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Sperimentare il telelavoro

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Sperimentare il telelavoro

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Premessa

Le pagine di questo breve volume rappresentano un percorso attraverso Remote.Net, il progetto di monitoraggio e valutazione della sperimentazione del telelavoro in BasicNet. Il volume raccoglie dunque la storia del progetto e rende conto delle principali fasi di raccolta e analisi dei dati, offrendo una panoramica di sintesi dei risultati specifici e complessivi dei singoli momenti della ricerca, tentando, al termine, un bilancio dell’esperienza.

Il telelavoro in BasicNet, nasce, come ben precisato da Roberto Visconti,

da una sorta di “disposizione genetica” del gruppo ad avvalersi del Net (della rete) come di un fondamentale strumento di lavoro, ed è dunque una sorta di passo decisivo incontro alla vocazione di “azienda rete”. Non solo da questo, però, nasce il progetto: un altro “incontro” decisivo che ha sostenuto l’idea di Remote.Net è quello con le esigenze, le necessità, i bisogni del personale della BasicNet. Siamo in un’azienda “al femminile”, caratterizzata da una popolazione giovane, in molti casi impegnata anche sul fronte familiare.

È dunque un progetto che vuole sostenere le persone nel loro bisogno di

conciliazione, provando a comprendere, in via sperimentale, se il telelavoro rappresenta effettivamente una soluzione per una migliore conciliazione tra lavoro remunerato e resto della vita ed, eventualmente, a quali condizioni esso è tale (è davvero una soluzione), rispettando quali criteri, con quali caratteristiche, con quali accorgimenti e attenzioni.

Ed è per questa ragione che abbiamo aderito al progetto, assumendo il

compito di seguire la sperimentazione del telelavoro, attraverso un disegno di ricerca relativo sia alla fase di monitoraggio, sia a quella di valutazione. Il compito ci appariva, all’inizio, e ci appare ora, al termine, decisamente interessante: da alcuni anni abbiamo consolidato esperienze di ricerca e studio in materia di conciliazione, guardando al tema da una prospettiva di tipo psicologico, con particolare attenzione per i contesti organizzativi.

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Per questa ragione ci è parso importante il percorso di monitoraggio e valutazione di un’esperienza sperimentale, dove una soluzione “formale” al problema della conciliazione, poteva essere osservata con riferimento alle implicazioni soggettive e culturali, per i singoli e per l’intera organizzazione, attraverso una ricerca che vede in una pratica l’oggetto di studio e anche la “destinazione” dello studio stesso: chiaramente finalizzato a fornire indicazioni, orientamenti e suggerimenti per validare, in un certo senso, il telelavoro come strumento per la conciliazione.

Il volume è organizzato in tre parti. La prima parte, Perché il telelavoro,

rende conto del disegno del monitoraggio e della valutazione, descrivendo i passaggi operativi delle fase di ricerca e di analisi dei dati e fornendo alcune indicazioni metodologiche relative alle tecniche utilizzate (gli specifici strumenti sono invece presentati nella seconda e terza parte). In questa prima parte si delineano anche alcune coordinate teoriche utili a collocare il tema del telelavoro come soluzione per una migliore conciliazione all’interno del panorama della ricerca internazionale in materia di work-life(family) balance. Queste indicazioni teoriche sono state anche il sostegno cui il gruppo di ricerca ha fatto ricorso sia nella definizione del disegno di ricerca generale, sia nella messa a punto degli specifici strumenti utilizzati (check-list per interviste e focus-group; questionario).

La seconda parte del volume, Lavorare tra azienda e casa, entra invece

nel merito della raccolta e analisi dei dati e, in particolare, della fase di monitoraggio che include sia le interviste individuali e i focus-group realizzati prima dell’avvio della sperimentazione, sia i contatti a distanza (attraverso e-mail) che hanno “accompagnato” la sperimentazione, sia il questionario somministrato a tutta la popolazione della BasicNet e finalizzato a raccogliere indicazioni generali ed estensive a proposito delle dimensioni indagate (percezione di conflitto o equilibrio tra lavoro e resto della vita, utilità delle soluzioni a sostegno della conciliazione, immagine del telelavoro).

La terza parte, infine, La sperimentazione: bilancio e rilancio…, offre una

sintesi dei principali dati relativi alla valutazione dell’esperienza, realizzata attraverso focus-group. In quest’ultima sezione del volume, oltre a tentare un bilancio dell’esperienza, si raccolgono anche le indicazioni principali utili a

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pianificare azioni future a sostegno di una migliore conciliazione, che vedano il telelavoro come strumento cruciale.

Il volume si rivolge alle telelavoranti sperimentali e ai loro gruppi di

lavoro e di vita, che ringraziamo per la disponibilità con cui hanno partecipato e contribuito alla fase di raccolta dei dati. Naturalmente esso si rivolge anche all’intera azienda, ai dipendenti e a chi ha funzioni gestionali e si impegna nello sviluppo organizzativo.

Si rivolge, anche, alle istituzioni che si interessano a vario titolo di

equilibrio tra lavoro remunerato e resto della vita, in quanto testimonianza di un possibile sforzo nella direzione di una migliore conciliazione dei tempi e delle responsabilità.

Si rivolge, ancora, alle organizzazioni e, in particolare, a chi si occupa di

gestione delle risorse umane e si impegna a sostenere il personale nella ricerca di un’armonia tra spazi di vita (riconoscendo in essa un vantaggio per l’azienda in termini di motivazione, soddisfazione e commitment), attraverso forme di organizzazione del lavoro alternative.

Si rivolge, infine, a chi affronta il tema del work-life balance nella vita di

tutti i giorni ma anche a chi ne fa un “oggetto di ricerca”, quella ricerca capace di cogliere più puntualmente la dimensione di intervento, verso una migliore qualità di vita.

Il gruppo di ricerca

Claudia Piccardo (supervisione scientifica), docente di Psicologia delle Organizzazioni, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino – [email protected] Chiara Ghislieri, dottore di ricerca in Psicologia Applicata, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino – [email protected] Lara Colombo, dottoranda di ricerca, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino – [email protected] Martini, collaboratrice esterna, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino – [email protected]

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PRIMA PARTE

Perché il telelavoro

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CAPITOLO 1 L’IMPIANTO DI MONITORAGGIO E DI VALUTAZIONE

Chiara Ghislieri

In questo capitolo si descrive brevemente l’impianto di monitoraggio e valutazione della sperimentazione del telelavoro in BasicNet, con riferimento alle tecniche utilizzate per il monitoraggio e la valutazione. In particolare verranno fornite alcune indicazioni metodologiche in merito sia alle tecniche di raccolta dei dati, sia alle tecniche di analisi.

1.1 Il progetto: monitoraggio e valutazione del telelavoro

Prima di descrivere l’articolazione di del monitoraggio e della valutazione del telelavoro, è importante, anzitutto, distinguere i due principali obiettivi specifici del monitoraggio e della valutazione del telelavoro in BasicNet, in funzione del significato che assumono per il progetto. In particolare, infatti

la fase di monitoraggio – si propone come insieme di operazioni utili ad accrescere le possibilità di successo della sperimentazione, cogliendo prontamente le criticità e identificando possibili soluzioni

la fase di valutazione – si identifica come momento conclusivo finalizzato ad individuare i punti di forza e di debolezza della sperimentazione del telelavoro in azienda.

Per quanto riguarda la fase di monitoraggio, essa ha previsto la

realizzazione di diverse attività che sono state definite dal gruppo di ricerca e poi presentate e condivise con il gruppo delle telelavoranti nel corso di un incontro di presentazione del disegno di ricerca avvenuto all’inizio del marzo 2004.

Il monitoraggio si è dunque articolato in momenti diversi, prendendo avvio nel mese di marzo per “seguire” tutto il corso della sperimentazione, e raccogliere tutti i dati utili a realizzare, a valle della valutazione, un effettivo confronto tra “prima”, “durante” e “dopo” la sperimentazione stessa. “Prima”

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della sperimentazione, in particolare, sono stati realizzati due distinti momenti di raccolta dei dati:

sono state realizzate sei interviste individuali (di tipo semi-strutturato), una con ciascuna telelavorante, al fine di indagare in profondità le motivazioni, le aspettative, i bisogni, i desideri e i timori connessi con la prefigurazione dell’esperienza del telelavoro (marzo)

sono stati realizzati specifici focus-group che abbiamo definito family poiché coinvolgono la telelavorante insieme al suo gruppo di lavoro, finalizzati a indagare le aspettative e i timori, ma soprattutto a individuare gli indicatori di efficacia dell’esperienza del telelavoro sul piano della produttività e della qualità delle relazioni, indicatori da utilizzare come elemento di confronto al termine della sperimentazione (marzo).

Il materiale raccolto da questa prima fase di ricerca è stato analizzato ed è

confluito in una sintetica presentazione condivisa con le telelavoranti e il loro gruppo di lavoro, al fine di verificare la reciproca comprensione e di avere una “fotografia” di partenza rispetto alla quale fare poi confronti in fase di valutazione.

Nel corso dell’esperienza sperimentale del telelavoro, in accordo con le telelavoranti, si è pensato di mantenere vivo lo scambio e il dialogo attraverso un canale virtuale (aprile-agosto): è stata infatti attivata una mailing list finalizzata a raccogliere riflessioni, suggestioni, ma anche dubbi e perplessità sull’esperienza in corso, a partire da alcuni stimoli inviati dal gruppo di ricerca.

Sempre durante la sperimentazione è stato somministrato on-line (luglio-agosto) a tutta la popolazione della BasicNet un questionario teso a indagare l’eventuale percezione di conflitto tra lavoro remunerato e resto della vita nel personale, a raccogliere le opinioni in merito all’uso e all’utilità delle soluzioni a sostegno di un migliore equilibrio (formali e informali), a tracciare una fotografia dell’atteggiamento nei confronti del telelavoro come soluzione per la conciliazione.

Per quanto riguarda la fase di valutazione, essa è avvenuta al termine della sperimentazione (settembre), attraverso due distinti momenti:

un focus-group che ha coinvolto tutte le telelavoranti, della durata di circa due ore, finalizzato a riprendere, al termine dell’esperienza, quelle

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dimensioni e quegli aspetti risultati punti di attenzione prima della sperimentazione

specifici focus-group family con le telelavoranti e i loro gruppi di lavoro, finalizzati a fare il punto dell’esperienza, con riferimento agli indicatori emersi come cruciali nei focus-group family che hanno preceduto la sperimentazione.

Il percorso di ricerca ha dunque attraversato tutta la sperimentazione e

accompagnato l’esperienza (figura 1.1); per questo, nei capitoli successivi, si rende conto dei differenti passaggi, prima di far convergere i risultati attorno ad alcune considerazioni di sintesi proposte nell’ultimo capitolo.

1.2 Alcune indicazioni di metodo: la raccolta dei dati

Che cos’è la raccolta dei dati? La raccolta dei dati è la prima macro-fase della ricerca “sul campo”. La si può definire “macro” in quanto composta da una serie di passaggi ulteriormente specificabili. È sicuramente una fase cruciale: “perché dalla qualità dei dati raccolti […] dipenderanno la significatività e la plausibilità delle conclusioni” (Cortese, 1999, p. 81).

Per effettuare la raccolta dei dati all’interno di un contesto organizzativo esistono diversi metodi che, a loro volta, applicano differenti tecniche specifiche. Nel caso del progetto Remote.Net si è fatto ricorso all’intervista individuale, al focus-group (per quanto riguarda la ricerca qualitativa, utilizzata sia nel monitoraggio sia nella valutazione) e al questionario strutturato (per quanto riguarda la ricerca quantitativa, utilizzata nel monitoraggio). Di seguito si forniscono alcuni riferimenti che rappresentano le indicazioni metodologiche che hanno guidato il gruppo di ricerca nell’utilizzo delle tecniche specifiche. 1.2.1 L’intervista

Come ricorda Cortese (1999), prima di eseguire un’intervista è “indispensabile aver affrontato la questione propriamente metodologica, nei suoi tre momenti cruciali e cioè: eleggere il campione; predisporre lo strumento; definire il ruolo dell’intervistatore e dell’intervistato” (Cortese, 1999, p. 91). Di seguito il metodo di raccolta dei dati viene dunque presentato con riferimento a questi tre passaggi principali.

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VALUTAZIONE

MONITORAGGIO

DOPO

DURANTE

PRIMA Incontro con le telelavoranti Presentazione e avvio 5 marzo 2004

Interviste individuali con le telelavoranti

Indagare motivazioni, aspettative e bisogni

Marzo 2004

Focus-group family con le telelavoranti e i loro gruppi di

lavoro

Individuare gli indicatori di efficacia

Marzo 2004

Attivazione di una mailing list con e tra le telelavoranti

Procedere nel monitoraggio in relazione agli indicatori

individuati

Aprile-agosto 2004

Somministrazione on-line di un questionario a tutta la popolazione di BasicNet

Indagare la percezione di conflitto tra lavoro e resto

della vita, delle diverse soluzioni per conciliare con attenzione per il telelavoro

Luglio-agosto 2004

Focus-group con le telelavoranti

Focus-group family con le

telelavoranti e i loro gruppi di lavoro

Raccogliere riflessioni e indicazioni in merito

all’esperienza del telelavoro

Settembre 2004

Figura 1.1 – Monitoraggio e valutazione del telelavoro Figura 1.1 – Monitoraggio e valutazione del telelavoro

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Le ricerche qualitative solitamente raccolgono i loro dati su campioni

numericamente ristretti di soggetti, intervistati con un certo livello di profondità. Per questo spesso si utilizzano campioni non probabilistici, definiti più intuitivamente “a scelta ragionata” (Cardano, 2003). Le persone coinvolte nella raccolta dati non sono state selezionate con i criteri della teoria della probabilità, che sostiene la necessità di estrarre casualmente i casi (per noi, i soggetti da intervistare), ma sulla base di considerazioni che emergono dalla particolare domanda che orienta la ricerca. Per questo è possibile parlare di “testimoni privilegiati”: “persone che vengono giudicate particolarmente informate o interessanti (cioè rappresentano, essi stessi, punti di osservazione privilegiata) ai fini di ottenere informazioni relative a un determinato argomento, a una determinata realtà locale, a una determinata situazione […]” (Belloni, 2002, p. 15)1.

La raccolta dei dati relativa alla fase di ricerca qualitativa ha visto il ricorso alla tecnica dell’intervista semistrutturata. L’intervista è “una forma speciale di conversazione nella quale due persone (e talvolta più di due) si impegnano in un’interazione verbale nell’intento di raggiungere una meta cognitiva precedentemente definita” (Cardano, 2003, p. 73).

In questa fase, il rischio che il ricercatore può correre è di raccogliere moltissime informazioni che non possono essere messe a confronto le une con le altre. Nel caso specifico di questa ricerca si è scelto di fare ricorso ad una tecnica maggiormente strutturata, onde consentire una maggior confrontabilità dei dati: l’intervista semistrutturata va proprio in questa direzione ed è utile laddove “ci preme mettere a confronto le rappresentazioni, i valori e, in una certa misura, anche i modelli argomentativi dei nostri interlocutori, in relazione a un insieme predefinito di temi sui quali vogliamo interpellare tutti i soggetti” (Cardano, 2003, p. 86).

Poiché l’obiettivo di questa fase di ricerca era quello di coniugare entrambe queste indicazioni, così da ottenere informazioni ricche e dettagliate, ma passibili anche di un confronto tra soggetti rispondenti, si è optato per la forma dell’intervista semi-strutturata. L’intervista semi-strutturata si caratterizza “per la presenza di una ‘consegna’ e di una ‘traccia’ tali da circoscriverne i

1 Di fatto tutte le telelavoranti sono state intervistate mentre è stata fatta una scelta nel momento in cui sono stati coinvolti i colleghi e i collaboratori (il criterio è stato quello della maggiore frequenza di interazione con la telelavorante).

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confini ed esplicitarne gli obiettivi” (Cortese, 1999, p. 93). La consegna è la presentazione e spiegazione che il ricercatore fornisce alla persona intervistata prima di iniziare con le domande. Solitamente richiede di toccare una serie di punti che potremo presentare tra poco quando parleremo dello strumento specifico adottato per il progetto di cui si scrive. La traccia è la lista di domande che il ricercatore deve seguire durante la relazione discorsiva.

Un’ultima precisazione, legata allo strumento fin qui descritto, va spesa per delineare più precisamente i contorni della figura dell’intervistatore. Il suo ruolo “è complesso e delicato ed è necessaria una preparazione specifica sia per la gestione dell’intervista sia per la trascrizione o per la sbobinatura di questa, se è avvenuta con registratore; si tratterà poi di effettuare l’analisi del contenuto e/o la codifica a posteriori delle informazioni” (Belloni, 2002, p. 14).

La gestione dell’intervista, deve avvenire “mantenendo un atteggiamento il più possibile neutrale e non valutativo, evitando di ‘dirigere’ l’intervistato in funzione delle proprie preferenze e aspettative, inviando feedback positivi anche quando si percepisce che il contenuto del colloquio non corrisponde (dal punto di vista della qualità dei contenuti) alle esigenze di ricerca” (Cortese, 1999, p. 91).

È nel momento iniziale dell’intervista che si costruisce il patto/contratto tra chi realizza l’intervista e chi viene intervistato. In questa fase iniziale di contratto, su richiesta della persona intervistata, si forniscono informazioni circa il disegno di ricerca, i passaggi già realizzati, quelli ancora da realizzare e, andando maggiormente nello specifico, i contenuti dell’intervista. In questa stessa fase, alla precisazione della durata prevista dell’intervista, si rassicura la persona circa la modalità di trattamento dei dati: le affermazioni raccolte sono normalmente trattate in modo aggregato ed è resa “non riconoscibile” la “proprietà” delle affermazioni riportare fedelmente nel documento di restituzione dei dati, nell’ottica di tutelare la riservatezza delle persone coinvolte nella ricerca.

Due sono i principi metodologici fondamentali nella gestione dell’intervista: l’“ascolto attivo” e la “restituzione interna” di quanto compreso. Con la prima espressione si intende un ascolto curioso, ma non invadente, che tenta di porsi dal punto di vista dell’interlocutore sospendendo, per quanto possibile, giudizi di valore. Con la seconda espressione si intende un’altra tecnica comunicativa, detta anche ricapitolazione, “con la quale l’intervistatore attira l’attenzione del proprio interlocutore su di un aspetto del suo discorso

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riassumendone i tratti salienti, per sollecitarlo a un approfondimento critico o all’esplicitazione del legame tra quello e altri luoghi del suo discorso. La ricapitolazione è tanto più efficace quanto maggiore è la sua aderenza al discorso pronunciato dall’intervistato” (Cardano, 2003, p. 90).

1.2.2 Il focus-group

La realizzazione dei focus-group ha previsto la presenza di due ricercatrici (una con funzione, principalmente, di osservazione), con il compito di fissare su carta i dati principali. Anche in questo caso si è fatto ricorso ad una traccia di intervista che ha reso i focus-group il più possibile simili tra di loro.

Il riferimento metodologico che ha sostenuto la realizzazione dei focus-group può essere rintracciato, principalmente, nei lavori di Morgan (1988), Bovina (1996) e Cardano (2003).

Il focus-group è dunque considerato come una discussione di gruppo nella quale le persone affrontano i temi proposti dal moderatore. Tale strumento permette di rilevare gli atteggiamenti, le credenze, gli orientamenti dei partecipanti sul tema in studio e con ciò di cogliere le ragioni addotte da ognuno di loro per sostenerle (Bovina, 1996). Tra le definizioni più significative riportiamo le seguenti:

i focus-group sono, essenzialmente, interviste di gruppo, anche se non si devono intendere come l’alternarsi delle domande del ricercatore e le risposte dei partecipanti, ma piuttosto come l’interazione del gruppo intero su un tema fornito dal ricercatore che assume il ruolo di moderatore (Morgan, 1988)

il focus-group è una tecnica di osservazione che si applica su piccoli gruppi, costituiti e animati da un osservatore che sollecita la discussione di un argomento specifico (Cardano, 2003).

Identificata la domanda cognitiva e definito il gruppo dei partecipanti, è

possibile passare alla stesura della traccia, per cui occorre definire: il livello di strutturazione, che va individuato su di un continuum che va

dal focus autogestito (adatto a un obiettivo eminentemente esplorativo) al focus moderato, che segue un itinerario di temi e domande ben definito nei tempi e nei modi. In questo caso il livello di strutturazione dei focus si trova a metà tra i due estremi

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l’itinerario lungo il quale il moderatore dovrà accompagnare il gruppo nella discussione del tema nei termini di domande o di stimoli.

Al moderatore spetta il compito di facilitare la discussione tra i

partecipanti, ovvero di governare, in modo “soft”, il gruppo. Nella conduzione della discussione, il moderatore è chiamato a seguire – con la necessaria libertà – la traccia e, a margine, a improvvisare talvolta la domanda, lo stimolo adeguato a imprimere alla discussione la direzione più promettente per le finalità della ricerca.

In special modo, in Remote.Net, il focus-group è stato utilizzato nella sua versione “classica” (ad esempio in fase di valutazione, con tutte le telelavoranti) e in una versione che abbiamo definito family, che non implica particolarità sul fronte metodologico, ma si caratterizza per porre attorno ai temi oggetto di discussione un gruppo di lavoro reale, che riflette collettivamente e in modo dialogico su qualcosa (l’esperienza di telelavoro di una componente del gruppo) che lo riguarda direttamente.

1.2.3 Il questionario

Il questionario è una tecnica di raccolta dei dati che si connota per essere estensiva e dunque finalizzata a raccogliere dati da un elevato numero di soggetti in modo standardizzato: in questo senso i dati raccolti sono confrontabili e analizzabili congiuntamente attraverso le tecniche statistiche adeguate alla modalità con cui sono state formulate le domande.

In particolare nel caso di Remote.Net, è stato messo a punto un questionario che in parte riprende alcune scale di affermazioni ricavate dalla letteratura in tema di work-life balance, in parte offre scale messe a punto ad hoc per la ricerca a partire da una prima analisi delle interviste (soprattutto in tema di percezione del telelavoro come soluzione per conciliare).

Il questionario risulta dunque articolato in quattro distinte sezioni, e intende indagare diverse dimensioni connesse con il tema/problema della conciliazione tra vita professionale e vita personale. Sul fronte psicologico, in particolare, le dimensioni indagate fanno riferimento al vissuto soggettivo rispetto al problema: la ricerca ha consolidato, nel corso degli ultimi anni, molti strumenti (questionari) di raccolta dei dati, utili a individuare dei trend generali.

Pensando in modo particolare alla ricerca psicologica nelle organizzazioni, è stata dedicata particolare attenzione al costrutto di conflitto tra

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lavoro e famiglia e, viceversa, tra famiglia e lavoro (Thomas, Ganster, 1995; Netemeyer e coll., 1996; Behson, 2002b), alla sua relazione con alcune dimensioni organizzative generali e specifiche rispetto alla conciliazione (Thompson et al., 1999; Allen, 2001), alle soluzioni per far fronte ai problemi di conciliazione e, in particolare, al telelavoro.

Il questionario utilizzato è risultato composto da un certo numero di scale Likert sia di frequenza sia di accordo. Una definizione più puntuale dei diversi costrutti verrà fornita nel capitolo successivo mentre una più precisa descrizione dello specifico strumento utilizzato verrà fornita nel capitolo Il telelavoro in BasicNet. 1.3 L’analisi dei dati

L’analisi dei dati raccolti costituisce la seconda macro-fase del processo

di ricerca, che si articola in un insieme di operazioni intellettuali che hanno lo scopo di fornire una lettura articolata e trasversale della documentazione empirica costruita nella fase di raccolta. In particolare in questa fase si procede a “ricomporre il materiale e dare una forma ai dati, […] riaggregarli all’interno di uno schema interpretativo sviluppandolo e verificando proposizioni in grado di sostenere tale schema” (Piccardo, Benozzo, 1996, p. 118).

Di seguito presentiamo brevemente le tecniche di analisi dei dati utilizzate per la documentazione empirica raccolta attraverso le interviste e i focus-group (le tecniche di raccolta qualitative) e quelle utilizzate per i dati raccolti attraverso il questionario (tecnica di raccolta quantitativa). 1.3.1 L’analisi dei dati qualitativi (intervista individuale e focus-group)

Questo momento di rilettura dei dati può iniziare in parte in parallelo rispetto alla fase di raccolta e può essere orientato dalle prime ipotesi interpretative formulate. Quando ci si muove all’interno della ricerca qualitativa si prevede la possibilità di ri-orientare la direzione della ricerca in funzione di domande ulteriori che emergono nel lavoro sul campo (in questo specifico caso, nel corso delle interviste).

L’analisi dei dati qualitativi è infatti un processo ricorsivo e ciclico, secondo il quale i risultati emergono da una lettura metodica, che mette a confronto tra loro i materiali, che li rilegge attraverso i nuovi elementi e le

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nuove ipotesi interpretative via via emergenti. Questo procedimento, descritto puntualmente dai teorici della Grounded Theory (Glaser e Strauss, 1967; in Piccardo e Benozzo, 1996 e in Strati, 1997) ha il duplice scopo di verificare l’adeguatezza e il valore euristico delle ipotesi formulate e di consolidarle e arricchirle di senso.

Il lavoro di analisi dei dati raccolti, a partire da queste premesse, richiede di esercitare una forma di equilibrio cui si giunge sostando nell’incertezza che nasce dalla “immersione” nella complessità dei dati raccolti: solo attraverso questa immersione è possibile poi identificare un procedimento, tra i molti possibili, per giungere a una costruzione di senso.

Centrale in questo processo è il ruolo del ricercatore2: egli è lo “strumento critico e fondamentale della ricerca” (Piccardo, Benozzo, 1996, p. 121). A lui spetta il compito di conferire senso ai dati raccolti, di farne emergere un quadro teorico adeguato a rappresentare la realtà cui si è avvicinato. Molto si è dibattuto sul peso della soggettività del ricercatore sui risultati prodotti. Con le sue caratteristiche personali, le sue conoscenze pregresse, le sue “teorie implicite”, chi analizza i dati non solo produce, con la sua presenza e la sua osservazione, un effetto, dà una prospettiva ai dati raccolti, influenza l’analisi e l’interpretazione dei dati, ma è anche co-costruttore dei risultati.

L’analisi dei dati effettuata nel corso di Remote.Net a partire dalle trascrizioni delle interviste ha assunto come riferimento la Grounded theory di Glaser e Strauss (1967). Si è utilizzato, nello specifico, lo strumento del quadro sinottico, costruito secondo la procedura riformulata da Turner nei suoi lavori degli anni ‘80 e ripresa da Piccardo e Benozzo (1996), con specifico riguardo per il mondo delle organizzazioni, riducendo da nove a sette le fasi identificate da Glaser e Strauss:

si inizia a esplorare i dati rileggendoli più volte, riflettendo a lungo, in modo estremamente attento e analitico, familiarizzando con essi: i dati sono interrogati nello sforzo di dare un’etichetta, sessione per sessione, a ciò che si va, a mano a mano, osservando. Queste etichette devono rappresentare una variabile esplicativa e la categoria utilizzata deve corrispondere al fenomeno descritto dai dati. Col tempo si sviluppa un

2 Si parla di ricercatore, al singolare, per semplicità: ovviamente il discorso è valido ugualmente per un gruppo di ricerca costituito da più ricercatori e/o ricercatrici. In questo caso, tuttavia, è possibile uno scambio e un confronto di opinioni che offre maggior solidità ai risultati cui si perviene.

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vocabolario, a mano a mano che si aggiungono nuove etichette e ci si sforza di definirle

si “saturano” le etichette e le categorie identificate con casi appropriati, accumulando esempi supplementari del fenomeno osservato sino a raggiungere un momento in cui ci si sente sicuri di avere pezze d’appoggio sufficienti per validare quell’etichetta e dimostrarne la rilevanza

si prova, a questo punto, a sviluppare una definizione astratta di ogni etichetta e a descriverla come promemoria (“questo è quello che significa e che io intendo dire”)

occorre ora provare a utilizzare le definizioni che guideranno la fase successiva della ricerca che comprenderà l’esplorazione dei legami tra le categorie. È importante non lasciarsi andare alla tentazione di formulare teorie premature sulla base di dati insufficienti. Più numerosi saranno i fatti, migliore sarà la teoria

occorre annotare costantemente i legami tra le categorie onde seguirli e svilupparli a mano a mano che i nuovi dati li correggono e li ridefiniscono

si devono considerare le condizioni in cui i legami rintracciati “reggono” ovvero sono validi sul piano della pregnanza

si ricercano, là dove è possibile, le connessioni con le conoscenze già esistenti sul tema.

Si tratta di un processo ricorsivo, in cui le nuove informazioni acquisite e

le ipotesi formulate possono guidare una rilettura del lavoro già svolto, dei legami già individuati fino a passare dai concetti di primo livello a quelli di secondo livello. Se i concetti di primo livello servono ad attribuire un primo ordinamento ai dati (le etichette) i concetti di secondo livello permettono di produrre un nuovo ordine degli stessi (i legami emergenti tra le categorie) (Piccardo, Benozzo, 1996) al fine di dare vita a una rappresentazione efficace del contesto in esame.

L’attribuzione degli stralci delle interviste a specifiche categorie, descritte e argomentate in fase di restituzione dei dati, viene effettuato con il metodo “carta e matita”. La validità dei risultati di ricerca (presentati nei capitoli successivi) cui si è pervenuti attraverso questa modalità di raccolta e analisi dei dati, non può essere testata facendo ricorso ai metodi riconosciuti per le ricerche

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quantitative. Cardano (2003) suggerisce di validare i risultati prodotti con il criterio della “ripercorribilità cognitiva” dell’itinerario di ricerca: la metodica redazione di un resoconto riflessivo che dia conto delle procedure di ricerca cui l’osservatore ha fatto ricorso, che ricostruisca e argomenti la rete di decisioni che il ricercatore ha preso, prima sul campo, e poi a tavolino, nel lavoro di analisi e scrittura” (Cardano, 2003, p. 28). 1.3.2 L’analisi dei dati quantitativi (questionario) 3

Differenti possono essere le tecniche di analisi da utilizzare nella fase di elaborazione dei dati raccolti attraverso il questionario. Di seguito si vuole rendere conto, sinteticamente, delle principali tecniche utilizzate nella ricerca Remote.Net.

L’applicazione di procedure statistiche ha lo scopo di ridurre in modo sintetico la gran quantità di dati raccolti, al fine di trovare un criterio di lettura del fenomeno analizzato. Le analisi condotte, siano esse monoviariate, bivariate e multivariate (cioè analisi che coinvolgono rispettivamente una sola variabile, la relazione tra due variabili e la relazione tra più variabili contemporaneamente) sono state condotte con il programma statistico Spss (statistical package for social science).

Il primo passo dell’analisi dei dati è la descrizione delle singole variabili, ovvero delle singole domande che compongono il questionario; ci collochiamo nell’ambito dell’analisi monovariata in cui le singole variabili sono sottoposte a statistiche che hanno uno scopo puramente descrittivo. Come sostiene Ortalda (1998, p. 148) “descrivere significa raccontare ciò che si osserva e descrivere i dati significa non aggiungere informazioni, né ipotesi, né interpretazioni”. Per le variabili collocate su scala categoriale (la maggior parte della sezione anagrafica) sono state prodotte tabelle di frequenza e percentuali calcolate sui casi validi, ovvero sui casi che non presentano risposte mancanti (missing values).

Frequenze e percentuali rappresentano un risultato facile da leggere e da comunicare e sono il modo più semplice e immediato di ottenere una sintesi delle risposte. Per descrivere in modo sintetico la distribuzione di una variabile cardinale o ordinale (le scale Likert a 7 posti) è stata invece calcolata la media (somma dei valori che assumono tutti gli individui su una variabile divisa per il

3 Questo paragrafo è stato scritto da Lara Colombo

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numero dei casi) che rappresenta la misura di tendenza centrale, ovvero il valore che caratterizza la distribuzione delle risposte.

Per le variabili cardinali è stata calcolata la varianza come indice di dispersione che indica la variabilità dei dati: più bassa è la varianza, più i casi si distribuiscono intorno alla media, più grande è la varianza, più i casi sono dispersi.

Per facilitare la lettura delle batterie Likert, vengono presentati i dati specifici dei singoli item in termini di valore medio (somma dei valori che assumono tutti gli individui su una variabile, divisa per il numero dei casi) che rappresenta la misura di tendenza centrale, ovvero il valore che caratterizza la distribuzione della risposte. Vengono riportati inoltre il valore minimo, il valore massimo e la varianza come indice di dispersione delle risposte a un singolo item (la somma del quadrato degli scarti di ogni valore della variabile dalla media della variabile stessa, divisa per il numero di casi): in particolare alla media si affianca la deviazione standard (ovvero il valore della varianza al quadrato).

Per indagare la relazione (siamo all’interno dell’analisi descrittiva bivariata) tra le variabili è stato inoltre calcolato il coefficiente di correlazione4 come misura dell’intensità della relazione lineare tra due variabili. La correlazione è una misura della forza di una relazione (il valore) e del verso di tale relazione (il segno, positivo o negativo del valore). Il coefficiente di correlazione r di Pearson varia da - 1 a + 1, più una correlazione si avvicina a questi valori estremi più la forza della relazione è intensa; il segno negativo indica che la relazione è inversa, cioè all’aumentare di una variabile l’altra diminuisce.

4 Il coefficiente di correlazione, risultante dal rapporto tra la covarianza di due variabili x e y (cioè la tendenza a variare nello stesso modo) e le singole varianze di x e y , è una misura simmetrica e non permette, quindi, di individuare una causa e un effetto, per cui l’uso che se ne fa è di tipo descrittivo e non esplicativo.

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CAPITOLO 2 IL TELELAVORO E L’EQUILIBRIO TRA LAVORO REMUNERATO

E RESTO DELLA VITA: LO STATO DELL’ARTE Chiara Ghislieri

Il tema della conciliazione tra tempi e responsabilità di vita, è oggi di crescente importanza. Se in parte ciò è frutto di una sensibilità per la qualità di lavoro e di vita divenuta via via più matura e consapevole, in parte l’attualità del tema è connessa con importanti cambiamenti sia della forza lavoro, in termini di razza, età, sesso (Zedeck, Mosier, 1990), sia della famiglia: “il mondo del lavoro è sempre più popolato da madri, genitori single e coppie dual-career” (Thomas, Ganster, 1995, p. 6).

Il trend del cambiamento è molto marcato per le donne, per le quali la carriera sembra divenire progressivamente più importante (Wilkinson, 1994); in ogni caso anche gli uomini esprimono il desiderio di una vita maggiormente equilibrata (Schor, 1991), come reazione, secondo alcuni, all’eccessivo investimento nel lavoro e alla competitività degli anni ’80 (Bruce, Reed, 1994). Decisamente attuale è, in questo senso, l’approfondimento delle dimensioni psicologiche relative al cambiamento di valori, di cui tanto si parla, nella nostra cultura, verso un maggiore coinvolgimento familiare degli uomini (Hall, 1990; Behson, 2002b).

Si assiste dunque a una sorta di “movimento in parallelo”, che vede sia un elevato presidio della carriera, sia un significativo bisogno di spazi di vita esterni al lavoro: questo movimento si confronta con un “mondo organizzativo” in cui la disponibilità e la presenza sono ancora le dimensioni cruciali per “fare carriera”, accanto a capacità e competenze come quella di assumersi responsabilità ed essere autonomi a tutti i livelli di inquadramento (Lewis, Cooper, 1995).

Provando a cogliere il “precipitato” di tutte queste istanze, Lewis e Cooper (1995) hanno ricondotto l’aumento di stress e conflittualità di ruolo che sembra affliggere un numero rilevante di persone, donne e uomini, a cinque principali fattori:

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il fatto che spesso famiglia e lavoro si trovino in opposizione anche in relazione alla prevalenza di un modello di lavoro basato su una considerevole richiesta di tempo e di disponibilità

il maggior valore attribuito al ruolo pubblico, rispetto a quello privato, che in qualche modo esaspera la tensione verso l’affermazione professionale

l’insicurezza generale del posto di lavoro che dunque tende a moltiplicare gli sforzi sul fronte del mantenimento dell’occupazione

la tensione tra nuovi e vecchi modelli di lavoro e tra attitudini a lungo e breve termine a proposito di flessibilità nel posto di lavoro (v. lavoro temporaneo, lavoratori atipici)

i tagli nelle spese pubbliche che fanno ricadere i compiti di cura interamente sui membri della famiglia.

In relazione a queste evidenze, il riconoscimento del valore della

conciliazione è particolarmente forte, anche a livello di politiche comunitarie: alla base di questo orientamento è l’auspicio di un processo collaborativo che chiami in causa donne, uomini, istituzioni e organizzazioni, e che non pretenda di trascendere o peggio trascurare le distintive caratteristiche culturali dei singoli contesti nazionali. A livello europeo, infatti, molte sono le differenze tra i paesi5, sia sul fronte dei modelli di genere prevalenti, vuoi per quanto riguarda la famiglia, vuoi per quanto riguarda le organizzazioni, sia sul fronte delle politiche assistenziali e in specifico dei sistemi di welfare nazionali (Lewis, Smithson, 2001).

Nel presente capitolo si vuole offrire una sintesi dei principali contributi in tema di equilibrio o conflitto tra lavoro e resto della vita, con particolare riferimento agli studi di matrice psicologica e ai contesti organizzativi. Nel paragrafo conclusivo ci si concentrerà anche sulle soluzioni, formali e informali, a sostegno della conciliazione, dedicando uno spazio specifico al telelavoro: questo passaggio sarà utile a individuare le dimensioni di efficacia del telelavoro e i punti critici o di attenzione; le indicazioni raccolte dagli studi organizzativi 5 Se dunque i paesi scandinavi sono caratterizzati da un modello di welfare “social democratico”, dove la conciliazione è considerata una responsabilità collettiva, in altri paesi si assiste alla presenza di modelli di tipo “transizionale” (tra un modello tradizionale e uno maggiormente equo) e in altri ancora si è ancora di fronte a modelli di tipo decisamente conservativo (in Irlanda, ad esempio). L’impatto delle politiche dipende, in buona sintesi, da come sono esperite dai singoli e in particolare da come riescono a influire sul senso di controllo personale (Thomas, Ganster, 1995; Kossek, Oseki, 1999), a sua volta influenzato dai valori e dal sistema delle credenze (Lewis, 1997). A questo, infatti, va aggiunto il filtro “percettivo” dato dai modelli di genere culturali (“nazionali”), dai valori e dalle abitudini.

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hanno rappresentato un’indispensabile “guida”, per il gruppo di ricerca, nella costruzione degli strumenti di ricerca (check-list per interviste e focus-group e questionario) e nella lettura e riflessione sui dati. 2.1 Le dimensioni psicologiche rilevanti

Le principali questioni teoriche e metodologiche, rispetto al tema della conciliazione, sono relative all’oggetto della ricerca, agli interlocutori coinvolti e ai “modelli” descrittivi o interpretativi della relazione tra vita familiare e lavoro (Zedeck, Mosier, 1990). La ricerca di matrice psicologica si è prevalentemente concentrata sui sentimenti e i pensieri delle persone pur se è riconosciuto il bisogno di ampliare l’osservazione e la rilevazione dei dati dedicando maggiore attenzione alle “coppie”, ma anche alla famiglia e ai gruppi di lavoro.

Ciò che emerge, riflettendo sul tema in vista della definizione di un disegno di ricerca, è l’incredibile ampiezza dei confini dell’oggetto di studio: la conciliazione riguarda il singolo, la sua famiglia, il suo gruppo di lavoro, le istituzioni, la società e la politica. I contesti tra cui muoversi sono molteplici, se guardiamo al “macro”, e, al contempo, gli aspetti psicologici implicati sono differenti: dalle disposizioni personali, alla modalità di gestire le situazioni stressanti, dal significato del lavoro alla motivazione (Camps, 2004). E l’elenco potrebbe essere ancora molto lungo.

Se guardiamo, ad esempio, al significato del lavoro, è evidente come sia necessario prendere in considerazione non solo il singolo soggetto di fronte al suo problema di conciliazione, ma il “nucleo” (sia esso una coppia, una famiglia, un gruppo) entro cui il problema si colloca (Curie, Hajjar, 1987; Zedeck, Mosier, 1990; Losche, Moliner, 2001): è il significato del lavoro, infatti, che modula in buona parte il vissuto dei singoli rispetto al problema di bilanciare professione e non-professione (Crosby, 1987).

Sono soprattutto le ricerche sulle coppie “dual-career” ad aver indicato i benefici di espandere l’unità di analisi. Coppie in cui entrambi i partner lavorano si trovano impegnate in veri e propri “giochi di destrezza” tra tre distinti lavori, due al di fuori della casa, uno familiare e domestico. Inoltre ogni coppia “dual-worker” è diversa: talvolta sia l’uomo sia la donna sono coinvolti in carriere professionali impegnative; in alcuni casi entrambi i partner lavorano con

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obiettivi principalmente di sostentamento economico; in altri casi ancora, un solo partner ha obiettivi di carriera mentre il lavoro dell’altro è solamente una fonte aggiuntiva di sostentamento.

A fronte dell’ampio quadro di riferimenti (contestuali e dimensionali) presentato poco sopra, la rassegna bibliografica che si presenta si concentra principalmente sulle dimensioni psicologiche e sul contesto organizzativo (e di conseguenza anche la ricerca realizzata privilegerà questi aspetti), in coerenza con una filosofia di fondo che, pur nella consapevolezza della visuale ristretta che questa focalizzazione consente, vuole comunque privilegiare la precisione nella definizione dei confini dell’oggetto di studio e dunque la puntualità nella sua rilevazione e nella lettura e interpretazione dei dati.

Rispetto ai diversi modelli di lettura, spiegazione e interpretazione della relazione tra lavoro remunerato e resto della vita (Zedeck, Mosier, 1990; Ghislieri, Piccardo, 2003), ci si concentra qui sul modello del conflitto, che offre maggiori spunti e consente di avere più chiari i costrutti psicologici cui fare riferimento per la ricerca.

Tale modello suppone che la soddisfazione e il successo in un contesto richiedano sacrifici nell’altro contesto: i due contesti sarebbero incompatibili perché connotati da richieste distinte (Payton-Miyazaki, Brayfield, 1976; Evans, Bartolome, 1984; Greenhaus, Beutell, 1985) e dunque la persona si troverebbe a vivere con fatica e stress la multipla appartenenza e le differenti domande di ruolo.

Ecco dunque che, per i teorici che si rifanno a questo modello, le responsabilità familiari possono essere considerate una delle cause dell’assenteismo, dei ritardi e dell’inefficienza al lavoro (Crosby, 1984). Il tema del conflitto si è poi aperto a studi e riflessioni di più ampio respiro, privilegiando una visione dell’equilibrio vita-lavoro maggiormente complessa (Jones, Butler, 1980; Burke, Bradshaw, 1981; Baruch, Barnett, 1986; Burke, 1986; Greenhaus, Parasuraman, 1986).

Il modello si colloca all’interno della teoria dello stress e, in particolare, fa riferimento agli studi di Lazarus e Folkman (1984; 1987) che considerano l’interazione tra i differenti ruoli che la persona “gioca” al centro dell’interesse di ricerca: la persona nel contesto familiare, con specifiche preferenze e comportamenti e la stessa persona nell’organizzazione, con altre preferenze e comportamenti, sono identità in una relazione dinamica, di mutua reciprocità, bidirezionale.

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Il riferimento teorico sopra presentato è in molti casi la matrice di alcune delle più recenti ricerche, che hanno avuto come oggetti di studio: le dimensioni di stress, strain e conflitto tra lavoro e famiglia e tra famiglia e lavoro, ma anche la relazione tra il conflitto e alcune dimensioni organizzative, precisando talvolta alcune principali differenze di genere.

Un primo ancoraggio per la ricerca è dunque dato dalla letteratura sullo stress e sullo strain (Thomas, Ganster, 1995). Un agente stressante è definito come ogni aspetto del contesto percepito come pericoloso, minaccioso o sfidante per la persona (Latack, 1986) mentre il concetto di strain rinvia ai cambiamenti psicologici, fisiologici e comportamentali che avvengono come effetto dell’essere esposti all’agente stressante. Esistono evidenze empiriche circa il fatto che soggetti sotto l’effetto di potenti agenti stressanti rappresentano un costo per l’organizzazione in relazione ad alti livelli di incidenti, inefficienza e produttività ridotta (Ganster, Schaubroeck, 1991). Il conflitto tra lavoro e famiglia è un costrutto fondamentale negli studi sullo stress e sullo strain (Behson, 2002a), divenendo sempre più popolare nella ricerca organizzativa6. Il conflitto interruolo può essere considerato come una forma di conflitto in cui “le pressioni di ruolo associate con l’appartenenza a un’organizzazione sono in conflitto con le pressioni derivanti dall’appartenenza ad un altro gruppo” (Kahn et al., 1964, p. 20).

Anche se diverse fonti di conflitto sono state identificate, molti ricercatori ritengono che gli elementi dominanti abbiano a che fare con il tempo richiesto da ciascun ruolo e lo strain prodotto (Greenhaus, Beutell, 1985, Greenhaus, 1988): più in generale il riferimento è al conflitto che si può generare tra responsabilità, richieste, aspettative, doveri e impegni, associati con ciascun ruolo.

Sostanzioso è il corpus di ricerche7 che suggerisce come la tensione tra ruoli familiari e lavorativi possa essere letta nei termini di un forte “agente stressante” poiché condurrebbe a una diminuzione del benessere psicologico e fisico della persona: la fatica nel bilanciare ruoli familiari e professionali potrebbe infatti generare insoddisfazione nel lavoro (Bacharach, Bamberger,

6 Recenti ricerche si sono focalizzate sulle ragioni del conflitto (Zedeck, Mosier, 1990); altre ricerche hanno esaminato gli effetti delle politiche organizzative e dei programmi sul conflitto (Kossew, Nichol, 1997; Miller, 1997); infine, recenti ricerche hanno messo a punto strumenti di “misura” del conflitto (Kossek, Ozeki, 1998; Netemeyer, Boles, McMurrian, 1996). 7 Uno dei primi studi che ha documentato questa forma di conflitto di ruoli è stato il Michigan Quality Employment Survey (Quinn, Staines, 1979).

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Conley, 1991), depressione (Burden, Googins, 1987) e assenteismo (Goff, Mount, Jamison, 1990).

Al costrutto di conflitto di ruolo è stato spesso affiancato quello di controllo, definito come la credenza di poter esercitare un’influenza sul contesto, sia diretta sia indiretta, così da renderlo meno minaccioso. I risultati di ricerca riconoscono nel controllo uno dei meccanismi chiave attraverso cui le soluzioni a disposizione per conciliare, sia formali sia informali, hanno effetto: queste conclusioni implicano, in grande sintesi, che l’aumento del senso di controllo riduca il conflitto percepito e sostenga la persona nel fronteggiare il problema della conciliazione (Thomas, Ganster, 1995).

Se le politiche di supporto alla conciliazione potrebbero avere influenza positiva sul senso di controllo e di autonomia, estendendo le possibilità di lavoro e i modelli di carriera, il ricorso agli strumenti messi oggi a disposizione risulta però limitato, in modo particolare da parte degli uomini (Hochschild, 1997), e la strada da fare sembra ancora lunga.

La dimensione del “genere” sembra comunque estremamente significativa nel modulare percezioni e sensibilità al tema: questo aspetto è evidentemente più accentuato per quanto riguarda la maternità, evento centrale per l’identità della donna e rispetto al quale l’uomo sembra confermare una presenza di “affiancamento” che si connota più come aiuto che non come condivisione del compito di cura dei figli (Hochschild, 1997).

Inoltre, sul fronte delle differenze di genere, Pleck (1977) ha suggerito che la natura del conflitto è diversa e asimmetrica per uomini e donne. Per gli uomini, il lavoro più spesso è un’intrusione nel contesto familiare, in termini di tempo ed energia tolte alla famiglia. Per le donne, di solito, la direzione è opposta: dalla famiglia al lavoro. Molto del carico di stress e dell’aumento di fatica associato con le famiglie “dual-earner” è sentito dalle donne (Alpert, Culbertson, 1987), anche se quante più donne perseguono una carriera impegnativa tanto più lo stress di venire a patti con ruoli molteplici colpisce sia donne sia uomini, i quali, peraltro, spesso dimostrano difficoltà ad adattarsi a mogli con molteplici ruoli (Weiss, 1987).

Ricerche recenti (Behson, 2002b) confermano comunque come il conflitto tra lavoro e famiglia sia percepito in misura significativa anche dagli uomini (Hall, 1990; Pleck, 1993), e questo è un segnale che sia forte per questi ultimi l’esperienza di pressioni verso un maggiore equilibrio, pur se la loro attivazione in termini comportamentali risulta comunque meno intensa di quella

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delle donne. Il conflitto in senso inverso quando, però, è la famiglia a invadere il lavoro, permane più intenso nelle donne (Pleck, 1993). 2.2 Il ruolo dell’organizzazione

Molte sono le variabili organizzative chiamate in causa dagli studi: alcuni dati di ricerca suggeriscono che esista una relazione inversa tra il commitment organizzativo e il conflitto tra lavoro e famiglia ma anche tra famiglia e lavoro (Netemeyer et al., 1996). Inoltre esisterebbe una relazione positiva tra le due forme di conflitto e il burnout, la tensione, l’ambiguità e l’insoddisfazione di ruolo, ma anche con l’intenzione di lasciare l’organizzazione, con la prestazione di lavoro e, infine, con alcuni sintomi fisici e con la depressione. Kossek e Ozeki (1998) hanno indicato l’esistenza di una relazione negativa tra ogni forma di conflitto lavoro-famiglia e la soddisfazione di lavoro e di vita.

Sono inoltre stati identificati alcuni costrutti più specifici: Thompson e collaboratori (1999) hanno tentato di rilevare la work-family culture, un costrutto definito come “le assunzioni condivise, le credenze e i valori relativi alla tendenza dell’organizzazione a sostenere e valorizzare l’integrazione tra vita lavorativa e familiare delle persone” (Thompson et al., 1999, p. 394) e composto dal supporto manageriale (Goff et al., 1990; Kossek, Nichols, 1992; Parasuraman et al, 1992; Frone et al., 1997), dalle conseguenze negative sul piano della carriera a valle del ricorso alle forme istituzionali di supporto alla conciliazione e, infine, dalla richiesta di tempo che l’organizzazione pone all’individuo (Hall, 1990). La cultura supportiva sembra essere positivamente correlata con il ricorso a benefit, con il commitment, con un minor turnover e un minor conflitto percepito tra lavoro e famiglia.

Allen (2001) ha invece analizzato la percezione di un’organizzazione family-supportive definita come la globale percezione dell’organizzazione impegnata a sostenere la persona nella sua gestione delle responsabilità familiari (Allen, 2001): si tratta di una combinazione tra accessibilità dei family supportive benefits e presenza di family supportive supervisors. L’autore ha osservato come le organizzazioni percepite come maggiormente supportive erano quelle in cui era maggiore l’uso dei benefit, ma anche più elevato il commitment, e meno marcate le intenzioni di lasciare il lavoro: particolarmente rilevante è l’apporto della percezione di supporto da parte dei supervisori o dei

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responsabili. Non sarebbe dunque, secondo questa ricerca, tanto l’accessibilità e disponibilità dei benefit a influenzare l’atteggiamento di lavoro, ma la percezione di sostegno da parte dell’organizzazione.

Il tema della cultura organizzativa e dell’atteggiamento dei vertici di fronte ai problemi di conciliazione dei singoli è particolarmente rilevante: la ricerca, ad esempio, ha evidenziato come il ricorso ai benefit non possa essere considerato un gesto vincolato solo alla loro disponibilità “da contratto”: resoconti informali continuano a suggerire che l’uso dei benefit family-friendly non sarebbe entusiasticamente accolto dal line management e che le persone temerebbero che fare ricorso a tali benefit potrebbe danneggiare la loro carriera (Allen, 2001).

Alcune ricerche hanno confermato la presenza di questa credenza (Thompson et al., 1999): le persone spesso ritengono che i programmi family-friendly e i benefit possano essere svantaggiosi sul piano della carriera (Behson, 2002a) e si trovano così a dover scegliere tra avanzamenti di carriera “fast-track” oppure “mommy-track” o “daddy-track” (Hall, 1990).

In generale è dunque possibile affermare che un’atmosfera organizzativa family-friendly possa aiutare a ridurre lo stress che il lavoratore esperisce dal conflitto famiglia-lavoro anche se esistono poche ricerche sistematiche in merito. Thomas e Ganster (1995) suggeriscono che le politiche e le pratiche di supporto alla famiglia possono inoltre produrre significativi benefici in termini di atteggiamento e benessere: in particolare sono la flessibilità e il comportamento supportivo dei supervisori, considerati attenti anche a domande non relative al lavoro, a essere particolarmente efficaci. 2.3 Le soluzioni per conciliare e il telelavoro

Se la dimensione culturale, nei contesti organizzativi, influenza in maniera rilevante la gestione del problema della conciliazione, una riflessione specifica meritano le soluzioni o strategie per conciliare, siano esse8 informali o 8 Thomas e Ganster (1995) hanno anche distinto le soluzioni in: family-supportive policies e family-supportive supervisors. Le prime fanno riferimento alle soluzioni più tradizionali ovvero benefici per la cura, i pacchetti assicurativi, l’assistenza, child care, la flessibilità d’orario, i servizi di informazione e di riferimento, il telelavoro, il job sharing e i congedi. I secondi invece sono quei supervisori che condividono con le persone il loro bisogno di trovare un equilibrio tra i due ruoli e che dunque offrono alle persone sostegno attraverso piani di lavoro flessibili, tolleranza rispetto alle telefonate a casa, apertura nel consentire, ad esempio, molto concretamente, di portare i figli al lavoro. Di fatto da questa distinzione resta fuori la rete dei colleghi e dei collaboratori che rappresentano però una variabile non trascurabile e da valorizzare nelle future ricerche.

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formali: le prime prevedono che il soggetto che esprime il bisogno di conciliazione sia di fatto protagonista della ricerca di soluzione, pur se essa può essere già implicitamente “validata” dalle abitudini di un dato contesto organizzativo; le seconde prevedono invece il ricorso a benefit introdotti a valle di un lavoro realizzato attraverso la promozione di specifiche politiche (all’interno del più ampio obiettivo del mainstreaming) e rese disponibili in maniera differente da diverse organizzazioni.

Poche ricerche sono state condotte a proposito dei tipi di comportamenti informali che le persone mettono in atto per equilibrare le due sfere di vita. Le ricerche che si concentrano sul conflitto di ruolo, ma soprattutto sullo stress e sul coping, forniscono un modello concettuale con il quale è possibile studiare l’Informal work accomodation to family (Behson, 2002a).

Per quanto riguarda le soluzioni formali, alle quali si vuole qui dedicare particolare attenzione, alcune ricerche hanno affermato che modalità di lavoro maggiormente flessibili possono esercitare un effetto diretto sul conflitto di ruolo percepito. Non stupisce il fatto che Shinn e collaboratori (1989) abbiano scoperto che la flessibilità d’orario contribuisce, ad esempio, a bassi livelli di conflitto famiglia-lavoro.

Nella letteratura psicologica esistono poche ricerche sistematiche a proposito delle soluzioni formali alla conciliazione che peraltro sono particolarmente sensibili alle caratteristiche del contesto (con riferimento al tema della cultura, come si accennava prima). A proposito dei possibili esiti dell’impatto di istanze familiari e domestiche sul lavoro, Burden e Googins (1987) elencano le seguenti: diminuzione di produttività; aumento delle pressioni sui supervisori come custodi della corporate family police; aumento d’uso dei benefit relativi alla sanità; aumento delle aspettative personali per il coinvolgimento dell’azienda; aumento della richiesta di benefit e delle politiche a favore della famiglia in alcune aree come cura dei figli, flextime, relocation and travel.

Molte organizzazioni stanno investendo in politiche di supporto9 ma ancora pochi sono i dati circa la relazione tra i programmi “family-responsive” e la produttività (Friedman, 1987). Sono però queste le aziende considerate dalle 9 Ricerche più recenti, nel contesto europeo, evidenziano come alla base della richiesta all’organizzazione di mettere a disposizione soluzioni formali per sostenere la conciliazione delle persone, possano essere individuate due ragioni differenti, nei termini di due distinte posizioni (espresse dalle persone coinvolte nella ricerca di Lewis e Smithson, 2001) che sostanziano tale richiesta: l’azienda deve sostenere la conciliazione perché questo atteggiamento è “moralmente” giusto; l’azienda deve sostenere la conciliazione perché è nel suo stesso interesse (economico) farlo (Lewis, Smithson, 2001).

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persone “le migliori in cui lavorare” (Trost, 1987). Non ci soffermiamo a descrivere le differenti soluzioni formali messe a disposizione per una rassegna delle quali rinviamo alla letteratura di taglio sociologico (Saraceno, Naldini, 2001; Naldini, 2002). Ci limitiamo a riportare alcune delle considerazioni che la ricerca psicologica ha fatto emergere a proposito del ricorso a tali soluzioni.

Sul fronte dei congedi emerge, come si è già in parte visto, come il ricorso a tali soluzioni sia spesso “frenato” dal timore di limitazioni future sul fronte dello sviluppo di carriera (Zedeck, Mosier, 1990). Stesso discorso può valere per le forme contrattuali alternative, come le diverse opzioni di part-time, tempo ridotto e job-sharing (Kahne, 1985). In linea generale il flextime non sempre è una soluzione praticabile, per qualsiasi tipo di lavoro e in ogni caso non sempre consente di risolvere interamente i problemi.

Se soluzioni come part-time e job-sharing consentono di continuare a lavorare e allo stesso tempo arginare uno specifico problema, spesso anche queste soluzioni sono inadatte a determinati tipi di lavori, considerate comunque inconciliabili con ruoli o incarichi di responsabilità e dunque spesso viste/vissute dalle persone in modo negativo: “soprattutto per gli uomini l’impiego a part-time può portare ad essere ‘marchiati’ perché viene tipicamente associato con l’incapacità di soddisfare gli obblighi maschili tradizionali di un impiego full-time (Eagley, Stefen, 1986)” (Zedeck, Mosier, 1990, p. 247). A queste soluzioni sembra comunque andare il merito, dal punto di vista dell’organizzazione, di aver generato un calo dell’assenteismo e dei ritardi.

Veniamo ora al telelavoro. Definiamo il telelavoro come una modalità flessibile di lavoro che copre un ampia gamma di attività, ciascuna delle quali implica di lavorare a distanza del tradizionale posto di lavoro per una porzione significativa del proprio tempo di lavoro (Gray, Hodson, Gordon, 1993). Esso può dunque avere caratteristiche differenti, essere full-time o part-time, ma sempre si appoggia in modo significativo alla tecnologia, al fine di consentire un continuo contatto con l’azienda (telefono, e-mail, …).

Il telelavoro ha oggi elevata diffusione in molti paesi: negli Stati Uniti, nel 1999, si stimava una presenza di telelavoranti pari a 19.6 milioni di persone. In Italia i dati sul telelavoro sono ancora poco definiti. Se guardiamo i dati forniti dal sito www.telelavoro.it, essi indicano una generale difficoltà a identificare il numero dei telelavoratori in una nazione, in relazione alla difficoltà a identificare con esattezza il "telelavoratore". La stima più attendibile, secondo questa stessa fonte, è senza dubbio quella elaborata nel 1999 dal

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progetto ECATT dell'Unione Europea, che rilevava, in Italia, l’esistenza 584.000 telelavoratori e 135.000 telelavoratori occasionali.

Sono sempre di più le organizzazioni che intravedono nel telelavoro una modalità per accrescere in via diretta e indiretta la flessibilità e la produttività e una soluzione per molti versi efficace nell’aumentare la possibilità di bilanciare efficacemente lavoro e resto della vita. Rispetto all’impegno delle organizzazioni sul fronte del telelavoro, le esperienze internazionali segnalano l’importanza della fase di “preparazione dell’organizzazione”, come passaggio indispensabile per implementare iniziative di telelavoro realmente fruibili e fruite dalle persone.

I dati raccolti da differenti ricerche sul telelavoro indicano una buona efficacia di questa soluzione, sia sul fronte dei vantaggi per l’organizzazione, sia su quello della conciliazione (Ford, McLaughlin, 1995). È interessante notare che Fritz (1995) ha evidenziato come il numero di giornate a settimana in telelavoro rappresenti un fattore decisivo nel determinare l’efficacia del telelavoro stesso: la produttività maggiore sembra infatti essere di quei soggetti che telelavorano da uno a tra giorni a settimana.

Se pochi sono dunque i dubbi rispetto al fatto che la flessibilità incida positivamente sulla produttività, non è ancora chiaro come questa dinamica funzioni e, soprattutto, non sono ancora precisate le modalità più adeguate per sostenere la flessibilità, oltre che la sua relazione con quanto accade fuori dal lavoro.

A fronte di queste considerazioni generalmente positive, va rilevato come l’impatto delle forme di telelavoro non sia uguale per tutti, anche se i risultati di ricerca non sempre coincidono: in particolare sono soprattutto le donne al centro dell’attenzione (Sullivan, Lewis, 2001). La scelta di telelavorare è in molti casi “al femminile” e coincide con un bisogno specifico di impegnarsi in compiti di cura dei figli (cosa che non avviene per gli uomini): può accadere, però, che in questi casi il telelavoro non sia la soluzione più efficace.

Sul piano culturale esso perpetua modelli di ruolo familiari tradizionali e può implicare per le donne un aumento di stress perché si è costantemente forzati a venire a patti simultaneamente con domande conflittuali del duplice ruolo lavorativo e familiare. Il lavoro a casa può, in effetti, accrescere il conflitto tra richieste di lavoro e familiari, eliminando i confini fisici tra i contesti (Shamir, Salomon, 1985).

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Altri svantaggi psicologici per le persone includono il senso di isolamento per la mancanza di accesso al network informale o al feedback da parte dei pari; può inoltre indurre al workaholism e al burnout perché non esiste un orario definito (Hamilton, 1987).

Allo stesso tempo questa “formula” ha anche vantaggi: per le organizzazioni soprattutto in termini di riduzione di costi, laddove il telelavoro sia full-time, e, come si è visto, in termini di produttività.

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SECONDA PARTE Lavorare tra azienda e casa

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CAPITOLO 3 L’AVVIO DEL TELELAVORO: L’INCONTRO CON

LE FUTURE TELELAVORANTI Lara Colombo

In questo capitolo presentiamo i principali risultati emersi nel corso delle

interviste individuali alle dipendenti candidate al telelavoro, interviste realizzate prima dell’avvio della sperimentazione, al fine di individuare degli indicatori da presidiare nel corso del monitoraggio.

Abbiamo incontrato le “future telelavoranti”, in un loft messo a disposizione dall’azienda e nella tranquillità di un “setting” adeguato a questa prima fase di monitoraggio e abbiamo raccolto i loro pensieri nei confronti del telelavoro, ricollegando quest’ultimo al tema della conciliazione e della gestione del conflitto tra lavoro remunerato e resto della vita.

Si ricorda, che le interviste sono state trascritte fedelmente e sottoposte ad analisi del contenuto; in seguito sono state individuate, in fase di analisi, alcune categorie concettuali attorno alle quali sono stati organizzati i dati raccolti. L’analisi effettuata sui protocolli di intervista si è proposta obiettivi esclusivamente descrittivi.

3.1 Obiettivi e modalità di svolgimento delle interviste Questa prima fase di monitoraggio, che ha visto coinvolte le sei

telelavoranti prima dell’effettiva sperimentazione, ha avuto l’obiettivo di indagare le motivazioni, le aspettative, i bisogni, i desideri e i timori non solo delle telelavoranti ma anche delle persone vicine, sia in ambito lavorativo, sia in ambito familiare.

Le aree indagate nel corso dell’intervista individuale hanno riguardato i seguenti temi:

- la storia lavorativa e professionale, individuando le tappe più significative, i passaggi più importanti che hanno condotto sino alla posizione ricoperta in Basic.Net. Questa prima sezione ha riguardato, inoltre, la raccolta di dati più organizzativi a partire dalla descrizione del

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ruolo e delle mansioni svolte in azienda, sino alla composizione del gruppo di lavoro, all’intreccio del proprio lavoro con quello di colleghi e collaboratori e all’importanza della presenza in azienda per lo svolgimento del lavoro proprio e altrui

- l’intreccio tra vita professionale e personale e modalità di gestione del conflitto tra lavoro remunerato e resto della vita sia attraverso strategie personali di coping, sia attraverso il sostegno interno e/o esterno all’organizzazione

- la rappresentazione del telelavoro, in termini di conoscenza del telelavoro come soluzione ai problemi di conciliazione e di immagine che ne emerge a valle delle informazioni che si possiedono, raccolte anche informalmente e sul “sentito dire”

- la percezione individuale del telelavoro, ovvero motivazioni, aspettative, bisogni, timori e prefigurazione dell’esperienza in termini di vantaggi/opportunità e svantaggi/preoccupazioni, provando a distinguere tre livelli: personale, organizzativo e per la comunità. In questa stessa sezione si è indagato sulle prime reazioni personali alla proposta di sperimentazione e sulla modalità di decisione (autonoma? condivisa e negoziata con familiari? condivisa e negoziata con il compagno? condivisa e negoziata con i colleghi e superiori?)

- la percezione del telelavoro negli altri, ovvero le reazioni di familiari, colleghi, collaboratori e responsabili alla decisione di candidarsi per il telelavoro

- la prefigurazione dei cambiamenti, in termini di gestione del tempo e dello spazio tra lavoro remunerato e resto della vita. Le intervistate sono state, inoltre, stimolate a riflettere sui possibili legami tra telelavoro e cambiamenti/miglioramenti sul piano dello stress e della fatica lavorativa

- la prefigurazione dei rischi, sul piano della relazione con i colleghi/superiori, dell’efficacia e dello svolgimento del lavoro, della carriera e della crescita professionale.

Dall’analisi dei dati emergono otto vertici cui si possono ricondurre le

riflessioni delle intervistate: le motivazioni, le aspettative e i cambiamenti intravisti; la presa di decisione e la reazione altrui; l’immagine del telelavoro;, i punti d’attenzione e i punti forti del telelavoro; il telelavoro e la gestione dei

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confini spazio-temporali; i vantaggi per l’azienda; la cultura del telelavoro e la valutazione della sperimentazione.

In alcuni casi, laddove ci sembra importante ai fini esplicativi, riportiamo, accanto alla descrizione più propriamente teorica dei dati raccolti, le frasi tratte dalle interviste (con garanzia di anonimato) a sostegno e testimonianza dei costrutti teorici emersi. 3.2 Le motivazioni, le aspettative e i cambiamenti intravisti

Le motivazioni che hanno spinto le intervistate a proporsi per la

sperimentazione del telelavoro sono legate sia ad aspetti di gestione dei carichi familiari, sia di salvaguardia del proprio benessere e della qualità della propria vita. In particolare, le motivazioni sono collegate all’aspettativa di avere più tempo a disposizione per:

gestire i carichi familiari, nello specifico la gestione dei figli, riducendo così gli oneri delle persone che appartengono alla rete di sostegno più stretta, generalmente genitori e suoceri

Il telelavoro […] per me poteva essere una soluzione per conciliare appunto lavoro e famiglia […] senza dover dipendere dai miei suoceri…

dedicarsi al proprio benessere personale e alla cura della casa, seguendo

maggiormente i ritmi di vita naturali propri e dei propri familiari, in particolare del compagno e dei figli

… il tempo che uno dedica a se stesso è sempre un po’ limitato… quando inizi una vita a due, uno è più legato… il tuo tempo libero è più legato al tempo libero del tuo compagno…

concentrarsi maggiormente nel lavoro senza le distrazioni dell’ufficio, i

telefoni che squillano, le richieste improvvise e non urgenti a cui è necessario rispondere rapidamente

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… io mi auguro di riuscire a concentrarmi, quindi di avere meno distrazioni… io trovo che in ufficio ci siano un sacco di distrazioni… dalla collega che passa, al telefono che squilla…

ridurre lo stress derivante dalla vita in ufficio sia sul piano dello

svolgimento del lavoro, sia sul piano delle relazioni interpersonali che hanno implicazione sulla qualità di vita personale

… senz’altro vivrei molto più rilassata… aggiornarsi e curare maggiormente la propria crescita personale e

professionale

… creare un momento di lavoro più organizzato per me per studiare…

valutare di persona il telelavoro e “testarlo” per i propri collaboratori

onde prefigurarsi la modalità di funzionamento, in vista di eventuali future candidature

… è anche per questo che mi sono candidata perché ho detto “mah, se poi qualcuno del mio ufficio volesse farlo, almeno so cosa può fare”…

evitare i “tempi della città”, come ad esempio i viaggi lunghi e

stressanti, oltre che costosi, nel traffico cittadino per raggiungere l’ufficio

… la mattina io mi alzo alle 6.15 perché ho un’ora di viaggio, quindi ti alzi, ti prepari, fai le tue piccole cose, magari inizi un po’ a imbastire la cena, perché se poi arrivi tardi mangi solo il cinese e non è bello tutte le sere!

In sintesi, le motivazioni che hanno spinto a candidarsi sono molteplici:

alcune maggiormente legate alla gestione dei carichi familiari, altre più personali, collegate al bisogno di gestire il proprio tempo alla ricerca di un maggior benessere personale e di una qualità della vita più consona alle proprie aspettative. Il benessere personale passa, anche, attraverso l’esigenza di un

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modo diverso di lavorare che permetta maggiore concentrazione e possibilità di accrescere le proprie competenze professionali, tenendosi fuori, per alcune ore e per alcuni giorni, dal “frastuono” delle relazioni, in alcuni casi particolarmente affaticanti.

Per quanto riguarda i cambiamenti, è prefigurato dalle telelavoranti un cambiamento parziale nella modalità/approccio di interazione con i colleghi, poiché aumenteranno i rapporti e le richieste tramite telefono o e-mail e diminuiranno quelle vis à vis. Un altro cambiamento intravisto riguarda le modalità di lavoro dei colleghi stessi che dovranno formulare le richieste in modo diverso, richieste a cui, inoltre, non sempre si potrà rispondere nell’immediato.

3.3 La presa di decisione e la reazione altrui

La proposta di sperimentazione è stata accolta dalle sei intervistate con un immediato slancio positivo, seguito da un momento di preoccupazione soprattutto per le possibili ricadute negative a causa della propria assenza in ufficio.

La decisione di partecipare alla sperimentazione è stata esclusivamente individuale, a carico cioè unicamente della persona. Da un lato la decisione è stata presa pensando ai carichi familiari o alle esigenze di destinare una maggiore quantità di tempo per sé al fine di migliorare la qualità della propria vita, in generale. Anche quando la decisione è stata presa per una più agevole e serena conduzione della famiglia, i familiari non sono stati coinvolti direttamente: essi sono ritenuti esclusivamente i beneficiari ultimi di questa scelta.

Da un altro lato, in seconda battuta, per trasformare la decisione in azione si è coinvolto anzitutto la/il responsabile. Infatti, sul piano lavorativo le persone coinvolte nella decisione sono state le figure di responsabilità e, solo marginalmente, è stata presa in considerazione l’opinione di collaboratori e colleghi che hanno rappresentato, piuttosto, una preoccupazione di fondo da presidiare per il buon esito della sperimentazione.

A valle delle decisione, le reazioni in famiglia e in ufficio sono state complessivamente positive e di supporto e non si sono registrate reazioni

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negative (fatta eccezione per qualche preoccupazione sul piano contrattuale cui accenneremo più avanti).

In particolare, in famiglia sono soprattutto coloro che sono coinvolti direttamente nella gestione dei problemi di conciliazione (i “nonni”, i partner, …) a essere stati favorevoli al telelavoro, poiché percepiscono sia una diminuzione del carico, sia una migliore qualità della vita, propria e della telelavorante.

In ambito lavorativo è percepito come fondamentale, ai fini del funzionamento del telelavoro, il rapporto di fiducia che lega la telelavorante e la/il responsabile. In ufficio, quindi, le reazioni sono state positive, in alcuni casi sono state le stesse colleghe a proporre, conoscendo i carichi familiari, la soluzione del telelavoro. Qualche preoccupazione iniziale è emersa, invece, per quanto riguarda la reperibilità della telelavorante e, in alcuni casi, sulla sua assenza da un punto di vista relazionale e amicale (come timore di sentire la mancanza della collega o della collaboratrice).

3.4 L’immagine del telelavoro

Qual è l’immagine del telelavoro, ancora prima di sperimentarlo, che emerge dalle interviste? Il telelavoro è visto prevalentemente come una possibile soluzione ai problemi di conciliazione, una formula che consente maggiore flessibilità a chi deve gestire carichi familiari, agevolando, in effetti, la persona prima che l’azienda

… il problema per me è nato quanto mi sono sposata… … sinceramente vantaggi, in questo momento, per l’azienda non ne vedo…

Per quanto riguarda le diverse modalità di telelavoro, la formula verticale

con giorni fissi rappresenta, per alcune intervistate, la via più adeguata per valutare il successo della sperimentazione in termini di coerenza con il proposito di garantire la flessibilità a favore della persona; le intervistate, invece, che hanno deciso i giorni del telelavoro nel rispetto delle esigenze aziendali hanno optato per la scelta del telelavoro verticale con giorni non fissi, al fine di garantire una maggiore flessibilità a favore dell’azienda cercando di assicurane il buon funzionamento, anche nel rispetto del lavoro di gruppo.

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3.5 I punti d’attenzione e i punti forti del telelavoro

I punti d’attenzione riguardano le perplessità, i dubbi, le incertezze e le criticità che le future telelavoranti si sono prefigurate nei confronti della nuova esperienza di lavoro. Questi punti di attenzione, che sono stati oggetto di attenzione nel corso della sperimentazione, sono controbilanciati da punti forti rappresentati dai vantaggi percepiti nei confronti del telelavoro, nonché dalle soluzioni prefigurate per compensare le criticità.

Il primo punto d’attenzione mette in evidenza la preoccupazione di perdita di contatto con colleghi e collaboratori sia sul piano relazionale e amicale, sia sul piano dello scambio di informazioni. È da precisare che queste criticità sono percepite solo da alcune intervistate

…io a casa mia ci sto bene… ci può essere però questa cosa che sono sempre qui dentro (a casa) e lavoro, non vedo nessuno, non scambi due parole con qualcuno… ci può essere questa possibilità di isolarsi… …la presenza dei colleghi è quello che ti porta fuori tutti i giorni, ed è quello che forse ti fa venire voglia di uscire di nuovo quando torni dal lavoro… forse stando da soli questi stimoli si perdono…

La preoccupazione di perdita di contatto con l’azienda in generale e con i

colleghi nello specifico è limitata dalla formula di telelavoro part-time, estremamente flessibile; la maggior parte delle intervistate afferma, infatti, che i giorni di telelavoro sono pochi, al punto da non prefigurarsi come eventuale rischio l’isolamento sociale o organizzativo relativo a informazioni istituzionali, trasmissione delle conoscenze necessarie all’esecuzione di compiti in continua evoluzione e coinvolgimento sul piano del lavoro

…se io avessi dovuto, per dire, solo lavorare da casa, non l’avrei fatto, perché comunque sempre in quattro mura non è neanche bello… … mantenendo uno o due giorni secondo me non c’è il rischio dell’isolamento, però con più giorni penso proprio che poi magari si perdono i contatti…

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Lo svolgimento del telelavoro per pochi giorni è vissuto come una formula che permette alla persona, senza escluderla/isolarla dall’ambiente di lavoro, di alleggerire i carichi familiari o di organizzare il proprio lavoro in modo più consono ai propri ritmi ed esigenze. Inoltre, la possibilità di accesso a tutti i dati, attraverso la rete, è un elemento rassicurante al fine di evitare l’isolamento organizzativo.

Un secondo punto d’attenzione riguarda l’efficacia nello svolgimento del lavoro; nello specifico la preoccupazione riguarda il calo nel rendimento di lavoro nei propri collaboratori a causa della propria assenza, laddove si abbia un ruolo di responsabile. Emerge anche il timore di ripercussioni sul lavoro di gruppo, vale a dire che qualcosa venga a mancare in ufficio a causa della propria assenza. Questa criticità è controbilanciata dalla garanzia di frequenti contatti telefonici e telematici, dalla garanzia di reperibilità e dalla diffusione delle informazioni circa la reperibilità di documenti

…lo scambio di informazioni può essere fatto tramite mail, al massimo tramite telefono […] se sono in ufficio (le questioni) vengono risolte verbalmente, se sono a casa, vengono risolte via mail, tanto il computer è lì e gli dai una risposta immediata…

Anche il timore di lavorare di più a casa e di non riuscire a tenere separati

i tempi da destinare al lavoro remunerato e quelli da dedicare al resto della vita (cura di sé, della casa, …) è un rischio, in linea con la letteratura, percepito da alcune future telelavoranti

… il dubbio è che lavorando da casa non avendo appunto vincoli d’orario, lavori fino a che hai finito… il dubbio di fare la nottata c’è! … alla fine una sta a casa e fa il doppio del lavoro… a casa, cosa fai? Ah, sono qua che aspetto, magari lavo due cose e quindi alla fine della giornata hai lavorato come in ufficio e in più hai fatto tutto a casa…

Timore questo non percepito da altre intervistate che, infatti, percepiscono

come un vantaggio la possibilità di svolgere, mentre si lavora a casa, delle piccole faccende di casa

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… è una comodità… al posto di andare a prendere il caffè come faccio adesso in ufficio, stendo il bucato, faccio le cose di casa… Infine, il telelavoro viene percepito come eventuale ostacolo alla carriera,

in una cultura aziendale dove la visibilità, la presenza, la disponibilità a esserci e quindi l’attaccamento aziendale sono condizioni necessarie per la crescita professionale (in qualche caso è una perplessità espressa anche da alcuni componenti della famiglia). La carriera, inoltre, è spesso vissuta dalle intervistate come opposta al benessere individuale. Secondo quest’ottica, il telelavoro è una soluzione innanzitutto a favore della qualità della vita individuale che si scontra però con l’eventuale desiderio di crescere professionalmente

… se intravedessi delle possibilità di carriera non so se avrei optato per il telelavoro… la presenza in azienda ti porta a essere visibile … se sei in fase di crescita, non lo trovo favorevole il telelavoro perché chi è sopra di te non ti vede… Secondo me, tristemente, da noi è molto ancora percepita come “chi vuole fare carriera deve essere lì”… A controbilanciare questa preoccupazione è il forte commitment della del

vertice nei confronti del progetto che è percepito come rassicurante a partire, anche, da una conoscenza della struttura orizzontale dell’azienda che, a parere delle intervistate, rinvia a una limitata possibilità di crescita professionale (nel senso tradizionale di “fare carriera”)

… non penso che questo, il telelavoro, sia un vincolo per la crescita professionale… quando hanno presentato questo progetto… il Presidente era ben predisposto per il telelavoro…

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3.6 Il telelavoro e la gestione dei confini spazio-temporali

Per quanto riguarda il telelavoro e l’eventuale mancanza di confini spazio-temporali, come si è già in parte visto, emergono riflessioni interessante in linea con la letteratura. Per alcune intervistate, infatti, il telelavoro non porta con sé il rischio che il lavoro invada la vita personale, in quanto il conflitto lavoro-famiglia (in termini di stress e preoccupazioni) è un’esperienza sempre presente, sia che il lavoro venga svolto in ufficio, sia a casa.

Emerge, quindi, un dato importante e più propriamente legato alla percezione individuale di sentire e gestire il conflitto tra lavoro remunerato e resto della vita; è come se non esistessero luoghi protetti. Il conflitto è una questione mentale, legata alla predisposizione individuale a portarsi “dietro” le preoccupazioni lavorative. Un’intervistata a tal proposito afferma

… che il lavoro invada la mia vita personale direi di no, nel senso che nei periodi di stress, cioè nella testa me lo porto a casa comunque, per cui che sia qui o che sia a casa mia non penso che cambi molto… non mi vedo a portarmelo dietro – il lavoro – più di quello che faccio adesso, comunque ci sono dei momenti in cui anche qua te ne vai a casa, ma in realtà il pensiero comunque rimane o ti viene… Per quanto riguarda l’organizzazione del proprio tempo, le future

telelavoranti che gestiscono carichi familiari cercheranno di pianificare la giornata in funzione degli orari dei propri figli. Il proprio tempo, quindi, è scandito anche dalle esigenze altrui che ne condizionano la programmazione.

Coloro, invece, che non sono obbligate a organizzare la propria giornata in base alle esigenze e agli orari altrui percepiscono il rischio di non riuscire a gestire il proprio tempo e a separare lavoro remunerato e resto della vita, accanto alla minaccia di un’invasione e sconfinamento dei due ambiti. È come se il rispetto degli orari altrui fosse più forte e più mobilitante del rispetto del tempo per sé, che ci si sente maggiormente disposti a sacrificare a vantaggio del lavoro. Non si può non fare la spesa per la propria famiglia, oppure non cucinare negli orari e nei tempi che richiede un bambino piccolo, ma si può (o ci si autorizza a farlo) sacrificare il tempo per sé e per il proprio benessere per lavorare (a volte di più del dovuto) o per gestire la famiglia.

Alla domanda “Come gestire/arginare questo pericolo?” le intervistate, che hanno sollevato questa preoccupazione, hanno parlato di un’imposizione

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personale, di “regole” da darsi e di un’organizzazione rigorosa della propria attività lavorativa a casa, come affermano due intervistate

Penso di impormi di staccare a un certo orario, penso proprio di impormelo… …io ho un rapporto molto passionale con il lavoro, lo vivo come una cosa che è mia, mi entusiasma… quindi tendo a lasciargli invadere anche quegli spazi che io avrei dedicato ad altre cose… per evitare che abbia queste espansioni, tendo a prendere degli impegni…

3.7 I vantaggi per l’azienda

Non sono prefigurati vantaggi particolari per l’azienda, però alcune intervistate percepiscono il telelavoro come una strategia che l’azienda può efficacemente adottare per il benessere e la qualità della vita dei suoi dipendenti, individuando una relazione (di “secondo livello”) tra benessere individuale e maggiore produttività/efficienza lavorativa in azienda

… in generale io penso che avere delle persone che sono più felici perché stanno più tempo coi figli o si laureano prima o semplicemente lavorano meglio, sia un vantaggio di per sé… ecco credo che la felicità dei dipendenti non dovrebbe essere un elemento secondario… … riesci a conciliare meglio tutte le cose, quindi sei più rilassato tu, riesci a produrre in modo più costruttivo e quindi in miglior modo… quindi hai un vantaggio personale e per l’azienda, per cui se riesci a lavorare meglio riesci a essere più produttiva… un vantaggio da ambo le parti! La riuscita del telelavoro, inoltre, può dare una misura della

funzionalità/efficienza dell’ufficio

… se questo esperimento ha un esito positivo, si fa bella figura agli occhi del Presidente perché vuol dire che il nostro ufficio funziona bene perché riusciamo a lavorare a distanza…

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3.9 La cultura del telelavoro

Il telelavoro in BasicNet rappresenta una novità realtà aziendale e non appare ancora consolidata una cultura del telelavoro

… è necessario estendere, sensibilizzare anche gli altri verso questa eventuale possibilità di lavoro… per far capire alla gente che uno può lavorare bene… i colleghi si devono abituare a questa ipotesi che c’è il telelavoro, che c’è la possibilità. Se no, finisce lì…

Sono percepiti, da parte delle telelavoranti, anche dei possibili pregiudizi

sulla produttività e sulla qualità del lavoro a casa. Sul piano più ampio dei riferimenti culturali “di genere”, da un lato emerge il rischio di rinforzare lo stereotipo della donna che “sta a casa”, dall’altro si afferma la volontà di dimostrare che il telelavoro è una soluzione che funziona:

… chissà se penseranno (colleghi e collaboratori) che quello che io ho fatto oggi è sufficiente… o magari si aspettavano di più… Ho un po’ la sensazione che sia l’azienda, sia la comunità in generale lo possa percepire come un ritornare indietro della persona e della società in generale… siccome alla donna viene riconosciuta una produttività inferiore dal punto di vista retributivo ho un po’ paura che togliendola anche dall’ufficio e rimettendola a casa… si ritorni indietro nella percezione che l’uomo ha delle donna…

3.10 La valutazione

Come è possibile valutare il telelavoro, ancora prima di sperimentarlo, in termini di efficacia lavorativa e di buon esito della sperimentazione? Dalle interviste emerge la necessità di trovare dei parametri per affermare che il lavoro svolto a casa è lo stesso quantitativamente e qualitativamente rispetto a quello svolto in ufficio.

Se non si lavora “a progetti” è, però, difficile poter valutare la quantità e la qualità del lavoro svolto a casa. In questo ultimo caso, un modo, intravisto dalle

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telelavoranti, è stabilirsi un criterio/parametro personale per valutare la propria produttività da confrontare con quello che sarà utilizzato dai responsabili e dai collaboratori/colleghi.

Emergono, al termine delle interviste, alcune speranze/sfide maggiormente legate alla preoccupazione di mantenere una buona prestazione lavorativa, propria e altrui:

inventarsi la capacità di organizzarsi per gestire il lavoro da casa; riuscire a svolgere non solo con la stessa efficienza ed efficacia il

proprio lavoro senza ostacolare il lavoro altrui, ma portare a termine le proprie mansioni con maggiore velocità grazie alle minori distrazioni;

non far percepire la propria assenza come un problema al proprio gruppo di lavoro;

mantenere una sinergia tra il proprio orario di lavoro e quello dei collaboratori/colleghi.

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CAPITOLO 4 L’AVVIO DEL TELELAVORO: L’INCONTRO CON

I GROUP-FAMILY10 Lara Colombo

Il secondo momento di monitoraggio e di valutazione del progetto ha previsto la realizzazione di un focus-group family con ciascuna delle telelavoranti (è da precisare che al momento dell’incontro pochissime di loro avevano già iniziato a telelavorare) insieme al proprio gruppo di lavoro.

Presentiamo, in questo paragrafo, i principali dati emersi nel corso degli incontri allargati. Tali dati sono aggregati e quindi non riconducibili ai singoli focus, ma trasversali alle cinque sotto-realtà organizzative analizzate.

4.1 Obiettivi e modalità di svolgimento dei focus-group family

L’obiettivo generale dei focus-group è stato di indagare le aspettative, i timori e individuare gli indicatori di efficacia della sperimentazione del telelavoro sul piano della produttività e della qualità delle relazioni.

Si ricorda che, al fine di consentire una valutazione congiunta dell’efficacia del telelavoro, in funzione degli indicatori individuati in questa prima fase, si sono realizzati focus-group family per ciascuna telelavorante al termine della sperimentazione.

I dati presentati in questo volume sono aggregati: nel processo di monitoraggio, invece, per ogni focus-group family è stato messo a punto un documento di sintesi, condiviso con la telelavorante e il suo gruppo. I focus di valutazione (di cui si rende conto nel capitolo 8) prendono l’avvio proprio da questi specifici documenti, nell’ottica di realizzare una sorta di confronto “prima-dopo”.

Nello specifico, gli obiettivi di questi primi focus-group all’avvio della sperimentazione sono stati:

10 Questo paragrafo è stato scritto con la collaborazione di Mara Martini

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- riflettere, con i principali attori organizzativi coinvolti, sul telelavoro come possibile soluzione organizzativa a favore di una migliore conciliazione tra lavoro remunerato e resto della vita;

- raccogliere aspettative e timori e individuare gli indicatori di efficacia della sperimentazione del telelavoro sul piano della produttività e della qualità delle relazioni di coloro che, lavorando a più stretto contatto con le telelavoranti, avrebbero maggiormente “toccato con mano”, almeno dal punto di vista dell’organizzazione, gli effetti del telelavoro.

Gli indicatori individuati sono stati, nei fatti, oggetto di monitoraggio

“qualitativo” e, al termine della sperimentazione, di valutazione per l’efficacia e la “fattibilità” del telelavoro stesso. Una precisazione è d’obbligo: la prefigurazione dei punti critici, così come dei punti di forza, è stata il filo conduttore delle osservazioni “informali” di tutti gli attori coinvolti nella sperimentazione, dando valore alle sensazioni e alle percezioni. Si è scelto dunque di non individuare indicatori “quantificabili”, anche in relazione alla difficoltà di trovarne di adeguati.

Gli stimoli proposti nel corso dei focus-group rimandano a tre aree tematiche: - la percezione del telelavoro, attraverso il racconto delle prime impressioni, delle reazioni, delle prefigurazioni connesse alla decisione di una persona del gruppo di telelavorare, ripercorrendo anche i momenti della decisione, della comunicazione al gruppo di lavoro e della condivisione - gli indicatori di efficacia nel raggiungimento degli obiettivi, attraverso la descrizione sia del processo di lavoro della telelavorante con attenzione per le interazioni con responsabili, colleghi e collaboratori, sia dei “prodotti” concretamente osservabili, al fine di produrre un elenco dei possibili elementi di efficacia e degli eventuali punti d’attenzione per il lavoro svolto dalla telelavorante - gli indicatori di efficacia nello scambio e nelle relazioni, a partire da una descrizione delle modalità relazionali usuali, con riferimento ai mezzi di comunicazione solitamente (e in preferenza) utilizzati e l’indicazione, da parte dei vari componenti del gruppo, di una misura soggettiva della frequenza, rilevanza e indispensabilità degli scambi con la telelavorante, al fine di individuare gli elementi che consentono relazioni efficaci nel gruppo di lavoro e i possibili punti d’attenzione.

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I dati, raccolti nel corso degli incontri allargati e analizzati trasversalmente, sono stati ricondotti a cinque vertici: la prima reazione con l’avvio della sperimentazione; lo spazio e il tempo del telelavoro e i legami con la conciliazione; il telelavoro e le conseguenze sull’efficacia nel raggiungimento degli obiettivi; le garanzie per il successo del telelavoro; la cultura del telelavoro. 4.2 La prima reazione con l’avvio della sperimentazione

Complessivamente la reazione dei gruppi di lavoro con l’avvio della sperimentazione del telelavoro è stata positiva: le telelavoranti sono state sostenute dai responsabili e dai colleghi nella loro scelta di lavorare a casa per alcuni giorni e per alcune ore al giorno.

Come per le interviste individuali, anche nel corso dei focus sono stati individuati punti di attenzione e punti di forza legati al telelavoro: i punti di attenzione riguardano le perplessità, i dubbi, le incertezze e le criticità; di contro, i punti forti controbilanciano quelli critici e rappresentano i vantaggi e le opportunità percepiti nei confronti del telelavoro.

Emerge inoltre, come punto di attenzione, qualche timore sulle conseguenze dell’assenza dall’ufficio delle telelavoranti, in particolare in momenti di sovraccarico lavorativo oppure in momenti di riduzione e/o inserimento di personale. La preoccupazione concerne le eventuali ricadute su chi resta in ufficio di tutte le richieste estemporanee dai colleghi; inoltre, i contatti a distanza, telefonici e telematici, possono rallentare la comunicazione, rendendola più lenta e difficile.

A controbilanciare questi aspetti critici, vi è la consapevolezza rassicurante, ancora una volta, che il telelavoro è part-time e questo può garantire il buon funzionamento del gruppo di lavoro, inoltre la gestione del lavoro è possibile a distanza attraverso i numerosi supporti informatici (posta elettronica, telefono, collegamento con il pc dell’ufficio,…) messi a disposizione dall’azienda per lo svolgimento del telelavoro.

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4.3 Lo spazio e il tempo del telelavoro e i legami con la conciliazione

Dai focus-group emerge un’ambivalenza nei confronti del telelavoro che riguarda la gestione degli spazi e dei tempi della propria casa. Da una parte, infatti, la casa è considerata un luogo protetto da distrazioni tipiche dell’ufficio e questo permette di concentrarsi durante lo svolgimento delle proprie attività lavorative. Sul polo opposto la casa è un luogo da proteggere, una sorta di “rifugio” in cui il lavoro non dovrebbe entrare. Per alcuni partecipanti ai focus, quindi, è importante, se non fondamentale, tenere separati i tempi e i luoghi destinati al lavoro remunerato e al resto della vita.

Se il “lavorare a casa” è per alcuni fonte di ambivalenza, anche il “non lavorare in azienda”, che si concretizza con il telelavoro, è ugualmente visto in controluce: il telelavoro rappresenta una soluzione lavorativa praticabile e positiva soprattutto per chi è costretto a sostenere un lungo viaggio per raggiungere l’ufficio, ma, dall’altra parte il telelavoro non è realizzabile per tutti.

In particolare i ruoli meno indicati per il telelavoro sono quelli che, evidentemente, richiedono reperibilità e presenza in ufficio per adempiere a richieste di assistenza tecnica e manutenzione, ad esempio.

Per quanto riguarda, invece, i legami con la conciliazione, il telelavoro viene descritto come una soluzione lavorativa a sostegno di chi, in particolare, deve gestire carichi familiari, potendo conciliare i vantaggi del lavoro remunerato (stipendio e arricchimento personale/possibilità di maturare professionalmente) con le esigenze personali e familiari.

4.4 Il telelavoro e le conseguenze sull’efficacia nel raggiungimento degli obiettivi

Dai focus-group emerge che il rispetto degli obiettivi lavorativi attesi

rappresenta un parametro più che adeguato per valutare il successo del (tele)lavoro. In particolare, ciò è possibile quando:

si svolgono le proprie attività lavorative abituali si è disponibili e, dunque, la propria expertise non viene meno si tiene aperto il confronto e si garantisce lo scambio in caso di dubbi o

perplessità operative

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si mantiene la sinergia tra i diversi ruoli. Sempre in un’ottica di valutazione del telelavoro, il tipo di lavoro

percepito come maggiormente compatibile con il telelavoro è quello: organizzato “per progetti”, che consente maggiore flessibilità e una

valutazione più puntuale autonomo, che non prevede interazioni frequenti né necessarie per il

procedere delle attività altrui programmabile, che permette di essere organizzato in anticipo.

4.5 Le garanzie per il successo del telelavoro

I partecipanti ai focus sono stati stimolati a riflettere su quali elementi considerare fondamentali per garantire il successo del telelavoro. Emergono due categorie, la prima legata al versante lavorativo, la seconda al versante relazionale.

Per quanto riguarda il versante lavorativo è considerato fondamentale, a garanzia del successo del telelavoro, innanzitutto organizzare in modo adeguato il lavoro in ufficio (da parte di tutto il team) e il lavoro a casa (da parte della telelavorante), così da garantire una sinergia con colleghi e collaboratori evitando, in questo modo, ricadute sul lavoro altrui, ad esempio un eventuale aumento del carico di lavoro su chi rimane in ufficio.

Altra condizione importante per il successo del telelavoro è la garanzia, da parte della telelavorante, della reperibilità nelle ore d’ufficio, così come anche la preparazione, in caso di necessità, delle riunioni di progettazione e degli incontri di supervisione, aggiornamento e condivisione del lavoro con il team di lavoro e l’individuazione delle priorità lavorative.

Significative e in parte in contrasto tra di loro, appaiono le riflessioni sulla flessibilità del giorno di telelelavoro: per alcuni deve essere garantita la flessibilità richiesta dall’ufficio attraverso la scelta non fissa del giorno di telelavoro, per altri la scelta fissa del giorno di telelavoro garantirebbe maggiore stabilità al lavoro del gruppo. Inoltre, è fondamentale informare gli interlocutori della telelavorante sui giorni di telelavoro, così da non creare confusione sui motivi di assenza dall’ufficio che possono essere anche altri (malattia, ferie, …).

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Condizione indispensabile per il successo della sperimentazione è, inoltre e ovviamente, la funzionalità della rete e della modalità internet a garanzia degli scambi quotidiani di lavoro.

Sul versante relazionale, la fiducia nel rapporto tra responsabile e telelavorante è ritenuta fondamentale per il buon esito della sperimentazione, come anche la disponibilità (talvolta più di carattere psicologico) dei responsabili a rinunciare alla sicurezza della presenza costante di una collaboratrice. Inoltre, il confronto, il sostegno e il supporto emotivo da parte della telelavorante devono essere garantiti e mantenuti attivi durante la sperimentazione, soprattutto da parte di chi ha un ruolo di responsabilità.

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CAPITOLO 5 DURANTE IL TELELAVORO: VOCI DALLA RETE

Lara Colombo, Chiara Ghislieri

Nel corso dell’esperienza sperimentale del telelavoro, in accordo con le telelavoranti, si è mantenuto vivo lo scambio e il dialogo attraverso un canale virtuale.

La rete, attraverso la scambio di mail, ha rappresentato, in questo contesto, la modalità “per eccellenza” per entrare nel vivo del telelavoro. 5.1 L’obiettivo e la modalità di svolgimento dello scambio virtuale

Con l’avvio effettivo della sperimentazione è stata attivata, infatti, una mailing list finalizzata a raccogliere riflessioni, suggestioni, ma anche dubbi e perplessità sull’esperienza in corso, a partire da alcuni stimoli inviati dal gruppo di ricerca.

Nel corso del monitoraggio sono state inviate due mail-stimolo alle telelavoranti: la prima, in particolare, ha avuto l’obiettivo di inaugurare lo spazio virtuale per uno scambio “ragionato” sull’esperienza in corso con l’obiettivo di stimolare la riflessione collettiva sulla nuova modalità di lavoro. La seconda ha avuto l’obiettivo più generico di sostegno e di feedback rispetto alle mail delle telelavoranti

Il monitoraggio virtuale è stato svolto per tutta la durata della sperimentazione, a partire dall’effettivo avvio del telelavoro fino allo svolgimento dei focus-group di valutazione.

Lo scambio di mail (con il comando “reply all” che permette una reale condivisione), tra le telelavoranti e il gruppo di ricerca, non è stato particolarmente denso (nel senso di frequente); abbiamo tuttavia deciso, in un’ottica di conciliazione, di rispettare i tempi delle telelavoranti, evitando di insistere con richieste di risposta agli stimoli proposti.

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5.2 L’avvio e lo scambio

Presentiamo ora, più puntualmente e nel formato originale, le mail più suggestive delle telelavoranti, a partire da una prima spedita del gruppo di ricerca con l’obiettivo, come descritto prima, di inaugurare lo spazio e quindi il confronto. Il nostro ruolo in questa fase intermedia di monitoraggio è stato di guida e di sostegno dei processi di cambiamento in atto.

Abbiamo chiesto di fornirci un breve bilancio dell’esperienza in corso e di riflettere sul tema della conciliazione, a partire da una frase di una donna intervistata in occasione di un’altra ricerca dal gruppo di ricerca:“… Se l’uomo è a casa e dice ‘Papà lavora’ si chiude la porta e tutti dicono ‘Papà lavora’. Se mamma è a casa e dice ‘Mamma lavora’, non gliene potrebbe fregare di meno a nessuno […], tanto il figlio se ne accorge che tu hai solo cambiato porta…”.

Il tema è, appunto, quello della conciliazione e in particolare si riferisce alle differenze di genere in tema di gestione del proprio tempo e dello spazio casalingo quando si decide di lavorare tra le mura domestiche e come il telelavoro può aiutare oppure ostacolare questa gestione. La frase proposta è evocativa anche se, ovviamente, può avere un maggior impatto su chi è già madre e si trova a gestire i figli. Nonostante ciò, abbiamo chiesto a tutte le telelavoranti, quindi anche alle “non mamme”, di partecipare allo scambio collettivo, facendo uno “sforzo” di immedesimazione, di prefigurazione; di ragionamento basato sul “come se…”, o anche di riflessione a partire da ciò che si osserva nelle amiche, nelle colleghe, nelle sorelle,… già madri. Nella pagina seguente è “riprodotta” la mail iniziale inviata dal gruppo di ricerca, in quelle successive presentiamo una selezione delle mail più significative delle telelavoranti, la prima maggiormente centrata sulla sfera lavorativa, le altre su quella privata.

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A questa prima mail-stimolo del gruppo di ricerca, una telelavorante, dando avvio allo scambio virtuale, afferma che il lavoro a casa è portato avanti come se si fosse in ufficio (dove non si sono riscontrate criticità) e, anzi, la sensazione è quella di lavorare meglio e di gestire in modo più adeguato e puntuale le richieste altrui. Superati i primi “affanni” dovuti alla novità dell’esperienza, la tranquillità delle mura domestiche aiuta effettivamente ad affrontare e a gestire anche le questioni personali: la conduzione della famiglia avviene durante la settimana e il weekend è finalmente libero da impegni domestici.

Interessante è la riflessione offerta da un’altra telelavorante in tema di “equilibrio di coppia”. Il telelavoro si connota come momento di attenzione rispetto a questo equilibrio, emerge infatti il rischio che tutto il carico familiare ricada sulla donna che sta a casa a lavorare.

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Un’altra telelavorante fornisce un’ulteriore conferma a quanto detto

precedentemente sull’equilibrio di coppia.

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5.3 In sintesi

Complessivamente, i commenti delle telelavoranti sull’esperienza in corso sono stati positivi, a tratti entusiastici: lavorare a casa riduce la percezione dello stress, ma non la mole complessiva di lavoro che rimane inalterata; a volte, emerge la difficoltà di allontanarsi dall’ufficio e quindi di svolgere regolarmente i giorni di lavoro a casa, scelti per la sperimentazione. Da alcuni stralci di mail:

L'esperienza del telelavoro procede molto bene, credo che non sarei riuscita a superare lo stress causato dalla grande mole di lavoro di questi ultimi mesi, se non avessi avuto la possibilità di allontanarmi dall'ufficio, anche se le ore di lavoro non sono diminuite… Anche la mia esperienza di telelavoro sta procedendo molto bene anche se nelle ultime settimane allontanarsi dall'ufficio non è stato molto possibile… Provando a fare una sintesi, il telelavoro è una soluzione che permette di

portare avanti il lavoro esattamente come in ufficio, potendo contare anche sui vantaggi del lavoro svolto a casa in termini di maggiore concentrazione: la tranquillità delle mura domestiche è, infatti, rassicurante e aiuta ad affrontare con serenità anche le emergenze dell’ultimo minuto.

Sul versante lavorativo, non sono denunciate lamentale da parte dei colleghi che, anzi, sono piacevolmente sorpresi della reperibilità della telelavorante, anche maggiore di quando è in ufficio.

È confermata la percezione, già emersa in alcune interviste individuali, che il lavoro remunerato ha spesso la priorità su tutto, il resto della vita è invece sconfinato a “quando si ha tempo”. È evidente che, per alcune telelavoranti, i confini spazio-temporali che dividono casa e ufficio si mischiano, permettendo al lavoro di invadere spazi e tempi tipicamente domestici. L’eventuale invasione del lavoro nei tempi di vita personale (pranzo, orario di fine lavoro posticipato,…) è però sostenuto e ben accettato perché permette, in una sorta di compromesso, una migliore gestione familiare.

Sul versante della conciliazione, ricondotta quasi esclusivamente al conflitto tra lavoro e famiglia, il telelavoro si è rivelato una soluzione ottimale per gestire i carichi familiari e le faccende domestiche, nonché per avere più

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tempo per sé che si guadagna in particolare al termine della settimana: il weekend non è più il momento della spesa e/o delle pulizie di casa, ma è destinato, finalmente, al tempo libero e al relax, proprio e dei familiari in generale; nello specifico, anche la “coppia” ne trae benefici, perché si passa più tempo insieme.

Rimanendo in tema di “coppia” è certamente interessante la riflessione circa l’equilibrio tra i partner ” e di presenza/assenza di sostegno da parte del partner, emerge un dato interessante denunciato da alcune telelavoranti: quando marito e moglie (oppure compagno e compagna) sono entrambi a casa a lavorare (quindi, a parità di “condizione”), la conduzione domestica spetta alla donna e non all’uomo che invece si assume delle responsabilità tipicamente domestiche solo quando la consorte (la compagna) lavora in ufficio. L’uomo è, quindi, “signore del focolare” solo quando la donna ne è necessariamente lontana!

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CAPITOLO 6 IL TELELAVORO IN BASIC.NET

Chiara Ghislieri e Lara Colombo In questo capitolo presentiamo i principali risultati dell’analisi dei dati

raccolti attraverso il questionario somministrato a tutta la popolazione della BasicNet. In prima battuta presenteremo puntualmente il questionario utilizzato con riferimento alle sue diverse sezioni. Descriveremo poi il campione dei rispondenti, con riferimento alle caratteristiche anagrafiche principali.

Daremo poi conto dell’analisi descrittiva delle diverse scale, affiancata da un breve commento e dell’analisi che ha consentito di individuare e spiegare alcuni legami tra le dimensioni indagate.

6.1 Il questionario Remote.Net Il questionario, articolato in quattro distinte sezioni, attraverso la sua

prima sezione, intende esplorare il bisogno di conciliazione che emerge in questo contesto organizzativo. Se è vero che la conciliazione è sempre più intesa, anche nella letteratura organizzativa, con riferimento a tutta la sfera della vita personale, è altrettanto vero che le ricerche nazionali e internazionali, di riferimento disciplinare psico-sociale, hanno considerato con particolare attenzione soprattutto il tema del conflitto tra lavoro remunerato e cura della famiglia e della casa (il wok-family balance o il suo opposto il work-family conflict).

Per quanto riguarda il costrutto di conflitto tra lavoro remunerato e famiglia si è dunque proceduto all’adattamento di una batteria di affermazioni messa a punto da Netemeyer e coll. (1996), i quali hanno ampliato il lavoro inizialmente realizzato da Thomas e Ganster (1995).

Sono dunque state utilizzate affermazioni quali “a causa del tempo richiesto al lavoro la qualità del tempo che dedico ai miei familiari è inadeguata”; per indagare il conflitto tra famiglia e lavoro sono state utilizzate affermazioni quali “mi succede di sottrarre tempo al lavoro a causa degli impegni familiari e questo mi dispiace perché al lavoro ci tengo”; per indagare il

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conflitto tra lavoro, famiglia e tempo per sé, sono state utilizzate affermazioni quali “a causa degli impegni di lavoro e familiari ho poco tempo da dedicare a me stessa/o”.

Per ogni affermazione la persona deve indicare con quale frequenza si trova in una data situazione, su di una scala da 1 (mai) a 7 (sempre). Complessivamente questa sezione presenta 22 item, articolati in due sottogruppi onde facilitare la compilazione e non affaticare eccessivamente i rispondenti.

A valle della rilevazione dell’intensità del conflitto percepito, l’interesse della ricerca, nella seconda sezione del questionario, si è concentrato su quelle che possono essere le soluzioni per conciliare, valorizzando la distinzione tra soluzioni informali e formali.

Se le prime fanno riferimento alla capacità dell’individuo di “cavarsela”, con aiuti che nascono nel quadro delle relazioni, interne ed esterne all’organizzazione (qui il rimando è al lavoro sulle reti di sostegno), le seconde implicano un confronto più diretto ed esplicito con l’istituzione.

Per quanto riguarda le soluzioni informali, invece, è stata utilizzata una scala messa a punto da Behson (2002a) e adattata per il contesto italiano. Per ogni affermazione (del tipo: “rinviare un impegno di lavoro per gestire un’emergenza familiare”), il rispondente deve indicare la frequenza con cui fa ricorso al comportamento indicato su di una scala da 1 (mai) a 7 (sempre). Per quanto riguarda le soluzioni formali, è stato chiesto ai rispondenti di indicare su una scala da 1 (per nulla efficace) a 7 (del tutto efficace) l’efficacia percepita delle soluzioni formali (orario flessibile, part-time, … telelavoro) per conciliare.

La terza sezione indaga dimensioni relative all’organizzazione. Un primo

insieme di affermazioni (11) si concentra sul ruolo dell’organizzazione, così come viene percepito dai singoli, di fronte al bisogno di conciliazione (Behson, 2002b). Rispetto a queste affermazioni, la richiesta era di esprimere un giudizio di accordo su di una scala da 1 (per nulla d’accordo) a 7 (del tutto d’accordo).

Nella medesima sezione si è anche tentato di raccogliere una più generale percezione dell’organizzazione, con riferimento al sostegno, alla comunicazione, all’informazione, alla soddisfazione e al riconoscimento. Rispetto ai 10 item, viene chiesto ai soggetti di indicare una risposta su una scala di frequenza da 1 (mai) a 7 (sempre).

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La quarta sezione, infine, è dedicata interamente al telelavoro: sono presentate 7 affermazioni ed è chiesto al rispondente di indicare il proprio grado di accordo su di una scala da 1 (per nulla d’accordo) a 7 (del tutto d’accordo).

Infine è stata messa a punto una sezione anagrafica con l’intento di rilevare alcuni dati utili a cogliere eventuali differenze nelle risposte dovute a caratteristiche diverse dei rispondenti. In particolare questa sezione ha consentito di raccogliere i seguenti dati: sesso, età, stato civile, tipo di contratto, ore di lavoro settimanali, anzianità professionale, ruolo (distinguendo tre livelli).

6.2 Il campione Il questionario è stato somministrato on-line nel corso dell’estate 2004 e

hanno risposto 72 persone, circa il 50% della popolazione: un risultato in linea con la maggior parte delle indagini che fanno ricorso a questa modalità di somministrazione.

La distribuzione di genere dei rispondenti (tabella 6.1) rispecchia quella dell’intera popolazione di BasicNet: le donne sono il 63.9% e gli uomini il 36.1%. L’età media dei rispondenti è di circa 33 anni e la media di anzianità di circa 5 anni.

Frequenza Percentuale Percentuale valida

Donne 46 63,9 63,9 Uomini 26 36,1 36,1 Totale 72 100 100

Tabella 6.1 - Il genere dei rispondenti

Il campione si divide equamente tra persone sposate e non (Tabella 6.2) e la percentuale di soggetti che ha figli equivale al 25% (tabella 4.3).

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FrequenzaPercentuale Percentuale valida

Nubile/Celibe 33 45,8 45,8 Coniugata/o 32 44,4 44,4 Convivente 4 5,6 5,6 Separata/o;

Divorziata/o 3 4,2 4,2

Totale 72 100,0 100,0

Tabella 6.2 – Lo stato civile

FrequenzaPercentualePercentuale valida

Hanno figli 18 25,0 25,0 Non hanno figli 54 75,0 75,0

Totale 72 100 100

Tabella 6.3 – La presenza di figli Tra i rispondenti la netta maggioranza è composta da impiegati (Tabella

6.4).

Frequenza Percentuale Percentuale valida

Dirigente 4 5,6 5,6 Impiegato 66 91,7 91,7 Operaio 2 2,8 2,8 Totale 72 100 100

Tabella 6.4 – Il ruolo in azienda

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6.3 I principali risultati

In questo paragrafo rendiamo conto dei principali risultati dell’analisi

descrittiva dei dati. Le percezioni delle donne e degli uomini di BasicNet a proposito di

conflitto tra lavoro remunerato e resto della vita (Tabella 6.5) evidenziano, in estrema sintesi, che:

il conflitto tra lavoro e resto della vita è percepito in misura significativa, sia dalle donne sia dagli uomini

a essere mancante è soprattutto il tempo per sé, costantemente “scavalcato” dal lavoro, prima, e dalla famiglia, dopo

le persone dichiarano però di riuscire a tenere sufficientemente separati lavoro remunerato e resto della vita anche se lo stress lavorativo sembra influenzare negativamente la qualità di tempo e attenzioni dedicate alla famiglia

infine, gli impegni e le preoccupazioni familiari non sembrano influire in alcun modo sulla qualità del lavoro.

MinimoMassimoMedia Dev. St.

A causa degli impegni di lavoro e familiari ho poco tempo da dedicare a me stessa/o

2 7 4,96 1,25

Riesco a separare lavoro e famiglia 1 7 4,85 1,56 A causa del tempo richiesto al lavoro la qualità del

tempo che dedico ai miei familiari è inadeguata 1 7 4,25 1,68

Sono così stanca/o e stressata/o quando esco dal lavoro che mi è difficile adempiere ai miei compiti

familiari

1 7 4,17 1,53

A causa dei miei impegni di lavoro, devo cambiare i miei programmi/impegni familiari

1 7 4,07 1,49

Mi riesce difficile staccare dal lavoro 1 7 3,92 1,61 Non riesco a portare a termine le cose che vorrei

fare a casa perché ho troppi impegni di lavoro 1 7 3,90 1,67

La quantità di tempo che il lavoro mi richiede rende difficile adempiere alle mie responsabilità

familiari

1 7 3,85 1,70

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MinimoMassimoMedia Dev. St.

Le richieste del mio lavoro interferiscono con la mia vita familiare

1 7 3,82 1,76

Le richieste del mio lavoro interferiscono con la mia vita domestica

1 7 3,78 1,87

Riesco a trovare il tempo, tra gli impegni di lavoro e quelli familiari, per coltivare i miei interessi

1 7 3,64 1,78

Il lavoro invade gli spazi di vita familiare 1 7 3,60 1,82 Sono così stanca/o e stressata/o quando esco dal lavoro che sono insoddisfatto/a di come svolgo i

miei compiti familiari

1 7 3,53 1,83

Le richieste del mio lavoro interferiscono con la mia vita personale

1 7 3,31 1,76

Non riesco a lasciare i problemi familiari fuori dal lavoro

1 7 3,21 1,81

Le ansie e le preoccupazioni lavorative interferiscono con la mia possibilità di soddisfare

le richieste della mia famiglia

1 7 3,04 1,67

Mi succede di sottrarre tempo al lavoro a causa degli impegni familiari e questo mi dispiace

perché al lavoro ci tengo

1 7 2,60 1,39

La mia vita familiare interferisce con le mie responsabilità di lavoro

1 7 2,53 1,46

Le richieste della mia famiglia (o della/del mia/o compagna/o) interferiscono con i miei

impegni/attività di lavoro

1 7 2,42 1,57

I doveri familiari interferiscono con la mia possibilità di soddisfare le richieste lavorative

1 7 2,35 1,60

Le ansie e le preoccupazioni familiari interferiscono con la mia possibilità di soddisfare

le richieste lavorative

1 7 2,26 1,41

Le cose che vorrei fare al lavoro non sono portate a termine a causa delle richieste della mia famiglia

1 7 1,97 1,39

Tabella 6.5 – Il conflitto tra lavoro remunerato e resto della vita

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MinimoMassimoMedia Dev. St.

Orario flessibile 2 7 5,50 1,22 Part-time 1 7 4,92 1,86

Telelavoro 1 7 4,92 1,69 Tempo ridotto 1 7 4,72 1,77

Organizzazione formale orario di lavoro tra colleghe/i

1 7 4,44 1,47

Scambio informale orario di lavoro tra colleghe/i 1 7 4,10 1,46 Job-sharing 1 7 3,40 1,68

Tabella 6.6 – Le soluzioni per conciliare

MinimoMassimoMedia Dev. St.

Lasciare l’ufficio prima per gestire un problema personale/familiare, ma arrivare presto la mattina

seguente per portare a termine il lavoro

1 7 4,00 1,99

Uscire prima dal lavoro per risolvere un problema familiare

1 7 3,79 1,59

Entrare più tardi al lavoro per risolvere una questione personale

1 7 3,47 1,62

Lavorare fuori dall’orario o in giorni non lavorativi, per recuperare tempo impiegato nella

gestione di problemi personali

1 7 3,36 2,12

Rinviare un impegno di lavoro per gestire un’emergenza familiare

1 7 3,11 1,71

Uscire prima dal lavoro per affrontare un problema personale/familiare e terminare il lavoro a casa

1 7 2,79 1,80

Cambiare i turni con i colleghi, per affrontare un problema personale/familiare

1 7 2,29 1,82

Tabella 6.7 – Le soluzioni per conciliare

A proposito dell’efficacia degli strumenti di conciliazione (tabella 6.6) i dati evidenziano come:

l’orario flessibile risulti in assoluto lo strumento più efficace il telelavoro sia considerato uno strumento a elevata efficacia,

confrontabile con il part-time: questo dato è diverso da quelli raccolti in

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altri contesti organizzativi dove lo strumento del telelavoro non appare ancora così efficace, utile e implementabile

il job-sharing sia considerato come la soluzione meno efficace, forse anche perché meno conosciuto

limitata appaia anche l’efficacia delle modalità informali di gestione dell’orario tra colleghi.

Per quanto riguarda le strategie di fronteggiamento per un miglior

equilibrio (Tabella 6.7), in BasicNet sembra sostanzialmente possibile una forma di flessibilità che consente alle persone di rispondere ad emergenze familiari (più che non personali) e recuperare in altri momenti il lavoro.

Dall’analisi della batteria relativa al ruolo dell’organizzazione nella gestione dell’equilibrio tra lavoro remunerato e resto della vita (Tabella 6.8), emerge che:

la conciliazione è un problema innanzitutto a carico del singolo la gestione del carico familiare porta con sé qualche preoccupazione per

la carriera il sostegno dei superiori, nella gestione del carico familiare, è sentito

come più utile rispetto al sostegno dell’organizzazione nel suo complesso. È come se il sostegno e aiuto ai problemi di conciliazione passasse maggiormente attraverso la relazione con il superiore, piuttosto che attraverso l’organizzazione intesa come “istituzione”.

Nel bilancio della vita organizzativa (Tabella 6.9) emerge la percezione di

essere maggiormente sostenuti e valorizzati nella relazione con i colleghi, piuttosto che nella relazione con i superiori. Da sottolineare, inoltre, il senso di appartenenza all’azienda che incide sul grado di soddisfazione nella conduzione del proprio lavoro. I punteggi più bassi (anche se sempre sufficienti) si rilevano sul fronte dell’informazione e del riconoscimento nella relazione con i superiori, evidenziando qualche criticità sul piano del coinvolgimento.

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MinimoMassimoMedia Dev. St.

Farsi carico in prima persona dei problemi familiari senza che il lavoro ne risenta

1 7 5,32 1,28

Affrontare problemi familiari penalizza la crescita professionale

1 7 4,85 1,56

In questa organizzazione si ritiene giusto che la persona si faccia carico dei problemi familiari

senza che il lavoro ne risenta

1 7 4,83 1,38

I superiori sostengono in caso di problemi familiari

1 7 4,53 1.81

È possibile adattare impegni di lavoro per venire incontro a familiari

1 7 4,33 1,44

I superiori consentono di adattare orario per venire incontro a esigenze familiari

1 7 4,33 1,83

I superiori sono disponibili ad ascoltare problemi personali/familiari

1 7 4,31 1,93

L’assenza dal lavoro per ragioni familiari compromette carriera

1 7 3,94 1,92

In questa organizzazione si è stimolati a trovare equilibrio tra lavoro e famiglia

1 7 3,93 1,64

Questa organizzazione aiuta chi si assenta dal lavoro per motivi familiari

1 7 3,79 1,68

I superiori sono indifferenti agli sforzi per risolvere problemi familiari

1 7 3,19 1,73

Tabella 6.8 – Il ruolo dell’organizzazione nella gestione dell’equilibrio

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MinimoMassimo Media Dev. St.

Riconosciuta/o e valorizzata/o nella relazione con i colleghi

1 7 5,47 1,41

Sostenuta/o da colleghe/i 2 7 5,44 1,49 Autonoma/o nel lavoro 2 7 5,35 1,35

Soddisfatta/o di far parte di questa azienda 1 7 5,10 1,46 Soddisfatta/o del lavoro 1 7 5,00 1,64

Sostenuta/o superiori 1 7 4,51 1,89 Lasciata/o sola/o nel lavoro 1 7 4,43 1,84

Informata/o dai miei superiori 1 7 4,22 1,85 Informata/o su ciò che accade 1 7 4,17 1,54

Riconosciuta/o e valorizzata/o nella relazione con i superiori

1 7 4,15 2,00

Tabella 6.9 – Il bilancio della vita organizzativa

MinimoMassimo Media Dev. St.

Permette di gestire i carichi familiari 2 7 5,46 1,41 Permette di gestire il proprio tempo senza

trascurare lavoro 1 7 5,33 1,30

È un vantaggio aziendale, poiché il benessere del lavoratore ricade sulla produttività

1 7 5,15 1,27

Comporta il rischio di isolamento dal gruppo di lavoro

1 7 4,61 1,59

Comporta il rischio di allontanamento dall’organizzazione

1 7 4.53 1,64

Limita la possibilità di fare carriera 1 7 4.43 1.53 Impedisce di tenere separati i tempi del lavoro e

della vita personale 1 7 3,39 1,66

Tabella 6.10 – Il telelavoro

Infine, l’ultima sezione del questionario rileva come il giudizio complessivo in BasicNet nei confronti del telelavoro (Tabella 6.10) sia complessivamente positivo, in particolare è importante evidenziare i seguenti aspetti:

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il telelavoro è percepito, innanzitutto, come una soluzione per la gestione dei carichi familiari (a conferma di ciò che è emerso nel corso delle interviste e dei focus)

il telelavoro è una soluzione che permette di organizzare il proprio tempo senza trascurare il lavoro, a vantaggio dunque anche dell’azienda

qualche preoccupazione emerge in termini di isolamento dal gruppo di lavoro e di possibili conseguenze negative sulla carriera

il telelavoro non è percepito come minaccia alla separazione dei tempi del lavoro remunerato e della vita personale.

Ci siamo, inoltre, interrogate sulle relazioni esistenti tra il giudizio sul

telelavoro e il sostegno percepito all’interno dell’organizzazione sia da parte dei colleghi, sia da parte dei superiori. Dall’analisi delle correlazioni (figura 6.1) emerge che:

il telelavoro è percepito come uno strumento per la conciliazione in presenza di sostegno, supporto e comprensione da parte dei superiori (r. -0,303; sig. 0,010)

l’assenza di supporto e ascolto da parte dei superiori incide sulla percezione del telelavoro come possibile minaccia alla propria carriera (r. -0,256; sig. 0,030)

il sostegno dei colleghi è percepito come fondamentale nella percezione del telelavoro come soluzione per la gestione dei carichi familiari (r. 0,283; sig. 0,016).

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-.256

+.340

Telelavoro come soluzione per la gestione carichi

familiari

Telelavoro come strumento aziendale

per la conciliazione

Telelavoro limita la possibilità di carriera

I superiori sono indifferenti

agli sforzi per la risoluzione

dei problemi familiari

-.303

Sostegno dei colleghi

+.283

I superiori sono disponibili

ad ascoltare i problemi familiari/personali

+.246

Figura 6.1 – Le relazioni tra i costrutti indagati

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TERZA PARTE La sperimentazione:bilancio e rilancio…

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CAPITOLO 7 LA VOCE DELLE TELELAVORANTI

Chiara Ghislieri Come anticipato nel primo capitolo, la valutazione dell’esperienza del

telelavoro è stata effettuata in due distinti momenti. In questo capitolo presentiamo brevemente le principali riflessioni emerse a valle della realizzazione del primo di questi momenti: il focus-group tra le telelavoranti.

Esso ha rappresentato un importante momento di confronto e dialogo, tra le “protagoniste” della sperimentazione, che hanno “interpretato” questo incontro come occasione per costruire insieme una fotografia articolata dell’esperienza. 7.1 Obiettivi e modalità di svolgimento del focus-group

Obiettivo principale del focus-group è dunque stato quello di riflettere insieme sull’esperienza del telelavoro, raccogliendo le impressioni, le considerazioni e le valutazioni al termine di questi mesi di sperimentazione. In particolare sono state indagate alcune aree attraverso l’ausilio di domande-stimolo presentate a video e commentate dalle ricercatrici, prima di lasciare la parola alle telelavoranti. Le domande-stimolo sono state:

I dati sul telelavoro: quanto tempo, per quanto e con quale modalità avete telelavorato?

È stato tutto come ve l’aspettavate? Quali sono stati i punti forti e i punti deboli, in relazione a voi stesse? Quali in relazione alla vostra vita familiare e domestica? Quali nella relazione con i vostri gruppi di lavoro? Il telelavoro aiuta la conciliazione? Il telelavoro aiuta l’organizzazione? Cosa si pensa del telelavoro oggi, in BasicNet, secondo voi? E in futuro… ?

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L’interazione è dunque avvenuta sia sulla base delle sollecitazioni delle ricercatrici, sia come scambio e dialogo tra le telelavoranti stesse, in un clima disteso e partecipativo.

Di seguito le riflessioni emerse sono ricondotte a quattro vertici principali: un bilancio complessivo; il telelavoro e il lavoro; il telelavoro e il resto della vita; il telelavoro per la BasicNet. Alla sintesi dei dati fa da controcanto la “voce delle telelavoranti”, attraverso alcuni stralci di fedele trascrizione del focus-group. 7.2 Un bilancio complessivo

Rispetto al racconto di come si è svolto in effetti il telelavoro (da quando, per quanto, giorni effettivi/ore effettive di telelavoro…), emerge come i tempi di avvio della sperimentazione non siano stati uguali per tutte; nel procedere della sperimentazione è stata alta la flessibilità delle telelavoranti, per non penalizzare l’ufficio, soprattutto nelle vacanze, quando c’è stato un adeguamento in funzione delle richieste dei responsabili e dei colleghi e per qualcuna il fatto di non avere particolari impegni familiari (i figli in vacanza con i nonni) ha fatto sì che si presidiasse meno il rispetto delle giornate di telelavoro.

Le prime considerazioni delle telelavoranti sono concordi nel riconoscere il telelavoro come un’esperienza certamente positiva, in qualche caso addirittura “risolutiva” del conflitto talvolta vissuto tra lavoro e famiglia. In questo senso è possibile affermare che il telelavoro risulta essere una soluzione anzitutto “dalla parte della famiglia”:

il telelavoro aiuta a conciliare con la famiglia la famiglia alimenta la motivazione a telelavorare

… io ho risolto i miei problemi di vita perché la cosa diventava davvero ingestibile… Se io non avessi figli non avrei questa necessità… risolve il problema proprio per la gestione dei figli…

Il telelavoro aiuta dunque soprattutto a vivere meglio la propria famiglia,

tanto che qualcuna evidenzia come, senza bisogni sul fronte familiare (figli, genitori, …) non avrebbe mai fatto la scelta del telelavoro

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… mi sono resa conto che non avendo una necessità vera, come può essere la distanza… lo studio… un bambino… un bisogno, per cui stare a casa può essere un effettivo vantaggio… non è che mi pesi venire qua, anzi… Se questo vantaggio è visibile da subito, altrettanto immediata è la

reazione e il commento rispetto al mantenimento di “produttività”. A fronte dell’immagine che si può avere del telelavoro come “assenza dal lavoro” e dunque, di fatto, come di un “minor lavoro” (ciò che non si vede non c’è), le telelavoranti evidenziano infatti un aumento dell’intensità del lavoro (più concentrate e dunque in qualche modo più produttive) e talvolta anche dell’estensione del lavoro: tra il lavoro e la casa, vince il lavoro.

Questo punto emerge come una piccola criticità, tutto sommato ritenuta controllabile ma certamente presente: è il tema dell’assenza di confini più volte riportata in letteratura come rischio del telelavoro. Il tema della difficoltà a gestire i confini chiama in causa il nodo del “controllo” che ha differenti sfumature:

quel controllo che serve per smettere di lavorare quel controllo che sostituisce il presidio della visibilità presente in

ufficio.

Rispetto all’invasione del lavoro, le telelavoranti affermano che talvolta è accaduto loro di perdere parzialmente i “confini” tra lavoro e tempo per la famiglia e per sé, sia nel corso della settimana, sia nella singola giornata di lavoro

… avevo scelto di legarlo al week-end… pensavo fosse una cosa bellissima… poi invece non è così perché portandosi il lavoro a casa il venerdì succede che si lavora il sabato e la domenica… … a casa non te ne accorgi che stai lavorando di più… … l’effetto finale è che un pochino si privilegia il lavoro… … pensa che ho letto le mail il giorno prima di tornare al lavoro dopo le ferie, ho pensato “così mi porto avanti”…

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Proprio per questa ragione la necessità dell’auto-controllo diviene fondamentale, quasi come se servisse una sorta di “sirena” personalizzata e interiorizzata per evitare un eccessivo assorbimento dal lavoro, in assenza di limiti posti dall’esterno

… ci vuole un po’ di autocontrollo… … perché bisogna concentrarsi, bisogna concentrarsi anche per smettere di lavorare… … io se sospendo guardo il tempo che ho sospeso e poi lo recupero dopo…

7.2 Il telelavoro e il lavoro

Provando a guardare più puntualmente alle conseguenze sul fronte del lavoro, è unanime il riconoscimento di come si lavori meglio “protetti” nella propria casa, lontano dalle distrazioni dell’ufficio. In estrema sintesi quello che accade, con il telelavoro, è che:

a casa si può “riprodurre l’ufficio” a casa si limitano il disturbo e le pressioni

… a me piace perché per quanto si riproduca molto l’ufficio, avendo le telefonate girate… comunque è un ambiente più protetto e ci si concentra di più… … in realtà lavori di più, perché non ci sono distrazioni, non c’è la collega che ti chiama, quello che viene alla scrivania e ti chiede l’informazione al brucio…

Non sempre e non per tutte l’ufficio è fonte di distrazioni: esso è anche

pensato con “nostalgia”, come il luogo delle relazioni, talvolta anche piacevoli, del confronto, dell’informazione, della partecipazione alle attività organizzate. Proprio per questo l’efficacia del telelavoro è considerata come strettamente connessa alla sua “parzialità”: rispetto alle preoccupazioni iniziali, infatti, poter alternare lavoro “in presenza” a lavoro “a distanza”, si conferma come punto di forza dell’esperienza.

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Ecco dunque che nella valutazione dell’esperienza, tutte hanno evidenziato l’importanza di telelavorare “con misura”

… tutto sommato stando tutto il giorno a casa da sola non è che mi faccia così piacere… tutti in ufficio e io a casa da sola… il lavoro, come lo faccio qui lo faccio a casa… … sono d’accordo che non lo vedrei più di due giorni… anche a me piace venire in ufficio e più che piacermi mi serve…

Accanto a quella che abbiamo identificato come “nostalgia” dell’ufficio,

emerge anche il “bisogno” dell’ufficio, in termini maggiormente strumentali: non sempre, infatti, tutto ciò che serve per lavorare si può agevolmente “portare a casa”, si pensi soprattutto a ciò che occorre per il lavoro di produzione, ma anche ai fascicoli, ai documenti cartacei e, in generale, a tutto ciò che non è informatizzabile.

Spesso però è proprio a casa che si riesce a fare meglio un certo tipo di lavoro, come ad esempio il lavoro di produzione: la complicazione è dunque di natura eminentemente “logistica” e qualcuna si è trovata, durante la sperimentazione, nella condizione di avere una sorta di “ufficio ambulante”.

È in particolare una telelavorante a evidenziare come sul luogo di lavoro il suo tempo sia interamente dedicato a funzioni di coordinamento, mentre il lavoro di produzione viene spesso confinato in tempi residui. Durante il telelavoro, per contro, le è stato possibile dedicarsi al coordinamento nei giorni “in presenza” e impegnarsi nella produzione, in modo concentrato e dedicato, a casa: anche se con qualche difficoltà di tipo logistico, vista la necessità di avere con sé un certo numero di “attrezzi del mestiere”

… avevo organizzato a casa un piccolo spazio invece mi sono resa conto che dovevo riprodurre a casa quello che avevo in ufficio… … la sera magari perdo mezz’ora in ufficio per recuperare tutto per il giorno dopo, poi però il giorno dopo recupero perché riesco a fare molto più lavoro di produzione…

Sul fronte delle relazioni, prevale la tensione a rendersi il più possibile

disponibili per i colleghi, anche a distanza, connessa alla preoccupazione di “non far sentire la propria mancanza”

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… ho dato un bel po’ di disponibilità… e le telefonate arrivano a tutte le ore, le otto del mattino, l’ora di pranzo… quando decido di uscire per una commissione scrivo subito una mail “sto uscendo, torno più tardi”… … vuoi essere sicura che gli altri ti trovino sempre…

Esserci per i colleghi è dunque fondamentale, colleghi che in alcuni casi

si sono dimostrati estremamente rispettosi del diverso luogo di lavoro … a me succede che chiamano e mi chiedono “scusa”… secondo me è positivo… al di là della battuta, che ci sta, secondo me, però c’è una concezione della casa come di luogo privato…

Se la telelavorante evidenzia e apprezza l’attenzione dei colleghi

nell’invadere il suo spazio privato, va anche sottolineato come questo atteggiamento di cautela nelle interazioni con chi telelavora, di fatto, rinvii a un’idea di “lavoro parziale”, come se chi telelavora fosse in qualche modo “non contattabile” o “disponibile in misura inferiore” rispetto a quando è sul posto di lavoro.

Non tutte le telelavoranti sono state oggetto di tanta attenzione da parte dei colleghi: nella maggior parte dei casi l’esperienza del telelavoro non ha modificato di molto la normale modalità di lavoro e nemmeno ha influito sulla produttività, se non in senso positivo

… problemi non ce ne sono, manco solo un’ora e mezza dal lavoro e sono comunque reperibile… … il lavoro non ne ha risentito… io con la mia collega non ho avuto nessun problema… con gli altri… arrivavano, non c’ero, lasciavano sulla scrivania… … per me ormai è come lavorare normalmente, avendo il telefono girato… poi rispondo anche subito… per me è normale, alcuni non si accorgono nemmeno di questa cosa…

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7.3 Il telelavoro e il resto della vita

Se sul fronte lavorativo i cambiamenti sono stati limitati, è stato invece significativo il miglioramento nella qualità della vita familiare e nella gestione dei compiti di cura della casa

La settimana che telelavoravo al sabato mi trovavo meno cose da fare e questo è bello… almeno la pulizia, stirare… … dal punto di vista del lavoro mi cambia poco e niente perché telelavoro un’ora e mezza al giorno… dal punto di vista della conduzione familiare è davvero un’altra cosa… Come si è evidenziato, dunque, a trarre maggiore beneficio dal telelavoro

sono gli impegni familiari e domestici: non sembra invece essere visibile un reale vantaggio rispetto al tempo per sé (in quantità e qualità) anche se viene descritto un positivo aumento della tranquillità e della serenità: qualcuna è riuscita a fissare un appuntamento dall’estetista non nel fine-settimana, è stato possibile organizzare qualche pranzo con gli amici, …

Il tempo in più tende ad essere dedicato alla famiglia e alla casa che possono rappresentare un piacere anche se

… sì, tempo in più per fare la spesa, che non è che sia ‘sto gran piacere… vabbè la famiglia, ma la spesa… è certo già meglio che farla il sabato come tutti però non è tempo per sé…

Rispetto alla vita personale (oltre quella familiare) se da un lato, come

abbiamo evidenziato, non è aumentato il “tempo per sé”, dall’altro è chiaro, invece, il miglioramento in termini di serenità e dunque di qualità della vita in generale

… io sto proprio bene a casa mia, sono più rilassata, alla fine della giornata non sono nevrotica, sono rilassata… … certo eviti molte irritazioni da ufficio… … il tempo per sé ci sarebbe se si lavorasse a casa solo su progetti… allora la gestione del tempo sarebbe autonoma, c’è la scadenza ma il tempo è in autonoma gestione…

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… tu ci sei sempre, perché spesso il telefono resta deviato e dunque ci sei sempre, non hai tanto tempo per te… guadagni in relax, perché non c’è il traffico, l’ufficio… e sei più rilassata… Meno efficace sembra essere, il telelavoro, per chi ha necessità di

conciliare lavoro e studio perché, in assenza di impegni stringenti esterni al lavoro, è quest’ultimo che tende a prevalere, anche a casa, lasciando poco tempo per lo studio effettivo.

Il telelavoro ha inoltre comportato piccoli cambiamenti nelle abitudini anche a livello familiare, soprattutto in senso positivo

… (dalla famiglia, quando si lavora a casa) massimo rispetto, anche le mie figlie, mi dicono “ah, mamma, stai lavorando, allora te lo chiedo dopo”… dal punto di vista familiare solo lato positivi… … quando telelavoro anche il mio compagno viene a casa a mangiare… mi dice, mangiamo insieme? È carino…

Un dato culturale interessante emerge dall’esperienza di una telelavorante

che descrive in questi termini le trasformazioni nella “divisone dei compiti” con il suo compagno (che, a sua volta, lavora a casa), durante la sperimentazione

… (mio marito) per il lavoro mi lascia tranquilla, solo che quando io non sono a casa e sono in ufficio alcune cose le fa in automatico, quando io sono a casa non fa più niente… quando sono in ufficio lui non mangia, quando sono a casa, all’una si presenta e mi dice “mangiamo qualcosa?” che vuol dire “prepari qualcosa?” …

Verrebbe da dire che quando una donna è in casa… la casa è sua! Anche

se non è chiaro quanto di questa “proprietà” femminile della vita domestica sia dovuto alla “delega” fatta dagli uomini e quanto sia invece dovuto anche a processi di “auto-attribuzione”: c’è sicuramente anche una “responsabilità” delle donne nel tradurre in compiti personali le richieste sul fronte della gestione della casa e della famiglia e una sorta di “resistenza” a negoziare con i propri compagni di vita altre modalità di divisione dei compiti.

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7.4 Il telelavoro per la BasicNet

Provando a guardare all’azienda nel suo insieme e alla percezione, alle reazioni, alle attese in tema di telelavoro, appare anzitutto diffusa la sensazione, sostenuta da commenti e frasi ascoltate, che gli altri (capi, colleghi, collaboratori), non vedendo la persona “fisicamente al lavoro”, ne sottovalutino il (tele)lavoro

… hai comunque la sensazione che gli altri pensino che sei a casa e non stai facendo niente… una sensazione che ho avuto… è che loro pensassero che sei a casa e non fai niente, cioè tante volte, del tipo “ah che culo domani sei a casa”… … a volte te lo dicono proprio, “Vero che domani non telelavori?”…

Ecco dunque che il senso di colpa che talvolta le telelavoranti dichiarano

di aver vissuto, se in parte è da ricondurre a un “tratto personale, in parte esso è conseguenza di “ciò che si pensa che gli altri pensino”

… io mi mettevo davanti al computer a lavorare e mi sentivo in colpa, quindi dicevo, adesso faccio questo così lo mando subito e si vede che sto lavorando… in realtà il lavoro non ne ha risentito per niente… le scadenze sono state rispettate… … banalmente vai in bagno e suona il telefono e pensi “cribbio, adesso pensano che non sto lavorando”… avrei dovuto portarmi il telefono in bagno… … a casa vai e fai tutto al volo, in compenso mi sentivo in colpa se stendevo la lavatrice… o se andavo a farmi un caffè…

Emerge dunque il tema del “pensiero degli altri”: delle voci, delle battute,

dei commenti. In relazione a questo, il senso di colpa affiora come qualcosa che si colloca a metà strada tra disposizioni personali e contesto di lavoro e vita.

È infatti la percezione dello sguardo dall’esterno a innescare alcuni pensieri che si trasformano, nelle parole delle telelavoranti, in forme di “difesa” del proprio lavoro: se telelavorare coincide con importanti, significativi, vantaggi sul piano della vita personale, nel momento in cui si ricorda l’espressione ironica di qualche collega, si tiene a precisare che il lavoro

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permane centrale, divenendo addirittura più efficace, in virtù della maggiore concentrazione e protezione.

Questo tema chiama in causa il più generale riferimento alla cultura organizzativa e, in specifico, l’atteggiamento nei confronti del telelavoro: le telelavoranti evidenziano alcune ambivalenze in proposito. Da un lato il telelavoro è sostenuto anche dai vertici, come modalità da promuovere e diffondere, dall’altro le informazioni a proposito di questa sperimentazione non sono ancora sufficientemente diffuse e le perplessità si riflettono nella forma di “voci di corridoio”.

Ecco dunque che certamente più pubblicità e trasparenza sul progetto sono necessarie, ma sarà in ogni caso necessario ancora un po’ di tempo prima che questa “stranezza” diventi una prassi, se non abituale, quanto meno conosciuta, chiara e definita.

L’impressione delle telelavoranti rinvia infatti a una scarsa conoscenza diffusa circa il telelavoro: il resto del personale (fatta eccezione per chi lavora a stretto contatto con le telelavoranti) non è informato circa gli aspetti tecnici e organizzativi.

Come passaggio importante per “porre in valore” il telelavoro, le telalvoranti auspicano una condivisione delle informazioni rilevanti rispetto a questa modalità di lavoro, oltre che dei risultati di questa sperimentazione: in tal modo, le donne e gli uomini della BasicNet avranno tutti gli strumenti per pensare all’opzione del telelavoro, in funzione delle loro personali necessità e in coerenza con le esigenze del tipo di lavoro e dell’organizzazione.

Se, infatti, si rileva una crescente curiosità rispetto al telelavoro, essa è accompagnata ancora da dubbi, preoccupazioni e perplessità che hanno a che fare con l’opinione dei responsabili: un chiarimento è dunque obbligatorio, così come è fondamentale evidenziare che, come afferma una telelavorante, nonostante le battute, la sperimentazione è stata – a tutti gli effetti – supportata a pieno da parte dei diversi interlocutori (capo, colleghi, collaboratori)

… ho notato che molte colleghe hanno iniziato a farmi molte domande, come funziona… se bolli, come lavori… e ho sentito molte che vorrebbero fare domanda, persone che non avrebbero mai fatto domanda prima…

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… sento anche alcune persone che sono incuriosite ma che hanno paura dei responsabili, che pensino che non si fa niente… è ancora una cosa un po’ strana… non si conosce bene… … poi c’è tutta la disponibilità, io non posso dire di aver incontrato degli ostacoli, però c’è questa sensazione, che nasce dal fatto di non essere lì, alla tua scrivania… Quest’operazione di comunicazione avrebbe anche il valore di ulteriore

legittimazione dell’efficacia del telelavoro e dunque funzionerebbe anche nel ridurre il senso di colpa personale connesso con l’“invisibilità” del telelavoro.

Rispetto alla compatibilità tra tipo di lavoro e possibilità di telelavorare, va evidenziata, ancora una volta, l’importanza della forma part-time di telelavoro, che consente anche a chi ha funzioni di coordinamento di mantenere le relazioni vis à vis, indispensabili per saldare i legami.

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CAPITOLO 8 IL BILANCIO DEI GRUPPI DI LAVORO

Lara Colombo

La valutazione dell’esperienza del telelavoro è terminata con un ultimo momento di raccolta dati attraverso focus-group family realizzati coinvolgendo gli stessi colleghi, collaboratori, nonché responsabili che si erano resi disponibili a partecipare al focus condotto prima dell’avvio della sperimentazione.

Questo appuntamento collettivo ha rappresentato un importante momento di incontro per una riflessione sul telelavoro a valle della sperimentazione onde poter cogliere, anche per confronto con le riflessioni raccolte prima dell’avvio del progetto, gli effetti del telelavoro.

Si ricorda che, come per il primo focus-group, anche in questo caso i dati presentati sono aggregati e trasversali ai gruppi di lavoro incontrati onde tutelare la riservatezza dei singoli gruppi di lavoro. 8.1 Obiettivi e modalità di svolgimento del focus-group

L’obiettivo del focus è stato quello di riflettere insieme sull’esperienza del telelavoro, raccogliendo impressioni, considerazioni e valutazioni al termine dei mesi di sperimentazione. Quello che ci interessava era raccogliere sia opinioni sugli effetti del telelavoro su un versante più propriamente lavorativo, sia percezioni più generiche sul telelavoro nate a valle della sperimentazione. La riflessione si è sviluppata attorno ad alcuni stimoli presentati ai partecipanti:

- un primo bilancio: è stato tutto come ve l’aspettavate? - quali sono stati i punti forti e i punti deboli del lavoro a distanza con la

collega che telelavora? - quali i cambiamenti, ai diversi livelli, si sono potuti osservare? - come sono stati gestiti gli eventuali cambiamenti? - cosa ne pensate del telelavoro a valle della sperimentazione? - cosa avreste voluto che andasse diversamente? - la modalità del telelavoro è risultata compatibile con il tipo di attività

che svolge il gruppo?

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- il telelavoro aiuta l’organizzazione? - cosa si pensa del telelavoro oggi, in BasicNet, secondo voi? - e in futuro…?

I dati raccolti sono stati ricondotti in fase di analisi e interpretazione a

quattro vertici: il lavoro a casa, all’insegna della concentrazione e del benessere; la vicinanza e la lontananza con la telelavorante, alcuni punti d’attenzione; i cambiamenti con il telelavoro; bilancio finale e cultura del telelavoro.

8.1 Il lavoro a casa, all’insegna della concentrazione e del benessere

Si conferma l’opinione iniziale secondo cui il lavoro a casa, rispetto a quello in ufficio, garantisce maggiore concentrazione con ricadute positive sulla qualità del lavoro svolto. I partecipanti ai focus hanno riscontrato un maggior benessere nelle telelavoranti che ha influito positivamente sul lavoro dell’intero gruppo.

La casa è un luogo protetto, lontano dalle distrazioni e dalle interruzioni tipiche di un ufficio, soprattutto quando si tratta di un open space dove non esistono porte da varcare; svolgere il proprio lavoro a casa ha, quindi, dei vantaggi in termini di qualità e, in alcuni casi, quando cioè non si è eccessivamente disturbati da mail e telefonate di lavoro, anche di quantità. Le telelavoranti, secondo i gruppi di lavoro di ciascuna, hanno lavorato efficacemente a casa e questo a vantaggio di tutti, anche dell’azienda.

La casa, per molti, come già detto in altra occasione, è un luogo da proteggere, un rifugio dove tenere separati i tempi e i luoghi del lavoro remunerato e del resto della vita. A tal proposito, soprattutto all’inizio della sperimentazione, si è manifestata una certa tendenza da parte dei colleghi a non voler disturbare la telelavorante a casa, quindi a “proteggerla” da richieste lavorative. Con la prosecuzione della sperimentazione questa tendenza è mutata, dimostrando che è una questione di “abitudine” e di cultura del telelavoro che deve ancora radicarsi in azienda. A fronte di quanto evidenziato, il telelavoro è infatti percepito, in prima battuta, come una soluzione a vantaggio dell’individuo, prima che dell’azienda.

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8.2 La vicinanza e la lontananza con la telelavorante, alcuni punti d’attenzione

Nel corso dei focus sono soprattutto i responsabili a denunciare un maggior bisogno di confronto vis à vis con la telelavorante, soprattutto quando il tipo di attività richiede molti scambi e interazioni anche con ruoli di responsabilità.

Il telelavoro in forma part-time ha ridotto al minimo i rischi che si erano intravisti in termini di possibile isolamento o allontanamento dall’organizzazione: le informazioni eventualmente perse si sono recuperate facilmente, così come i feedback. L’appartenenza aziendale non è stata dunque messa a repentaglio.

È comunque confermata l’indispensabilità del “contatto umano” che caratterizza la vita d’ufficio, sia per uno scambio professionale, sia per lo scambio affettivo e relazionale: in alcuni casi si è sentita la mancanza dell’interazione diretta con la telelavorante. 8.3 I cambiamenti con il telelavoro

I cambiamenti sono dunque certamente limitati perché il telefono e l’uso delle mail permettono di non interrompere il lavoro. Inoltre, la disponibilità e la garanzia di reperibilità hanno evitato le ricadute sulle attività lavorative altrui e tutto è funzionato come sempre, tant’è che chi non sapeva della “condizione” di telelavorante della collega contattata telefonicamente o per mail, non ha percepito nessuna differenza.

La figura 8.1 illustra graficamente i principali cambiamenti intravisti dai colleghi delle telelavoranti, a valle della sperimentazione, sul fronte della gestione dei compiti, delle relazioni, dei permessi.

Non si sono riscontrati dei cambiamenti sostanziali nel lavoro di gruppo; le preoccupazioni, iniziali – prima della sperimentazione – nei confronti di chi rimaneva in ufficio non si sono mostrate fondate: la disponibilità, la garanzia di reperibilità, così come la serietà e la dedizione al lavoro da parte delle telelavoranti, hanno fatto sì che tutto funzionasse come sempre, senza aumentare il carico di lavoro altrui.

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In alcuni casi si è riscontrata un’aumentata efficienza della telelavorante misurabile nella prontezza di risposta via mail alle questioni di lavoro. L’assenza temporanea della telelavorante dall’ufficio ha comportato, inoltre, un maggior coordinamento da parte del gruppo che è stato informato di volta in volta sui giorni di telelavoro per organizzare il proprio lavoro.

Altri cambiamenti sono stati riscontrati nei modi di comunicazione: con il telelavoro sono aumentati gli scambi virtuali e l’uso di bigliettini lasciati in ufficio sulla scrivania.

CAMBIAMENT

ve

Figura 8.1 I cambiamenti a valle della speriment

Infine, la riduzione dei permessi da parteffetti positivi sul funzionamento del gruppo didi poter risolvere in modo diverso questioni e paffrontati con il ricorso ad un permesso: il tempfunzione anche dello spazio di lavoro.

A casa si può “sinergizzare” lavoro earrivando a organizzare meglio la propria agendacapacità di auto-controllo e auto-gestione fondamentale.

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Maggiori scambi via maile attraverso bigliettini

lasciati in ufficio

O

azione

e delle t lavoro: roblemi o assume

gestion, sempreche è

Risposte più rapide da parte della telelavorante

Decisioni lavorative prese più

locemente, attraverso la riduzionedi scambi ritenuti “inutili”

Maggiore coordinamento interno al gruppo di lavoro in funzione dei

giorni di assenza della telelavorante

Diversa gestione delle urgenze

Riduzione dei permessi da parte delle telelavoranti

elelavoranti, ha avuto il telelavoro garantisce che normalmente sono un altro significato in

e familiare/domestica, che si possieda quella stata indicata come

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8.4 Bilancio finale e cultura del telelavoro

Il telelavoro, al termine della sperimentazione, come si è visto, è dunque

promosso a pieni voti. Qualche riserva emerge a proposito della cultura organizzativa e dei tempi ancora necessari perché essa divenga effettivamente “a sostegno” del telelavoro.

Il telelavoro è quindi realmente praticabile ed è percepito come una soluzione essenzialmente a vantaggio dell’individuo per la gestione dei carichi familiari; i vantaggi per l’azienda sono indiretti e mediati del benessere delle telelavoranti.

Si conferma nei focus-group l’opinione espressa anche dalle telelavoranti secondo cui manca una cultura del telelavoro. Alla domanda “Cosa si pensa del telelavoro in BasicNet?” La risposta di alcuni è stata “Né bene, né male… non se ne parla. Ma se non se ne parla, il giudizio è certamente positivo, perché se ci fosse qualcosa di negativo sarebbe emerso…”

Se la conoscenza del telelavoro è considerata da tutti non sufficientemente diffusa in azienda, non si sono però verificati episodi davvero critici, capaci di mettere a rischio la riuscita della sperimentazione. Emerge in ogni caso la necessità di puntare sull’informazione e sulla comunicazione per porre in valore questa esperienza, consolidando una cultura positiva a sostegno non solo del telelavoro ma, più in generale, della conciliazione.

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IN SINTESI

Di seguito presentiamo in estrema sintesi un confronto tra “prima” e “dopo” la sperimentazione, con riferimento alle aspettative, anzitutto e alle preoccupazioni, in seconda battuta. Questa sintesi è relativa a tutti i dati raccolti, sia quelli delle interviste, sia quelle dei focus: l’obiettivo è quello di fornire i riferimenti principali e trasversali, in modo estremamente schematico, onde poter avere un quadro immediato e generale della valutazione complessiva del telelavoro.

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LE ASPETTATIVE

PRIMA: telelavorare per… DOPO … conciliare meglio con la propria

famiglia e la gestione domestica

Il telelavoro si è rivelato efficace

… conciliare meglio con lo studio e la crescita personale

Il telelavoro si è rivelato parzialmente efficace perché è accaduto di porre in primo piano il lavoro rispetto alla studio

… avere più tempo per sé

Il telelavoro si è rivelato parzialmente efficace: è stato possibile avere più tempo per sé solo nel fine settimana (gli impegni familiari e domestici sono stati affrontati nel corso della settimana)

… concentrarsi maggiormente sul lavoro

Il telelavoro si è rivelato efficace

… ridurre lo stress dovuto alla vita in ufficio

Il telelavoro si è rivelato efficace nella maggior parte dei casi, con benefici effetti sulla tranquillità personale

… evitare i “tempi della città”

Il telelavoro si è rivelato efficace

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LE PREOCCUPAZIONI

PRIMA: fare attenzione a… DOPO Il rischio di isolamento relazionale

Il rischio di isolamento informativo

Il rischio di un allentamento del senso di appartenenza

La formula part-time ha limitato tutti

questi rischi anche se qualcuna ha lamentato di sentire la mancanza della “vita sociale” dell’ufficio

Il rischio di lavorare di più e di perdere i confini

Talvolta è accaduto di lavorare di più, anche se non si può affermare che si siano persi i confini tra lavoro e casa. È fondamentale la capacità di autocontrollo e autogestione

Il timore di conseguenze negative sulla carriera

A parte qualche commento e qualche battuta di colleghi e superiori, in tema di telelavoro, tutte le telelavoranti hanno ricevuto supporto e sostegno dall’organizzazione

Volendo promuovere ulteriormente il telelavoro, si prefigura la necessità di un investimento dell’azienda in termini di informazione e comunicazione

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Conclusioni Claudia Piccardo

Al termine di queste pagine di ricerca, pagine che rendono conto di un percorso sperimentale in cui alla pratica del telelavoro da parte di alcune donne dell’organizzazione, ha fatto da contraltare la riflessione circa tale pratica, più che formalizzare le principali conclusioni, mi sembra opportuno aprire ulteriormente la strada.

Il bilancio dell’esperienza è sostanzialmente positivo, anche in relazione al fatto che la formula scelta per telelavorare è stata “parziale”: non si è corso il rischio di isolamento dalla rete sociale ma si è potuto concentrare il lavoro in uno spazio e in un tempo protetti, a casa, lontano dai disturbi dell’ufficio. L’alternanza tra presenza al lavoro e presenza a casa è stata funzionale a dare continuità alla professione e attenzione alla famiglia, riuscendo talvolta ad avere più tempo per sé, almeno nei finesettimana.

Ecco perché mi sembra questo il momento per “aprire la strada”: perché ciò che chiaramente emerge dal monitoraggio e dalla valutazione, è che l’esperienza del telelavoro non va concludendosi ma procede: può continuare l’esperienza delle “telelavoranti sperimentali”, si può estendere l’iniziativa a livello aziendale (rispetto ad altri interlocutori ma anche in là nel tempo), si consolida e problematizza la riflessione circa i risultati di ricerca, in tensione con i contributi consolidati dagli studi internazionali.

Più che conclusioni, dunque, queste pagine potrebbero intitolarsi: “per non concludere”. C’è un intenso lavoro “ancora in corso” e buona parte di esso ha a che fare con il tentativo di cogliere più chiaramente il tema, di definire meglio i confini, di provare a rispondere più distintamente a quell’interrogativo che forse è circolato anche tra i corridoi di quest’azienda, all’avvio del progetto: “tele… che?”.

È vero infatti che di telelavoro, nel nostro paese, si parla ancora poco e con prudenza: esso risulta infatti essere un tema doppio, in qualche misura inquietante: una promessa e contemporaneamente una minaccia all’equilibrio. Da un lato esso è guardato con ambivalenza, dall’altro è vissuto come una sfida in cui precipitano molte delle contraddizioni dell’attuale modo di vivere e lavorare. E anche dell’attuale modo di cercare, con maggiore o minore

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insistenza, in funzione delle storie personali, di trovare un equilibrio tra la vita e il lavoro (nella consapevolezza che il lavoro fa certamente parte della vita e che questa dicotomia risulta “forzata”, tesa a stressare il confronto tra due poli che tali non sono, poiché intrecciati sia sul fronte lessicale sia su quello sostanziale).

Quali ambivalenze e quali contraddizioni, dunque, chiama in causa il telelavoro? La decisione di telelavorare costringe ciascuno a “fare i conti”: lavoro e carriera, tra attese e possibilità concrete, tra desideri e reali occasioni, tra delusioni e soddisfazioni. Su un piatto della bilancia le promesse della carriera, sull’altro il resto della vita, con i piaceri e le complicazioni della famiglia, le incombenze e le gioie della gestione domestica, nonché con i progetti a tavolino relativi alla cura di sé, poi rivelatisi illusori, messi a dura prova nella fase attuativa.

Nel momento in cui ci si prefigura a “telelavorare”, è inevitabile interrogarsi sul proprio senso di “riuscita”, sul livello di soddisfazione maturato circa il raggiungimento degli obiettivi che un tempo ci si era posti. È altrettanto inevitabile riflettere sul proprio rapporto con l’azienda. È inevitabile riflettere su quanto essa sia una necessità, un vincolo, una costrizione o piuttosto un’opportunità, un piacere, uno stimolo.

È inevitabile interrogarsi se l’azienda sia luogo che si “subisce” o contesto cui si desidera appartenere: se dunque occorra fuggire da essa, pur salvando il lavoro (perché non telelavorare full-time, in questo caso?), o forse, semplicemente, sia necessario allontanarsi un po’, prendendo le distanze da certe “inflazioni” di tempo, di responsabilità, di preoccupazioni (perché non telelavorare part-time, dunque?), oppure, infine, sia fondamentale “esserci”, negli uffici, nei progetti, nelle relazioni, …

Non solo la decisione di telelavorare sollecita interrogativi personali che rinviano a un ampio spettro di possibili ambivalenze rispetto al proprio lavoro e al proprio equilibrio tra lavoro e resto della vita. Il tema stesso del telelavoro è intessuto di ambiguità: implica contemporaneamente lontananza e vicinanza; si lavora a distanza ma si rimane costantemente in contatto con l’organizzazione; si rimane virtualmente vicini. Ci si allontana dal luogo di lavoro, in cui può essere monitorato il tempo che si passa lavorando, e si finisce per lavorare di più, si pongono meno limiti all’orario di lavoro.

Se sul luogo di lavoro gli altri, i colleghi, spesso rappresentano un disturbo, possono diventare un bisogno nel momento in cui si lavora a casa da

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soli. La solitudine può favorire la concentrazione, ma può anche essere meno piacevole lavorare da soli.

Il telelavoro costringe dunque a mettersi in discussione, a rileggere il rapporto sviluppato con il lavoro, facendo un bilancio, a rivedere la storia di vita personale, tentando un esame, una valutazione. Non necessariamente il telelavoro rappresenta una soluzione valida per sostenere l’equilibrio tra lavoro remunerato e resto della vita: la validità del telelavoro, in questi termini, sarà tale solo se prima si sarà riusciti a riflettere con profondità e attenzione su questi diversi elementi, se sarà stato possibile comprendere da subito le diverse implicazioni sui due versanti, nei due ambiti.

S. Agostino diceva che i due figli della speranza sono lo sdegno e il coraggio. Bisogna avere sdegno nei confronti delle incursioni del lavoro nella vita personale, nei confronti dell’incapacità di porre dei limiti all’orario di lavoro, incapacità che può divenire un disturbo, una sorta di “alcolismo da lavoro” (workhaolism): è necessario accettare i propri limiti e porre dei limiti ai tempi di lavoro, sviluppare una capacità di autocontrollo.

Allo stesso modo bisogna trovare e alimentare il coraggio di dire di no alle richieste multiple da parte della famiglia, di rivendicare la propria identità di lavoratrice, anche se si lavora nello spazio fisico della casa. Utile in tal senso può essere creare un limite concreto: una stanza apposita, un paravento, porre dei confini fisici, costruire un ambiente dedicato, oppure vestirsi come se si dovesse uscire. Ciascuno può declinare le indicazioni in modo personale e affinare strategie soggettive. Il telelavoro potrebbe anche offrire l’occasione per rinegoziare la distribuzione del carico di lavoro domestico e familiare tra i partner e i componenti della famiglia: non è una riprova dell’iniquità della distribuzione dei carichi familiari il fatto che le telelavoranti siano donne, in questo caso ma non solo?

Quando l’obiettivo di trovare un nuovo, diverso, equilibrio (non esiste un equilibrio “assoluto”, buono per tutti, sempre: ciascuno ha riferimenti soggettivi, che cambiano col cambiare delle fasi, dei momenti della vita), è centrale, allora è obbligatorio percorrere la strada della negoziazione: dialogando continuamente con i propri limiti, sostituendo quel “pactus intransigenti”, che spesso si è stipulato con se stessi con la capacità di sorridere di sé, dei propri limiti, ridimensionando il “rigore” con la leggerezza, quella leggerezza che è, per usare le parole di Terziani, coscienza ironica e che si consolida in comportamenti quali “alzarsi e andare a letto con una risata”.

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Perché il telelavoro possa essere effettivamente un sostegno alla conciliazione e non fonte di ulteriori difficoltà è necessario accettarne insieme la forza e la fragilità che hanno origine nella nostra modalità liquida di relazione con la realtà: dove le appartenenze sono molte, dove ci viene chiesto di “fare la nostra parte da più parti”. Apparteniamo contemporaneamente all’azienda, alla famiglia, alla casa, a noi stessi: per disgrazia ma anche per fortuna! Ci possiamo sentire trascinati in direzioni diverse ma anche arricchiti da ogni differente elemento.

E la ricchezza è tanto più immediata quanto più ci si impegna a negoziare la molteplice appartenenza in funzione del proprio momento di vita e del proprio “bilancio personale”. L’invito è dunque quello a interrogarsi costantemente sulle proprie priorità, così come suggerisce questa storia che qualche tempo fa ho ricevuto via e-mail, come forse alcune/alcuni di voi:

Un esperto in time management, tenendo un seminario a un gruppo di studenti, usò un'illustrazione che rimase per sempre impressa nelle loro menti. Per colpire nel segno il suo uditorio di menti eccellenti, propose un quiz, poggiando sulla cattedra di fronte a sé un barattolo di vetro, di quelli solitamente usati per la conserva di pomodoro. Chinatosi sotto la cattedra, tirò fuori una decina di pietre, di forma irregolare, grandi circa un pugno, e con attenzione, una alla volta, le infilò nel barattolo. Quando il barattolo fu riempito completamente e nessun'altra pietra poteva essere aggiunta, chiese alla classe: "Il barattolo e pieno?". Tutti risposero di sì. "Davvero?". Si chinò di nuovo sotto il tavolo e tirò fuori un secchiello di ghiaia. Versò la ghiaia agitando leggermente il barattolo, di modo che i sassolini scivolassero negli spazi tra le pietre. Chiese di nuovo: "Adesso il barattolo è pieno?". A questo punto, la classe aveva capito. "Probabilmente no" rispose uno. "Bene" replicò l'insegnante. Si chinò sotto il tavolo e prese un secchiello di sabbia, la versò nel barattolo, riempiendo tutto lo spazio rimasto libero. Di nuovo: "Il barattolo è pieno?". "No!" rispose in coro la classe. "Bene!" riprese l'insegnante. Tirata fuori una brocca d'acqua, la versò nel barattolo riempiendolo fino all'orlo. "Qual è la morale della storia?", chiese a questo punto. Una mano si levò all'istante. "La morale è: non

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importa quanto fitta di impegni sia la tua agenda, se lavori sodo ci sarà sempre un buco per aggiungere qualcos'altro!". "No, il punto non è questo. La verità che questa illustrazione ci insegna è: se non metti dentro prima le pietre, non ce le metterai mai". Quali sono le "pietre" della tua vita? I tuoi cari, Dio, i tuoi amici, il tuo progetto di impresa sana e responsabile, socialmente e finanziariamente, i tuoi valori, i tuoi capi, i tuoi colleghi, i tuoi collaboratori, i tuoi sogni, una giusta causa, imparare da o investire nelle vite di altri, fare altre cose che ami, avere tempo per te stesso, la tua salute, per la preghiera personale, la persona della tua vita, tempo da donare agli altri, ecc. Ricorda di mettere queste "pietre" prima, altrimenti non entreranno mai. Se ti esaurisci per le piccole cose (la ghiaia, la sabbia), allora riempirai la tua vita con cose minori di cui ti preoccuperai non dando mai veramente "quality time" alle cose grandi e importanti (le pietre). Questa sera, o domani mattina, quando rifletterai su questa storiella, chiediti: "Quali sono le 'pietre' nella mia vita?”. Metti nel barattolo prima quelle.

La domanda con cui “non concludere” (cosa, meglio di una domanda, può

“rilanciare” la riflessione?), dunque, può essere proprio questa: “quali sono le pietre della vostra vita?”.

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