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Un aggiornamento a Come Comunicare il Terzo Settore Il controllo di gestione nelle organizzazioni del Terzo Settore di Fabrizio DI PAOLO Non profit e social network di Pietro CITARELLA Pietro Citarella Stefano Martello Giampietro Vecchiato Sergio Zicari Che la mano sinistra sappia quel che fa la destra

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Un aggiornamento a Come Comunicare il Terzo Settore

Il controllo di gestione nelle organizzazioni del Terzo Settore di Fabrizio DI PAOLO

Non profit e social network di Pietro CITARELLA

Pietro Citarella ‐ Stefano Martello Giampietro Vecchiato ‐ Sergio Zicari

Che la mano sinistra sappia quel che fa la destra

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Fonti repertorio iconografico:

© Fotolia: immagine copertina, cap. 1: 1, 4, 7, 8, 9, 10, 11 © FrancoAngeli: pag. 62

1ª edizione. © 2011 Copyright degli Autori

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Indice

Introduzione pag. 1

1. Il controllo di gestione » 3

1. Aspetti introduttivi » 3 2. Cosa è il sistema di Programmazione e Controllo di

Gestione (PCDG) » 5

3. Il Controllo di Gestione nel Terzo Settore » 9 4. L’elemento strategico del Controllo di Gestione nel

Terzo Settore » 12

5. Elementi fondanti il Controllo di Gestione e strumenti operativi

» 18

6. Fasi in cui si sviluppa un Controllo di Gestione » 37

2. Non profit e social network » 45 1. Social network: partecipare in rete » 45 2. Le campagne virali » 49 3. Comunicare con i social network » 51 4. L’esempio di Jumo e Shinynote, social network del

terzo settore » 53

5. Shinynote: il social network delle buone notizie » 55

Bibliografia sul Controllo di Gestione » 59

Scheda libro “Come Comunicare il Terzo Settore” » 61

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Introduzione all’aggiornamento

A distanza di pochi mesi dalla seconda ristampa del volume Come comunicare il Terzo Settore (Franco Angeli, 2010) arriva questo primo aggiornamento digitale dell’opera, curato da Stefano Martello e Sergio Zicari (autore unico anche dell’elaborazione grafica), che si avvale del contributo di Pietro Citarella – che ha curato la parte relativa ai social network – e Fabrizio Di Paolo, che ha curato il capitolo relativo al controllo di gestione.

Proprio dal controllo di gestione parte idealmente una prima riflessione.

Un argomento apparentemente distante dalla galassia “comunicazione”, eppure presente in una visione sempre più sinergica e trasversale che abbia come mission identitaria la promozione e la crescita del Terzo Settore italiano.

Nel governo delle relazioni non è solo importante comunicare bene ciò che si è fatto e ciò che si farà, ma diventa ancora più strategico per un posizionamento calibrato sul medio lungo termine il potenziamento di una credibilità che parta dall’interno dell’organizzazione. Per poi dispiegare i propri effetti anche all’esterno.

E oltre a quanto sopra, anche un dato operativo che intravede – sempre di più – nel Terzo Settore un interlocutore stabile e credibile, anche di fronte a interlocutori oramai fidelizzati come le Istituzioni e il Profit.

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Non dimentichiamo le criticità, ancora calibrate sulle dimensioni del Terzo Settore italiano e sull’incapacità di fare rete, funzionale a una rappresentanza ancora più incisiva.

Riteniamo, tuttavia, che proprio una maggiore sensibilità/consapevolezza nei confronti del modus operandi digitale possa contribuire a un rilancio – per efficacia e apporti – dell’attività dell’ambito.

E crediamo che proprio questo aggiornamento ne possa essere testimonianza lampante.

Buona lettura 11 febbraio 2011

Gli Autori

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Il controllo di gestione nelle organizzazioni del Terzo Settore

di Fabrizio Di Paolo1

1.1 Aspetti introduttivi

La società contemporanea è caratterizzata da cambiamenti ed evoluzioni continue e lo Stato, che in teoria sarebbe preposto ad assicurare un’assistenza continua ai cittadini, in tale contesto, è costantemente in continua rincorsa e affanno per affrontare i sempre più numerosi impegni sociali e garantire i servizi che la collettività richiede.

Con il tempo tale situazione ha generato, ovviamente, nel tessuto sociale uno scollamento, nella fiducia, tra cittadini e Stato, proprio perché il sistema politico che non riesce a essere sempre portatore di valori e di azioni risolutive per l’intera cittadinanza, non soddisfa totalmente le generali esigenze.

La crisi dello Stato ha stimolato, pertanto, la nascita, anche in Italia, di un nuovo attore del sistema economico-sociale. Si sono sviluppate organizzazioni pubbliche e private che suppliscono a ciò che lo Stato non è sempre in grado di fare e che prendono il nome di “organizzazioni”2 del Terzo Settore.

1 Dottore Commercialista e consulente gestionale - Studio di consulenza DP & Partners, Roma. 2 Nella realtà, il Terzo Settore è composto da: Aziende non profit (ANP), Cooperative sociali, Onlus, Organizzazioni di volontariato e non governative, Fondazioni, Associazioni

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Il termine Terzo Settore racchiude un’ampia gamma di realtà che si muovono dal settore dell’assistenza sociale, all’assistenza sanitaria, all’educazione, alla cultura, all’assistenza finanziaria per motivi di studio, alla ricerca in campo medico e biomedico sino ad arrivare alla cooperazione internazionale nei paesi più poveri del mondo.

Quindi nell’attuale ambiente, l’ambito operativo svolto da tali organizzazioni è assolutamente ampio e ha come elementi comuni la responsabilità sociale e l’assenza della ricerca del profitto, inteso quest’ultimo come obiettivo primario dell’organizzazione generalmente intesa.

In tali organizzazioni l’aspetto motivazionale è ancora più importante, proprio perché si pone come target il muoversi e l’operare nell’ambito “di una efficienza sia economica che sociale, ottenendo la legittimazione completa da parte dell’ambiente in cui opera e da parte dei destinatari a cui si rivolge”.3

Tali organizzazioni si peculiarizzano, come poc’anzi detto, pertanto dall’assenza della remunerazione del capitale proprio e di terzi. È proprio per tale motivo che vengono definite e conosciute come organizzazioni non profit ovvero organizzazioni appartenenti al Terzo Settore.

È inconfutabile che negli ultimi due decenni tale nuovo settore si sia sviluppato enormemente. Le cause di tale incredibile sviluppo sono da ricercare, non solo nell’incapacità del sistema politico di essere portatore di valori e risolutore delle esigenze dei cittadini, ma anche perché “lo Stato, a seguito delle sempre maggiori spese e dei problemi finanziari determinati sia dal debito pubblico che da crisi finanziarie mondiali, non è più in grado di garantire ai cittadini l’assistenza in quei settori socialmente fondamentali, quali l’educazione e la sanità”4 sentenziando, in sostanza, la crisi profonda del Welfare State.

riconosciute e non riconosciute, enti ecclesiastici e cattolici, Enti morali, Comitati. Per semplicità espositiva, per indicare tali realtà, utilizzeremo il termine “organizzazione/i”. 3 Si veda Giovanni Bronzetti in Le aziende non profit – Franco Angeli, Milano, 2007. 4 Cfr. nota n.3.

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Altre cause che hanno portato allo sviluppo del Terzo Settore sono da individuare nei fattori di appartenenza culturale, ai gruppi di volontariato e alla crisi delle organizzazioni storiche quali i partiti e i sindacati.

Il continuo svilupparsi del Terzo Settore, non solo in termini di nuove organizzazioni, ma anche e soprattutto in termini di “volumi finanziari”, ha dovuto necessariamente fare i conti, nel tempo, con una cultura manageriale di tipo profit e con l’introduzione di nuovi modelli e nuovi strumenti gestionali che consentissero e aiutassero le aziende non profit e le organizzazioni non profit a perseguire i propri fini istituzionali in modo autonomo attraverso una gestione, efficiente, efficace, razionale e trasparente.

Tali organizzazioni hanno, quindi, iniziato, seppur con molte ritrosie ideologiche, ad approcciarsi lentamente a strumenti aziendali di programmazione e di controllo, tentando di assicurare una gestione equilibrata e corretta per garantire la sopravvivenza dell’organizzazione e una buona “presenza”5 sul mercato.

Poiché, infine, tali organizzazioni devono interfacciarsi con una serie di soggetti, sia interni che esterni a essi, con esigenze, aspettative e interessi differenti che richiedono informazioni di tipo societario, finanziario ed economico, rispettando i principi di chiarezza, efficacia, efficienza, tempestività, completezza delle notizie fornite, si comprende quanto il concetto di controllo di gestione sia strategico.

1.2 Cosa è il sistema di Programmazione e Controllo di Gestione (PCDG)

Il settore non profit, come precedentemente sottolineato, identifica una serie molto eterogenea di “organizzazioni” con attività diverse, scopi diversi, utenze diverse, risorse a disposizione diverse e fonti di

5 A seguito della mancanza della ricerca del profitto di tali organizzazioni, viene anche meno il concetto di competitività. È, pertanto, più corretto utilizzare il termine “presenza” e non competitività, proprio perché non vi è l’obiettivo di aumentare le proprie quote di mercato

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finanziamento diverse. Ciò implica che sebbene vi siano dei principi del controllo di gestione comuni a molte organizzazioni non profit, si deve, comunque, dire che non esiste un sistema di pianificazione e controllo di gestione che possa essere applicato comunemente a tutte le realtà operative, ma deve essere ritagliato alla singola situazione, alla singola realtà operativa.

Fig. 1 – Il Controllo, non solo finanziario, è un elemento fondamentale di gestione anche nel mondo non profit.

Il sistema di programmazione e controllo consiste in uno

strumento che facilita il management nella gestione delle organizzazioni, siano esse profit che non profit. Nella fattispecie si esplica in un meccanismo consistente in un insieme integrato di tecniche operative, di natura statico-dinamica6, che ha l’obiettivo di

6 Si veda Emilia Gazzoni, in Programmazione e Controllo nel non Profit; Carocci Faber, Roma, 2004. La staticità nasce dalla considerazione che tale sistema integrato di strumenti fornisce al management una serie di informazioni che vengono prese dalla contabilità generale, anche analitica, dal bilancio, dagli indicatori di performance e dal sistema di reporting - quindi da situazioni “date”, da situazioni “stabili”, non mutevoli all’origine - che sono assolutamente necessarie per il sistema di programmazione, che utilizza, appunto tali dati, per esplicare la propria funzione. La dinamicità, di contro, individua la sua origine, nel

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fornire al management dell’”organizzazione” o a chi ne ha la proprietà, una serie di informazioni che supportano e indirizzano la gestione verso le finalità gestionali e sociali. Quest’ultime fissate dall’organizzazione non profit, sì per esaudire le esigenze della comunità richiedente, ma nel mantenimento dei requisiti di efficienza ed efficacia7 contenuti nelle strategie che permettono all’organizzazione stessa il raggiungimento della condizione strategica dell’equilibrio economico-finanziario.

Un’organizzazione è efficiente quando utilizza in maniera

economica le risorse che ha a propria disposizione, mentre è efficace quando ha raggiunto con successo gli obiettivi prefissati. I giudizi di efficacia implicano quindi una valutazione qualitativa ex-post del grado di raggiungimento degli obiettivi desiderati.

Il raggiungimento di entrambi gli obiettivi permette

all’organizzazione di raggiungere l’economicità. Il concetto di economicità sintetizza la capacità dell’organizzazione, nel lungo periodo, di utilizzare in modo efficiente le proprie risorse raggiungendo in modo efficace i propri obiettivi.

Consente, perciò, di passare da una gestione caratterizzata dall’estemporaneità, in cui manca una precisa accountability (attribuzione di responsabilità) a una gestione per obiettivi, dove si

susseguente momento di controllo – nell’ambito delle fasi che vanno dalla misurazione all’analisi degli scostamenti svolte all’interno dell’organizzazione e nell’ambito del controllo direzionale - oppure con l’ausilio di professionisti specializzati che assistono, collaborano e coadiuvano la direzione aziendale o dell’organizzazione - nell’analizzare i risultati conseguiti; il tutto proiettato verso il raggiungimento dell’equilibrio economico - finanziario strategico non solo per la sopravvivenza dell’organizzazione ma anche per l’ottenimento del successo nel tempo. 7 Si veda Robert N. Anthony – David W. Young in Non Profit, Il controllo di Gestione; Mc Graw-Hill, Milano 2002. Gli obiettivi fissati nelle strategie, devono essere raggiunti avendo come riferimento l’efficienza e l’efficacia. L’organizzazione tenderà, quindi, ad ottimizzare l’impiego delle risorse a disposizione (concetto di efficienza) con lo scopo di produrre effetti di utilità sociale (concetto di efficacia). Si può misurare, pertanto, l’efficienza dal rapporto tra output ottenuto e input impiegato;. Per quanto concerne, invece, l’efficacia, operativamente, si definiscono gli obiettivi da raggiungere espressi in termini quantitativi e qualitativi e si procede poi alla misurazione dei risultati raggiunti. È definita come il rapporto tra gli output ottenuti e quelli programmati.

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programma e si misura l’attività nella prospettiva dei diversi soggetti interessati (stakeholders) dove si controlla che la gestione sia caratterizzata da condizioni di efficienza ed efficacia.

Tale strumento basa la propria validità sul meccanismo di feedback (Fig.2), che consta nella capacità di segnalare gli scostamenti fra obiettivi prefissati e quelli che nella realtà operativa sono stati conseguiti, consentendo, al contempo, di porre in essere le necessarie correzioni affinché l’organizzazione possa riposizionarsi sui giusti binari rispetto a quelli programmati.8

Tale situazione si concretizza operativamente assegnando, per ciascun obiettivo, poteri e responsabilità ai diversi soggetti responsabili (accountability).

Fig. 2 – Il processo di feed back.

8 Si veda Maria Bergamin Barbato, Programmazione e Controllo in un’ottica strategica, UTET Torino, 1991.

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In precedenza abbiamo detto che il pcdg è un meccanismo operativo9 e in quanto tale è in grado di influenzare i comportamenti delle persone che operano in un contesto aziendale; in una “organizzazione “ di natura aziendale possono coesistere diversi meccanismi operativi, quali per esempio, “il sistema informativo aziendale, il sistema di selezione e formazione del personale, il sistema degli incentivi, il sistema di auditing, il sistema del controllo della qualità”10, il sistema delle comunicazioni, che interagiscono con il sistema di pcdg.

Tutti i meccanismi operativi, interagendo tra loro e affiancando la struttura organizzativa, hanno lo scopo di influenzare il comportamento delle persone verso gli obiettivi aziendali.

Il sistema di pcdg nell’insieme dei meccanismi operativi è quello considerato più potente in quanto in grado di indirizzare, per mezzo della responsabilizzazione, le persone verso il perseguimento degli obiettivi prefissati.

In conclusione si vuole evidenziare, per completezza espositiva, che il sistema pcdg non si esaurisce solo nella tematica delle fasi in cui quest’ultimo si sviluppa, ma è importante dire che in esso devono essere necessariamente incastonate altre tematiche, come per esempio – solo per citarne alcune – la determinazione dei costi aziendali e metodologia dei calcoli, l’analisi dei costi a supporto delle decisioni aziendali, la progettazione degli indicatori di performance oppure il controllo di gestione del fund raising; tematiche queste che non verranno trattate nel presente lavoro.

1.3 Il Controllo di Gestione nel Terzo Settore.

Affinché si possa comprendere come il cdg possa risultare utile a organizzazioni non profit, è necessario suddividere l’ampio universo

9 Si veda Giuseppe Airoldi, in I Sistemi Operativi, Giuffrè, Milano, 1980. 10 Cfr. Nota n.7

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delle organizzazioni operative in tale Terzo Settore, in due categorie11:

• La categoria delle organizzazioni non profit di piccole dimensioni

• La categoria delle organizzazioni di medio - grandi dimensioni

Le organizzazioni di piccole dimensioni sono quelle che

caratterizzano, per quantità, il panorama italiano del Terzo Settore. Per tali realtà le esigenze di controllo di gestione si manifestano essenzialmente al sistema informativo-contabile. Possono essere calcolati dati inerenti l’attività svolta, in termini di utenti serviti oppure di prestazioni erogate e si procede al calcolo di alcuni indicatori significativi. In alcuni casi si è in presenza anche di una contabilità analitica.

La determinazione di questi elementi incrementa inevitabilmente la potenzialità informativa dell’organizzazione verso i finanziatori esterni e verso tutte le altre tipologie di stakeholders; uno dei principali vantaggi che si genera da tale ultima situazione, a fronte di una migliore capacità di progettare e di rendicontare, oltre che, ovviamente, a gestire il progetto, si può concretizzare in un aumento delle possibilità di assegnazione di nuovi finanziamenti. Si consideri, a fronte di una gestione, controllata e trasparente, con nuovi finanziamenti l’ipotesi sufficientemente veritiera di realizzare nuovi progetti perseguendo le finalità istituzionali per le quali l’organizzazione non profit è stata costituita.

Nella fase in cui l’organizzazione consegue, un livello più maturo e una maggiore dimensione, allora si verifica che il sistema di pcdg tende necessariamente a raffinarsi e complicarsi proprio per tenere sotto controllo le variabili che tendono ad aumentare. In particolare si procede a: • Programmare economicamente-finanziariamente la gestione

annuale, tentando la copertura degli impieghi previsti con la

11 Per il paragrafo in oggetto confronta Emilia Gazzoni, Programmazione e Controllo nel non Profit; Carocci Faber, Roma, 2004.

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presenza di determinate tipologie di “entrate” e nello sforzo di definire un eventuale avanzo di gestione;

• Evidenziare i costi inerenti determinati specifici oggetti quali per esempio i singoli progetti, i singoli servizi offerti, le diverse unità operative, oppure le singole componenti di costo presenti in contabilità analitica;

• Strutturare una serie di indici sintetici tra loro interagenti che aiutino la Direzione e gli stakeholders periodicamente a comprendere l’andamento gestionale con una reportistica costante dei risultati ottenuti.

Proprio in virtù di quanto affermato all’inizio di questo lavoro è

necessario ritagliare il sistema del controllo di gestione alle singole realtà operative; si deve confermare, pertanto, che per le piccole organizzazioni non sono necessari sistemi di controllo avanzato, ma è sufficiente avere una contabilità analitica, un budget e una adeguata reportistica; in tal senso si vanno a eludere le esigenze di delega e di coordinamento, anche perché in tali specifici casi, le figure decisorie sono veramente ridotte al minimo.

Diverso è il discorso nel caso in cui aumentano le dimensioni e le complessità gestionali come per esempio le organizzazioni che richiedono servizi a varie figure professionali ovvero che offrono diversi servizi, che operano in settori o aree geografiche diverse o che si devono rapportare e che devono riportare a una serie di stakeholders, (Fig. 3); in tali casi è fondamentale e strategico possedere un sistema di controllo di gestione raffinato ed evoluto.

In tali casi le variabili gestionali, che si devono affrontare, oltrepassano le necessità di pianificazione-programmazione, monitoraggio e misurazione, ma subentrano ulteriori necessità quali il coordinamento tra figure professionali, fra attività e fra sedi operative; la necessità di delega formalizzata al fine di attribuire la responsabilità ai diversi collaboratori su obiettivi ben definiti e, infine, la motivazione di tutte le figure professionali che devono remare unitamente verso l’obiettivo finale.

Quando le ipotesi sopra menzionate divengono realtà, allora, il sistema di pcdg esprime tutto il suo potenziale e tutta la sua strategicità.

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Fig. 3 – Struttura complessa.

1.4 L’elemento strategico del Controllo di Gestione nel Terzo Settore12

I sistemi del controllo di gestione delle organizzazioni non profit prendono concettualmente le mosse dal sistema di cdg delle aziende profit: a differenza di questi ultimi, però, essi sono influenzati dalle peculiarità intrinseche alle organizzazioni non profit medesime. In alcuni casi essi sono ritagliati al contesto operativo non profit, mentre in altri, più specifici, vi è l’esigenza di individuare strumenti studiati ad hoc.

12 Si veda Emilia Gazzoni, L ’implementazione dei sistemi di programmazione e controllo presso le aziende non profit operanti nel contesto italiano; un’opportunità a sostegno del cambiamento, in Non Profit. Diritto-Management-Servizi di pubblica utilità, 1, 2004.

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1.4.1 Misurazione delle performance dell’organizzazione.

Il risultato di un’organizzazione tipica del Terzo Settore si caratterizza per la sua attitudine a conseguire contemporaneamente gli obiettivi istituzionali-sociali, nel perseguimento dei vincoli economico-finanziari, che, invece, qualificano l’universo profit.

La misurazione della performance dell’organizzazione si concretizza, quindi, operativamente, nel verificare se le dimensioni “efficacia” - gestionale e sociale - ed “efficienza” - con l’utilizzo delle risorse scarse impiegate nel processo produttivo/erogativo siano state raggiunte.

Conseguentemente la pluralità dei parametri da osservare impone un sistema di controllo complesso contenente una serie di indicatori tra loro di natura diversa e che siano riconducibili, agli aspetti contabili ed extracontabili e idonei a misurare le variabili quantitative e qualitative13.

Le difficoltà di misurazione nascono per alcuni ordini di motivi: il primo è da ricondurre alla maggioranza delle variabili qualitative sulle quantitative e cioè alla prevalenza degli aspetti intangibili su quelli tangibili; altro motivo deriva dalle difficoltà di misurare la quantità dell’output prodotto che non deve intendersi solo quale numero effettivo di prestazioni erogate, quanto piuttosto, le capacità di misurare prestazioni diverse con difficoltà diverse, con un parametro da prendere in considerazione che funga da misuratore comune a tutte le prestazioni (come per esempio le prestazioni a diversa complessità erogate da medici in un reparto di un ospedale pubblico).

Ulteriore punto critico deriva dal concetto di reddito. Nelle aziende/organizzazioni profit il reddito è l’indicatore di efficacia per eccellenza, derivante dalla contrapposizione tra ricavi (misura dell’output) e costi d’esercizio (misura dell’input). In una organizzazione non profit il risultato derivante dalla differenza tra ricavi e costi non fornisce alcuna informazione inerente l’efficacia,

13 Si veda Matteo Santi, Il controllo di gestione per le aziende non profit, sanitarie e pubbliche, Egea Milano, 2002

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sia perché in bilancio sono contenuti dei costi figurativi14, come per esempio il costo dei volontari, oppure il fitto figurativo di un locale dato in prestito o di beni strumentali donati per l’attività istituzionale, sia perché in tali tipologie di organizzazioni i ricavi sono solo una parte dei componenti positivi di reddito e, per di più, talvolta slegati dall’attività svolta.

1.4.2 Presenza di collaboratori volontari

È ormai acclarato che nella maggioranza delle organizzazioni non profit vi sia sempre più la presenza di volontari. Tale presenza sebbene, da un lato, rappresenti un valore assolutamente positivo per l’organizzazione e per il suo sistema di controllo, in quanto può sviluppare un effetto collante, con l’unione lavorativa fra tutti i collaboratori – anche per quelli pagati – dall’altro la loro presenza può generare – anche se non sempre e non in tutte le organizzazioni – elementi negativi sulla efficacia e sulla capacità di controllo medesimo. Ciò in quanto la loro presenza, sebbene incardinata all’interno di un’organizzazione che vede nella continuità dell’attività e nella eventuale vendita dei servizi-prodotti due elementi fondamentali per la sopravvivenza dell’organizzazione il non ricevere una retribuzione15, potrebbe generare in loro una rigidità comportamentale derivante dalla non disponibilità ad accettare dei vincoli o input, non condivisibili, provenienti da tutti coloro che direttamente o indirettamente ricevono ordini da dover impartire e che si riflettono conseguentemente sul volontario, che opera e agisce all’interno dell’organizzazione con uno spirito di mission personale.

14 I costi figurativi sono i costi relativi a fattori a disposizione dell’impresa senza obbligo di remunerazione. Sono costi cioè, non accompagnati da uscite monetarie effettive. Altri esempi sono il salario direzionale per l’attività di lavoro di tipo imprenditoriale, oppure il compenso per il capitale investito nell’impresa dal titolare o il premio per il rischio economico, cioè il compenso per il rischio sopportato dall’imprenditore per gestire l’impresa. 15 ..con effetto positivo da un punto di vista economico, in quanto genera un vantaggio competitivo.

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Il tutto assume una dimensione ancora più forte se si pensa al sistema del pcdg, che ha come caratteristica principale l’attribuzione di compiti precisi, la misurazione dell’operato e valutazione dello stesso, con attribuzione della responsabilità; elementi tipici questi che i volontari, anche per quanto affermato appena sopra non sono sempre propensi ad accettare.

1.4.3 Evoluzioni strategiche e capacità di programmazione

Le organizzazioni non profit rispetto alle imprese tradizionali che hanno obiettivi di profitto e che si muovono in mercati veloci, si differenziano anche per il loro grado di rigidità. Infatti, mentre l’impresa tradizionale deve adattarsi alle continue evoluzioni del mercato e all’elevato grado di competitività, le organizzazioni non profit non sono caratterizzate da tale fenomeno. Ciò in quanto le entità legali del Terzo Settore nascono sull’idea e sui sentimenti interni del o dei promotori con un obiettivo ben chiaro e delineato, che non cambia nel tempo. Nascono con la fornitura di un servizio ben preciso a cui, con il maturare della gestione e delle dimensioni, si potrebbe aggiungere, su precisa domanda dell’utente finale, la fornitura di altri servizi, spesso connessi al servizio principale.

L’ulteriore elemento deriva dal contesto nel quale le organizzazioni non profit si muovono; esattamente tali entità legali, nel contesto italiano, operano a stretto contatto con le pubbliche amministrazioni, generalmente intese, sulla base di contratti16 e convenzioni che prevedono a fronte dell’erogazioni di servizi precisi, prezzi fissi, conferendo quindi una staticità nelle strategie proprio perché le entrate previste sono rigide, non possono subire, almeno per il canale legato alla pubblica amministrazione, variazioni in corso d’anno, connesse alla domanda.

16 Contratti che vengono pagati con risorse pubbliche o di derivazione europea.

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1.4.4 Tipologia tipica dell’organizzazione operante nel Terzo Settore; riflessi

L’organizzazione tipica del Terzo Settore è un’azienda di servizi alla persona. In tal caso si manifestano diverse difficoltà.

La prima consiste nel sincronismo temporale tra produzione ed erogazione. Il riflesso è la difficoltà di gestione di possibili instabilità della domanda; non è possibile prevedere con anticipo il flusso della domanda. L’impossibilità di generare scorte, genera, pertanto, sia difficoltà nel dimensionare correttamente la capacità produttiva, sia effettuare ab orgine un controllo sulla qualità del servizio/prodotto offerto.

La seconda incertezza è caratterizzata dal fatto che le aziende che “producono” principalmente servizi vedono la predominanza della forza lavoro, con consapevoli complessità nella direzione e nella misurazione, differentemente da quanto, invece, può accadere in imprese in cui prevale la produzione di beni tangibili.

Fig. 4 – Il fruitore è un elemento basilare nella valutazione della qualità del servizio prestato.

La terza difficoltà nasce dalla considerazione che l’utente finale

stesso partecipa al processo di produzione, come usufruitore del

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servizio stesso – si pensi al caso del paziente che raggiunge un reparto di un ospedale per un problema improvviso – e quindi la qualità del servizio erogato non è funzione solo di chi presta l’opera all’interno dell’organizzazione, ma è funzione anche della capacità dell’utente finale e della sua disponibilità a collaborare esprimendo la propria impressione sulla qualità del servizio ricevuto.

Ultima difficoltà risiede nella difficoltà di misurazione sia nell’aspetto quantitativo che qualitativo del servizio (come nel caso dell’accennata difficoltà di misurazione di una prestazione medica, in una struttura pubblica).

1.4.5 Struttura finanziaria e difficoltà di pianificazione

Poiché tali tipologie di organizzazioni non svolgono attività che possano determinare un auto-finanziamento, come nel caso delle organizzazioni profit, ne consegue che le strutture finanziarie di tali organizzazioni sono caratterizzate da fonti di finanziamento provenienti nella maggioranza dei casi dall’esterno delle organizzazioni stesse; ciò implica sia una difficoltà a prevedere e pianificare le future dinamiche finanziarie, sia una difficoltà di rendicontazione dei risultati ottenuti.

Ancorché l’intero universo del Terzo Settore è composto da entità di piccole-medie dimensioni con una presenza, al contempo, minima delle grandi organizzazioni, si può affermare che la maggioranza delle non profit entities ha una minima, non attenta gestione finanziaria, non studiata né tantomeno pianificata. Ciò ovviamente comporta il rischio di poter incappare in tensioni finanziarie molto forti causa la scarsità di liquidità che potrebbe generarsi a seguito di una improvvisata gestione finanziaria, ovvero da uno sfasamento temporale tra uscite per acquisto di uno o più fattori produttivi e le entrate generate dalla vendita del servizio/prodotto, oltre ovviamente a un disequilibrio nella composizione tra fonti e impieghi e una mancata ottimizzazione dei flussi di cassa generati.

La generalità delle strutture finanziarie dipende dalle erogazioni pubbliche sottoforma di finanziamenti indistinti, contratti di fornitura

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o convenzioni per l’esecuzione di specifici progetti o particolari servizi.

Altre forme di finanziamento sono rappresentate, invece, da campagne di raccolta fondi, da donazioni anche private, dalla vendita di beni donati in lasciti privati, da finanziamenti provenienti, a titolo di liberalità, da parte di aziende con soggetto economico prevalentemente pubblico o da aziende private, oppure dalla vendita di gadgets ecc..

Da quanto sopra esposto si comprende, pertanto, in primo luogo, quanto sia difficile pianificare gli aspetti finanziari in contesti operativi di tal portata, ma si comprende ancor più quanto, in presenza di organizzazioni con tali caratteristiche, sia strategico essere dotati di un sistema di controllo di gestione che permetta un governo, organizzato, coerente con gli obiettivi prefissati, consapevole nell’ottenimento delle finalità istituzionali e sociali e diretto con meticolosità per consentire il raggiungimento delle condizioni di efficienza ed efficacia determinanti per la sopravvivenza nel medio-lungo termine dell’organizzazione e abbandonando pertanto l’ormai obsoleta nonché rischiosa concezione della gestione improvvisata.

1.5 Elementi fondanti il Controllo di Gestione e strumenti operativi

Le organizzazioni e le aziende non profit sono da considerarsi come un complesso di beni organizzato per il conseguimento dell’obiettivo sociale e/o l’esercizio dell’impresa17. Al suo interno l’organizzazione è composta da sotto-insiemi18 che sono definiti comunemente sistemi aziendali o funzioni aziendali 19.

17 Si confronti il codice civile agli articoli 2082 e 2555 per la definizione della figura dell’ imprenditore nonché di azienda. In tale contesto si parla anche di impresa o azienda non profit, proprio in quanto le tipologie in menzione rientrano nell’ambito non profit. 18 Molti autori definiscono i sotto-insiemi come sotto-sistemi, considerando l’azienda come un sistema. 19 Tra le diverse funzioni aziendali si hanno la funzione produttiva, la funzione legale, la funzione informatica, la funzione amministrativa, la funzione commerciale ecc. Nel caso di

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19

Fig. 5 – Funzioni di organizzazioni Non Profit di medie/grandi dimensioni. Il controllo di gestione rientra tra queste funzioni/sistemi; è

composto da tre elementi, tra loro interattivi, che sono: il supporto informativo, la mappa delle responsabilità, e infine il processo di controllo20.

Prima di procedere nella spiegazione di questi tre elementi si osservino le figure 5 e 6 che ritraggono schematicamente e rispettivamente l’”insieme” di una generica organizzazione non profit dalle medie dimensioni, nonché gli elementi che sviluppano il sistema pcdg integrati con gli strumenti che compongono il supporto informativo.

aziende non profit si hanno, tra le altre, la funzione istituzionale, la funzione finanziaria patrimoniale, la funzione fund raising. 20 Cfr. nota n. 6.

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Come menzionato la funzione del cdg è composta da tre elementi che si sviluppano all’interno di determinate fase temporali e basa la sua operatività su elementi contabili ed extracontabili.

(A) STRUMENTI CONTABILI STRUMENTI

EXTRACONTABILI

Fig. 6 – Supporto Informativo (A) integrato con la funzione Controllo di Gestione (B).

Didatticamente sarebbe più corretto trattare le fasi e gli strumenti

contestualmente, ma si è deciso, invece, di seguire prima la via della

CONTABILITÀ GENERALE e BILANCIO

di ESERCIZIO

CONTABILITÀ ANALITICA

INDICATORI di PERFORMANCE

BUDGET REPORTING

ANALISI degli SCOSTAMENTI

SUPPORTO INFORMATIVO

MAPPA delle RESPONSABILITÀ

PROCESSO DI CONTROLLO

(B)

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spiegazione degli elementi di cui si compone il cdg e poi trattare le fasi in cui essi si snodano, solo per una chiarezza espositiva.

Gli elementi o strumenti sono: il supporto informativo, le mappe delle responsabilità e il processo di controllo [cfr. Fig.6 (B)]. Il supporto informativo e le mappe delle responsabilità, rappresentano la dimensione statica del sistema, il processo di controllo la parte dinamica.

Di seguito entreremo brevemente nell’esposizione di ciascun punto. Iniziamo con il sistema informativo.

A. Il supporto informativo

Per un corretto funzionamento, il sistema del cdg basa la sua concezione e la sua operatività su una serie di informazioni provenienti dal supporto informativo che deve necessariamente essere in grado, da un lato di contabilizzare i dati degli eventi che si manifestano e dall’altro di misurare in via presuntiva, concomitante e consuntiva, le informazioni necessarie; non ultime l’efficienza e l’efficacia.

Tale sistema informativo è suddiviso in strumenti contabili ed extracontabili di rilevazione, elaborazione e comunicazione dei dati economico-finanziari [cfr. Fig.6 (A)].

Agli strumenti contabili appartengono la contabilità generale, la contabilità analitica e il bilancio d’esercizio; mentre alla seconda categoria di strumenti appartengono il budget, l’analisi degli scostamenti, gli indicatori di performance e il reporting.

La contabilità generale è costituita dall’insieme delle registrazioni contabili e permette la rilevazione contabile degli accadimenti aziendali di natura economica (cioè in termini di costi e ricavi del periodo), di natura finanziaria (cioè in termini di incassi e pagamenti di periodo), nonché patrimoniali21. Alla fine del periodo

21 Si veda Giovanni Bronzetti Le aziende non profit, Franco Angeli, Milano, 2007; Aldo Amatuzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1997; Carlo Caramiello, in Ragioneria Generale, Nova Italia, Roma, 1988; Francesco Giunta,

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amministrativo si elaborerà, così come previsto per legge, il bilancio d’esercizio22 dal quale emergerà il risultato del periodo (utile o perdita d’esercizio/avanzo o disavanzo di gestione). C’è da dire però che così come si presenta, il bilancio non è in grado di fornire informazioni sufficienti – se non minime – al management inerenti l’andamento della gestione cosicché è necessario, attraverso delle analisi particolari estrapolare le informazioni economico-finanziare necessarie al processo decisionale23.

La contabilità generale offre, però, informazioni esclusivamente relative all’organizzazione, nel suo complesso, escludendo qualsivoglia informazione inerente su come le risorse a disposizione dell’organizzazione sono state utilizzate nel processo produttivo e nelle diverse combinazioni economiche. Per tale scopo si utilizzerà la contabilità analitica – detta anche contabilità dei costi24 – la quale, pur essendo una contabilità interna e pertanto non legalmente valida nei confronti dei terzi, è di fondamentale importanza in quanto “permette la rilevazione consuntiva dei costi di determinati oggetti di riferimento che possono essere un prodotto, un processo, un centro di costo o un centro di attività, riferiti a un dato intervallo

L’impiego dei nuovi schemi di nuovi schemi di bilancio di derivazione comunitaria per le analisi economico finanziarie d’impresa, Cedam, Padova 1992. 22 Il bilancio nelle organizzazioni non profit, pur dovendo rispettare sempre i postulati generali del bilancio, assume però caratteristiche leggermente diverse rispetto al bilancio che le società profit deve predisporre, ciò in quanto sono diverse le finalità dell’attività e di conseguenza gli obiettivi informativi. Al riguardo si evidenzia che alcune disposizioni di legge prevedono per alcune tipologie di enti non profit la possibilità di sostituire il bilancio tradizionale, formato dallo Stato Patrimoniale, Conto Economico, e Nota Integrativa con una forma sostitutiva che prende il nome di rendiconto delle entrare e delle uscite. Si desidera, infine, evidenziare che nel 2002 la Commissione aziende non profit del Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti, ha emanato il “Documento di presentazione di un sistema rappresentativo dei risultati di sintesi delle aziende non profit”, nel quale si mostrano gli schemi di bilancio utilizzati per rappresentare i dati della gestione dal lato economico, finanziario e patrimoniale. 23 Nell’ambito delle organizzazioni non profit non avremo l’analisi tipica con indici che caratterizzano le analisi di bilancio delle aziende profit, ma avremo una diversa tipologia di analisi con indici tipici del settore non profit. Si confronti la Raccomandazione n. 10 redatta dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti con la Commissione Aziende non profit, che permette, in alcuni casi, l’uso dell’analisi per indici e flussi. 24 Viene altresì definita contabilità dei costi oppure contabilità per centri di costo, ovvero contabilità industriale, se le imprese operano del settore profit.

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temporale oggetto di esame e pertanto fornisce informazioni sulla composizione di un costo, guida il management nella propria attività decisionale, nella determinazione del prezzo dei servizi da offrire, fornisce informazioni sugli elementi da prendere in considerazione sulla realizzabilità di un progetto, sui centri di responsabilità che sono stati fissati nell’ambito del sistema di controllo, nella predisposizione del budget e nella redazione del documento di reporting” 25.

Fig. 7 - L’analisi della contabilità analitica ha l’obiettivo di studiare attentamente e separatamente ciascun “oggetto” di costo

Altro aspetto fondamentale che inerisce la contabilità analitica è

quello di comparare due o più scelte gestionali, avendo sempre riguardo alla convenienza economica delle scelte fatte per verificare e analizzare se le condizioni di efficacia e di efficienza, nell’ottica dell’economicità “aziendale”, siano state raggiunte. Le informazioni che si ottengono dalla contabilità analitica, permettono, inoltre, una comparazione nel tempo (sia di natura preventiva sia consuntiva, che infra-annuale di periodo) e nello spazio (tra realtà diverse e tra organizzazioni appartenenti a settori diversi).

25 Si veda Giovanni Bronzetti, Le aziende non profit , cit.

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Per quanto concerne il bilancio si confronti la precedente nota n.22.

Passando poi alla trattazione degli strumenti extra-contabili del supporto informativo essi sono: il budget, l’analisi degli scostamenti, gli indicatori di performance e il sistema di reporting.

Budget

Per il budget, si rinvia al successivo paragrafo dove verranno trattate le fasi in cui si sviluppa un sistema di pcdg e dove verranno introdotti il concetto e le diverse tipologie di tale strumento.

Analisi degli scostamenti

L’analisi degli scostamenti non è altro che la differenza tra valori fissati e valori ottenuti.

Lo scostamento può essere misurato facendo riferimento a quattro elementi che sono: il volume, il mix, il prezzo, l’efficienza.

Tali differenziali si esaminano separatamente poiché sono cagionati da cause differenti, riguardano persone diverse e necessitano azioni correttive diverse.

La metodologia che si utilizza per determinare gli scostamenti consiste nell’individuare per ogni voce la variazione dei dati di budget e i dati effettivi e nel procedere al calcolo dello scostamento tenendo ferme tutte le altre condizioni. Per determinare uno scostamento di costo si procede sottraendo l’importo effettivo da quello previsto, mentre per determinare uno scostamento di ricavo si procede al calcolo della differenza tra ricavo previsto e quello effettivo.

Gli scostamenti sono diversi e possono essere analizzati di seguito: 1. Scostamento di volume. Se il volume dei servizi erogati si

differenzia dalla quantità preventivata nel budget, vi è l’eventualità che o i costi o i ricavi siano divergenti rispetto a quelli fissati nel budget medesimo. Pertanto la varianza dei ricavi è data dalla differenza tra il volume atteso e quello ottenuto

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moltiplicato per il prezzo unitario. Lo scostamento del volume dei costi, invece, in un’organizzazione in cui il budget è costituito da costi mensili, è collegato ai costi variabili nonché alla parte variabile dei costi fissi. Quindi lo scostamento di volume è ottenuto moltiplicando il costo atteso variabile per unità di prodotto per la differenza tra volume effettivo e quello di budget.

2. Scostamento di mix. In tale fattispecie la “varianza” può essere determinata da una variazione generata o nella composizione dei servizi impiegati o nel numero di quest’ultimi, rispetto ai fissati valori di budget.

3. Scostamento di prezzo. È dato dalla differenza tra il prezzo unitario atteso e quello effettivo. Può riguardare, anche in tale circostanza, sia il componente costo, sia il componente ricavo. Ovviamente per poter determinare lo scostamento è necessario entrare in possesso dei prezzi unitari fissati nel budget.

4. Scostamento di efficienza. È misurato dalla discrepanza tra costi effettivi e costi attesi non riferibili agli scostamenti di volume, di prezzo e di mix.

Indicatori di performance

Per quanto concerne gli indicatori di performance bisogna evidenziare due aspetti: il primo è che nell’ambito della pianificazione-programmazione e quindi in fase di budgeting, l’attribuzione degli obiettivi a ogni centro di responsabilità (concetto di accountability) presuppone anche una misurazione di ciò che si è ottenuto tramite adeguati indicatori di performance. Il secondo, invece, deriva dal fatto che in una organizzazione non profit, la misurazione dell’output è estremamente complessa, se non impossibile in alcune fattispecie, proprio perché l’attività svolta è estremamente complessa e si riferisce ad attività intangibili e non riconducibili a un unico parametro che è il reddito. Mentre nelle imprese profit si hanno indicatori economici sintetici per determinate valutazioni sull’output generato, tali indici non possono esistere nelle valutazioni di organizzazioni operanti nel settore non profit perché i ricavi non rispecchiano esaustivamente l’output generato. Non esiste,

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quindi, un indicatore universale e sintetico in grado di misurare le performance e che sia paragonabile all’indicatore fondamentale utilizzato nelle imprese commerciali quale è il reddito. La mancanza di questo indicatore sintetico determina una difficoltà maggiore nel ricondurre a un’unica visione d’insieme la gestione dell’organizzazione non profit, nel ricondurre cioè la molteplicità delle variabili critiche gestionali a una visione unitaria e sistemica in grado di analizzare il loro allineamento al target “aziendale”.

Fig. 8 - È necessario misurare gli scostamenti di budget per poter decidere le più appropriate azioni correttive.

Ma, in che cosa consiste un indicatore nella realtà dei fatti? Per

quali motivi si deve ricorrere agli indicatori per avere informazioni sull’output prodotto? Le analisi di efficienza ed efficacia dovranno, quindi, essere effettuate con gli indici tradizionali oppure con altri indici che sostituiranno quelli tradizionali? Che ruoli devono avere gli indicatori e che caratteristiche devono possedere per certificare la loro utilità?

L’indicatore in genere può essere definito come un parametro che riassume e descrive un determinato fenomeno, oggetto di misurazione, in termini quantitativi o qualitativi.

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Due sono i motivi per cui si ricorre alla determinazione di tali parametri: 1) per misurare l’efficienza del servizio erogato, consistente, come più volte detto, nel rapporto dato tra l’output prodotto e le quantità di input utilizzate e 2) per misurare l’efficacia dell’output, cioè per cercare di determinare il più esattamente possibile la conformità tra l’output agli obiettivi e alle finalità prefissati dall’organizzazione.

Gli indicatori da utilizzare, per le ragioni più volte esposte, non possono che essere non tradizionali.

Ciascun indicatore deve svolgere un triplice ruolo26: 1. esplicitare il fenomeno che si desidera analizzare; 2. essere in grado di prendere in considerazione le corrette leve

gestionali; 3. essere in grado di orientare i comportamenti di chi ha la

responsabilità. L’indicatore, inoltre, per essere considerato valido deve essere: 1. significativo nel far risaltare la variabile considerata; 2. misurabile nel senso che i dati per misurarlo devono essere

accessibili dal sistema informativo e deve esserne conveniente la misurazione;

3. tempestivo in quanto le decisioni, poiché rispecchiano la velocità e la tempestività della gestione, non possono essere fornite con lentezza;

4. omogeneo in quanto deve permettere la comparazione spazio-temporale.

Per quanto concerne la classificazione di tali indici, si deve

premettere che in dottrina si utilizzano diverse terminologie per descrivere un determinato fenomeno27. Essi si suddividono in28 :

26 Emilia Gazzoni, Programmazione e Controllo nel non Profit; cit; Robert N. Anthony – David W. Young, Non Profit, Il Controllo di Gestione; Mc Graw-Hill, Milano 2002; Consiglio, Nazionale Dottori Commercialisti - Commissione aziende non profit, Raccomandazione n.10 – Gli Indici e gli Indicatori di performance nelle aziende non profit, impegnate nella raccolta fondi e destinatarie di contributi pubblici e privati, Roma, 2002 27 Il Governamental Accounting Standard Board (GASB) suddivide gli indicatori in: input, output e risultati finali (outcome), in Robert N. Anthony – David W. Young, cit.

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a) indicatori sociali; b) indicatori di input; c) indicatori di processo; d) indicatori di output; e) indicatori di out-come.

a) indicatori sociali:

Si tratta di un indicatore di portata minore in quanto non molto utilizzato. È una misura generica di output che esprime l’impatto del lavoro di un organizzazione sulla popolazione in generale. Poiché sono di difficile uso in quanto non è dimostrabile in un indicatore una stretta relazione tra causa ed effetto – cioè tra ciò che fa un’organizzazione e il cambiamento intervenuto in un indicatore sociale29 – la dottrina prevalente ritiene che questa tipologia di indicatori fornisca dei risultati non attendibili e comunque limitati null’utilizzo, senza considerare che non posseggono la tempestività che si richiede a un indicatore e non sono, per di più, sensibili alle attività tipiche di un organismo in quanto subordinati a pressioni esterne. Possono, però, essere utilizzati nella fase di pianificazione strategica dal management per capire in che direzione l’organizzazione dovrebbe volgere il suo sguardo e quali scelte fare30.

b) indicatori di input:

Questa tipologia di indicatori si suddivide in misurazioni fisiche e in quantificazioni monetarie. Mentre i primi si sostanziano nella

28 Per un approfondimento della tematica Cfr nota n. 27. 29 Robert N. Anthony – David W. Young in Non Profit, Il Controllo di Gestione, cit. 30 Un esempio è il tentativo fatto da un determinato organismo, che con una sua sponsorizzazione, abbia voluto finanziare il progetto che analizzasse i cambiamenti intervenuti, nell’arco di un determinato periodo, nel benessere della popolazione di un determinato stato. Poiché non è stato possibile con certezza individuare un nesso tra gli indicatori di benessere e gli sforzi fatti dall’organismo è plausibile che il tentativo di misurare l’output sia stato improduttivo sia in termini di denaro che in termini di tempo. (Non si è volutamente esplicitare il nome di tale organismo per meri motivi di privacy istituzionale).

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quantificazione fisico-tecnica delle risorse utilizzate, i secondi si concretizzano nella stima monetaria delle risorse utilizzate31. Si tratta di indicatori che misurano l’efficienza e cioè quanto output prodotto in funzione delle quantità di input impiegate nel processo.

Gazzoni32, nel puntualizzare come indicatore primario dell’efficienza complessiva il costo di produzione unitario quantificabile nel rapporto tra costo complessivo di produzione/numero di unità prodotte, illustra come esempi di indicatori di efficienza anche il costo medio per utente (costo totale del servizio/n. di utenti), oppure il personale medio per assistito (n. di unità di personale/n. di assistiti) ovvero il costo unitario di materie prime (costo del materiale/n. di prestazioni).

Ciò che è doveroso sottolineare è che un indicatore non ha sempre una valenza interpretativa unitaria ma può, invece, avere dei significati diversi33 se non addirittura contrapposti. È il caso di un’organizzazione di medici volontari che effettua interventi medici urgenti e domiciliari su richiesta di pronto soccorso. In questo caso il tempo dedicato dal personale per ogni paziente è il parametro su cui è possibile esprimere pareri che possono essere, però, contrapposti. In questo caso il tempo dedicato in meno a ogni paziente può essere interpretato sia come efficienza gestionale, in quanto a parità di chiamate è diminuito l’utilizzo di risorse, rappresentate dal numero di ore del personale medico, oppure può essere interpretato come una diminuzione della qualità del servizio, in quanto si può ritenere che il servizio prestato sia stato poco attento e superficiale.

Quanto sopra induce, quindi, a riflettere su come ogni indicatore debba essere interpretato in funzione sia degli obiettivi preposti sia delle strategie perseguite e su come esso debba essere valutato di concerto con altre tipologie di informazioni e non isolatamente.

31 Esempi possono essere il n. di computer presenti all’interno di una struttura con caratteristiche interne diverse o il costo e il numero di dipendenti con una determinata professionalità in grado di utilizzare il computer. 32 Opera citata 33 Molteni M., Le misure delle performance nelle aziende non profit di servizi alla persona, Cedam, Padova 1997; Tragliavini C., Valutazioni e indicatori dei servizi prodotti nelle organizzazioni non profit, in Azienda Pubblica, 3, 1992.

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c) indicatori di processo:

Sono particolarmente usati nelle aziende di servizi, perché forniscono informazioni su come si stia erogando una determinata attività nonché sulle variabili che andranno a determinare la qualità finale dell’attività stessa o del servizio erogato. Come noto la qualità di un determinato servizio non può essere analizzata prima ancora che il servizio stesso sia erogato; pertanto l’utilizzo degli indicatori di processo soccorre in tal senso. Attraverso un monitoraggio costante durante tutto il processo input-output, tale tipologia di indicatori permette di tenere sotto controllo, a qualsiasi livello organizzativo, la qualità del servizio che si sta per erogare autorizzando, inoltre, il management a intervenire, qualora la gestione lo necessiti, senza attendere la fine dell’anno per avere i relativi feed back dell’attività prodotta.

Gli indicatori di processo controllano il modo in cui il determinato servizio si realizza. I parametri da prendere in considerazione sono: la quantità di attività generata, le tempistiche occorrenti affinché l’attività possa essere prodotta e le modalità di esecuzione del servizio.

d) indicatori di output:

Gli indicatori di output tentano di dimostrare come l’output stesso sia messo in relazione agli obiettivi di un’organizzazione. L’indicatore di output interviene come alternativa all’indicatore sociale sopperendo almeno in parte alle mancanze e alle difficoltà di quest’ultimo. Un indice deve essere sempre misurabile e riferibile all’obiettivo che l’organizzazione si propone; quando gli obiettivi non si possono misurare allora l’indicatore di output può intervenire come alternativa ultima disponibile al management per comprendere se gli obiettivi fissati, nonché i progressi realizzati dall’organizzazione, siano stati raggiunti.

Quali sono le variabili che si possono prendere in considerazione?

Alcuni esempi possono essere:

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• Il volume prodotto; • La qualità prodotta; • Il tasso di raggiungibilità al servizio; • La prontezza nella risposta alla richiesta del servizio;

Come Antony e Young affermano “se correttamente strutturato,

un indicatore di risultato [o di output] permette di valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi da parte dell’organizzazione. Se l’organizzazione è orientata al cliente, gli indicatori che usa dovrebbero riferirsi a ciò che ha fatto per i suoi clienti […]. L’organizzazione che presta dei servizi a una categoria ben definita di clienti, come gli alcoolisti o i disoccupati, misurerà l’output in termini di risultati per l’intera categoria o per un gruppo-obiettivo al suo interno”34.

Esempi chiarificatori possono essere l’indice costruito dal management per indicare la capacità dell’Ente Poste a consegnare la posta prioritaria nazionale in qualunque destinazione entro, per esempio, due o tre giorni oppure, nel caso di una organizzazione di volontariato nell’aiuto psicologico telefonico, l’indice costruito per determinare la capacità di soluzione positiva alle richieste di aiuto al numero verde, ovvero il grado di gradimento nel comfort alberghiero di una casa di riposo per anziani o di un ospedale pubblico (Fig. 9).

e) indicatori di out-come:

Sono parametri ancor più significativi dei precedenti nel dimostrare l’efficacia dell’organizzazione; la capacità di essere aderente ai propri fini e ai propri caratteri identitari. Il parametro è dato dall’out-come che misura la variazione incrementale dello stato di benessere sentito dall’utente e generato dalla prestazione dell’organizzazione. Indica la conseguenza di un’attività o processo dal punto di vista dell’utente del servizio e degli stakeholder più in generale.

34 Robert N. Anthony – David W. Young Op cit.

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Fig. 9 – Un indice di out-put è anche la prima colazione in una casa di riposo per anziani (varietà, quantità, salubrità, rapporto umano, ecc.).

Ciò, però, che rende estremamente difficoltoso l’utilizzo di questi

parametri risiede in alcune ragioni che Molteni riassume e chiarisce perfettamente con riferimento al settore sanitario e socio-assistenziale:

• “la partecipazione alla valutazione dell’utente stesso, il quale non sempre è disponibile o non è nelle condizioni idonee a esprimere dei giudizi; si pensi ai tossicodipendenti o ai disabili”;

• “l’influenza sull’incremento dello stato di benessere di fattori estranei alla prestazione effettuata”;

• “l’ampiezza del pericolo necessario perché la misurazione sia significativa; si pensi alle prestazioni che danno risultati immediati, ma anche o soprattutto a distanza di tempo” 35.

35 Molteni. M., Le misure delle performance nelle aziende Non Profit di servizi alla persona, cit.

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Se, invece, si vuole cambiare l’orizzonte da valutare e si desidera verificare il grado di efficienza di un ente nel raccogliere fondi senza entrare nella specificità, ovvero effettuare una valutazione della struttura patrimoniale- finanziaria, oppure sull’andamento economico (di importanza inferiore) è possibile suddividere gli indicatori36 in:

1. Indicatori dell’efficienza organizzativa:

Sono indicatori utili per analizzare il grado di efficienza di un ente nel raccogliere fondi: - Indice di efficienza della raccolta fondi (Fundraising

efficiency); - Indice di spesa destinato alla raccolta fondi (Fundraising

expenses); - Indice di spesa destinato all’attività di supporto

(Adminstrative expenses); - Indice di spesa destinato al fine istituzionale di cui al

programma (Program expenses);

2. Indicatori della capacità organizzativa: Sono indicatori che forniscono informazioni sulla capacità dell’organizzazione di sostenere nel tempo la crescita, la realizzazione del programma e di raggiungere il target dell’organizzazione. Questi indicatori si concretizzano essenzialmente in 3 parametri che sono: - La crescita dei ricavi caratteristici; - La crescita delle spese pianificate; - L’indice del capitale circolante.

3. Indicatori della struttura patrimoniale - finanziaria.

Si tratta di indici che permettono di analizzare il grado di solidità dell’organizzazione rispetto ai terzi finanziatori: - Indice di composizione del patrimonio;

36 Cfr, Raccomandazione n.10, Commissione Aziende non profit del CNDC, Roma 2002

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- Indice del grado di indebitamento; - Margine di tesoreria.

4. Indicatori economici

Sono indici di importanza inferiore. Poiché, infatti, gli indici di analisi economica tipica delle aziende tradizionali non svolgono le stesse funzioni per le organizzazioni non profit alcuni autori37 hanno studiato degli indicatori basati sul valore aggiunto per valutare l’economicità della gestione. L’obiettivo è quello di esaminare l’incidenza degli oneri e dei proventi della gestione caratteristica rispetto alle attività collaterali; evidenziano l’importanza del core business e della sua redditività: - Redditività della gestione caratteristica; - Composizione dei ricavi.

Reporting

L’ultimo strumento extracontabile è l’attività di reporting. Consiste nella emissione di una serie di report che hanno come obiettivo la comunicazione ai diversi responsabili (ai diversi livelli e per le proprie competenze) tutte le informazioni concernenti l’andamento della gestione.

I report possono essere riferibili ai singoli responsabili di funzione oppure sono riferibili alla gestione nel suo complesso.

Per quanto concerne la frequenza, alcuni autori suddividono la frequenza con la quale i report vengono emanati in: report di routine, di approfondimento e straordinari.

Nella realtà, la periodicità con la quale vengono emessi i report dipende dalla frequenza con la quale si verificano eventi che devono essere sottoposti all’attenzione della direzione e dai tempi decisionali della direzione stessa. I report che hanno a oggetto lo svolgimento complessivo della gestione hanno una frequenza routinaria (di emissione mensile o trimestrale); eventi che chiameremo

37 Si veda Giovanni Bronzetti, Le aziende non profit, cit.

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“particolari”, in quanto non prevedibili o di eccezionale gravità, possono prevedere una emanazione assolutamente più frequente o, in alcuni casi immediata. Infine indichiamo come ulteriore tipologia di report quelli che scendono più in profondità su tematiche non standardizzate che vengono richieste direttamente dai responsabili dei diversi settori.

Il sistema di controllo, come preannunciato, risulta poi composto da altri due sistemi che sono la mappa delle responsabilità e il processo di controllo.

Fig. 10 - L’attività di reporting, quale strumento extracontabile di un efficace Controllo di Gestione

B. Mappe delle responsabilità

Impostare i centri di responsabilità in una organizzazione significa responsabilizzare tutte quelle figure professionali che detengono le leve decisionali per il conseguimento dei risultati; ciò significa, in altri termini, che definendo le responsabilità si orientano automaticamente i comportamenti dei responsabili verso gli obiettivi voluti.

Un centro di responsabilità può quindi essere definito come un gruppo di persone che agisce per raggiungere un determinato

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obiettivo alle dipendenze di un dirigente, al quale viene attribuita la responsabilità delle azioni intraprese e dei risultati ottenuti.

Ciascun centro di responsabilità è indirizzato al conseguimento dell’obiettivo a lui attribuito. L’insieme dei centri di responsabilità, pertanto, con i rispettivi obiettivi contribuirà a raggiungere l’obiettivo ovvero gli obiettivi complessivi dell’organizzazione.

Quando le dimensioni delle organizzazioni sono moderate, il potere di indirizzare la gestione e di controllarla durante l’arco dell’anno è nella mani solo di alcuni soggetti i quali attribuiscono i compiti ai livelli sottostanti e successivamente ne controllano la corretta esecuzione.

Ovviamente all’aumentare delle dimensioni dei volumi generati in termini di servizio o di prodotto, di numeri conseguiti, di servizi offerti, di settori d’intervento o di strutture organizzative, è naturale che l’organizzazione abbia un sistema che necessiti di una attribuzione delle responsabilità più particolareggiato e approfondito, proprio per monitorare esattamente e continuamente tutti i centri di responsabilità presenti nell’organizzazione.

La dottrina ha, quindi, suddiviso i centri di responsabilità in centri di ricavo, centri di costo, centri di profitto, centri di investimento, alle cui direzioni sono posizionate figure professionali esperte (Senior Management). Essi sono: • i centri di ricavo che hanno come obiettivo la determinazione

del fatturato e quindi l’ottimizzazione dei ricavi. Le variabili gestionali connesse riguardano il volume delle prestazioni offerte, i prezzi abbinati a ogni prestazione e il mix di vendita.

• I centri di costo misurano, invece, i costi sostenuti da un centro di responsabilità, ma non il valore monetario dell’output di tale centro; il referente di tale centro dovrà perseguire, quindi, l’obiettivo del costo. Ha il potere di influenzare il costo e di conseguenza la variabile critica è l’efficienza.

• I centri di reddito o di profitto misurano l’attività come differenza tra i ricavi generati e i costi sostenuti. Il responsabile, avrà perciò solo obiettivi di reddito. Il potere che detiene è ampio in quanto potrà operare sia sulle leve dei ricavi sia sulla leva dei costi.

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• I centri di investimento; in tali centri si provvede non solo a determinare i costi sostenuti e i ricavi generati, ma anche a determinare il capitale investito. Anche in questo caso il potere che detiene il responsabile è molto ampio in quanto può operare su più leve: su costi, ricavi e capitale investito.

C. Processo di controllo

Come si comprenderà agevolmente nel prossimo paragrafo, il processo di controllo rappresenta la parte dinamica del sistema pcdg. Svolgerà la propria azione all’interno dell’organizzazione e verrà posto in essere costantemente durante tutto l’arco del periodo amministrativo. Una volta che il budget verrà fissato redigendo il piano, a intervalli regolari, si procederà alla misurazione delle performance (attività di controllo), verificando che la gestione di periodo si mantenga in linea con le previsioni espresse in sede di redazione del budget.

1.6 Fasi in cui si sviluppa un Controllo di Gestione.

Le espressioni quali programmazione e controllo, suggeriscono da sole, al lettore che l’attività di controllo della gestione si concretizza essenzialmente in un mero processo quantitativo, che si sviluppa in una prima fase previsionale e in una consuntiva. Nella prima fase gli organi preposti definiscono gli obiettivi che l’organizzazione si prefigge di raggiungere, da cui, deriva la necessità di porre in essere un buon coordinamento per realizzare un elevato grado di efficienza. Il controllo consuntivo38, permette di misurare il grado di

38 Più specificatamente è opportuno far notare che alcuni autori, tra cui Emilia Gazzoni, ritengano, di dover suddividere il controllo secondo i processi tipici del feed – back o del feed – forward, in funzione della specificità degli elementi oggetto d’indagine. In particolare viene distinto lo stadio di controllo dopo l’ultimazione delle operazioni, (cd. controllo consuntivo) che prevede la determinazione e l’analisi degli scostamenti: di efficacia sociale da ricondursi agli effetti prodotti; di efficacia gestionale connessi al confronto tra risultati e obiettivi; di efficienza relativi ai risultati ottenuti rispetto alle risorse impiegate. Il processo che caratterizza, differentemente, il controllo strategico, budgetario e concomitante, si colloca, di prassi, nella logica del feed – forward control e tende a valutare

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raggiungimento degli obiettivi prefissati al fine di raccogliere le informazioni necessarie per migliorare non solo le performance in corso d’opera dell’organizzazione, ma altresì per misurare le prestazioni delle risorse umane presenti nel processo aziendale e migliorare la programmazione futura.

Fig. 11 – Programmare e Controllare sono elementi di disturbo e di ansia soltanto quando non sono regolarmente attuati nell’Organizzazione.

Prima di proseguire nell’analisi delle fasi principali in cui si

sviluppa il cdg è bene chiarire brevemente la necessità di separare concettualmente l’elaborazione delle strategie dall’ambito manageriale del controllo. Il Top management definisce sia le finalità, sia le strategie da intraprendere per il raggiungimento di tali finalità, mentre il Senior management e altro personale gerarchicamente di livello più basso si suddividono due tipologie di compiti. Il Senior management, con il controllo direzionale, si preoccupa dell’implementazione delle strategie e del raggiungimento delle finalità e quindi opera affinché l’azienda attui, in toto, le

gli scostamenti in corso d’azione e a misurarne gli effetti nell’ipotesi di risultati realizzabili senza alcun intervento correttivo.

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strategie in modo efficace ed efficiente. Il personale, talvolta, anche con l’ausilio di manager di livello inferiore, verifica, invece, che la quotidianità dei compiti sia rispettata affinché le condizioni di efficienza e di efficacia vengano mantenute.

Diviene a questo punto inderogabile effettuare un remainder e chiarire che nel prosieguo si incontreranno concetti e fasi che sono stati già trattati precedentemente in occasione dell’analisi degli elementi extracontabili. Non si tratta, pertanto, di una duplicazione ma del naturale interagire delle fasi con gli strumenti. Per alleggerire la trattazione che segue si farà un rimando ai punti già trattati con eventuali integrazioni. Le principali fasi in cui si snoda un sistema di pcdg sono essenzialmente sei e vengono di seguito analizzate (Cfr la precedente Fig.2):

1. Fase di pianificazione-programmazione

La pianificazione strategica è il processo rivolto alla determinazione degli obiettivi/programmi di medio e lungo periodo dell’organizzazione, alla definizione delle linee di condotta da attuare e alla allocazione delle risorse necessarie per il raggiungimento degli obiettivi strategici definiti; mentre il programma è una sequenza predefinita di azioni indirizzata all’ottenimento degli obiettivi fissati dall’organizzazione.

Generalmente le pianificazioni prevedono un arco temporale che va dai tre ai cinque anni a seconda dell’ampiezza delle organizzazioni medesime. Ovviamente più le dimensioni tendono ad ampliarsi più è facile individuare organizzazioni con piani temporali di tale ampiezza.

Poiché, inoltre, nella realtà operano organizzazioni che non dispongono – causa la dimensione, oppure la capacità – di una definizione chiara e complessa della rappresentazione dei loro programmi, la fase di pianificazione-programmazione, di tali realtà, si concretizzerà semplicemente in documenti e accordi relativi a specifici aspetti del programma. Specificatamente la pianificazione- programmazione, di queste entità, riguarderà gli investimenti

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necessari per realizzare i programmi e le diverse modalità di finanziamento con le relative tempistiche.

Per quanto concerne la pianificazione strategica, molte organizzazioni non usano separare il concetto di pianificazione strategica e il processo di budget, spesso li uniscono. Chi vi scrive si allinea con chi afferma – a ragion veduta – che è fondamentale favorire all’interno dell’organizzazione, qualunque essa sia, una visione unitaria del processo di pianificazione, in quanto solo una concezione integrata degli aspetti strategici e operativi consente un continuo affinamento delle previsioni.

2. Fase di formulazione del budget

La fase di budget ancorché è da considerarsi un tutt’uno con la pianificazione strategica, operativamente e temporalmente si manifesta successivamente. Può essere considerato come una vera propria messa a punto quantitativa degli obiettivi/programmi con riferimento a un arco temporale pari a un anno. Quindi, scopo della pianificazione-programmazione è l’assunzione di decisioni di programma o di definizione degli obiettivi; scopo del budgeting è la definizione quantitativa di un piano operativo annuale.

Per mezzo di questo strumento, come detto, vengono fissati

quantitativamente e monetariamente gli obiettivi. È in sostanza un programma di azione, espresso in termini monetari che fissa gli obiettivi economico-finanziari e patrimoniali da raggiungere nell’esercizio successivo.

È il documento fondamentale della programmazione e del

controllo, racchiudendo in esso entrambe i caratteri. Programmazione perché per mezzo della fissazione degli obiettivi da perseguire, indirizza l’operatività quotidiana degli organi preposti; Controllo in quanto per mezzo di esso si può porre in essere la verifica dei risultati ottenuti con quelli programmati.

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Infine svolge anche un ruolo di coordinamento perché per mezzo di esso si coordinano gli obiettivi fissati e le risorse “aziendali” a ogni livello dell’organizzazione.

Il budget – conosciuto anche con il nome di budget generale – è

composto da una serie di altri documenti che evidenziano i risultati economici, patrimoniali e finanziari che l’organizzazione deve raggiungere se vuole ottenere il conseguimento degli obiettivi prefissati.

Tali documenti sono: • Il budget finanziario o di raccolta fondi: nel quale sono

allocati i flussi finanziari ed esaminata la fattibilità finanziaria dei programmi impostati dall’organizzazione;

• Il budget economico, nel quale sono allocati i proventi e gli oneri, nonché i risultati intermedi della gestione dell’organizzazione;

• I budget operativi, volti a evidenziare il programma di azione per la realizzazione del piano prefissato;

• Il budget degli investimenti nel quale viene evidenziata la possibilità e i tempi di utilizzo delle risorse dell’organizzazione vincolate e di quelle disponibili.

Schematicamente il budget generale può essere rappresentato

come di seguito raffigurato nella successiva Figura 12. In ultimo è opportuno dire che nelle imprese private di tipo profit,

quantità e tipologia di fattori produttivi da impiegare, sono definiti entro margini piuttosto stretti. Ne deriva che il processo di budgeting deve assumere tali costi come dati. Al contrario, invece, nelle organizzazioni senza finalità di lucro, i costi sono in larga misura discrezionali; possono subire variazioni conseguenti a decisioni assunte dalla direzione ed esattamente durante il processo di budgeting.

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Fig. 12 – Schema di Budget Generale.

3. Fase di svolgimento

Una volta che si è proceduto a trasformare nel budget in termini monetari gli obiettivi fissati, si dà attuazione operativa al piano. Durante questa fase, che generalmente coincide con l’anno solare, e che prende il nome di periodo amministrativo, il periodo di svolgimento verrà analizzato costantemente, a intervalli regolari.

4. Fase di misurazione e controllo

In tale fase verranno misurate e verificate le risorse effettivamente impiegate e i risultati ottenuti. Verrà analizzato se quanto previsto, sia in termini di costi e di ricavi, nonché di prestazioni di servizi

BUDGET GENERALE

BUDGET ECONOMICO

BUDGET PATRIMONIALE

BUDGET FINANZIARIO

BUDGET OPERATIVI

BUDGET degli INVESTIMENTI

BUDGET di CASSA

BUDGET delle FONTI e degli

IMPIEGHI

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erogati, sia effettivamente quello previsto nel budget, dando luogo così alla successiva fase di analisi degli scostamenti.

5. Fase di analisi degli scostamenti

A tale punto, dopo una opportuna verifica e una doverosa analisi degli scostamenti e individuate le cause di ciò che è emerso, si dovranno apportare le opportune azioni correttive tali da riportare la gestione “prevista” sui binari preventivati affinché il tutto sia ricondotto al perseguimento degli obiettivi fissati e gestendo l’attività in termini di efficienza e di efficacia. Per un approfondimento vedi il paragrafo precedente.

6. Fase di reporting

Alla fase in cui sono stati individuati gli scostamenti eventualmente conseguiti seguirà la fase di fornitura al management delle informazioni per mezzo delle attività di reporting. I report, che sono i documenti che paragonano output conseguiti dalla gestione e input attesi previsti in budget hanno la funzione di:

• coordinare e controllare le attività svolte nell’organizzazione; • valutare l’operato dei centri di responsabilità; • valutare i programmi ed eventualmente per modificare i

programmi stessi o il budget.

Il documento in menzione rilascia informazioni non soltanto di tipo economico, ma può rilasciare informazioni anche in termini di operato dei responsabili dei centri di costo o di ricavo, a ogni livello dell’organigramma.

Il report può essere più o meno particolareggiato a seconda

dell’analisi che si desidera portare avanti, deve rispondere alle realistiche esigenze del destinatario e deve contenere un linguaggio familiare, comprensibile, attendibile e in grado di influenzare il comportamento del responsabile. Occorre, per tutto ciò, procedere in modo tale che il report non ecceda nella fornitura dei dati – perché in

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tal modo si perderebbero di vista le informazioni più importanti – ma contenga, al contrario, le informazioni più significative che occorrono in via principale al manager per attenersi alle linee guida strumentali al conseguimento ottimale dei risultati pianificati nelle strategie.

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Non profit e social network

di Pietro Citarella1

2.1 Social network: partecipare in rete

L’uso dei siti di social networking o, più brevemente, social network, ha conosciuto negli ultimi anni una crescita esplosiva. Se la posta elettronica ha rappresentato, sin dagli albori di Internet, la vera killer application dei servizi offerti dalla rete, sono i social network a incarnare attualmente il modello partecipativo e comunitario verso cui si è evoluta Internet. Il termine “rete sociale” è mutuato dalla sociologia dove viene usato per indicare un gruppo di persone legate da particolari legami sociali, mentre i servizi di social network indicano genericamente quelle piattaforme che offrono strumenti e applicazioni sul web miranti alla realizzazione di comunità online.

Esistono molti social network di tipo generalista (il più famoso, oltre che frequentato, è naturalmente Facebook2 - Fig.1) in cui gli iscritti sono legati da un tipo di relazione che non ha uno scopo specifico e che non prevede un elemento fondante in particolare, in quanto le connessioni tra le persone sono guidate da interessi che possono essere molto diversi, oltre che cambiare di continuo. Negli ultimi tempi sono sempre più diffusi social network di tipo verticale, costruiti cioè intorno a specifici obiettivi degli iscritti, che contribuiscono a far incontrare e unire le persone sulla base di un

1 Pietro Citarella, giornalista, esperto di ICT, lavora presso il Portale Web e Nuovi Media del Comune di Napoli. Per informazioni e contatti: [email protected]. 1 www.facebook.com

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determinato interesse o di una determinata passione in comune. Linkedin3 (Fig.2), una comunità basata su relazioni di tipo professionale in cui i rapporti sono mediati dall’obiettivo di accrescere la propria rete di contatti in ambito lavorativo, rappresenta un ottimo esempio di questo tipo di servizio4.

Fig. 1 - Facebook

La tendenza a costruire comunità online poggianti intorno a

valori comuni dei partecipanti non ha escluso nemmeno il mondo del terzo settore. Negli Stati Uniti è già attivo Jumo5 (Fig.3), un servizio nato dalla mente di Chris Hughes, cofondatore di Facebook, mentre in Italia è in arrivo Shinynote6 (Fig.4), che si propone di dare spazio alle storie degli individui e delle organizzazioni che operano nel mondo del non profit. Parleremo più diffusamente di entrambi questi servizi nell’ultima parte del capitolo.

3 www.linkedin.com 4 Per un elenco più esaustivo di social network si veda Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Servizio_di_social_network 5 www.jumo.com 6 www.shinynote.com

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Fig. 2 - Linkedin

Fig. 3 - Jumo

Nei prossimi paragrafi analizzeremo sinteticamente quali sono gli strumenti che un social network mette a disposizione degli utenti,

per poi passare a un’analisi più dettagliata di come essi possano

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essere utilizzati da una organizzazione del terzo settore per farsi conoscere da un pubblico più vasto o per una campagna di comunicazione.

Fig. 4 - Shinynote

Il nostro paradigma di riferimento saranno i social network

generalisti e Facebook in particolare, per l’ovvia ragione che si tratta del sito più conosciuto e frequentato al mondo, naturale punto di partenza di una strategia online basata sulle reti sociali. Non trascureremo però Twitter7 (Fig.5), un social network particolare, in quanto l’unica forma di interazione con i nostri contatti (follower) sono brevi messaggi di testo di massimo 140 caratteri chiamati tweet. Come tutte le principali piattaforme sociali anche Twitter può essere facilmente utilizzato attraverso piccoli programmi o App (abbreviazione di application), disponibili per tutti i più diffusi smartphone. La rapidità, l’immediatezza e la semplicità di questo servizio lo rendono uno strumento molto potente e flessibile.

7 http://twitter.com

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Fig. 5 – Twitter

2.2 Le campagne virali

Un social network può essere considerato una sorta di contenitore o di recinto, in quest’ultimo senso con un’accezione forse più negativa, all’interno del quale è possibile trovare strumenti e applicazioni basati sul web per comunicare, commentare, rielaborare informazioni e notizie condividendole con i propri contatti (talvolta definiti amici o anche fan nel caso di profili pubblici). Normalmente l’utente di un social network, una volta conclusa la fase di registrazione, si trova a gestire un profilo personale, una vera e propria pagina web in cui può pubblicare testi (come si fa con i blog), video o immagini, link ad altri siti o a notizie trovate in rete, può caricare delle foto, partecipare a gruppi o chattare con chi è disponibile in quel momento sulla piattaforma.

La peculiarità di tali servizi è che tutto ciò che viene pubblicato

sulla nostra pagina personale (Facebook la chiama bacheca), sarà letto solo dalle persone che fanno parte della nostra rete di relazioni,

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cioè solo con chi abbiamo scelto, per varie ragioni, di condividere i nostri interessi8. Se per un utente privato questo elemento rappresenta indubbiamente un vantaggio, perché può decidere che cosa mostrare e a chi far visualizzare i propri aggiornamenti, per un’azienda o una organizzazione, potrebbe invece essere una limitazione, restringendo il campo dei possibili clienti o sostenitori. Esistono perciò nei social network come Facebook, delle pagine pubbliche utilizzate da personaggi popolari, istituzioni e aziende che hanno lo scopo di favorire la conoscenza e l’interesse verso una persona o una organizzazione, al fine di riceverne aggiornamenti e notizie in maniera immediata, direttamente sulla propria bacheca. Il vantaggio, notevole, è quello di poter far arrivare un messaggio contemporaneamente a tutti gli iscritti, con la certezza che quantomeno sarà visualizzato sulla loro pagina personale. Rispetto al classico sito web, questo tipo di comunicazione accresce esponenzialmente l’efficacia del messaggio perché utilizza una strategia che mira a trovare direttamente il destinatario: non è l’utente che cerca la notizia, visitando il sito o cercando gli aggiornamenti, è l’organizzazione che spinge l’informazione a cercare l’utente arrivando sulla sua pagina personale.

Il sito web può ancora essere considerato come il necessario punto di partenza per qualsiasi organizzazione, anche del terzo settore, in grado di fornire informazioni di primo livello sulla sua mission, la struttura e gli obiettivi, oltre che come base dalla quale individuare tutti gli altri canali attraverso cui si realizza la comunicazione, compresi i servizi di social networking. Se è vero che una campagna di comunicazione efficace deve utilizzare un portafoglio di strumenti capace di raggiungere tutti i potenziali destinatari attraverso devices differenti, è attraverso le reti sociali online che entra in gioco un aspetto in grado di giocare un ruolo decisivo per la buona riuscita di tale campagna: l’elemento della viralità, la capacità cioè del messaggio di riproporsi, attraverso la condivisione o addirittura la rielaborazione da parte di altri utenti,

8 In realtà, a seconda del livello di impostazione della privacy, è possibile aumentare o ridurre il numero di persone in grado di visualizzare gli aggiornamenti della nostra pagina personale.

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presentandosi in forme nuove e diverse, mantenendo però sempre un forte legame con la sua formulazione originaria e arricchendosi grazie al contributo e alla partecipazione dei destinatari.

Un esempio può far capire quanto potente possa diventare una

campagna di questo tipo. In occasione della Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia del 20 novembre 2010, tra le varie iniziative anche simboliche messe in atto sulla rete, una in particolare ha assunto la forma di una vera e propria “epidemia”, tanto da coinvolgere centinaia di migliaia di utenti di Facebook in Italia. Partita quasi per gioco, la proposta di sostituire alla propria immagine personale quella del cartone animato più amato dell’infanzia, ha finito con dare un risalto eccezionale alla causa che lo aveva generato: appunto la giornata dedicata al tema importante dei diritti dei bambini. Grazie al passaparola, alla velocità con cui i messaggi si diffondono sui social network, al comportamento imitativo presente nelle comunità online, la campagna è stata un successo clamoroso.

I social network possono rappresentare uno strumento molto importante per una organizzazione del terzo settore, sia per la fidelizzazione dei sostenitori sia per la promozione di campagne di comunicazione estremamente efficaci, purché se ne comprendano limiti e punti di forza, affidandosi non al caso o alla improvvisazione, ma a strategie ben definite e personale qualificato e competente. Di questo parleremo nel prossimo paragrafo.

2.3 Comunicare con i social network

La comunicazione multicanale, la scelta cioè di utilizzare diverse modalità per interagire con il proprio pubblico, permette di raggiungere differenti destinatari adattando il messaggio allo strumento utilizzato, rendendo nel contempo più efficace la stessa comunicazione. Così come la pubblicità televisiva o quella radiofonica, il sito internet o l’ufficio stampa, richiedono forme e messaggi peculiari in base al medium che utilizzano, anche l’attività

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di comunicazione attraverso i social network richiede una pianificazione strategica delle scelte editoriali.

Rispetto alle tradizionali modalità di comunicazione, anche online, l’uso delle reti sociali consente di stabilire un dialogo diretto e immediato con il pubblico che può lasciare commenti, esprimere gradimento e condividere le notizie. I post possono essere accompagnati da note di testo, video, gallerie fotografiche o link di approfondimento, consentendo una comunicazione a 360 gradi, capace di attirare qualsiasi tipo di pubblico; da quello più attento, interessato a leggere maggiori notizie, fino a coloro che, pur mostrando interesse per l’argomento, puntano invece a un’esperienza informativa più veloce attraverso immagini o video di pochi minuti. Può essere molto efficace utilizzare simultaneamente diversi social network, sfruttandone appieno le peculiarità e le interazioni: per esempio dopo aver pubblicato un video su Youtube9 (Fig.6) è possibile condividerlo con un breve messaggio di testo sulla bacheca di Facebook e segnalarlo ai propri contatti attraverso Twitter o Friendfeed10.

È sempre consigliabile non esagerare con gli aggiornamenti,

limitandosi a segnalare soltanto le notizie più importanti (per il resto esistono sempre i siti web, non dimentichiamolo) o la pubblicazione di elementi multimediali che sfruttano nel modo migliore le caratteristiche di condivisione e partecipazione delle reti sociali online. Troppe informazioni rischierebbero di penalizzare la comunicazione, facendo perdere i post nel mare degli aggiornamenti e dei link delle pagine personali dei propri contatti. Meglio, quindi, due o tre post al giorno con notizie rilevanti piuttosto che una ventina di messaggi poco significativi che finirebbero con l’essere ignorati. Fondamentale diventa il ruolo delle figure destinate alle attività di comunicazione per ciò che concerne la gestione dei commenti alle notizie, sia attraverso la capacità di stimolare e favorire la

9 www.youtube.com 10 Ci siamo limitati all’esempio forse più comune, ma le possibilità sono veramente molteplici, considerando il gran numero di siti di social networking attualmente presenti in rete.

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discussione e il dialogo con i sostenitori, sia per il ruolo delicato di moderatori dello spazio sociale. Può accadere che, celandosi dietro account anonimi o fittizi, qualcuno tenda a esagerare nei commenti, esprimendosi con frasi ingiuriose, offensive o volgari. Il moderatore dovrà intervenire con decisione ma in maniera pacata, senza scendere al livello del commentatore, riportando la discussione verso un linguaggio corretto. Talvolta, nei confronti di disturbatori o contatti particolarmente aggressivi, la migliore tattica da utilizzare può essere quella di ignorare del tutto i loro commenti, dopo aver eventualmente cancellato espressioni volgari o eccessive.

Fig. 6 – Youtube

2.4 L’esempio di Jumo e Shinynote, social network del terzo settore

I siti di social networking di tipo verticale, dedicati cioè a un argomento specifico intorno al quale sono stabilite le relazioni tra i partecipanti, stanno trovando sempre maggiore diffusione, grazie alla loro capacità di rispondere a un bisogno determinato degli iscritti, facendo nascere delle comunità online molto attive. Anche il terzo settore, come abbiamo anticipato, non fa eccezione e proprio

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recentemente è partito Jumo11, un social network pensato per enti e associazioni non profit di tutto il mondo. Il suo ideatore è Chris Hughes, cofondatore di Facebook e coordinatore della campagna online per le presidenziali del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama. L’idea è nata dopo il terribile terremoto di Haiti con l’obiettivo di favorire la conoscenza e il finanziamento dei progetti di assistenza delle associazioni non profit, sfruttando gli elementi di socialità e partecipazione caratteristici dei social network.

Per accedere a Jumo occorre avere un account su Facebook e,

infatti, le pagine del sito ricordano molto da vicino il layout del fratello maggiore. Inizialmente è possibile selezionare delle macro aree di interesse, che vanno dall’arte all’ambiente, dalla salute ai diritti umani, ricevendo aggiornamenti su progetti e iniziative su tali temi. È, inoltre, possibile iscriversi alle pagine pubbliche delle organizzazioni, di cui si terrà traccia delle novità direttamente sulla propria bacheca personale. Chiunque può aggiungere un proprio progetto, anche se la possibilità di raccogliere fondi è limitata alle sole associazioni iscritte come ONG all’albo ufficiale statunitense.

Nasce con intenti leggermente diversi, invece, Shinynote, un

servizio tutto italiano, creato da due giovani bresciani, Roberto Basso e Fabrizio Trentin. Nel momento in cui scriviamo la piattaforma non è ancora online e sulla prima pagina si legge quello che è lo spirito che ha animato i due fondatori: “Cambiamo il mondo, una storia alla volta. Abbiamo immaginato un social network fondato su basi etiche. Lo abbiamo costruito intorno alle storie delle persone, per le persone che sanno rintracciare nel quotidiano una scintilla di positività e speranza. Perché nessun uomo è un´isola”. Saranno dunque le storie, delle persone e delle organizzazioni, il perno attorno a cui ruoterà la comunità di Shinynote, con l’obiettivo di promuovere eccellenze e favorire la conoscenza di un settore, quello dell’associazionismo e del volontariato, che può trovare grande impulso grazie alle logiche del web partecipativo.

11 “Jumo” è una parola Youruba che significa “fare insieme”.

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2.5 Shinynote: il social network delle buone notizie

Abbiamo chiesto a Shinynote di spiegarci meglio l’idea e la mission di questo social network. Riportiamo di seguito le risposte alle nostre domande fornite da Roberto Basso, uno dei due soci fondatori.

Com’è nata l’idea di Shinynote? L'idea originaria è di Fabrizio Trentin, l'altro socio fondatore.

Un giorno di primavera, correndo insieme sulle colline che circondano il Lago di Garda, mi racconta tutta la sua frustrazione per il modo in cui i mass media disegnano il mondo: una versione morbosa e popolata di esseri malvagi. La sua semplice osservazione è che la stragrande maggioranza delle persone che conosce non sono così, e che andrebbe raccontato il mondo così com'è nella realtà, con le sue storie: a volte tristi, a volte felici, ma comunque belle perché reali, autentiche, capaci quasi sempre di insegnare qualcosa. Storie che ci facciano venire voglia di abbracciare qualcuno. Così è nata l'idea del portale degli abbracci. Poi abbiamo cominciato a lavorarci sopra e abbiamo capito che la migliore espressione dell'umanità contemporanea nel mondo Occidentale si trova nel terzo settore. E da lì in avanti è stato un lungo lavoro di progettazione da cui è nato il social network delle storie che contengono una scintilla di profonda umanità, appunto Shinynote.

Non ci sono (ancora) molti social network specialistici o di

nicchia, se così vogliamo chiamarli. Perché crearne uno dedicato specificamente al terzo settore?

Di social network generalisti ce ne sono già alcuni, e probabilmente uno di questi diventerà lo standard: mi sembra che Facebook sia in pole position in questa gara. Siamo convinti che accanto al vincitore tra i generalisti si affermeranno molti social

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network verticali. L'espansione del terzo settore è una delle grandi novità della società e dell'economia occidentale degli ultimi anni, una novità strutturale, non certo una moda. E può adottare le logiche del web 2.0 così come hanno già fatto altri settori tradizionali: il turismo, l'editoria, l'industria musicale. Il risultato sarà un cambiamento radicale che noi speriamo aiuti il terzo settore ad affermarsi come uno dei pilastri fondamentali di una società migliore perché più coesa e solidale.

Pensate che Shinynote riuscirà ad affermarsi anche a livello

nazionale o immaginate uno sviluppo prettamente locale, concentrato cioè su comunità vicine anche da un punto di vista geografico?

Internet ha il grande merito di abbattere le barriere geografiche: questo favorisce soprattutto i piccoli e agili rispetto alle organizzazioni grandi e lente. E siccome Shinynote vuole aumentare il sostegno alle piccole organizzazioni non profit, nasce con un'ambizione globale fin dall'inizio. Partiamo dall'Italia, senza alcun limite interno, e contiamo di affermarci all'estero molto rapidamente, a partire dalla Germania, dove il terzo settore è molto affermato.

In che modo il vostro social network si differenzierà da

Jumo, la piattaforma creata da Chris Hughes e già online da qualche tempo?

Jumo è figlio di una modalità di interazione precisa e ben nota: quella di Facebook, tanto che per adesso è necessario avere un account in Facebook per iscriversi a Jumo. Shinynote adotta una logica diversa, originale, che dà molto spazio alle storie: le storie delle organizzazioni e le storie delle individui. Pensiamo che siano le storie a valorizzare l'impegno delle persone e la qualità dei progetti. L'interazione sociale in Shinynote ruota intorno alle storie e all'impegno delle organizzazioni non profit di rendere conto ai propri sostenitori e donatori di ciò che fanno. C'è un'altra differenza sostanziale: ci sembra difficile, e ce lo confermano i

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primi beta-tester così come i primi gruppi d'opinione con cui ci siamo confrontati, che Facebook e l'impegno sociale convivano adeguatamente. Shinynote si diffonderà attraverso un meccanismo selettivo: non perché voglia essere élitario, tutt'altro, ma perché ci aspettiamo che coloro che entrano in Shinynote condividano la passione e l'amore per il mondo autentico. Per questo motivo la registrazione potrà avvenire soltanto attraverso inviti. Un passaparola che veicoli una buona reputazione sarà fondamentale, insomma.

In che modo Shinynote favorirà l’incontro e la conoscenza

tra aziende, istituzioni pubbliche, cittadini e organizzazioni del terzo settore?

Il nostro motore di ricerca consentirà alle aziende di

rintracciare i progetti più affini con la propria interpretazione della responsabilità sociale. Oggi si parla molto di responsabilità sociale d'impresa, e alcune aziende si impegnano genuinamente a sostenere progetti che mettano in contatto i propri collaboratori con l'ambiente sociale esterno, in altri casi stanno crescendo culture aziendali favorevoli, ma si fa fatica a uscire dall'improvvisazione. Con Shinynote le organizzazioni non profit potranno andare incontro alle imprese che raccontano il proprio modo d'essere, e le imprese potranno rintracciare progetti coerenti con la propria identità aziendale. Le pubbliche amministrazioni potranno invece monitorare i progetti delle organizzazioni non profit sul territorio, contribuendo a smascherare iniziative in malafede e promuovendo servizi di supporto alle piccole organizzazioni.

Come potrebbe cambiare il mondo del volontariato e

dell’associazionismo, secondo voi, grazie alle connessioni e allo sviluppo delle reti sociali sul web?

Ci sono almeno tre aspetti investiti dalle logiche del web. Prima di tutto: la reputazione, che sarà definita grazie alle

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opinioni, alle informazioni e perfino alla documentazione audio-visiva prodotta dai cittadini, dai volontari e dai donatori. Secondo: la notorietà, che non si svilupperà - come oggi - grazie a grandi investimenti pubblicitari, ma in base alla qualità dei progetti (infatti le organizzazioni non profit non potranno fare pubblicità in Shinynote). Terzo: oggi esistono grandi multinazionali della donazione, con costi di struttura e oneri di gestione necessari a garantire la debita capacità di intervento, per esempio, nelle zone di guerra; queste organizzazioni fanno passare in second'ordine i tanti casi di eccellenza e di efficienza di piccolissime organizzazioni, rastrellando buona parte delle risorse disponibili nella società civile (non solo denaro, ma anche passione e competenza); ma il terzo settore ha una "coda lunga" e preziosa che potrà affermarsi grazie a Internet in generale e a un contesto strutturato come Shinynote in particolare.

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Bibliografia sul Controllo di Gestione

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Borgonovi E., Le aziende non profit e la trasformazione di valori individuali in valore economico e sociale: elementi di teoria aziendale, in AA.VV., A.Zanagrandi, Egea, Milano 1990 Borzaga C., (a cura di), Capitale umano e qualità del lavoro nei servizi sociali. Un'analisi comparata tra modelli di gestione, Edizioni FIVOL, Roma, .2000 Borzaga C., Janes A., L'economia della solidarietà, Donzelli, Roma, 2006 Bronzetti G., Le Aziende non profit; Un'esame degli strumenti del controllo di gestione, Franco Angeli, 2007. Brusa L., l'Amministrazione, Fazzi L (a cura di), Cultura organizzativa del non profit, pag. 190 Caramiello C., Ragioneria Generale, Nova Italia, Roma 1988 Cattaneo C., Terzo settore, nuova statualità e solidarietà sociale, Giuffrè Editore, Milano, 2001 Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti., Gli indicatori di performance nelle aziende non profit impiegate nella raccolta fondi e destinatarie di contributi pubblici e privati, Roma, 2002 Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, Documento di presentazione di un sistema rappresentativo dei risultati di sintesi delle aziende non profit, Roma, 2002 Consorti P., "Il codice del terzo settore. Le norme in materia di non profit e volontariato", Editore La Tribuna, 2007 Donati, P., Colozzi I., (a cura di), Il Terzo settore in Italia. Culture e pratiche, Angeli, Milano, 2004. Farneti G., Mazzara L., Savioli G., Il sistema degli indicatori negli Enti Locali, Giappichelli, Torino 1996 Farneti G., Il progressivo affermarsi del principio di accountability, Franco Angeli, Milano 2004 Fazzi L., Gori C., "Il voucher e il quasi mercato", in C. Gori, (a cura di), La riforma dei servizi sociali in Italia, Carocci, Roma, 2004. Fazzi L., Stanzani S., "Le culture organizzative della cooperazione sociale: identità in movimento", ìn CGM, (a cura di), Quarto rapporto sulla cooperazione sociale in Italia, Torino, 2005 Gandini G., La Programmazione e il controllo nelle aziende del Terzo Settore, Franco Angeli, 2004. Gazzoni E., L'implementazione dei sistemi di programmazione e controllo presso le aziende non profit operanti nel contesto italiano:

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un'opportunità a sostegno del cambiamento, Non profit. Diritto – Management servizi di Pubblica Utilitá 1, 2004 Gazzoni E., Programmazione e controllo nel non profit, Carrocci Faber, 2004. Giunta F., L'impiego dei nuovi schemi di bilancio di derivazione comunitaria per le analisi economico-finanziarie d'impresa, Cedam, Padova, 1992 Matacena A., Santi M., Il controllo di gestione nelle aziende non profit, in AA.VV, Manuale di controllo di gestione, a cura di U.Bocchino, Il Sole 24 Ore, Milano 2000 Molteni M., Le misure delle performance nelle aziende Non Profit di servizi alla persona, Cedam Padova, 1997 Pichierri, A., Strategie e strutture dello sviluppo locale, Il Mulino, Bologna, 2001. Pizzuti R., (a cura di), Rapporto sullo stato sociale 2007, Utet, Padova, 2007 Putnam R. D., La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano, 1993. Santi M., Controllo di gestione per aziende non profit, sanitarie e pubbliche, Egea, Milano 2002. Travaglini C., Lo sviluppo di regole per la rendicontazione per le aziende del terzo settore, in AA.VV., Scenari e strumenti per il terzo settore, a cura di A. Matacena, egea, Milano 1999 Travaglini C., Valutazioni e indicatori dei servizi prodotti nelle organizzazioni non profit, in "Azienda Pubblica", 3, 1992. Zamagni S., Il non profit italiano al bivio, Egea, milano 2002

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Come Comunicare il Terzo Settore Che la mano sinistra sappia quel che fa la destra

Scheda libro

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Come comunicare il Terzo Settore Che la mano sinistra sappia quel che fa la destra

Consolidare il rapporto con gli utenti fedeli ed aumentare le opportunità di contatto con quelli potenziali sono divenute attività strategiche per qualsiasi organizzazione, in particolare per quelle che operano nel non profit.

Da qui l’enfasi sulla comunicazione, da molti ritenuta come la soluzione in grado di assicurare una corretta veicolazione all’esterno delle nostre attività. Troppo spesso, però, l’ansia di voler comunicare tutto e subito si trasforma nella “comunicazione del nulla” evidenziando distorsioni che riguardano la consapevolezza e la razionalizzazione delle risorse-strumenti a disposizione. Ed è proprio in questo spazio grigio che il presente manuale vuole collocarsi, per offrire – attraverso esempi e suggerimenti pratici – alternative concrete e misurabili che tutelino il valore della comunicazione nella promozione di sé e della propria organizzazione. Mentre il se comunicare non è più in dubbio, il come comunicare è spesso legato a parametri soggettivi e non omogenei.

Ed è su quest’ultimo punto che si focalizza l’attenzione degli autori, attraverso uno strumento utile per l’autoformazione ma anche per il confronto su situazioni quotidiane. La stessa struttura del testo – pur legata da un animus concettuale – è stata sviluppata per consentire l’indipendenza pratica di ogni singolo capitolo, favorendo modalità di consultazioni personalizzate in base alle esigenze dell’utenza.

Si tratta di un vero e proprio manuale operativo per consolidare i rapporti con una utenza fidelizzata e per conquistare una utenza potenziale con fatti concreti e sostanziali.

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Indice

Prefazione di Giangi Milesi, presidente CESVI

Introduzione. Non possiamo non comunicare: il governo delle relazioni 1. La comunicazione: un concetto in progress 2. Il Piano di comunicazione 3. Comunicare il non profit a partire dal marchio 4. Gli strumenti di relazioni pubbliche nel Terzo Settore 5. Dalla comunicazione interna alla comunicazione di crisi: linee guida 6. La comunicazione multimediale nel non profit 7. Comunicare per la raccolta fondi 8. La misurazione dell’efficacia della comunicazione 9. I volontari: forza o debolezza? 10. Un caso di successo

Gli Autori

Pietro Citarella, giornalista, esperto di ICT, lavora presso il Portale Web e Nuovi Media del Comune di Napoli. Per informazioni e contatti: [email protected].

Stefano Martello, consulente nell’ambito della comunicazione, lavora nel settore comunicazione di Donalda sas, società di produzione audio e video di Roma. Svolge attività pubblicistica sui temi della comunicazione pubblica. Per informazioni e contatti: [email protected].

Giampietro Vecchiato è Direttore clienti di P.R. Consulting srl, agenzia di Relazioni Pubbliche di Padova e Vice Presidente di FERPI. È inoltre docente di Teoria e Tecnica di Relazioni Pubbliche presso le Università di Padova e di Udine (sede di Gorizia). Per

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FrancoAngeli ha pubblicato Marketing, comunicazione e relazioni pubbliche per gli studi professionali (con E. Napolitano) e Manuale operativo di relazioni pubbliche (2008). Per informazioni e contatti: [email protected].

Sergio Zicari, consulente nei settori della comunicazione e del marketing, è Direttore Divisione Terzo Settore di Organizzazioni Aziendali srl, nonché responsabile nazionale rapporti con la stampa per un ente morale. Socio FERPI, è autore (con G. Vecchiato) di Il primo incontro non si scorda mai. Manuale dell’accoglienza per le aziende e le organizzazioni (FrancoAngeli, 2009). Per informazioni e contatti: [email protected].

Editore

FrancoAngeli, Milano, 2010 - pag. 226 - euro 24,00 - ISBN 978-88-568-1568-9