli bassi della struttura);

b) le relazioni tra ruoli o tra parti, cioè tra funzioni: esse riguardano sia leinterazioni tra posizioni d’autorità di diverso livello (relazioni verticali),sia le interazioni tra ruoli e parti entro uno stesso livello (relazioni latera-li). Trattasi, in altre parole, di processi d’autorità formale, connessi all’uf-ficio e ai ruoli formalmente ricoperti;

c) le relazioni interpersonali ovvero le relazioni faccia–a–faccia tra indivi-dui partecipanti all’organizzazione. Trattasi di relazioni la cui natura ècondizionata non solo dal ruolo ricoperto da ciascun individuo nella strut-tura, ma anche dal carattere, dalle motivazioni e dagli interessi di cui lapersona è portatrice (16);

Sistemi, strutture, processi e persone 7

(16) Soprattutto i cultori degli studi delle “relazioni umane” insistono sulla capacità checonserva l’individuo — benché sia soggetto all’influenza della struttura e della tecnologia —di condizionare il contesto in cui opera, sottraendosi alla predeterminazione del suo ruolo e,quindi, alla sua reificazione. (Rinviamo, in proposito, al nostro saggio sull’azienda comesistema cooperativo in questo stesso volume).

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d) le relazioni di potere: trattasi del fenomeno per cui “una volontà mani-festata (comando) del detentore o dei detentori del potere vuole influi-re sull’agire di altre persone (dominati) ed influisce effettivamente”…“come se i dominati avessero, per loro stesso volere, assunto il conte-nuto del comando per massima del loro agire (obbedienza)” (M.Weber);

e) le relazioni di leadership, per cui un gruppo di persone in funzioni di la-voro è condotto verso un preciso obiettivo da un componente che assumele caratteristiche del capo (leader), anche se egli non è formalmente inve-stito di tale ruolo;

f) i processi di informazione e comunicazione, che trattano dati, segnali eimmagini a supporto delle attività funzionali e delle attività direttive.Da livelli diversi di autorità e attraverso molteplici canali, i processi

innervano la struttura organizzativa, ora assumendo caratteristiche di rou-tine, ora esercitando una pressione al cambiamento.

9. Dall’interconnettersi dei processi organizzativi può prendere corpo un’in-sieme di movimenti casuali ed imprevisti (“informali”) che si innestano nellastruttura prevista (“formale”) dell’organizzazione. Occorre essere, in partico-lare, grati a Barnard e agli studiosi delle relazioni umane (Roethlisberger,Dickson, Mayo, fino ad Argyris) per avere descritto l’esistenza di un tessuto“informale” (non voluto) che nasce dall’interazione — specie tra persone — erende ambiguo il tessuto “formale” (voluto) dell’organizzazione. Di fatto, essici hanno insegnato che la nozione di complessità si deve estendere dalla“natura” del sistema alla “gestione” del sistema, per l’intrecciarsi di strutturae processi, di aspetti formali e aspetti informali, di tendenze alla conservazio-ne e tendenze al cambiamento.

FORMALITÀ E INFORMALITÀ DELLE ORGANIZZAZIONI COMPLESSE

Le relazioni interpersonali sono il più importante fattore di generazione diinformalità nelle organizzazioni complesse. I comportamenti umani sono inparte imprevedibili e, anche quando previsti e strutturati, sono sviati da impulsi

R. Cafferata8

Sistema → Differenziazione → Interazioni → Processi → Conservazione o Cambiamento del Sistema

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opportunistici o emotivi. In quanto tali, essi sono parzialmente “irrazionali”, nonsempre orientabili efficientemente verso i fini organizzativi (17).

È possibile che la complessità si governi da sè, sicché si genera sponta-neamente una armonia interpersonale e interfunzionale all’interno dell’orga-nizzazione; altre volte la complessità abbisogna di essere governata e, per-ciò, deve intervenire una “terza parte” — un integratore o meccanismo diintegrazione — per creare armonia, suscitare consenso, indirizzare parti epartecipanti verso il fine comune. È questo il tipico ruolo dei manager e delmanagement in un’organizzazione complessa quale l’impresa, un sistemadifferenziato, formalmente strutturato, in continuo movimento, che sempreabbisogna di coordinamento, controllo e consapevole orientamento.

INDIVIDUI, GRUPPI, ORGANIZZAZIONI

10. Nel sistema sociale possiamo individuare tre livelli di complessità organiz-zativa: l’individuo, il gruppo, il sistema nelle sue strutture e nei suoi processi.

Ogni individuo è portatore di un insieme di valori. Qualora ci si rivolga alladimensione–uomo, anche astraendola dal sistema in cui essa è inserita, si indi-vidua — così scrive Barnard — sempre e in ogni caso una “persona singola,

Sistemi, strutture, processi e persone 9

(17) Rinviamo alla memorabile opera di James March e Herbert Simon, Organizations,Wiley & Sons, New York, 1958.

complessità

STRUTTURA FORMALE

PROCESSIINFORMALE

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particolare, unica, complessa” (18). Come dianzi affermato, l’uomo e le relazio-ni umane sono il fattore fondamentale di dinamismo dei gruppi e dei sistemi.

Il gruppo ha una identità separata da quella dei singoli che al medesimodanno luogo e da quella dell’organizzazione in cui esso è eventualmenteinserito. L’identità e la “personalità” del gruppo sono definite sia dal numerodei membri partecipanti, sia dalle interazioni interne al gruppo stesso.

Il sistema è una organizzazione formata da differenziati individui o grup-pi di individui, nonché da differenziate parti e funzioni da questi assolte, cheinteragiscono tra di loro e abbisognano sia d’integrazione e strutturazione,sia di comune finalizzazione.

Abbiamo visto come ogni organizzazione sistemica si costituisca in vistadel soddisfacimento di bisogni presenti nella società. Peraltro, nella loro evo-luzione, le organizzazioni possono diventare prima o poi veicolo di interessiautonomi e questi possono assurgere a valori di rilevanza sociale. Le organiz-zazioni possono, quindi, assumere una strumentalità orientata alla difesa e/oallo sviluppo dei valori e interessi autogenerati. A quest’ultimo livello di com-plessità, “l’individuo perde la sua preminenza sulla situazione e qualcos’altrodi tipo non personale viene considerato come elemento dominante” (19).Emerge l’interesse preminente dell’organizzazione in quanto tale ad esserericonosciuta (legittimata) come socialmente rilevante, ad autoperpetuarsi e, sepossibile, a imporsi su altre, soprattutto attraverso la crescita dimensionale.

I sistemi accentuano la propria personalità organizzativa quando sono ingrado di affermare la loro autonomia ed esercitare la forza di detta autono-mia (20). Tanto più essi sono reificati in dottrina — cioè ridotti a “cosa”,quasi indipendenti dal fattore umano che li anima — quanto più crescono egrandi diventano le loro dimensioni.

11. Individui, gruppi umani, sistemi: l’analisi “organizzativa” può adden-trarsi a ciascuno dei cennati livelli di complessità o ricomprenderli tutti.

L’ambiguità del concetto di organizzazione deve riconnettersi alla varietàdei fenomeni sistemici e infrasistemici, che coinvolgono — ora singolarmente,

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(18) C.J. Barnard, op. cit., p. 20.(19) Supra.(20) Rinviamo al nostro lavoro Sistemi, ambiente, innovazione, G. Giappichelli, Torino, 1995.

Individui → Gruppi → Sistemi → Crescita e Autonomia dei Sistemi → Influenza sulla Società

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ora nel loro insieme — persone, processi, gruppi, strutture. Non è, pertanto,senza spiegazione che gli studi “organizzativi” abbiano assunto uno straordi-nario sviluppo, seguendo approcci anche notevolmente diversi (21).

Fenomeni di grado diverso di complessità sono — in dottrina — esplora-ti da uno stesso autore ora in modo distinto, ora in modo integrato in succes-sivi periodi di tempo. Il risultato è tale che la ricerca scientifica in fatto di“organizzazione” e di “management delle organizzazioni” continua adampliarsi, mentre a ciascun scuola di pensiero tende a non corrispondere piùun preciso o preferito livello di complessità da indagare. Ad esempio: hasempre minore validità collegare i cultori delle relazioni umane all’osserva-zione del comportamento dei singoli individui e dei piccoli gruppi; oppureconnettere i cultori delle burocrazie alla radiografia delle strutture e dei pro-cessi organizzativi; oppure riferirsi ai funzionalisti come ai depositari delverbo sui sistemi in equilibrio; e ai cultori dei principi di direzione aziendalecome agli autentici esperti di amministrazione aziendale (22).

La distinzione tra organicismo e razionalismo ci pare debba — invece —essere mantenuta, perché con essa si sintetizzano due fondamentali approcciallo studio della nostra materia (23): l’uno orientato agli interi complessi, cioèal “sistema” ed alle sue parti o “subsistemi” in rapporto di reciproca interdi-pendenza; l’altro maggiormente attento alle complessità di grado inferiore aquello sistemico, in particolare alla struttura, ai processi, al management.

(21) Cfr. A. Grandori, L’organizzazione delle attività economiche, Il Mulino, 1995, pp.63–78; G.F. Rebora, Organizzazione aziendale, Carocci, Roma, 1998, pp. 29 ss.

(22) Si rileggano gli atti di un ormai famoso seminario di studi organizzativi, nel quale si facenno alla “divisione del lavoro intellettuale” che contraddistingue gli approcci alla teoriadell’organizzazione. Scrive uno dei più autorevoli partecipanti: “Dalla letteratura correntetrassi l’impressione che se tutti noi eravamo d’accordo nello scegliere le organizzazioni,quale fertile terreno nel quale studiare il comportamento degli individui, eravamo poi menod’accordo sull’oggetto che avrebbe dovuto monopolizzare la nostra attenzione di studiosi inquel settore. Si potrebbe affermare che negli ultimi vent’anni è accaduto questo: quanto più cisiamo trovati d’accordo sul settore che dovevamo studiare, tanto meno ci siamo trovati d’ac-cordo sull’identità dell’oggetto che dovevamo studiare in quella sede, cioè sulla nostra unitàdi analisi: 1) l’individuo; 2) le organizzazioni; 3) l’individuo–nelle–organizzazioni” (F.J.Roethlisberger, “Contributi delle scienze comportamentistiche ad una teoria generale delladirezione”, in: H. Koontz, op. cit., p. 57).

(23) Cfr. A.W. Gouldner, “Organizational Analysis”, in: R.K. Merton, L. Broom, L.S.Cottrel (eds.), Sociology Today, Basic Books, New York, 1959; S.S. Wolin, “A Critique ofOrganizational Theories”, in: A. Etzioni (ed.), A Sociological Reader on ComplexOrganizations, Holt, Reinhart and Winston, New York, 1969; R.W. Scott, Organizations,Prentice–Hall, Englewood Cliffs, 1992.

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Tutto ciò premesso sulle diversità di approccio e sui distinti livelli dicomplessità cui si applica la dottrina, possiamo individuare almeno quattrofondamentali tipi di analisi, a ciascuno dei quali corrisponde un distinto con-cetto e significato di “organizzazione”. Siamo consapevoli che la sintesisotto riportata non sarà ritenuta certamente soddisfacente, qualora siano atte-si una dettagliata elencazione di tendenze dottrinali e un preciso riferimentoa scuole di pensiero. Esistono, peraltro, numerose opere che, con sintesidiverse, si sono soffermate sulle idee di singoli autori e sulla storia del pen-siero organizzativo (24). Il criterio da noi usato è, invece, quello di distingue-re diversi livelli di complessità, a ciascuno dei quali prevalgono aspetti orarazionali, ora organici di organizzazione e management, che sono distinta-mente o congiuntamente affrontati in dottrina.

12. I quattro fondamentali tipi di analisi, cui corrispondono altrettanti con-cetti di organizzazione da noi individuati sono i seguenti.

I Analisi dell’organizzazione come sistema incluso in un più vasto siste-ma sociale: le organizzazioni sono intese, quindi, come sottosistemicreati per soddisfare bisogni umani, legittimate nei loro fini e valoriattraverso la loro appartenenza al sistema sociale, dotate di status conse-guito nell’azione sociale. Della singola organizzazione si consideranocongiuntamente l’unità e le parti. Ad esempio, nell’impresa industrialesi studiano la totalità sistemica ed il suo general management e, nellostesso tempo, si considerano le aree e le funzioni in cui la totalità è divi-sa, nella loro specificità e nelle loro reciproche relazioni.

II Analisi dell’organizzazione come struttura. Con essa s’intende lo sche-ma ordinato delle posizioni (ruoli, compiti di lavoro), nonché delle rela-zioni di autorità tra le stesse posizioni. Nella struttura organizzativa s’in-dividuano un aspetto statico e un aspetto dinamico. Col primo ci si rife-risce, in azienda, alla gerarchia e al relativo organigramma; col secondoci si riferisce ai processi — quali le relazioni di potere, i processi deci-sionali, di informazione e comunicazione — che assestano e riassestanocontinuamente l’organizzazione. Alla struttura organizzativa è associata

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(24) Per tutti cfr. G. Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, F. Angeli, Milano, 1995;nonché G. Costa, R.C.D. Nacamulli (a cura di), Manuale di organizzazione aziendale, vol. 1,Utet, Torino, 1996.

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l’idea non solo di ordine, ma anche di impianto (immateriale) necessarioper dare assetto al sistema, in particolare per dare forza alla strategia.

III Analisi dell’organizzazione come specifica attività del general ma-nagement d’un sistema. Ad essa si fa riferimento, nelle imprese, comead una funzione ovvero come ad uno specifico “momento” — assieme agestione e rilevazione — del più vasto processo di amministrazioneaziendale (G. Zappa). Spesso, la funzione di organizzazione nelle impre-se è considerata in stretta integrazione con il sistema informativo, non-ché con la funzione del personale e con le relazioni esterne (25).

IV Analisi dell’organizzazione come specifica attività di gestione dellerisorse umane. Il fattore umano è assunto a variabile critica dell’impre-sa, sicché l’attenzione si focalizza sui compiti di lavoro (mansioni), suicomportamenti dei singoli partecipanti e dei gruppi che operano all’in-terno dell’organizzazione. Dato tale significato, diventa importante laconoscenza non tanto del “sistema totale”, quanto invece del “sistema dipersonalità” degli individui e del “sistema delle relazioni interpersonali”in cui si differenzia il complesso aziendale. Il tema in oggetto è quellodell’organizzazione del lavoro, oltre che della direzione del personale.

13. Secondo alcuni autori classici — ad esempio Harold Koontz — la diversitàsub I, II, III, IV dei punti di riferimento dell’analisi organizzativa corrispondead una “divisione intellettuale del lavoro” tra gli studiosi di management eorganizzazione (26). Invero, se fosse accettata tale tesi si dovrebbe parlare nongià di pluralismo, sibbene di frammentazione degli approcci, a vasi non comu-nicanti. Ad esempio: gli aspetti personali e di organizzazione del lavoro di unsistema aziendale sarebbero (o dovrebbero essere) riservati ai cultori delle rela-zioni umane; gli aspetti strutturali sarebbero di competenza dei cultori delleburocrazie; e così via, attraverso compartimentalizzazioni del pensiero.

La tesi di Koontz è significativamente contraddetta dal rilievo assunto dallateoria dei sistemi. Grazie all’applicazione del metodo sistemico, sono apparsi

Sistemi, strutture, processi e persone 13

(25) Scrivono Airoldi e Decastri: “Ciascuna impresa compie scelte in merito alle modalità diorganizzazione del lavoro e di ricompensa delle persone; l’insieme dei processi che danno luogoa tali scelte e alla loro attuazione identifica le funzioni di organizzazione d’impresa. Nella prassicorrente le funzioni di organizzazione sono classificate in: funzione organizzazione in sensostretto, funzione del personale, funzione relazioni sindacali e funzione sistemi informativi” (G.Airoldi, M. Decastri, Le funzioni di organizzazione in impresa, Giuffré, Milano, 1983, pp. 3-4).

(26) H. Koontz. “Teoria e ricerca sul management: alcune conclusioni”, in H. Koontz, op.cit., p. 276.

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nella letteratura di management alcuni ben costruiti tentativi di unificare i mol-teplici punti di riferimento dell’analisi organizzativa. Particolarmente riuscitoè lo sforzo interpretativo di Johnson, Kast e Rosenzweig. Nel loro classicotesto, essi dimostrano che è possibile studiare l’azienda come sistema integra-to di gruppi umani e di funzioni amministrative, nel connettivo strutturale enei processi che ne dinamicizzano la gestione (27).

È evidente che in dottrina emergono chiare preferenze per questo o quelpunto di riferimento dell’analisi organizzativa; ma solo a stento può essereverificata l’esistenza di una consapevole divisione del lavoro d’analisi traautori o scuole di pensiero.

Può, invero, accadere che — nel corso del tempo — l’interesse di una stes-sa parte della dottrina e, più particolarmente, di uno stesso autore si sposti daun punto all’altro dei cennati riferimenti. Altre volte — assunto un certo livel-lo di analisi (ad esempio quello sistemico) — lo spostamento avviene consa-pevolmente o inconsapevolmente, addirittura, dall’impostazione razionalisticaa quella organicistica e viceversa. È, ad esempio, possibile — seguendo unpensatore classico come Urwick — che ad “organizzazione d’impresa” siaccosti ora l’idea della struttura razionale di attività, ruoli e compiti, dissocia-bili come le parti di una macchina o di un impianto complesso; ora l’idea disistema vitale e vivificato dal suo organismo personale. In un primo tempo,Urwick opera una distinzione tra aspetti tecnico–strumentali (o propriamentestrutturali) e aspetti umani del sistema aziendale (28). In un secondo tempo, èpossibile leggere nelle sue pagine che l’azienda è un “sistema di cooperazioneumana”, avente le caratteristiche del fenomeno biologico, entro il quale —pertanto — “la composizione e l’integrazione dei compiti e la direzione, lo sti-molo e l’attivazione dei gruppi di individui sono organici” (29).

Tale evoluzione del pensiero di Urwick non deve sorprendere: la conce-zione sistemica organicistica ha lentamente emarginato anche le più ferme

R. Cafferata14

(27) Cfr. R.A. Johnson, F.E. Kast, J.E. Rosenzweig, The Theory and Management of Systems,McGraw–Hill Kogakusha, 1967. In Italia si vedano in particolare le opere di F. Fontana, Il siste-ma organizzativo aziendale, F. Angeli, Milano, 1981; U. Bertini, Il sistema d’azienda, G.Giappichelli, Torino, 1990; G. Usai, L’efficienza delle organizzazioni, Utet, Torino, 1990; P.Mella, “Il sistema impresa. Uno schema logico per studiare l’impresa”, Sistema Impresa, n. 1,1992, pp. 6–13; R. Cafferata, Sistemi, ambiente, innovazione, già citato.

(28) Cfr. L. Urwick, I principi di direzione e la teoria dell’organizzazione, Etas Kompass,Milano, 1963.

(29) L. Urwick, “The Pattern of Management”, The British Management Review, n. 4,1955, p. 217.

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concezioni razionalistiche dei fenomeni organizzativi. Vitalismo, dinamismoe cambiamento sono diventate parole d’ordine di quella che sembra esserediventata la nuova ortodossia nella teoria del management e dell’organizza-zione (con le contraddizioni che — peraltro — potremo leggere in altri saggidi questa stessa Parte I del testo).

CONCLUSIONI

14. A questo punto possono essere tratte alcune conclusioni.Livelli diversi di complessità sociale (individuo, gruppo, sistemi e fun-

zioni, strutture e processi) rappresentano altrettanti livelli dell’analisi orga-nizzativa, affrontati separatamente o congiuntamente, nel proprio lavoro, dauno stesso autore o da autori di distinte scuole. Occorre altresì sottolineareche alcuni filoni dottrinali non sono stati impermeabili, nel corso del tempo,all’influenza di altri: abbiamo citato il caso emblematico di Urwick, nell’o-pera del quale la compattezza del ragionare classicistico è solo in apparenzapriva di contaminazioni e ambiguità.15. Quando ci si rivolge agli studi di economia delle imprese, non deve, infine,essere dimenticato che nel corso del tempo ha assunto sempre maggiore impor-tanza la prospettiva d’analisi offerta da discipline (solo in parte affini) quali lapsicologia e la sociologia. Già Zappa avvertiva lucidamente, in un suo scrittodel 1927, l’avanzare di tale nuova tendenza negli studi di economia aziendale.Pur non accettando come pertinente alla disciplina di cui era Maestro accostarela natura del sistema aziendale a quella dell’organismo biologico o vivente, cio-nondimeno egli sottolineava che “forse, più che in altri capitoli della nostrascienza, nella dottrina dell’organizzazione le indagini economiche si intreccia-no con quelle che trovano fonte in altre scienze sociali” (30).

La storia del pensiero dell’organizzazione e della direzione aziendale gliha dato senza dubbio ragione.

(30) G. Zappa, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Soc. An. Istituto EditorialeScientifico, Milano, 1927, p. 28. Più tardi lo stesso autore riprenderà tale argomentazione inLe produzioni, Giuffré, Milano, 1956, Tomo II, p. 23. A favore della tesi della non pertinenzadell’accostamento delle discipline economico–aziendali alle scienze naturali si pronunciaanche M. Cattaneo, Economia delle aziende di produzione, Etas Libri, Milano, 1979. Oppostoalla concezione aziendalistica tradizionale è il recente lavoro di S. Vicari, L’impresa vivente,Etas Libri, Milano, 1992.

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