COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

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Gastroenterologia e Chirurgia dell'apparato digerente

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Malattie dell'apparato digerente

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Insufficienza epatica e Cirrosi

L’insufficienza epatica può presentarsi per diverse ragioni, ma soprattutto per un malfunzionamento della cellula. Si riduce perciò la funzione detossificante dell’organo. Altro motivo di malfunzionamento è un’alterazione dell’anatomia dell’organo, spesso con una causa patologica.

Una delle differenze del fegato, rispetto agli altri organi, è che le sue cellule hanno una capacità rigenerativa molto importante. La caratteristica fondamentale, tuttavia, è che ha una doppia afferenza: un’arteria (come gli altri organi) e una venosa (V. Porta). Un letto capillare che ha un doppio afflusso, arterioso e venoso, rispetto a uno che ha il solo afflusso arterioso, ha una tensione di O2 più bassa. Le cellule perciò hanno un equilibrio di ossigenazione specifica dell’organo. Se questo equilibrio varia in qualche modo, essendo queste cellule ad alto tasso proliferativo, si possono avere episodi di neoplasia. La stessa ampia perfusione può favorire la trasformazione cancerosa delle cellule. S’innesca perciò un circolo vizioso (cellule molto perfuse -> proliferazione cellulare -> angiogenesi -> ampliamento della neoplasia) non infrequente in un fegato cirrotico, tanto è che il tumore del fegato può essere considerato come complicazione di una malattia cronica e perciò meno aggressivo di una neoplasia spontanea dell’organo.

La terapia perciò deve essere conforme al tipo di tumore: se la neoplasia è di tipo compensativo per l’insufficienza dovuta a cirrosi, dopo asportazione chirurgica, la proliferazione cellulare sarà aumentata. Se invece il tumore è di tipo aggressivo, invece, l’asportazione chirurgica è la soluzione adatta.

Fibrosi e Cirrosi

Una qualsiasi malattia infiammatoria del fegato, causa la formazione di una cicatrice tissutale (fibrosi), poi in base a una serie di fattori (intensità della malattia, risposta alla stessa, etc.) si può arrivare a cirrosi con diverse velocità.

L’organizzazione vascolare è fine. A parte il sistema classico delle arterie che si sfrangiano nei capillari, si ha la vena porta che si divide, anch’essa, in capillari e i dotti di escrezione biliari. Questi tre sistemi formano la triade portale.

Gli epatociti costituiscono delle filiere “monomattone”, affiancati l’uno all’altro, costituiscono il primo canale escretore della bile (canalicolo biliare, successivamente si rivestono di cellule epiteliali e diventano dotti). I vasi sono rivestiti di endotelio e,

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tra questo e gli epatociti, si trovano delle cellule stellate quiescenti con attività miocontrattile lieve, accumulano vitamina A, poi, attivate dall’infiammazione, si trasformano in fibroblasti e producono collagene, per riparare il danno causato dal processo infiammatorio. Gli epatociti vanno incontro a ricambio cellulare con una frequenza di 120 giorni. In caso di danno, proliferazione viene stimolata e le cellule si moltiplicano a velocità maggiori. Se la velocità e molto elevata e il danno esteso, si possono avere cellule che formano più strati rispetto alla classica “filiera monomattone”. Quando il danno ha una rilevanza ancora maggiore le cellule possono differenziarsi in cellule ovali con capacità di produrre esse stesse epatociti. Le cellule ovali quindi costituiscono una riserva cellulare nel fegato. Un meccanismo di danno causato dall’infiammazione porta all’inspessimento dello spazio tra epatociti e sinusoidi che, per l’attivazione delle cellule stellate si riempie di fibre collagene. Quest’accumulo di collagene posta a una riduzione degli scambi tra endotelio ed epatociti, con ridotta funzionalità dell’organo.

Il danno infiammatorio porta quindi a necrosi le cellule, inizialmente in piccole aree circoscritte (spots) che,allargandosi possono confluire tra di loro (a formare ponti che collegano gli spazi portali alla vena centrale). Si verifica un’importante alterazione morfofunzionale dell’organo: il sangue normalmente deve essere detossificato dal filtro epatico, ma in questo modo si creano degli shunt vascolari (veri e propri “tubi” di passaggio) che permettono al sangue di bypassare l’acino funzionale e raggiungere il distretto venoso senza essere filtrato. La formazione di ponti è il più grave segno di danno da meccanismo di riparazione dell’infiammazione, tanti più ponti si formano, tanto più la funzionalità del fegato è compromessa.

La fibrosi è la cicatrizzazione a un qualsiasi noxae patogenae. Deriva dall’accumulo di matrice extracellulare (ECM), prodotta dalle cellule stellate attivate. È un processo dinamico, dipendente dall’equilibrio tra deposizione e rimozione di ECM. È un processo reversibile, fino a un certo punto, poi diventa irreversibile.

Per verificare che sia in atto un processo di riparazione (fibrosi), possiamo utilizzare varie metodiche:

• Tecniche di Imaging, da una semplice ecografia, possiamo capire se un fegato è o meno fibrotico, ci dà informazione anche sul margine epatico (non perfettamente liscio,se la malattia è a uno stadio particolarmente avanzato), ci dà informazioni anche sulle aree del fegato più colpite.

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• Biopsia epatica, di gran lunga preferibile per esaminare le reali condizioni del fegato. Il campione analizzato è molto piccolo rispetto alla totalità dell’organo ma l’omogeneità di quest’ultimo, in assenza di cicatrici, permette un buon saggio della funzionalità totale. Nata a metà degli anni ’70, la biopsia epatica fu una rivoluzione importantissima nella anatomia patologica dinamica. L’utilità di questa procedura è tanto elevata che oggi non è più utilizzata frequentemente. Ha permesso, infatti, un’ ottima comprensione e associazione tra aspetto esterno dell’organo e condizioni parenchimali. La procedura è tornata in auge negli anni ’90 in campo sperimentale, per misurare l’efficacia dei nuovi farmaci. Si usa un ago cavo, a punta smussa, penetrato nel parenchima,sotto aspirazione di una siringa, trattiene parte delle cellule all’interno. La mortalità, oggi che si utilizzano le immagini ecografiche invece che le radiografiche, è praticamente assente (1:10/20000).

• Elastimetria

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È la misura dell’elasticità totale del fegato. Viene effettuata attraverso un sistema che lancia un’onda elastica, percepita come un piccolo colpo, quando appoggiamo lo strumento, molto simile al trasduttore degli ultrasuoni, contro la parete addominale. L’onda elastica poi ritorna, “rimbalzata” dal fegato, e registrata dal macchinario. L’elasticità, la velocità di rimbalzo, è tanto più alta quanto più duro è l’organo. Un grado di elasticità normale, esclude certamente ogni tipo di patologia, infiammatoria e non, a carico del fegato. Il test va eseguito a digiuno, va ripetuto per effettuare una media. I soggetti in sovrappeso hanno una parete addominale troppo spessa per eseguire la misurazione, discorso simile si può fare per chi ha ascite ovvero accumulo di liquido nell’addome.

Grazie a questo nuovo metodo di indagine, la biopsia può essere evitata a meno che risulti strettamente necessaria (al di sopra di 12kPa, infatti, si ha la quasi certezza di avere a che fare con un fegato cirrotico).

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[N.B. Gli SCORE sono un metodo di quantizzazione di eventi qualitativi (quali possono essere gli eventi biologici): si definiscono degli stadi quando la qualità

prevale sulla quantità o gradi se la quantità prevale sulla qualità. E.g. l’infiammazione ha diversi gradi, mentre per la fibrosi bisogna stadiare. Per questo

sono nate diverse classificazioni,la più importante è quella definita Metavir:No fibrosi = F0

Fibrosi periportale = F1 Scarsa fibrosi settale = F2

Fibrosi settale = F3 Cirrosi = F4 ]

La biopsia epatica non è perfetta, c’è la necessita di avere test economicamente più convenienti, con un elevato grado di ripetibilità e che abbiano un valore diagnostico importante. Questi possono essere i marcatori sierologici.

• Piastrine, marcatore molto importante: quando il fagato crea i ponti fibrosi, c’è blocco del filtro epatico. A monte il flusso portale è rallentato, in tutti i suoi distretti e in particolare nella milza, dove il sangue ristagna e c’è splenomegalia. Questo blocco del flusso permette l’espletamento della funzione cateretica splenica e le piastrine vengono eliminate dal circolo (Questa spiegazione è quella accademicamente più diffusa, sebbene non sia

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precisa, in quanto la diminuzione delle piastrine comincia prima che il flusso rallenti)

• Transaminasi, marcatore non specifico, enzimi che vengono liberati in modo massiccio in qualsiasi caso di sofferenza epatica, il fatto che siano alterati ci dice che è presente un danno cellulare (paradossalmente si potrebbe avere una cirrosi ma i valori di transaminasi possono essere normali, perché non è in atto un processo infiammatorio). Ciò che si esamina è il rapporto AST/ALT: se questo rapporto è maggiore di 1 (AST>ALT), questo è indicatore di cirrosi. L’aumento di AST è indice di un danno a carico degli epatociti che si trovano a livello della linea centrale, epatociti deputati specificatamente alla detossificazione [L’epatocita nasce generalmente in vicinanza della porta e, proliferando si sposta verso la vena centrale, dove si arricchiscono di mitocondri a funzione tipicamente detossificante].

• Protrombina, fa parte dei fattori della coagulazione. Quando la produzione cala per la riparazione del danno infiammatorio, ci sono difetti dei fattori della coagulazione e il tempo di protrombina si allunga. Quanto più si allunga il tempo di protrombina, tanto più è grave il danno epatico.

• Altri indicatori (Fibrotest, Forns Index, APRI test) sono ricavati da algoritmi, ma sono più utili nella sperimentazione che nella pratica clinica. Essendo la fibrogenesi un processo dinamico, gli score sono abbastanza difettivi. Quindi questi test sono poco attendibili.

• Un’analisi utile per la fibrosi è quella del turnover dell’ECM (Matrice totale, matrice depositata, matrice eliminata) similmente a quello che succede per la coagulazione.

Marcatori della produzione di matrice:

- Procollageno I C terminale

- Procollageno III N terminale

- Tenascina

- Inibitore tissutale della metalloproteinasi TIMP

Marcatori di rimozione della matrice:

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- Procollageno IV C peptide

- Procollageno IV N peptide

- Collageno IV

- Undulina

- Metalloproteinasi MMP

- Desmosina urinaria

Altri: Acido ialuronico, Laminina, YKL-40

Misurare nel sangue le componenti coinvolte nei processi del ricambio della matrice, tuttavia, non concede certezza diagnostica per fibrosi del fegato in quanto queste molecole sono coinvolte in tutti i processi di riparazione.

• Il quadro elettroforetico delle proteine del siero, mostra, un aumento delle γ-globuline, che è indice di infiammazione cronica e, inoltre, un calo della albumina, cosa che fa dedurre immediatamente un danno epatico. Tuttavia questo esame è poco usato.

• Fosfatasi alcalina, viene liberata, oltre che dal fegato, anche dall’osso in crescita. Negli individui prima dei 21 anni, perciò, non ha valore diagnostico. Inoltre, il cut off di questo marcatore è molto alto.

• Bilirubina, marcatore non specifico, un calo dell’eliminazione di bilirubina occorre anche prima di condizione di cirrosi.

Il passaggio da Fibrosi a Cirrosi è un passaggio abbastanza netto, una sorta di scalino, in cui la velocità di progressione della malattia aumenta enormemente.

Questo scatto dipende da vari fattori:

- Età

- Sesso

- Peso (nel fegato, questo rappresenta un fattore di rischio molto più importane che nelle patologie cardiovascolari)

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- Quantità d’alcol introdotta (spesso un cofattore del peso)

- Quantità di ferro circolante

- Fattori genetici

Per la cirrosi sono stati individuati dei grade,che offrono indicazioni terapeutiche più precise.

Classificazione di Child-Pugh

Grade 0 1 2

Encefalopatia Epatica* assente lieve severa

Ascite assente trattabile refrattaria

Bilirubina (mg/dl) <2 2-3 >3

Albumina (g/dl) >3,5 2,8-3,5 <2,8

Tempo di Protrombina (%)

>70 40-70 <40

*L’ Encefalopatia Epatica è una patologia dovuta a insufficienza funzionale epatica che può essere completamente indipendente dalla cirrosi. Mentre l’ascite può essere considerata una complicazione della cirrosi.

Quando abbiamo un’ostruzione a livello della vena porta, la pressione nei territori da cui arriva il sangue refluo alla vena aumenta. Quest’aumento può essere:

- Presinusoidale,

- Sinusoidale

- Postsinusoidale.

Il blocco sinusoidale è correlato alla cirrosi. Ci sono numerose condizioni, tuttavia, che portano all’ipertensione portale. La causa più comune è la formazione di un trombo presinusoidale o postsinusoidale.

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L’aumento delle resistenze portali provocano l’ipertensione, questa causa vasodilatazione splancnica. A questo punto l’organismo mette in atto delle misure di compenso, grazie all’azione di molecole vasoattive, che durano fino a un punto di rottura dell’equilibrio fisiologicamente presente. La vasocostrizione di compenso, infatti, determina un’ipoperfusione a livello renale. Il liquido in eccesso quindi, non essendo drenato dal rene, trasuda a livello epatico, formando liquido ascitico. Se la funzionalità renale non è compromessa, dopo somministrazione di farmaci diuretici il liquido in eccesso viene eliminato e le condizioni omeostatiche vengono ripristinate. La sindrome epato-renale è conseguenza di questo processo di scompenso renale, non recuperabile con i farmaci. Questa complicazione ha incidenza 8% / anno nella cirrosi ascitica, la prognosi è infausta. La sindrome epatorenale ha criteri che devono essere tutti presenti per esprimere diagnosi certa:

- Epatopatia acuta (più raramente) o cronica (frequente)con insufficienza epatica avanzata e ipertensione portale.

- Ridotta funzione renale, che porti la creatinina >1,5 mg/dl o la clearence della creatinina stessa a <40 ml/min.

- Assenza di cause precipitanti,quali shock, infezioni batteriche in atto, recente trattamento con farmaci nefrotossici e/o qualsiasi tipo di perdite gastrointestinali o renali di liquidi.

- Nessun miglioramento dopo sospensione della terapia diuretica, il trattamento eccessivo con farmaci diuretici può portare a insufficienza renale.

Criteri diagnostici minori sono:

- Volume urinario <500 ml/die;

- Sodio urinario <10 mEq/l;

- Osmolarità urinaria > osmolarità plasmatica;

- Sodiemia <130 mEq/l;

- Numero di emazie nel sedimento urinario <50 per campo.

Si può misurare il livello pressorio portale in modo indiretto. Si entra nelle vene sovraepatiche con un catetere, alla cui estremità c’è un palloncino, che permette di

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misurare la pressione a questo livello. Se il sangue giunge alla vena tramite i capillari, la velocità sarà bassa e tale sarà anche la pressione. Se arriva tramite i ponti porto-centrali, al contrario, la pressione sarà alta.

Gonfiato il palloncino, si ripete la misura pressoria e verrà effettuata la differenza tra le misure. I valori normali si aggirano intorno a 3-5 mmHg. Al di sopra di questo valore si ha ipertensione, direttamente correlata alla fibrosi. Essendo l’ Hepatic Vein Pressure Gradient (HVPG) un esame invasivo, non viene utilizzato frequentemente. Spesso viene effettuato in pazienti in cui bisogna testare l’effetto di determinate categorie di farmaci (p.es. β-bloccanti).

• Valori Soglia di HVPG:

- > 8 mmHg : sviluppo di ascite (accumulo di liquido nel peritoneo)

- > 10 mmHg : sviluppo di varici esofagee (l’ipertensione è importante, il sangue per passare trova vie alternative, fa protrudere le vene che tappezzano l’esofago)

- > 12 mmHg : emorragia da rottura di varici esofagee

Le varici possono essere classificate in:

- Varici di grado I: a una pressione esterna si appiattiscono;

- Varici di grado II: non si appiattiscono se sottoposte a pressione, occupano il 25% del lume esofageo;

- Varici di grado III: occupano il 50% del lume

- Varici di grado IV: occupano più del 50 % del lume.

Per varici già di grado superiore al secondo, grazie anche all’assottigliamento della mucosa per continue sollecitazioni (la più banale è il passaggio di cibo)è alto il rischio che la varice si rompa e dia luogo a un’emorragia. Le sollecitazioni seguono la formula T=(Pv-Pl)×rd

Dove: T è la tensione esercitata sulla parete della varicePv è la pressione venosa della varice

Pl è la pressione del lume esofageo

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r è il raggio della varice

d è lo spessore della parete della varice

Fattori di rischio dell’emorragia sono:

- Entità della ipertensione portale

- Grandezza delle varici

- Infiammazione della mucosa esofagea (facilmente valutabile per mezzo di endoscopie)

- Ematocisti (rigonfiamenti sulla superficie delle varici)

- Entità della cirrosi

- Episodi di sanguinamento recenti

- Uso di FANS

Concludendo, le maggiori complicazioni della cirrosi sono:

- Ipersplenismo (caduta delle PLT associata a caduta dei livelli di GB)

- Ascite

- Emorragia digestiva (può non avvenire se le varici non sono suscettibili di rottura)

- Insufficienza renale

- Carcinoma epatico

Circa il 50% dei pazienti con cirrosi “compensata”, tendono a sviluppare complicazioni se non hanno un blocco del processo patogenetico della cirrosi.

Nella gastroenterologia di nostro interesse, due sono le grandi categorie di malattie non neoplastiche da affrontare: le Malattie infiammatorie del fegato e le Malattie infiammatorie croniche dell'intestino.

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Come descrivere una malattia? Si parte o dall'epidemiologia o dall'eziologia o dalla clinica: generalmente si parte dall'eziologia quando si sa cosa causi la malattia; se l'eziologia è ignota, si parte dalla descrizione clinica. E generalmente la clinica identifica una sindrome piuttosto che una malattia, ovvero un insieme di sintomi e segni che potrebbero scoprirsi dovuti a più cause eziopatogenetiche (ad esempio: nello studio di malattie infiammatorie croniche del fegato, negli anni '70 e '80, si scoprì che le infiammatorie croniche dell'intestino potevano essere trattate con il cortisone, nonostante oggi ci siano farmaci più fini, i farmaci biologici, dotati di un target molto più specifico).

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IBD, Inflammatory Bowel Diseases: Malattie Infiammatorie Croniche dell'Intestino

Sotto questa categoria si intendono generalmente due grandi malattie che causano infiammazione, nella maggior parte dei casi ma non necessariamente cronica: un individuo può infatti soffrirne per un periodo limitato della propria vita, in maniera acuta, senza successive manifestazioni patologiche.

Esse sono:

• Colite ulcerosa

• Malattia di crohn (dal nome di chi per primo la descrisse)

Queste malattie identificano delle caratteristiche clinico-patologiche più che un preciso agente eziologico. Pertanto molte delle caratteristiche cliniche fra le due patologie sono in comune.

Il primo passo nella diagnosi consiste pertanto nel determinare se il paziente sia affetto o meno da una IBD. Il secondo passo, poi, prevede di differenziare tra le due IBD principali: esistono infatti differenze sia nel trattamento che nella prognosi che nella terapia.

Epidemiologia

Ulcerative colitis Crohn’s disease

Incidence 11/100 000 7/100 000

Age of onset 15-30 & 60-80 15-30 & 60-80

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Male:female ratio 1:1 1,1-1,8:1

Smoking May prevent disease May cause disease

Oral contraceptive No increased risk Relative risk 1,9

Appendectomy Not protective Protective

Monozygotic twins 8% concordance 67% concordance

- Più o meno, nei paesi industrializzati l'età di insorgenza e l'incidenza sono molto simili fra le due;

- Il rapporto maschi femmina è molto simile, nonostante sembri esserci una lieve prevalenza maggiore della patologia di Crohn nelle femmine;

- Il fumo di sigaretta sembra prevenire la colite ulcerosa e invece favorire l'insorgenza di quella di Crohn (nota: essendo l'intestino il secondo cervello, risente quasi sempre, nelle sue patologie, di una componente legata al nostro comportamento, anche al cosiddetto stress, parola che mette insieme una disreattività di tipo psicologico: il fumo è un sedativo, in quanto tale può determinare una precipitazione della colite ulcerosa);

- L'appendicectomia non è protettiva nella colite ulcerosa ma lo è nella malattia di Crohn. C'è una ragione intrinseca per questo: l'appendicite è una malattia infiammatoria cronica, che può dare perforazioni o complicazioni simili alla malattia di Crohn. Può essere quindi considerata una piccola malattia di Crohn, limitata a una area di intestino molto a rischio;

- La concordanza tra i gemelli suggerisce un dato importante: la malattia di Crohn sembra avere una base genetica più importante rispetto alla colite ulcerosa.

Da questi dati epidemiologici si può desumere come la colite ulcerosa sia più di natura psicosomatica, infatti correla con il fumo e poco con la genetica, a differenza della malattia di Crohn, più significativamente determinata a livello genetico.

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COLITE ULCEROSA (UC)

Infiammazione del colon, colpisce sopratutto la parte più interna del rivestimento del tubo intestinale: la mucosa può anche diventare molto infiammata, e questo portare a una degenerazione in ulcere.

Nota: per “intestino” si intende generalmente l'intero tubo digerente, dalla bocca sino all'ano. La malattia di Crohn (CD) coinvolge tutto l'intestino.

• È più facile avere la diarrea nel caso di UC o di CD? Essendo la diarrea un fenomeno che interessa il colon, sarà più facile averla nel caso di UC.

• Viceversa, è più facile avere il vomito nel caso di UC o di CD? Essendo il vomito un fenomeno che interessa i tratti più alti dell'intestino, sarà più facile averla nel caso di CD.

Diarrea e sanguinamento rettale sono i tipici sintomi di malattia colica; così il tenesmo, cioè lo stimolo a defecare non accompagnato dall'atto della defecazione (ne esiste un corrispettivo uretrale: uno stimolo ad urinare non accompagnato dall'atto della minzione); quando non c'è né diarrea, né sanguinamento, né tenesmo, un segno alternativo è la presenza di muco sulle feci, conseguenza di una esagerata produzione da parte della mucosa di muco a fini protettivi per contrastare il danno prodotto dall'infiammazione; infine i dolori crampiformi addominali, conseguenza di diarrea ed irritazione dell'intero tratto colpito del colon (essendo l'intestino un organo funzionale con una sensibilità propria, l'infiammazione di questo tubo causa dei disturbi funzionali)

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In più, la colite ulcerosa ha la caratteristica di colpire il tratto distale dell'intestino, il colon, in maniera continua dall'ano in su, non in maniera segmentaria.

Quindi, CD può colpire tutto l'intestino, a segmenti; UC colpisce il solo colon, in maniera continua partendo dall'ano.

Un individuo affetto da UC può manifestare:

- una proctite ulcerosa se ha colpiti solo l'ampolla rettale e una minima parte del sigma;

- una proctosigmoidite se è interessato anche il sigma;

- una pancolite se è interessato tutto il colon.

Alcuni individui allergici ai FANS, se assumono questo tipo di farmaci sotto forma di supposta, manifesteranno una proctite emorragica, anche accompagnata da tenesmo, che non sarà tuttavia sintomatica di una UC, ma piuttosto di una reazione di tipo allergico.

Per quanto riguarda l'aspetto delle feci, queste possono essere anche normali, frammiste a sangue nel caso in cui il tratto di intestino colpito sia breve, ma tanto più la porzione di intestino interessata è grande tanto più la mucosa reagisce producendo secrezione muco, tanto più c'è un disturbo della motilità, tanto più c'è diarrea.

Una colite ulcerosa massiva determina un sanguinamento colico quasi totale: il sangue impiega un po' di tempo a scendere, per cui nelle feci apparirà già ossidato; sarà importante chiedere al paziente il colore delle feci, perché il paziente

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generalmente segnala la presenza di sangue nelle feci solo quando questo appare rosso vivo.

Tanto più la malattia è grave tanto più i sintomi peggiorano. Si può avere addirittura il vomito, perché c'è in corso una malattia sistemica, secondaria alla febbre, con una certa pericolosità dovuta alla tossicità generale.

• Il 40-50% dei soggetti ha una malattia limitata al retto e rettosigma.

• Il 30-40 % dei soggetti ha una colite che si estende oltre il sigma.

• La restante percentuale ha una pancolite.

Quando la mucosa è infiammata appare arrossata: l'eritema diventa poi edematoso, e l'edema nella mucosa si vede facilmente perché cambia colorito e traslucenza della mucosa stessa.

Nelle forme più severe c'è l'emorragia, dovuta alla rottura di capillari, quindi perdita di continuità in alcune aree della mucosa, e quindi ulcerazioni.

Nella malattia fulminante con l'ulcerazione si giunge a una totale decorticazione del colon intero, che andrà quindi asportato necessariamente.

[slide 9] Osservando l'immagine endoscopica di un colon normale, se ne può apprezzare la traslucenza: la mucosa, molto lucida, è come rivestita da una “pellicola” molto lucente, sottile.

Quando il colon è infiammato, invece, la lucentezza viene meno, sostituita da una generalizzata opacità nelle forme più lievi; da aree di abrasione più o meno vasta

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nelle forme più gravi; fino a giungere ad aree in cui la mucosa se ne va completamente, e risulta esposta la sottomucosa.

Nel momento in cui la malattia diventa cronica, la mucosa nel tentativo di riparare questa massiva perdita di sostanza va in ipertrofia perché l'epitelio prolifera: parte una ricostruzione non più corretta, si sono persi riferimenti strutturali importanti, e quindi la mucosa tende a formare delle specie di villi, un'ipertrofia del tutto fuori organizzazione porta alla formazione di pseudopolipi: è questo l'ultimo step prima che la mucosa colica venga del tutto distrutta.

Un colon di questo tipo, con queste ulcere, espone tutto il sistema immunitario sottomucoso a una grande massa di batteri: il rischio di morire per setticemia e conseguente shock settico è altissimo, da cui la necessità di asportare il colon.

Alternativo al decorso fulminante è il quadro in cui la malattia presenti continue remissioni e ricadute. L'infiammazione cronica, tuttavia, (e quanto segue vale per ogni tipo di infiammazione cronica, a carico di un qualunque organo) lo stimolo infiammatorio continuo provoca una accelerazione della riparazione cellulare e di conseguenza aumenta il rischio che qualche cellula perda la capacità di controllo della propria proliferazione: è possibile quindi vengano fuori delle neoplasie in grado anche di sfuggire al controllo del sistema immunitario.

Tutte le malattie infiammatorie croniche (particolarmente quelle che colpiscono alcune aree degli epiteli) portano a carcinomi.

E così anche nel caso della colite ulcerosa: essendo infiammazione cronica del colon aumenta di molto il rischio di cancro. Il CD risulta molto meno associato con rischio di cancro: colpisce tratti diversi dell'intestino, in particolare tratti del tenue, dove il

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rischio di cancro per motivi istologici di pavimentazione è molto inferiore (infiammazione cronica del tenue aumenterà il rischio di linfoma piuttosto).

L'infiammazione cronica del tenue aumenta piuttosto il rischio che si sviluppi una neoplasia (quindi una perdita del controllo proliferativo) a livello del tessuto linfatico, maggiormente rappresentato a quel livello, infatti la neoplasia più prevalente del tenue è il linfoma mentre il carcinoma è la neoplasia più frequente in colon, stomaco ed esofago.

Un'ulcera duodenale non determinerà mai cancro duodenale: un cancro del duodeno generalmente partirà dalla ampolla di Vater e dall'orifizio del dotto pancreatico o del dotto del coledoco piuttosto, ma mai dalla mucosa duodenale.

L'infiammazione cronica dello stomaco invece determinerà cancro gastrico.

Oggi che abbiamo scoperto che l'Helicobacter è la causa dell'ulcera duodenale e gastrica, si è abbattuta l'incidenza della malattia infiammatoria cronica gastrica quasi del tutto e di conseguenza anche il cancro dello stomaco.

Quindi il rischio del cancro al colon, nei soggetti affetti da UC, risulta aumentato rispetto alla norma.

In un soggetto affetto da anni da UC, che la manifesti con varie remissioni e ricadute, bisogna proteggere dallo sviluppo del cancro (nota: un soggetto di questo tipo, nel caso in cui sviluppi cancro, rischia di presentarsi molto tardivamente dal medico. Infatti è abituato a vedere sangue nelle proprie feci, e si rischia di perdere un'opportunità diagnostica).

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Come protezione si consiglia una sorveglianza mediante colonscopia (il colonscopio permette di osservare tutto l'intestino e in più di effettuare piccole biopsie attraverso una pinzetta che porta in cima). Tuttavia per fare diagnosi precoce le biopsie vanno fatte più o meno a caso: andrebbe presa la displasia grave, in un tessuto con cicatrici e infiammazione cronica non è facile distinguere ad occhio, quindi si fanno molte biopsie, in tutte le parti dell'intestino e si mappano, così da poter valutare i gradi di displasia.

Suggerimento ai fini dell'esame. Domanda possibile, nel parlare di IBD, è: quali altre aree intestinali hanno il rischio di sviluppare cancro come il colon? Esofago e stomaco, non l'intestino (suppongo intenda il tenue). Lo schema da ricordare in generale è: se un'infiammazione cronica colpisce un epitelio, allora in questa sede sarà più alta la probabilità di sviluppo di carcinoma.

Per quanto riguarda le caratteristiche microscopiche, nella UC sono colpite solo mucosa e sottomucosa, mentre sono lasciati intatti gli strati più profondi: è questa un'importante caratteristica della UC che la distingue da CD.

Altro suggerimento. Parlando di IBD, indicare le caratteristiche essenziali che distinguono UC da CD? CD colpisce tutto l'intestino e in modo segmentario; UC colpisce solo il colon e in modo continuo. Terza differenza: UC colpisce la mucosa solo a livello superficiale, senza approfondirsi, mentre CD aggredisce la mucosa a tutto spessore.

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UC colpisce la mucosa e si instaura sopratutto nelle cripte ghiandolari della sottomucosa, caratterizzate dall'infiammazione, e quindi invase dal tessuto immunologico.

Nota: l'infiammazione è l'infiltrazione di linfociti nella sede. Per cui è facile diagnosticare: se nel fondo delle cripte c'è un agglomerato di nuclei, allora quelli saranno presumibilmente linfociti.

[slide 22] confrontando due immagini a piccolo e medio ingrandimento. A piccolo ingrandimento la sottomucosa appare perfettamente normale, mentre nella mucosa si osservano aree più marcate, con i nuclei che si colorano in viola scuro: i nuclei sono linfociti, quindi cellule infiammatorie. È facile diagnosticare: le cripte, con il loro fondo infiltrato da un agglomerato linfocitario indica lo stadio più semplice della UC.

A piccolo ingrandimento si vedono le cellule tra le ghiandole, quella a sinistra è una ghiandola ancora quasi normale, e quella a destra completamente infiltrata da un agglomerato cellulare, perché molti sono i linfociti che hanno infiltrato la ghiandola.

Quando l'infiltrazione massivamente sale, a un certo punto si alterano le perfusioni capillari, di conseguenza si ulcera lo strato superficiale finché le ghiandole praticamente non si vedono più e in alcune aree viene meno il rivestimento lucente, al microscopio si vede un'area bianca: l'ulcera.

Per quanto riguarda la radiologia, per diagnosticare la UC se ne può fare anche a meno: basta infatti servirsi del colonscopio; CD è invece principalmente una patologia diagnosticata grazie all'imaging radiologico, potendo colpire l'intero tratto del tenue.

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[slide 25] Il crisma opaco con il mezzo di contrasto, oggi “soppiantato” dalla colonscopia, permette per esempio di vedere la mancanza di haustrazioni. L'intestino si contrae quando la mucosa è molto morbida, e si vedono queste tipiche haustrazioni. Quando l'infiammazione altera la mucosa, sono presenti dei tratti molto rigidi, “a tubo di stufa”: è sintomo classico di una colite.

Complicazioni

Le complicazioni sono il principale motivo per cui le IBD devono essere tenute sotto controllo.

- L'emorragia è la prima complicazione se l'infiammazione è tale da riuscire a determinare una perdita di continuità nella mucosa e quindi ulcera;

- La perforazione è invece un grosso rischio quando la mucosa per intensità di infiammazione comincia ad essere colpita a tutto spessore: quando la mucosa è così colpita da essere eliminata, c'è scorticamento e viene esposta la sottomucosa. La parete si assottiglia e si irrigidisce sempre di più fino alla perforazione;

- Quando siamo a questi livelli in una pancolite, per motivi di tossicità di cui sopra, il colon va asportato.

- Se la colite è molto aggressiva ma in tratti più brevi, la parete può non perforarsi, e la lesione essere riparata in maniera anomala con la formazione di cicatrici: il tratto senza mucosa può essere chiuso da due tratti vicini dotati di mucosa e si forma una strittura. In quest'area non c'è più neppure muscolatura della sottomucosa, né le muscolature lisce orientate in modo corretto, ma c'è una vera e propria cicatrice disposta a formare una struttura rigida ad anello.

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- L'ultima complicazione è il colon tossico che necessita di resezione per il rischio di setticemia.

Per differenziare il grado di gravità della malattia, è utile chiedere al paziente:

- Quante volte vada al gabinetto: quando la malattia è moderata, l'individuo non si reca a defecare molte volte nel corso della giornata.

- Se sia presente sangue nelle feci e eventualmente in quali quantità lo sia.

- Se presenti febbre: se presente è indice di malattia grave, perché segnala una compromissione generale. Se una UC da febbre, vuol dire che ci sono ulcerazioni tanto importanti da esporre la sottomucosa al contenuto batterico del colon e così determinare una tossiemia sistemica.

- Se abbia tachicardia: se presente, dovuta sia a febbre che all'anemia che alla tossiemia.

Di conseguenza importanti parametri saranno:

- la conta di Hb nel sangue

- la velocità di eritrosedimentazione, VES: se alta è indice di infiammazione cronica.

Una VES alta va sempre interpretata. Se un individuo con VES alta non ha nessuna malattia infiammatoria, potrebbe avere un linfoma.

Perché si alza infatti la VES? Per una continua proliferazione linfocitaria da qualche parte nell'organismo, e cascata di linfochine e citochine infiammatorie conseguente, quindi VES alta → proliferazione linfocitaria.

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Endoscopia

Quadro endoscopica: eritema all'inizio, aumenta, provoca ulcere che si approfondano.

Esistono manifestazione generalizzate delle IBD: sono malattie extra intestinali, legate alla reazione immunologica in generale, e possono determinare sintomi (presenti in almeno un terzo dei pazienti) reumatologici. I sintomi reumatologici, saranno presenti in oltre un terzo dei pazienti affetti da infiammazioni croniche: colpiscono occhio; articolazioni: artrite; (nel bimbo in generale qualunque malattia dà ritardo nella crescita), rene: calcoli renali, indiretta evidenza di malattia infiammatoria o malassorbimento intestinale (in circolo, per esempio, aumentano gli ossalati che, salificando, generano i calcoli. La precipitazione di microlitiasi a livello renale è dipendente da uno squilibrio tra i componenti che poi salificano nella formazione del composto alla base del calcolo); sfera genitale: infertilità e disturbi generali; lesioni della cute (specchio della salute del sistema immunitario); vie biliari: calcolosi da alterato metabolismo della sfera lipidica.

Aggancio con l'ematologia: i calcoli di tipo colesterinico, dipendenti da malassorbimento del colesterolo, chiari (coinvolti fegato, intestino) e si distinguono da quelli scuri, scuri per la presenza di bilirubina in eccesso e quindi dipendenti da alterazione nella produzione di emazie a livello midollare (anemico), catabolismo veloce dell'Hb, prodotta in modo non ideale per essere inserita nei GR.

Quindi i sintomi sistemici delle malattie infiammatorie sono i sintomi reumatici.

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Principali sintomi reumatici:

- Eritema nodoso, una zona arrossata con indurimento, poco pruriginosa (nota: simile alla puntura di una zanzara); si manifesta nella superficie anteriore e laterale della tibia, sopratutto. È tipico sintomo di una malattia infiammatoria cronica;

- Pioderma gangrenoso, anch'esso si associa in generale a malattie infiammatorie croniche;

- Artrite periferica;

- Spondilosi anchilosante;

- Sacroilite;

- A livello oculare: uveite, episclerite, congiuntivite non da batteri. Sopratutto se presenti in un giovane, è consigliabile un esame del sangue di verifica e anche indagini più invasive, come minimo quelle radiologiche.

- Cistite, sopratutto nella donna: più facile che nell'uomo per un motivo anatomico, infatti l'uretra è più corta, quindi i batteri possono più facilmente andare a contaminare la vescica. Questo nella donna spesso camuffa sintomi di altre patologie.

La cistite è una infiammazione dovuta ad aumento della carica batterica nella vescica, o per batteri giunti dall'esterno o per formazione di una fistola, ovvero una comunicazione tra una parte infiammata dell'intestino la cui parete è stata erosa dal processo infiammatorio (e questo sarà più facile nella CD, essendo a tutto spessore)

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e vescica, (infatti l'intestino poggia sulla vescica). Formatosi un buco, passano piccole quantità di feci, contenenti quantità enormi di batteri. Una cistite recidivante può essere sintomatica di malattia cronica a livello colico, una colonscopia sarebbe consigliabile così come un transito del tenue (sopratutto le anse coinvolte sono quelle del tenue). Prima di queste ultime, entrambe due procedure invasive, nel sangue bisogna valutare:

o VES;

o fattore reumatoide, per valutare se ci siano Ig prodotti in senso eccessivo contro le stesse gamma-globuline;

o livello delle gamma-globuline (IgA, IgG e IgM) nel sangue per valutare se siano prodotte in eccesso;

o profilo elettroforetico delle proteine per vedere se oltre all'albumina, che sarà normale, ci sono livelli relativi diversi. Un'infiammazione cronica in particolare determina aumento delle proteine di fase acuta del fegato;

- In più aumenta anche la possibilità di sviluppare una osteoporosi secondaria a deficit di vitamina D, per malassorbimento di calcio, malnutrizione, uso di corticosteroidi o antinfiammatori per lunghi periodi.

- Malattie di carattere urologico: calcoli, ostruzioni uretrali, fistole;

- Manifestazioni cardiopolmonari: includono endocardite, miocardite, pleuropericardite e polmonite interstiziale.

Ricapitoliamo, a questo punto, le differenze fra UC e CD, facendo riferimento alla seguente tabella.

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UC CD

Sangue nelle feci Sì Occasionalmente

Muco Sì Occasionalmente

Sintomi sistemici Occasionalmente

Frequentemente

Dolore Occasionalmente

Frequentemente

Massa addominale Raramente Sì

Malattia del Perineo No Frequentemente

Formazione di Fistole No Sì

Ostruzione intestinale No Frequentemente

Ostruzione Colica Raramente Frequentemente

Sensibilità agli antibiotici No Sì

Ricorrenza dopo chirurgia No Sì

Esclusione del Retto Raramente Frequentemente

Malattia Continua Sì Occasionalmente

Aspetto “a selciato” No Sì

Granuloma nella biopsia No Occasionalmente

Da un punto di vista pratico, nella diagnosi differenziale fra UC e CD come già detto, bisogna concentrarsi su:

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• focalità della lesione: deve essere non continua (una lesione di un solo tratto del retto, non continua, sarebbe CD. È tuttavia una condizione molto rara, infatti generalmente CD risparmia il retto), la lesione focale è un segno di CD;

• formazione di fistole è un altro chiaro segno di CD: è infatti necessaria una lesione a tutto spessore affinché si formino le fistole;

• formazione di stritture: significano di nuovo una lesione segmentaria, da cui si è generata la strittura;

• formazione di lesioni piccole a corpo d'unghia;

• a livello istologico, il granuloma: un infiltrato infiammatorio in cui non ci sono solo linfociti ma anche cellule epitelioidi (hanno un citoplasma più importante: anche a occhio nudo si vedono aree con un colorito più tenue, all'interno di infiltrati infiammatori intensi di linfociti che fanno da corona alle cellule epitelioidi): quando il granuloma c'è, è patognomonico della malattia di Crohn, ma la sua assenza NON esclude il Crohn; a livello della mucosa, normalmente liscia lucente e col reticolo venoso visibile, un infiltrato infiammatorio anche lieve rende opaco l'epitelio. [in immagini vediamo l'alternanza di tratti perfettamente normali ad aree ulcerose, di mucosa non liscia e lucente e senza reticolo venoso visibile].

Per fare una diagnosi differenziale endoscopica:

1) la colite ulcerosa ha sempre sangue, CD occasionalmente;

2) UC ha sempre muco;

3) UC ha occasionalmente sintomi sistemici (che tendono invece ad essere frequenti nel Crohn, malattia con carattere più sistemico) e dolore (frequente nel Crohn: colpendo il tenue, determina stritture e quindi ostacoli alla progressione del contenuto intestinale e pertanto dolore, contrazioni con dilatazione in aree dell'intestino);

4) nella UC è raramente presente la massa addominale, palpabile manualmente, invece presente nel caso del Crohn;

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5) l'area perineale è colpita dal processo infiammatorio quando si formano fistole: quindi tra vescica (e utero nelle donne) e retto si formano queste comunicazioni e conseguenti rischi di contiguità infiammatoria conseguenti alla presenza di un'ansa intestinale infiammata in quella sede. Nel Crohn le fistole sono presenti, assenti invece nell'UC; così l'ostruzione intestinale e colica;

6) Crohn risponde agli antibiotici: dà infatti fistolizzazione, ascessi e quindi fenomenologie più localizzate, a differenza della UC che generalmente non ha un coinvolgimento sistemico, ma quando lo ha è perché ha già interessato tutto il colon, e il paziente si trova in una condizione terminale;

7) così la recidiva dopo la chirurgia è più facile nella Crohn perchè colpisce piccoli tratti del tubo intestinale del tenue a differenza della UC, localizzata.

8) Ancora, il retto è risparmiato nel Crohn generalmente, nella UC chiaramente no. Tuttavia, nella tabella soprastante è scritto che “raramente” viene risparmiato: è così solo apparentemente, può infatti accadere che l'intensità di lesione sia minore e le manifestazioni più imponenti siano, per esempio, nel sigma risparmiando apparentemente le altre zone. Una indagine bioptica, in questa situazione, rivelerebbe la presenza della malattia: l'anomalia è infatti presente a livello istologico;

9) la presenza di granuloma nella biopsia, specifica per CD (tuttavia non è facile trovare l'area di mucosa con il granuloma presente);

10) nella UC la malattia è continua, ma non dovunque nella stessa intensità: frequenti differenze istologiche;

11) “aspetto a selciato”, aspetto endoscopico tipico della malattia segmentaria: si creano aree di infiammazione discontinue.

Esistono, però, anche coliti di altra eziologia: colite ulcerosa con diffuse ulcerazioni e muco adeso e l'essudato visibile; un altro caso è quello della colite pseudo-membranosa batterica, malattia acuta, riconoscibile dalle membrane di colore

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giallastro; o anche una colite ischemica nell'anziano, in soggetti di età avanzata possono esserci coliti che mimano la UC conseguenti a delle arteriopatie di tipo aterosclerotico a carico delle arterie mesenteriche che vanno a colpire in genere la flessura splenica: sono forme di tipo segmentario conseguenti quindi ad alterazioni vascolari.

La UC colpisce generalmente soggetti giovani: è secondaria a una disimmunità tipica delle età in cui il SI è competente; con il passare del tempo il SI tende a diventare meno efficiente (anche per questo i tumori sono più frequenti negli anziani, il SI pattuglia con minore efficacia l'insorgenza di proliferazione anomala; e viceversa diminuisce l'insorgenza di patologie a carattere autoimmune): i sintomi finora descritti, che fanno pensare chiaramente ad una UC in individui giovani, ventenni/trentenni, nell'85enne potrebbero essere sintomatici piuttosto di carcinoma, o di colite ischemica.

Si parla poi di colite indeterminata quando non si riesce a classificarla bene fra UC e CD: le mancano alcune caratteristiche fondamentali tali per cui possa essere definita UC o CD.

[slide 3] Importante oggi per la diagnosi è la capsula senza fili: grazie a questa possiamo prendere immagini endoscopiche anche di tratti molto piccoli dell'intestino, e risultano molto utili per diagnosticare malattie segmentarie. Nella fattispecie, si può osservare un'immagine presa con la capsula dell'ileo terminale del paziente affetto da Crohn. La diagnosi viene fatta in questo modo se visivamente, con l'indagine radiologica, non è possibile.

[slide 4] Immagine di un piccolo tratto resecato, con strittura avvenuta nella fase di riparazione di questo segmento. Nell'immagine istologica del tessuto, già a piccolo ingrandimento si può vedere un infiltrato tra le ghiandole e uno stipamento di nuclei

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che si colorano più in scuro. All'interno, in alcune aree, c'è un anello di questi nuclei stipati e all'interno un'area più chiara di cellule epitelioidi: ecco il granuloma, zona chiara di cellule epitelioidi rivestita da un anello di linfociti.

CD ha un gran bisogno di imaging per essere diagnosticata (come prima detto, spesso sono presenti piccole lesioni, anche nel tenue).

Tradizionali tecniche di imaging:

• Enteroclisma: attraverso un sondino, viene iniettato del Bario nella parete intestinale, esso permette di tappezzare la parete della mucosa molto finemente. Tecnica lunga, difficoltosa, prevede di fare varie lastre in differenti momenti della giornata, ma fatta bene consente di vedere l'intestino quasi in 3D quindi in maniera molto fine. [un esempio di enteroclisma si ritrova nella slide 6] L'importanza dell'enteroclisma sta nel consentire di apprezzare la simmetria della parete, la presenza e la forma eventuali di sacche di ulcerazioni, la discontinuità, fenomeni come l'aspetto “a selciato”, le stritture, le fistole (si vede il mezzo di contrasto che da un'ansa intestinale passa nella vescica);

• Enterografia;

• RM;

• TAC;

• Ultrasuoni;

• Medicina nucleare.

• Capsula: contiene una macchinetta, videocamera, che prende 2 immagini al secondo, in totale quasi cinquantamila immagini, e così registra tutto il percorso che fa. L'unico rischio è darla a uno che abbia la strittura molto evidente. L'importanza è nel vedere lesioni minime e quindi nel caso di diagnosi differenziali rischiose, le diagnosi più fini (per esempio si teme che l'individuo abbia un linfoma, invece della malattia intestinale).

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Con questo tipo di indagine posso studiare anche la fisiologia intestinale, per questo utile non solo nel caso di IBD, ma nell'ambito di una vastissima gamma di patologie intestinali.

Nota: in alcuni tratti la malattia infiammatoria può creare il rischio di occlusione, se ad esempio due tratti lesi, due anse intestinali lese anche lievemente, vanno a aderire l'un l'altra (come una colla) creano una specie di blocco per cui quando il contenuto intestinale arriva lì trova un blocco. La malattia quindi mima il danno grosso, crea un'ostruzione intestinale che andrà resecata chirurgicamente. È questo un target tipico ottenibile con immagini radiologiche.

Oltre ai test aspecifici di disimmunità, ci sono marcatori specifici utilizzabili negli individui con disreattività immune: sono auto-anticorpi, quindi anticorpi anti-self.

Questi Ab sono stati scoperti negli stessi anni in cui si sono effettuate le prime biopsie in vivo.

Si utilizzarono tessuti tagliati molto fini, che venivano incubati con il siero di soggetti con diverse malattie. Il siero contiene gli anticorpi: questi andranno a fissarsi sul tessuto, ricco di nuclei, mitocondri; queste cellule sono usate da target per vedere dove l'eventuale anticorpo umano si vada a fissare. Dopo un primo lavaggio, per mettere in evidenza l'eventuale legame Ab-Ag, va aggiunto un anticorpo anti-Ig marcato con fluorescina: se si ferma da qualche parte la zona apparirà illuminata al microscopio. In ultima analisi se le gamma-globuline si sono fermate sul tessuto, il colore si vedrà nei posti in cui è presente l'Ag bersaglio dell'Ab. Per cui dopo incubazione e aggiunta di anti-Ig umane, alla fine si vedranno illuminati i target degli anticorpi.

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Utilizzando anziché un tessuto dei granulociti, appariranno fluorescenti in verde le zone citoplasmatiche perinucleari. Questo tipo di reattività è tipica delle IBD, e viene pertanto utilizzata come marcatore sierologico: pANCA, autoanticorpi perinucleari. Ripetiamo: è una autoreattività tipica delle malattie infiammatorie nell'intestino. Presente però in frequenze minori anche in altre malattie, reumatologiche.

Altro autoanticorpo che si è visto aumentare molto in caso di IBD, è diretto contro un saprofita, saccharomyces cerevisiae: è detto ASCA e rappresenta il secondo importante marcatore sierologico.

In altre patologie autoimmuni ci saranno altri auto-anticorpi, molto frequenti per esempio nella gran parte delle altre malattie reumatologiche sono gli Ab anti-nucleo.

Questa metodica è utile, dotata di alta specificità ma contemporaneamente di scarsa sensibilità: quindi la presenza dell'auto-anticorpo fornisce un'indicazione quasi certa sulla diagnosi; al contrario l'assenza non esclude assolutamente la malattia. Serve a confermare ma non ad escludere.

La presenza del pANCA è più netta nella UC che nella CD; viceversa l'ASCA è più rappresentato nella CD che nella UC. La presenza di questi auto-anticorpi è molto utile quindi nella diagnosi differenziale fra UC e CD. Risulta in più utile anche nella prognosi, perché il profilo degli Ab tende a calare con il passare del tempo.

Diagnosi eziologica

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Tutte le volte in cui non c'è una diagnosi eziologica tipica, sono chiamati in causa ambiente, dieta e genetica siano implicati.

[digressione: in qualunque altro distretto è più facile operare una diagnosi, basta la semplice presenza di un batterio in organi come fegato o reni, organi che generalmente non presentano una flora saprofita. Nell'intestino invece il discorso è complicato proprio da questi saprofiti: non potrà bastare mai un'analisi puramente quantitativa. Nelle urine, ad esempio, i batteri non devono esserci: se in una serie di diluizioni ci sono, e sono in un numero superiore a 10 alla quinta, allora siamo in una situazione irregolare.]

Tra le varie ipotesi eziologiche:

- Infezione persistente:

- Micobatterio: la tubercolosi intestinale dà una diagnosi quasi indistinguibile dal Crohn. Si manifesta infatti con colite segmentaria e granuloma tubercolare, quindi molto simile alla CD;

- Helicobacter e altri batteri di questo tipo;

- Virus, come quello del morbillo;

- Listeria;

- E.Coli tossigeno.

- Difetto di integrità mucosa: è molto facile che un organo per natura pieno di batteri lo manifesti. Questo può avvenire per:

- Alterata costituzione del muco,

- alterata permeabilità degli strati della mucosa,

- problema cellulare,

- incapacità nella riparazione della mucosa.

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- Disbiosi: alterato equilibrio della flora batterica. La flora batterica ha un suo equilibrio, molto delicato. La flora varia a seconda del clima, delle abitudini alimentari.

I mezzi diagnostici attuali sono molto carenti nello studio di un organo così complesso come l'intestino. La stessa coltura batterica è una “illazione” nei confronti di un batterio, in generale. Io cerco in un gruppo di batteri quale sia quello che cresce di più, selezionando quello che funziona meglio nel mezzo di coltura che ho utilizzato. Tuttavia nulla mi conferma che quello stesso batterio selezionato sia quello che cresce meglio nel distretto da cui è stato prelevato.

E così gode di relativa incertezza la stessa PCR, nonostante maggiormente precisa: prevede pur sempre l'utilizzo di sequenze già note.

- Disregolazioni della risposta immune: ci può essere un difetto di tolleranza, un'aggressività della risposta eccessiva, regolate da una poligenicità complessa alla base del sistema immune.

La mucosa normale è garantita da un equilibrio tra la potenziale noccia dei batteri, il sistema di difesa del sistema immunitario innanzitutto mantenuto dall'integrità delle tight junctions, che impediscono che i batteri possano penetrare; i meccanismi di difesa prodotti sotto forma di peptidi da parte della mucosa; la rigenerazione della mucosa per coprire eventuali aree danneggiate; produzione di muco e suo arricchimento con IgA secretorie; ruolo dei batteri stessi: il corpo umano non potrebbe sopravvivere in totale assenza di batteri [cosa sono i batteri? Dei mitocondri evoluti.].

La fisiologia, per come viene studiata oggi, è banale ed incompleta. Alcuni fenomeni vanno analizzati ad un livello superiore a quelle che sono le nostre attuali conoscenze fisiologiche. Nell'intestino per

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esempio abbiamo virtualmente una catena di strutture simil-mitocondriali, i batteri, separati da un'altra lunga catena di mitocondri (quelli effettivi degli enterociti) da un sottilissimo strato: è ragionevole pensare che queste strutture possano in qualche modo interagire fra loro.

Per giustificare il fatto che alcuni fenomeni presentano una reattività assolutamente inspiegabile sulla base delle attuali nozioni fisiologiche, un esempio su tutti il sistema renina-angiotensina-aldosterone, la capacità di risposta è così veloce che si pensa possa venire indotta a livello della comunicazione intestino-parete intestinale.

Altro fenomeno non spiegabile sulla base delle nozioni fisiologiche è la rapidità con cui talvolta può avvenire una scarica diarroica: bastano anche pochi secondi dopo l'introduzione di un pasto, troppo pochi perché il cibo possa aver attraversato il tubo intestinale. Chiaro che alla base ci sia una trasmissione neuronale velocissima: essa origina una fenomenologia reattiva, tipica di alcune ipersensibilità verso sostanze quali tossine fungine.

L'autoimmunità è sicuramente implicata in maniera importante, (può essere scatenata anche da un'infezione virale), ed in gioco entrano anche fenomeni genetici: la CD è molto più geneticamente determinata rispetto alla UC, infatti gemelli monozigotici hanno una concordanza variabile tra 44 e 50% per la CD e variabile tra 5 e 14% per UC; gemelli dizigotici hanno una concordanza dell'8% per la CD, pari a 0 per la UC.

Si sono andati pertanto a cercare i geni coinvolti e si sono ricercati in zone del genoma implicate con funzioni immunologiche. Vari sono i geni che intervengono, e perchè sia determinata la suscettibilità è necessario un particolare profilo genetico nei geni rilevanti. Stabilita la suscettibilità genetica, deve esserci poi una situazione ambientale provocatoria, l'esposizione all'Ag che scateni la risposta.

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NOD2 è un recettore importante coinvolto nella risposta cellulare ad alcuni LPS, endotossine batteriche di gram negativi [nota: Wikenglish dice che riconosce il peptidoglicano], alterazioni genetiche nel cui gene sono frequenti nei soggetti affetti da CD e molto meno in quelli affetti da UC. Diverse prevalenze di questi geni nelle popolazioni del mondo dimostrano anche una diversa associazione relativa con UC e CD.

I giapponesi fra l'altro hanno molte meno patologie reumatologiche in tante patologie che questa malattie scatenano. L' infezione da virus dell'epatite C è molto sviluppata, ma quasi mancano la crioglobulinemia e malattie di tipo reumatologico associate all'epatite C: questo avviene per ragioni genetiche e anche ambientali (non mangiano la farina quindi manca loro l'esposizione a un importante antigene del frumento, il glutine, che crea un rischio a livello gastrointestinale).

In zone del mondo che non mangiano glutine e formaggi sono create condizioni di esposizione antigenica molto minore che, combinate con una minore suscettibilità genetica, determinano una minore incidenza di una patologia rispetto a un'altra.

Altri geni coinvolti riguardano funzioni di comunicazione tra cellule che rispondono a stimoli esterni tipo presenza di tossine: sono geni che codificano per recettori di membrana, e mutazioni che stanno alla base delle cellule epiteliali nel controllo della replicazione della cellula epiteliale.

[slide 8] Nel caso di un assetto genico particolare, l'espressione dei recettori a livello di macrofagi e cellule epiteliali (pattugliatori della mucosa) genera poi la disreattività che può portare ad una alterazione della capacità difensiva della mucosa: una proteina importante che dice quanto le tight junctions reggano tra le cellule, la

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claudina, è diversa in un soggetto con CD rispetto a un soggetto sano, a seconda del livello di colorazione specifico per la proteina che si raggiunge (più ce n'è, più efficace è la giunzione).

Fra gli agenti eziologici della disreattività immunologica ci sono i batteri, presenti in quantità enormi nel CD. In almeno undici specie animali (alcuni topi; alcuni ratti; alcune scimmie come il tamarino; il porcellino d'India) un esperimento prevede di separare due fratelli alla nascita, porne uno in condizioni assolutamente sterili in maniera tale che nel suo colon non si generi la flora microbica: esso non svilupperà IBD mentre il fratello, lasciato nell'ambiente esterno e quindi dotato di una normale flora, svilupperà IBD.

Quindi i batteri sono sicuramente implicati nella genesi della IBD.

Il pattern molecolare di riconoscimento di una cellula rispetto alla presenza di batteri tra presenza di fattori prodotti da batteri e alcuni recettori di membrana di cellule endoteliali e cellule di Paneth è sicuramente un meccanismo patogenetico alla base delle malattie. Espressione maggiore dei geni di questi recettori implicati nelle patogenesi avviene nel citoplasma di queste cellule, quindi il meccanismo patogenetico è legato a questi fenomeni.

Quindi si studia la prevalenza di alcune infezione associata con l'espressione di questi recettori a livello della mucosa dei soggetti.

Rilevanza clinica di questi studi è che potenzialmente studiando l'assetto genomico si possono predire dei sottogruppi, quindi identificare i soggetti a rischio e quindi rendere più efficace la prevenzione, anche semplicemente su base alimentare, nonché sviluppare un trattamento più adeguato.

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In generale, in soggetti affetti da malattie intestinali aspecifiche la privazione dal glutine porta a un miglioramento clinico.

Anche la prognosi stessa può essere influenzata dall'assetto genomico: potrebbe così cambiare anche la frequenza di controllo delle recidive.

Nota: un eccessivo utilizzo di probiotici potrebbe rivelarsi controproducente, determinare addirittura una patologia autoimmune. Lactobacillo e Bifidobatterio sono probabilmente utili in chi ha rischio di sviluppare problemi gastrointestinali.

In generale, quello che influenza lo sviluppo di IBD è il contenuto del lume; ciò che l'ambiente scatena; la suscettibilità genetica e in che modo essa influenzi gli effettori del pattugliamento del self (motivo per cui la prevalenza della malattia è in età giovane proprio perché in età giovane si stabilizza il sistema immune, è più efficiente, più forte).

Negli ultimi anni, con l'egualitarismo del cibo si è generato un aumento delle patologie su base autoimmune in generale. Paradossalmente, nei paesi sottosviluppati, l'elevata presenza di parassiti tipo elminti determina una potente immunosoppressione che sortisce l'effetto di una terapia cortisonica continuativa.

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ESOFAGO

L'esofago è quel canale che collega la bocca allo stomco, che è il primo punto nel

quale il cibo viene sottoposto al meccanismo di rimescolamento e digestione (e

anche di quella digestione che avviene per merito della ptialina e della secretina

salivare, che vanno ad agire poi nella sacca dello stomaco).

Come sempre prima di trattare le varie patologie partiamo dall'anatomia.

L'esofago è un tratto di circa 25 cm, e si estende dalla faringe al cardias; il cardias è il

punto di passaggio dalla mucosa del'esofago a quella dello stomaco, il confine è

detto linea Z perchè ha questa frastagliatura che assomiglia proprio ad una "Z".

Ha una funzione soprattutto meccanica.

La parete esofagea è costituita come la maggior parte dei visceri da (partendo

dall'interno):

– mucosa

– sottomucosa

– muscolare propria

– avventizia

Questo è importante perchè la patologia ha sempre una caratterizzazione di tipo

locale, relativamente alle varie aree della struttura dell'esofago.

I meccanismi anatomo-funzionali che regolano il passaggio del cibo sono anche

quelli che condizionano poi le patologie e sono secondarie ad un'inversione del

cammino del contenuto all'interno dell'esofago.

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La patologia è dovuta al fatto che l'esofago dovrebbe funzionare come meccanismo

facilitatore del passaggio del cibo nella direzione dello stomaco.

Il reflusso è il passaggio dei liqudi contenuti nello stomaco verso il cavo orale che è

considerato anomalo, questa è poi la principale patologia dell' esofago.

Ora dobbiamo ricordare anche gli eventi fisiologici di questa funzione dell'esofago.

Bisogna ricordare che il tratto clnico è proprio quello che passa a livello il fuoco del

diaframma dove si incunea l'esofago coi suoi rivestimenti.

A livello di questo fuoco esistono dei rivestimenti di tessuto grasso che fanno quasi

da isolante a livello del forame del diaframma; oltre al fatto cha a livello della parete

muscolare dell'esofago esiste un addensamento delle fibre muscolari lisce che

costituisce un vero e proprio sfintere che automaticamente si apre e si chiude in

funzione della peristalsi che viene scatenata nel momento in cui noi introduciamo il

bolo con la deglutizione.

Di sotto poi c'è lo stomaco che fa un angolo a livello di quell'area importante che tra

l'altro serve anche a favorire la chiusura. Quest'angolo si sfrutta anche in modo fisico

a seconda di come noi ci giriamo su un fianco o su un altro (sia che siamo supini sia

che siamo proni lo possiamo ampliare o chiudere).

Lo stomaco è angolato e si trova sul fianco sinistro guardando un altra persona.

Se io mi corico sul fianco destro quell'angolo tende ad aprirsi perchè il peso dello

stomaco col suo contenuto lo allarga. Se invece mi giro dall'atra parte, sul fianco

snistro, tutto il peso dello stomaco fa chiudere quel tipo di antro, infatti non è

casuale che chi soffre di disturbi di reflusso si possa trovare meglio cercando delle

posizioni più idonee nel momento in cui si corica.

Se uno ha bruciore di stomaco se sta girato sul fianco destro tende ad averne di più,

se sta girato sul fianco sinistro invece il dolore tende dopo un po' a sparire. Il modo

Page 44: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

di girarsi dev'essere particolare in modo da favorire la chiusura dell'antro (famoso

atteggiamento di abbracciare il cuscino lievemente proni).

Questa è la posizione migliore per poter chiudere l'antro, lo stomaco a quel punto

angola e noi "strizziamo", giriamo leggermente l'esofago rispetto ad esso facendo

proprio quel movimento che si fa con un sacchetto di nylon.

La tonaca mucosa è costituita da un epitelio pluristratificato simile a quello della

mucosa del cavo orale, e non è cheratinizzato. Sono presenti anche melanociti, in

questo senso è molto vicino alla cute (epitelio pavimentoso pluristratificato

cheratinizzato).

La lamina propria, tessuto connettivale che si trova immediatamente sotto l'epitelio,

funge da supporto nutrizionale, infatti contiene tanti piccoli capillari che

garantiscono l'apporto di nutrienti all'epitelio che costituisce lo strato protettivo.

Al di sotto della lamina propria c'è la muscularis mucosae che contiene cellule

muscolari che separano la tonoaca mucosa dalla sottomucosa.

La sottomucosa è costituita da connettivo più lasso con follicoli, ghiandole

secernenti, fibre nervose e i gangli del plesso di Meissner.

La tonaca muscolare propria favorisce la peristalsi ed è costituita da una muscolatura

circolare e da una muscolatura longitudinale (in tutti i "tubi" del tratto gastro-

enterico troviamo la muscolatura in questa conformazione perché è funzionale per

la peristalsi). Le fibre longitudinali danno spinte in senso longitudinale (onde

peristaltiche), e quelle circolari fanno si che il contenuto non ritorni indietro (do la

Page 45: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

spinta → il cibo va avanti → richiudo; chiudo sempre quello indietro e apro quello

avanti così ad ogni spinta il cibo va avanti e non torna indietro).

Questo fine sincronismo è un fatto importante, infatti ci sono delle patologie

funzionali dell'esofago in cui noi non sappiamo ancora come regolare questo

meccanismo di azioni prestabilite.

ACALASIA

L'acalasia è una malattia il più delle volte causata da una degenerazione primitiva dei

plessi nervosi dell'esofago; è una disfunzione di questo fine sistema di regolazione

funzionale della motilità esofagea che può determinare una dilatazione notevole

dell'esofago la quale a sua volta determina l'incapacità di far progredire il cibo.

Fortuna vuole che noi essendo in stazione eretta lasciamo defluire il cibo secondo la

gravità.

Questa malattia può anche essere secondaria e generalmente quella tipica si

presente in segutio all'infezione dal parassita Trypanosoma che da la malattia di

Chagas, la quale coinvolge in plesso mioenterico a livello dell'esofago e determina

un'acalasia simile a quella della degenerazione primitiva (generalmente non è delle

nostre zone ma ora, con le migrazioni possiamo anche averla da noi).

ERNIA IATALE

Un'altra patologia molto frequente (la più frequente tra le nostre popolazioni) è

l'ernia iatale.

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L'ernia iatale consegue all'invecchiamento, cioè al fatto che quella fine struttura di

cui si parlava prima fa la stessa cosa che succede in una tubatura quando c'è un

difetto di tenuta. La tenuta sfinteriale non è una chiusura a chiave ma è una chiusura

a pressione, per fare una metafora funziona come quei sacchetti di nayolon che

hanno quelle chiusure che schiacciandosi l'una contro l'altra rimangono adese; se

apro e chiudo tale sacchetto un notevole numero di volte dopo un po' non tiene più

bene. Qui il meccanismo è un po' lo stesso, il collagene idurisce (vengono le rughe

sul volto), la flessibilità si riduce e la chiusura stessa non è più eccezionale.

Diventano più lassi anche i tessuti presenti attorno al forame che c'è nel diaframma.

Può scivolare l'intera struttura dell'esofago per cui una parte dello stomaco può

finire oltre formae diaframmatico (scivola una parte dello stomaco su nell'esofago,

nel cavo toracico); questa si chiama ernia da scivolamento.

A volte invece succede che una parte dello stomaco si estrofletta di fianco al tubo

esofageo, non è l'esofago intero che sale, ma lo stomaco gli va vicino. Questo si

presenta quando abbiamo un problema aggiuntivo rispetto al meccanismo

precedente: ho un'anomalia della muscolatura diaframmatica che determina la

presenza di aree delicate attorno al forame (i muscoli sotto pressione si sfibrano),

oppure ho subito un forte trauma per cui il viscere è stato spinto e c'è stata un'ernia

forzata attraverso quella breccia più delicata, oppure mi è aumentato dopo una certa

età il grasso viscerale determinando una forte pressione nel'addome. Soprattutto nel

maschio (oggi andiamo facilmente in sovrappeso a causa di questa alimentazione

mangimoide ed esagerata) accade che dopo una certa età il grasso si accumula a

livello dell'addome.

Page 47: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

Questo aumento di pressione può far scivolare una parte dell'esofago però ciò può

avvenire anche come ernia paraesofagea.

L'ernia paraesofagea è più complicata perché il fatto che lo stomaco si sia infilato di

fianco all'esofago crea una ipovascolarizzazione e accade facilmente che si formino

delle ulcere e ci sia sanguinamento, addirittura può accadere che ci sia uno

strozzamento della parte erniata. Invece se scivola solo il punto di passaggio tra

esofago e stomaco (e questo quindi si alza solamente) ciò determina una minor

funzionalità dello sfintere, ma non sicuamente lo strozzamento.

Questo è il disegno di quello che può succedere, la seconda figura rappresenta

l'ernia da scivolamento, lo stomaco scivola su attraverso un forame più ampio e

tende a formare un'abbozzatura. L'ernia paraesofagea invece, che qui non è

rappresentata, è proprio un altro canalino che va su vicino all'esofago.

DIVERTICOLI

Una Patologia morfologica e tipica dell'esofago è il diverticolo.

I divertocoli sono estroflessioni sacciformi della mucosa e della sottomucosa in una

parte della tonaca di rivestimento esterna che dimostra una particolare lassità.

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Una frequnte sede di diverticoli è quella dei tratti più prossimali dell'esofago, a

livello della faringe, dove si possono sviluppare diverticoli anche molto grandi che

vengono chiamati il nome di zenker.

Questi sono generalmente delle aderenze fibrose che si possono formare livello

dell'area farigera e che, inizialmente tirnao la paerte esofagea, poi questa si slabra e

si forma il diverticolo.

Si possono formare diverticoli anche nella parte più distale. Sono sempre dovuti ad

un'aderenza, per esempio la retrazione di un linfonodo mediastinico che ha preso

contatto con la parete esofagea esterna e che ha creato una trazione. Su quella

trazione la parete molle tende poi a fare una sacca.

Tutte le volte che vi trovrete a parlare del tubo gastro-enterico vi renderete conto

che le patologie sono sempre le stesse:

– un'anomalia di forma del tubo (per esempio i diverticoli)

– un'anomalia funzionale (motoria)

– qualcosa che occupa spazio all'interno del tubo (per esmpio una neoplasia)

NEOPLASIE

Le neoplasie possono essere benigne o maligne.

Le neoplasie benigne dell'epitelio sono i papillomi (perché è molto simile al tipo di

epitelio ella cute).

La patologia può anche essere di origine virale.

Il papilloma squamocellulare si può formarsi quindi anche in sede esofagea.

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Poi ci sono le patologie neoplastiche benigne del connettivo.

Ci sono anche i tumori maligni e quello che si riscontra maggiormente dalle nostre

parti e in molte altre parti del mondo è il carcinoma epidermoide (dipende dalla

genetica e dall'ambiente).

Poi chiaramente ci possono essere tumori maligni connettivali tipo il leiomiosarcoma

e il GIST.

Il papilloma squamocellulare è un tumore raro, localizzato nel terzo inferiore e

medio dell'esofago, che rappresenta un tipico papilloma (basta ricordarlo, non ha

particolare significato cancerogeno).

Carcinoma dell'esofago

Quello che invece è importante è il carcinoma esofageo, come si vede dai seguenti

dati epidemiologici che servono a farci capire la dimensione del probelma, che è una

fetta importante in occidente dei tumori gastrointestinali (10%).

Paesi a basso rischio: Occidente

10% dei tumori gastroenterici

2-5% causa di morte 5 casi/ 100.000

M:F=5:1 Età: meda 65 anni

Carcinoma Epidermoidale: 50%

Adenocarcinoma: 50%

Page 50: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

Paesi ad alto rischio: Iran, Iraq, Cina, Africa

20% causa di morte 100 casi/100.000

M:F= 2:1 Età: prima di 65 anni

Carcinoma Epidermoidale: 90%

Adenocarcinoma: 10%

Ha una causa di morte piuttosto importante e tende a prevalere nel maschio (è

difficile trovare una malattia che non prevalga nel maschio eccetto quella degli

ograni genitali femminili, questo perché siamo geneticamente sfortunati).

Adenocarcinoma e Carcinoma epidermoide hanno prevalenze simili da noi, mentre

nelle aree del mondo equatoriale e orientale è diverso.

Questo fa si che, essendo il carcinoma epidermoide sia più frequente in queste aree,

anche il rapporto maschi/femmine sia diverso in occidente rispetto all'oriente

semplicemente perchè il corredo genetico tende a predisporre verso il carcinoma

epidermoide.

I fattori eziologici in occidente sono l'alcool, il fumo, le pietanze calde e altri. Il fatto

di esporre noi stessi a sostanze tossiche come alcool e fumo sicuramente è un

fattore che su qualsiasi patologia incide (difficile trovare che è protettivo martellarsi

un dito). Da un punto di vista pratico l'alcool e il fumo non sono previsti dal nostro

l'organismo, e questo spiega perché in qualsiasi analisi statistica che noi facciamo

questi due fattori compaiano sempre.

E' anche poi vero che ci sono predisposizioni genetiche particolari per cui ci sono

soggetti più a rischio di altri.

Parentesi: Se facciamo l'albero genealogico della nostra famiglia fino alla terza

generazione capiremo da quello, senza l'ausilio di test genetici, a quali rischi

Page 51: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

andiamo maggiormente incontro. Le malattie a penetranza violenta dei cosiddetti

eterozigoti asintomatici si manifestano, i fattori predisponenti invece li andiamo a

trovare nella nostra storia familiare. Se io trovo individui morti di carcinoma

polmonare o carcinoma esofageo allora so che magari sono più a rischio rispetto ad

un altro individuo che non ha una storia familiare di quel tipo (poi c'è sempre il

fattore sfortuna).

Adenocarcinoma esofageo

Sicuramente ci sono situazoni come il contenuto in nitriti e nitrati degli alimenti, il

consumo di cibi caldi e attitudini alimentari di un certo tipo, che possono avere una

loro importanza; però la ragione principale dell' adenocarcinoma esofageo è

soprattutto la malattia da reflusso, ed è su questa che bisogna porre maggiormente

la nostra attenzione.

La malattia da reflusso è la prima causa di una catena di eventi che portano poi

all'adenocarcinoma.

La catena di eventi è:

→ l'azione fisiologica che causa il reflusso (cioè abbiamo detto che per

ragioni varie il flusso inverte la sua direzione e defluisce in senso opposto a

quello fisiologico)

→ malattia da reflusso

→ se questo persiste a lungo io ho un'infiammazione

Page 52: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

→ questa a sua volta determina un cambio della condizione della

mucosa (è un cambiamento che la natura mette in atto

per sopperire al cambiamento fisiologico) ed abbiamo l'esofago di Barret

→ su questa anomalia di tipo istologico può avvenire una anomali di

tipo istopatologico che è la metaplasia intestinale (cioè il cambio del connotato

istologico del tessuto)

→ displasia

→ adenocarcinoma.

Questo meccanismo, in qualsiasi tubo del tratto gastrointestinale io mi trovi, è

sempre la ragione dell'adenocarcinoma. L'adenocarcinoma che nasce da tessuto

epiteliale generalmente nasce in questo modo, come conseguenza di questa serie di

eventi:

– meccanismo provocatore

– infiammazione

– stimolo che perdura

– tentativo di costruire un epitelio più resistente (la natura prova a prendere una via diversa)

– questo tentativo mette a rischio di displasia

– adenocarcinoma.

Questo avviene a livello di colon, stomaco, eccetera, ossia a livello delle altre sedi epitelali.

In alcune aree questi eventi si verificano di meno, perché in queste aree avvengono

meno frequentemente qui fenomeni necessari a provocare l'infiammazione, o

perché il tipo di tessuto è diverso dal tessuto epiteliale classico.

Page 53: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

Le sedi più a rischio in questo senso nel tubo gastrointestinale sono esofago,

stomaco e colon, non nell'intestino tenue (infatti l'adenocarcinoma non si riscontra

quasi mai in questa sede, tra piloro e sfintere ileo-colico)

Tuttavia l'adenocarcinoma si può talvolta riscontrare a livello delle papille, che sono

formate da tessuto silmil-epiteliale. Ci può essere l'adenocarcinoma della papilla del

Water ma non del duodeno e nemmeno dell'intestino tenue.

L'intestino tenue presenta altri tipi di neoplasie che sono per esempio i polipi, i quali

invece sono molto più rari nei tratti soggetti ad adenocarcinoma.

ESOFAGITE

Ha varie cause, oltre dalla malattia da reflusso che è la più impotrtante può essere

causata anche tossici (conseguenza per esempio della ingestione di liquidi tossici

come la soda caustica), la chemioterapia, alcune infezioni batteriche, infuzioni

fungine in soggetti immunocompromessi e radiazioni (magari in soggetti che si

sottopongono a terapie radianti per la cura di tumori del mediastino).

L'esofagite ha vari gradi:

– forma lieve

– forma moderata

– forma severa

Quando è lieve l'epitelio presenta:

– granulociti nell'epitelio

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– iperplasia

– aumento della velocità di recupero del tessuto (si allungano le ghiandole)

– congestione dei vaso

Grado moderato significa che a quel punto oltre a quello che già si presentava

nell'infiammazione lieve aumenta l'infiltrazione nell'epitelio di granulociti.

Poi quando diventa molto severa il tessuto è così infiltrato che ad un certo punto si

ulcera, cioè il rivestimento monostratificato delle cellule salta. Ci sono dei momenti

in cui il tessuto infiammato si espone direttamente al lume del'organo ed abbiamo

ulcerazione. La necrosi porta alla perdita della soluzione di continuo della superficie

dell'epitelio poiché viene alterato quello strato superficiale monocellulare che

riveste l'epitelio.

ESOFAGO DI BARRETT

Abbiamo detto prima che l'esofago di Barrett, che per la prima volta lo descrisse, è

una complicanza dell'esofagite (esofagite che a sua volta è conseguenza del

reflusso). La complicanza è dovuta a metaplasia intestinale dell'epitelio squamoso.

Il fatto che del liquido acido vada a toccare l'ultimo tratto della mucosa dell'esofago

costituisce una condizione totalmente anomala perchè è previsto che non scceda;

quindi non c'è ernia iatale e non ci sono alrti difetti di chiusura dello sfintere

esofageo inferiore succede che l'acido non arriva mai a toccare e a stomilare

l'epitelio in modo incisivo.

Quando invece questa evenienza si presenta l'epitelio inizia a cambiare sistema e

cerca di assumere lo stesso rivestimento dello stomaco ossia un rivestimento

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protettivo verso l'acido. L'epitelio esofageo tende a trasformarsi nell'epitelio dello

stomaco e questo determina la cosiddetta metaplasia, un alterazione pre-

neoplastica.

Viene anche definito esofago corto perché di fatto è successo che il punto di

transizione tra epitelio esofageo ed epitelio gastrico è salito. Quindi un altro modo di

chiamare questa alterazione è esofago corto appunto perché abbiamo

l'innalzamento di questa linea che è ben visibile anche con un'indagina

gastroscopica.

La mucosa dell'esofago ha un colore decisamente diverso rispetto alla mucosa

gastrica cosicché quando osserviamo con la luce dell'endoscopio infondo al tubo

esofageo si vede nettamente questa differenza; e quando questa differenza la

vediamo salita di un bel tratto rispetto alla contrattura dello sfintere possiamo fare la

diagnosi di esofago corto o esofago di Barrett.

Quindi è una sorta di riepitelizzazione volta a proteggersi dal succo gastrico. Anche

qui i passaggi sono diversi, tanto più l'epitelio neoformato è lontano dall'originale

tanto più è grande la trasformazione. Se addirittura abbiamo vere e prprie ghiandole

gastriche significa che quell'epitelio si è molto trasformato in senso gastrico e quindi

si avvicina di più il rischio che si formino aree di metaplasia con cellule che hanno

completamente perso l'orientamento tanto da prtare addifittura alla formazione

anche di ghiandole del duodeno.

Da un epitelio di questo tipo poi il rischio è che si sviluppi l'adenocarcinoma.

Nell'immagine

possiamo vedere

schematicamente

quello che accade ad

Page 56: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

una ghiandola, la quale man mano assume caratteristiche diverse: all'inizio somiglia

ad una ghiandola gastrica, poi addirittura produce muco, per proteggersi sempre di

più dall'acido, poi comincia quella che è la displasia (alterazione del rapporto nucleo-

citoplasma perché i nuclei aumentano di dimensioni e crescita in modo disordinato)

e poi si formano strutture ghiandolari anomale (le cellule hanno perso il loro

orientamento e vanno a formare tubi che non comunicano nemmeno tra loro,

questa è la vera e propria displasia grave).

Qui vediamo l'esofago di Barrett: abbiamo queste

ghiandole che somigliano alle ghiandole presenti nello

stomaco e che non sono tipiche invece di questo

epitelio più a destra (che pur essendo infiammato è un

epitelio esofageo normale).

Poi abbiamo la colorazione per le mucine (in blu) che

evidenzia le cellule muco-secernenti che non sono previste

esserci in quella sede.

Ancora in questa immagine abbiamo quello che vi dicevo

prima, vedete la linea z (chiamata così appuntto perchè ha un

andamento a zig zag) si porta più in alto di almeno 2-3 cm

quando invece dovebbe essere osservabile più in basso.

Questo è il vero esofago di Barrett perché la mucosa

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dell'esofago ha questo colorito pallido mentre invece la mucosa dello stomaco

risulta essere color albicocca. Questo inoltre è il vero esofago di Barrett senza

infiammazione, quando abbiamo un'infiammazione infatti il tessuto perde

lucentezza perché nel momento in cui l'epitelio viene infiltrato abbiamo la presenza

di più nuclei e quindi non solo uno strato monocellulare trasparente. I nuclei sono

più densi e allora l'infltrato opacizza la mucosa.

Quindi prima a causa dell'infiltrato la mucosa diveta opaca, poi

si riscontra la presenza di aree rilevate come quella in figura,

dove bisogna andare a fare la biopsia perché sono le aree dove

c'è già iperplasia e quindi il rischio che parta una displasia

grave.

Se su quelle biopsie poi si trova un'immagina di

proliferazione come questa allore c'è già

l'adenocarcinoma.

Se arriviamo tardi addirittura possiamo notare

un'escrescenza dovuta all'iperproliferazione; questo è un

carcinoma avanzato che è andato già a proliferare all'interno

dell'esofago. Una forma presa per tempo può essere

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totalmente curata ma una forma del genere ha già trasmesso parecchie metastasi in

giro ed arriviamo tardi nel portar via il tumore.

MALATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO

Quindi è molto importante diagnosticare la malattia da reflusso. Bisogna fare la

diagnosi anche nelle fasi precoci del reflusso e soprattutto relativamente anche al

contenuto acido e pepsina che sono presenti.

La situazione peggiora se si aggiunge anche la bile perché la bile è un'aggiunta di

rischio di danno alla mucosa. La bile normalmente la ritroviamo nel duodeno ma in

questo caso la bile deve essere passata nello stomaco; e quand'é che la bile passa

nello stomaco? Quale fisiologia si altera e porta a questa situazione? La bile si forma

nel fegato e si concentra nella colecisti e all'interno di questa viene conservata.

Quando introduciamo cibo e questo arriva nello stomaco vencono prodotte sostanze

come la colecistochinina (che vuol prorpio dire: muove colecisti) che fanno si che la

colecisti svuoti il suo contenuto. Qual'è quindi la situazione più banale in cui la bile

defluisce nello stomaco? In chi la ritroviamo spesso? Nei colecistectomizzati. Gli

individui ai quali è stata asportata la colecisti hanno un continuo reflusso di bile,

anche quando lo stomaco è vuoto. Allora se questo continuo reflusso di bile dal

duodeno è presente anche quando lo stomaco è voto vuol dire che in questa

condizione la bile refluisce nell'esofago. Nello stomaco c'è bile, e questa non viene

"attivata" dal fatto che è presente il cibo, e allora c'è un reflusso di bile proprio

quando c'è parecchio succo. Il fatto che refluisca del cibo è abbastanza normale (nel

momento in cui il cibo passa), ma questo cibo è tamponante perché si mescola con

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gli acidi; il problema fondamentale dell'acidità nel reflusso lo abbiamo quando lo

stomaco è vuoto e refluisce del succo gastrico acido (senza essere mescolato).

L'esofago di Barrett può anche essere quindi la conseguenza di una colecistectomia

anche asintomatica (cioè data dal silenzioso reflusso della bile, la quale è molto

tossica e va a stimolare l'esofago).

Generalmente questo fatto è molto complesso perché spesso è silente, i sintomi

dipendono infatti dalla sensibilità individuale alla percezione del cambio di ph (che è

diversa da soggetto a soggetto).

Inoltre è molto soggettivo anche perché alcuni avvertono bruciore retrosternale,

altri sentono un'irritazione infondo alla gola che porta a tosse stizzosa mattutina. La

tosse stizzosa mattutina non è dovuta ad un problema bronco-respiratorio ma al

reflusso notturno (se il paziente riferisce questa tosse mattutina è utile fare la

gastroscopia per valutre la presenza di patologia da reflusso).

E' una malattia benigna, anzi, non è una malattia ma una condizione fisiopatologica

che può alterarsi per varie ragioni, come una colecistectomia, un aumento della

pressione addominale oppure perché andando avanti con gli anni lo sfintere

esofageo inferiore ha perso la sua capacità contrattile.

L'epidemiologia ci dice che è molto diffusa; ci sono soggetti che hanno addirittura 5

o 6 volte al giorno dei disturbi dovuti a questo, altri li hanno solo settimanalmente

ed altri ancora ogni tanto all'anno. La cosa più importante è questa: se 1 su 4 di

coloro che vanno a fare le gastroscopie perché hanno quei disturbi, che sono circa

un quarto, almeno il 50% ha un'esofagite, quindi vuol dire che c'è una relazione tra

queste due patologie.

L'eofagite ha una frequenza abbastanza simile nei due sessi ma poi il tumore si

sviluppa più facilmente nel soggetto più a rischio che è il maschio.

Page 60: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

I quadri possono essere di vario livello, fino a vere e proprie ulcere; la cosa più

preoccupante però è la trasformazione metaplastica con l'esofago di Barrett.

Una causa può anche essere oltre all'ernia iatale anche il rilassamento dello sfintere

esofageo inferiore. Questo fa si che il tamponamento dell'acidità che normalmente

viene fatto a livello esofageo dalla saliva e la peristalsi esofagea rischino di non

essere sufficienti e di portare a reflusso perché il contenuto gastrico a quel punto

può passare più facilmente.

A questo punto un ruolo fondamentale è la capacità di svuotare lo stomaco ovvero la

velocità di svuotamento dello stomaco. Dopo una certa età (circa dopo i 45-50 anni)

un minimo difetto di chiusura dello sfintere è presente.

Può capitare alle donne anche durante la gravidanza perché aumenta molto la

tensione addominale per la presenza del feto, questo aumenta la pressione

nell'addome che determina a sua volta bruciore. Molte donne soffrono moltissimo

per questo disturbo, e sono poi quelle donne che sono più a rischio di avere anche

l'esofagite in età più avanzata quando poi per conto proprio lo sfintere funzionerà di

meno. E' chiaro che in caso di gravidanza non c'è sfintere che tenga sufficientemente

una pressione così forte (si è gonfiato l'addome).

Un'altra causa di sofferenza maggiore è dovuta alle variabilità individuali nella

capacità di svuotamento dello stomaco. Una maniera molto semplice per valutare se

la capacità di svuotamento gastrico di un individuo è più o meno importante è quello

di "ascoltarsi". La sensazione, per fare una metafora, di avere la borsa dell'acqua

calda anzichè lo stomaco capita quando si beve molto o si mangia abbondantemente

o si fa attività sportiva e noi sentiamo "glu glu glu". Ecco, se capita di sentire questo

rumore sono un lentosvuotatore.

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Dopo i 45 anni prevale quello mentre fino ai 45-50 anni lentosvuotatore è un

normalesvuotatore, l'unico rischio che può correre è quello di vomitare poco perché

essendo uno che svuota lentamente ha quindi una peristalsi lenta, ed è di

conseguenza anche difficile vomitare.

Però ci sono anche quelli che vomitano molto. Quelli che vomitano molto tendono

ad avere una muscolatura gastrica molto attiva e svuotano anche facilmente.

Quelli che invece vomitano poco sono più a rischio; non riusciendo a vomitare

sviluppano delle nausee (che sono i sintomi del rallentato svuotamnto, questi

soggetti tengono la mano sullo stomaco come Napoleone).

Dopo una certa età il soggetto avrà bruciore (a causa del succo), e allora occorrerà

prendere tutta una serie di provvedimenti - che vedremo di seguito - anche circa lo

stile di vita, che possono essere sufficienti a far si che svuoti lentamente ma abbia

meno contenuto nei momenti in cui non dovrebbe esserci.

Meccanismi difensivi della mucosa gastroduodenale

I meccanismi difensivi della mucosa gastroduodenale (vale anche per lo stomaco)

sono volti a proteggere da acido cloridrico e pepsina che digerendo il cibo

potrebbero digerire anche l'epitelio. Questi sono:

– il bicarbonato (prodotto dalle stesse ghiandole dello stomaco)

– il muco (prodotto sempre da alcune ghiandole dello stomaco)

– la strigenza, resistenza e contiguità della barriera epiteliale (le cellule sono

molto strette tra loro grazie alle tight junctions)

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– la rigenerazione pertinente ed adeguata (ci deve essee una capacità di

rigenerazione importante)

– l'abbondante perfusione (la rigenerazione è rapida solo se c'è abbondante

perfusione)

– le prostaglandine (che regolano tutti questi meccanismi: produzione di

muco, produzione di bicarbonato, rigenerazione e irrorazione sangiunia)

La capacità delle giunzioni di mantenere serrato l'epitelio, la capacità di secernere le

adeguate quantità di bicarbonato e di muco costituiscono la prima difesa epiteliale,

mentre la capacità rigenerativa molto buona, a sua volta alimentata da una

perfusione adeguata costituiscono la cosiddetta difesa post-epiteliale.

Solo queste due difese adeguate insieme possono dare la protezione.

Oltre al rilasciamento conseguente ad una perita di tenuta per usura esistono anche

i rilasciamenti dovuti all'induzione di uno stimolo sia farmacologica sia neurologico.

Sicuramete ci sono alcune sostanze che determinano il rilasciamento dello sfintere:

– alcool

– tossici

– caffè (il caffè ha un ottimo effetto protettivo sul fegato però rilascia lo

sfintere esofageo)

Allora un lentosvuotatore che non aveva nessun problema a dormire e riusciva a

prendere anche molti caffè al giorno (perché poi ci sono quelli che hanno una soglia

alla caffeina diversa) dopo una certa età se avverte bruciore deve prendere

accorgimenti adeguati: il caffè lo si può prendere, anche la stessa quantita di prima

ma entro le due del pomeriggio. Se lo prendiamo dopo ci vuole un certo tempo a

Page 63: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

smaltire la caffeina e siccome lo sfintere non tiene molto il rischio è quello di trovarsi

con uno sfintere dilatato nel momento in cui ci corichiamo. Siccome il nostro corpo

impiega 7-8 ore a smaltire la caffieina dobbiamo evitare di prendere il caffè appunto

7-8 ore prima di coricarci.

La stessa cosa vale per i gas, non tanto perché agiscono sullo sfintere ma perché

rallentano lo svuotamento dello stomaco (e quindi ecco che i mangimi comuni che ci

danno da mangiare e le porcate che tutti mangiamo creano in tutti gli stessi

problemi).

Da un punto di vista pratico abbiamo tutti gli stessi problemi e la soluzione messa in

atto è spesso prescrivere inibitori di pompa. L'inibitore di pompa però causa una

maldigetione che alla lunga è peggiore della malattia primaria.

La soluzione corretta sarebbe semplicemente cambiare le proprie abitudini: una

volta gli anziani mangiavano pochissimo la sera, e questo consentiva loro di andare a

letto senza lo stomaco pieno. Infatti una persona, soprattutto in età avanzata,

mangia tanto a pranzo e poco a cena. Perché se mangia tanto, beve alcolici, bisolfiti,

formaggi e caffè assume molte cose che aumentano il rischio di reflusso.

Non è cosigliabile nemmeno bere il brodo la sera perché è liquido e se il problema

sta proprio nello svuotare lo stomaco un contenuto liquido allora non va bene.

Allora ragionando in termini fisiologici dobbiamo spostare questi tipi di

alimentazione tutti a pranzo e quindi cambiare il sistema alimentare. La situazione

può migliorare anche di molto cambiando solo alcune semplici cose nello stile di

vita. Come nella donna l'alimentazione durante la gravidanza è diversa rispetto al

periodo fertile, e rispetto anche alla menopausa, così nell'uomo è necessario

cambiare abitudini alimentari se si ha un difetto nello svuotamento o reflusso

gastroesofageo.

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Bisogna tenere conto di due elementi:

– rilasciamenti dello sfintere (che sono indotti anche da certe sostanze)

– svutamento ritardato o accelerato

La capsicina, che è contenuta nel peperoncino, è uno straordinario strumento che

possiamo utilizzare per favorire lo svuotamento gastrico (perché la capsicina stimola

proprio lo svuotmanento gastrico) e non fa venire per niente bruciore di stomaco. Se

ho bruciore di stomaco devo mettere il peperoncino anche nell'insalata! Usando il

peperoncino per far fronte al bruciore di stomaco non ho più bisogno dell'inibitore di

pompa che tampona la secrezione acida e crea un malassorbimento cronico con

disturbi di avitaminosi e problemi di digestione. L'inibitore di pompa va a bloccare un

meccanismo digestivo importante perchè non digerire fa più le proteine in un certo

modo (con meccanismi che non conosciamo ancora benissimo) bloccando la

secrezione acida.

Un'altra alterazione molto importante della funzione esofagea è la sclerodermia, una

malattia che colpisce la cute. Essendo l'epitelio e la struttura della tonaca interna

dell'esofago molto simile alla cute è una delle zone dove la sclerodermia può

manifestarsi, soprattutto provocando problemi e disturbi esofagei. Colpisce quindi

una molto zona delicata che è l'epitelio esofageo.

Pirosi

Un disturbo della malattia da reflusso è la pirosi. Pirosi significa bruciore

retrosternale.

Parentesi: Non tutti comprendono il significato del termine pirosi quindi è

importante essere capaci ad interrogare bene le persone circa i loro sintomi. Come

Page 65: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

abbiamo detto questa malattia è molto subdola e spesso viene confusa dal fatto di

avere una tosse stizzosa. La pirosi poi è molto particolare perché soggetti

particolarmente ansiosi possono avvertire cose strane a prtire da un dolore

retrosternale. Pirosi comunque significa questo: bruciore retrosternale. Non bisogna

mai "imbeccare" le persone ma bisogna prima sentire cosa dicono, e se si fa una

domanda bisogna farla al contrario di quella che deve essere la risposta. Una

persona che va dal medico è già emozionalmente alterata e quindi tende a dire "si",

e allora se non capisce la domanda già il quadro che ci fornisce non è quello reale.

Noi dobbiamo indurre la domanda in modo che il paziente ce la corregga: se

sospetto un ipersecrezione gastrica so che con quel disturbo se il soggetto mangia va

a tamponare l'ipersecrezione. E quindi con il caratteristico disturbo da secrezione - la

cosiddetta ulcera duodenale (ora c'è di meno perché si è quasi eradicato

Helicobacter pylori ma prima era una patologia molto diffusa) - se tu ti alimenti il

disturbo passa. La domanda corretta da fare quindi non è "quando lei mangia il

dolore passa?", ma "quando mangia il disturbo le viene più forte?"; e se lui dice "no

mi passa" allora siamo sicuri di trovarci di fronte ad un caso di ipersecrezione

gastrica, perché il fatto che lui ti corregga vuol dire che sicuramente è vero. Questo

vale anche per il metodo scientifico: bisogna negare un ipotesi, non confermarla.

Confermarla può essere casuale ma se non avviene quello che avevo ipotizzato

questa è l'unicamaniera per avere una certezza. Anche nel caso di sospettata pirosi

bisogna sempre fare la domanda al contrario.

Rigurgito

Il rigurgito è più raro però può anche avvenire in soggetti che hanno un forte reflusso

tanto che nell'anziano, oltre gli 80-90 anni, il reflusso può essere una causa di

polmonite indigeta o anche di polmonite definitiva.

Page 66: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

La gravità dipende dall'entità del reflusso, dalla durata, dalla sede, e chiaramente il

dolore può dipendere da fenomeni percettivi, da uno stato d'ansia, sterss o altro.

La diagnosi si fa con l'endoscopia (come abbiamo visto prima) e anche li si notano i

vari gradi di esofagite. Ci sono varie classificazioni che non è importante ricordare e

che vanno tutte nella stessa direzione: si parte da una semplice erosione superficiale

(da un'immagine appena opaccizzata della mucosa) su una plica isolata ad erosioni

più importanti, ulcere ed alla vera e propria dimostrazione della presenza

dell'esofago corto.

Alcuni esempi di endoscopia:

Esofagite da reflusso grave con ulcerazioni mucose. La

mucosa oltre ad essere ulcerata in più punti appare anche

completamente opaca. Appatre le traslucenze che da la luce

dell'endoscopio le aree che si vedono sono totalmente

opache.

Quest'altra ad una osservazione superficiale potrebbe

sembrare un'ulcera, ma se uno è attento vede che mentre

nelle altre immagini le ulcere sono più sfumate, qui e nella

immagine seguente le ulcere sono poco sfumate e sono "a

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stampo". Le ulcerazioni a stampo in qualsiasi mucosa sono sempre dovute ad

un'infezione virale. Il danno parte dalla mucosa, e si sviluppa in modo molto più

preciso. Se invece il danno viene da fuori si propaga a caso e quindi sfrangia le aree

tra tessuto normale e tessuto patologico. Invece quando il danno viene dall'interno

si forma quasi come un cratere che si amplia. Questa è una laesione a stampo

regolare, infatti è un'esofagite da Citomegalovirus.

Questa è un'esofagite da Herpes.

Quest'altra invece è la classica esofagite da Candida che da

delle placche bianche.

Queste ultime tre colpiscono soggetti immunosoppressi. L'immunosoppressione può

essere o mediata da farmaci (soggetti sotto terapie cortisoniche, chemioterapici,

eccetera) oppure mediata da un'infezione da HIV. Quando l'HIV non veniva curata

con antivirali, l'immunosoppressione portava all'AIDS; e l'AIDS è una malattia da

immunosoppressione grave che si manifestava ad esempio con gravissime esofagiti

coem quelle appena mostrate.

Page 68: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

Qui ancora osserviamo un'altra ulcera che

apparentemente è da stampo, ma che è localizzata in

un'altra sede. E' un ulcera duodenale. Siamo subito dopo

il piloro, ora non si vee quasi più ma una volta era

comunissima. Quando io facevo le gastroscopie durante

la specializzazione, su 30 gastroscopie appunto almeno

20 presentavano ulcere duodenali.

Questa è una zona dell'antro dove abbiamo un'ulcera. La

lesione qui ha un fondo fibrinoso, abbiamo della fibrina

bianca tesa addirittura molto profonda. La lesione è

diventata gialla ed è presente anche un punto nero che

rappresenta un vaso. Il paziente provabilmete ha avuto

sangue nelle feci.

Questa è un'altra immagine di un ulcera gastrica, si può

vedere il bordo abbastanza regolare.

Questa invece è un'ulcera il cui bordo non è più regolare, è

infiltrato. La differenza tra le due è che la prima è un'ulcera

Page 69: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

benigna mentre la seconda è un'ulcera da adenocarcinoma. Qui abbiamo quel

famoso passaggio di transizione da infiammazione, a ulcera, e così via. Se addirittura

l'infiammazione è derivata dall'ulcera significa che la metaplasia c'era perché il

rivestimento dell'epitelio è diventato non più protettivo. Questa è una condizione di

rischio ancora maggiore per il carcinoma.

Oggi il carcinoma gastrico è meno presente perché è scomparsa in modo quasi

assoluto nei paesi come il nostro la causa principale che era la gastrite da

Helicobacter pylori e la conseguente ulcera gastrica (più rara da noi ma con

un'incidenza molto importante in altri paesi).

Precisazione: Le due ulcede da stampo duodenale e gastrica non sono di origina

virale ma di origina batterica però per certi versi l'effetto è lo stesso perché il danno

parte malla mucosa. Mentre invece le ulcere viste precedentemente erano ulcere da

ambiente esterno. Il reflusso è un fatto esterno (il danno sia che mi arriva da sopra

sia che mi errivi da sotto è comunque esterno), l'infezione batterica o l'infezione

virale invece sono fatti interni.

Per riassumere il punto della situazione quindi bisogna tener conto della differenza

tra lo studio della malattia e il malato. Nel malato a seconda dell'incidenza, dell'età,

eccetera possono variare i sintomi ed alcuni possono presentare più problemi; ed

allora noi non dobbiamo confondere ma distinguere bene le patologie da reflusso da

quelle otorinolaringoiatriche o altre. Confondere una esofagite con una raucedine

che può essere secondaria ad una patologia delle vie aeree è un fatto importante

infatti questi discorsi vanno poi valutati opportunamente ragionando in entrambe le

direzioni. Quando sospettiamo una esofagite sarebbe bene cosigliare al paziente

(visto che si parla spesso di persone di una certa età) di consultare anche un

otorinolaringoiatra in modo che guardi anche l'altra parte della zona anatomica a cui

Page 70: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

ci riferiamo (magari in realtà si tratta di un problema serio alle vie aeree come un

aenocarcinoma alle corda vocali o altro ancora).

Come avevo detto prima una delle cause più frequenti di patologie che danno tosse

al risveglio è proprio la malattia da reflusso.

Anche altre manifestazioni come il dolore toracico possono essere presenti. Il dolore

toracico non si manifesta come il classico disturbo con bruciore ma come vero e

proprio dolore tanto da confonderlo con problemi cardiovascolari. Ci sono persone

che avvertono questo dolore retrosternale ed, essendo soggetti di una certa età, c'è

da fare la diagnosi differenziale tra malattia ischemica cardiaca e reflusso.

Se uno però ha patologia da reflusso e poi, dopo, avverte dolore bisogna stare

attenti perché il disturbo cambia difficilmente. Se il paziente ha la malattia da

reflusso e un preciso corredo sintomatico, mantiene sempre quel corredo, non può

cambiare. Se cambia bisogna sospettare qualcos'altro, magari a quel paziente viene

un infarto (le ischemie iniziali che avrebbero permesso di diagnosticare per tempo la

patologia cardiaca vengono ignorate). Se la malattia non cambia il paziente dovrebbe

mantenere sempre lo stesso ambito di sintomi. Quindi una domanda importante da

parte del medico è "quel dolore che lei ha è sempre il solito o è cambiato?". Se il

paziente risponde che è diverso dobbiamo prestare molta attenzione (magari gli

ripetiamo la domanda più volte per essere certi). In un soggetto ansioso una risposta

di questo tipo comunque lascia poca chiarezza ma in un soggetto poco ansioso è

un'informazione molto importante.

Esistono poi alti tipi di indagini anche se non vengono utilizzate di frequente (i

sintomi sono molto importanti) come la misurazione del ph. Il ph si può misurare con

una phmetria nelle 24 ore. E' formato da un sondino con sensori per l'acidità, ha vari

punti di attacco e misura il ph dell'esofago in vari punti. Questo strumento è

necessario nel caso in cui il paziente abbia anche un problema cardiaco e non si

Page 71: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

riesce a capire bene se i distturbi che presenta sono dovuti al reflusso o sono solo di

tipo cardiaco. In questo caso possiamo andare a vedere se (nel ricordo anamnestico

di quando il soggetto ha dolore) il momento in cui ha dolore corrisponde proprio a

quel momento in cui il ph varia. Se lui sa di avere dolore ad un orario preciso e se a

quell'ora in cui ha dolore io misuro una caduta del ph allora il disturbo è di tipo

esofageo e non cardiaco.

Uno strumento come il phmetro serve proprio in questo contesto. Questa

misurazione è abbastanza invasiva e si evita quando non è necessaria perché

sarebbe esagerata. Quindi, lo risptiamo, si valutano questi flussi transitori per

studiare la correlazione tra il tempo e il disturbo e si attua in pazienti che hanno già

sintomatologia tipica o che hanno subito interventi chirurgici.

Norme comportamentali

Alcune norme comportamentali le abbiamo già citate.

– Quando uno ha reflusso chiaramente la prima cosa da dire è di aumentare

l'angolatura del letto; non bisogna mettere due cuscini (perché se si

mettono 2 cuscini si tende a piegare in due la parte interessata e poterbbe

non essere migliorativo ma addiritura peggiorativo perché si schiaccia

l'addome) ma inclinare la testiera del letto di 10-15 cm.

– Ridurre il peso corporeo. Chi ha reflusso deve avere un peso corporeo

adeguato e adipe addominale sotto la norma. Un indice di salute

importante, in particolare per gli uomini, è la misura del giro vita. Per la

donna è più complicato ma nel maschio correla perfettamente.

Page 72: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

– Quando si mangia di più bisogna camminare, lo dicevano anche i latini:

"Post prandium stabis, post coenam ambulabis ".

– Ridurre i grassi nella dieta e mangiare di più a pranzo che a cena.

– Evitare il fumo o fumare la mattina. Il fumo rilascia lo sfitere, non solo

quello esofageo ma anche quello che serve a defecare.

– Evitare l'abuso di alcool. Come sempre gli abusi non vanno bene e i piaceri

sono pochi ("ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di

sole, ed è subito sera" questa è la felicità, quando perdura diventa

tossicità).

– Evitare i cibi che rilasciano lo sfintere, tra questi c'è anche il cioccolato, le

bevande gassate e quelle con gli agrumi soprattutto (oltre ad essere

gassate contengono anche acidi, in particolare il limone e l'arancia che

sono molto negativi per quel che riguarda il creare bruciore). L'aranciata la

possiamo bere semmai fredda al mattino ma non alla sera.

– Evitare di andare a fare ginnastica la sera. Fare la sera esercizi come il

sollevamento pesi porta ad una contrazione dell'addome che rischia di

peggiorare il reflusso.

STOMACO

Continiuamo il nostro discorso sul tubo gastroenterico alto andando a parlare del

meccanismo dell'ipersecrezione. L'ipersecrezione è la stessa patologia che va a

colpire la mucosa gastrica e duodenale.

Page 73: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

Poniamo ora nuovamente l'accento su quella che è l'anatomia dello stomaco (un po'

l'abbiamo già vista però andiamo a rivederla). A livello microscopico la struttura

fondamentale è la ghiandola ossintica. E'una ghiandola secretoria, è ramificata ed è

costituita da cellule diverse a seconda del livello della struttura della ghiandola. Ci

sono cellule diverse con compiti diversi e deputate ad azioni diverse a sconda della

sede in cui si trovano. Abbiamo:

– quelle più profonde

– quelle del lume ghiandolare

– quelle del colletto

– quelle del dotto secretorio

Generalmente le cellule poste più esternamente sono quelle deputate ai meccanismi

protettivi (è normale, sono come i soldati di frontiera).

Quelle più interne producono le sostanze necessarie all'azione fisiologica dello

stomaco. Infatti nella parte più profonda andiamo a trovare le cellule parietali, che

sono quelle che producono acido cloridrico e il fattore intrnseco.

Poi ci sono le cellule principali che si trovano nella

stessa sede, inercalate tra le cellule parietali, che

producono la pepsina e la lipasi gastrica; queste sono

le principali cellule dello stomaco con funzione

digestiva.

Poi ci sono anche cellule necessarie per la funzione

endocrina e di controllo. Come tutte le cellule

endocrine sono enterocromaffini, hanno qusta

caratteristica, cioè sono cromogene, perché contengono i granuli degli ormoni che

Page 74: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

producono. Queste producono l'istamina che è un ormone che stimola la secrezione

gastrica.

Poi ci sono le cellule D che producono la somatostatina che ha funzione inibitoria

(anche qui c'è un fine meccanismo di controllo della secrezione che ha i suoi effetti

positivi e negativi).

Infine ci sono le cellule G poste sul fondo della ghiandola, che producono la gastrina

ossia l'ormone che stimola la secrezione gastrica.

Le cellule partietali vanno a distribuirsi nella parte superiore della ghiandola (non la

parte secretoria esterna) e secernono acido cloridrico; le cellule principali invece

secernono pepsinogeno, il quale a contatto con l'HCl viene trasformato in pepsina.

Le cellule neuroendocrine secernono serotonina, istamina e somatostatina. Le

cellule mucosecrenenti si trovano verso l'esterno, a livello del colletto e producono i

precursori della secrezione mucosa ossia quel velo di muco che serve a proteggere

dal ph acidissimo del contenuto gastrico. Esiste una vera e propria pellicola di

secrezione che fa da intercapedine con il ph stesso, cambia velocemente e serve a

proteggere la mucosa (come una tuta repellente protegge dal fuoco).

I principali componenti del succo gastrico sono quindi l'HCl, il pepsinogeno (che poi

viene attivato in pepsina dallo stesso acido cloridrico) e il muco (che è quello che

protegge). Il muco è appiccicoso perché deve stare ben adeso all'epitelio per

proteggerlo.

Quindi questa è la situazione della mucosa gastrica. Nell'antro e nel piloro se ne

scoprono ogni anno prevalentemente a secrezione mucosa; e diventano sempre più

a secrezione mucosa per un motivo, infatti anche per una questione di gravità il

succo acido tende a concentrarsi nella regione antrale ed è quindi li che senza

un'adeguata protezione rischiamo di bruciarci. In natura c'è sempre una relazione tra

Page 75: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

anatomia e fisiologia infatti esiste una costituzione anatomica fine che è

assolutamente pertinente allo stomaco e a quello che serve per la sua funzione.

Nella componente ghiandolare a loro volta ci sono anche cellule che secernono

gasrtina e le cellule enterocromaffini che producono ormini necessari alle varie

interazioni.

Vediamo brevemente la ghiandola ossintica,

quello che è importante capire è che anche la

cellula secretoria delle cellule parietali ha un

atteggiamento funzionale. Esiste un

atteggiamento di riposo in cui lo stomaco si

trova ad aspettare il cibo ed esiste poi una

stimolazione che parte a livello cerebrale e che

attiva la cellula. La digestione comincia a livello cerebrale proprio quando vediamo il

cibo, nel momento in cui vediamo il cibo infatti parte la secrezione gastrica. Questo

fa scattare la cellula dalla posizione di riposo alla posizione di stimolo il che

determina subito un'attivazione a livello cellulare della funzionalità secretoria, ed un

cambiamento anche nella conformazione fisica della cellula che è conseguente

all'attivazione recettoriale di quelli che sonoi i recettori per:

– gastrina

– acetil-colina

– istamina.

Vengono prodotti i fattori della pompa protonica, la quale determina poi la

secrezione acida.

Page 76: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

L'interazione avviene grazie alle cellule

enterocromaffini (ECL cell) che

producono istamina (che è stimolatoria)

e che a loro volta sono sensibili alla

somatostatina (che è inibitoria). Quindi

esiste sempre un meccanismo di

feedback: quando noi abbiamo la

stimolazione gastrica a questo livello

l'acido stesso stimola quando sale

troppo le cellule che hanno il compito di

ridurre la secrezione (l'equilibrio è

mantenuto graze a questi feedback negativi e positivi). La somatostatina, prodotta

calle cellule D inibisce la secrezione andando ad inibire anche le cellule G (Gell) che

producono gastrina.

A sua volta la gastrina ha quindi un feedback che sottostà alla somatostatina.

Ed ecco quindi che questi meccanismi si compensano l'uno con l'altro, esiste un

equilibrio per una secrezione sempre adeguata alla quantità di contenuto acido dello

stomaco.

Ricordiamo che comunque lo stomaco è protetto grazie al rivestimento

monostratificato dell'epitelio il quale viene mantenuto tale in condizioni fisiologiche

solo quando c'è uno strato sottilissimo di muco che non è alterato. Questo muco

resiste al ph acidissimo e molto pericoloso del lume gastrico (ph=1/2). La barriera di

muco è la più importante, oltre alla barriera superficiale, perché è quella che

mantiene integro l'epitelio. La resistenza dell'epitelio e la sua capacità di proteggersi

dipende soprattutto dalla capacità secretoria del muco, la quale a sua volta dipende

Page 77: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

dalla potenza e dalla fisiologia della microcircolazione che sottostà per esempio

all'azione degli ormoni come le prostaglandine.

Le prostaglandine sono ormoni basilari: la loro funzione fisiologica è mantenere

l'equilibrio della mucosa gastrica. Quindi succede che, se noi utilizziamo dei farmaaci

come gli antinfiammatori non steroidei, inibiamo le prostaglandine ed andiamo a

creare uno squilibrio a livello della mucosa. E questo succede in modo drammatico

perché la barriera salta e salta con lei anche la protezione mucosa ed abbiamo il

rischio di andare incontro ad un'ulcera acuta (proprio dove è più potente l'effetto di

questo farmaco).

Infatti non è casuale che una regione di sanguinamento dello stomaco a livello

mucoso si trovi prorpio dove va a finire l'aspirina. Una volta si prendeva la pastiglia,

poi si è passati a scioglierla in emulsione: la famosa Alka-Seltzer è un'aspirina

effervescente che si scioglie. Vivin C è un modo migliore di prendere l'aspirina

anzichè ingurcitare la pastiglia. Se ciò accade in un soggetto che sta in piedi la

pastiglia di aspirina andrebbe a cadere esattamente nel posto più acido perché

arriva nell'antro e sta li. Se sta li ferma poi - perché ho dei difetti di svuotamento -

anche pochi minuti può succedere che si formi un'ulcera in quella sede, e da quella

ulcera poi può esserci emorragia. Questa è la ragione per cui si ha emorragia da

aspirina; proprio per quello che qui è stato decritto in modo schematico.

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HELICOBACTER PYLORI

Un meccanismo di alterazione di questo equilibrio è causato dalla proliferazione di

un batterio: helicobacter pylori.

Helicobacter pylori è quindi un'agente che, se cresce in maniera smisurata provoca

danno (come sapete i batteri non li dobbiamo portere a zero ma vanno comunque

mantenuti sotto una certa quantità).

Questo batterio produce alcuni fattori che sono:

– adesine che gli permettono di stare appiccicato all'epitelio

– enzimi, in particolre l'ureasi che agisce sull'urea liberando ammonio e

costituendo così un meccanismo di alterazione del ph (quindi questo

meccanismo già di per se - oltre la produzione di altri enzimi tossici per

l'endotelio - è la ragione per cui alcuni ceppi di Helicobacter pylori sono più

patogeni di altri).

Questo discorso va considerato tenendo conto anche dei fattori dell'ospite perché

non in tutti Helicobater pylori da ulcera e gastrite ma solo in qualcuno. Spesso

succede che chi ha trasmesso l'infezione sta bene e che chi l'ha presa invece sta

male.

La trasmissione del batterio avviene grazie alle acque stagnanti (quelle dei pozzi per

esempio), e si trasmette chiaramente per via orale. In passato nel'ambiente dei

contadini era più diffuso perché bevevano le acque dei pozzi contaminate da

Helicobacter (questa è la ragione per cui le infezioni erano prevalenti in un certo

ambiente piuttosto che in un altro).

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Però ovviamente ci sono anche dei fattori genetici individuali, un legame con la

malattia da reflusso che può essere anche meno importante, e con disturbi dello

svuotamento gastrico più o meno diversi.

E' chiaro che dall'interazione tra la patogenicità del particolare ceppo del batterio e

la predisposizioe personale nasce un risultato che in sintesi rappresenta il rischio di

avere la gastrite ed anche una complicazione piuttosto rara che è un particolare

linfoma della parete gastrica. E' un linfoma a malignità intermedia.

E' una complicanza rara ma in un soggetto con malattia da reflusso bisogna counque

sempre fare il test per verificare l'eventuale presenza di Helicobacter pylori.

Il meccanismo d'azione è quello di intervenire nell'alterazione dell'equilibrio che

abbiamo visto prima e soprattutto nello stimolare la produzione di citoochine

infiammatorie, in particolare IL-8. Questo scatena la risposta infiammatoria usuale

con produzione di IL-1, TNF, eccetera, e comincia quel meccanismo patogenetico

dell'infiammazione che è uguale a tutti gli altri meccanismi infiammatori.

La patologia inizia perché abbiamo un certo numero sopra soglia di Helicobacter

pylori. Questo batterio può anche stare a contatto con la normale mucosa dell'antro,

e può causare un'infezione acuta con sintomatologia breve e assolutamente

svincolata da altre particolari patologie, presentandosi come disturbo minore. E poi

invece in altri casi si instaura l'infezione cronica la quale può dare le varie

fenomenologie che abbiamo visto.

Perché questo batterio si trova prevalentemente nell'antro? Per motivi di gravità. La

ragione per cui l'ulcera gastrica si trova più facilemte nell'antro e quindi anche

l'Helicobacter pylori è la gravità. I batteri si accumulano in questa sede dove quindi la

loro concentrazione aumenta. Se vogliamo fare una iopsia per cercare questo

Page 80: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

batterio non dobbiamo biopsare il fondo dello stomaco ma l'antro, cioè quella parte

che fa angolo prima del duodeno.

Quando c'è una gastrite cronica, un'infiammazione cronica scatenata da

Helicobacter, che fa partire la sintesi di citochine (e poi abbiamo anche iperplasia

linfatica, i follicoli si ingrandiscono e l'infiltrato comincia ad aumentare), succede che

a livello della mucosa avvengono le stesse cose che avevamo visto prima

nell'esofago. Il danno qui è scatenato da un batterio, la era scatenato da un virus,

comunque ad un certo punto la mucosa va incontro a diversi eventi infiammatori e a

vere e proprie ulcere. E se questo problema va avanti di nuovo possiamo avere sia la

displasia sia il conseguente adenocarcinoma.

Da un punto di vista pratico qui potete

vedere schematizzato il batterio in

moltiplicazione, dove si concentra per le

ragioni che abbiamo detto prima. Alla

microscopia il batterio va ad infiltrarsi

proprio a livello delle ghiandole. Questo è

quello che succede nella fase iniziale, poi

inizia l'infiammazione e i batteri possono

anche essere visibili nel lume (sono

sempre fuori: non sono mai dentro la

cellula ma fuori, appiccicati all'epitelio).

I meccanismi infiammatori possono poi

provocare ulcere ed emorragie se questa

si approfonda fino a colpire un capillare

maggiore.

Page 81: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

Tant'è vero che oggi quando si fa la gastroscopia per una soggetto che ha avuto

un'emorragia si è pronti con un laser (un piccolo strumento che brucia), che brucia e

cauterizza cucendo vicino al canale dove si vede il capillare e va a fare su quel

puntino nero che ho visto una coagulazione. Si va a coagulare quel capillare proprio

per bloccare l'emorragia da ulcera infiammatoria dovuta alla presenza di

Helicobacter pyolri.

L'Helicobacter pyolri può essere colorato con

impregnazione argentica e questi granuli di argento

si attaccano ai batteri e noi vediamo questi

bastoncini all'interno della parte ghiandolare e

sempre all'esterno dello strato cellulare.

Qui ancora vediamo un'ulcera da stampo duodenale.

Tra l'altro è visibile indicato dalla freccia un punto nero,

segno che quest'ulcera ha sanguinato.

Questa invece è un'ulcera da stampo gastrica.

Page 82: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

La differenza tra queste due ulcere inanzitutto sta nel fatto che la mucosa è diversa,

quindi ci troviamo n distretti diversi: duodeno e stomaco. Però l'importante è

riconoscere un'altra cosa: sono entrambe ulcere a stampo, ma una è coperta da

fibrina mentre l'altra è più approfondita, non c'è la fibrina ed addirittura ci siamo

approfondati nella muscularis mucosae, inoltre ci sono due punti neri ben evidenti

tipici di due vasi che hanno sanguinato. Quindi quella nel duodeno è un'ulcera che

va cauterizzata.

In passato un sistema diagnostico molto importante oltre alla gastroscopia era quelo

che prevedeva l'uso di solfato di bario.

Questo è uno stomaco con un pasto liquido di

bario. E' un liquido diluito che veniva dato al

paziente e che creava un'immagine molto ben

definita. Poi dopo il "pasto" al paziente veniva

insufflata dell'aria in modo che il liquido

tappezzasse bene la parete del tubo digerente.

Quando si diluiva la parete dava delle evidenze

molto fini. Addirittura le pieghe dello stomaco

risultavano molto ben evidenti. Il bario poi

chiaramente scendeva andando a finire nel duodeno mentre nell'intestino si

vevevano molto bene i tratti di contarattura di quest'ultimo.

Nei punti in cui, essendo aderente, il bario andava ad appiccicarsi ad una mucosa

danneggiata o ad un tratto dove era presente un'ulcera esposta questo si manteneva

adeso. Siccome nei punti dove c'è un'ulcera c'è un po' una piegatura (come quasi

Page 83: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

una confluenza di pieghe) questa veniva evidenziata come una spicola (indicata dalla

freccia) immediatamente dopo il duodeno, a livello del bulbo duodenale

(nell'immediata parte postpilorica).

Perché spesso avviene in questa zona? Perché è il punto più delicato.

L'acido si concentra a livello dell'antro per motivi di gravità (e in quel punto troviamo

la massima acidità). Si trova però in un "contenitore" adatto a tenere l'acido (perché

c'è il muco), dall'altra parte del piloro c'è una apertura molto più resistente e

robusta rispetto allo sfintere esofageo, è uno sfintere che si apre e si chiude con una

muscolarità importante (però è comunque uno sfintere e non una porta).

Chiaramente se da una parte ho un alto contnuto di acido e dall'altra c'è un epitelio

che non è rivestito di modo da proteggersi dall'acido, le cellule più "sfortunate" sono

proprio quelle poste al confine tra i due tipi di epitelio. Quindi in questa zona

arrivano grandi quantità di acido e capita che se noi abbiamo una ipersecrezione

questa zona si ulceri.

Stiamo parlando della zona immediatamente vicina al piloro al piloro perché dopo

l'acido viene completamente diluito dal succo pancreatico che è molto basico e dalla

bile, anch'essa basica. Quindi quando dallo stomaco arriva il succo acido se può

"bruciare" l'epitelio duodenale, lo fa nel (bulbo). L'ulcera duodenale la

riscontro quindi soprattutto a livello del bulbo.

Se troviamo che a livello duodenale c'è un'ulcera, la quale non è localizzata nel bulbo

ma più profondamente, possiamo dire che non si tratta di un'ulcera peptica. Tale

ulcera può essere dovuta ad un adenocarcinoma del duodeno oppure ad un

parassita.

Ci sono molte differenti parassitosi, per esempio ci sono quelle dovute agli ascaridi,

che sono grossi parassiti frequanti in queste sedi. Questi parassiti possono dare

Page 84: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

grazie alla loro adesione alla mucosa delle ulcere proprio nel tratto più distale del

duodeno. Gli ascaridi si infilano addirittura nel Wirsung e nel coledoco. Ci sono zone

del Mediterraneo del sud (parlo di siria, libano e zone limitrofe) dove gli endoscopisti

rimuovono soprattutto non calcoli, ma gli ascaridi dal duodeno e dal Wirsung (se ne

rimuovono fino a 10/12). Le vie biliari sono piene non di calcoli, ma di ascaridi.

Quindi sono parassitosi importanti che colpiscono delle zone diverse del mondo (è

importante, quando si presenta il paziente capire anche da dove viene e con chi è

entrato in contatto).

In quest'altra immagine invece sulla piccola curvatura

dello stomaco e si vede bene la spicola che ci dice

che ci troviamo davanti ad un ulcera gastrica.

Tornando a schematizzare il meccanismo: il batterio arriva → si localizza in quella

sede che abbiamo visto → produce soprattutto, oltre ad altri tossici, l'ureasi che

trasforma l'urea in ammonio → l'ammonio è una sostanza che altera il muco facendo

si che si perda la capacità protettiva di quest'ultimo → l'epitelio si espone al danno

da parte di pepsina e acido cloridrico → questo da ultimo espone al rischio di ulcera.

I meccanismi poi di induzione dell'infiammazione vedono la produzione per esempio

di questa sostanza, cag⁺ o cag 1 (in base alla specie di Helicobacter pylori coinvolta).

Vengono distinte da altre specie che non la producono (cag⁻) e che non hanno quindi

la capacità di indurre l'infiammazione.

Page 85: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

L'ureasi è comunque prodotta dalla maggioranza dei ceppi di Helicobacter pylori, ma

a questa si aggiunge (in alcuni ceppi) la possibilità di indurre direttamente

l'infiammazione per via di un meccanismo che determina la liberazione delle

citochine e la conseguente cascata delle citochine.

Il meccanismo infiammatorio tipico è quello che di fatto scatena l'ulcera, l'altra

specie che non porta alla produzione diretta di citochine da effetti più lievi ed un

danno minore, come una gastrite. Bisogna comunque tenere sempre presente che

l'effetto è anche determinato dalle caratteristiche dello specifico soggetto infettato.

L'equilibrio è sempre tra caratteristiche del batterio (che ceppo di Helicobacter è,

che genotipo ha quell'Helicobater, eccetera; per capire se siamo di fronte a quel tipo

di Helicobacter che produce la maggior parte degli enzimi tossici o se è un genotipo

più blando) e tra le caratteristiche dell'ospite (genotipo e carattristiche fisiologiche).

Per entrare più nel dettaglio nelle slide trovate la differenza che c'è il ceppo più

patogeno (che determina la produzione di IL-8, e la conseguente cascata

infiammatoria con recluamento dei neutrofili) rispetto a quello che non ha cag.

Esiste anche qui un'interazione di controllo protettivo per cui la produzione di queste

linfochine è un tentativo di inibire l'espressione a livello batterico di questo enzima.

E quindi c'è un meccanismo di autoregolazione protettiva della cellula, ma il

problema è che l'induzzione dell'infiammazione tende a produrre un'inibizione della

secrezione acida che mette a rischio di sviluppare una metaplasia in senso intestinale

dell'epitelio (l'acido se è troppo crea danno all'epitelio perché supera la barriera

protettiva, però l'assenza di acido stimola l'epitelio a cambiare la direzione del

proprio differenziamento; l'epitelio continua ad essere competente per la propria

funzione se continua ad essere stimolato in modo adeguato, altrimenti tende a

diventare simile a quello dell'intastino, e a sviluppare quindi una metaplasia). Ecco

così che il rischio di svluppare carcinoma è dovuto al passaggio da una gastrite

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silente (è stata solo gastrite, non ha fatto ulcere) che ha praticamente esaurito per il

comportamento "infiammatorio" delle ghiandole secretorie tanto che sono rimaste

solamente ghiandole mucose (più resistenti) ed è andata atrofizzandosi la parte che

produceva i succhi; e quindi l'acidità cade, Helicobacter cresce ancora di più e

aumenta l'infiammazione.

Così compare contemporaneamente il rischio di andare incontro ad adenocarcinoma

e il rischio di sviluppare un linfoma secondario all'iperplasia dei follicoli linfatici che

sono la conseguenza della malattia infiammatoria cronica mantenuta da

Helicboacter pylori.

Molto spesso la natura presenta questi vari tipi di meccanismi fisiopatologici.

Dispepsia

Significa che è sregolata la funzione peptica ed è una malattia che colpisce in età

avanzata.

Bisogna anche in questo caso scludere la sintomatologia della cosiddetta malattia

dispeptica dauna disfunzione secretoria della pepsina e della produzione dell'acido

(che comporta poi i sintomi della malattia da reflusso esofageo).

Questo discorso è importante perché noi dal punto di vista sintomatico possiamo

confondelo con 2 cose. Si fa quindi la gastroscopia e si vede dove ho il problema: se

c'è una gastrite o se c'è un esofago di Barrett.

Con la gastroscopia si risponde direttamente alla domanda: "il paziente ha l'

Helicobacter o non ce l'ha?".

Se ce l'ha procediamo con la terapia antibiotica, se non ce l'ha andiamo

probabilmente a fare una diagnosi di malattia da reflusso. Quindi devo studiare tutte

le ragioni per cui la funzione gastrica, secretoria, eccetera non sono più adeguate, e

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possiamo andare ad affinare la diagnosi e non a curare con un metodo dato

"gratuitamente" come un inibitore di pompa che inibisca la secrezione gastrica.

Bisogna fare attenzione perché inibire la secrezione gastrica vuol dire creare

artificialmente una delle peggiori patologie. La secrezione gastrica va inibita per

togliere il sintomo; se un soggetto ha la patologia da reflusso bisogna agire sullo stile

di vita che può prevedere anche l'uso di prodotti integrativi come la capsicina ed altri

fattori che favoriscono lo svuotamento gastrico. E poi posso consigliare di prendere

l'inibitore di pompa (come il pantoprazolo o uno dei tanti inibtori di pompa che ci

sono adesso), e tenerselo per quando la sera va a cena fuori a casa di qualcuno dove

berrà vino, mangerà molti formaggi, eccetera. Questo è il modo fisiologico per stare

al passo con i tempi.

Per fare la diagnosi di Helicobacter pylori ci sono 2 modi:

– la biopsia dell'antro che è comunque un test invasivo (dove andiamo a

cercare il batterio a livello istologico)

– il test del respiro.

Nel test del respiro si da dell'urea marcata con C₁₃ e questa va a finire nello stomaco.

Se c'è molta uresi nello stomaco significa che c'è molto Helicobacter pylori. Tanta più

ureasi è presente tanto più l'urea verrà scissa in ammonio e anidride carbonica.

Questa poi andrà in circolo e verrà liberata come CO₂ con il respiro.

Quindi prendiamo un flaconcino per 15 minuti respiriamo dentro un contenitore in

cui si va a misurare la quantità di C₁₃ rilevata (se ne misura la radioattività). La

quantità di CO₂ marcata liberata dipende da quanto questo è stata scissa e quindi

dalla potenza e dalla quantità di ureasi presente a livello gastrico. In questo modo si

diagnostica o meno la presenza di Helicobacter pylori. E' quindi un test molto

importante.

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TERAPIE NON MEDICHE

E' un tema ormai abbastanza dimenticato, in passato gli interventi all'ulcera

duodenale erano un mestiere adesso invece non c'è più la resezione dello stomaco o

comunque quasi mai.

Ma cosa si faceva?

Due interventi importanti che presero il

nome da questo chirurgo, Billroth, erano

questi:

– Billroth I: resezione dell'ulcera

d'emblée con ricostruzione della

canalizzazione. Era

semplicemente una estirpazione

dell'ulcera, se veniva asportato

l'antro veniva ricostruita

comunque la continuità del sacco

gastrico con il duodeno (non

esisteva più il duodeno perché

generalmente il piloro veniva portato via dal momento che l'ulcera spesso

si forma in quella sede famosa).

– Billroth II: era più frequente; apparentemente l'intervento precedente

sembra migliore nel ricostruire l'integrità dello stomaco, in realtà è il

Page 89: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

secondo a ricostruirne maggiormente la funzione. L'anatomia nel Billroth II

si discosta maggiormente ma la funzione è mantenuta in maniera migliore.

Qui infatti (nella I) è capitato che non c'è più il piloro e quindi il cibo

appena arriva nello stomaco va via subito nel duodeno (molto

velocemente) e non è digerito più a livello dello stomaco, il che porta ad

una forte maldigestione. Non solo, ma il cibo che arriva al duodeno ha un

contenuto di grassi, di proteine, eccetera completamente diverso rispetto a

quello che sarebbe dovuto arrivare dopo la digestione nello stomaco.

Allora succede che anche il meccanismo digestivo della bile, dei succhi

pancreatici non funzionano bene perché non c'è tempo: il cibo passa e il

succo pancreatico arriva sbilanciato rispetto alla richiesta, non c'è più una

concentrazione adeguata. Invece se noi creiamo una situazione come

quella nel Billroth II diamo uno stop. Succede infatti che il moncone

duodenale rimane una sacca dove vengono accumulati i succhi digestivi

che vengono richiamati quando arriva il cibo e si va a vicariare questa

funzione digestiva non fisiologica ma artificiale in una maniera più efficace.

Questa è poi la ragione per cui la maggior parte dgli interventi di resezione

gastrica si facevano con questo meccanismo. L'ansa prende il nome di

"ansa alla Y" perché si crea un abboccamento più a valle di quello che era il

punto di interruzione e si lascia un'ansa.

Questo meccanismo è poi importante in tutti i processi di ricostruzione e

canalizzazione delle vie biliari quando si portano via tratti importanti del duodeno.

Ed ecco per esempio che questo meccanismo di ansa

alla Y viene anche utilizzato in altre condizioni.

Per esempio si applica nell'intervento di Kasai (gli

interventi chirurgici spesso prendono il nome da chi li

ha inventati). In questo intervento l'ansa alla Y si

Page 90: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

utilizza per operare sprattutto i bambini con atrofia delle vie biliari esterne. Esiste

un'anomalia genetica che può colpire completamente ed è l'atresia delle vie biliari. Il

fegato funziona completamente ma purtroppo induce l'agenesia delle vie biliari

extraepatiche. In certi casi non c'è nemmeno il coledoco. Però si è visto che se fin

dalla nascita in questo fegato manca il collegamento con il tubo gastroenterico si

prende un'ansa intestinale, la si porta in un'aera dell'ilo epatico e la si curetizza, cioè

si fa aderire la mucosa dell'intestino aperta ad un'area dell'ilo del fegato che si

"scortica".

La natura tende sempre a costruirsi qualcosa di utile, se la aiutiamo poi lei ci viene

dietro. Allora trovandosi questo sbocco nell'intestino, a quel livello li si viene a

formare quasi un'albero biliare che va ad uscire nell'ilo. Si costruisce un albero

biliare.

Questo nasce come intervento per l'atresia delle vie biliari. Quale altra condizione

può beneficiare di questo tipo di intervento? In un soggetto che magari aveva le via

biliari ma che adesso ha un carcinaoma delle vie biliari.

Noi queste vie biliari le dobbiamo portare vie per la presenza di un cancro. Un

paziente con angiocarcinoma delle vie biliari principali può trovare beneficio con

questo intervento; ma si tratta di un

tumore subdolo, che spesso viene

diagnosticato tardi, quando non è più

possibile rimuovere l'albero biliare.

Ma se l'intervento di asportazione è

risolutivo, anche qui dobbiamo fare

quello che si fa nell'intervento di Kasai

per l'atrofia delle vie biliari. Per certi

versi è anzi più facile perché ci sono già il dotto epatico di destra e di sinistra pronti;

Page 91: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

li si taglia al limite e si fanno comunicare con l'ansa intestinale che è stata appiccicata

all'ilo del fegato. Questo è l'intervento per il colangiocarcinoma.

Sono tutti interventi derivati dallo stesso concetto dell'ansa alla Y, chiamata anche

ansa alla Roux da chi l'ha inventata per questo particolare tipo di intervento.

Questi sono i concetti che bisogna ricordare e che sono alla base degli interventi

chirurgici che vanno a risolvere i problemi di canalizzazione delle noplasie maligne

che colpiscono il tratto gastrointestinale (che va dallo stomaco alla seconda porzione

del duodeno), e che colpiscono anche le vie biliari. Qui la

(vitalizzazione?) si fa cercando semplicemente di portar via il più possibile della zona

malata lasciando il tessuto sano e andando a bloccare l'ansa intestinale costruendo

questa situazione fisilogica che è l'ansa alla Y.

Steatosi – emocromatosi - celiachia

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Steatosi : accumulo di grasso nel fegato. Il grasso nel fegato si rivela in vari modi . Si fissano i tessuti con formalina, alcool,che scioglie i grassi, quindi restano dei buchi nell’ epatocita. Il grasso è distribuito in modo diverso nella cellula , poi si accumula e si condensa in grosse gocce. Si presenta un Fegato a groviera.

L’ Epatocita è una centrale metabolica/ termica in cui i grassi arrivano a vengono esterificati a trigliceridi, l’ eccesso viene immagazzinato come combustibile per l’organismo. I 2 meccanismi che incidono sulla steatosi sono:

-quanto ac grassi arrivano;

-quanti se ne riescono a produrre;

Questo meccanismo è molto delicato e può determinare un accumulo di grasso.

Una delle ragioni,ad esempio, è l’infezione da HVC. È un meccanismo non genetico e non alimentare che può contribuire in modo determinante all’ accumulo di grasso nel fegato. Quando c’è un agente infettivo conta molto sia la genetica del virus che quella dell’ospite, contano anche i fattori ambientali.

Evoluzione istologica della steatosi : è una condizione potenzialmente a rischio poiché colpisce un organo che ha una funzione chiave nel metabolismo. Quindi la steatosi può predisporre ad altre malattie come quelle causate da virus. Se i meccanismi che determinano steatosi coesistono con altri meccanismi cofattoriali di infiammazione, si hanno alterazioni del matabolismo degli ac grassi e quindi danno epatico importante. Gli stessi ac grassi sono attori-cofattori dell’infiammazione e quindi può avvenire che l’ infiammazione scateni la produzione della catena di citochine e linfochine determinando poi la fibrosi che porta a cirrosi alcolica o a steatoepatite non alcolica ( multifattoriale) .

Steatoepatite :

-alcolica

-non alcolica multifattoriale.

Se alla prima fase di semplice steatosi si aggiunge l’ infiammazione , il rischio di avere conversione diventa sempre più elevato. Si va poi verso una situazione di non ritorno : fibrosi. Circa 20 % dei soggetti con steatosi NALFLD evolve verso la cirrosi. Avere una steatoepatite già da giovane vuol dire anticipare i tempi per delle complicazioni come il tumore del fegato.

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Steatosi epatica viene riconosciuta da tecniche di immaging non invasive tipo l’ecografia. Si confronta l’ecodensità di un tessuto , ad esempio quello renale, con il fegato. Usualmente non ci deve essere gradiente. La differenza si vede solo con la capsula che è più traslucente. Se c’è ecocontrasto, vuol dire che il fegato è grasso e riflette di più le onde ,quindi appare più chiaro; alla tomografia assiale succede il contrario: il fegato diventa scuro tanto che i vasi appaiono più evidenti.

Il fegato steatosico raramente da dolore. La steatosi non da sintomi dolorosi.

Il fegato grasso di origine non alcolica ( NAFLD) ha una serie “ fattori scatenanti-contribuenti”(CAUSE):

-obesità

-sindrome metabolica

-Accumulo di ferro altera il metabolismo

-diabete di tipo 2

-dislipidemia

-invezioni virali (HCV)

- farmaci (estrogeni, glucocorticoidi, antidepressivi, cocaina). Il farmaco è tossico! Qualsiasi farmaco preso per lungo tempo lascia un danno a livello epatico : la steatosi appunto.

In un giovane in condizioni di non sovrappeso , magro , la steatosi epatica fa pensare a malassorbimento. Quindi la steatosi non è solo una malattia delle persone obese .

Aumento del peso . OBESITà: Condizione di patologia generale che indica rischio maggiore di patologia.

- Eccesso di massa corporea costituito prevalentemente di massa grassa, associata frequentemente a compromissione dello stato di salute.

- Fattori eziologici.

- Genetici. Inducono alterazioni del comportamento alimentare e/o alterazioni del dispendio energetico.

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- Ambientali. Sono complessi e si possono ricondurre a determinanti psico-sociali ed economico-culturali. L’Obesità rappresenta una profonda alterazione radicata nei sistemi biologici e nella vita di relazione.

È una malattia psico-somatica; mancato controllo nell’assunzione di cibi. Il goloso non riesce a controllarsi nell’assunzione di determinati cibi, quelli più calorici. Sono abitudini alimentari errate; se si inizia da bambini si ha un aumento del numero di adipociti.

Negli USA dal 1991 al 2004 c’è stato un incremento esorbitante dell’obesità ( > 25% ) .

***(Reflusso gastroesofageo; dismotilità, il cardias ha contratture spasmodiche. Eventi dolorosi che possono essere confusi con infarto. Può succedere quando si fanno Pasti molto abbondanti . può essere utile bere la coca-cola ghiacciata, che arriva fredda ,acida nello stomaco e manda impulsi che fanno rilasciare il cardias ed eruttare. )***

L’evoluzione verso l’obesità è dovuta ad iperalimentazione. IMC > 30 indica obesità. IMC o BMI si calcola come il rapporto del peso, espresso in Kg, e il quadrato dell’altezza , espressa in metri. L’ obesità determina una riduzione dell’aspettativa di vita. Le donne tendono ad avere una resistenza maggiore.

L’analisi dei dati dello studio di Framingham dal 1948 al 1990 mostra che, in media, uomini e donne adulti obesi (BMI ³30) e non fumatori all’età di 40 anni vivono da 6 a 7 anni meno rispetto a coloro che sono in normopeso non fumatori. Coloro che sono in sovrappeso (BMI 25-29,9) e non fumatori vivono circa 3 anni in meno.

L’associazione obesità e fumo comporta una sopravvivenza di 13-14 anni meno rispetto al normopeso non fumatore.

La riduzione dell’attesa di vita non necessariamente si traduce con un aumento della sopravvivenza che potrebbe derivare da un programma di prevenzione dell’obesità.

È importante prevenire le infiammazioni nelle persone che hanno il fegato grasso. Il fegato grasso può essere dovuto anche a motivi genetici. Abbastanza frequente: 1 persona su 3 dopo i 40 anni tende ad avere fegato grasso anche se non è obeso. Andando avanti negli anni può sviluppare difetto di immagazzinamento del grasso.

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Contrarre l’ Epatite A da adulto in soggetto che ha già il fegato compromesso allora può anche portare a morte per epatite fulminante. Individui con steatosi epatica dovrebbero essere vaccinato contro tutti i virus dell’ epatite.

Altra causa è la sindrome metabolica è un fattore prognostico per lo sviluppo di diabete mellito T2, aterosclerosi e malattie cardiovascolari e si definisce con la presenza di almeno 3 delle seguenti alterazioni:

• Circonferenza vita ( rappresenta indicatore di salute indipendentemente dall’altezza): > 102 cm per l’uomo, > 88 cm per la donna

• Trigliceridi plasmatici: ³150 mg/dL

• Colesterolo-HDL: < 40 mg/dL per l’uomo, 50 mg/dL per la donna

• Pressione arteriosa: ³ 130 sistolica e/o ³85 diastolica mmHg

• Glicemia a digiuno: ³ 110 mg/dL

Altri parametri: PCR, fibrinogeno, PAI-1, ATP III ed HOMA aumentati

Chi è affetto da sindrome metabolica muore principalmente per patologie cardiovascolari. Curare la sindrome metabolica significa prevenire una morte precoce.

Sono stati condotti studi per dimostrare che Sovrappeso & obesità incidono sullo sviluppo di tumore al fegato e al pancreas.

È importante valutare l’IMC ma soprattutto il girovita! L’adiposità più pericolosa infatti è quella che si deposita sul giro vita,misurato a livello dell’ ombellico, a livello omentale intraaddominale; gli adipociti hanno funzione infiammatoria che determinano un circolo vizioso con ulteriore deposito di grasso. Attivazione degli adipociti richiamo mediatori dell’infiammazione ( macrofagi) sindrome metabolica:

- Attivazione sistema renina-angiotensiana-aldosterone e quindi ipertensione

- Linfochine

- Diabete tipo 2

- Aterosclerosi

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Ci sono fattori virus-mediati che si associano alla steatosi nell’epatite cronica da HCV:

-fattori metabolici legati all’ospite: obesità, insulino-resistenza

-fattori mediati dal virus: genotipo 3 che induce facilmente steatosi . il virus stesso quindi induce la produzione dei propri componenti è capace di provocare dismetabolismo che porta ad accumulo di grassi .

Sinergismo di questi fattori porta a sindrome metabolica. Sempre più grave insulino-resistenza che alimenta la steatosi. Il meccanismo di grave patologia anche in caso di epatite C si eradica nei soggetti predisposti geneticamente oppure in sovrappeso. Conta la genetica nel dismetabolismo.

Nel topo transgenico : la proteina core di Hcv induce steatosi, insulino resistenza ed epatocarcinoma. Anticorpi Anti-TNF-alfa migliora l’insulino sensibilità.

Per misurare la sindrome metabolica si usa un indice :

HOMA index : [fasting insulin (mU/mL) x fasting glucose (mmol/L)] : 22.5

L’insulino resistenza altera la risposta antitivirale?

- L’insulino resistenza stimola e si correla con lo stato di attività fibrogenetica epatica.

- L’insulino resistenza si correla con l’obesità e pertanto riduce la disponibilità dell’interferone circolante.

- Nel sistema in vitro REPLICON, l’insulino resistenza stimola la replicazione di HCV.

- Il virus HCV può interferire con i segnali mediati dall’insulina e questo può condizionare uno stato di resistenza all’interferone.

Per correggere la resistenza all’insulina si deve fare adeguata attività fisica. Oltre a ridurre l’assunzione di determinati cibi.

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La dieta per l’epatopatico , che non ha steatosi ,non esiste. C’è la dieta per il soggetto dismetabolico. Se non c’è steatosi si può anche assumete una modica quantità di alcool (un bicchiere di vino a pasto) .

Conclusioni :

-LA SINDROME METABOLICA E L’INFEZIONE DA HCV SONO MALATTIE CRONICHE AD ALTA PREVALENZA ED ALTO IMPATTO CLINICO NELLA POPOLAZIONE GENERALE.

-LA LORO ASSOCIAZIONE EPIDEMIOLOGICA NON PUO’ ESSERE SOLO CASUALE.

-L’INFEZIONE DA HCV GIOCA UN RUOLO MAGGIORE SIA NELLA NAFLD CHE NELLA CONDIZIONE D’INSULINO RESISTENZA

-LA PRESENZA DI HCV E SINDROME METABOLICA CONDIZIONA:

1) LA STORIA NATURALE DELLA EPATOPATIA

2) LA RISPOSTA ALLA TERAPIA ANTIVIRALE

La steatosi tende ad andare 1 caso su 3 verso la steatoepatite steatoepatite può evolvere i fibrosi o cirrosi.

La cirrosi alcolica rapidamente evolutiva è rarissima in soggetto che non ha infezione da epatite c ! quindi c’è coofattorialità essenziale tra uso di alcool smisurato e virus da HVC.

Emocromatosi

EMOCROMATOSI ereditarie

Fisiologia del metabolismo del ferro:

Nell’adulto la normale riserva di ferro varia da 3 a 5 g in toto. Circa 0,2-2 mg di Fe vengono introdotti giornalmente con la dieta soprattutto con cibi carnei. La quantità di ferro che introduciamo con la dieta è bilanciata con una serie di meccanismi di perdita come l’esfoliazione di cute e mucose. Il ferro si accumula sotto forma di riserve nella popolazione eritroide all’interno del midollo osseo. Il ferro circola soprattutto con le trasferrine. Lo 0.1 % del Fe è di transito in questo modo. La

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trasferrina è anche un Sistema di smistamento a livello di tutte le sedi di consumo. L’accumulo di Fe avviene soprattutto nel fegato,nei muscoli e nel pancreas. In tali sedi un accumulo eccessivo di ferro produce danni. Il meccanismo regolatore del ferro è soggetto ad una complicata ed equilibrata serie di autoregolazioni e controlli di feedback.

Vie metaboliche della normale omeostasi del ferro :

- L’Enterocita è deputato alla assorbimento del ferro dalla dieta. Il fe (3+) ferrico viene ridotto a ferro bivalente( 2+) ferroso da una funzione di membrana dell’enterocita. Il fe2+ passa attraverso un trasportatore specifico DMT1. viene compartimentalizzato insieme alla ferritina. Poi dall’enterocita il fe deve uscire ed essere riversato nel circolo ematico attraverso una proteina di esporto della membrana basolaterale chiamata ferroportina insieme all’efestina. Nella circolazione sanguigna il ferro è legato alla transferrina e viene distribuito nei suoi siti di utilizzazione e accumulo.

-L’epatocita ha un recettore specifico la transferrina, la lega, internalizza il ferro e a questo punto viene immagazzinato, legato alla ferritina. L’epatocita ha un meccanismo molto fine di regolazione in funzione delle necessita di Fe a livello della popolazione eritroide.

- gli eritrociti vecchi, danneggiati , al termine della loro vita vengono fagocitati dai macrofagi e il Fe viene recuperato nel sangue ed esportato dalla ferroportina.

Il ricircolo del Fe è molto efficiente. Un aspetto regolatorio molto importante è esplicato dalle epicidina.

L’Epcidina è in grado di reprime il trasporto del ferro a livello intestinale. Importante elemento ormonale regolatore. Coordina il feedback per il controllo del ferro assorbito a livello intestinale.

Ci possono essere mutazioni genetiche che intervengono a vari livelli ,soprattutto riguardanti il gene HFE (gene umano dell’emocromatosi) , a livello del recettore della trasferrina, ed epcidina che determinano una diminuzione del rilascio di epcidina e un aumento dell’assorbimento intestinale di Fe, che portano all’emocromatosi. Sono mutazioni di tipo autosomico recessivo.

L’accumulo di fe a livello epatico si traduce in aumento di ferro circolante. La concentrazione di ferro che aumenta a livello epatico determina infiammazione ,

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essa stessa è causa di riduzione di epcidina e quindi accumulo di Fe. Spesso questo succede nelle infiammazioni croniche . Un’altra causa di accumulo di ferro è un’aumentata eritropoiesi inefficace che inibisce l’epcidina e quindi c’è accumulo di Fe in condizioni di anemia. Infiammazione cronica ed anemia determinano un accumulo di ferro. Sia del Fe legato a transferrina che Fe libero (sideremia).

La emocromatosi ereditaria invece è causata sia da un deficit primario di epicidina, sia da resistenza all’epcidina dovuta ad alterazione del recettore dell’epcidina. Ad oggi sono noti quattro tipi di emocromatosi ereditaria, di cui tre a trasmissione autosomica recessiva ed una a trasmissione dominante. Chi ne è affetto possiede una mutazione in entrambe le copie del gene HFE, ereditate una da ciascun genitore (soggetto omozigote mutato). Chi invece ha ereditato il gene mutato da uno soltanto dei due genitori (soggetto eterozigote), è portatore sano della malattia, senza magari manifestarla (a meno che questo stato non si associ ad un'altra malattia in grado di aumentare l'assorbimento del ferro, tale da richiedere terapia specifica). Il gene responsabile della malattia, detto HFE, identificato nel1996 negli Stati Uniti, è stato localizzato sul braccio corto del cromosoma6, in prossimità del locus del gene HLA-A3, e codifica per una proteina fondamentale nella regolazione dell'assorbimento del ferro.

• La forma più comune, specialmente nel Nord Europa (emocromatosi tipo 1), è appunto associata a mutazioni del gene HFE (High Fe). Dopo l’identificazione del gene HFE, si notò che non tutti i casi di emocromatosierano causati dalla mutazione a carico del gene HFE. Questi casi vengono oggi genericamente chiamati emocromatosi non- HFE. Questi tipi di emocromatosi, più rare, sono diffuse in tutto il mondo ma in particolar modo nelle aree del Sud Europa e in Asia. Sono state caratterizzate diverse mutazioni puntiformi che danno origine ad un prodotto proteico anomalo, che non è più in grado di interagire con il recettore della transferrina.

• Le mutazioni più frequenti sono la sostituzione di una cisteina con una tirosina in posizione 282 (C282Y), identificata in più del 90% dei pazienti, la sostituzione di una istidina con l’acido aspartico in posizione 63 (H63D) ed, infine, la sostituzione della serina con una cisteina in posizione 65 (S65C).

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È importante ricordare i meccanismi fisiopatologici che stanno alla base dell’accumulo per risalire alle problematiche che si possono identificare con un semplice esame del sangue. È importante fare diagnosi precoce perché può far prendere provvedimenti terapeutici che possono evitare l’aggravarsi della malattia.

Quella Autosomica recessiva ,associata al gene HFE (tipo1), è la principale forma di emocromatosi ereditaria . Poi ci sono le forme giovanili : tipo 2A (mutazione di epcidina) ; tipo 2B (mutazione di emojuvelina). Poi ci possono essere mutazioni del recettore della transferrina TFR2 (tipo 3) e mutazioni del gene della ferroportina (tipo 4).

È facile che l’emocromatosi, in forma blanda, si sviluppi più nel maschio . La donna ha perdita di ferro fisiologica con il ciclo mestruale.

Ci sono forme più gravi neonatali che colpiscono la funzione recettoriale che sono incompatibili con la vita.

Diagnosi:

Ritroviamo un accumulo di Fe nel sangue. Sia legato che libero. Normalmente c’è un rapporto tra Fe e saturazione di transferrina. Dall’indice di saturazione della transferrina e dalla quantità di ferro stesso noi capiamo se ci potrebbe essere patologia da accumulo di ferro. Normalmente il rapporto tra sideremia (concentrazione del ferro nel sangue) e transferrina è circa del 30%. Per valori superiori al 50% (sospetto sovraccarico di ferro) o inferiori al 15% (sospetta carenza di ferro) si ricorre ad approfondimenti diagnostici.

L’ emocromatosi è una malattia spesso sottostimata per diverse ragioni

- Le manifestazioni cliniche rilevanti compaiono tardivamente (V-VI decade, maschi/femmine 5:1)

• I sintomi iniziali sono aspecifici (astenia, malessere, dolori articolari)

- La malattia e gli esami necessari per la diagnosi sono poco conosciuti

- E’ spesso confusa con l’epatopatia alcoolica

Epidemiologia: è una Malattia molto diffusa

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Prevalenza: 2 - 5 malati (omozigoti) su 1000 individui

9 - 15 portatori (eterozigoti) su 100 individui

in Italia: 20.000 - 50.000 malati su 10 milioni

900.000 - 1.500.000 portatori su 10 milioni

- Elevata morbilità (se non diagnosticata precocemente)

-Potenzialmente mortale (in genere per epatocarcinoma o scompenso cardiaco)

- Potenzialmente prevenibile

-Penetranza: circa il 50%

A livello parenchimale i principali fattori eziopatologici di rischio per danno epatico e quindi cirrosi ed epatocarcinoma sono 3 :

-HCV

-Steatosi

-emocromatosi

Patogenesi: Alterazione del gene che codifica la sintesi della proteina HFE.

La regolazione automatica dell’assorbimento intestinale del Fe è Alterata. Gli enterociti dei villi intestinali, in particolare a livello duodenale, assorbono una quantità maggiore di Fe rispetto alle necessità dell’organismo. E’alterato il meccanismo di sensor dei depositi di Fe dell’organismo (ferritina). Principale ormone che regola questo è l’epcidina.

Le malattie da accumulo di ferro sono:

-Emocromatosi ereditaria

-Anemie emolitiche croniche

-Anemia aplastica, sindrome mielodisplastica

-Anemie con eritropoiesi inefficace

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-Epatopatie croniche

-Porfiria cutanea tarda

-ipotransferrinemia, aceruloplasminemia

-Terapia marziale inappropriata

-Sindrome X (insulino-resistenza?)

Organi bersaglio : Il ferro si accumula in fegato, pancreas e cuore. Quindi avremo :

-diabete mellito

-cardiomiopatia restrittiva , scompenso cardiaco

-insufficienza epatica perché c’è cirrosi

-Il ferro si accumula anche altrove: nelle varie ghiandole e avremo una serie di manifestazioni che compaiono nella patologia conclamata : amenorrea, artropatie, aumentata suscettibilità alle infezioni, ipogonadismo,;

-Fe come fattore pro-aterogeno: perossidazione delle LDL

-Accumulo cutaneo : tipico colore bronzino della cute. colore Bronzo-bluastro.

test biochimici:

-transferrina

-rapporto tra Fe e transferrina (mg/dl) indice di saturazione della transferrina :

12) se > 70% c’è emocromatosi

13) se tra 45% e 70 % c’è rischio di una iniziale tendenza alla saturazione; bisogna approfondire le indagini.

-la ferritina non ha granchè valore perché è indotta anche da infiammazione cronica e/o neoplasia, si può avere un aumento della ferritinemia fino a 800-1000microg/L senza essere in condizioni di emocromatosi.

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Se tutti i potenziali trasportatori di ferro nel sangue sono saturati, possiamo sospettare accumulo di Fe.

Se la ferritina sierica è > di 1000 microg/L e la funzionalità epatica è alterata allora bisogna procedere con la biopsia epatica: valutiamo la concentrazione di Fe nel tessuto epatico. La biopsia del fegato ad occhio nudo informa se c’è fibrosi o cirrosi; misurare il peso a secco del Fe, tecnica complessa, e valutare il rapporto tra Fe-elemento e tessuto a secco. Però è una tecnica invasiva allora usiamo TaC e risonanza magnetica ; esiste uno strumento che si chiama “squid” che misura il diverso contenuto di Fe e permette di fare valutazione biochimica quando le tecniche classiche di colorazione non ci permettono di valutare adeguatamente il tessuto.

Vetrini : Biopsia del fegato colorato con ematossilina-eosina, si osserva danno epatico iniziale, piccolo accumulo nello spazio portale, negli epatociti il rapp nucleo / citoplasma è variabile,nel citoplasma osserviamo qualche goccia di grasso. Granuli bluastri indicano accumulo di Fe nello spazio periportale. primo stadio della emocromatosi.

Man mano che si va avanti con gli anni, gli accumuli aumentano, la distribuzione dei granuli è sempre maggiore: gradiente di accumulo maggiore. Diverso atteggiamento funzionale degli epatociti nella loro maturazione: dallo spazio periportale verso la vena centrale. c’è gradiente tra epatociti periportali e perivenulari: quando il gradiente sparisce vuol dire che il Fe si è accumulato e l’epatocita se lo porta dietro per tutta la sua vita. Accumulo cosi importante che va ad occupare il dotto biliare.

Pazienti sintomatici hanno spesso già diabete, cirrosi epatica, cardiopatie. Il paziente asintomatico hanno accumuli di granuli minore.facciamo diagnosi facendo biopsia epatica. Un soggetto che ha alterazioni della saturazione della transferrina possiamo fare test genetici per vedere se ha predisposizione. Se troviamo questa , o anche se non ci sono le mutazioni note, conviene fare biopsia epatica se c’è saturazione della transferrina sopra al 70%. I soggetti che hanno epatomegalia si sospetta ancora di più che ci possa essere accumulo. Si effettuano i vari test di screening nella popolazione : saturazione della transferrina , test genetici, biopsia. La TAC e la risonanza non sono molto sensibili, esse vengono fatte per controlli nei pazienti sottoposti a trattamento.

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Terapia: rimozione dell’eccesso di Fe. Si fa salasso se non c’è anemia. Ci sono terapie più complesse con chelanti del ferro e hanno sempre una certa tossicità. La dieta non influisce. Evitare gli alcolici poiché, nei pazienti affetti da emocromatosi ereditaria ,aumenta il rischio di cirrosi di 10 volte. La vitamina C aumenta l’assorbimento del Fe. Il thè è un chelante del ferro.

Malassorbimento : celiachia

Manifestazione principale del malassorbimento è la diarrea cronica. Escludere prima tutta una serie di cose. C’è sangue o non c’è sangue nelle feci ? bisogna fare esami di tipo endoscopico. Se non c’è sangue e c’è perdita di peso evidente e anche steatosi si sospetta malassorbimento.

La funzione di Assorbimento del nostro intestino è in funzione dell’integrità dei villi intestinali, della mucosa, delle ghiandole. Malassorbimento può essere dovuto a malattie batteriche e parassitarie, sprue tropicale, celiachia.

Celiachia: La malattia celiaca è una intolleranza permanente alle gliadine del grano e alle proteine analoghe solubili in alcool di segale ed orzo. Essa è caratterizzata da un ampio spettro di manifestazioni cliniche e/o da enteropatia, dovuta ad abnorme risposta (immune) alle proteine non tollerate.

Progressiva atrofia dei villi intestinali. Si fa gastroscopia della parte più distale del duodeno e si guarda il rivestimento intestinale: i villi appaiono grossolani. I villi diventano assenti. La malattia celiaca è una sindrome immunologica che determina infiammazione; si manifesta con sfumature di sintomi reumatologici che sono : presenza di alterazioni funzionali dell’intestino, segni lievi di malassorbimento, riduzioni di peso corporeo. Risposta autoimmune scatenata dalla presentazione a livello della mucosa degli antigeni delle proteine del glutine: Gliadina è la parte più immunoreattiva, si combina con la transglutamminasi per essere presentato agli autoanticorpi. È facile fare diagnosi nel momento dello svezzamento: viene introdotto il frumento,il neonato non cresce più, non aumenta il peso. Stop della crescita. Ci sarà malassorbimento. Facciamo gli esami del sangue per rilevare gli anticorpi antigliadina.

Epidemiologia : malattia frequente. L’ 1% della popolazione risulta affetto. Importante fare diagnosi e cura adeguata. Prima della perdita del peso possiamo osservare alterazione ungueale: Dita a bacchetta di tamburo indicano o anemia o malassorbimento. Segno molto importante dal punto di vista clinico.

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Test degli autoanticorpi e anti transglutaminasi. Quando c’è sospetto si cercano gli anticorpi antigliadina. La diagnosi si può fare anche con test anticorpo anti-endomisio. Se ci sono tutti gli anticorpi la malattia è quasi certa. Fare la biopsia per avere la certezza di malattia. Se c’è autoreazione alla gliadina, togliamo il glutine della dieta.

Terapia: togliere dalla dieta il glutine , perchè l’infiammazione cronica che ne deriva è pericolosa, la continua stimolazione del sistema immunitario è una condizione che predispone ai linfomi. Togliere alcune farine. Gran parte delle patologie da intestino irritabile migliorano se si toglie il glutine. Si digerisce meglio, porta beneficio anche alle persone non affette da celiachia. Il glutine non si trova nel riso, miglio, sedano, mais, nei legumi.

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Insufficienza epatica acuta e ascite

Generalmente si dice fulminate un’epatite acuta che colpisce un fegato apparentemente senza problemi, (apparentemente perché spesso l’epatopatia può decorrere per molti anni totalmente asintomatica, per esempio anche la cirrosi con un riserva epatica molto ridotta può decorrere senza che la persona abbia alcun segno o sintomo e se non ha occasione di fare esami di sangue non si accorge di nulla), si tratta di una insufficienza funzionale epatica che consegue ad una patologia che non è una sepsi né una CID che sono due condizioni di patologie multiorgano, che colpiscono anche il fegato ma non solo. ( multiorgan failure: condizione in cui per motivi di malattia grave, sistemica, c’è una insufficienza multiorgano e anche il fegato è colpito in questo tipo di sindromi in particolare in caso di sepsi o CID.)

Quindi si intende per insufficienza epatica originariamente causata dal fegato una insufficienza acuta eccetto le insufficienze che accompagnano una multiorgan failure.

Poi vedremo come in realtà una insufficienza epatica acuta sia essa stessa una potenziale causa di innesco della multiorgan failure. Negli adulti la insufficienza acuta del fegato si associa in grandissima percentuale a encefalopatia, cioè con una compromissione più o meno grave fino al coma delle funzioni cerebrali, questa è più difficile da riconoscere nei bambini molto piccoli per ovvie ragioni.

Secondo la definizione recentemente assunta dagli esperti le condizioni più importanti per definire una insufficienza epatica terminale sono la coagulopatia che comincia ad essere definita quando l’indice di coagulazione supera l’ 1,5; e l’encefalopatia quando questa interviene all’interno di almeno 24 settimane dall’esordio della patologia.

Ci sono tre condizioni di insufficienza epatica fulminate definite relativamente al tempo ( sono comunque definizioni molto aleatorie perché legate solo a questioni di misura del tempo di decorso dei sintomi)

Insufficienza epatica iperacuta: definita dalla comparsa di problemi della coagulazione dovuti alla disfunzione epatica a meno di tre giorni dall’inizio della malattia, tipica di alcuni avvelenamenti compreso quello da farmaci per scopi suicidi ad esempio il paracetamolo che è un tipico esempio di farmaco che in dosi piccole è assolutamente tollerato dal fegato, ( tanto è vero che si usa nella terapia dell’epatite

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cronica virale la tachipirina ber bilanciare gli effetti collaterali dell’interferone) se invece si passa a dosaggi molto superiori a quelli terapeutici il farmaco diventa tossico; classico esempio di tossicità dose dipendente, mentre in altri farmaci ( la gran parte) non c’è la dose dipendenza ma una sorta di idiosincrasia di tipo personale per motivi genetici di disturbi funzionali legati magari a qualche difetto anche molto piccolo del metabolismo di quel particolare farmaco in quel particolare soggetto questo darà una insufficienza acuta che può avvenire anche a piccoli dosaggi. L’ittero inizia generalmente più tardivamente rispetto ai sintomi dell’intossicazione acuta e l’encefalopatia può anche anticiparlo, questo perché è necessario un certo tempo per avere la disfunzione al livello del canalicolo biliare che determina l’ittero. Generalmente il primo segno è la salita della transaminasi che può essere molto vertiginosa; e il livello delle transaminasi è in qualche modo proporzionale alla entità del danno epatico ( anche se non c’è una linearità assoluta), è importante la variazione Δ nel tempo della salita: se la salita è molto rapida si deve temere che ci sia una insufficienza epatica acuta. L’ittero compare qualche tempo dopo, il picco è più tardivo rispetto a quello delle transaminasi.

Insufficenza epatica acuta) interviene più tardivamente della iperacuta, definita dalla comparsa di coagulopatia tra i 10 e i 30 giorni dall’esordio della disfunzione.

Insufficienza epatica subacuta: definita come coagulopatia dovuta a insufficienza epatica acuta con sintomi che compaiono dopo 30 giorni dall’esordio del danno. Si osserva nel morbo di Wilson, e patologie autoimmuni del fegato.

paradossalmente le situazioni più gravi sono quelle subacute ( domanda all’esame per distingue chi ha studiato bene: è più facile che un soggetto recuperi più quando ha, a parità di gravità e sintomi, una insufficienza acuta o subacuta? La subacuta perché mentre nella iperacuta si può agire subito perché i segni compaiono tra i tre e i sei giorni, e quindi eliminando repentinamente la causa della disfunzione si può sperare di recuperare la funzione epatica; al contrario nella subacuta i sintomi compaiono dopo più di un mese il danno è stato più lungo e prolungato, inoltre in quest’ultimo caso possiamo escludere la causa da avvelenamento o da farmaci (che è tipica della iperacuta) e quindi diventa anche più difficile individuare l’eziologia. Infatti statisticamente ai fini della sopravvivenza è più pericolosa la subacuta.

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I meccanismi del danno epatico sono dovuti, almeno per quanto riguarda al tossicità diretta, a:

• una distruzione o danneggiamento importante della fine struttura delle fibrille actiniche che sono deputate alla funzione secretorie e metaboliche cruciali della funzione epatocitaria a livello di membrana, fino alla morte cellulare

• l’alterazione di questi filamenti porta tra l’atro alla distruzione canalicolare, perché questa è una funzione micromotoria

• poi ci sono delle tossicità dirette a livello delle funzioni metaboliche: per esempio l’interazione con il citocromo P450 che uno dei più importanti nel metabolismo dei farmaci,

• altri problemi sono nell’indurre (a livello dei meccanismi di autodistruzione) una più rapida morte cellulare e quindi, meccanismi proapoptotico

• infine interventi tossici sulla funzione respiratoria cellulare che è il danno mitocondriale.

Questi sono i punti cruciali in cui può verificarsi danno epatico, oltre che il tipico danno immunomediato da identificazione di target non self dovuti alla presenza di antigeni estranei: la risposta immune tende ad eliminare quelle cellule che contengono l’antigene esterno e il rischio è che in una operazione immunologica molto efficiente ci sia una epatotectomia biologica perché venendo eliminate tutte le cellule infette se tutte le cellule infette corrispondono alla quasi totalità delle cellule del fegato c’è un momento in cui non c’è funzione epatica e questo ovviamente è molto rischioso: il fegato potrebbe anche rigenerare ma il tempo troppo lungo e non possiamo lasciare l’individuo con questa situazione (considerando che non c’è una “dialisi epatica”, anche se si è pensato di costruire dei sistemi di filtro che mimino alcune funzioni epatiche ma il fegato è più complesso del rene e non esiste ad oggi ancora la possibilità di sopperire anche per un breve periodo con filtri esterni, si potrebbe pensare anche se molto complesso un trapianto temporaneo per dare il tempo necessario alla completa restitutio ad integrum del tessuto epatico del ricevente).

Prevalenza di alcune principali eziologie dell’epatite fulminante:

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L’intossicazione da paracetamolo è piuttosto frequente, e una forma tipica di intossicazione da tentativo di suicidio.Le epatiti virali ricoprono comunque una buona fetta , la più frequente è l’epatite B segue e l’epatite A e l’epatite C che quasi non esiste: infatti è una malattia che da un danno epatico molto più blando di quello da epatite B ed A

Ci sono poi altre patologie farmacologiche, e poi una fetta enorme di casi di epatiti fulminati in cui non si fa diagnosi; al contrario se facciamo un confronto con le eziologie di epatite acuta scopriamo che i casi in cui non si arriva alla diagnosi sono molto pochi, sotto il 5%, questo ci fa capire che esistono dei danni (piuttosto rari) che presuppongono un particolare assetto genetico dell’ospite e uno specifico agente eziologico, se si verifica questa combinazione ( predisposizione genetica-agente eziologico) che è rara, la situazione diventa molto pericolosa.

Il concetto è che esiste una serie di epatiti di varia natura che rendono conto di quanto il fegato sia sensibile al danno tossico, una cosa certa è che anche una assunzione non esagerata di una piccola quantità di tossico l’alcol per esempio causa un aumento delle transaminasi sieriche, che può essere più o meno elevato a seconda della suscettibilità personale del soggetto; un modo per valutare tale suscettibilità è quello di fare le transaminasi prima e dopo l’assunzione di una certa quantità di alcol, e fare poi il Δ tra le due misurazioni: ci sono soggetti che anche assumendo dosi piccole di alcol hanno un notevole aumento delle transaminasi e altri invece con le transaminasi normali o poco aumentate.

Oltre al danno tossico le altre cause di danno epatico acuto sono:

- agenti infettivi: quindi tutti i virus epatitici, gli altri agenti infettivi (come Epstein- Barr virus, cytomegalovirus)

- epatite non A-G: ragioni non chiare ma per aspetti istologici e biochimici simili a epatiti virali, quindi causate da qualche virus che ci sfugge (cioè manca il marcatore virale), sono legate a situazioni di particolare rischio, spesso si associano a anemia aplastica perché probabilmente c’è qualche virus che colpisce anche il midollo. Poiché la clinica di un’epatite fulminante ad eziologia virale è dovuta essenzialmente e ad una efficientissima risposta immunitaria che tende ad eliminare tutte le cellule infette se si isola durante l’epatite fulminate un virus questo è il meno probabile agente eziologico dell’epatite

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perché in quel momento il SI è estremante attivato contro il virus che ha causato l’epatite e che quindi sarà difficilissimo trovare.

- Farmaci epatotossici: parlando della tossicità da farmaci bisogna tener conto di alcuni fattori di rischio che sono

• Età: che in realtà è un fattore di rischio in qualsiasi malattia

• Sesso: la donna sarebbe più suscettibile dell’uomo, questo dato probabilmente è falsato dall’epidemiologia perché in alcune tossicità acute per tentativi di suicido per qualche ragione la donna sceglie dei tipi di tentativi diversi dall’uomo e quindi il dato è alterato dall’epidemiologia più che i meccanismi biologici.

• Obesità, malnutrizione, gravidanza. La gravidanza è un fattore di rischio per epatite fulminate in caso di epatite E per ragioni non meglio precisate, probabilmente c’è un ruolo del particolare assetto ormonale in gravidanza che potrebbe favorire l’attecchimento del virus.

l’interazione dei farmaci è un elemento di ulteriore rischio di epatite fulminate, possiamo avere:

- Reazioni da farmaci idiosincrasiche: soggetti che hanno un sistema immunitario particolarmente reattivo possono essere più predisposti ad avere delle reazioni da farmaci

- Reazione da farmaci dose-dipendente: ad esempio acetaminofene, amiodarone, per quest’ultimo la distanza tra dose terapeutica e dose tossica è molto più vicina

L’epatotossicità da farmaco è una situazione rara, anche se oggi è in crescita perché c’è un aumento dell’uso dei farmaci, specie nell’anziano(domanda: è più grave l’epatite da farmaco o da virus? Sicuramente quella da virus perché non si è mai sicuri di aver eliminato completamente il virus; dopo la risposta immunitaria e la terapia non si è certi di avere eliminato la noxa, nell’epatite acuta da farmaco si toglie il farmaco e si è tolta la noxa, non c’è continuità di danno)

• Cause metaboliche: oltre alle forme genetiche nel neonato,( che sono dovute spesso a difetti genetici non compatibili con la sopravvivenza) esiste tutta una serie di intolleranze chiamate tali quando c’è un difetto metabolico (ad es.

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nel metabolismo del fruttosio, galattosio etc). Esempi: la forma neonatale dell’emocromatosi può essere manifestata da una insufficienza epatica acuta, la malattia di Wilson che può comparire in età più avanzata dell’infanzia.

• Cause minori:

•circolatorie: difetti cardiaci, sepsi ,shock, lesioni ostruttive dell’aorta

•oncologiche: molto importante ricordare (anche per l’adulto) che possono esserci delle epatiti acute da esordio neoplasico soprattutto nelle malattie linfoproliferative: ci possono essere degli esordi di epatite acuta, che sono legati ad esempio a leucemie non ancora sintomatiche quindi attenzione a non perdere questa opportunità di diagnosi in giorni che possono essere fondamentali per iniziare una terapia risolutiva

•idiopatiche: rientrano nella diagnosi del “non so perché”

Ci sono eventi di epatiti acute che seguono a una storia clinica ben definita:

- immunosoppressione: dovuta a terapie con policortisonici, o chemioterapie, queste immunosoppressioni possono determinare la riattivazione della replicazione virale di infezioni latenti ad esempio da virus dell’epatite B che rimane occulto nel fegato anche in un soggetto guarito, ma esistono anche altri virus ancora non conosciuti che probabilmente si compartano in questo modo; perché ci sono delle epatiti acute che a volte diventano anche gravi ed esplodono alla sospensione del trattamento immunosoppressivo, questa correlazione temporale tra immunosoppressione e sospensione, fa pensare che ci sia stato un effetto immunomediato.

- tossicità dirette delle terapie immunosoppressive: ad esempio in soggetti con steatosi, in cui il cortisone può dare un danno diretto con distruzione degli epatociti, danno che compare direttamente alla somministrazione del farmaco

Esistono dei paramenti che ci possono aiutare nella diagnosi: il valore delle transaminasi, ma soprattutto il rapporto tra le transaminasi di tipo piruvico e l’ossalacetica: normalmente l’ALT è più elevata dell’AST durante l’epatite acuta di tipo virale, questo rapporto tende a invertirsi completamente quando il danno è di tipo tossico per il diverso contenuto dei due enzimi nei distretti anatomici del fegato che sono più coinvolti nell’una o nell’atra situazione ( a livello centro lobulare vicino alla venula gli epatociti che sono anche i più vecchi e tendono ad avere funzioni diverse

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hanno un contenuto di enzimi deverso dagli epatociti periportali che sono deputati ad altre attività). Quindi il rapporto ALT/AST è importante per capire a cosa è dovuto il danno epatico acuto, ma soprattutto per quello cronico

Danno tossico il rapporto ALT/AST diminuisce

Danno virale il rapporto ALT/AST aumenta

A livello istologico ( domanda: una biopsia in epatite acuta è possibile? Certo, basta che non sia una epatite fulminate cioè se il tempo di coagulazione è sotto qui parametri che fanno fare diagnosi di epatite fulminante) la biopsia si esegue attraverso un cateterismo della vena succlavia per entrare nella sovraepatica, questo prelievo può essere utile nel caso si abbiano dei dubbi: ad esempio abbiamo un caso di insufficienza epatica acuta, si sono fatti tutti gli esami, non si è fatta diagnosi, sembrerebbe un’epatite virale, non è dimostrata una eziologia tossica perchè il paziente non ha assunto farmaci, a quel punto , il fegato magari è molto ingrandito, sospettiamo quindi una infiltrato di linfociti, per verificare facciamo la biopsia, se rileviamo le cellule linfocitarie nel campione la diagnosi è confermata e si procede alla terapia; questo è un esempio di come può essere utile l’istologia anche nel caso di epatite acuta

Quando il danno epatico è molto grave abbiamo il rischio della multiorgan failure, questo vuol dire che viene coinvolta via via la funzione di altri organi; il meccanismo principale innescato dall’insufficienza epatica, che porta alla multiorgan failure, è legato all’impatto dell’insufficienza epatica sul sistema vascolare, cioè la vasodilatazione e quindi la vasodilatazione innesca a livello sistemico ei meccanismi di sconvolgimento funzionale dei vari apparati, e le modalità o di compensazione dei vari organi coinvolti porta paradossalmente, oltre certi limiti, a peggiorare la situazione; il rene ad esempio reagisce in modo paradosso perché vasocostringe l’arteria renale per meccanismo compensatorio, il rene inizia ad essere ipoperfuso e a funzionare meno proprio quando dovrebbe funzionare di più.

Quando scatta la multiorgan failure, è necessario un intervento terapeutico intensivo molto potente e si ha quindi il ricovero in unità intensiva.

I principali approcci diagnostici:

• andare a verificare quanto prima, ed eventualmente rimuovere, la causa di danno; questo vale soprattutto nel caso della tossicità da farmaci: cercare

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quanto prima di capire se il paziente assume qualche farmaco che ha causato il danno e ovviamente toglierlo.

• Ottimizzare le condizioni per una rigenerazione epatica quindi favorire il più rapido possibile recupero della funzione epatica,

• anticipare e prevenire le complicazioni

• migliorare la funzione degli organi che eventualmente sono colpiti dalla multiorgan failure

• identificare il soggetto miglior candidato al trapianto; cosa non semplice perché il candidato ideale al trapianto è colui che non ha una malattia cronica ma attenzione: se ce la fa a superare quella fase di insufficienza acuta poi può avere anche una totale restitutio ad integrum del suo organo e non ha bisogno di trapianto. Quindi si deve evitare di fare un trapianto ad un paziente che sarebbe guarito anche senza perché lo si sottopone inutilmente all’intervento e si spreca un organo. Ci sono quindi molti test che vengono fatti per individuare i pazienti candidati al trapianto, è chiaro che la batteria di indagini che viene fatta è enorme, molti di questi test che servono ad escludere una eziologia virale non sono di tipo molecolare ma di tipo immunologico e di ricerca IgM perché si va alla ricerca della reattività del sistema immune. Poi ci sono le indagini che servono a capire se il soggetto ha dei difetti genetici del metabolismo ( per es. difetti del metabolismo del rame) o se ha sistema immune iperattivo con autoimmunità manifesta, facciamo eventualmente il dosaggio di alcuni farmaci nel sangue per verificar se c’è stato un avvelenamento da farmaco, e test per escludere che l’insufficienza sia causata da patologie di altro organo.

• escludere anche una epatopatie preesistente non nota (magari sfuggita ad un epatologo non esperto) si può verificare anche con un’ecografia che consente di capire se l’organo aveva anche dei danni precedenti.

domanda logica all’esame: quando uno ha l’epatite acuta cosa si chiede all’ecografista, cosa voglio sapere? Le domande da fare all’ecografista sono: il volume è normale? C’è accumulo un di grasso? La lucentezza agli echi è normale o fa sospettare accumuli di grasso? Come sono i margini? C’è un’ ipertrofia lobo caudato ( che tipicamente insieme ai margini ondulati rivela una cirrosi)? E poi com’è la

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milza? Che diametro ha la porta? la porta è pervia?(potrebbe esserci una trombosi della porta che ha creato una insufficienza in un fegato già cirrotico)

A questo punto dobbiamo capire come determinare se il paziente diventa candidato al trapianto o no; ci sono della candidature che vengono subito: quando si ha l’avvelenamento da funghi, come l’Amanita phalloides che ha quantità enormi di veleno, in questo caso non ci sono dubbi quando arriva in pronto soccorso un paziente che ha transaminasi altissime, i sintomi tipici dell’avvelenamento ( vomito etc.) dalla storia emerge che ha mangiato funghi, a quel punto si attiva il centro trapianti ( se il soggetto è nell’età giusta).

In altre situazioni ( al di la di una evidenza di avvelenamento da tossico che fa passare il paziente al primo posto nella lista d’attesa al trapianto) in cui non è cosi scontato che il paziente necessiti effettivamente di trapianto si fa quindi un monitoraggio; l’elemento prognostico più importante per capire come procede l’insufficienza epatica terminale che supera il punto di non ritorno è l’edema cerebrale, sempre legato al discorso della vasodilatazione detto prima. La vasodilatazione determina anche un edema nel cervello che a sua volta rallentando il flusso, cambia le funzioni biochimiche della membrana emato-encefalica, favorisce il passaggio di sostanze che normalmente non attraversano la barriera e contribuisce così all’edema stesso. Quindi un primo punto di monitoraggio è l’edema cerebrale che si misura con la pressione intracranica. Altro punto che però può essere di non ritorno anche per il trapianto è la sepsi; la setticemia molto spesso è una situazione di non trapianto, capite bene che il punto critico di scelta se fare o meno il trapianto è molto vago.

La sopravvivenza dopo il trapianto è molto buona nella gran parte dei soggetti in particolare nel caso di epatite acuta fulminate, perché riguarda soggetti che dopo il trapianto hanno perso la causa di danno che quindi non si perpetua; invece in coloro che vengono trapiantati di fegato per una malattia cronica molto spesso non si guarisce la malattia, permane la causa di danno e infatti la linea di sopravvivenza va via calando negli anni. Solo nel primo anno è leggermente migliore la sopravvivenza dei trapiantati per malattie coniche perchè c’è un timing di intervento più selezionato, lungo e dettagliato rispetto a quello fatto in chi ha una insufficienza acuta.

Dal punto di vista pratico bisogna scegliere dei criteri di eleggibilità, e si deve essere il più possibile precisi:

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la scelta è basata nel cronico ( il paziente acuto passa subito al primo posto) oggi sull’indice MELD ( modello di valutazione della fase terminale della mattia del fegato) è un algoritmo creato con studi di bioinformatica che moltiplica un numero derivato dallo studio statistico per tre valori importanti:

• valore della bilirubina che è indice della funzione epatica

• valore dell’ INR indice della funzione coagulativa

• valore della creatinina

questi elementi moltiplicati tra loro danno uno score che serve per classificare le persone in lista, tutto sembra buono, ma sappiamo che questi valori si possono modificare; per esempio il valore di creatinina cambia a seconda del trattamento fatto col diuretico, anche l’indice di coagulazione da un laboratorio all’atro può cambiare: c’è quindi la possibilità di taroccare il dato.

Incidenza e prognosi L’insufficienza epatica acuta non è cosi frequente, 1-6 casi per milione di abitanti. Oggi nella condizione post-trapianto la mortalità passa al 30% dall’80% del pre-trapianto.

L’encefalopatiaL’encefalopatia epatica, non è una complicazione della (sola) cirrosi perchè compare anche in soggetti che non hanno la cirrosi che però sono in condizioni di insufficienza epatica acuta, peraltro non compare in tutti i soggetti con insufficienza epatica acuta.

l’encefalopatia è definita dalla presenza di una serie di sintomi neuropsicologici, che si ritrovano nel paziente con insufficienza epatica sia acuta che cronica, è legata alle alterazioni della funzione cerebrale perché si verifica? Per l’aumento della permeabilità della barriera ematoencefalica conseguente alla vasodilatazione (che esiste perifericamente nel cirrotico e compare nell’insufficienza epatica acuta). La patogenesi è soprattutto legate al passaggio di sostanze neurotossiche in elevata quantità dovuta a questo meccanismo di alterazione della permeabilità. Si tratta soprattutto di ammonio, manganese, mercaptani, fenoli, acidi grassi, etc.

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La vera causa che scatena l’encefalopatia non è ancora accertata, anni fa si riteneva che fosse l’ammonio, ma non lo è, può però essere sicuramente un indice indiretto perché se passa più ammonio vuol dire che la barriera ematoencefalica è alterata, in questo senso si usa l’ammoniemia come fattore diagnostico.

Quindi questi neurotossici sono la causa del disturbo funzionale, la terapia consiste nel somministrare degli amminoacidi selezionati durante la permanenza in unità intensiva per modificare l’assetto amminoacidico e quindi tentare di modificare i neurotossici, sono approcci molto blandi come si può immaginare.

L’encefalopatia nel soggetto che ha una insufficienza cornica può essere spontanea o recidivante; si definisce spontanea quando non troviamo la causa che l’ha precipitata. Le cause precipitanti possono essere molte:

• aumento dell’ammoniemia, eccessiva introduzione proteica

• emorragia gastrointestinale: che costituisce un accumulo di proteine nel tratto gastrointestinale,

• uso di farmaci psicoattivi che può essere causa di peggioramento

• eccesso di diuretici che fa aumentare l’azotemia e sostanza psicoattive

• infezioni

• disidratazione in conseguenza a cattiva gestione della diuresi

• disturbi elettrolitici

• insufficienza

• shunt tra vena porta e vene sopraepatiche la TIPS che è importante ripristinare alcuni meccanismi che sono alla base della patologia della stasi venosa però amplificano il salto funzionale epatico per cui i fegato perde ulteriormente potenzialità funzionale perché il sangue praticamente lo salta; salta tutta la funzione metabolica epatica delle sostanze che arrivano dall’intestino, quindi ogni sostanza, in particolare i metaboliti della degradazione proteica, non passano immediatamente al fegato ma solo in seconda battuta attraverso l’arteria epatica dopo aver fatto il circolo sistemico, passando inevitabilmente dalla barriera ematoencefalica che se non è perfettamente funzionale e ha una alterazione della permeabilità, lascia

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passare questi metaboliti e può precipitare una encefalopatia. Per questa ragione non si deve proporre la TIPS a chi rischia una encefalopatia.

I disturbi cognitivi caratteristici dell’ encefalopatia sono: calo dell’attenzione, alterazione della personalità. In un soggetto anziano distinguere se questi disturbi sono dovuti aterosclerosi cerebrale, o a demenza senile o a encefalopatia è molto difficile: la cosa importante che è sicuramente più tipica dell’encefalopatia epatica è l’alterazione del ritmo sonno-veglia, per questo si chiede ai familiari se il paziente di giorno è sonnolento e di notte agitato, questa situazione se sottovalutata è molto pericolosa: se il medico da anche un semplice sonnifero fa precipitare l’encefalopatia anche fino al coma.

Alto segno tipico è quello del tremore detto flapping tremor viene provocato facendo tendere le braccia in avanti al paziente e con una mano piegare le mani del paziente e poi lasciarla andare, il segno è positivo se il paziente riporta la mano nella posizione iniziale con scatti.

La ascite

Le ragioni per cui si forma la ascite nel paziente cirrotico sono secondarie alla resistenza che il filtro epatico fa sulla vena porta, quindi meccanismi indotti per via della ostruzione al flusso e che si ripercuotono sulla funzione cardiaca e sulla funzione renale.

Primo step è la vasodilatazione splancnica, a questo evento corrisponde una ipovolemia perché gran parte del sangue viene sequestrata a livello splancnico per una compartimentalizzazione anomala, e si ha quindi una riduzione del volume circolante, a questo succede una reazione compensatoria, i meccanismi sono essenzialmente tre:

- reazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone,

- risposta del sistema nervoso simpatico

- secrezione dell’ormone antidiuretico come logica risposta all’ipovolemia

tali meccanismi inducono una ritenzione di sodio e acqua per cercare di compensare l’ipovolemia, innescando così un circolo vizioso, con un aumento del problema a

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livello della sequestrazione splancnica e quindi una trasudazione del liquido a livello peritoneale;

questa condizione presuppone anche dei cofattori che la favoriscono: per es. l’ipoalbuminemia, è chiaro la cirrosi epatica, la fibrosi, l’ostacolo al filtro correlano con la ipoproduzione del principale fattore prodotto dal fegato cioè l’albumina e si ha una ipoalbuminemia, cala la pressione colloido-osmotica del plasma e prevale la pressione idrostatia che tende a far fuoriuscire i liquidi.

Quindi a livello arterioso c’è una vasodilatazione che cresce, la volemia che diminuisce in modo proporzionale; a questo punto c’è una reazione parallela alla vasodilatazione dei sistemi di compensazione, si ha altrettanto una reazione vasocostrittrice a livello dell’arteria epatica e renale e anche un problema di sovraccarico per aumento di afflusso, a livello cardiaco.

La ascite si manifesta con una prima comparsa a cui poi sussegue una serie di episodi continui di scompenso, infatti la storia naturale di una cirrosi è caratterizzata da un primo scompenso ascitico, che è il momento in cui inizia la clinica della cirrosi, perchè prima la situazione clinica è molto frustra.

Dal primo scompenso ascitico la ascite può solo recidivare, e iniziano a comparire una serie di problemi che fanno definire tre importanti categorie di ascite: (1)ascite che risponde al trattamento diuretico, (2)ascite che non risponde al trattamento, difficile da trattare, e (3) ascite refrattaria al trattamento che generalmente precede la sindrome epato-renale

La ascite si manifesta con un addome globoso, si ha alla percussione un suono sordo in corrispondenza al liquido sottostante, la percussione è importante per fare la paracentesi ( pungere e aspirare il liquido)

Per valutare la funzione epatica in questa situazione si utilizzano tre parametri principali:

- albuminemia che da un indice della sintesi epatica

- coagulazione sia indice di sintesi epatica (per la sintesi dei fattori di coagulazione) sia indice di ostruzione portale per la sequestrazione delle piastrine secondaria al rallentamento del flusso a livello splancnico

- bilirubina che è un’altra delle funzioni del fegato

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questi tre parametri servono a dirci quanto di riserva funzionale ha il fegato.

Poi si studia la funzione renale con il livello di azotemia, la creatinina, il rapporto tra azotemia e creatinina è il livello di sodio e potassio danno un’informazione sula funzione renale.

La pressione arteriosa e il battito cardiaco ci danno indicazioni su come l’emodinamica generale sia influenzata dalla ascite.

E poi c’è da fare la paracentesi; ogni volta che c’è uno scompenso ascitico è indicato e suggerito di fare una diagnosi precisa sul liquido ascitico perché non mai detto che non ci sia una ragione diversa dal semplice scompenso, potrebbe trattarsi di una ascite causata da altor fattore che si aggiunge e precipita lo scompenso e potrebbe essere anche una causa non legata a cirrosi (es. carcinosi peritoneale, timore dell’ovaio, delle altre patologie addominali)

La diagnosi sul liquido ottenuto con la paracentesi, ci fa fare diagnosi andando ad analizzare alcuni parametri:

• contenuto in globuli bianchi della ascite è importante: tanto più aumenta tanto più dobbiamo pensare non ad una ascite da cirrosi ma da fenomeno infiammatorio o neoplastico

• eventuale contenuto batterico, rilevabile facendo una coltura batterica

• contenuto proteico: tanto più è alto tanto più sono presenti batteri o cellule infiammatorie nel liquido ascitico

• contenuto dell’albumina

gli esami di secondo livello sono:

• la quantità di glucosio

• l’esame citologico

• la ricerca di batteri ( per es. bacillo della tubercolosi)

Un esame molto semplice è l’osservazione, l’esame visivo, proprio come per le urine. Si valuta in questo modo (come per le urine) la limpidezza e il colore. Sempre quando si forma un trasudato in compartimenti dove non dovrebbe esserci accumulo di liquido, per escludere un fenomeno neoplastico o emorragico quel

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liquido dovrebbe somigliare all’urina perché è essa stessa un trasudato; quindi quando si osserva un qualsiasi trasudato o essudato questo dovrebbe essere il più possibile simile alle urine.

Come interpretare i parametri sopra citati:

14) Il contenuto dei globuli bianchi è considerato normale fino a 250 per mm3

15) la presenza di batteri ovviamente indica infezione batterica

16) il contenuto proteico oltre una certa scoglia è indice di presenza batterica

17) Il contenuto di albumina è importante per definire il gradiente, cioe il rapporto tra albumina nel liquido ascitico albumina nel sier: nel caso che sia più alta l’albumina nel siero rispetto alla scitica siamo in un classico scompenso da cirrosi; nel caso contrario vuol dire che c’è una produzione di albumina proprio in quel compartimento quindi che deve essere qualcosa come o una neoplasia che trasuda proteine o una crescita batterica

Primo punto del trattamento è la terapia diuretica e una riduzione del sodio nella dieta e la ascite deve scomparire.

L’importanza della dieta: è importante ma non così tanto come si credeva un tempo. Nelle linee guida che si sono succedute negli anni le dosi massime di sodio raccomandate sono via via aumentata a dimostrazione di come in realtà si è capito col tempo che la dieta iposodica non serve praticamente a nulla, perché ad eccezione di chi assume dosi esagerate di sodio, la funzione che andiamo ad alterare con al dieta è nulla perché la quantità di sodio assorbita e gestita dall’intestino. Di fatto la dieta per l’epatopatico non esiste.

Il trattamento diuretico serve a creare quella compensazione del fenomeno paradosso che si è creato (cioè l’aumento della ritenzione del sodio per via dell’aumento dell’aldosterone), i farmaci utilizzati agiscono sul tubulo distale come antagonisti dell’aldosterone, sono gli antialdosteronici, che sono anche da soli sufficienti a compensare un primo scompenso ascitico, ma solo fino a quando la filtrazione glomerulare è ancora funzionante, cioè quando ancora l’aumento dell’aldosterone è il solo meccanismo di compenso paradosso attivato dall’organismo, successivamente quando si ha la vasocostrizione dell’arteria renale e

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si è ridotto il filtrato renale ( sotto i 60 ml/min) non basta più compensare con l’antialdosteronico, bisogna aggiungere un diuretico d’ansa , che fa secernere più liquido a livello dell’ansa di Henle (lasix).

Quindi l’equilibrio si ottiene cominciando con un antialdosteronico e aggiungendo poi un diuretico d’ansa. La terapia comunque va personalizzata

È chiaro che generalmente si inizia a trattare con l’antialdosteronico prima che compaia la ascite clinicamente, quando il radiografista osserva una piccola falda di liquido ascitico prima che ci siano manifestazioni cliniche, poi si inserisce il diuretico d’ansa (lasix) quando compare la clinica.

Gli effetti collaterali ( sono dovuti spesso a malgestione delle terapie) sono essenzialmente: la perdita di peso che deve essere controllata e graduata perché se aumentiamo violentemente la diuresi c’è una perdita di peso tale da causare dei fenomeni collaterali come scompensi della funzione renale. L’equilibrio giusto si ottiene quando non andiamo sotto il kilogrammo di perdita di peso. Il punto di equilibrio per la ascite è un po’ sotto l’optimum cioè tale da eliminare gli aspetti clinici ma lasciarla visibile all’ecografia in modo da non rischiare di dare una ipovolemia causata dalla eccesiva somministrazione di diuretici.

deve esserci un attento monitoraggio della funzione renale, dei i livelli di sodio e di potassio. E chiaramente i diuretici vanno sospesi se ci troviamo ad aver creato una ipovolemia da eccessiva diuresi. Se si eccede nella somministrazione del diuretico di ansa di ha una ipopotassiemia, al contrario se si eccede nell’uso del antialdosteronico si determina una iperpotassiemia.

In alcuni casi dobbiamo compensare con aggiunta di albumina perché ci troviamo in una abbassamento della produzione di albumina dal fegato ed è necessario compensare anche il contenuto proteico nel plasma .

Si usa l’albumina anche generalmente quando si rimuove una grande quantità di liquido ascitico ( superiore ai 5lit) perché rimuovendo il liquido ascitico si depaupera l’organismo anche di albumina e reintegrarla serve a prevenire quell’insufficienza renale che rischieremmo se peggiora la situazione vascolare.

La ascite refrattaria è una ascite con non riusciamo a mobilizzare con una terapia medica appropriata, che generalmente si associa a una iponatriemia non più indotta da diuretico e questa è la diagnosi di sindrome epatorenale. Nella ascite refrattaria

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ci troviamo di fronte ad una incapacità, con le dosi massimali di diuretico (400mg di spironolattone e 100mg furosemide) di compensare la situazione, e allora ci troviamo di fronte a una ridotta perfusione renale e una insufficienza renale funzionale, che spesso si associa a sindrome epatorenale che un’altra delle condizioni di alta mortalità della insufficienza epatica terminale.

Cosa interessante è che si tratta di una insufficienza funzionale tanto che un soggetto che muore a causa di una sindrome epatorenale (che è causa di morte secondaria solo all’insufficienza epatica terminale o alla malattia neoplastica sovraimposta) ammesso che sia in età che consente la donazione d’organo può donare il rene: un rene di un cirrotico con sindrome epatorenale può essere donato perché il problema non era a l livello del rene ma si trattava di una sindrome pre renale.

Ci sono delle situazioni di perdita di liquidi eccessiva che possono scompensare un equilibrio precario di un soggetto con ascite; una diarrea anche occasionale ma importante può scompensare un soggetto con ascite e scatenare la insufficienza renale compensatoria.

Complicazione ultima che rende irreversibile la sindrome epatorenale è la crescita batterica nel liquido ascitico. Perché avviene l’infezione batterica nel liquido ascitico? Perché una stasi vascolare al livello della mucosa del sistema gastrointestinale per esempio al livello del colon determina un aumento della permeabilità della membrana e quindi c’è il rischio che venga saltato il filtro, e crescano all’interno del peritoneo delle colonie batteriche e si crei una peritonite batterica.

Infatti uno degli indicatori più fini del rischio di mortalità del cirrotico è determinato proprio dal aumento del rischio del passaggio attraverso la porta rappresentata dalla mucosa intestinale di tossine e degli stessi batteri; la paracentesi ci può far capire la situazione e portare eventualmente alla scelta di proporre un trapianto al soggetto prima di arrivare a una situazione di rischio di sindrome epatorenale conclamata. Una ascite infetta è controindicazione al trapianto si è persa una occasione; il punto del trapianto è un momento molto prima di arrivare alla ascite refrattaria.

Nella ascite refrattaria dobbiamo fare sempre la paracentesi, è l’unico modo per rimuovere fisicamente il liquido, c’è un limite di 5 litri per evitare una ipovolemia, e

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oltre questa quantità dobbiamo somministrare almeno 8 grammi di albumina per litro aspirato.

Con degli studi randomizzati si vedono che in alcuni soggetti con ascite refrattaria è più efficace la TIPS rispetto alla paracentesi ma si tratta i studi non indicativi proprio perché randomizzati che non tengono conto di molti fattori essendo fatti su soggetti presi a caso.

La decisione di fare la paracentesi o fare lo shunt va presa a seconda del soggetto facendo una speciale valutazione fisiopatologica sulle speciali condizioni di quell’individuo, è chiaro che se ad esempio il soggetto è a rischio encefalopatia non si può fare la TIPS perché si rischia di precipitare l’encefalopatia

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Il Pancreas

Dove sta l’organo anatomicamente? Il pancreas si trova incuneato nella famosa C duodenale che rimane adesa alla testa del pancreas. I punti cardini sono i dotti, il dotto di Wirsung e il suo sbocco, il dotto accessorio di Santorini e il suo sbocco e la confluenza del coledoco insieme al dotto di Wirsung nella cosiddetta papilla di Water, che causa la maggior parte delle patologie pancreatiche. Ogni volta che si parla di un organo con dei dotti secretori la maggior parte delle patologie colpiscono queste aree.

La condizione patologica più frequente è il calcolo incuneato nella papilla del Water, ostruzione meccanica secondaria alla difficoltà di far passare un piccolo calcolo che proviene dalla colecisti e si va ad incuneare nella papilla prima di essere escreto.

Il pancreas è un organo ghiandolare sia esocrino che endocrino, non capsulato e questo è uno degli inconvenienti più grossi che lo mette a rischio nei casi di trauma, per esempio trauma addominale. Gli organi addominali mobili si possono schiacciare, come l’intestino, può spostarsi e schiacciare un altro organo verso la colonna e bacino, colpendo gli organi importanti come la milza e il pancreas che subisce facilmente dei danni. Il danno pancreatico può passare inosservato nei primi momenti ma può dar luogo ad una gravissima pancreatite nelle ore successive, anche 6-7 ore, perché si trova retro peritonealmente nello spazio para-renale. E’ disposto trasversalmente, diviso in testa corpo e coda e ha significativi rapporti con il duodeno, ilo dell milza, e arterie mesenteriche.

La funzione esocrina principale è quella di presiedere come organo principale della digestione insieme con la secrezione biliare. La secrezione pancreatica ammonta a circa 1,5L al giorno. Ha un pH alcalino che serve a tamponare il succo acido gastrico (l’ulcera è più frequente subito dopo il piloro). La produzione degli enzimi avviene nelle cellule acinarie, nelle cellule dei dotti vengono prodotti tutti gli elettroliti.

La funzione endocrina presiede all’omeostasi glucidica, con le Isole del Langerhans le cui cellule producono glucagone, insulina, somatostatina e polipeptide pancreatico.

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Per quanto riguarda la fisiologia l’acino pancreatico è costituito da cellule acinose che producono i chimogeni che poi vengono attivati negli enzimi importanti nella digestione.

3 meccanismi digestivi:

• Amilasi amido

• Lipasi grassi

• Papsina proteine

Sono attivati quando vengono a contatto con il tessuto non pancreatico, come l’ambiente duodenale, ma anche quando c’è un trauma e vengono liberati in circolo o nella retrocavità degli epiploon. Autodigeriscono il tessuto in questione, si rompe infatti un potenziale contenitore di liquido digestivo tossico che digerisce le proteine e i grassi dentro la cavità peritoneale. Si parla di vera e propria autodigestione.

I meccanismi secretori hanno una regolazione a feedback, c’è una liberazione di sostanze con funzione ormonale che permettono di controllare la quantità di succo liberata la secrezione e di avere un feedback di stop di essa quando raggiunge livelli adeguat. Quando passa il cibo avviene la stimolazione secretoria, poi c’è un feedback negativo che la blocca quando il livello di questi enzimi raggiunge livelli adeguati alla digestione. L’equilibrio ha in sé una regolazione di tipo endocrino mediata dai mediatori peptidici e un controllo del sistema nervoso simpatico che presiede a una regolazione di tipo nervoso.

Com’è costituita la ghiandola? C’è l’acino e il dotto. Nell’acino vengono secreti i proenzimi, a livello del dotto viene arricchito il succo delle componenti idroelettrolitiche e acquose. Ci sono quindi i contenuti, gli enzimi pronti ad attivarsi per la digestione, diluiti in un succo ricco di elettroliti che lo rendono basico e ne aumentano il volume in senso di contenuto acquoso. Quando arriva il cibo le cellule sensitive del tubo gastrointestinale fanno partire la secrezione di tipo ormonale peptidico che la colecistochinina che fa muovere la colecisti e la secretina che fa secernere il pancreas. Questo fa scatenare la produzione e secrezione del succo, soprattutto la secretina. Inoltre la secretina agisce insieme alla colecistochinina per produrre la componente enzimatica. Esiste un controllo di feedback neuroendocrino dell’ acetilcolina e dal peptide vasoattivo che inibisce magiormente la secrezione

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La stimolazione alimentare determina la stimolazione delle gastrina da parte delle cellule G dell’antro determina a sua volta la simolazione della secretina e della colecistochinina che a sua volta stimolano le cellule duttali e acinose che producono e secernono le componenti del succo pancreatico. Inizia la digestione a livello della prima parte del duodeno.

Importante da ricordare è che la proteine o qualsiasi enzima sono caricati elettricamente, contengono per motivi chimici diverse quantità di ioni, positivi o negativi. Quando vengono sottoposte a un campo elettrico si spostano tanto più al catodo o tanto più all’anodo a seconda dell’opposta carica dei suoi elementi elettricamente più importanti. A seconda del tipo di questi elementi presenti nella struttura chimica e tridimensionale della proteina abbiamo uno spostamento diverso all’elettroforesi. Quando vogliamo studiare diverse proteine troviamo un colorante specifico per la proteina legato ad un anticorpo che lega la specifica proteina. Colorerò in questo modo tutte le proteine che avranno quell’ epitopo importante. A seconda delle varie sequenze amminoacidiche mutate che può avere una determinata proteina, si possono avere comportamenti diversi all’elettroforesi. Infatti queste proteine hanno delle isoforme, forme simili ma non identiche, che vengono spesso identificate dall’elettroforesi che rappresenta il più fine sistema per differenziare le proteine. Basta una piccolo cambio amminoacidico per spostare l’equilibro elettrico di due proteine. Alla fine vedrò tante bande quante sono le isoforme di quella particolare proteina. Vedremo come sia importante distinguere l’amilasi, che è prodotta dal pancreas, ma anche dal duodeno e dalla parotide ( quindi faccio l’esame delle isoforme delle amilasi). Tutto praticamente si può studiare con le isoforme. Lo stesso vale con la fosfatasi alcalina che può essere prodotta dall’osso e dal fegato, ma in isoforme diverse.

Malattie del pancreas:

• Anomalie congenite difetto di fabbrica

• Lesione traumatica

• Pancreatite acuta

• Pancreatite acuta ricorrente

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• Pancreatite cronica

• Pseudo cisti e cisti pancreatica ( la pseudocisti non ha rivestimento epiteliale interno)

• Tumori pancreatici (esocrini o endocrini)

• Fistole pancreatiche

• Diabete

La cisti ha un epitelio interno che secerne un liquido che costituisce la cisti stessa. Si può formare in seguito a lesioni che hanno portato alla liberazione di enzimi digestivi che attivati hanno digerito il pancreas lasciando un buco A seguito della riparazione si forma questa sacca di liquido detta cisti. Come si svuota una ciste? Attraverso una endoscopia vedo la cisti che è dietro la parete delle stomaco, pungo la parete gastrica e la raggiungo.

Altri esempi di grande progresso sono dati da interventi che operano attraverso le stesse cavità dell’organismo. Per esempio nascono dei bambini che hanno comunicazione tra esofago e pleura, tramite un forame che rimane pervio. E’ una condizione che porterebbe a morte ma con la microchirurgia robotica, tramite un piccolo buchino attraverso il torace, in pochi minuti risolviamo la situazione e il paziente è fuori pericolo.

Pancreatite acuta

Cause:

più frequenti

• Litiasi biliare

• Alcool (non è tossico per il fegato se c’è solo il danno da alcool)

meno frequenti

• Ipertrigliceridemia (l’organismo risponde a un eccesso di indigestione dei grassi)

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• Farmaci

• Infezioni virali

• Cause iatrogene (chirurgia)

Pancreatite cronica

Cause:

Tossico metabolica

• Tabacco (correlato con il cancro al pancreas)

• Alcool

Genetiche

• Mutazione del tripsinogeno tripsonogeno cationico, più facilmente attivabile

• Mutazione di CFTR (autosomica recessiva)

• Mutazione dell’inibitore delle proteasi (autosomica recessiva)

• Fibrosi cistica

Autoimmune in soggetti con condizioni genetiche particolari, che tendono a rispondere in modo esagerato anche contro antigeni self

• Pancreatite autoimmune isolata

• Pancreatite autoimmune associata a malattie (IBD, CBP, Sindrome di Sjorgen)

Ricorrenti

• Pancreatite acuta ricorrente

• Pancreatite necrotizzante grave

Ostruttive

- Anomalie e patologie bilo-pancreatiche

Idiopatiche

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Pancreatite Acuta

Classificazione istologica:

3 livelli di gravità

• Edematosa interstiziale, minima, dovuta ad attivazione minima degli enzimi pancreatici che dà il minimo dell’infiammazione. I tessuti si discostano per l’aumento del liquido interstiziale, gli acini si gonfiano.

• Emorragica

• Necrotizzante

Le complicazioni compaiono quando la mlattia da edematose va a emorragice e successivamente a necrotizzante.

Eziologia:

• alcolica

• biliare

• idiopatiche

• altre metaboliche, alterata attività enzimatica, anormale movimento ionico, cause meccaniche, vascolari, autoimmuni, neoplastiche etc.

Se l’insulto è soprattutto ostruttivo tappo la fuoriuscita del succo che rischia di attivarsi all’interno dei dotti generando infiammazione, ischemia etc.

Prima si attiva il pepsinogeno in pepsina e da qui si ha una catena di attivazione che porta ciascun enzima ad attivarsi e a svolgere la propria funzione digestiva nei confronti di ogni tessuto del nostro organismo.

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L’effetto dell’alcool è un effetto tossico diretto perché ha un meccanismo di tossicità a livello cellulare, aumenta anche la sensibilità alla colecistochinina e poi c’è un evidente effetto sullo sfintere di Oddi che viene alterato nella motilità. Determina uno spasmo dello sfintere di Oddi, che ha la stessa funzione di un calcolo incuneato perché non apre la secrezione.

Ci sono poi delle anomalie non molto importanti ma che possono diventarlo se arriva un calcolo in quella sede, portando a maggior rischio di incuneamento. Riguardano principalmente le modalità di sbocco dei dotti di Wirsung e Santorini.

Quando vediamo una colecisti con dei calcoli all’interno dobbiamo preoccuparci inizialmente delle dimensioni dei calcoli, soprattutto dei più piccoli, come polveri di sali biliari perché se la colecisti si contrae questi possono muoversi e fermarsi provocando una ostruzione. Parte a questo punto la colica biliare, va in contrazione tutto l’albero biliare, per spingere via il calcolo. Se la colica passa vuol dire che il tentativo è andato a buon fine.

Come si fa a vedere se la colecisti funziona? Con l’ecografia a digiuno, in modo tale che essa sia piena di liquido. Poi si fa mangiare il paziente e se dopo la colecisti non si vede più o è più piccola vuol dire che si è contratta e quindi è fisiologicamente funzionante.

Sintomi e segni:

Esame obbiettivo generale:

• stato di shock tachicardia, ipotensione, febbricola, ittero, tachipnea

Esame obbiettivo addominale:

• dolore forte caratterizzato dalla tensione del pancreas nell’area in cui si trova (area paravertebrale lombare), dolore lombare caratteristico che fa fare subito la diagnosi (si deve chiedere al paziente se il dolore passa cambiando posizione: se passa è pancreatite)

La pancreatite acuta molto grave è chiamata anche Drama pancreatico, gli enzimi vengono liberati anche nel circolo ematico, vanno a creare danno in tutto l’organismo compresi i tessuti sottocutanei, si formano emorragie con segni particolari:

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Segno di Cullen : colorazione brunastra in sede periombelicale dovuta all’emoperitorneo.

Segno di Turner : colorazione blu-rosso porpora ai fianchi, dovuta alla trasformazione di emoglobina nel tessuto.

Diagnosi:

• amilasi sieriche (aumentano)

• lipasi (se salgono insieme alle amilasi sia ha pancreatite, altrimenti si ha colica biliare)

• amilasi urinaria

• leucocitosi (la pancreatite non è solo edematosa )

• iperglicemia (il danno è cos’ì grave che sono state colpite anche le isole del langerhans)

meno frequenti (dovuti alle cause che scatenano pancreatite)

• ipertrigliceridemia

• ipocalcemia

• iperbilirubinemia

• aumento della GGT e AST

Diagnosi differenziale:

• gravidanza ectopica aumentano transaminasi

• ulcera peptica e colecistite aumentano amilasi

• ostruzione intestinale (infarto intestinale) in persone di età avanzata dà un dolore simile

• calcoli aumento amilasi

L’Iperamilasemia è associata anche a parotite, tumori polmonari, alterazione genetica (macroamilasemia, amilasi più grande che può attivarsi più facilmente)

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Storia clinica:

sono importanti le prime ore, si deve evitare di andare incontro alla rapida salita dei leucociti. Vorrebbe dire che si sta andando incontro a necrosi e si potrebbe scatenare la sindrome infiammatoria di risposta sistemica (multi organ failure), ad alto rischio di mortalità.

Maggiori complicazioni:

• ascite da spargimento di succhi pancreatici (faccio il prelievo e se misuro gli enzimi vuol dire che ci deve essere comunicazione con il peritoneo)

• emorragia

• pancreatite cronica ostruttiva dovuta al fatto che si sono create delle aree di ostruzione all’interno dei dotti pancreatici, nelle zone necrotizzate

• pancreatite acuta recidivante

Pancreatite cronica

Eziologia:

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conserva le stesse cause della acuta, aumentando quella da alcool, quindi

• alcool

• idiopatica

• altre fibrosi cistica, autoimmune, ereditaria, tropicale (eziologia complessa che mette in campo parassitosi, tossine etc.)

La patologia ostruttiva (calcolosi) è molto difficile che sia causa di patologia cronica perché prima o poi il calcolo viene tolto, l’unico rischio è che abbia causato danni importanti cronici persistenti. Il dato tossico reiterato è una delle cause principali della pancreatite cronica.

Per quanto riguarda l’influenza delle diverse alterazioni genetiche, da un punto di vista pratico si deve avere chiari i concetti base. Le alterazioni genetiche costituiscono un fattore predisponente e a seconda che sia poi associato a un fattore ambientale più o mento provocante di rischio, si favorisce il fenomeno del danno. (fattori genetici:predispongono; fattori ambientali:favoriscono). Quindi uno può avere alterazioni di quei geni che vanno a creare un maggior rischio di attivazione di zimogeni o perché ci sono degli inibitori proteici della cascata di produzione enzimatica, o perché c’è un problema secretorio. Il futuro ci potrà permettere di avere un quadro più o meno completo dei nostri punti deboli, dovuti a piccole disfunzioni di alcuni meccanismi.

Ci sono 3 differenti forme di tripsinogeno: anionico, mesotripsinogeno e cationico. La maggior parte delle mutazioni (autosomiche dominanti) avvengono a carico del cationico. Questa proteina è meno stabile ed è più soggetta ad attivazione. Oppure c’è mutazione di una serinproteasi che inibisce le proteasi, mancando capacità di inibizione della tripsina. Punto critico è anche la mutazione a livello dei geni CFTR, regolatori dello ione cloro, ripercuotendosi anche a livello polmonare.

Il danno epatico da alcool è ancora più importante quando uno ha alterazioni di quei geni che mettono a rischio le funzioni secretorie o le funzioni di tipo critico a livello del pancreas.

Epidemiologia:

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rara, 13/100000 abitanti, non tanto rara nelle popolazioni europee e negli USA. Sta calando nelle forme tossiche classiche per la diminuzione del consumo di alcool. In Italia l’incidenza è di 4/100000 abitanti. Varia in funzione della predisposizione e dello stile di vita individuale.

Storia naturale:

il primo sintomo importante è il dolore, mano a mano che progredisce prendono il sopravvento altri sintomi. Una domanda per capire se uno ha compreso il problema è “perché mano a mano che la pancreatite va avanti il dolore cala?” Perché l’organo sparisce, va incontro ad auto digestione. Compaiono gli effetti da carenza dell’organo. Il dolore indica che è sempre funzionante la secrezione enzimatica che porta a digestione di componenti dell’organismo che non dovrebbero essere distrutte. Il diabete è la segnalazione che è sparito quasi tutto il tessuto pancreatico, è uno degli ultimi sintomi (aumento della glicemia).

Patogenesi:

E ‘ la creazione a livello dei dotti minori del pancreas di tappi, trombi che vengono costruiti da materiale auto digerito che calcifica creando micro calcoli, ostruzione, con un circolo vizioso che si autoalimenta portando a calcificazione del pancreas. Danno tossico indotto da un metabolita che non ha detossificazione, dovuto a stress ossidativo, che c’è sempre.

Necrosi e fibrosi non ci sono sempre ma sono in catena quando avvengono e segnalano grave danno. La fibrosi quando c’è è un fenomeno senza ritorno alla norma. Quando ci sono fenomeni infiammatori c’è sempre in gioco il sistema immunitario, che se non funziona in modo perfetto si possono innescare fenomeno di perpetuazione del danno detti fenomeni immunodisregolatori.

Se io formo i micro calcoli tutto il dotto diviene come un rosario, con delle dilatazioni e questo causa il mantenimento del danno, fa avvenire tutta una serie di fenomeni di infiammazione, necrosi e fibrosi.

L’etanolo agisce a più livelli sulla cellula provocando tossicità diretta attraverso il suo metabolita che è l’acetaldeide. E’ tossica per la cellula, provoca stress ossidativo e innesca il processo

Tornando al discorso della patogenesi la quantità di alcool è correlata al danno, relazione quantitativa. La predisposizione genetica è fondamentale per determinare

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la maggiore o minore suscettibilità alla stessa dose di alcool. Poi abbiamo la motilità diversa dello sfintere di Oddi, danno diretto sulle cellule e prematura attivazione enzimatica, precipitazione delle proteine a livello dei microdotti.

Oltre i meccanismi di danno acuto c’è una immagine del rischio di fare pseudo cisti che possono essere localizzate a livello della coda e del corpo e che possono essere liberate da uno svuotamento attraverso la parete dello stomaco.

Pancrearite autoimmune:

Un segno diagnostico importante è l’elevata quantità di IgG di tipo 4. Il dosaggio immunoglobulinico in un soggetto che non ha una storia di alcool, che determina la presenza di segni di autoimmunità porta a diagnosi di questo tipo. Si prevede la richiesta di alcuni test di ricerca di autoanticorpi come quelli anti muscolo liscio, fattore reumatoide, proteina c reattiva. A seconda dell’organo chiaramente faccio una scelta di anticorpi tipici di quel tipo di danno. Per la lesione pancretica si ricercano gli anticorpi anti-lattoferrina. Abbiamo una salita particolare anche delle IgM. I soggetti predisposti a una patologia autoimmune hanno sempre anche qualche cosa di sistemico, andranno in contro certamente a terapia steroidea.

La cosa importante è che un dolore continuo in una pancreatite cronica in assenza di esposizione al tossico, vuol dire che c’è qualcosa dio intermedio che continua, come pseudo cisti.

E’ molto importante anche l’età del paziente, la pancreatite da alcool colpisce pazienti da 35-40 anni con consumo di alcol da circa 15 anni, quella idiopatica spesso è una pancreatite giovanile dovuta a difetti genetici, oppure ci possono essere pancreatiti idiopatiche senili associate anche ad alterazioni di tipo pseudo-neoplastico.

Il tumore del pancreas è un maggior rischio nei soggetti che hanno una malattia infiammatoria o fibrotica prolungata dell’organo.

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Segni e sintomi:

• Dolore

• dDiabete

• Disturbi digestivi

Stadiazione:

4 stadi:

• Preclinico diagnosi biochimica con esami strumentali. Assenza di sintomi o sintomi aspecifici

• Clinico ricorrenti episodi di pancreatite acuta senza definiti segni di pancreatite cronica

• Ricorrenti episodi di pancreatite acuta dolore intermittente o continuo e segni clinici di pancreatite cronica

• Finale no episodi acuti, riduzione del dolore e chiari segni clinici di insufficienza esocrina e endocrina

Complicazioni

Trombosi splenica più tipica dell’acuta

Ulcere duodenali

Pseseudo cisti molto frequente

Adenocarcinoma

Esami di laboratorio:

• Misura lipasi

• Misura amilasi

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• Test di danno infiammatorio del pancreas esocrino

• Test funzione endocrina e esocrina

L’ esame istologico è difficile e raro.

Tecniche di imaging:

• Rx diretto addome vediamo il pancreas disegnato dalle calcificazioni, tanti pallini uno vicino all’altro, nei dotti. Può far far diagnosi di pancreatite cronica con calcificazioni (da alcool)

• Ecografia ci serve a fare interventi di svuotamento delle cisti. E’ molto difficile vedere il pancreas, non molto utile in diagnostica. In alcuni casi si può misurare il diametro del dotto di Wirsung. Si possono vedere cisti o alterazioni importanti, ma non alterazioni minori.

• Eco- endoscopia serve per la valutazione delle forme precoci, studio delle caratteristiche parenchimali e duttali

• Tomografia assiale taglia il corpo in modo orizzontale. Serve per la valutazione morfologica del pancreas, quindi edema, atrofia, fibrosi, masse, calcificazioni, ma anche complicazioni vascolrai, pseudo cisti.

• Risonanza magnetica riesce a ricostruire anche l’area pancreatica. Possiamo vedere per esempio il dotto di Wirsung dilatato.

• Risognanza magnetica con mezzo di contrasto colangiografia in risonanza magnetica. Può studiare una ostruzione terminale, riuscendo a vedere anche il coledoco.

• PCRE (endoscopia retrograda e colangiografia con mezzo di contrasto) endoscopia per studiare e eliminare delle situazioni anatomiche conseguenti all’incuneamento di un calcolo nello sfintere di Oddi. Entro con l’endoscopio e a livello del duodeno mi affaccio nello sfintere di Oddi e tramite un tubino posso aprire la papilla e infilare un catetere che si sfrangia in più losanghe, una fine interna e una spessa esterna. Si apre e porta via i calcoli anche di grandi dimensioni. Il mezzo di contrasto va iniettato non con grande potenza perché potrebbe infilarsi nel Wirsung e determinare una pancreatite acuta. Le complicanze di questa tecnica possono essere formazione di pseudo cisti, necrosi massiva, raccolte fluide intra o peripancreatiche.

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Esami di seconda istanza:

• Angiografia

• Scintigrafia

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Patologie non neoplastiche delle vie biliari

Oltre alle malattie conseguenti alla calculosi, ostruttive per motivi neoplastici, infiammatorie croniche su base disimmune, ci sono 2 grandi categorie di patologie: malattie congenite e parassitarie. Per quanto riguarda le congenite la più importante categoria è quella delle atresie delle vie biliari, che insorge molto precocemente e si manifesta alla nascita. Con il termine atresia si identificano anche una serie di ipoplasie, quindi abbiamo un gradiente di gravità in funzione del livello di blocco dello sviluppo dell’albero biliare (dalla lamina duttale); ci sono vari punti in cui si può interrompere lo sviluppo e quindi si parla di ipoplasia o atresia e troviamo soggetti che non hanno né dotti inta- né extraepatici oppure coloro che hanno soprattutto, per esempio, una atresia dei dotti extraepatici ma hanno normale configurazione dell’albero biliare intraepatico. In questi casi si effettua l’intervento di Kasai: fa risalire un’ansa intestinale interrotta che si abbocca all’ilo epatico, scorticando il periepate, apre l’ansa intestinale contro questa parte cruenta e nello sviluppo successivo si crea una contiguità tra albero biliare e via biliare “artificiale”, che prende la forma di un normale condotto extraepatico biliare senza colecisti e si può avere una vita praticamente normale (in certi casi di atresia che colpisce solo i dotti extraepatici).

La diagnosi è quella di un ittero neonatale che non finisce lì ma continua a crescere. L’ittero di solito scompare nelle prime 24-48 ore dalla nascita per cui questo ittero neonatale è una condizione fisiologica. Quando oltre a vedere il bimbo itterico alla nascita questo continua a crescere è un brutto segno che solitamente indica un difetto congenito dell’albero biliare. Chiaramente poi ci sono gli indici colestasici; la parola colestasi intende ritenzione di bilirubina e acidi biliari, per cui i test ematochimici poi confermano la salita progressiva di questi marcatori di non-secrezione della bile. Chiaramente poi ecografia, colangiografia, colangiografia a risonanza magnetica o tomografia (TAC) permettono di vedere l’assetto delle vie biliari.

Il trattamento è questa stomia del digiuno: si interrompe l’intestino a livello digiunale, si tira su un’ansa che si abbocca a livello dell’ilo epatico, tecnica confezionata in modo specifico per questa patologia dal chirurgo Kasai, da cui prende il nome, e si chiama anche epato-porto-entero-anastomosi, che serve a portare l’intestino a livello della porta del fegato per creare una via biliare artificiale.

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Questa condizione può esitare nel migliore dei casi a restituzione ad integrum della funzione biliare oppure può causare rischi di infiammazione conseguenti al fatto che ci sono strutture con rischio di crescita batterica (la bile ottimo terreno di coltura) per cui un esito può essere la colangite cronica; conseguentemente, lo sviluppo di una colangite cronica, può portare a una fibrosi nel fegato. Quando i meccanismi infiammatori persistono, siano essi parenchimali (epatociti) o delle vie biliari (colangiociti), poi alla fine l’infiammazione persistente produce quella catena di eventi che determinano l’accumulo di fibrosi che può esitare verso la cirrosi. Come abbiamo già visto la fibrosi cresce e diviene cirrosi quando cambia qualitativamente (e non quantitativamente); è vero che questo cambio qualitativo tende ad avvenire quando la fibrosi è molto importante, perché è necessario che ci sia sufficiente tessuto rigenerativo fibrotico che, accompagnato da vascolarizzazione sufficientemente ampia, permetta a questi nuovi vasi di creare dei ponti tra le aree anatomiche del fegato, che sono quelle classiche della triade portale (arteria che porta sangue arterioso, vena che porta sangue venoso dall’intestino e vie biliari che portano in via epatofuga la bile) e la vena centrale, che si trova dopo il filtro e raccoglie il sangue che attraverso la vena cava va al cuore: il sangue passa dalla triade ai sinusoidi, che sono il filtro biologico del fegato; se la fibrosi è ampia si rischia che a livello del lobulo questo ponte fibrotico metta in contatto spazio portale e vena centrolobulare e crei, con i neovasi all’interno della formazione fibrosa, dei ponti, dei veri e propri shunt, che shuntando la vascolarizzazione rendono la funzione del fegato ridottissima, perché i prodotti assorbiti nell’intestino prima di venire a contatto con le cellule epatiche devono fare più giri nella circolazione generale quindi la funzione è ridotta. Una domanda per l’esame per capire se uno ha capito: c’è ipertensione portale sempre con la cirrosi o anche senza cirrosi? Può venire anche senza cirrosi, perché se hai una fibrosi molto importante, ma non si sono creati i ponti vascolari, in realtà il salto funzionale non è avvenuto, quindi non si ha la vera cirrosi (presenza di ponti con salto del filtro epatico e passaggio diretto del sangue tra porta e vena centrale) ma la fibrosi porta a irrigidimento del fegato e quindi aumenta la resistenza e si ha che la porta si svuota più lentamente, per cui si ha ipertensione portale senza cirrosi.

Un’altra importante anomalia sempre dell’albero biliare di tipo congenito sono le cisti del coledoco, che insorgono nell’infanzia, chiaramente un po’ dopo perché ci vuole un po’ di tempo per accorgersi di questa anomalia. È una estroflessione nella forma cistica di questo tubino che porta la bile dal fegato al duodeno. Può essere

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localizzata quasi dappertutto però più facilmente avviene in un punto; la formazione che può dar esito a questo sacchetto cistico è di solito nella localizzazione preduodenale o addiruttra duodenale dove si trova più frequentemente; la cisti del coledoco è quindi più facile nella zona distale, anche se ci sono tipi nel tratto medio meno frequenti. La posizione più rischiosa è quella intraduodenale. Perché? Perché qui avviene la confluenza tra coledoco e Wirsung e come sappiamo esiste una certa variabilità individuale nella configurazione e se c’è anche un sacchetto può capitare che si gonfi, che faccia refluire il succo che arriva dal Wirsung. Se uno ha una cisti ma il coledoco arriva direttamente nel duodeno, senza confluire con il Wirsung, non ci son problemi; se invece uno ha una confluenza per sua conformazione per cui arrivano sia Wirsung che coledoco, con l’estroflessione sacciforme tutti i proenzimi del pancreas, che si attivano con il pH basico del duodeno (che è determinato proprio dalla bile), si attivano direttamente dentro questa cisti del coledoco che viene digerita dai succhi pancreatici, per cui si crea una infiammazione acuta per autodigestione. Ogni volta che c’è un’infiammazione cronica che dura nel tempo questo costituisce un rischio rigenerativo e c’è il rischio di neoplasia, in questo caso il colangiocarcinoma. Questo fatto di scatenare un evento acuto come quello descritto è un evento casuale per cui uno può avere questo evento una volta rispetto a 1000 in cui tutto è andato bene, perché magari sono cambiate delle circostanze di maggior viscosità, reflusso della papilla, per cui entro 10 anni può capitare e si ha una colica acuta con aumento delle amilasi, viene scambiata per una pancreatite e in realtà è una cisti del coledoco, che viene diagnosticata con le indagini già viste per la pancreatite. Quindi il meccanismo è quello di reflusso di succo pancreatico che causa infiammazione.

Nell’altro corso di Patologia Sistemica fate molto bene le parassitosi, per cui non mi sto a dilungare però è importante sapere alcuni elementi per le diagnosi differenziali, soprattutto oggi che viviamo in un mondo globalizzato. Bisogna starci attenti soprattutto se capita di avere problemi clinici in pazienti provenienti dal Nord-Africa (Algeria, Marocco) perché in queste zone può essere più facile trovare individui con parassitosi. Una parassitosi che dà patologie che possono essere confuse con patologie colestatiche sono la distomiasi, la fascioliasi e un’ostruzione biliare da Ascaris (l’abbiamo già detto, una ragione di ostruzione sia del dotto pancreatico che coledocico, oltre che i calcoli, possono essere ascaridi che si incuneano e vivono nell’ultimo tratto del coledoco). Bisgona ricordarsi che la patogenesi è caratterizzata dalla presenza di vermi adulti nelle vie biliari oppure dalle piccole metacercarie che

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si schiudono nel duodeno e risalgono alla papilla del Vater e possono risalire le vie biliari fino alle vie biliari intraepatiche più importanti; oppure risalgono fino al pancreas e possono dare sia pancreatite che colestasi con coliche biliari come fossero dei calcoli. Il ciclo interessa i pesci di acqua dolce e ci stati sono episodi avvenuti in laghi italiani (Trasimeno o Bolsena) in cui è stata allevata una carpa importata dalla Romania e hanno mangiato la carpa cruda (cosa mai successa nella storia dell’umanità) e hanno beccato tutti la fascioliasi e hanno avuto problemi. Quando si mangia il pesce crudo bisogna avere cultura, il pesce crudo giapponese viene mangiato dopo averlo tenuto per mezz’ora a -20 in modo che le larve dei parassiti muoiano e poi i pesci di acqua dolce non si mangiano mai crudi.

La clonorchiasi-opistorchiasi è un’altra di queste patologie. Le parassitosi generalmente quando sono importanti danno aumento degli eosinofili, per cui un test è il numero di eosinofili quando si fa la formula leucocitaria (sempre guardare la formula). A volte 2-3 eosinofili sopra la norma possono indicare di stare attenti che quel soggetto non abbia parassitosi; dunque un emocromo che mostri eosinofilia deve sempre ricordare di andare a cercare parassiti nelle feci: non è un esame semplice e come sempre sarebbe opportuno sapere dove fare l’esame e chi lo fa (per ogni esame chi lo fa deve capire ciò che sta cercando, sennò è come non farlo); è un esame difficile, le feci vanno mandate al più presto (prese al mattino o tenute in frigorifero perché sennò le uova non si vedono più) a uno che sia capace di vedere le uova del parassita, per cui serve un occhio abituato; meglio portarle a un centro veterinario, perché nei cani e gatti sono comunissimi e quel biologo avrà l’occhio molto abituato. Quest uova sono 35x20micron e sono eliminate in quantità di 4000 al giorno per cui nelle feci se ne trovano sempre alcune, basta saperle vedere con esperienza.

La Fasciola hepatica è un parassita che ha il ciclo nei bovini e negli ovini e le cercarie sono generalmente introdotte nel mammifero dal consumo di piante acquatiche, come il crescione (che si mangia anche nelle insalate molto prelibate in Francia) e se uno raccoglie insalata vicino a posti dove circolano bovini o ovini parassitati rischia che ci sia cercaria che finisce nell’uomo e si ha la colestasi per incistamento a livello del coledoco; anche qui le uova si assomigliano un po’ tutte e una volta trovate si possono fare test più fini, anche immunologici che si possono condurre per fare diagnosi. Da noi non sono così importanti però nel mondo si pensa che ci siano 2 milioni di persone che hanno questa patologia, in Europa è rara magari si trova nella famiglia immigrata. Per cui se un paziente ha una colica o trova casualmente esami

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con colestasi non tanto elevate, le considerazioni da fare sono diverso se ci si trova davanti a due persone della stessa età una italiana e una arrivata da un paese dall’altra parte del mondo. Quindi una buona norma per il medico è andare a vedere le malattie e le endemie prevalenti della zona del mondo da dove arriva quel paziente e questo aiuta a fare gli approfondimenti giusti.

La colangite è un’infiammazione che colpisce le vie biliari e può avere varie eziologie: malattie infiammatorie croniche, ostruttive o congenite, sempre le solite storie, quando si ragiona si deve entrare nell’ottica di mettersi in testa dei concetti: se c’è una tubistica il tubino può turarsi, per cui le patologie possono essere ostruttive (le ghiandole endocrine non possono avere patologie ostruttive; un organo cavo sarà il trionfo delle patologie ostruttive).

Ora cambiamo discorso e entriamo nell’evento base della colestasi, la crescita della bilirubina e l’ittero. Vediamo come è il circolo metabolico della bilirubina con uno schema molto semplice che aiuta a ricordarsi e capire bene gli elementi. Le cellule rosse senescenti sono la maggior origine di eme e il catabolismo dei globuli rossi determina una serie di prodotti tra cui la bilirubina, rottamata dal macrofago che fa questo lavoro nel fegato, nella milza e nel sistema reticoloendoteliale. Il macrofago prende il globulo rosso e rispara nel sangue la bilirubina, che arriva a livello del fegato che ha al capacità di captare la bilirubina non coniugata o libera, veicolata dall’albumina (è una specie di tir che la porta in giro, è un trasportatore di una serie di cose, tra cui la bilirubina). Una delle ragioni per cui sale la bilirubina nel cirrotico è perché scende l’albumina, se tu gli dai albumina riduci anche la bilirubina perché in quel momento mancavano i trasportatori. La bilirubina viene captata dal fegato e qui coniugata con l’acido glucuronico, per cui si costituisce la bilirubina coniugata, che a sua volta viene immessa nel torrente sanguigno e secreta nella bile. A livello intestinale, l’acido glucuronico viene rimosso dai batteri e questi convertono la bilirubina in urobilinogeno. L’urobilinogeno in parte viene riassorbito nel torrente sanguigno e ricircola, in parte viene secreto dal rene, che lo converte in urobilina, e determina il colorito giallo delle utine. Quasi tutto il giallo che vediamo nell’urina e lo scuro (il marrone) delle feci, oltre che i liquidi biologici che secerniamo e produciamo, che hanno tutti come base il siero, hanno un colorito che dipende dal contenuto di prodotti della bilirubina. A livello intestinale l’urobilinogeno è ossidato e determina la stercobilina e si hanno feci brune; se uno ha importante ostruzione delle vie biliari e non ha più urobilinogeno che arriva all’intestino le feci sono chiare e la domanda da fare a un itterico è sempre sul colorito di urine e feci perché capisci:

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se ha urine scure e feci quasi bianche si ha totale ostruzione (si scuriscomo le urine perché l’urobilinogeno viene tutto passato nel sangue, il rene si attiva al massimo e cerca di trasformarlo tutto e eliminarlo nelle urine).

Nel sangue quindi misuriamo bilirubina coniugata e non coniugata (indiretta), con valori medi nei soggetti normali che sono: coniugata inferiore a 0,2mg/dl e non coniugata inferiore a 1mg/dl. Nelle urine generalmente abbiamo tracce minime di bilirubina coniugata, mentre è assente bilirubina non coniugata (mentre di urobilina ne troviamo). Se troviamo bilirubina coniugata che sale possono succedere tante cose: può esserci eccessivo catabolismo degli eritrociti (ematologia e gastroenterologia spesso collegate) quindi tutte le iperemolisi che determinano un rischio di sovraccarico del fegato, sono tutte situazioni acquisite; ci sono poi situazioni proprie, in cui la riserva della funzione epatica è ridotta, dovute alle patologie già viste e la captazione della bilirubina può essere ridotta; ci sono poi forme congenite molto rare mentre piccoli difetti congeniti di captazione sono abbastanza frequenti (perché nella normale fisiologia ciascuno dei nostri fegati ha una capacità di captazione sua specifica: capacità, velocità, competenza di captare sono regolate da vari geni e ci sono soggetti che sotto sovraccarico tendono ad essere più lenti a captare la bilirubina indiretta e quindi la funzione di coniugazione del fegato può avere difetti minimi anche in molte persone). L’assunzione del cibo è uno stimolatore del trasporto e della coniugazione, mentre il digiuno è un rallentatore. Se uno sta a digiuno, più è digiuno e più rallenta questa funzione, per cui si tende a massimizzare la sua più o meno lenta capacità di captare la bilirubina. Almeno il 7-8 per cento delle persone possono avere un aumento della bilirubina indiretta sopra i valori normali anche fino a 2-3, restando tutta la funzione epatica normale: è per una ridotta capacità di captazione della bilirubina indiretta e non vuol dire nulla; l’unica cosa è che certi farmaci che arrivano dallo stesso tipo di ingresso potrebbero essere anche loro metabolizzati con lentezza; in futuro si dovrà stare attenti e variare le posologie (nell’ottica di una medicina personalizzata). Questi signori, magari con assunzione di alcuni farmaci che hanno metabolismi di questo tipo, possono avere un aumento della bilirubina fino a livelli che possono essere visti come ittero: si fa diagnosi facendo un prelievo alle 3 del pomeriggio dopo pranzo e uno a digiuno tipo al mattino successivo, se la bilirubina indiretta raddoppia il suo valore come minimo si è fatta diagnosi di uno dei tanti difetti, che viene chiamato sindrome di Gilbert. Invece quando la bilirubina è coniugata ci sono iperbilirubinemie neonatali da difetti genetici come la sindrome di Crigler-Najjar e

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altre disturbi generalmente più gravi, quindi gli itteri con bilirubina coniugata sono da guardare con più attenzione e accertamenti più approfonditi, se anche tutto è apparentemente nella norma (transaminasi e ecografia). Alcuni farmaci intervengono in quel polo e possono dare indiretto aumento della bilirubina indiretta perché fanno coda nella fila di prodotti che devono entrare attraverso quella porta. Tra i disturbi congeniti oltre al Crigler-Najjar c’è la sindrome di Dubin-Johnson e la sindrome di Rotor, che sono tutte manifestazioni con caratteristiche di diversi livelli di trasporto e coniugazione della bilirubina. I difetti sono nelle funzioni escretrici: la bilirubina che viene a prodursi è già coniugata. Ci sono condizioni in cui farmaci o anche anestetici sono metabolizzati attraverso lo stesso imbuto di ingresso nell’epatocita; per cui l’anestesia può far venire ittero a uno che ha sindrome di Gilbert: sta a digiuno e prende farmaci metabolizzati per questa via e quindi può accentuare difetti di coniugazione o di captazione della bilirubina indiretta. È chiaro e abbiamo già detto che un’altra ragione possono essere le patologie di fegato. Infine l’ostruzione biliare, di tipo meccanico, porta a aumento di bilirubina coniugata perché tutto funziona ma non la secrezione.

Un’indicatore di colestasi molto importante che si trova nelle cellule canalicolari e viene liberato quando queste vengono danneggiate (aumenta la permeabilità della membrana) è la fosfatasi alcalina. Anche qui, come si è già visto per gli enzimi pancreatici, gli enzimi hanno una caratteristica sequenza amminoacidica diversa tra cellule diverse; la fosfatasi alcalina è prodotta anche dai villi intestinali e dall’osso e ci sono isoenzimi (stessa famiglia, ma diversi) che possono essere separati con sistema elettroforetico detto l’altra volta. È importante perché il dubbio diagnostico viene sul giovane, che ha fosfatasi alcalina elevata perché in crescita quindi faccio l’isoforma dell’enzima. Un paziente con ittero lieve di tipo non coniugato, ha condizione fisiologica di rallentata captazione: se lo tiene e può esserci un piccolo disturbo estetico quando sta molto a digiuno (tende al giallo, basta che non stia a lungo a digiuno). Da un punto di vista pratico invece quando uno ha aumento della bilirubina coniugata si deve studiare la fosfatasi alcalina e uno fa gli isoenzimi se il soggetto ha meno di (colpo di tosse mentre dice l’età). Nelle forme ostruttive la fosfatasi alcalina epatica sale a valori anche molto elevati ed è indice di colestasi.

Altro indicatore sono la gamma-GT, meno specifico perché salgono in parecchie condizioni, è un enzima molto sensibile ed è prodotto in molte sedi (polmonare, duodenale); quindi tante patologie possono alzarlo ed è indotto da fumo, alcol, da quasi tutti i farmaci, per cui l’esposizione a queste sostanze e a tossici in genere

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determina una induzione delle gamma-GT; se anche uno prende un antibiotico per qualche giorno per curarsi una faringite trova gamma-GT elevate anche 2-3 volte la norma. Anche la suscettibilità alla salita delle gamma-GT è individuale per cui c’è una particolare sensibilità a certi farmaci ecc, quindi è meno specifico come marker di colestasi. Per cui quando si fa una serie di esami del sangue per capire e indagare la funzione secretoria biliare, si fa bilirubina diretta e indiretta, fosfatasi alcalina, gamma-GT e transaminasi, che ci dicono come funziona il parenchima; sono importanti perché se hai transaminasi normali e gamma-GT elevate puoi dedurre che c’è probabilmente una colestasi ma non c è infiammazione (perchè appena c’è infiammazione gli epatociti vicini si infiammano, aumenta la permeabilità di membrana e saltano le transaminasi). Quindi se uno ha indici di colestasi elevati ma transaminasi normalissime si può fare un certo ragionamento: il danno o è genetico o è da farmaci o c’è un calcolo ma non c’è colangite, perché sennò si muovono le transaminasi e questi concetti servono per la pratica clinica. (parte per i discorsi dove ribadisce che ci sono spesso imprecisioni in medicina, con alcuni che sparano teorie approssimative sul perché qualcosa accada, come la maionese; ne è un esempio la caduta delle piastrine nella cirrosi, per cui si dà la colpa alla milza, che però si ingrossa dopo che le piastrine cadono quindi non può essere la spiegazione giusta, che però si trova su tutti i libri).

Esistono altri enzimi tra cui la 5-nucleotidasi, che in genere non viene chiesta perché è ridondante, che potrebbe essere anche utile perché è specifica della colestasi quando ci sono dei dubbi: se per esempio arriva un signore che fuma 80 sigarette al giorno le gamma-GT sono spostate per il fumo, allora potremmo fare questo esame che non è influenzato dal fumo, c’è sempre una ragione per cui si fa l’esame (sempre fare esami per un perché!).

Si torna sempre al solito discorso sull’infiammazione: se noi andiamo ad attivare l’infiammazione si formano una serie si prodotti lipofilici e si attivano le cellule quiescenti stellate (anche dalla colangite). È un concetto da stampare nella testa, anche per l’esame, è il ragionamento: qualsiasi sia la patologia prolungata nel tempo, epatite o colangite, provoca sempre la stessa cosa. Se l’infiammazione comincia a far fare la rigenerazione si forma una doppia fila che vuol dire rigenerazione patologica e la filiera monostratificata non rimane la stessa, per cui si hanno multistrati con formazione di noduli e canali comunicanti e si va verso la vera e propria progressione verso la fibrosi importante, che già di per sé causa quell’ostruzione, perché si

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ispessisce si riducono i pori del filtro. La progressione verso la cirrosi si ha quando avviene il cosiddetto shunt tra la porta e la vena epatica: salta il filtro epatico.

Morbo di Crohn, due parole e l’abbiamo già fatto.

Emangioma

Circa un7-10% di tutte le ecografie dimostrano la presenza di una o più zone del fegato piccole iperecogene che sono emangiomi…abbiamo già fatto anche questo.

Difetti di produzione dell’eme

La produzione dell’eme avviene nel fegato (che si occupa come visto anche del suo smantellamento) quindi vediamo come il fegato può intervenire in alcune patologie metaboliche della costruzione dell’eme. Dall’acido levulinico si va per vari passaggi alla sintesi della protoporfirina, l’eme, e questi meccanismi hanno come prima ragione di non fisiologia difetti genetici, per cui esistono difetti per ciascun passaggio che possono determinare una anomalia nella transizione da un prodotto al successivo. E questo genera un accumulo generalmente del metabolita che non viene trasformato nel successivo e una serie di patologie dette porfirie; andremo a analizzare alcune delle ragioni principali e soprattutto la manifestazione clinica che deve farci sospettare porfiria. Sono caratterizzate da accumulo di porfirine a livello ematico, urinario o tissutale; determinano una serie di patologie. Sono conseguenza di un difetto genetico preciso di una trasformazione enzimatica del precursore dell’eme in un punto della catena di produzione. La porfiria consegue ad alterazioni genetiche che sono per la maggior parte autosomiche dominanti, alcune sono recessive; quella congenita eritropoietica è la più grave; generalmente possono trovare patologia sia in forma acuta che in forma cronica: si possono manifestare come fenomenologie sintomatiche acute o come danno cronico conseguente a infiammazione cronica, che segue questo fenomeno patologico. Quelle che hanno l’accumulo di metaboliti intermedi possono avere composti non fotosensibili o tetrapirrolici che creano fotosensibilità, che è causa di una serie di disturbi, perché si osservano momenti di irritazione per attivazione del prodotto chimico dalla luce; si verifica un momento di acuto danno che porta a infiammazione, per esempio a livello cutaneo in cui si ha una reazione di tipo allergico, con bolle e perdita di sostenza con ulcera, oltre che prurito: prurito, bolle e anche ulcera sono le tipiche manifestazioni da esposizione al sole di chi è affetto da porfiria. Poi dopo consegue che una serie di danni ripetuti portano a un iscurimento della cute.

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Questa diapositiva richiama tutti i passaggi che abbiamo da acido delta-aminolevulinico all’eme ed ogni passaggio può essere colpito da un deficit genetico; a seconda del difetto genetico abbiamo alcuni tipi di porfirie, queste non ve le ricordrete mai a meno che uno nella vita non diventi un esperto di porfirie. Per noi importanti sono alcuni aspetti. Alcune porfirie sono manifestate da avvelentmaneti da piombo, perché questo tipo di tossicità mette in evidenza il difetto metabolico e a questo punto di scatena l’evento doloroso, spesso compare un dolore acuto; una porfiria acuta può apparire come una colica addominale con urine scure (attenti possono richiamare la diagnosi). Quando non si arriva a questo punto si devono fare indagini chimiche per verificare l’eliminazione dei metaboliti. Una forma tipica che colpisce il fegato è la porfiria acuta intermittente, che è causata da fenomeni di iperacutizzazione intevallati ad altri di assoluta normalità, causata dalla deficienza del passaggio tra porfobilinogeno e idro-metilbilano, che determina urine scure che si accompagnano a episodi acuti, dolorosi, che si ripetono nel tempo. Quando ci si trova di fronte a persone che hanno coliche addominali molto forti come una colecistite acuta o pancreatite, ma non hanno nessuna alterazione né degli enzimi epatici né degli enzimi pancreatici e soprattutto sono giovani (perché generalmente il difetto genetico si manifesta in età giovanile), bisogna pensare alla porfiria e una domanda da fare è se le urine sono scure in concomitanza con gli episodi, allora si può fare gli esami; se però l’urobilina non è elevata e la bilirubina non è presente nelle urine bisogna ricordarsi di richiamare il dosaggio delle porfirine e dei loro metaboliti nelle urine. Quindi il danno può essere nei tessuti che producono questo passaggio enzimatico, sia nel reticoloendotelio e nella matrice eritropoietica, sia a livello epatico; esisitono poi delle sedi diverse a seconda del tipo di alterazione enzimatica. Un altro interessante aspetto della patologia epatica abbastanza frequente (nella relativa rarità di queste patologie) è la porfiria cutanea tarda, dove tarda sta per cronicità, manifestazione tardiva; la diagnosi può essere molto tardiva, quando c’è la cirrosi anche con un danno epatico cronico senza materia che è conseguito a infiammazione mantenuta nel tempo, che ha prodotto quello che abbiamo visto prima; in questo caso la diagnosi si fa con la dimostrazione dell’accumulo dell’uroporfirina a livello delle urine (è la più comune delle porfirie).

Quindi la porfiria è una delle cause di epatopatie croniche e anche di cirrosi e generalmente si associa a fotosensibilità, storia di un paziente che esponendosi al sole ha facili ustioni. Spesso questo viene confuso con sensibilità da tipologia cutanea, però se uno è attento si rende conto: i dermatologi dividono gli individui in

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fototipi e ci sono persone a rischio (pelle chiara e capelli rossi), però quelli che hanno la porfiria sono fototipi di derma che tollerano bene il sole e invece ogni volta che si espongono hanno delle ustioni; bisogna sospettare che abbia la porfiria e quindi fare le porfirine a livello urinario e fecale.

Esistono delle forme meno frequenti che sono chiamate porfiria variegata e sono difetti più tardivi della produzione dell’eme e colpiscono più l’aspetto ematologico e richiamano anemie. Quindi ogni volta che c’è un’anemia, anche lieve, vuol dire che c’è una tendenza ad avere un’inefficiente produzione di globuli rossi, se questa produzione così inefficiente non è da imputare ad altre cose bisogna pensare che può esserci un difetto, anche minimo (le penetranze non sono assolute); uno può avere anche difetti non importantissimi che poi si manifestano nel tempo creando fenomeni tardivi.

Nelle forme acquisite, l’abbiamo già ricordato, l’avvelenamento da piombo, perché c’è piombo che praticamente compete con lo zinco per il sito attivo di un enzima e ne determina la disfunzione e quindi la malattia si manifesta perché questo enzima è più labile; tenendo conto che l’intossicazione da piombo, se per dosaggio elevato, è un danno tossico per chiunque, a dosi non tossiche l’intossicazione da piombo può portare a disturbi importanti in chi ha questo difetto congenito.

Quando esistono queste patologie esistono anche importanti disturbi dello sviluppo, a livello anche neurologico, perché come potete immaginare la funzione enzimatica dell’eme è ridotta e il sintomo di presentazione è sempre (dice una parola che non capisco), questo dolore acuto tipo colica molto forte che assomiglia alla colica pancreatica. La porfiria e in particolare la porfiria con difetti enzimatici che si manifestano con avvelenamento da piombo, anche per esposizioni non eccessive in certi lavoratori, si manifestano come crisi simil-pancreatitiche acute, senza aumento delle amilasi e delle lipasi e quindi sono soggetti che vanno in pronto soccorso e vengono dimessi senza diagnosi.

Motilità intestinale

È un argomento importante, si devono ricordare alcuni concetti tenendo conto che è un bell’argomento che però nella pratica medica non ha grande rilevanza, perché il disturbo poi il paziente se lo tiene, ci sono interventi terapeutici molto poco utili, perché non ci sono farmaci che modifichino le funzioni precise di questa così delicata funzione.

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Il tratto GI è un tubo che parte con la bocca e finisce con l’ano, è un tunnel molto lungo che percorre l’intero corpo e questo percorso permette all’alimento di passare attraverso i vari segmenti grazie alla funzione motoria, cruciale per determinare tutta la fisiologia del tratto GI. La funzione motoria ha il vantaggio e svantaggio a seconda dell’attività eccitatoria/inibitoria, che può esercitare la contrazione della muscolatura liscia. Il sistema di stimolazione eccitatoria è sostenuta dal parasimpatico, col nervo vago e i nervi pelvici; la funzione inibitoria è esercitata dal sistema simpatico noradrenergico (colinergico il primo, noradrenergico il secondo) che caratterizza tutta l’innervazione dei nervi splancnici. Quindi 2 elementi eccitatorio e inibitorio, che generano nel loro equilibrio e nella loro sequenza l’importante funzione motoria di tutti il tratto GI, per far progredire il contenuto ma non solo, anche per determinare il rimescolamento, che è importante che avvenga perché se introducessimo il cibo e questo restasse fermo nello stomaco sarebbe difficile determinare digestione (per avere digestione bisogna anche rimescolare il contenuto e questo mescolamento è fatto attraverso contrazioni che avvengono a monte e a valle, con contrazione armonica e regolare che fa sì che il contenuto vada su e giù all’interno di un piccolo tratto dell’intestino e mescola). Quando non è necessario mescolare, la contrazione a monte vede un rilasciamento a valle e il contenuto progredisce. Questo meccanismo deve avere una centralina abbastanza ben organizzata, perché deve saper rilasciare in sequenza, per far progredire, quando quel contenuto è sufficientemente imbibito di materiale rimescolato. Per cui ci sono recettori sensibili a questa condizione, che sono cellule che poi comunicano con mediatori umorali con il sistema nervoso; gran parte di questo meccanismo è oggi ignoto o poco conosciuto, per cui è un campo di interesse per il futuro. L’intestino ha un sistema nervoso che è l’enteric nervous sistem (ENS) che è autonomo ed è un network di cellule e plessi nervosi, così importante che si manfiesta nel plesso meinterico di Auerbach (che si trova tra strato circolare e longitudinale della muscolatura liscia) e nel plesso sottomucoso del Meissner (che si trova più a contatto con la parte deputata all’assorbimento). Anche a livello dei microvilli esiste una capacità contrattile e di movimento dei microvilli che è importante anche per regolare l’assorbmento o meno di tutti i nutrienti, quindi la quantità di elementi che noi assorbiamo dipende dalla mobilità dei villi e dalla funzione motoria a livello intestinale gestita da questo plesso sottomucoso. Circa 100mln di neuroni sono presenti, è il secondo cervello. Quindi l’intestino e il SNE vanno considerati come una parte importante del SNC perchè deputato a mantenere la comunicazione tra SNC e SNE che regola funzione e assorbimento. Oggi si

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comincia a capire: anche il sovrappeso e in particolare l’obesità sembra essere una sregolazione tra asse del SNC e SNE, quindi quando si dice che l’obestità è una malattia centrale è una sregolazione della funzione neurologica.

Il plesso di Meissner è importante per regolare anche la funzione delle ghiandole che sono deputate all’assorbimento o alla secrezione. Il neurone ultimo si collega alle cellule paracrine. (segue un discorso con poco senso: l’attività endocrina, non tutto il sistema intestinale è sempre collegato a qualsiasi livello a questa regolarizzazione di tipo neurofunzionale collegata al plesso mienterico, mentre il plesso di Auerbach ha più funzione motoria). Strato longitudinale e circolare della muscolatura sono regolate tra loro per dare le diverse automazioni che abbiamo detto prima: la contrazione circolare determina apertura/chiusura, quella longitudinale propulsione per far progredire il contenuto; invece l’apertura/chiusura della circolare determinano la possibilità che, dopo la propulsione, il contenuto si sposti oppure venga bloccato creando quindi un mescolamento e non una progressione.

Attorno a ogni microvillo si ha una fine sfrangiatura di capillari, microarteriola e microvenula, che sono importanti per il passaggio degli elementi che vengono assorbiti; accanto a questi la perfusione viene regolata da una fine reazione dell’aumento di perfusione a livello capillare, sempre regolata dal plesso di Meissner. Quindi quanto flusso arterioso microcircolatorio avvenga per ogni sigolo villo è determinato da reazioni di tipo neuromuscolare a livello delle fibre di actina che ci sono nelle singole cellule e questo ci permette di amentare o diminuire in modo massivo la perfusione in funzione della necessità. Quando scatta il meccanismo di innesco della digestione, una serie di eventi a catena determinano l’iper-irrorazione di tutto il tubo GI che comincia a ricevere il contenuto all’interno e questo è un passaggio graduale. Infatti si dice che uno dopo mangiato non deve fare il bagno; la famosa congestione è dovuta a questo enorme fatto che se uno ha sufficientemente introdotto cibo per far partire consistentemente a livello di stomaco, duodeno e altri tratti la vasodilatazione (molto importante, perché a livello di ogni singolo villo si ha dilatazione di tutti i capillari) vuol dire che abbiamo una enorme compartimentalizzazione del volume ematico a livello intestinale, quindi il sangue non è disponibile per una attività fisica; se uno nuota ha anche esposizione al freddo, la cute per vasodilatazione compensatoria cerca di avere perfusione per cercare di mantenere la temperatura (per quanto ci sia una reazione di vasocostrizione iniziale), a questo punto manca contenuto ematico sufficiente per dare una iper-irrorazione in più distretti e allora comincia a mancare dove è meglio

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che non manchi, rischio di collasso a livello sistemico muscolare, ma soprattutto cerebrale, con lipotimia (e se stai nuotando e hai lipotimia non è bene). Ecco il meccanismo della congestione molto banalmente descritto a partire da questa enorme vasoregolazione che avviene a livello di ogni singolo villo, determinato dal fenomeno di assorbimento.

Per quanto riguarda la progressione del bolo che arriva dallo stomaco, anche qui ci vuole una importante regolazione finemente sequenziale tra la funzione eccitatoria e inibitoria e c’è la contrattura muscolare circolare e longitudinale che sono deputate ai meccanismi di movimento. Anche qui il ramo afferente dell’informazione sensitiva viene trasferita al SNC e a sua volta il SNC interferisce con questa funzione, sapete bene il detto che quando uno è emozionato può andare al gabinetto e avere diarrea, perché avviene l’eccitazione della motilità da parte del SNC (emozione, stress possono cambiare la funzione intestinale); ma sappiamo che anche i cambiamenti ormonali determinano questa condizione, soprattutto evidente nella donna che ha complessità fisiologica maggiore e cambi ormonali molto importanti anche durante la normale vita, nel ciclo mestruale, con diversi livelli di estrogeni e progesterone. Questi determinano situazioni di sensibilità motoria diversa, per cui c’è una diversa capacità di reazione dell’intestino dal punto di vista motorio; non infrequente che quando ad esempio si ha menopausa, nelle donne si abbiano disturbi della motilità molto importanti, così importanti che siccome deve essere ritarato il sistema della regolazione funzionale, perché sono cambiati alcuni recettori influenzati dal calo degli estrogeni, si ha a volte disfunzione motoria. Certi tratti dell’intestino hanno peristalsi anomala e paradossa, per cui se uno non ha regolazione della progressione del bolo in modo regolare e sequenziale succede che la contrattura a monte non corrisponde al rilasciamento a valle e il contenuto può essere schiacciato tra 2 contratture e si ha una contrattura dolorosa, perché il punto si gonfia. Questo viene percepito come uno spasmo o un dolore, quindi frequente come disturbo è un dolore addominale, difficile da definire, in momenti diversi della giornata, con alvo regolare né altre patologie, che il medico definisce con la bellissima diagnosi di “intestino irritabile”: so che c’è una disfunzione motoria e te la tieni, perché è difficile intervenire e anzi sbagliato. Infatti se io do farmaci che invertono rischio di determinare ipomotilità, per cui i farmaci che si danno hanno solo effetto placebo, che già è utile perché sappiamo che il cervello entra nella funzione. Ci sono anche farmaci importanti, tipo procinetici, come la capsicina del peperoncino, che fa partire la funzione motoria gastrica, che innesca a valle; è difficile correggere

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l’ipermotilità asincorna, per cui si danno sedativi che tagliano la connessione afferente, per cui il nostro cervello non riceve. In molti di questi disturbi probabilmente saltano le soglie e la soglia di allarme è più bassa e sento dolore per contrazioni che prima non davano dolore, come un antifurto troppo sensibile che salta per una piccola vibrazione. Così, ma molto più fine, è la percezione del dolore: per percepire dolore nel tratto GI serve un certo livello di tensione all’interno del tratto; quando saltano i meccanismi regolatori ormonali, facilmente nelle signore che vanno in menopausa, questo cambio porta a percepire come dolorose molte contrazioni del tratto GI che prima erano non percepite come dolorose e se la signora è preoccupata arriva a fare interventi chirurgici, per tagliare pezzi dell’intestino che non risolvono niente; dopo un po’ che si è fatta tagliare, nel frattempo passano gli anni, la fisiologia ritara il sensore e il disturbo è passato e gli interventi sono stati del tutto inutili, se non si faceva nulla e si aspettava si evitavano gli interventi. Quindi si capisce la difficile gestione di questi fenomeni fisiologici motori in queste fasi.

Non è così facile analizzare la motilità di un tratto intestinale molto lungo e tutto avvoltolato nella matassa intestinale. Una via interessante di ricerca sarà quella di studiare come il cervello registra queste percezioni: possiamo documentare, a livello di funzione elettrica cerebrale, le zone in cui il cervello riceve afferenze dal SNE e se noi riuscissimo a registrare dall’area cerebrale avremmo un olter, simile a quello della pressione o della funzione cardiaca sulle 24 ore. Cioè una volta capito che in quella zona del cervello vengono percepiti i messaggi di afferenza del SNE, si potrebbe per 24 ore monitorizzare il tipo di reazioni elettiche come una specie di elettroencefalogramma di quell’area cerebrale e il profilo di quel tipo di area in un soggetto in condizioni standard (cibo a una certa ora, pasti in una certa misura). Misuro contrazioni e registro a livello cerebrale (ci vorrà un salto di complessità), ma in futuro si potrà avere una specie di olter di come viene registrato a livello cerebrale la funzione, quindi potremo capire se funziona o no la motilità analizzando i centri cerebrali deputati alla registrazione dei fenomeni enterici.

Ci sono poi immagini di contratture, la massa progredisce con sincronia di contrattura a monte della porzione circolare rispetto a quella longitudinale; c’è una fase di mixing quando le 2 contrazioni determinano non la progressione ma l’andare e venire del contenuto in un segmento; c’è un effetto propulsivo quando viene aperta a valle e si ha lo svuotamento del tratto a monte, questo vale per svuotare sia lo stomaco che il piccolo intestino; e anche qui è possibile registrare elettricamente,

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con elettrodi a livello di quella parete; se noi mettiamo questi sensori andremo a studiare le dinamiche delle onde che vengono create per il mixing e degli spike che determinano le contrazioni da progressione.

Se uno fa indagine radiologica vede il bario bianco che si diffonde nei tratti dell’intestino e dipinge la forma della parete, che è secondaria ai momenti di contrazione che esprimono quel momento dinamico. Dalle lastre si vede che le contratture dei vari segmenti sono diverse: le contratture di progressione veloce con tanti anellini contratti con festonature si trovano nell’area digiunale (digiuno perché in reperto autoptico sempre vuoto), che contraendosi velocemente tende a svuotarsi; i tratti più a valle, intermedi, sono meno pervasi da contratture di questo tipo; scendendo ancora, verso l’ultimo tratto, è di nuovo più attiva. Quindi ci sono tratti alternati dove succede quello che abbiamo detto: il primo mescolamento, una fase in cui si vuole ottimizzare la funzione fisiologica dell’intestino e poi c’è la parte contrattile. A livello del colon si trovano contratture molto importanti, soprattutto a livello del colon trasverso, perché è un colon che tende a svuotarsi, dove non vediamo contratture è l’ultimo tratto; a livello dell’ampolla rettale si ha che questa è sempre ferma se non alla defecazione, invece il sigma si contrae parecchio perché in quel punto viene accumulata una quantità di feci e quando spinge nell’ampolla rettale viene richiamato il bisogno alla defecazione e entrano in gioco i muscoli volontari. Ci sono relazioni tra sistema vagale e splancnico nei 2 apetti inibitorio e stimolatorio. Ci sono connessioni anche a livello di corteccia, che regolano la sensibilità oltre al quale noi percepiamo motilità e dolore; a volte percepiamo anche la motilità, sensazione che qualcosa si è mosso, mentre l’intestino si muove sempre, per cui abbiamo una soglia di sensibilità che muta per meccanismi di fisiologia spesso condizionati da situazioni di cambio ormonale, per questo è più frequente nella donna.

Una cosa importante del reflusso gastro-esofageo è la motilità, per cui quando si discute di reflusso in esofago una cosa importante è capire i meccanimsi fisiologici che determinano reflusso, perché è un fenomeno fisiologico: il reflusso gastro-esofageo è fisiologico, è un fenomeno che normalmente avviene, però avviene non così di frequente e in maniera limitata (il tubo è fatto in modo che il contenuto vada verso il basso, refluisca talvolta ma non in modo frequente). Quindi attenzione che il reflusso gastroesofageo è fisiologico. Il reflusso è causato soprattutto dalla motilità dello stomaco perché è vero che è condizionato dalla capacità di chiusura dello sfintere esofageo inferiore però, come si può immaginare, se c’è una porta che può

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aprirsi non basta che si apra ma deve esserci anche materiale che spinge (è chiaro che tanto più chiude tanto più non passa materiale). Quindi lo stomaco che non si svuota rapidamente è determinante. Quando si parla di reflusso gastresofageo si deve dire cos’è e cosa lo determina ovvero soprattutto la capacità di svuotamento dello stomaco, che è un fatto motorio fisiologico probabilmente geneticamente determinato da moltissimi fattori, quindi è molto personale la capacità e la velocità di svuotamento dello stomaco, condizionata da vari fattori compresa la quantità e il tipo di cibo. Allo stesso modo un lavello trabocca non tanto se lascio l’acqua aperta, ma se si tura lo scarico; lo stomaco che si svuota lentamente non è turato però provoca lo stesso effetto (un ostacolo a valle che provoca reflusso). È un meccanismo importantissimo ed è qui che i procinetici possono rivelarsi utili.

Importante ricordarsi lo schema che ci permette di distinguere le varie cause di disfagia (intende difficoltà a mangiare, a far passare il cibo): l’approccio al paziente con disfagia viene definito con la sigla ENT (ear, nose and throat), devi preoccuparti di 3 punti importanti che sono fisiologicamente competenti per il mangiare: sistema nasale, orecchio o gola (otorino o gastorenterologo, se non è un problema oncologico). Come si capisce? Importante la descrizione del sintomo. Il disturbo che lei sente ce l’ha quando deglutisce, a volte le va il cibo di traverso tanto che mangiando o bevendo le viene da tossire, vomitare con rigurgito? Questo va capito bene e se la sensazione è di una diversa via che prende il cibo con tosse e rigurgito: se sì o no si aprono 2 capitoli. Se è “no” il disturbo è basso, non è della sfera alta del cosidetto orecchi, naso e gola, se invece è “sì” bisogna concentrarsi nei problemi di funzione della gola e quindi orofaringe, con distinzione se il disturbo motorio è neurologico o meccanico. Se è meccanico può essere un divericolo, una crescita, anche neoplastica, un’alterazione anatomica; oppure funzionale, per cui serve una visita neurologica, per capire che non sia uno dei sintomi iniziali di una malattia neurodegenerativa (anche una SLA può esordire così, cominciano nei distretti più sensibili). Se invece non c‘è un disturbo così alto, la risposta iniziale è no. La domanda successiva è di chiedere se il disturbo compare con liquidi, solidi o entrambi: è una cosa importante. Se compare solo coi solidi l’ostruzione è meccanica che non ostruisce completamente e il liquido passa mentre il solido non passa (ci sono più rischi che ci sia una neoplasia o un diverticolo che si riempie e protrude nel canale esofageo). Se è solo per i liquidi, soprattutto piccoli sorsi, il disturbo è generalmente motorio della seconda parte dell’esofago (perché i solidi invece scendono meglio per la gravità), quando il liquido non scende generalmente vuol

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dire che c’è più reflusso per cui tendono ad essere accompagnati da bruciore. Ecco che allora ci siamo già orientati su una domanda che è importante. Si può fare una esofagoscopia. Se siamo orientati per i solidi è un fatto meccanico, compreso carcinoma dell’esofago, mentre se è un problema da ipomotilità si potrebbe avere una alterazione motoria estesa, con malattie tra cui la sclerodermia e l’acalasia, la prima tipicamente di tipo sclerodermico che colpisce quel tratto della mucosa, l’altra di tipo neurologico. Ci sono anche delle possibilità di misurare, con l’introduzione di un sondino con palloncino che si gonfia in esofago e registra il punto in cui viene schiacciato da una contrazione; è un cilindro attorno al sondino, si gonfia ed è un sensore che se lo schiaccio a seconda della zona mi registra dove è avvenuta la contrazione, per cui vengono fuori diagrammi di contratture dei vari segmenti. Nel soggetto normale a cui do un bicchier d’acqua osservo che deglutisce, contrazione, si apre lo sfintere esofageo, parte la peristalsi che è sincronizzata e quando arriva all’esofago inferiore immediatamente si apre lo sfintere e va allo stomaco, tutto è sincronizzato. Questo è interessante perché quando confrontiamo questo soggetto normale con altri soggetti si può capire dalla diversità del tracciato di contrattura dove è avvenuto il problema. Nel secondo soggetto si ha contrattura poco evidente, ipomotilità per sclerodermia. Nell’acalasia il tracciato è molto simile alla sclerodermia con la differenza che lo sfintere esofageo inferiore lavora a pressioni molto più alte che nella sclerodermia, quindi si rischia che l’esafago non si svuoti, perché si muove poco e la tensione dello sfintere inferiore è alta perché è contratto (si cura con la dilatazione fisica dello sfintere, con dilatatori per diminuire la pressione in quell’area). Nello spasmo si ha una contrazione compleamente anomala e sregolata, tipica di disturbi neurologici; qui lo spasmo colpisce il tratto medio e inferiore ed è generalmente doloroso, con contrazione dolorosa che somiglia a infarto e può essere scatenata da cibo freddo. Può capitare in fisiologia con sostanze gelide e gassate: arriva il liquido che determina una sregolazione con spasmo di contrattura (dolorosa per la dilatazione del tratto in mezzo a due contratture anche solo dovuta al gas) mentre si osserva una apertura dello sfintere esofageo inferiore, per cui un dolore che tende a far rilasciare lo sfintere inferiore. A volte in soggetti che tendono a svuotare lentamente, in situazioni di pasti particolarmente abbondanti, potrebbe succedere che lo stomaco sia troppo riempito, il soggetto ha bevuto gassato, il gas detende il fondo, la distensione e l’angolatura del fondo potrebbe portare a una configurazione con spasmo dello sfintere esofageo inferiore, che non si rilascia e si ha una sensazione dolorosissima, per la tensione dello stomaco che può simulare l’infarto con sensazione di compressione retrosternale. La

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terapia consiste nel bersi un bicchierone di coca cola fredda che dà l’effetto detto prima: crea un momento di iperstimolo che rilascia, fa fare il famoso “rutto sonoro” e libera dal dolore; se non rutti vai in pronto soccorso e vediamo se c’è l’infarto. Nell’ultimo tracciato si ha una cosa più grave, un disturbo che parte dalla faringe, è una paralisi di tipo neurologico e colpisce la parte faringea.

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Epatologia

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Epatiti virali

Schematicamente possiamo dividere le malattie croniche del fegato in due ordini:- Malattie parenchimali, che colpiscono prevalentemente l’epatocita, ed è

l’epatopatia vera e propria;- Colangiopatie, che colpiscono le vie biliari.

Non sono sempre eventi distinti, esistono malattie prevalentemente parenchimali nelle quali sono comunque coinvolte le vie biliari e viceversa. Esiste ad esempio nella fase iniziale della cirrosi biliare primitiva, che per definizione è una colangiopatia, l’interessamento infiammatorio del parenchima epatico. In quel momento distinguere un’epatite autoimmune e una cirrosi biliare primitiva in fase iniziale è un problema di diagnosi differenziale.

Il danno epatico può essere acuto o cronico. In genere si definisce cronico un danno che si mantiene in modo persistente e intermittente per almeno 6 mesi.

I fattori eziologici sono numerosi: virus, alcool, sostanze tossiche, farmaci, alterazioni genetiche che possono portare ad esempio ad un alterato metabolismo del ferro o del rame (es. emocromatosi e morbo di Wilson),…In Italia, nell’epidemiologia delle malattie croniche di fegato, il ruolo delle infezioni da virus dell’epatite B e C è stabile e rilevante.

I meccanismi patogenetici di danno epatico sono schematicamente:- Danno diretto a carico dell’epatocita, come ed esempio il danno tossico, il

danno da alcool o da farmaci. Anche alcuni virus, occasionalmente, possono essere direttamente lesivi. Lede direttamente l’integrità e la funzionalità dell’epatocita dando un danno epatico che solitamente si esplica come lesione anatomo-patologica nella steatosi. La steatosi è la tipica reazione dell’epatocita. Si ha poi anche danno metabolico ovviamente.

- Danno immunomediato, causato tipicamente dai virus e ovviamente nelle malattie autoimmuni. La risposta immune del soggetto infettato causa danno epatico.

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La definizione che si trova nei libri di epatite cronica è: “processo necro-infiammatorio che si realizza a livello del fegato e si mantiene per almeno 6 mesi senza l’evidenza di una tendenza alla risoluzione”.

Il danno epatico cronico può avere decorso intermittente; biochimicamente si possono avere delle fluttuazioni delle transaminasi nel tempo che possono far pensare a una remissione del danno, ma ciò è solo temporaneo. Istologicamente si mantiene la necro-infiammazione che può andare incontro a una relativa remissione, ma si mantiene comunque.

La prevalenza del danno da epatite cronica è condizionata dalla prevalenza dei diversi fattori eziologici. Nei Paesi dove si ha endemia dei virus epatotropi avremo un tasso di epatopatia cronica significativo, mentre questo si riduce notevolmente in altre aree del mondo. L’Asia è un area in cui la prevalenza di infezione da HBV era ed è tuttora molto elevata, mentre nell’area mediterranea fino a 25 anni fa la prevalenza era medio-alta. Nell’Europa Settentrionale la prevalenza è bassa, con casi soprattutto importati. Qui si ha relativa prevalenza di danni epatici cronici dovuti a fattori esotossici come alcool e danni autoimmuni.

Rivediamo le principali eziologie: - I principali virus epatitici sono il B, il δ e il C; - Abbiamo poi l’epatite autoimmune;- L’epatite farmaco-indotta- Esiste poi un esiguo numero di forme cosiddette criptogenetiche la cui

eziologia non è nota. Ci stiamo rendendo conto che patologie che fino a poco fa venivano indicate come criptogenetiche sono spesso multifattoriali, con una componente di tipo dismetabolico conseguente alla steatosi.

Danno epatico immunomediatoNel caso dell’autoimmunità si ha una reazione immunologica costruita contro i costituenti di membrana che si comportano da antigeni autologhi.Nel caso dell’infezione virale si ha risposta immunitaria contro gli antigeni virali presentati dalle molecole di istocompatibilità.Istologicamente troveremo gradi variabili di necrosi e infiammazione, a cui si associa il processo di reazione cicatriziale, di fibrosi.

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Usualmente il processo necro-infiammatorio si origina e, nelle forme di minore entità, si localizza prevalentemente a livello dello spazio portale. Questi risultano espansi per la presenza dell’infiltrato infiammatorio, caratterizzato da linfociti, nelle forme autoimmuni prevalgono le plasmacellule.

L’allargamento dello spazio portale dal punto di vista istologico è la prima evidenza di processo infiammatorio di fegato, ma anche identifica quadri di scarsa aggressività. Infatti l’impegno maggiore si dimostra quando si ha il cosiddetto spill-over, cioè quando i linfociti si infiltrano oltre la lamina limitante dello spazio portale e cominciano ad infiltrarsi nel parenchima epatico. Quando esiste questo spill-over si parla di spill-necrosis che è quel processo infiammatorio più aggressivo che è proprio delle fasi di maggior attività di malattie del fegato.

Abbiamo poi delle lesioni anche a carico del singolo epatocita che può essere rigonfio, e in questo caso si parla di degenerazione balloniforme, oppure può andare incontro a una sorta di raggrinzimento, processo tipico della morte dell’epatocita a seguito delle citochine che portano alla comparsa di corpi acidofili che rimangono o sono lo spettro ultimo dell’epatocita defunto.

Abbiamo poi la necrosi che può essere focale oppure confluente. Il processo necro-infiammatorio può congiungere due spazi portali attigui o lo spazio portale con lo vena centrale. La necrosi confluente indica un momento di particolare aggressività del danno necro-infiammatorio, in particolare la necrosi che congiunge lo spazio portale alla vena centrale viene vista come indice di particolare aggressività perché se a questo seguirà il deposito cicatriziale sarà il preludio all’alterazione dell’architettura anatomica del fegato che porterà alla cirrosi epatica. È un indicatore di severità di danno.

La cirrosi è appunto una condizione caratterizzata da un incremento importante della componente fibrosa del fegato, ma soprattutto dall’alterazione dell’architettura dell’organo.In realtà il processo fibrotico è la risposta cicatriziale all’insulto, è una risposta abbastanza monotona. Deriva dall’accumulo extracellulare di una matrice che è prodotta soprattutto dalle cellule stellate che vengono attivate dalle citochine prodotte nel processo necro-infiammatorio. Quindi aumenta lo spessore che si trova

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tra la struttura dei sinusoidi (capillari fenestrati che permettono un rapido scambio di prodotti del catabolismo) e epatociti. La fibrosi quindi altera lo scambio tra sinusoidi e sinusoidi, rendendolo più difficoltoso.

La fibrosi è comunque un processo altamente dinamico, la matrice viene deposta ma viene rimaneggiata ed eliminata e quindi se il processo che induce il danno viene eliminato prima che si alteri l’architettura del fegato in modo sostanziale e definitivo ci può essere una “restitutio ad integrum” dell’organo.

Il processo di progressione della fibrosi:• assente• setti modesti che congiungono spazi portali• setti che coinvolgano in modo sporadico la vena centrale• setti che coinvolgono definitivamente la vena centrale.

Si costruiscono quindi dei noduli che vanno a creare un’architettura epatica totalmente diversa. Questa è la condizione della cirrosi, caratterizzata da questo aumento della fibrosi e soprattutto dallo scompaginamento delle usuali relazioni tra le strutture vascolari che culmina anche in un processo neoangiogenetico che crea nuove strutture vascolari all’interno del fegato che alterano totalmente la usuale emodinamica epatica e sono alla base di quella che è in quest’epoca la più rilevante complicanza della cirrosi: l’epatocarcinoma.

Dagli stadi di fibrosi lieve o moderata è possibile una reversione alla totale scomparsa della fibrosi grazie ai rimaneggiamenti di cui sopra. Esiste invece perplessità sulla possibilità si reversione dalla condizione di cirrosi. Esistono studi recenti che dimostrano che pazienti in stadio iniziale di cirrosi potrebbero avere una reversione totale se guariti della loro malattia.

L’elemento fondamentale da tenere presente è che la storia naturale dell’epatopatia cronica si sviluppa nell’arco di anni, usualmente decenni, e l’andamento non è lineare. Il soggetto può presentare nel corso della vita delle velocità di progressione diverse che sono condizionate dal sopraggiungere a un certo punto di cofattori di danno, dall’invecchiamento e dai cambi ormonali che ad esso conseguono (per esempio nell’epatite C è assodato che nella donna gravidanza e menopausa sono associate a cambiamenti della aggressività dell’epatite).

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Quindi quando approcciamo un malato di epatopatia croniche dobbiamo, sì classificare e stadiare la malattia, ma dobbiamo avere sempre un concetto dinamico della malattia, tenendo presente che il paziente non sarà uguale a se stesso, ma si modificherà nel tempo e quindi avere attenzione al monitoraggio nel tempo per cogliere le eventuali variazioni di aggressività della malattia.La progressione è comunque lenta e non sempre avviene, solo nel 30-40% dei casi.

Ricorda la progressione: fegato normalefegato con epatite cronicafegato cirrotico (fin qui il paziente è asintomatico)cirrosi avanzate con complicanze quali la compromissione funzionali.

Il buon epatologo deve avere quella attenzione nella valutazione del soggetto che evita di incidere negativamente sulla qualità della vita del soggetto, che gli si presenta solitamente asintomatico e con una vita normale.

Abbiamo detto che possiamo classificare le patologie in parenchimali e colangiopatie e che possiamo poi classificarle anche secondo l’eziologia. Possiamo poi classificarle anche secondo il quadro istologico.Prima si parlava di epatite cronica persistente, cronica attiva; ora si parla di epatite con gradi diversi di infiammazione e stadi diversi di fibrosi.La fibrosi può esser classificata da 1 a 6 (indicano cirrosi i gradi 5 e 6) o da 1 a 4 a seconda delle classificazioni che si usano (indica cirrosi il grado 4).L’infiammazione viene valutata anch’essa con varie classificazioni, ad esempio score, molto usato nella epatite cronica B, va da 0 a 18.

Nella maggior parte dei casi l’epatite cronica è asintomatica, solo in alcuni soggetti che hanno riacutizzazione di epatite, con incremento molto importante di transaminasi, che vanno anche a 10-15 volte il valore ottimale, si hanno sintomi tipici dell’epatite acuta:- stanchezza;- malessere generale;- anoressia o iporessia;- raramente un lieve sub-ittero (ittero lieve, si nota colorazione delle sclere).

Si osservano solo in un 5% scarso dei pazienti con epatite cronica.

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Nelle fasi avanzate del quadro cirrotico conclamato clinicamente confermato notiamo:- edema;- ascite;- sanguinamento da varici esofagee;- encefalopatie;- alterazioni della coagulazione;- ipersplenismo;- leucopiastrinopenia.

La diagnosi di una malattia cronica di fegato si basa e in genere si identifica per una alterazione di laboratorio. Può essere essere confermata o meglio stadiata da un quadro ultrasonografico o con l’elastografia ed infine caratterizzata in modo più puntuale con l’istologia.

I test di laboratorio servono per:- inquadrare l’eziologia della malattia di fegato (es: ricerca di Ag virali o di

autoAb; studio del metabolismo del ferro e rame; …);- per capire qual è l’attività biochimica del danno epatico, per verificare se c’è

un danno attivo noi andiamo a misurare le transaminasi, la fosfatasi alcalina e la γ-GT.Nella malattia squisitamente parenchimale prevalentemente si muovono le due transaminasi (AST e ALT); nella malattia prevalentemente biliare si muovono la fosfatasi alcalina e la γ-GT.L’alterazione della γ-GT è frequente, ma aspecifica in quanto ne esistono varie forme. Ne esiste una metabolica che sale nel soggetto che ha una alterata tolleranza agli zuccheri, un’insulino-resistenza o nella steatoepatite. L’aumento di questa γ-GT metabolica non ha nulla a che vedere con la colangiopatia.Per sospettare fortemente una colangiopatia dobbiamo avere un aumento di fosfatasi alcalina e γ-GT contemporaneo.Al contrario una γ-GT isolata deve far pensare a un danno metabolico.Tipicamente nelle epatiti virali si muovono le due transaminasi, con l’ALT più alta della AST. L’AST si alza più della ALT nei danni tossici come quello da farmaci o da alcool. In fasi molto avanzate, quando il fegato tende all’atrofia, anche l’AST sale molto anche se si tratta di epatite virale.

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- valutare la funzione epatica, permette di capire la riserva funzionale, cioè quanto quell’organo è ancora in grado di svolgere le sue funzioni fondamentali. Possiamo farlo misurando l’albumina (prodotta esclusivamente dal fegato), la bilirubina e il tempo di protrombina. Questi parametri sono quelli base, presenti in tutti i tipi di score.

La professoressa dice che nel sua pratica clinica aggiunge anche la misura della pseudocolinesterasi, un enzima che però è condizionato anche da fattori esterni e genetici. Se però cala rispetto alle prime valutazioni è un indice molto fine di come va la funzione epatica. Altra misura che lei aggiunge oltre ai canonici è quella del colesterolo, che si riduce negli stadi avanzati (anche questo parametro è influenzato da altri fattori).

- valutare altri parametri (per esempio l’emocromo o le γ-globuline ci possono dare informazioni sull’attivazione immunologica).

L’ecografia è importante per l’epatologo nell’inquadramento del paziente. È un esame di primo livello che viene eseguito su tutti i soggetti con un sospetto di malattia cronica di fegato ed estremamente utile per identificare un paziente con cirrosi consolidata, mentre la diagnosi differenziale tra soggetti con cirrosi in fase iniziale ed epatite cronica può non essere fattibile. L’ecografia è ottimale per trovare lesioni focali (angiomi, carcinomi,…) mentre per le malattie parenchimali ci dà utili informazioni ma non ci permette di giungere a una stadi azione precisa del grado di fibrosi.Nell’ecografia del fegato osserviamo:- il volume, importante perché il volume aumenta nelle epatiti croniche,

quando c’è infiammazione e rigenerazione, mentre tende a ridursi quando stiamo andando in fasi avanzate di cirrosi epatica;

- i margini, usualmente regolari, se diventano finemente o grossolanamente irregolari e bozzuti indica una epatopatia che sta evolvendo in cirrosi;

- l’ecotessitura e l’ecogenicità, normalmente è omogeneo ed il grigio si sovrappone a quello della corticale del rene. Nel fegato con una ricca componente grassa diventa brillante. Il 25% delle persone tende ad avere un fegato steatosico.Il fegato diviene disomogeneo nelle epatiti croniche con un certo grado di fibrosi, i perde la regolare tessitura e si accentuano gli epiteli basali.

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- le strutture vascolari, in particolar modo gli spazi portali e le vene sovra-epatiche,

- l’albero biliare e la colecisti;- la milza.

Per anni la pratica di elezione per fare diagnosi e stadiare il malato di fegato cronico è stata la biopsia epatica, utilizzata soprattutto per avere una descrizione del “paesaggio” del fegato. È un esame descrittivo.

Negli anni però la situazione è cambiata, soprattutto da quando nel mondo dell’epatite, in particolar modo quella virale, sono giunti i farmaci, che tanto hanno giovato ai malati e tanto hanno nuociuto per certi aspetti alla professione dell’epatologo.Quando si ha un farmaco bisogna infatti dimostrare che grazie a quel farmaco la situazione migliora e quindi che la terapia modifica la fibrosi. Quindi la descrizione qualitativa condizionata dalla soggettività dell’operatore non era adatta.Siamo entrati dunque nell’epoca degli score. (per esempio viene valutata l’infiammazione portale e periportale come Assente, Minima, Solo portale, Spillover, Ponti).

Si esegue con particolari aghi e può essere eco-guidata ossia con un’ecografia controllo che nel punto non ci siano strutture vascolari maggiori, cisti o altro e poi, dopo aver chiesto al paziente di non muoversi, si esegue a mano libera la manovra.Il 25% dei pazienti lamenta dolore, soprattutto a livello della spalla dovuto a una nevralgia; nel 3% si ha un lieve sanguinamento autolimitante, ma comunque sufficiente a causare forti dolori quando il sangue raggiunge il peritoneo. Rarissimamente si deve ricorrere alla pratica chirurgica per bloccare il sanguinamento.Il rischio di mortalità è molto basso ed è dovuto a sanguinamento massivo, prevalentemente si osserva in soggetti con comorbidità (per esempio pazienti con malattie ematologiche; linfomi; …) o soggetti in emodialisi.Altri problemi che si hanno con le biopsie sono il campionamento (se prelevo nella parte sana sembra che sia tutto a posto) e il numero di spazi portali prelevati, in quanto se il frustolo contiene meno di 11 spazi portali si va a sottostimare pesantemente l’infiammazione e la fibrosi.

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Il frustolo deve avere un diametro di almeno 1,4; una dimensione di almeno 2,5cm, deve contenere almeno 11 spazi portali e bisogna notare se il frustolo è intero o frammentato. La frammentazione del frustolo può esser dovuta a un errore nella procedura ma anche indicare fibrosi.

Date le limitazioni e i problemi dati dalla biopsia (invasività, campionamento, …) si sono cercate valide alternative.

Si sono cercati dunque dei marcatori:- Marcatori sierologici di fibrosi;- Marcatori della condizione di matrice;- Marcatori della rimozione di matrice;- Marcatori misti.

Esistono algoritmi e score basati su questi marcatori, ma non sono ancora totalmente affidabili e non permettono la stadiazione puntuale.Gli algoritmi tentano di combinare tra loro i vari valori per ottenerne dei dati clinici utili (es: Il fibrotest combina α-2-macroglobulina, aptoglobina, apolipoproteina A1, GGT, bilirubina totale e ALT).Di fatto questi test performano discretamente in termini di sensibilità e specificità.

Epatiti ViraliLe malattie di fegato di origine virale in Italia sono la principale causa di danno epatico (oltre il 50% se consideriamo anche le forme miste virus-alcol).

Si distinguono 3 categorie di virus epatitici:- Maggiori: A, B, C, δ, E;- Minori;- Esotici.

I principali responsabili di epatiti croniche sono HBV, HCV e HDV.

Ricordate che HAV dà luogo a una forma di epatite acuta che non cronicizza mai, ma possono esistere forme a lenta risoluzione, soprattutto se contratte nell’adulto. Esse comunque si risolvono e non si ha cronicizzazione.

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HBV può invece dare luogo a un quadro acuto autolimitantesi o un’infezione cronica. La cronicizzazione ha un range diverso a seconda che avvenga in età adulta o infantile.

HCV può dare luogo anch’essa a un quadro acuto autolimitantesi (nel 30-40% dei casi) o un’infezione cronica.

Il Virus δ è un virus difettivo in quanto necessita di HBV per dare luogo a un’infezione produttiva. In realtà è dimostrato che l’infezione del fegato da virus δ è possibile anche senza HBV (si è notato nei trapiantati: il trapiantato per una cirrosi di δ non reinfettando con HBV mantiene il δ nel fegato). Il virus δ necessita di S, cioè il mantello di superficie di HBV per diffondersi.

HEV da luogo ad epatiti acute. È endemico in Centro America, India e Oriente. Sono descritti casi importati in Italia. Si ritiene possa essere una zoonosi.

L’epatite acuta consegue a un’infezione sistemica da parte di un virus che prevalentemente vede nel fegato l’organo bersaglio (virus epatotropi).Dal punto di vista clinico può essere totalmente asintomatica (tipico di HAV) o subclinica; in altri casi può dare ittero e raramente si possono avere forme fulminanti che può portare a perdere il fegato e quindi alla morte (in HBV e HDV). In alcuni casi la valenza colestasica, cioè la componente di ittero, è prevalente, come nell’HAV contratta dall’anziano.Forme atipiche si manifestano nei soggetti immunocompromessi.

L’epatite acuta può risolvere in modo completo, caso più frequente nel caso di epatiti acute dovute a virus A, B o C; raramente invece permangono cicatrici a livello epatico a seguito dell’impegno così importante del parenchima nel corso dell’evento acuto. Può portare a morte nelle forme fulminanti.

Il soggetto dopo un’epatite acuta può cronicizzare.

Epatite B

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HBV è un virus a DNA caratterizzato da un mantello costituito prevalentemente da antigeni di superficie nelle loro 3 forme, un nucleocapside che presenta la reattività dell’antigene core che contiene al suo interno la polimerasi virale e l’acido nucleico del virus.

L’acido nucleico è un piccolo DNA circolare a doppia elica incompleta e la caratteristica genetica principale è che le 4 regioni codificanti, i geni C (per la proteina pre-core), X, P (per la DNA polimerasi) e S (per gli antigeni di superficie), sono tra loro in overlap, quindi mutazioni che incorrono in una regione del genoma possono causare variazioni in più geni. Questo è importante perché l’antigene S è usato per fare la diagnosi e se si modifica può portare a un mancato riconoscimento da parte dei test di screening.L’overlap fa sì che un virus ad alto tasso mutazionale come HBV ha una limitazione delle varianti possibili perché l’overlap può modificare la fitness delle varianti virali che quindi si selezionano.

HBV una volta infettato un epatocita crea un minicromosoma, il cosiddetto supercoiled DNA (cccDNA). È l’acido nucleico del virus completamente circolarizzato che si complessa con gli istoni come i cromosomi cellulari con emivita estremamente lunga.Il supercoiled non solo è la fonte replicativa (il virus trascrive dal cccDNA un pregenoma a RNA che poi viene ritrascritto a DNA dalla polimerasi virale) ma nella duplicazione dell’epatocita può giungere nel nucleo e quindi non necessariamente per avere persistenza di infezione dobbiamo avere reinfezione degli epatociti; è la stessa rigenerazione epatocitaria che può dar luogo alla persistenza dell’infezione.

L’integrazione di porzioni virali è un altro step la cui rilevanza nella biologia del virus è poco nota ma è rilevante per il rischio oncogenetico. Tuttavia non si integrano mai interi virus, ma solo porzioni, quindi non è possibile che dal virus si possa avere una infezione nuovamente produttiva.

La riattivazione di HBV può avvenire in particolari condizioni ed è sempre dovuta alla ripresa replicativa del minicromosoma.

Il virus arriva nella cellula, forma il minicromosoma, comincia a produrre virioni e, caratteristica specifica, produce un grande eccesso delle sue proteine, in particolar

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modo di antigene di superficie, che è presente non solo come costituente del virione ma anche come filamenti e particelle sferiche. Si tratta di particelle difettive che eccedono il virione di un fattore variabile 102-105.La valutazione quantitativa dell’HBsAg (antigene di superficie di HBV) è estremamente utile nella pratica assistenziale per classificare il soggetto HBsAg positivo in portatore inattivo dal malato e monitorare il trattamento antivirale sia con interferone che con antivirali.L’altra proteina prodotta in grande eccesso è la proteina E, codificata dalla regione del core, che quindi ha stretta omologia con la proteina nucleocapsidica ma a differenza di questa viene secreta nel come proteina libera. Svolge un ruolo nella mediazione tra virus e sistema immune dell’ospite.

In sostanza: il virus entra nella cellula, produce il supercoiled che produce il pregenoma e quindi le proteine virali. Esse comporranno il virus che viene poi immesso in circolo senza che compaia nessun danno epatico.Quindi HBV non è un virus citopatico, l’infezione da HBV può esser presente con alti livelli replicativi o bassi livelli replicativi a seconda delle fasi in assenza completa di danno di fegato.La malattia di fegato succede quando il sistema immune riconosce il virus e comincia non solo a produrre un sacco di anticorpi ma anche una risposta cellulo-mediata che cerca di eliminare gli epatociti nei quali è presente HBV.Gli anticorpi che troviamo in circolo sono IgG e IgM contro la proteina nucleocapsidica, contro l’antigene di superficie e contro la proteina E.In genere ragioniamo sempre nelle diverse fasi di infezione-malattia con fase E o anti-E, presenza o assenza dell’S e presenza del suo anticorpo.In realtà in uno stesso soggetto convivono gli uni e gli altri, ma prevale sempre una delle due componenti.

Sia l’immunità innata che la adattiva svolgono un ruolo importante, centrale anche il ruolo delle cellule dendritiche e delle cellule NK. Si ritiene che la condizione di tolleranza nei confronti di HBV che prelude alla cronicizzazione dell’infezione sia conseguenza di un’alterata funzione delle cellule dendritiche o da una modesta o assente capacità di indurre una risposta specifica CD4 e CD8.È dimostrato come una risposta CD8 competente è in grado di portare a un perfetto controllo dell’infezione.

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Schematicamente nell’infezione cronica da HBV distingueremo tre fasi in cui sono completamente diverse sono le condizioni che riguardano l’attivazione del sistema immune e la replicazione virale:- Fase di immunotolleranza: il sistema immune non sta costruendo una risposta

competente nei confronti del virus. Abbiamo altissimi livelli di replicazione in assenza completa di danno epatico. È la classica fase E positiva, che tipicamente si osservava nelle persone infettate in età perinatale. Tali soggetti tendevano a mantenere una E positività con alti livelli virali senza evidenza di danno epatico fino alla pubertà.

- Fase di clearance: il sistema immune comincia a costruire una risposta competente e cerca di eliminare il virus. È il momento tipico dell’epatite, che può durare un periodo limitato di tempo nel caso in cui il sistema immune raggiunga il controllo e quindi il soggetto diverrà un portatore cronico inattivo oppure può mantenere nel tempo l’epatite cronica perche non riesce mai a giungere nella fase di controllo.

- Fase di controllo: può essere la semplice sieroconversione da E ad anti-E con persistenza di HBsAg o può associarsi anche la perdita di HBsAg e sviluppo di anti-S. Il soggetto mantiene in ogni caso quasi certamente quote più o meno importanti di virus, come i minicromosoma, nel suo fegato.

La condizione del soggetto immune, del portatore d’infezione senza malattia e del malato si differenzia per diversi livelli di espressione degli antigeni e dell’acido nucleico virale e per diversi livelli di competenza da parte delle cellule CD8.È valutato che il soggetto immune o asintomatico ha una quota di CD8 nel fegato che controllano l’espressione del cccDNA ma senza mantenere necro-infiammazione.Al contrario in questa fase (credo nei soggetti malati) a fronte di un numero pressoché uguale di CD8 aumentano notevolmente i CD8 aspecifici.

Il persistere dell’infezione è messo in relazione in modo importante a una funzione alterata delle cellule T specifiche per HBV alla quale possono concorrere anche fattori diversi.

Sicuramente oltre alla genetica del soggetto gioca un ruolo importantissimo anche il virus stesso.

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Questo virus nella sua consuetudine di condivisione del suo percorso con l’essere umano ha creato una serie di strategie che gli permettono di sopravvivere in fasi e contesti diversi nel soggetto che ha infettato.Ruolo critico è svolto proprio dalla proteina E. Questa proteina non è un componente strutturale e non è richiesta per la replicazione (fatto strano per un virus così piccolo, di solito producono solo ciò che gli è strettamente essenziale), ma è conservata in tutte le specie di Hepadnavirideae (quindi sia quelli umani che quelli aviari). La sua sintesi è strettamente regolata.Si ritiene che sia la proteina che interloquisce con il sistema immune in quanto è dimostrato che durante la gravidanza la proteina E, passando la placenta, riesce a indurre tolleranza nel feto. Quindi il bimbo che nasce da madre E positiva avrà un sistema immune pronto a tollerare HBV e quindi quando verrà infettato, probabilmente nelle prime settimane o nei primi mesi di vita, non sarà in grado di costruire una risposta che gli permetterà di eliminare l’infezione. Questo spiega perché oggi l’80% delle infezioni perinatali (che avvengono in genere perché la mamma è portatrice) evolvono in cronicità.Altro aspetto interessante è che questa proteina E in realtà viene espressa a livello di membrana e in determinati momenti della storia naturale dell’infezione è bersaglio della risposta immune.Quindi nel momento in cui il sistema immune diventa competente e riconosce il virus la proteina E diventa uno dei primi bersagli delle cellule specifiche CTL e quindi gli epatociti che esprimono l’E vengono eliminati. È interessante vedere che l’espressione della proteina E è modulata sia a livello trascrizionale che traslazionale, cioè ci sono una serie di varianti del virus che con singole mutazioni non producono più la proteina oppure delle azioni sui promotori virali che possono inibire la produzione della proteina.In sostanza nel corso dell’infezione è possibile che si selezionino delle varianti che hanno uno stop codone nella leader protein della proteina E e quindi questa non viene prodotta.Ciò comporta che se la mamma è anti-E positiva il bambino che contrae l’infezione elimini il virus è molto elevata, mentre se la mamma è E positiva il bimbo diventa tollerante durante la gestazione e quindi cronicizza.Quindi non è vero che il bambino è immunodeficiente e quindi cronicizza (come si trova su qualche testo).Se vogliamo vederlo in modo schematico e divertente possiamo dire che il virus ha sviluppato una capacità di modularsi tale che quando deve infettare privilegia la

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popolazione E-produttiva perché producendo l’E contribuisce a rendere tollerante il sistema immune, quando tuttavia il sistema immune comincia a riconoscere l’E (e non si sa ancora bene perché, potrebbero essere le variazioni ormonali della pubertà dato che androgeni ed estrogeni interferiscono sulla replicazione virale) vengono privilegiate le popolazioni E-difettive che comunque si sono prodotte

Il virus B è un virus che si riproduce ad altissimi rate quotidiani perché ha un’emivita breve, di 12-24h e quindi ogni giorno vengono prodotti 1011 virioni. La polimerasi virale manca di proofreading activity e quindi vuol dire che vengono commessi sistematicamente degli errori e che ogni giorno vengono prodotte una certa quantità di varianti.Quando si viene ad attuare una pressione selettiva, ad esempio il sistema immune, abbiamo la selezione delle varianti e quindi cambia e si modifica la popolazione virale. L’eterogeneità del virus è una modalità con cui esso si garantisce la possibilità di persistere nel tempo al variare dell’ambiente in cui si trova a vivere.I fattori che condizionano l’emergenza e l’espressione di varianti sono diverse:- la fitness: capacità replicativa e biologica di persistere;- la capacità delle varianti di favorire la persistenza ad esempio sotto

trattamento con immunoglobuline perché si è costruita una risposta immune specifica, o la resistenza a farmaci (i farmaci di prima generazione selezionavano varianti virali resistenti, quindi d’un tratto un paziente completamente responsivo alla terapia poteva un rialzo viremico perché ripartivano le varianti resistenti);

- lo spazio nel fegato: per espandersi la variante deve prima scalzare il supercoiled DNA del virus che prima dominava. È tipico di HBV e non di HCV (per esempio se trattiamo un paziente HCV+ con antivirali in 7-14 giorni si formano le varianti resistenti. HBV impiega 6-12 mesi.).

Esistono 8 genotipi di HBV, e ogni genotipo ha caratteristiche proprie ed esistono varianti che si riscontrano solo in alcuni genotipi. Il genotipo D è quello che prevale nel mediterraneo. Esiste una variante di questo genotipo D che crea il consolidamento del segnale di incapsidazione.

L’estremo dinamismo delle popolazioni virali ha una funzione cruciale nel condizionamento della storia naturale di un’infezione ma anche della malattia.

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Se io sono un signore che è positivo che sta cercando di siero convertire spontaneamente, quando cioè la pressione selettiva del sistema immune comincia a farsi forte sulla popolazione virale, se io riesco a siero convertire subito (diciamo la terapia riesce a farmi siero convertire subito) evito di andare a selezionare quella variante resistente che tende a persistere molto meglio.Anche il timing della terapia può quindi esser condizionato da una conoscenza degli eventi della biologia e della dinamica virale.

Entriamo prettamente nella clinica.Abbiamo già detto che distinguiamo 3 fasi:- tolleranza alti livelli di virus, assenza di danno epatico, soggetto

immunologicamente tollerante, altamente infettivo ed E positivo;- immunoattivazione livelli viremici fluttuanti, il soggetto sarà E positivo o

negativo in base alla prevalenza di varianti E positive o E difettive e presenterà danno epatico con valori di transaminasi più o meno alterati;

- controllo bassi livelli virali e di nuovo normalità delle transaminasi, il soggetto è immunologicamente attivato ed anti-E positivo.

Per capire in quale fase si trova un soggetto disponiamo di marker sierologici:- l’anti-S ci dice che il soggetto è immune nei confronti del virus,

l’immunizzazione può essere stata indotta da una vaccinazione oppure può aver avuto una infezione primaria che poi ha controllato.

- La positività all’HBc (core) indica che il soggetto è stato esposto all’HBV e in cui il virus è penetrato nell’epatocita e ha replicato. Quasi sicuramente questo soggetto presenta minimi residui del virus nel suo organismo. Importante saperlo! È un soggetto a rischio. Dovesse divenire donatore di fegato il ricevente presenterà un altissimo rischi di sviluppare la malattia in quanto i riceventi vengono immunosoppressi.Anche il soggetto stesso è a rischio di riattivazione virale, ad esempio se sottoposto a chemioterapia o altri fattori immunosoppressivi.L’anti-core è il marcatore di avvenuta esposizione.

- La presenza di HBsAg indica che c’è una infezione.- La presenza di E e/o DNA ci dicono che non solo c’è infezione ma anche una

florida infezione virale.

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L’andamento dell’infezione che si autolimita:il soggetto è HBsAg poi cleara ad S, sviluppa la reattività anti-core totale che si mantiene, produce anche una risposta IgM anti-core che poi va a declinare e diventa anti-S.Questo soggetto sarà quindi inizialmente anti-E, anti-core, anti-S; nell’arco dei mesi e degli anni successivi perderà dapprima l’anti-E, poi nei decenni perderà anche l’anti-S e rester probabilmente per sempre anti-core. Qualche soggetto dopo trent’anni perde anche gli anti-core.

Nel caso del cronico l’S rimane positivo, l’anti-core totale rimane positivo, usualmente gli alti livelli di IgM anti-core si vanno a ridurre, però restano presenti a bassi livelli.Il soggetto con epatite cronica B è un soggetto che manterrà dosabili nel sangue medio-bassi livelli di IgM anti-core. Ad alti livelli sono indice di epatite acuta.Quando si riattiva il virus il soggetto può presentare alti livelli di IgM come fosse un’epatite acuta.

In questi ultimi anni il test che viene praticamente utilizzato per gestire il portatore di HBV e classificarlo è quello dell’HBV DNA che viene dosato con tecniche di alta sensibilità come PCR quantitativa.È il marcatore usato per indicare l’infezione occulta. È una condizione nella quale il DNA del virus è presente nel siero o nel fegato in soggetti HBsAg negativi che possono o meno essere anti-core positivi.È una condizione che ha rilevanza particolare nel soggetto che va incontro a immunosoppressione, soprattutto nel paziente emato-oncologico, e in particolari condizioni anche il soggetto con malattie di fegato di altra eziologia.Sostanzialmente l’infezione occulta può derivare in rarissimi casi da varianti del virus (es. varianti con mutazioni dell’antigene S o varianti farmaco-indotte), o più comunemente può derivare da una importante soppressione della replica virale dovuta alla sua risposta immune.Quasi l’80% dei soggetti con infezione occulta sono anti-core positivi, circa il 20% sono anti-core positivi e non li possiamo identificare a meno che non si vada a fare una PCR del DNA nel fegato.Dati anglosassoni recenti dicono che oltre il 50% dei pazienti con epatite cronica C ed epatocarcinoma hanno un HBV occulto e che oltre il 50% dei fegati trapiantati da donatori anti-core positivi hanno infezione occulta e che è presente in una elevata

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percentuale di soggetti con epatite cronica C anti-core positivi. È frequente nella cirrosi criptogenetica.

Il virus attraverso l’integrazione di porzioni di DNA nel genoma dell’ospite può indurre tutta una serie di alterazione dell’omeostasi cellulare che sono pro-oncogentiche che sono particolarmente importanti nel contesto di necro-infiammazione che troviamo nel fegato quando è presente un’infiammazione cronica.La pregressa esposizione ad HBV fa sì che un soggetto, anche se l’infezione è occulta, sia a rischio maggiore di tumore di fegato.L’infezione occulta da HBV è un fattore di rischio nuovo per un soggetto sano.

Il DNA viene usato anche per fare diagnosi di malattia, cioè ci serve per identificare il soggetto anti-E positivo malato dal soggetto anti-E positivo non malato o non con malattia acuta.La soglia che è stata identificata e al momento accettata da tutte le linee guida è 2000 unità internazionali, quindi il soggetto che ha meno di 2000 unità internazionali di HBV DNA in circolo viene identificato come portatore inattivo, cioè un soggetto a bassa replica virale che non si associa a un danno attivo di fegato. Chiaramente quel signore può però avere cicatrici di un danno precedente, ma non ha necro-infiammazione attiva.Al contrario coloro che hanno più di 2000 unità internazionale di HBV DNA hanno una infezione attiva e associano un danno epatico.La cosa non è però così semplice perché il malato E negativo è un soggetto che avendo una malattia che nel 40% circa dei casi è caratterizzata da fluttuazioni di replica può avere momenti in cui diventa del tutto simile al portatore inattivo. Quindi noi abbiamo questa categoria che è circa il 40% dei malati anti-E positivi che ha un andamento oscillante; hanno fasi in cui le transaminasi vanno anche a 700-800 (simile all’epatite acuta) e fasi intervallari di transaminasi perfettamente normali con viremia molto bassa.Quindi se io mi limito ad inquadrare il soggetto a single point, cioè pretendo di vedere in un’unica volta se è sano o no, rischio di commettere grossi errori. È per questa ragione che la viremia è un esame che si ripete varie volte negli anni. Per giungere alla diagnosi di portatore inattivo devo vedere il paziente almeno ogni tre mesi per un anno/un anno e mezzo.

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Se un signore HBsAg positivo, Anti-E positivo, a controlli trimestrali fatti per 12-18mesi mantiene viremia persistentemente sotto i 2000 U/I lo possiamo etichettare come portatore inattivo. Se ha transaminasi alterate dobbiamo pensare a un’altra eziologia di danno epatico.

Ragionando sul DNA dobbiamo ricordare che è un marcatore diretto di infezione e di replica, mentre è un marcatore indiretto di malattia epatica indotta da virus B esclusivamente nel soggetto anti-E positivo (soggetto che per definizione ha sviluppato una risposta immune specifica contro il virus) se è superiore a 2000 U/I.Al contrario il DNA sierico non può essere un marcatore di malattia indotta da virus B nel soggetto E positivo e non permette di escludere una malattia HBV indotta se trovate una singola occasione sotto i 2000 U/I in un soggetto anti-E positivo.

Recentemente si è dimostrato che forse la misura quantitativa dell’HBsAg ci può aiutare a distinguere il malato dal soggetto portatore senza malattia perché il portatore inattivo ha bassi livelli di HBsAg.Inoltre, mentre il virioni e l’HBV DNA ci indicano che c’è replica, le particelle difettive danno misura della trascrizione del supercoiled DNA e quindi questa proteina virale ci aiuta a capire lo stato funzionale del supercoiled DNA e l’uso combinato di S dà molte informazioni: se S è sotto 1000 U/I e il DNA è sotto le 2000 noi abbiamo a single point la capacità di dire con una certa sicurezza che il soggetto è portatore inattivo.

Come gestiamo un portatore di infezione da virus B?Innanzitutto dobbiamo identificare la fase di infezione e se il soggetto ha una malattia di fegato fare una diagnosi eziologica, in quanto il soggetto può essere portatore di HBV e avere una malattia di altra eziologia.Poi, nel soggetto che ha malattia di fegato, capire qual è il rischio individuale di progressione della malattia dovuto al virus. Devo quindi soppesare tutte le condizioni che mi influenzano la progressione (per esempio il maschio ha un rischio di progressione maggiore, l’età, il potus (ossia l’alcolismo), l’obesità, l’insulino-resistenza,…).Si pianifica quindi se necessario un progetto terapeutico.Un soggetto E-positivo ha una probabilità dell’8-10%/anno di sieroconvertire ad Anti-E positivo spegnendo quindi la malattia di fegato e diventando un portatore

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inattivo nella maggior parte dei casi. A 10 anni buona parte degli E-positivi siero converte.Quindi io potrei anche non trattarlo, ma il trattamento risulta indispensabile quando ci sono altri elementi come ad esempio picchi di transaminasi, stato fibrotico, necrosi,… si può infatti avere anche l’immunoattivazione del soggetto e quindi malattia.

Studio italiano sulla probabilità di sopravvivenza in una coorte di portatori di HBV: la persistenza di E-positività sfocia in una sopravvivenza minore , la situazione intermedia è nel malato anti-E positivo, mentre che va molto bene è il portatore inattivo.A 30 anni il portatore inattivo correla a una aspettativa di vita assimilabile al soggetto che non è portatore di HBV.

Qual è la situazione in Italia?La prevalenza di HBV in Italia è in netta diminuzione, siamo sull’1%, mentre 20 anni fa eravamo sull’8%.Questa caduta dalla prevalenza ha portato a un cambiamento del profilo dei malati: mentre negli anni ’90 avevamo una quota importante di soggetti E-positivi, negli anni 2000 abbiamo una prevalenza di soggetti Anti-E positivi, cioè la maggior parte dei malati d’Italia ha un’epatite cronica B anti-E positiva in cui la popolazione virale prevalente è quella E-difettiva.L’aumento relativo della malattia Anti-E è dovuto alla diminuzione dei casi E-positivi, al fatto che se selezioni una variante poi non controlli questo virus permane e quindi tu resti portatore con malattia e aumenta la numerosità dei soggetti. Inoltre questo aumento è dovuto al fatto che la variante E-difettiva non era ben conosciuta e veniva poco diagnosticata. Inoltre essendo aumentata l’accuratezza diagnostica vengono riconosciuti anche casi precoci, che prima non venivano riconosciuti e contati.

[rispondendo a una domanda dal pubblico la prof ricorda che la sieroconversione da E+ a Anti-E è il primo passo verso il controllo, ma ci possono essere casi di riattivazione e di riconversione a E+. La probabilità che chi ha avuto sieroconversione sia diventato portatore inattivo è alta se nei mesi HBV DNA resta sotto i 2000U/I.

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Seguendo soggetti E-negativo con l’epatite cronica a 6 anni il 45% evolve a cirrosi, mentre il 24% dei soggetti che già avevano cirrosi sviluppavano complicanze quali ascite, sanguinamento dalle varici e epatocarcinomi.Ovviamente bisogna sempre valutare gli altri fattori per valutare il rischio di progressione.]

In Italia la prevalenza è bassa ma rischia di aumentare a causa dell’immigrazione. Il cambiamento epidemiologico in Italia è stato principalmente dovuto alla prima fase della terapia vaccinale fatta ai bambini nati da madri HBsAg positive negli anni ‘80.

Al momento i rischi principali di infezioni da HBV si hanno nelle persone tra i 30 e i 60 anni perché i più giovani sono tutti vaccinati. Il rischio principale è dato dalla promiscuità sessuale e le esposizioni parenterali, come tutte quelle procedure estetico-cosmetiche come manicure/pedicure, tatoo, …, se gli strumenti usati non sono sterilizzati.Le trasfusioni hanno un rischio residuo presente ma comunque minimale.

Epatite DIl Virus δ è un virus a RNA difettivo che necessita di HBV. La prevalenza e la diffusione nel mondo è sovrapponibile a quella dell’HBsAg.Tipicamente l’infezione da δ può avvenire assieme a quella da HBV e quindi si parla di confezione. In questo caso si ha prima un picco dovuto al virus δ e poi a distanza di qualche settimana un secondo picco epatitico dovuto al B.Si tratta di un’infezione ad altissimo rischio di dar luogo a una epatite severa o fulminante, ma ha anche un’altissima probabilità nel soggetto che non perde il fegato di giungere a risoluzione di entrambe le infezioni.Esiste invece la superinfezione: il soggetto portatore di HBV si superinfetta col δ.Vi fu un’epidemia in Italia a fine anni ’70 soprattutto nell’area napoletana.La superinfezione cronicizza quasi sempre e da luogo all’epatite cronica δ che può essere:- rapidamente progressiva (in qualche anno, anche solamente 1 o 2) nel 15%

dei casi;- lentamente progressiva (porta a cirrosi in 15-20 anni) nel 70% dei casi;- benigna (o molto lentamente progressiva) nel 15% dei casi.

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Tutti i portatori di HBV dovrebbero eseguire l’anti-δ perché l’8% degli HBV positivi hanno δ-positività.Se il soggetto è anti-δ positivo bisogna andare a cercare le IgM anti-δ e l’HDV RNA per sapere se replica e ha malattia; se IgM anti-δ e l’HDV RNA sono negativi il signore ha avuto una esposizione al δ che ha risolto, se al contrario sono positive ha un’infezione attiva con malattia di fegato.

Epatite C

Il virus dell’epatite C è un virus a RNA, la trasmissione avviene per via parenterale, tuttavia la trasmissione perinatale e sessuale è meno frequente perché l’efficienza di trasmissione per questa via è minore rispetto ad HBV. Nella maggior parte dei soggetti che acquisiscono il virus si ha un’infezione cronica che non sempre evolve in una malattia evolutiva.

Nel mondo si ritiene che circa il 3 % della popolazione sia stata infettata da HCV e che quindi esistano circa 170 milioni di portatori cronici nel mondo.

Osservando una mappa geografica si nota che questa infezione ha, in generale, una distribuzione nel mondo diversa da quella di HBV: una delle aree geografiche dove è particolarmente presente HCV è l’Egitto, in Europa la prevalenza varia tra 0.5-2% con un gradiente che vede la maggiore prevalenza nelle aree mediterranee (si nota quindi che nell’ambito europeo la prevalenza di HCV ha una discreta sovrapposizione tra quella che è la prevalenza di HBV che è maggiore nelle regioni mediterranee e nelle nazioni quali la Grecia e l’Italia).

Fino agli anni 1990-1991 le trasfusioni di sangue o dei suoi derivati sono state una delle principali vie di trasmissione di questo virus nel mondo. Dopo questa data si osserva, relativamente agli USA ma sono dati abbastanza applicabili anche al resto del mondo, che i nuovi casi di infezione da HCV si sono ridotti di più dell’80%.

Al momento la maggior parte delle nuove infezioni avviene nei soggetti ad alto rischio comportamentale come ad esempio:

• Soggetti tossicodipendenti

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• Soggetti che si sottopongono a procedure a rischio come tatuaggi e piercing attuati senza rispettare e le adeguate norme igieniche (pensiamo che anche l’uso dell’inchiostro non monodose può costituire un serbatoio del virus e quindi una potenziale fonte di infezione)

• Soggetti HIV+

• Soggetti emofilici che hanno ricevuto fattori della coagulazione prima del 1987

• Soggetti sottoposti a dialisi

• Soggetti che hanno subito trasfusioni o trapianti prima del 1992 (la data fluttua tra 1990 e 1992 perché i tempi impiegati dai vari paesi del mondo per cominciare ad effettuare gli screening per HCV sul sangue e suoi derivati o sugli organi da donare sono stati diversi: in Italia l’intervento fu abbastanza tempestivo considerando che HCV è stato scoperto nel 1989 e che già dal 1990 sono stati disponibili i primi test per determinare HCV nel sangue che hanno visto un incremento del loro uso già dal 1991)

• Bambini nati da madri HCV positiva, anche se va tenuto presente che la trasmissione di HCV da madre a figlio è molto meno efficiente rispetto ad HBV sia perché HCV è meno infettivo rispetto ad HBV, ma anche perché per HCV non è stata dimostrata quella modalità attraverso la quale HBV riesce a creare nel bimbo una sorta di tolleranza nei confronti del virus data dall’esposizione transplacentare al virus stesso. Inoltre si ritiene che il rischio di trasmissione madre figlio sia inferiore al 5% (si stima sia tra 1-2%), quindi molto bassa e tale da non far ritenere controindicato l’allattamento al seno da parte della mamma HCV+. La donna HCV+ è quindi libera di allattare il bimbo, anzi si ritiene che i vantaggi dell’allattamento superino il rischio d’infezione. Infine non è necessario procedere con un parto cesareo rispetto ad un parto naturale (anche se spesso viene preferito), infatti è stato dimostrato che il rischio insito comunque nella procedura del cesareo può creare un pericolo di trasmissione comparabile a quello della trasmissione durante un parto naturale.

• Sono soggetti a nuove infezioni da HCV anche coloro che lavorano in ambito ospedaliero o sanitario o che si sono punti con aghi infetti. I dipendenti ospedalieri sono infatti sottoposti periodicamente, con scadenza annuale o biennale, a controlli della medicina del lavoro per HCV. E’ stato, comunque,

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dimostrato che il rischio di infezione con una puntura di ago infetto è inferiore al 2%, quindi relativamente basso.

Se andiamo a vedere la prevalenza dell’anti-HCV in Italia vediamo un gradiente nord-sud molto evidente. Questi dati sono quelli ai quali fanno riferimento gli epatologi non solo per argomentazioni scientifiche, ma anche per prendere le decisioni relativamente ai provvedimenti di politica sanitaria riguardo all’infezione di HCV. Questi lavori hanno un grosso limite che va tenuto presente: spesso sono stati eseguiti in piccole aree geografiche, come ad esempio un paese, e non sulla popolazione generale o su un largo campione. Questo è un grosso limite perché può essere influenzato da alcune variabili che possono essere legate a delle modalità o a delle condizioni specifiche che si sono create in quel distretto.

Tuttavia se vogliamo dare un numero medio di prevalenza in Italia ce l’aspettiamo tra il 2 e il 2,5% e inoltre l’incidenza dell’infezione tra maschi e femmine è praticamente sovrapponibile.

Un altro dato importante da osservare è che accanto a questo gradiente nord-sud esiste un gradiente legato all’anno di nascita: in lavori svolti tra il 2007 e il 2011 si nota la prevalenza dell’infezione (stimata come anti-HCV+) intorno al 40% in alcune aree della Sicilia relativamente a persone nate nel 1920-1929. Questi dati sembrano suggerire che l’essere stati esposti a questa infezione non necessariamente comporta in tutti i soggetti una mortalità anticipata.

Espone un lavoro relativo all’incidenza in Puglia, si capisce molto male e le slides non le ho trovate. Riferisce che sulla base dei dati emersi da questi lavori sono ancora in discussione le linee guida relative all’opportunità di effettuare uno screening di popolazione relativamente alla prevenzione di anti-HCV, mentre dovrebbe essere raccomandato dai medici in alcuni casi particolari come ad esempio:

- soggetti che hanno fatto uso di stupefacenti per via endovenosa

- negli emodializzati

- nei soggetti che hanno ricevuto trasfusioni o trapianti d’organo prima del 1992

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- nei soggetti che hanno ricevuto fattori della coagulazione ed emoderivati prima del 1987 (nella diapositiva precedente c’è un errore perché i fattori della coagulazione emoderivati hanno subito una modifica nella modalità di preparazione prima degli anni ‘90 a causa dell’alto rischio di trasmissione dell’HIV)

- nei conviventi di soggetti con infezione da HCV perché, anche se la trasmissione per via sessuale è poco efficiente, la promiscuità della convivenza può portare a condividere anche erroneamente spazzolini, rasoi, forbicine e quindi esporre ad un minimo rischio di trasmissione

- soggetti con attività sessuale promiscua

- soggetti che presentano una storia di malattie sessualmente trasmesse, indice di una condotta che espone loro ad un maggior rischio di contrarre l’infezione.

Dalla stima della prevalenza dei diversi fattori eziologici in soggetti con malattia cronica del fegato si nota come l’infezione da HCV sia, insieme all’alcol, la singola causa responsabile della maggior parte delle malattie croniche del fegato in Italia.

Qualche dato rapido di microbiologia

HCV è un virus a RNA con un envelope costituito dalle proteine E1 e E2. È un virus con emivita breve e alta produzione quotidiana e, come HBV, vive come una quasi-specie con alta eterogeneità.

Il genoma di HCV è costituito da 9600 nucleotidi e presenta due porzioni codificanti una per proteine strutturali e una per proteine non strutturali. In particolar modo esiste una grande poliproteina che viene poi processata e quindi trasformata in una proteina matura attraverso l’intervento di proteasi cellulari e virali. Un ruolo cruciale nel processing del virus lo svolge NS3, che è responsabile della produzione delle proteine non strutturali che hanno ruoli cruciali nel processo replicativo e tra le quali menzioniamo: NS5B, che è la polimerasi, e l’NS5A, che interviene nel processo replicativo. Vi accenno a questi elementi perchè quando ascolterete l’argomento relativo al trattamento sentirete molto parlare di quelli che sono attualmente i nuovi

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farmaci anti-HCV, per dire che, dopo anni nei quali il trattamento di HCV si è basato sostanzialmente sull’utilizzo dell’interferone e della ribavirina (farmaci che hanno un effetto di inibizione sulla replica virale e di immunomodulazione), da qualche anno si stanno iniziando ad usare molecole che vanno direttamente ad agire sugli enzimi virali. È quindi importante conoscere le nozioni base della virologia di HCV per comprendere il meccanismo d’azione dei farmaci di utilizzo.

HCV rispetto ad HBV ha un ciclo replicativo che si svolge nel citoplasma della cellula infetta senza alcun coinvolgimento diretto o partecipazione o presenza di acidi nucleici virali nel nucleo cellulare. Per HCV non è infatti dimostrata alcuna forma latente o controllata di genoma virale presente nell’epatocita in maniera latente o persistente come nel caso di HBV. Quindi per HCV un trattamento antivirale efficace può portare all’eradicazione dell’infezione. È un concetto fondamentale e distintivo sostanziale di HCV. Secondo alcuni autori questo virus potrebbe infettare distretti diversi dal fegato: secondo alcuni cellule della glia, secondo altri i linfociti che potrebbero essere serbatoi replicativi del virus nei quali permane una volta che è stato eliminato dal fegato, ma su questo punto siamo in un campo di ricerca e non di dato definitivo. La veridicità di queste ipotesi spiegherebbe alcune rarissime recidive di infezione che sono state osservate a distanza di tempo dalla conclusione di un trattamento efficace.

HCV è un virus altamente eterogeneo, soprattutto nelle regione non codificante al 5’, tanto che si identificano 6 genotipi con numerosi sottotipi. Anche la distinzione dei vari sottotipi in ambito diagnostico sta acquistando rilevanza perchè con i nuovi farmaci la suscettibilità agli inibitori della proteasi (intesa in termini di rischio di sviluppare resistenza) è maggiore nel genotipo 1a rispetto all’1b. Un’altra prova a favore dell’eterogeneità di questo virus si ha nella caratterizzazione di una popolazione virale presente in un soggetto: prediamo, ad esempio, un campione di sangue dal quale preleviamo il siero che amplifichiamo con la PCR, quindi lo sottoponiamo al primo livello di sequenza con la sequenziazione diretta che ci permette di identificare le popolazioni virali presenti in quel soggetto. Con questa metodica per poter evidenziare un sottotipo virale questo deve rappresentare almeno il 20% della popolazione virale. Esistono altre metodiche più fini di laboratorio che permettono di caratterizzare molto bene le varie specie.

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In generale vediamo come i genotipi differiscono dal 31 al 34% quando analizziamo l’intera sequenza di tutti i nucleotidi.

Osserviamo una rappresentazione della distribuzione nel mondo dei diversi genotipi: vediamo che in Egitto abbiamo una quasi assoluta presenza del genotipo 4, mentre nelle aree europee c’è una netta prevalenza del genotipo 1 (circa ½ ), con una alta rappresentazione anche del genotipo 2 e 3 (circa ¼ ciascuno).

LA DIAGNOSTICA

Per HBV abbiamo visto come lo screening è basato sulla ricerca dell’Ag di superficie che ci indica subito la presenza dell’infezione essendo una proteina virale.

Per HCV il marcatore usato per fare lo screening è principalmente l’anti-HCV e quindi identifichiamo i soggetti che sono stati esposti al virus. Questa differenza è fondamentale perché appare evidente che le categorie diagnostiche sono diverse. Ne consegue che, una volta identificato il soggetto esposto, dobbiamo capire se questo ha un’infezione attiva oppure no e per fare questo dobbiamo identificare dei marcatori d’infezione per HCV: il più utilizzato è HCV-RNA. I marcatori per HCV dei quali disponiamo sono molto più monotoni: sostanzialmente fino ad un anno e mezzo fa abbiamo utilizzato solo anti-HCV e HCV-RNA, ci sono anche altri marcatori, ma non sono usati. Recentemente è stato introdotta la possibilità di identificare un’altra proteina, il “core”, che vedremo presenterà caratteristiche di correlazione con l’acido nucleico. In passato, ma anche attualmente, sarebbe disponibile un test per le IgM che non ha mai avuto una grande fortuna perché in realtà è un test la cui sensibilità non è molto elevata per la modalità di allestimento della metodica. Quindi sostanzialmente, nella pratica clinica, il medico si basa sull’anti-HCV per identificare un soggetto esposto e poi procedere alla determinazione dell’HCV-RNA per verificare che quel soggetto ha replicazione virale. Quindi procederà eventualmente alla caratterizzazione del genotipo.

I test usati per dosare HCV sono test di amplificazione o del segnale o dell’acido nucleico. La sostanziale differenza tra i due è che nel caso della PCR esistono delle sonde che riconoscono delle porzioni dell’acido nucleico che viene amplificato, mentre nel caso dell’amplificazione del segnale quello che è amplificato è il segnale. (?)

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La differenza tra i due metodi è sostanziale perché dal punto di vista della latenza diagnostica e della sicurezza della quantizzazione ci possono essere sostanziali differenze.

Attualmente si usano le metodiche della real time PCR che, a differenza della PCR di vecchia generazione, permette una quantizzazione abbastanza accurata. Queste metodiche, che sono quelle più in uso, arrivano alla capacità di dosare anche solo poche copie e hanno capacità di quantizzare fino a 10^7 o 10^8, il che costituisce un ampio range dinamico.

L’importanza di queste metodiche deriva dal fatto che, se voi in futuro sentirete parlare di trattamento, vedrete che la capacità di ridurre l’acido nucleico in corso di terapia nelle prime due o quattro settimane indica la suscettibilità del soggetto al farmaco e quindi condiziona l’esito della terapia. È un monitoraggio da attuare con grande accuratezza per capire quando un soggetto deve continuare la terapia rispetto ad un altro che non lo deve fare.

Il medico clinico deve conoscere queste nozioni, un buon clinico deve sapere il valore dei test che usa perché altrimenti fa delle diagnosi su dei numeri dei quali non conosce ne i limiti, ne il significato. Conoscere la base del laboratorio è fondamentale anche per l’epatologo perché se non conosce i limiti delle metodiche e dei test di laboratorio interpreta in modo improprio il dato sul quale fa la diagnosi. Ad esempio disponiamo di test per misurare la glicemia estremamente accurati, se però il campione di sangue viene mantenuto in condizioni non ottimali si può alterare il risultato finale e quindi sbagliare la diagnosi. Lasciando il sangue a temperatura ambiente i globuli rossi si mangiano la glicemia e quindi quando andiamo a misurare la glicemia a quel paziente risulta normale, quando in realtà se avessimo processato subito o avessimo lasciato questo sangue nel ghiaccio, avremmo ottenuto un valore diverso. Questo errore nella procedura di conservazione del campione ci porta a fare una diagnosi sbagliata.

Quindi, al di là dell’interesse specifico per la medicina di laboratorio, il clinico, se vuole fare il clinico in modo competente, dovrebbe conoscere i limiti e le caratteristiche dei test che usa per interpretare correttamente i risultati e quindi prendere le conseguenti decisioni.

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Ci sono alcuni dati che mostrano la correlazione tra RNA e Ag-core: la sensibilità dell’Ag-core rapportata a quella dell’HCV RNA è inferiore. (?)

Il limite dell’Ag è di 400 unità internazionali, per questo potrebbe essere un ottimo test da accoppiare all’anti HCV nello screening di primo livello. Se scopro, per esempio, un soggetto anti HCV+ e faccio parallelamente correre anche l’Ag-core, so dire immediatamente al paziente se ha un’infezione attiva o se semplicemente è stato esposto ad HCV. Infatti è rarissimo, succede in meno dell1% dei casi, che un soggetto che ha un’infezione attiva abbia una viremia sotto tale soglia se non è in trattamento.

Al contrario, date le caratteristiche degli algoritmi di gestione terapeutica attualmente in uso, questa sensibilità non ottimale del core in questo momento per il monitoraggio della terapia. (questo è che capisco, penso che voglia dire che questo algoritmo diagnostico non viene attualmente utilizzato in clinica, ma non sono sicura).

Il possibile utilizzo dell’Ag-core nello screening di primo livello per identificare il soggetto positivo con infezione attiva nasce dal fatto che, a seconda delle popolazioni che noi andiamo ad osservare, tra il 15 e il 45% dei soggetti antiHCV+ sono RNA–. Quindi attuare immediatamente, una volta effettuata la ricerca dell’anti HCV, un test che dice al soggetto se ha o no un’infezione attiva è importante perché almeno un 20% dei soggetti può non essere RNA+ e quindi non avere un’infezione attiva, ma solamente la memoria di una pregressa esposizione.

Nella pratica clinica a questo signore anti HCV+ sarà ricercato HCV-RNA. Se l’HCV-RNA risulterà negativo si dice che è venuto in contatto con HCV, ha eliminato l’infezione e al momento non ha rischio di avere la malattia di fegato. Se il soggetto è RNA+ dovrà procedere ad approfondimenti per capire se c’è danno epatico e nel caso capirne l’entità.

Entriamo nel merito dell’infezione da HCV

Il virus dell’epatite C ha come target principale il fegato dove vive e si replica, ma, secondo alcuni autori, ha la possibilità di infettare anche i linfociti.

Il danno mediato da HCV è principalmente un danno immunomediato, è cioè la risposta che il sistema immunitario produce nei confronti degli Ag espressi dagli

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epatociti infetti a creare danno, anche se il virus dell’epatite C probabilmente contribuisce, in una buona parte dei casi, anche all’induzione di un danno metabolico. Quindi l’epatocita infetto da HCV, almeno in un sottogruppo dei soggetti, ha anche una componente di danno metabolico.

Esiste poi una stimolazione diretta sulla serie B dei linfociti attuata da HCV mediante CD-81 che è alla base di una serie di manifestazioni extraepatiche che sono frequentemente osservate nei soggetti con infezione cronica di HCV e delle quali parleremo.

Nell’ambito dei soggetti che consideriamo, se prendiamo un’ideale gruppo di 100 soggetti esposti ad HCV, una parte stimabile, a seconda degli autori, tra 15 e il 40% dei soggetti esposti può eliminare spontaneamente l’infezione. Recentemente si è scoperto come la genetica del soggetto può fortemente condizionare l’esito di un’infezione primaria: si è scoperto come i polimorfismi che riguardano il gene del BL28 B che codifica per l’interferone lambda sia in grado di condizionare l’esito di un’infezione primaria. Quindi i soggetti che hanno un certo polimorfismo, CC, del gene BL28 B sono soggetti che hanno una probabilità di eliminare spontaneamente l’infezione, se esposti al virus, molto elevata rispetto ai soggetti con altri polimorfismi. E’ quindi a dimostrazione del fatto che l’esito dell’infezione primaria sia condizionato non solo dal tipo di inoculo ma anche dalla genetica del soggetto esposto al virus.

L’infezione cronicizzata

L’infezione può evolvere verso la cirrosi con le complicanze della cirrosi in una percentuale diversa di soggetti e con velocità differenti. Gli studi basati sulla valutazione della progressione della fibrosi hanno dimostrato come in tempi di monitoraggio di circa 30 anni abbiamo soggetti a lenta progressione, a media o rapida, e quindi questo ci dice che sicuramente fattori diversi condizionano la velocità di evoluzione della malattia e i fattori sono legati al virus, all’ospite o a fattori esterni comportamentali come ad esempio l’alcol. Vediamo che un fattore importante è l’età alla quale viene acquisita l’infezione: tipicamente si dice che un soggetto con una lunga durata dell’infezione è un soggetto a rischio di una malattia più evoluta perché è più probabile che sia stato compromesso l’organo bersaglio. In

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realtà ciò non è chiaro nel caso di HCV. Spesso i medici, quando si trovano davanti un soggetto con un’infezione acquisita molto tempo prima, sviluppano una certa aggressività terapeutica perché ritengono che i rischi di evoluzione della malattia siano maggiori. In realtà bisogna stare attenti a valutare questo dato perché se è vero che la durata dell’infezione condiziona il rischio di progressioni di malattia e quindi anche la risposta al trattamento, l’età alla quale l’infezione è acquisita a sua volta condiziona l’esito. Nei soggetti infettati da bambini (per esempio soggetti che hanno acquisito alla nascita trasfusioni di sangue o di plasma cose che succedevano 20 30 anni) è stata dimostrata una minore tendenza della malattia ad evolvere rispetto a pazienti che hanno acquisito l’infezione nell’età adulta. Quindi la persona che ha acquisito da piccolo l’infezione tendenzialmente dimostra una minore evolutivà del danno, questo è un elemento che il clinico dovrebbe tener presente nel suo processo decisionale. Tuttavia un altro elemento importante per approcciare correttamente la gestione di un soggetto infetto da HCV è il fatto che la malattia può cambiare velocità di progressione nel tempo: soggetti che hanno mantenuto per 10-15 anni una malattia a lenta evoluzione, possono improvvisamente cambiare profilo di malattia. L’epatologo deve quindi seguire periodicamente il soggetto al fine di monitorare eventuali cambiamenti del profilo di malattia. Anche qui i fattori che possono condizionare il cambiamento del profilo di malattia sono diversi ad esempio il genotipo: è stato dimostrato con studi di popolazione che il genotipo 2, e in particolar modo il 2c, è un genotipo che da luogo ad un’infezione indolente dal punto di vista dell’attività biochimica (delle transaminasi) che può durare anni o decenni, ma che improvvisamente cambia il profilo biochimico con importanti fluttuazioni delle transaminasi che raggiungono picchi quasi da epatite acuta. Talora infatti il soggetto giunge convinto di aver avuto un’infezione recente, poi l’anamnesi ci consente di capire che l’infezione era pre-esistente. Questo succede spesso in soggetti che hanno più 20 anni di infezione, arrivano soggetti intorno ai 70 anni con questo cambio di profilo e questo è un elemento importante perché, chiarito l’andamento della malattia del genotipo 2, talvolta riusciamo ad anticipare il trattamento dei soggetti anche se hanno transaminasi quasi normali. Quindi il genotipo può essere un fattore che condiziona la storia naturale dell’infezione. In particolar modo il genotipo 2, che dà luogo a queste esacerbazioni nelle fasi tardive dell’infezione, mentre il genotipo 3 induce una steatosi epatica ed è dimostrato che questo genotipo induce danno metabolico cellulare (i soggetti con un’infezione da genotipo 3 sono spesso tossicodipendenti: questo genotipo venne importato alla fine degli anni 70 dagli hippy che erano stati nelle aree del Nepal e dell’India dove

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acquisirono l’infezione, quindi tornarono in Europa portando alla diffusione anche nella nostra area geografica del genotipo 3 che prima non era presente).

Abbiamo detto che il genotipo 3 causa steatosi epatica, questo è un elemento di aggiunta di cofattori e di progressione di malattia (?),ma anche un fattore che può in parte condizionare la risposta al trattamento.

Il dato positivo è che questi due genotipi, in particolar modo il tipo 2, tendono a rispondere bene alla terapia. Un altro aspetto che condiziona l’evolutività della malattia epatica in termini generali è il sesso. Il sesso maschile ha un rischio di progressione della malattia verso la cirrosi decisamente maggiore rispetto al sesso femminile. Inoltre i dati in letteratura ci dicono che la tendenza di progressione della fibrosi risulta essere maggiore di circa 2,5 volte nel maschio rispetto alla donna. Questo sembrerebbe uno di quei pochi ambiti nei quali essere una donna è un vantaggio rispetto all’uomo. Purtroppo anche in questo caso non è propriamente così in quanto è un problema di equilibri: è dimostrato come l’invecchiamento sia una condizione che si associa ad un cambiamento del profilo di malattia non solo per i maschi, ma soprattutto per le donne, quindi, purtroppo, per la donna invecchiare è peggio perché i cambiamenti ormonali condizionano fortemente il divenire di alcune malattie e nello specifico delle malattie di fegato.

Questo è uno studio di qualche anno fa su una popolazione femminile francese che dimostra che la tendenza a progredire della fibrosi è maggiore nelle nullipare: le donne che hanno avuto gravidanze tendono ad avere l’epatite C meno evolutiva rispetto alle donne che non hanno avuto gravidanze.

Di fatto durante la gravidanza la donna tendenzialmente normalizza le transaminasi. Chiariamo che un valore di transaminasi normali non vuol dire spegnimento completo dell’infiammazione nel fegato. Vedremo che le transaminasi normali non necessariamente vogliono significare assenza di malattia di fegato, ma sicuramente si associano ad una minore attività di malattia. Quindi probabilmente la condizione ormonale che si crea durante la gravidanza si associa ad una condizione che rende meno aggressiva la malattia epatica. L’altro dato sottolinea come le donne che in menopausa hanno fatto terapia sostitutiva tendono ad avere una minore evolutività del danno epatico rispetto alle donne che non hanno fatto questo trattamento.

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Andiamo quindi a discutere le ragioni di questo cambiamento: nella donna la menopausa si associa ad un cambiamento dell’evolutività della malattia. E’ stato dimostrato che gli estrogeni hanno la capacità di andare ad inibire la produzione di una serie di citochine pro-infiammatorie, quali il TNF-α e IL-6, e inoltre vanno a modulare la fibrogenesi.

Guardiamo uno studio della Prof.ssa Villa che ci dice come nella donna in post-menopausa si osserva un aumento dei livelli sierici di IL-6 mentre i livelli di TNF-α rimangono stabili. Questo è un controllo sulle donne in età fertile. I dati mostrano che nel periodo premenopausa si ha un aumento del TNF-α a livello intraepatico. Quindi è dimostrato l’impatto degli estrogeni sulle citochine pro-infiammatorie, che avrebbero anche una capacità protettiva rispetto al danno ossidativo e svolgerebbero un’importante protezione a livello epatico. E’ dimostrato come il cambiamento ormonale che avviene nella post-menopausa si associa anche ad un aumento della steatosi epatica e della disfunzione metabolica, che possono diventare dei fattori indipendenti dall’infezione, ma cofattori di maggiore danno epatico e quindi influenti sulla progressione della malattia.

Questi sono i dati relativi alla presenza o meno di steatosi epatica nelle donne non in menopausa: nel 70% la mancanza di steatosi si riduce di un 20% e aumenta la percentuale di soggetti che hanno una steatosi moderata (?).

Questi sono dati prodotti su un gruppo di oltre 3000 o 6000 (non si capisce bene) di giapponesi adulti. Si osserva in rosa e azzurro la prevalenza in ecografia della steatosi per fascia di età e si osserva che nei maschi la percentuale rimane stabile, mentre nelle donne aumenta con l’età, a dimostrazione che il cambio ormonale si associa con un cambiamento della presenza della steatosi intraepatica.

Questo è uno studio condotto in Spagna su un gruppo piuttosto numeroso di soggetti adulti non diabetici. Sostanzialmente questo studio dimostra come l’indice di insulino-resistenza nella donna tende ad aumentare sensibilmente dopo i 50 anni, a dimostrazione del fatto che c’è un cambio ormonale.

Perché ci soffermiamo molto sull’insulino-resistenza, sulla steatosi e sulla disfunzione metabolica? Perché abbiamo dati che ci dicono come l’insulino-resistenza ed il diabete accelerano la progressione istologica e clinica dell’epatite cronica C, sono quindi cofattori rilevanti di danno epatico. Per la malattia di fegato

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spesso ci dimentichiamo del virus, questo non deve succedere: nel singolo individuo dobbiamo valutare tutti gli elementi che contribuiscono al danno perché a fronte di un agente che noi identifichiamo come il principale, che può essere il virus, la presenza di altri fattori può condizionare fortemente l’evolutività e l’esito del nostro intervento. L’altro elemento è che l’insulino-resistenza e il diabete riducono la possibilità di risposta al trattamento antivirale. Inoltre HCV sembra aumentare il rischio di sviluppo di diabete nei soggetti predisposti. L’associazione tra HCV e diabete è più evidente nei soggetti anziani ed è dimostrato che alcuni sottotipi di HCV potrebbero interferire con che può indurre insulino resistenza. Si ritiene che i pattern metabolici che vengono attivati dal virus nell’epatocita, che sono sostanzialmente dovuti alla persistenza dell’infezione, inducono come effetto collaterale l’attivazione dell’insulino-resistenza. Quindi l’insulino-resistenza potrebbe in termini banali essere una condizione che consegue a quei meccanismi che il virus ha innescato per garantirsi la persistenza nelle cellule.

Sostanzialmente quindi abbiamo una serie di dati in letteratura che ci dicono come esiste una correlazione tra grado di steatosi, fibrosi, infiammazione e danno metabolico. Questi sono quindi parametri importanti che contribuiscono alla progressione della malattia di fegato. Come vi accennavo già prima, noi abbiamo più fattori che possono contribuire alla progressione della malattia di fegato in generale, ma in particolar modo nella donna nella post-menopausa, che sono la steatosi, l’insulino-resistenza e lo stress ossidativo. In sostanza quindi la progressione della fibrosi risulta da diversi fattori che influenzano la dinamica sia dell’infezione che della malattia e il ruolo di questi fattori cambia nel tempo a seconda della fase dell’infezione, dello stadio della malattia e dell’età del paziente. Questo è un tentativo semplicemente per dirvi come la gestione di una problematica apparentemente e relativamente banale può avere delle complicanze che riconducono alla complessità del singolo individuo.

Nella pratica clinica sicuramente un parametro sul quale gli epatologi si basano per monitorare la malattia sono le transaminasi: indubbiamente esiste una correlazione tra grado di fibrosi e di progressione della fibrosi ed entità di alterazione delle transaminasi. Tendenzialmente, anche se non è vero in senso assoluto, i soggetti che hanno alte transaminasi sono soggetti che hanno una malattia più evolutiva, mentre soggetti che hanno basse transaminasi hanno una malattia a minor rischio evolutivo. Questo dati sono importanti perchè ci dicono come l’interpretazione e la gestione di un dato di transaminasi normale in HCV deve essere attuato in modo leggermente

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diverso rispetto ad HBV: circa il 10 o 40 % dei soggetti anti-HCV+ e HCV-RNA+ hanno transaminasi normali anche a controlli ripetuti nel tempo ogni 2 o 3 mesi per di 12 mesi. Di questi però hanno istologia epatica normale una percentuale che non supera il 20%. Se anche le transaminasi normali si associano con un tipo di danno meno aggressivo, tuttavia, se osserviamo un soggetto con transaminasi normali, non ci possiamo esimere dal sottoporre quel signore a quelle valutazioni delle quali abbiamo parlato nella lezione precedente e cioè i criteri di base d’inquadramento dell’epatopatia biochimica sperimentale fino alla procedura istologica. Anche un soggetto con transaminasi normali registrate nel tempo è comunque un soggetto che deve essere sottoposto ad approfondimenti diagnostici più completi.

HCV TROFISMO SERIE B DEI LINFOCITI

Questo lavoro ci identifica una serie di condizioni per le quali si è, in modo definitivo, dimostrata un’associazione tra infezione da HCV e il coinvolgimento di altri meccanismi nella patogenesi. Questo riguarda in particolar modo la crioglobulinemia adulta e anche le nefropatie da globulinemia, condizioni strettamente associate ad HCV. Abbiamo anche un’evidenza di una più elevata prevalenza di malattie emolinfoproliferative, ed in particolar modo del linfoma non Hodgkin della serie B, delle gammapatie monoclonali, e di alcune patologie cutanee quali lichen planus sempre nei soggetti con infezione da HCV. Troviamo poi un lungo elenco di condizioni per le quali è stata osservata e per le quali non è stata in modo definitivo dimostrata una stretta correlazione con HCV.

In sostanza dal punto di vista clinico si ha l’evidenza che il soggetto con infezione cronica da HCV, soprattutto le categorie di pazienti che hanno una predisposizione genetica per patologie immuno-reumatologiche, Quindi pazienti che hanno in famiglia storie di malattie autoimmuni sviluppano più spesso manifestazioni di questo tipo. Rispetto al meccanismo induttivo di questa condizione si ritiene sostanzialmente che il meccanismo sia un’azione che non necessariamente comporta l’infezione da parte di HCV del linfocita, ma una stimolazione mediata dalle proteine dell’envelope attraverso il CD-81. Attraverso questa stimolazione avremo l’espansione clonale delle cellule B, e quindi questa condizione andrebbe a sostenere lo sviluppo di molti disturbi autoimmuni che vedono prevalentemente

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un’attivazione e un’espansione clonale dei linfociti B. Tra queste patologie rientra la crioglobulinemia, che si ritiene essere una condizione derivante da una risposta aberrante immunologica nei confronti di HCV che porta alla formazione di immunocomplessi con Ag di HCV e IgG policlonali. Questi complessi si depositano a livello delle pareti vascolari e vanno ad innescare un processo infiammatorio. Le manifestazioni sono infatti delle vasculiti cutanee, delle manifestazioni di tipo artritico, delle manifestazioni neurologiche e neuropatie periferiche. L’altro quadro fortunatamente non molto frequente, ma spesso severo, è una glomerulonefrite, che può portare ad una malattia progressiva che richiede il trapianto.

Raramente sono state descritte anche forme di trattamento neurologico. Nel caso della vasculite il soggetto ha imunocomplessi circolanti anche a livello centrale che possono precipitare, anche se più frequentemente si depositano a livello cutaneo.

In laboratorio vengono dosate le crioglobuline in circolo. La procedura per garantire un’accurata valutazione prevede che il prelievo sia fatto a 37 °C per evitare la formazione di un precipitato. Nella pratica clinica lo screening lo facciamo in un soggetto HCV+ al quale richiediamo il fattore reumatoide che chiaramente è un fattore critico: se un fattore reumatoide è positivo, soprattutto ad alto titolo, il sospetto che questo signore possa avere crioglobulinemia è rilevante. Va detto che la corretta valutazione del titolo è funzione della clinica perché tracce di crio sono estremamente presenti in un soggetto HCV+. Altri segni del processo in atto sono ipocomplementemia, elevate ESR e anemia come test di accompagnamento.

L’altro aspetto è legato al ruolo dei virus epatitici nel linfoma: si ritiene che ci possa essere un’azione diretta tra il virus e i linfociti che potrebbe portare ad un’alterazione cellulare favorendo la trasformazione. L’altro meccanismo sarebbe quello di andare a determinare un’espansione policlonale del linfocita. Infine secondo alcuni autori la stimolazione antigenica cronica legata alla presenza dell’infezione virale cronica favorirebbe l’espansione clonale di certi tipi cellulari e quindi l’eventuale trasformazione cellulare. Questi concetti sono molto generali e sono delle ipotesi perché sono valide sia per HBV che per HCV.

Gli studi epidemiologici mostrano come anche in quelle aree del mondo dove la prevalenza dell’infezione di HBV è molto elevata esiste l’incidenza di una prevalenza maggiore di questa infezione nei soggetti che sviluppano malattia oncoematologiche rispetto al quadro generale, suggerendo quindi che effettivamente l’infezione

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cronica da HBV possa anche favorire lo sviluppo di queste patologie. Per HCV questa associazione è meno chiara.

Sostanzialmente si ritiene che la crioglobulinemia costituisca in realtà una condizione pre-linfomatosa che nel soggetto, sulla base di fattori sia ambientali che genetici dell’ospite, in alcuni casi possa progredire fino al linfoma. Per questa ragione a volte in soggetti che hanno una malattia epatica da HCV, ma nei quali sono presenti o condizioni familiari o una certa predisposizione a malattie immunitarie, l’eventuale ulteriore presenza dell’infezione da HCV può costituire un fattore precipitante rispetto al rischio di sviluppo. L’analisi familiare del soggetto con infezione da HCV ci aiuta a selezionare quei soggetti che potrebbero avere un rischio maggiore, insieme ai dati che ermegono da uno screening di primo livello (es. il fattore reumatoide e altri).

L’EPATITE AUTOIMMUNE

L’epatite autoimmune è un processo infiammatorio cronico che non tende a risolversi e di causa ignota. Questa condizione si caratterizza per un’importante attività del processo necroinfammatorio intraepatico per un’importante ipergammaglobulinemia (aumento delle gamma globuline che poi vedremo essere prevalentemente IgG) e per la presenza di auto-Ab non organo-specifici. Una delle caratteristiche dell’apatite autoimmune è la rapida evolutività, con il rischio anche di elevata mortalità se non viene adeguatamente trattata. Queste considerazioni derivano probabilmente dalla difficoltà che si ha ad identificare preventivamente questa forma di danno epatico, perché vedremo molti soggetti possono mantenere il danno di fegato attivo e aggressivo in modo non evidente clinicamente. Dal punto di vista della patogenesi è un danno cellulo-mediato a carico dei costituenti del fegato ed è caratterizzato dalla presenza di una severa infiammazione e dalla presenza di auto Ab. Spesso questa condizione si ritrova associata ad altre malattie autoimmuni come la tiroidite, l’anemia emolitica su base autoimmune, l’artrite reumatoide e altre forme di autoimmunità. È una patologia che tendenzialmente risponde molto bene alla terapia immunosoppressiva, in particolar modo alla terapia di primo livello e alla terapia con steroidi. La caratteristica istologica saliente è che negli infiltrati infiammatori sono rappresentate in modo prevalente le plasmacellule. Nel corso di danno acuto le plasmacellule sono sempre presenti: se noi troviamo un soggetto con un danno severo di LPD (lymphoproliferative disease) la biopsia può essere

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fuorviante, portandoci a dire si tratti di un’epatite autoimmune per la presenza di plasmacellule che però, in questo caso, sono segno di un danno linfoproliferativo. L’esordio può essere estremamente variabile da insidioso o brusco, in alcuni soggetti si può avere addirittura lo sviluppo di un’epatite acuta con i sintomi tipici quali nausea, stanchezza… Questa manifestazione che colpisce più frequentemente, anche se in modo non esclusivo, le donne tende ad avere dei momenti di maggiore frequenza di incidenza. Di nuovo come a dire che sulla patogenesi di questa condizione l’intervento ormonale è importante perché i cambiamenti ormonali che si hanno al momento del menarca, al momento della gravidanza, inizio o fine, e alla menopausa creano quelle condizioni che nel soggetto predisposto latentizzano la patologia. È una condizione che frequentemente colpisce la donna giovane, la donna all’inizio della gravidanza e dopo il parto e la donna nel momento della menopausa. Per quanto riguarda la donna in età fertile, spesso una delle condizioni che la signora racconta quando viene interrogata dal medico è l’amenorrea che spesso si associa alle malattie autoimmuni. Frequentemente la donna ha transaminasi molto alte (intorno a 1000), amenorrea e ipergammaglobulinemia, questi dati ci portano immediatamente a sospettare l’epatite autoimmune, che nel 5-20% dei casi può avere una forma progressiva. La malattia è molto aggressiva, in alcuni casi sintomatica ma, in quei casi nei quali non c’è sintomo, è evidente come il soggetto possa mantenere una malattia attiva, che induce progressione interna a fibrosi in maniera del tutto asintomatica. I soggetti che presentano un quadro clinico sintomatico sono immediatamente identificati.

Secondo alcuni autori l’epatocarcinoma costituirebbe una complicanza almeno nel caso della cirrosi autoimmune. Secondo il parere della Prof.ssa questo potrebbe dipendere da un bias legato al fatto che più frequentemente è una patologia presente nella donna che ha prevalenza di epatocarcinoma comunque inferiore rispetto al maschio.

Vengono identificati diversi tipi di epatite autoimmune. In particolar modo è importante ricordare il tipo 1 e 2. La forma 1 è tipica della giovane donna e si associa ad un particolare aplotipo di HLA, mentre la forma 2 si osserva in particolar modo nei bimbi o negli adolescenti ed è una forma che si osserva nel bacino mediterraneo associata in particolar modo alla presenza di questo autoanticorpo anti-LKM1. Esiste una forma 3 associata con Ab pancreatici ed epatici. Le due prevalentemente osservate sono la 1 e la 2. Dal punto di vista della medicina di laboratorio è una patologia che è caratterizzata da un aumento delle transaminasi (AST),

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ipergammaglobulinemia e sono frequenti auto-Ab, in particolar modo gli Ab anti-nucleo presenti in pattern omogeneo, gli Ab anti-muscolo liscio e gli Ab-LKM. Questi sono test che si possono effettuare in immunofluorescenza o con tecniche ELISA. Questi test si basano molto sull’accuratezza diagnostica e sulla credibilità dei diversi laboratori, dal momento che soprattutto i test di immunofluorescenza dipendono molto dall’abilita dell’operatore. E quindi la diagnostica dell’epatite autoimmune non è semplice perché bisogna avere un laboratorio di riferimento affidabile per avere la certezza dei dati sui quali ragionare.

Come sistema base è utile ricordare come l’antinucleo è tipico della forma di tipo 1 che è la forma classica dell’adulto così come il muscolo liscio (sarà l’Ab contro il muscolo liscio, penso), mentre LKM1 è del tipo 2, quindi della forma tipica del bambino. Ci sono anche altri auto-Ab che si trovano in forme di epatiti definite genetiche e sono forme di danno epatico con patogenesi autoimmune. Non sempre tuttavia il quadro impone l’uso dello steroide.

La diagnosi di epatite autoimmune non è sempre semplice ed automatica. Infatti negli anni sono stati elaborati a livello internazione degli score systems che si avvalgono di una serie di parametri che sono basati sia sul sesso, che sul rapporto tra la fosfatasi alcalina e le transaminasi, sulle gammaglobuline, sulla presenza o meno dei diversi auto-Ab, sull’antimitocondrio (vedremo che è un Ab specifico della cirrosi biliare primitiva), sui marcatori virali, sui marcatori specifici per i diversi farmaci, ecc... Ci sono infatti delle forme di danno epatico che dal punto di vista della clinica simulano l’epatite autoimmune, ma che in realtà sono farmaco-indotte o dipendono dall’alcol. Questi score systems consentono di dire, sulla base del punteggio raggiunto, che la diagnosi di epatite autoimmune sia probabile o certa o definitiva. Questi algoritmi sono importanti e vengono usati nella clinica, ma hanno una loro fragilità perché è vero che avere i virus epatitici teoricamente riduce la probabilità di avere epatite autoimmune. Infatti se ho HCV è molto probabile che sia lui responsabile di danno di fegato, purtroppo però esistono soggetti che hanno contemporaneamente più di un’eziologia, e quindi usare questi algoritmi come un parametro che esclude o che aumenta la probabilità di avere una eziologia è un fatto probabilistico o statistico che può essere utile lavorando in termini di popolazione, ma perde molto valore in termini individuali.

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Ho seguito una signora che ad esempio ha un’infezione di HCV acquisita alla nascita. La signora aveva circa 50 anni, obesa, e quindi ha sicuramente una componente di danno dismetabolico ed in più ha l’antimitocondrio, gli antinucleo e ha un quadro di cirrosi biliare primitiva associata ad una componente infiammatoria di HCV e metabolica. Nel percorso diagnostico inizialmente alla prima biopsia venne ricercato l’HCV che risultò positivo, venne poi fatta la biopsia che evidenziava un importante quadro infiammatorio, ma non vennero ricercati gli autoanticorpi. Rileggendo la prima biopsia alla luce della valutazione successiva, che aveva incluso nell’inquadramento anche il dosaggio degli autoanticorpi, l’anatomopatologo ci dice che quell’infiammazione importante è un’infiammazione tipica delle prime fasi della cirrosi biliare primitiva che, nelle fasi molto iniziali, oltre al danno indotto ha un danno……………… importante. Questo per dirvi come a livello del singolo caso non ci si può mai esimere dal ricercare gli autoanticorpi. Come vedete l’algoritmo è abbastanza complesso. Per essere in grado di valutarlo è necessario che il soggetto faccia la biopsia del fegato. Sono state elaborate delle ipotesi semplificate, ripeto queste sono le classiche cose che il medico deve sapere che ci sono e poi di volta in volta deve essere in grado di giudicare in base al singolo paziente. Anche in questo caso, comunque, l’algoritmo semplificato ci esprime la possibilità di definire la diagnosi con una buona o accettabile sensibilità e specificità. La diagnosi parziale dell’epatite autoimmune deve essere fatta nelle fasi precoci, negli adolescenti è importante eseguire la diagnosi differenziale con la malattia di Wilson, che è una malattia legata all’accumulo di rame su base genetica e che può avere esordi anche in età giovanile con una forma acuta come l’emocromatosi, e con la cirrosi biliare primitiva perché sono casi nei quali il soggetto ha contemporaneamente lesioni che sono in parte date dalla colangipatia e in parte.. …….

LE COLANGIOPATIE

Avevamo già visto la distinzione sostanziale tra malattie epatiche e le malattie che colpiscono l’albero biliare cioè le colangiopatie.

Quando parliamo di colestasi dobbiamo tenere presente che esistono dei disordini intraepatici su base genetica. Queste condizioni, che sono oggetto di studio e di

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approfondimento da parte di numerosi ricercatori, stanno solo in questi anni trovando un risvolto clinico più attento e più fine perché molto spesso queste diverse condizioni non erano neppure sospettate, semplicemente il clinico si trovava a seguire le fasi avanzate di cirrosi biliari non ben interpretate. Ora sappiamo che esistono una serie di disordini del trasporto di membrana, ad esempio alterazioni a livello della secrezione canalicolare legate al trasporto degli acidi biliari o al trasporto di fosfolipidi o di ioni, tutte condizioni che hanno come riscontro delle anomalie genetiche specifiche e che possono essere diagnosticate con un’analisi di tipo genetico. Sono condizioni che spesso danno segni abbastanza tipici: ad esempio la colestasi intraepatica progressiva o ricorrente benigna può dare episodi di aumento della bilirubina, della fosfatasi alcalina, in certi casi associata ad aumento di γ-GT e in altri non associato ad aumento di γ-GT che compaiono periodicamente nel soggetto senza apparente causa scatenante. In qualche caso nella forma ricorrente benigna non si associa un danno di fegato evolutivo. In altre forme purtroppo c’è una malattia epatica evolutiva che può portare la persona al trapianto anche in età giovanile. Spesso alcune di queste alterazioni, ad esempio difetti a carico di DRBR3 (?), causano una condizione che favorisce litiasi biliare recidivante, che si verifica spesso in soggetti che hanno subito una colecistectomia in età giovanile e che hanno poi episodi ripetuti di colica biliare con dimostrazioni successive negli anni di litiasi intraepatica. Sono quindi condizioni di particolare severità con evolutività verso acidosi biliare secondaria correlata ad infezione cronica intraepatica.

Abbiamo alterazioni della sintesi di acidi biliari e della loro coniugazione pensiamo alla ……. che è una condizione di difetto genetico che porta ad un’iperbilirubinemia indiretta che è presente circa del 2% della popolazione.

Nell’ambito delle patologie colestasiche su base genetica troviamo una serie di episodi nell’embriogenesi che portano a quadri malformativi. Questi quadri malformativi hanno difetti genetici alla base che possono portare alla malattia colestasica epatica, alla forma colecistica renale e alla malattia di Dubin-Johnson.

Oggi parliamo delle COLANGIOPATIE A BASE AUTOIMMUNE

Tra le colangiopatie a base autoimmune troviamo:

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18) la cirrosi biliare primitiva

19) la colangite sclerosante

che costituiscono le due entità principali.

La colangite autoimmune è un ambito nel quale convergono le forme che presentano una forma parenchimale e una forma biliare. Esistono poi delle condizioni particolari, quali GVHD e rigetto, che hanno uno specifico interessamento dei dotti biliari. In corso di rigetto cronico di trapianto di fegato, tipicamente l’albero biliare è colpito da una sorta di GVHD, una malattia che porta alla progressiva perdita dei dotti biliari. Nella GVHD, che si può avere anche nel caso di trapianto del midollo, spesso uno dei bersagli è la cute insieme al fegato e all’intestino.

La cirrosi biliare primitiva è una malattia epatica cronica autoimmune caratterizzata da colestasi intraepatica progressiva che deriva dalla distruzione dei dotti biliari interlobulari. È una malattia rara, mostra un’epidemiologia diversa in Europa, nei paesi nord-europei (Scandinavia e Gran Bretagna), è una condizione più frequente rispetto al meridione d’Europa (ad esempio in Italia ha una minima prevalenza), mentre in Giappone è una patologia che colpisce prevalentemente il sesso femminile con un rapporto di 9-10:1. In genere i maschi colpiti da questa malattia tendono ad avere una forma più aggressiva rispetto a quella osservata nelle donne. È rara sotto i 30 anni, mostra un picco di incidenza fra i 40-60 anni, potrebbe essere condizionata da fattori favorenti, ma potrebbe essere anche la risultante della storia di questa condizione. Questa malattia venne inizialmente identificata e caratterizzata nelle sue manifestazioni cliniche e sintomatiche nella donna tra i 50-60 anni che presentava un prurito ingravescente, con ittero e subittero, segni di malattia conclamata, e quindi noi identificavamo la fase terminale della malattia. Ora sempre è più frequente e facile osservare dei soggetti che in corso di screening e in fase del tutto asintomatica mostrano un aumento della fosfatasi alcalina e γ-GT che fa venire il sospetto di malattia colestatica. Quindi si cercano gli auto-Ab e si trova un aumento dell’antimitocondrio e l’aumento di IgM che confermano il sospetto. È un’indagine precocissima. L’individuazione di una valore di incidenza è fortemente condizionato dai criteri diagnostici di cirrosi biliare primitiva. La causa non è nota, è sicuramente coinvolta una base genetica perché ci sono delle associazioni con degli altri tipi di

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malattie autoimmuni, c’è concordanza a livello di gemelli monozigoti ed esistono fattori ambientali come farmaci, sostanze tossiche batteri e virus che sembrano in qualche modo coinvolti nella patogenesi. L’esordio della malattia è caratterizzato da un danno epiteliale dei piccoli dotti biliari (diametro <70-80 m), le cellule sono rigonfie con morfologia irregolare, il lume dei dotti è irregolare e la membrana basale è distrutta perché c’è una reazione infiammatoria costituita da linfociti, plasmacellule, eosinofili e istiociti, che spesso dà luogo a dei granulomi negli spazi portali. Per questo si parla di colangite suppurativa in presenza di granulomi. La malattia progredisce con la scomparsa dei dotti biliari che sono sostituiti da processo fibrotico.

Mostra alcune immagini in cui abbiamo un infiltrato infiammatorio misto con una componente granulomatosa che interessa un dotto intermedio con distruzione focale della membrana basale. Il processo fibrotico va a scompaginare l’architettura d’organo che porta alla cirrosi.

La malattia può presentare 4 stadi di Ludwig:

Stadio I: espansione e infiltrazione infiammatoria degli spazi portali con danno dei dotti biliari e formazione di granulomi, prevale la componente necroinfiammatoria

Stadio II: progressiva scomparsa dei dotti biliari sostituiti da tessuto fibroso con proliferazione duttulare (infiammazione portale e periportale, piecemeal necrosis)

Stadio III: estensione dei setti fibrosi (fibrosi periportale e porto-portale)

Stadio IV: cirrosi, la componente infiammatoria è prevalente

Un punto fondamentale è che la distribuzione del processo nel fegato non è omogeneo. Quindi la biopsia di fegato, che viene effettuata in molti casi per completare il quadro diagnostico, contrariamente a quanto si riteneva in passato, ha un valore relativo sulla stadiazione della malattia. Proprio per la disomogeneità di distribuzione del processo, ci posso essere aree dove prevale ancora la componente necroinfiammatoria negli stadi precoci e altre dove è dominante la componente fibrotica. studi di storia naturale sostanzialmente ci dicono come a seconda dello

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step di progressione della malattia sicuramente i fattori predittivi di rapida progressione della malattia sono una bilirubina >1.5mg%, albumina <3.8 mg % e la necrosi linfocitica della lamina limitante.

Sempre di più la diagnosi consente un occasionale riscontro di aumento di fosfatasi alcalina e gammaGT in un soggetto asintomatico o in un soggetto che, se interrogato, vi dirà di aver avuto prurito, ad esempio nel corso della gravidanza, perchè molto spesso le donne che sviluppano cirrosi biliare primitiva nel corso di gravidanza hanno una colestasi più o meno significativa. Se i sintomi sono presenti ci può essere astenia, che in clinica è un sintomo assolutamente aspecifico (fa il caso di una donna in età menopausale che riferisce disturbi del sonno e depressione, condizioni normali, ma che possono essere fraintesi in corso di diagnosi biliare). È chiaro che se al contrario una donna ha un prurito importante prevalentemente serale localizzato nella faccia anteriore delle gambe e nella zona pretibiale, bisognerà svolgere i corretti test per arrivare alla giusta diagnosi. Il prurito è un segno importante anche perché esistono dei soggetti per i quali compromette la qualità della vita, perché riduce il sonno e comporta alterazioni del tono dell’umore. Ci sono delle pazienti occasionali che si accorgono di avere malattia di fegato in maniera occasionale: hanno un prurito molto severo che non risponde ai trattamenti standard. La Prof.ssa ritiene che il prurito di queste signore abbia una natura biochimica e che non sia solo dovuto ai sali biliari, ma che quindi potrebbe essere legato alla patologia autoimmune. Nel soggetto con colangiopatia autoimmune posso avere un prurito biliare, ma il soggetto ha una patologia autoimmune e il sottogruppo di pazienti che hanno un prurito grave, difficilmente controllabile, hanno anche una componente di prurito su base biochimica. Queste signore sviluppano ipertensione portale severa, molte pazienti sviluppano una marcata splenomegalia, varici esofagee con le complicanze che ne derivano. In più l’alterato metabolismo dei sali biliari comporta un ridotto assorbimento delle proteine liposolubili. Queste signore spesso per malassorbimento vanno incontro a quadri di osteopenia e osteoporosi. Un’altra condizione frequentemente associata a queste donne sono ricorrenti infezioni urinarie, tant’è vero che alcuni autori stanno studiando la possibile connessione tra gli agenti infettivi responsabili di queste infezioni urinarie e l’eventuale patologia biliare, ma non abbiamo dati utili al momento.

Nell’ambito delle neoplasie maligne, si è osservato che gli uomini affetti da cirrosi biliare primitiva mostrano l’epatocarcinoma come complicanza della cirrosi, mentre

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nelle donne è più frequente la neoplasia mammaria. Quindi queste signore devono sottoporsi ad uno screening mammografico per la diagnosi precoce di tumore mammario. Non dimentichiamo che spesso le donne con cirrosi biliare primitiva hanno altre patologie autoimmuni, come ad esempio:

• Sindrome Di Sjogren (secchezza oculare, orale ed artralgie)

• Tiroiditi autoimmuni

• Sindrome CREST (calcinosi cutanea, Raynaud, dismotilità esofagea, sclerodattilia, teleangectasie)

• Celiachia ed IBD

• Artrite reumatoide / Sclerodermia

• Morbo di Addison

• Collagenopatie / Artropatie

• Acidosi tubulare renale

• Porpora trombocitopenica idiopatica

Questi soggetti possono avere tutta una serie di patologie autoimmuni, a dimostrazione del fatto che questa patologia si verifica in soggetti che hanno una predisposizione genetica a queste condizioni.

La diagnosi si basa sul valore della fosfatasi alcalina (marcatore della malattia colestatica), alla quale in genere si associa anche l’aumento di γ-GT (se non c’è aumento di fosfatasi alcalina e c’è solamente aumento di γ-GT non possiamo pensare ad una malattia colestatica). Nella malattia colestatica può essere presente iperbilirubinemia (generalmente nelle fasi avanzate) e l’ipercolesterolemia. Un altro dato tipico che interviene nella diagnosi di cirrosi biliare primitiva è l’aumento delle IgM. La triade diagnostica considera l’aumento della fosfatasi alcalina, delle γ-GT e delle IgM e la positività per Ab anti-mitocondrio. La presenza di questi tre elementi ci fa fare diagnosi di cirrosi biliare primitiva. In realtà una quota non trascurabile di

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soggetti con cirrosi biliare primitiva presenta positività per l’anti-nucleo e per l’Ab anti-muscolo liscio.

Vediamo una sintesi delle raccomandazioni diagnostiche della società americana di epatologia, la quale indica che, nel caso di una fosfatasi alcalina aumentata e vie biliari dilatate per esempio per un calcolo o di vie biliari normali, si debba cercare gli AMA e che se questi sono superiori a 1,40, la biopsia non sia più necessaria perché la diagnosi è già definitiva . Quindi si vanno a vedere le componenti associate soprattutto quando ci sono gli auto-Ab che ci danno la possibilità di un concomitante danno autoimmune parenchimale per capire se accanto alla terapia normale vanno associati gli steroidi per agire sulla componente parenchimale. La biopsia non è tanto fatta per stadiare, ma per completare la valutazione del parenchima e poter escludere una concomitante presenza di un danno parenchimale.

E’ possibile che ci siano soggetti con l’antimitocondrio+ e fosfatasi alcalina normale. A questi signori, ma in genere signore, viene suggerito di fare un monitoraggio biochimico annuale per valutare se nel tempo svilupperanno fosfatasi, condizione frequente.

Come vediamo nel processo diagnostico ci possiamo aiutare con scores di origine britannica che evidenziano criteri maggiori e minori (vd slide) e in base alla correlazione tra questi criteri maggiori e minori si arriva alla diagnosi definitiva. La malattia ha un andamento cronico e progredisce in modo lento e graduale con periodi anche lunghi di relativo benessere: sempre di più, con l’anticipo della diagnosi, ci troviamo di fronte ad alterazioni iniziali della malattia. Esiste un sottogruppo di pazienti che manterrà per tutta la vita l’alterazione senza avere il tempo o la rapidità evolutiva che porta alla cirrosi. Quindi ci sono soggetti che hanno danno epatico cronico allo stadio 3-4 che vengono mandati al centro trapianti che ne prende visione e li inserisce in un elenco specifico di potenziali candidati al trapianto di fegato. Questo per dire che se un soggetto ha un’età inferiore ai 60 anni nell’arco dei 5-7 anni svilupperà una condizione che porta al trapianto. Come sapete il limite anagrafico per i trapianti è 65 anni. Per la cirrosi biliare primitiva, che ha una risposta al trapianto particolarmente favorevole, si tendono a volte a trapiantare donne di età superiore ai 67-68 anni. Il trapianto raramente viene fatto prima di quando non è strettamente necessario perché, oltre al suo rischio intrinseco, comporta tutta una serie di conseguenze e di terapie immunosoppressive non banali.

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CONSIDERAZIONI SUI FATTORI CHE POSSONO CONDIZIONARE LA PROGNOSI

Esistono alcuni profili autoanticorpali che secondo alcuni autori si potrebbero associare con profili di malattia più o meno evolutiva. Sicuramente un dato importante nella pratica clinica è che pazienti trattati con acido ursodesossicolico dimostrano una riduzione fino alla normalizzazione di fosfatasi alcalina e γ-GT. Sono soggetti che avranno un’evolutività e un rallentamento dell’evolutività della loro malattia grazie al trattamento attuato.

Questa è una forma di CBP con associati degli ACA (Ab anti-centromero) e degli Ab anti-gp-210 che dimostrerebbero un decorso più aggressivo di questa forma. Esiste una valutazione definita Mayo Risk Score che ci consente di valutare la sopravvivenza del paziente ed è utile anche per la valutazione trapiantologica.

Chiaramente anche l’Europa ha sviluppato un suo algoritmo sul modello della Mayo:

Modello MayoModello Mayo

BilirubinaBilirubina

EtàEtà

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AlbuminaAlbumina

T. protrombinaT. protrombina

EdemiEdemi

Modello EuropeoModello Europeo

BilirubinaBilirubina

EtàEtà

AlbuminaAlbumina

BIOPSIA EPATICA:BIOPSIA EPATICA:

- cirrosi - colestasi- cirrosi - colestasi

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Gli americani si dimostrano molto pragmatici e basano i loro test di laboratorio su dati facilmente oggettivabili. Gli europei, invece, si basano ancora sul quadro istologico che incontra due difficoltà: la necessità di fare biopsia di fegato e la valutazione dell’istologia che è molto condizionata dall’anatomopatologo.

La diagnosi differenziale che dobbiamo fare è prevalentemente con l’epatite autoimmune e con le colangiti croniche autoimmuni (AMA negative) basandoci su una serie di anticorpi di danno parenchimale epatico che coinvolge in modo peculiare l’albero biliare in attesa della positività dell’antimitocondrio. Abbiamo anche tutta una serie di altre condizioni possibilmente associate, alcune di queste facilmente identificabili perché il soggetto presenta una comorbilità che ci giustifica il quadro che stiamo osservando. Può essere critico il quadro di sarcoidosi associata a colestasi perché ci sono forme di sarcoidosi che specificatamente coinvolgono il fegato senza l’interessamento polmonare.

I soggetti che hanno la contemporanea presenza di auto ab o non hanno una risposta piena al trattamento necessitano di ulteriori approfondimenti per valutare il caso in cui ci sia una positività di tipo AMA e la possibilità di aggiungere alla terapia già attuata il trattamento classico dell’epatite autoimmune con steroidi. Oppure può essere necessaria una valutazione per individuare l’eventuale controindicazione a trattamenti alternativi.

Nel soggetto con CBP, soprattutto quando la malattie è evoluta in cirrosi, deve essere sottoposto:

• alla sorveglianza delle varici esofagee

• i pazienti con cirrosi devono fare periodicamente un’ecografia per individuare precocemente eventuali lesioni neoplastiche

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• la mammografia periodica per il rischio aumentato di tumore mammario nella donna

• un periodico dosaggio del TSH per identificare un’eventuale sviluppo di una tireopatia su base autoimmune

• la densiometria ossea per il problema dell’osteopenia o dell’osteoporosi

La colecisti sclerosante

Parliamo di una malattia colestatica cronica con andamento progressivo che può coinvolgere qualunque porzione dell’albero biliare. Il processo è un processo infiammatorio con fibrosi progressiva che nelle forme più classiche porta ad obliterazione dell’albero biliare ed ha come esito ultimo la cirrosi biliare. È una forma con una prevalenza piuttosto bassa si stima attorno a 1-4 casi/100.000. in questo caso la patologia colpisce prevalentemente il sesso maschile (con un rapporto di 1,5-2 : 1 rispetto alle donne). Spesso compare in persone di età di 20-45 anni, giovani.

La sopravvivenza è variabile. Purtroppo però la vera colecisti sclerosante ha un’evolutività piuttosto rapida, portando alle fasi terminali della malattia con insufficienza funzionale o a complicanze di colangiocarcinioma o a prurito ingestibile, aggirato o con il trapianto o con il decesso in un periodo breve. Nel 50-70% dei pazienti è presente una malattia infiammatoria cronica dell’intestino, nei 2/3 dei casi è la rettocolite ulcerosa (RCU).

Anche in questo caso non conosciamo l’eziologia. E’ probabile una patogenesi autoimmune, si associa frequentemente alla presenza di antigeni di istocompatibilità di tipo “autoimmune” (HLA-A1,B8 e DR3) e di anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (p-ANCA) come nella colite ulcerosa. Questo elemento correla ulteriormente con l’ipotesi autoimmune della patologia.

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Va ricordato che quadri clinici e istopatologici molto simili alla colite sclerosante (CSP) si riscontrano in corso di criptosporidiosi ed immunodeficienze primitive o acquisite, suggerendo la possibilità di una eziologia infettiva. E’ possibile che l’associazione con la colite ulcerosa dipenda dall’abnorme assorbimento colico di endotossine o altri prodotti tossici batterici.

Per le colangiopatie e le malattie autoimmuni rimane ancora molto da conoscersi nell’ambito dell’eziopatogenesi.

Il quadro istologico è una Colangite fibro-obliterante (fibrosi ed infiammazione non specifica dei dotti con precoce evidenza di occlusione) con un’intensa fibrosi concentrica periduttale (onion-like) con atrofia dei dotti.

Segmenti di dotti biliari interlobulari e settali vengono sostituiti da cordoni solidi di tessuto connettivo e scompaiono i dotti biliari (vanishing bile duct syndrome) che è un quadro osservato anche nel caso di rigetto cronico e in certi danni prodotti come reazioni ad alcune terapie antibiotiche.

Mostra un’immagine nella quale abbiamo la comparsa di fibrosi e di infiammazione sul piccolo dotto con cellule sofferenti e atrofiche e un’immagine nella quale sostanzialmente il collagene predomina e le cellule stanno scomparendo. Nella terza immagine si osserva il dotto biliare completamente obliterato, nella quarta è il caso di un paziente con la colite ulcerosa ed ERCP negativa (indagine che studia i grandi dotti). La biopsia mostra lesioni fibro-obliterative a carico dei dotti biliari di piccolo calibro.

Dalle immagini si vede quanto il processo fibrotico vada a colpire le vie biliari. L’elemento caratterizzante questa forma è una fibrosi molto importante che va a coinvolgere la zona attorno alle vie biliari.

L’esordio è molto spesso subdolo nel senso che se il soggetto non fa un controllo del sangue che dimostra l’aumento di fosfatasi alcalina e di γ-GT può essere del tutto asintomatico e quindi la malattia può stare nascosta fintanto che il soggetto non è progredito verso la fase di scomparsa quasi totale dei dotti ed a quel punto compaiono fatica e prurito.

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Abbiamo assistito un soggetto che nell’arco di 10 anni, dal momento della prima evidenza di aumento della fosfatasi alcalina, andò al trapianto non per progressione della malattia parenchimale o per insufficienza d’organo, ma per il prurito. Questo signore per il prurito non riusciva più a dormire, era soggetto, soprattutto di notte, ad un prurito talmente ingestibile che aveva dei colpi di sonno durante la veglia perché sopravveniva la necessità fisiologica di assopirsi e lo poteva fare nei momenti più inopportuni, ma soprattutto non riusciva più ad avere un riposo adeguato. Voi capite come la qualità della vita e direi la salute psico-fisica fosse insostenibile e conseguentemente fu trapiantato.

Spesso nella colecisti sclerosante il prurito può essere la causa, l’unica ragione di indicazione al trapianto. Può comparire dolore addominale perché in certe forme i processi stenotici colpiscono i dotti di maggior calibro causando coliche per ostruzione meccanica che si possono complicare con l’infezione. Per cui la colecisti sclerosante alla fine diventa una vera colangite infettiva, vi può essere diarrea e l’ittero nelle fasi più avanzate. Le possibili manifestazioni sistemiche sono distinte in:

- Comuni

o Rettocolite Ulcerosa (70-75%)

o Morbo di Crohn (5%)

o Pancreatite (10-25%)

o Diabete (5-10%)

- Rare

o Sindrome Sicca

o Tiroidite

o Fibrosi retroperitoneale

o Anemia emolitica

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o Morbo celiaco

Il sospetto diagnostico nasce dal momento in cui gli indici biochimici possono essere alterati. In presenza o in assenza di iperbilirubinemia (?), si fanno gli auto-anticorpi per escludere una cirrosi biliare primitiva. Spesso si ha APH positivo (?) come dato di accompagnamento, ma al momento non lo utilizziamo come test diagnostico.

L’ANA (antimitocondrio) è un marcatore che ci fare la diagnosi di cirrosi biliare primitiva. LKL non ci fa fare diagnosi di autoimmune di tipo 2, l’ANA di tipo 1 , qui la positività di APH (?) non ci fa fare diagnosi di colangite sclerosante.

Per la diagnosi della colangite sclerosante attualmente il test di primo livello è una colangio-risonanza. La colangio-risonanza è un test che deve essere effettuato da un radiologo dedicato che è in grado di fare diagnosi di tutte quelle forme di colangite sclerosante che vanno ad interessare i dotti biliari intraepatici o anche dotti di dimensioni intermedie. Chiaramente come vedremo può vantare delle forme ad interessamento dei piccoli dotti, cioè delle forme particolarmente periferiche che sono una variante di colangite sclerosante. Nel caso in cui a fronte del quadro esiste una mancanza di diagnosi, la biopsia può diventare necessaria per andare a indicare queste forme ad interessamento dei piccoli dotti o per meglio caratterizzare una forma di C4… (mi sembra dica così).

La colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP) è la procedura endoscopica attraverso la quale si possono visualizzare le vie biliari e pancreatiche. La tecnica consiste nella canulazione della papilla di Vater (normale sbocco del dotto coledoco e del dotto di Wirsung) e nell'iniezione di un mezzo di contrasto che viene visualizzato tramite una tecnica radiologica. L’ERCP era la procedura diagnostica fino ad una decina di anni fa. E’ chiaramente una procedura invasiva perché comunque comporta l’incanalamento della papilla e dal momento che si inietta il mezzo di contrasto per via ascendente spesso se la pressione con la quale viene immesso il mezzo di contrasto è eccessiva o se c’è una stenosi può indurre una pancreatite acuta. Vedete che in più può anche indurre in un soggetto che ha delle ostruzioni una colangite ascendente. Quindi è una manovra con una certa invasività, che al momento viene usata solo in particolari casi come per esempio per una migliore caratterizzazione del tipo di stenosi osservata.

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Anche per la colangite sclerosante esiste una stadiazione istologica che identifica come per CBP quattro stadi che vanno da un quadro in cui domina la componente infiammatoria, ad una fibrosi iniziale limitata prevalentemente alle strutture dello spazio portale, quindi una fibrosi che altera l’architettura completa d’organo, condizione tipica degli stadi tre e quattro (per gli stadi vedi slides).

Un elemento sicuramente importante è che le lesioni biliari in questo caso possono essere focali o interessare solo dotti di grosso calibro e quindi in tal caso la biopsia non è diagnostica, ed è per questo che nell’algoritmo esiste prima la colangio……. (non si capisce) e solo in un secondo momento si arriva alla biopsia epatica.

Questo è un esempio della determinazione degli anticorpi anti-pANCA. Rimangono dubbi sulla loro utilità nella pratica clinica e comunque non ci permettono di applicarli su volumi diversi di soggetti. Il quadro clinico anche in questo caso è una colestasi progressiva con andamento intermittente, con una progressione variabile in diversi soggetti ed un aumentato rischio di colangiocarcinoma con incidenza del 6-36% specie nei pazienti con RCU. Un altro rischio neoplastico è il tumore del colon, soprattutto nei soggetti che hanno la malattia infiammatoria.

Esistono anche in questo caso dei scoring systems medi europei, che si basano su risultati che sono stati ottenuti a livello europeo rispetto a quello americano, e non entro nel dettaglio perché credo che sia inutile sapere se esistono sistemi di classificazione.

Le complicanze

In questo caso il problema del metabolismo dell’osso è probabilmente meno rilevante perché colpisce una categoria di soggetti a minor rischio di malattia dell’osso (il maschio, e soprattutto il maschio giovane, ha meno rischio rispetto alla donna di mezza età), e quindi sicuramente nella popolazione parte della patologia condiziona un diverso andamento del problema. Spesso questi soggetti possono avere una litiasi colecistica o calcoli della colecisti. Bisogna ricordare come la neoplasia della colecisti costituisca una complicanza che può interessare molti soggetti e quindi il rischio neoplastico di questi signori è importante ed è il

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colangiocarcinoma, l’epatocarcinoma, la displasia e la neoplasia del colon, soprattutto nei signori che hanno una malattia infiammatoria dell’intestino.

Un problema non banale è il colangiocarcinoma perché è una patologia caratterizzata da stenosi, a volte si parla di albero biliare a forma di rosario perché si hanno stenosi alternate a dilatazioni. L’identificazione precoce con l’imaging di un colangiocarcinoma può essere molto difficile perché la stenosi propria della fibrosi progressiva della malattia può essere assolutamente non distinguibile da una stenosi neoplastica, e quindi il rischio del colangiocarcinoma è il vero problema di questi signori, anche perché la comparsa del colangiocarcinoma fino a poco tempo fa escludeva da programmi trapiantologici per l’altissimo tasso di recidiva. Ora proprio la (dice il nome di una società per la cura del fegato) ha sviluppato dei protocolli che con una chemio advanced hanno provveduto al trapianto di una parte di questi signori, ma per il clinico che segue il paziente con colangite sclerosante il colangiocarcinoma costituisce la più temibile complicanza poiché sappiamo quanto possa condizionare di più la prognosi di quel soggetto.

L’altro problema è il famoso albero biliare a corona di rosario perché le stenosi possono essere importanti e significative e talora devono essere trattate per via endoscopica per produrre una dilatazione e posizionare anche uno stent o delle protesi che vengono mantenute nella via biliare associate a terapia antibiotica in quanto la colangite batterica può essere un’importante complicanza nel sottogruppo di soggetti che ha prevalentemente la forma sclerosante della colangite.

Alcune varianti:

Una variante è la colangite sclerosante Ig4-correlata: questa è una forma che colpisce prevalentemente soggetti di sesso maschile, ha un decorso più severo se non diagnosticata e trattata. Spesso soggetti che hanno una forma sclerosante Ig4 hanno anche una forma di pancreatite autoimmune e se diagnosticata per tempo un trattamento con steroidi in genere porta ad un rallentamento importante ed efficace della malattia.

Esistono anche altre patologie autoimmuni, la forma del Ig4 colpisce frequentemente il soggetto di età medio-avanzata Si possono avere altre manifestazioni sclerosanti intraepatiche, spesso si associano con l’epatite autoimmune, meno frequentemente alla malattia infiammatoria dell’intestino e

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istologicamente si può trovare uno specifico infiltrato parenchimale (la malattia infiammatoria dell’intestino spesso si associa alla colangite sclerosante classica, che in genere non mostra aumento delle Ig4).

L’altra variante è la variante alla quale avevo brevemente accennato che colpisce i piccoli dotti e colpisce dotti così piccoli che non sono identificati con gli esami che abbiamo detto e che sono ora posti nelle linee guida dei criteri diagnostici e sono la colangiorisonanza e la ERCP. Per cui, ripeto, data una colangiorisonanza negativa, il clinico deve decidere, e molto spesso procedere, ad una biopsia epatica prima di fare una ERCP.

Esiste un’altra forma che è anche la forma di overlap con epatite autoimmune. Allora, per quello che riguarda la forma a piccoli dotti è una forma che tende ad avere una tendenza ad una progressione più lenta, quindi sembrerebbe una forma meno evolutiva rispetto alla forma classica. Per quello che riguarda la presenza in soggetti con epatite sclerosante del quadro di overlap, come vedete in questi lavori di autori tutti italiani, viene segnalata una prevalenza intorno al 12-17%.

Dal punto di vista del messaggio da ricordare è che questa forma tende a colpire soggetti di età più giovane, tende ad avere un maggior danno parenchimale, com’era comprensibile e sospettabile se si pensa ad una overlap con una componente parenchimale autoimmune, tende ad avere una maggiore frequenza dell’aumento delle IgG totali rispetto alla forma classica e meno frequentemente è presente la malattia infiammatoria intestinale.

La forma con quadro autoimmune o da overlap con epatite autoimmune tende ad avere evolvere (?)in un tempo non molto lungo e comunque una sopravvivenza migliore minore (?) rispetto alla epatite (mi sembra dica così, però potrei aver frainteso colangite sclerosante) sclerosante. Quindi queste varianti presentano delle implicazioni di prognosi o di opportunità terapeutica di interesse e sono quindi da tenere presente.

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Concludo con quello che è il follow-up dei pazienti con CSP (colangite sclerosante primitiva).

I signori con colangite sclerosante devono chiaramente essere sottoposti ad un monitoraggio biochimico: l’incremento della bilirubina costituisce un elemento di prognosi negativo. Va tenuta presente la relazione con il colangiocarcinoma, con la neoplasia della colecisti, con il cancro del colon e con l’epatocarcinoma.

Questo è un dato che ci dimostra come lo sviluppo del cancro del colon è un rischio significativo nei signori che hanno CBP rispetto a coloro che non hanno questa condizione. Quindi questo è già un elemento importante per un clinico per orientare lo screening.

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Epatopatia e danno epatico per metabolismo del rame

Morbo di Wilson

Malattia ereditaria a trasmissione autosomica recessiva.

Ha come caratteristica principale l’accumulo di rame nel fegato ma anche in SNC, cornea, rene etc…

La prevalenza è variabile nelle diverse aree geografiche: in Sardegna è molto diffuso a causa di ragioni religiose o di confinamento, che determinano più matrimoni fra consanguinei.

È un difetto genetico a carico di una proteina che ha una funzione centrale nel metabolismo del rame che comporta una ridotta escrezione del rame, che così si accumula nel fegato.

A fronte di questo si ha una elevata escrezione urinaria. Tuttavia nel sangue i livelli di rame sono bassi poiché ci sono bassi livelli anche della proteine che veicola il rame in circolo, la ceruloplasmina.

In genere 2-4mg di rame vengono introdotti con la dieta, dei quali 2 sono escreti con la bile. Ma nella malattia di Wilson possono essere escreti solo 0,2-0,4 mg con la bile ed 1 mg con le urine e pertanto il bilancio di rame diventa positivo.

Consegue ad un difetto genetico del gene ATP7B sul cromosoma 13, che codifica per una metalloproteina epatocitaria responsabile del trasporto transmembranario del rame (ATPasi tipo-P).

Il rame entra nel corpo attraverso il tratto digestivo:

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• la CMT1, una proteina trasportatrice posta sulle cellule dell’intestino, trasporta il rame al loro interno, dove viene legato, in parte con qualche metallotioneina e in parte trasportato dalla ATOX1 verso l'apparato del Golgi dell'enterocità. Qui, in risposta alle concentrazioni crescenti di rame, un enzima chiamato ATP7A rilascia il rame nella vena porta e poi verso il fegato.• Le cellule epatiche possiedono anche esse loro la proteina CMT1 che trasporta al loro interno il rame, dove esso viene legato da una ferrossidasi. Qui, l'enzima ATP7B, provvede a rilasciarlo nel sangue, oppure a rimuovere dal fegato quello in eccesso, secernendolo all'interno della bile.

Malattia da deficit di rame difetto ATP7

Malattia di Wilsondifetto in gene ATP7B e accumulo rame in epatocita.

Il rame inizialmente di accumula nell’epatocita innescando alterazioni quali stress ossidativo, steatosi e necro-infiammazione. Poi va in circolo e si accumula soprattutto in SNC, occhio e rene.

L’accumulo a livello dei nuclei della base è responsabile di alterazioni neurologiche e comportamentali e che possono costituire uno dei quadri clinici di esordio della malattia.

Il quadro epatico è polimorfo, con lesioni variabili nel tempo. Nel bambino il danno epatico è diverso da quello dell’adulto, perché l’entità di accumulo di rame nel fegato è diversa.

Si osserva degenerazione balloniforme degli epatociti, che presentano nuclei glicogenati (tipico di alterazione apatica) e corpi di Mallory soprattutto in sede periportale.

Spesso è presente steatosi e ingrandimento delle cellule di Kupffer.

Si possono osservare gradi variabili di necroinfiammazione (da modesta infiammazione portale e necrosi submassiva) e fibrosi (da fibrosi peri-portale a cirrosi grossolanamente macronodulare).

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Il rame in genere presenta una distribuzione periportale e si associa a depositi di lipofuscina.

L’istologia non è diagnostica ma in un pz giovane con cirrosi questo quadro dovrebbe sempre suggerire la diagnosi di Morbo di Wilson.

Immagini:

Biopsia in bimbo di 6 anni: stadio pre-cirrotico.

Infiammazione portale moderata e

nuclei glicogenati in sede periportale

Steatosi e corpi apoptopici.

Potrebbe essere presente anche a seguito di patologie virali.

Epatite cronica

con marcata infiammazione portale e

epatite di interfaccia.

Degenerazione balloniforme degli epatociti (grossi e chiari, ed aspetto evanescente e con accumuli di rame all’interno dell’epatocita).

corpi apoptopici.

Può evolvere verso quadri di fibrosi più importanti: Noduli cirrotici separati da ampi setti fibrotici con vasi e

infiammazione cronica.

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Necrosi massiva con prominente reazione duttulare e perdita di parechima epatico.

A livello renale: Degenerazione grassa ed idropica con depositi di rame nei tubuli prossimali.

A livello dell’occhio: accumulo a livello dell’anello di Kayser-Fleischer, dovuto al deposito di un pigmento contenente rame nella membrana di Descemet, alla periferia della superficie posteriore della cornea.

A livello cerebrale: accumulo a livello dei nuclei della base, evidenziabile in risonanza terapia chelante che riduce l’accumulo di rame e permette la regressione.

Quadro clinico:

Nella maggior parte dei pz i sintomi si sviluppano e la diagnosi viene posta tra i 5 ed i 30 anni.

Il quadro clinico è vario e condizionato dall’età d’esordio in base alla quale prevale o il danno epatico o il danno neurologico.

In primis viene danneggiato il fegato, solo secondariamente si ha un danneggiamento anche neurologico.

- forma epatica: esordio tra i 30-40anni

Il paziente può essere asintomatico per anni finchè si verificano forme acute virali o fulminante, talvolta associate ad anemia emolitica.

Il danno epatico prevale nel bimbo,fino a 18 anni.

Il danno neurologico , invece, prevale nel giovane adulto e adulto, poiché la patologia epatica decorre in maniere asintomatica fino all’insorgenza delle manifestazioni neurologiche.

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Manifestazioni che fanno sospettare il Wilson:

Asintomatiche:

• transaminasi alterate (aumentate)

• fegato iperecogeno riscontrato ecograficamente

• epatomegalia

• splenomegalia isolata (e quindi ipertensione portale e quindi cirrosi)

Sintomatiche:

- Epatite acuta/fulminante

- Epatite simil-autoimmune

- Astenia/ittero ingravescente

- Cirrosi scompensata/emorragia digestiva da ipertensione portale

- Colelitiasi pigmentaria

- Peritonite batterica spontanea

- Forma neurologica (40-50%)

Insorgenza dopo i 20 anni.

Manifestazioni della forma epatica:

• Deterioramento delle capacità scolari /cambiamento dell’umore

• Anomalie della scrittura / disartria

• Incoordinazione dei movimenti fini / tremori a riposo o intenzionali

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• Disfagia / amimia

• Insonnia / convulsioni

• Disturbi della personalità / depressione

• Psicosi / neurosi

• Emolisi acuta; piastrinopenia e leucopenia

• Ipoparatiroidismo

• Dolori addominali ricorrenti

• Tubulopatia renale e nefrolitiasi

• Pancreatite

• Osteocondrite / Osteoporosi prematura

• Cardiomiopatia / aritmia

• Infertilità / abortività

Diagnosi mediante dosaggio di:

• ceruloplasmina: <20mg/dl suggerisce Wilson ; <10 mg/dlfortemente suggestivo

• cupruria (eliminazione urinaria del rame) in 24 h : >40 mgsuggestivo ; >100 mgfortemente suggestivo

• cupruria in 24h dopo carico con D-penicillamina: >1000 mgsuggestivo; >1600 mgfortemente suggestivo

• cupremia: < 65 mg/dl

• Eventuale anemia emolitica Coombs negativa (con ipercuprema)

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Non c’è però nessun test o segno clinico singolarmente diagnostico. Infatti si potrebbe scambiare il morbo di Wilson con altre malattie.

La ceruloplasmina può essere alterata in altri casi oltre che nella malattia di Wilson, oppure aumentare per seconde cause pur avendo la malattia di Wilson.

Prelievo bioptico

Utile per evinziazione di lesioni specifiche ma soprattutto per il dosaggio del rame fermo.

- Rame epatico >200 ug/g peso secco

- alterazioni istopatologiche tipiche + Rodanino positività degli epatociti

Diagnosi:

• Esame oculistico

Presenza Anello di Kayser-Fleischer (lampada a fessura)

- Esami strumentali

TC cranio (slargamento ventricoli) / RM

- Analisi delle mutazioni gene ATP7B:

Sono state descritte più di 200 mutazioni , con pattern a volte complessi,

può essere utilizzato per analizzare parenti di primo grado in caso di

probandi con profilo genetico definito

- Eterozigosi gli eterozigoti non devono effettuare alcuna terapia

Raccomandazioni dell’associazione americana dello studio del fegato:

la malattia di Wilson dovrebbe sempre essere considerato in un soggetto tra i 3 e i 55anni che ha alterazioni di fegato non altrimenti inquadrabili. Comunque l’età non

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può escludere a priori la malattia. Deve seguire anche valutazione oculistica e neurologica e neuropsichiatrica.

Familiarità:

con steatosi e steatoepatite.

Dato che è una malattia genetica, si deve fare lo screening familiare.

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Tumori primitivi di fegato

L’origine può essere:

- epatocellulare

- vascolare,

- biliare

- altra

Inoltre si deve distinguere tra tumore benigno o maligno.

Tumours Benign Malignant

Hepatocellular Adenoma Carcinoma (HCC)

Focal nodular hyperplasia Fibrolamellar HCC

Dysplastic nodule Combined HCC+cholangiocarcinoma

Carcinosarcoma

Hepatoblastoma

Biliary Von Meyenburg complex Biliary cystoadenoCa

Bile duct cyst Cholangiocarcinoma

Ciliated foregut cyst

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Peribiliary gland hamartoma

Biliary papillomatosis

Biliary cystadenoma

Vascular Haemangioma Angiosarcoma

Infantile haemangioendotelioma Epithelioid haemangioendotelioma

Others Angiomyolipoma Primary lymphomas

Mesenchymal hamartoma Other sarcomas and

Inflammatory pseudotumour rare tumours

Classificazione in base alle caratteristiche cliniche:

- forme dell’infanzia e del bambino: emangioepitelioma e apatoblastoma

- ragazzini e giovani adulti: epatocarcinoma fibrolamellare

- maschio: carcinoma epatocellulare HCC

- donna: adenoma

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Associazioni tra tumori del fegato ed altre malattie:

Adenoma:

E’ una neoplasia benigna che compare in genere nel fegato normale, ma ovviamente può comparire anche in donne con epatite cronica.

Era più diffuso nella donne per il prolungato uso della pillola contraccettiva o in uomini che hanno usato anabolizzanti.

Negli anni 70 infatti era molto diffuso appunto per uso di contraccettivo orali con estroprogestinici. Oggi l’incidenza è diminuita.

Ci sono pure condizioni congenite associate all’adenoma, come malattie legate al metabolismo del glicogeno o una forma di diabete mellito familiare (MODY3).

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L’adenoma è un nodulo solitario, senza capsula, bel delimitato dal parenchima.

Può far pensare ad un nodulo rigenerativo.

Istologicamente:

si evidenzia un’area di necrosi all’interno, dovuta ad una complicanza emorragica che può verificarsi frequentemente.

Gli epatociti sono più grandi e più chiari e senza normale distribuzione in lamine. Manca l’architettura del parenchima epatico. Ci sono poi, in genere, porzioni che circondalo l’area adenomatosa con blanda o modesta steatosi.

Tuttavia non c’è evidente displasia cellulare.

Quadro clinico è spesso accidentale, in radiografia. Ci sono, però, un 30% di casi in cui si accusa dolore acuto a seguito di emorragia intranodulare o rottura e sanguinamento peritoneale.

La trasformazione maligna è rara. Infatti l’asportazione non si fa per il rischio di trasformazione ma per il rischio di rottura.

Diagnosi differenziale:

con iperplasia nodulare focale (altra lesione tipica della donna)

e con carcinoma epatocellulare

Imaging:

-ecografica: Variabile.

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Ricorda angioma per l’iper-ecogenicità però ha area iper-ecogena con alterazione eco nelle parti più profonde per componente di accumulo di grasso nella lesione. Ci possono anche essere evidenze di sanguinamento dentro l’adenoma.

-TAC: area emorragica iper-densa e un area ipo-densa che consegue all’accumulo di grasso nella lesione.

E’ importante studiare il comportamento in fase arteriosa e venosa per la diagnosi differenziale con HCC.

La lesione prima è ipodensa, poi prende il mezzo di contrasto e poi viene dismesso lasciando una maggiore densità.

Iperplasia focale nodulare:

deve essere fatta una diagnosi differenziale con questa lesione.

Anche questa è una lesione benigna, più diffusa nelle donne.

Ha una configurazione ben delimitata, non è una massa diffusa.

Non c’è epatopatia cronica sottostante, ma possono esserci altre malformazioni, come angiomi. Questo si verifica perché l’iperplasia focale nodulare può conseguire a malformazione congenita di tipo artero-venoso, e quindi uno shunt artero-venosi congenito crea una alterazione vascolare che comporta iperplasia degli epatociti, appunto per questa alterazione della tensione di ossigeno che rappresenta lo stimolo rigenerativo.

L’iperplasia focale nodulare è definita la neoplasia più comune, dopo l’emangioma.

Sono spesso lesioni solitarie, focali, di dimensioni piccole (circa 4 cm) o estremamente estese(fino a 16cm). Se la lesione diventa molto grande si deve asportare per il dolore, non per altri rischi.

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La lesione presenta una tipica cicatrice centrale con attorno aree ipertrofiche e iperplastiche di epatociti rigeneranti associati in strutture anomale e setti fibrosi che separano queste aree ipertrofiche.

Il riscontro ecografico è spesso occasionale; il dolore si verifica in caso ci sia compressione della massa (effetto meccanico), oppure possono avere dolore in caso di stiratura della capsula.

Laboratorio:

transaminasi normali, γ-GT a volte alterate.

La lesione tipica presenta una cicatrice centrale ipodensa al centro, visibile in ECO. Prende il mezzo di contrasto precocemente.

Diagnosi differenziali:

adenoma,

colangiocarconoma,

emangioma cavernoso,

HCC.

Carcinoma epatocellulare (HCC)

L’epatocarcinoma costituisce una complicanza frequente della malattia cronica di fegato e della cirrosi.

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È legato al fatto che i meccanismi di danno e di alterazione strutturale che si associano alla epatopatia cronica favoriscono il successivo sviluppo di epatocarcinoma, probabilmente perché i malati di cirrosi epatica riescono a vivere più a lungo, grazie alla possibilità di contenere e di gestire le altre complicanze della malattia cronica.

È la neoplasia maligna più comune del fegato.

È legata all’alterazione di cellule che partono dalla cellula pluripotente epatica ma che, in seguito a degenerazione, sviluppano caratteristiche di crescita incontrollata.

L’incidenza dell’epatocarcinoma è variabile nelle diverse aree del mondo, in funzione della prevalenza delle epatopatia croniche, dell’infezione da virus epatitici.

Costituisce la quinta neoplasia più frequente nel maschio e l’ottava nella donna.

È più frequente nei maschi, dunque, che nelle donne.

In Europa l’incidenza è variabile secondo un gradiente nord-sud che corrisponde abbastanza al valore di prevalenza delle epatopatie. È due/tre volte più frequente nel maschio che nella donna.

In occidente circa il 90% delle neoplasie si sviluppano in soggetti che hanno cirrosi.

La prevalenza dell’associazione cirrosi-epatocarcinoma non è uguale in estremo oriente e in Africa.

Ad esempio in Asia è più frequente l’evidenza di epatocarcinoma in pazienti che hanno epatite cronica da HBV, analogamente nelle aree africane subsahariane possono avere epatocarcinoma prima della comparsa della cirrosi, probabilmente per contaminazione con cofattori legati all’ambiente e all’alimentazione come le aflatossine che accelerano lo sviluppo precoce di epatocarcinoma, soprattutto in soggetti con HBV.

Si stima che annualmente dall’ 1 al 6% dei pazienti cirrotici progrediscano verso l’epatocarcinoma. Il rischio aumenta con il perdurare della malattia cronica o in base all’eziologia o alla presenza di cofattori.

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La maggiore incidenza annuale di HCC si osserva in quelle zone dove si riscontra una maggiore prevalenza di infezioni da HBV o HCV.

Nelle diverse aree geografiche il ruolo eziologico del virus o dei fattori non virali è diverso.

Per esempio la causa non virale, quindi la steatoepatite o il danno epatico associato a sindrome metabolica e diabete ha un ruolo cruciale in nord America.

In Asia, Cina, India, Thailandia come pure in Africa, è HBV che ha il ruolo maggiore.

Al contrario HCV ha un importante ruolo nella genesi dell’epatocarcinoma in Giappone, Italia Spagna.

Considerazione sull’HCC in Italia:

In Italia, nel 2006 ci sono state più di 20.000 diagnosi di epatocarcinoma.

Non c’è evidenza di gradiente geografico nord-sud italiano. Ma c’è notevole variabilità ed eterogeneità, che potrebbe essere espressione sia di eterogeneità della malattia cronica di fegato ma anche essere conseguenza di diversa efficienza dei servizi sanitari predisposti alla diagnosi e gestione del problema.

Nel nord e centro Italia la diagnosi è fatta in soggetti con età superiore a 75 anni, nel meridione in soggetti più giovani, tra 60 e 74. Forse perché i virus epatitici hanno ruolo maggiore nel meridione rispetto al centro nord e questi virus potrebbero, per varie ragioni, giustificare una precoce sorgenza di epatocarcinoma in soggetto con epatopatia.

In molte aree nel nord una causa importate di epatopatia cronica è l’alcool, che potrebbe avere ruolo eziopatogenetico diverso.

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Ovviamente un soggetto con epatopatia alcolica che scopre di avere la cirrosi può smettere di bere e quindi annullare il fattore di rischio, così da ridurre la progressione di malattia. Al contrario, un cirrotico con infezione da HCB, che necessiterebbe di trattamento antivirale, potrebbe non poter sostenere il trattamento, per motivi di profilo ematologico. Questo potrebbe, in parte, spiegare questa diversa età di insorgenza nord-sud.

Si stima che l’epatocarcinoma sia al 5° posto tra le cause di morte per tumore in Italia, e al 7° in termini di incidenza.

La sopravvivenza a 5 anni è stimata essere del 15% (abbastanza bassa).

I fattori di rischio sono in grado di spiegare oltre il 70% dei casi di diagnosi. HCV ha un ruolo cruciale, soprattutto nel sud dove correla con i 2/3 dei casi di carcinoma epatocellulare. Nel nord rappresenta circa il 50%, a cui spesso si aggiunge una maggiore concomitanza di abuso alcolico.

I tassi di incidenza sono in divenire.

Questo giustifica le stime di incidenza della neoplasia.

Si stima che per la cirrosi il picco di incidenza è stato già raggiunto e superato, mentre di HCC sta per arrivare. È fisiologico dato che HCC è la complicanza ultima di cirrosi.

A livello europeo, in Italia si ha un primato per la mortalità da HCC nel maschio, soprattutto per infezione da HCV.

Si hanno comunque tassi non trascurabili per ciò che riguarda la mortalità da HCC indotta da HCV nella donna.

Altro tasso importante di mortalità riguarda l’alcool.

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Il processo che porta alla sviluppo di carcinoma epatocellulare è un processo lungo, che ha step progressivi di alterazioni, ad esempio di tipo genetico, che colpiscono geni degli epatociti in seguito a processo necro-infiammatorio e rigenerazione e allo stress ossidativo che è alla base della malattia cronica.

La malattia necro-infiammatoria, quindi, induce alterazioni genetiche nell’epatocita che possono poi attivare una serie di fattori che favoriscono la proliferazione e rigenerazione ma anche la trasformazione epatocellulare. Su questo meccanismo si associano effetti diretti sull’omeostasi cellulare da parte di virus, radiazione e citotossici.

Ci sono poi altri processi che favoriscono l’espansione clonale degli epatociti e che possono portare verso lo sviluppo di epatocarcinoma prima in sito e poi metastasi.

Si stima che il danno cronico di fegato crei alterazioni a livello dei meccanismi che favoriscono la selezioni di sottopopolazioni “immortali” per alterazione della funzionalità dei fenomeni cellulari e riattivazione telomerasi. In più si altera l’equilibro tra i fattori di crescita e i ROS e citochine pro-angiogenetiche (il tutto, come già detto, associato a tossicità diretta sui geni cellulari).

Riassumendo abbiamo:

- Danno epatico diretto ciclo di morte - rigenerazione – riparazione insorgenza di alterazioni genetiche come riattivazione della telomerasi selezione cellule immortalizzate

- Produzione di fattori di crescita, ROS, citochine e fattori pro-angiogenetici dalle cellule infiammatorie.

- Danno tossico sui geni responsabili dell’apoptosi con perdita della loro funzione.

Noduli:

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Si presenta spesso, nel fegato cirrotico, l’insorgenza di noduli rigenerativi con diverso livello di displasia, da bassa ad alta, fino all’epatocarcinoma. Rappresenta un problema nella gestione del paziente perché quando compare la prima lesione l’intero organo da lì in poi tenderà a sviluppare nuove lesioni displastiche che poi diventeranno neoplastiche.

Il ruolo del virus epatitico nella genesi dell’HCC può essere multiplo e variegato:

- Ruolo diretto : il virus induce specifiche alterazione dell’omeostasi cellulare

- Ruolo indiretto: sostiene il danno cronico che induce necrosi, infiammazione, stimolo rigenerativo e stress ossidativo che danneggia il DNA cellulare.

- Ruolo del virus HBV :HBV è un virus oncogeno, è stato uno dei primi virus per il quale è stato dimostrato tramite dati di epidemiologia un ruolo importante nell’insorgenza di epatocarcinoma.

Con la vaccinazione da HVB si è ridotto il numero di neoplasie epatiche, a dimostrazione che esiste correlazione tra infezione e sviluppo di neoplasia.

Ruolo diretto di HBV:

• L’integrazione di pezzi del DNA del virus nel cromosoma della cellula infetta è un evento precoce dell’infezione. (da non confondere con l’infezione, che invece comporta la formazione del minicromosoma virale cccDNA).

L’integrazione può alterare i propri geni cellulari oppure portare all’espressione di proteine troncate di HBV che hanno azione attivante la trasformazione neoplastica.

• Funzioni della proteina X come co-regolatore dei recettori degli androgeni che sono stimolatori della neoplasia, soprattutto nei maschi.

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Ruolo indiretto di HBV:

meccanismi legati alla persistenza dell’infezione negli epatociti e, quindi, alla replicazione viralenecroinfiammazione – fibrosi/cirrosi - rigenerazione

Sintetizzando:

Sono molti i processi che conducono all’alterazione di geni diversi e allo sviluppo, quindi, dell’HCC:

fegato normale epatite cronica cirrosi HCC

HBV agisce direttamente nell’induzione della trasformazione epatocitaria neoplastica. In più svolge un ruolo nella proliferazione ed espansione dei cloni modificati inducendo necro-infiammazione.

La doppia infezione da virus HBV e HCV, come si potrebbe aspettare, da il doppio delle percentuali di casi di HCC.

• Ruolo del virus HCV:

l’ipotesi del suo ruolo diretto nella patogenesi dell’HCC non è condiviso da tutti.

Sicuramente, invece, c’è un ruolo indiretto.

Ad esempio la proteina core dell’HCV, espressa in vitro nel topo transgenico, induce alterazione e stress ossidativo che potrebbe avere un ruolo nel favorire lo sviluppo dell’epatocarcinoma. Interviene anche attraverso meccanismi che alterano il metabolismo portando a sviluppo di steatosi oppure attraverso alterazioni mitocondriali che potrebbero portare ad apoptosi virus indotta.

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Le proteine non strutturali di HCV possono portare alterazioni dell’omeostasi cellulare con produzione di ROS e favorire l’espressione di geni coinvolti nella fibrogenesi.

Il modello del topo transgenico per proteine core dell’HCV dimostra come l’espressione di questa proteina porti all’insorgenza di un quadro steatosico e al precoce sviluppo di noduli intraepatici e epatocarcinoma, in genere associata a steatosi e ad insulino-resistenza.

HCV ha quindi un ruolo maggiore in termini di induzione e proliferazione. E pare abbia ruolo indiretto e meno rilevante sulla trasformazione dell’epatocita.

Si deve poi osservare il ruolo delle alterazioni metaboliche in soggetti sovrappeso od obesi, nei quali si evidenzia un aumentato rischio di sviluppo di HCC.

Negli USA il 47% di HCC si sviluppa in soggetti con steatoepatite.

Si ritiene che l’insulino-resistenza gioca il ruolo principale nell’insorgenza della neoplasia perché è associata ad alti livelli di insulina. Questo è un ormone trofico per l’epatocita, dunque

può innescare HCC.

Prevenzione dell’HCC:

- vaccino per HBV (si è già dimostrato efficace) [vedi sopra]

ma non è sempre possibile la prevenzione primaria perciò si usa spesso nel soggetto epatitico la terapia antivirale per prevenire la cirrosi oppure nel soggetto cirrotico per spegnere il meccanismo di danno attivo.

- Interferone in soggetti con cirrosi HBV o HCVriduce rischio di neoplasia negli anni successivi

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- Analogo nucleosidico nucleotidico (terapia di prima scelta perché da meno effetti collaterali rispetto all’interferone) spegne infiammazione e riduce rischio di HCC.

Il trattamento del paziente cirrotico però non porta a zero il rischio di epatocarcinoma, lo riduce ma non lo annulla del tutto.

- in un soggetto con HCV, trattato, l’impatto favorevole della terapia sullo sviluppo di HCC è più evidente, in accordo con l’ipotesi che il ruolo genetico di HBV è legato ad alterazione primaria dell’epatocita, al contrario di HCV che ha ruolo indiretto. Quindi agendo su paziente cirrotico HCB guarito si riscontra un rischio minore di insorgenza di HCC rispetto al paziente cirrotico HBV.

Studi su pazienti cirrotici B e C:

si vide che l’impatto di trattamento fu scarso in HBV ma in HCV l’impatto era maggiore. Il rischio di HCC nei tre anni successivi al trattamento, in paziente HCV trattato era inferiore rispetto al soggetto non trattato.

Inoltre distinguendo i pazienti cirrotici trattati o non trattati con interferone, in base alla pregressa esposizione ad HBV (in base all’anti-core) si constata che i soggetti core positivi (quindi esposto ad HBV) non avevano beneficio dal trattamento, mentre quelli con cirrosi C, non esposti ad HBV avevano dopo il trattamento un rischio 6 volte inferiore di sviluppare HCC.

Quindi signore HCV positivo, anche se cirrotico, l’impatto della terapia è sostanziale.

Quindi in un soggetto HCV positivo, che potrebbe essere a rischio di contrarre HBV, è opportuno il vaccino per HBV.

STRUTTURA MICROSCOPICA:

E’ possibile la contemporanea presenza di noduli displastici di diverso grado di alterazione.

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- nodulare : 1.semplice,

2. sempice con crescita extranodulare

3.multinodulare confluente

- Massivo

- Diffuso

STRUTTURA MACROSCOPICA:

1. Pattern architetturale

- trabecolare

- pseudoghiandolare

- solido

- scirroso

2. Varianti

- a cellule chiare

- fibrolamellare

- sarcomatoide

3. Grading

- ben differenziato (G1 di Edmondson) : gli epatociti neoplastici molto differenziati, con l’esame di micro-istologia, non si distinguono facilmente con quelli di fegato cirrotico.

- moderatamente differenziato (G2): aumento dimensioni nuclei

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- scarsamente differenziato (G3): maggiori irregolarità del nucleo, ipercromatici

- indifferenziato (G4): anaplastico e alterato

Screening ecografici:

Il paziente cirrotico o a rischio di epatocarcinoma deve essere sorvegliato facendo ogni 6 mesi una ecografia.

Soggetti a rischio:

• Soggetti asiatici con più di 40 anni se maschi o più di 50 anni se donne: anche se non hanno cirrosi ma una semplice epatite cronica (prevalentemente da HBV) si consiglia controllo, perché considerati ad alto rischio di sviluppo carcinoma. Presentano, infatti, un’infezione perinatale ma hanno mantenuti anni di alta replicazione HBV nel fegato.

• Soggetto sud-sahariano con più di 20 anni: si consiglia controllo per HCC, a causa di una possibile contaminazione del cibo con aflatossina. [nel nord Africa, è più facile l’insorgenza di HCC per esposizione ad HBV o HCV]

Oggi, in Italia, si consiglia uno screening anche in soggetti con fibrosi F3-F4. Questo, sebbene non sia ancora nel range della cirrosi, potrebbe essere in realtà a rischio, in seguito ad errori di difetto di campionamento della biopsia ed alla soggettività del controllo. Per questo le radiografie andrebbero fatte da medici competenti.

Presentazione clinica:

normalmente non si vede nessun sintomo, è una diagnosi che si fa con lo screening semestrale.

Ma se la malattia è progredita ed ha invaso l’organo, induce insufficienza funzionale. In questo caso si ha:

- dolore addominale

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- Perdita di peso

- perdita d’appetito

- stanchezza, malessere

- ittero

- febbre

Le analisi da laboratorio consistono in:

- transaminasi alterate in seguito del danno epatocitico

- α-fetoproteina: usato in passato come marcatore di HCC. (Prima, quando la ecografia non era molto utilizzata, l’ aumento di AFP era molto utile nella diagnosi di HCC. In realtà, però, la sensibilità dell’AFP non è molto elevata infatti in passato molte morti per cirrosi erano in realtà morti per HCC non diagnosticato. Oggi si preferisce usare l’imaging e l’AFP sta perdendo valore, soprattutto quando l’AFP è modicamente alterata, cioè sotto i 200-400.

Essa, infatti, è un marcatore di rigenerazione cellulare, perciò nel paziente cirrotico che ha infiammazione e rigenera, è normale che sia mossa.

Oggi, secondo le linee guida, l’AFP non è più considerato un marcatore dell’HCC. Ed in più, il costo/beneficio del suo utilizzo come marcker è basso perché rischia di creare falsi positivi.

La prof però lo considera non come parametro assoluto ma come bio-parametro utile nelle sue variazioni nel tempo nel singolo paziente, come monitoraggio nel tempo.

Imaging:

ecografia con mezzo di contrasto

noduloneoplastico:

. iperecogeno in fase arteriosa.( Wash in)

. poi diventa isoecogeno o ipoecogeno in fase venosa portale o venosa tardiva, perché ha perso il mezzo di contrasto. (wash out)

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Questo comportamento si verifica nel nodulo di HCC con tutte le metodiche: con mezzo di contrasto, TAC e risonanza magnetica.

Diagnosi differenziale per i noduli:

Noduli solo iper-intensi: di rigenerazione, non noduli neoplastici. Devono comunque essere controllati

Noduli tumorali ipovascolari: non hanno le variazioni di ecogenicità, per questo servono radiologi delicati.

Storia naturale dell’HCC:

E’influenzata da:

• Caratteristiche della neoplasia (che influenzano anche la diagnosi)

. Dimensioni: dimensione maggiore indica un processo avanzato. Se si osserva un nodulo di grandi dimensioni (1,5-2 cm) in soggetto che fa screening semestrale è indicativo di una rapida crescita cellulare.

. Biologia:

. Localizzazione: diverso rischio di invasione delle strutture vascolari in base alla sede del nodulo. Un nodulo ilare, ad esempio, è più pericoloso perché è più probabile che invada le strutture vascolari maggiori; una neoplasia periferica può crescere di più prima di avere aspetti invasivi. Condiziona anche il trattamento

• Sottostante epatopatia, in base all’attività e all’eziologia della cirrosi o dell’epatite cronica.

• Trattamento: più è radicale meglio è. Si arriva alla diagnosi per imaging e poi si valuta se è possibile alcolizzare (cioè iniettare dell’alcool attraverso puntura cutanea) o termoablare (riscaldare la lesione e portarla a necrosi cellulare) o

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resecare o fare trattamento chemioterapico e poi embolizzazione. La scelta del trattamento si pratica in base alle dimensioni e sede del nodulo, non in base alla biologia del nodulo.

Caratteristiche della neoplasia di piccolo HCC:

Tumore piccolo(<2cm): considero una neoplasia con margini indistinti e una nodulare.

Capsula assente presente

Spazi portali intratumorali presente assenti

Ben differenziato >80% >40%

Invasione vascolare 5% 27%

Metastasi intraepatiche 0% 10%

Sopravvivenza a 5 anni 90% 48-54%

dopo resezione

(questo prova l’importanza della struttura istologica delle neoplasie.)

Proprio in base alla diversa istologia sono stati studiati degli algoritmi di gestione delle neoplasia del fegato:

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20) lesione di partenza più di 2 cm studio dinamico di imaging con RM, tac o eco con mezzo di contrasto. Se con una di queste metodiche in nodo mostrava un comportamento vascolare atipico si faceva la diagnosi di epatocarcinoma.

21) lesione di partenza tra 1 e 2 cm dato di una tecnica confermato dall’altra. Se il comportamento vascolare non è tipico, si utilizza un algoritmo diagnostico che prevede alche la biopsia per arrivare alla diagnosi.

22) lesione di partenza sotto 1 cm controllo ecografico ogni 3-4 mesi per un anno, poi monitoraggi semestrali per documentare eventuali cambiamenti di dimensioni.

Lo spazio riservato all’eco con mezzo di contrasto nell’algoritmo diagnostico è minimo, rispetto all’importanza della Risonanza Magnetica e della TAC, poichè esse fanno anche una stadiazione della malattia valutando la condizione dell’intero organo, non solo dei singoli noduli.

Classificazione dell’HCC:

si basano oltre che sulla caratterizzazione del nodulo, anche su aspetti legati alla funzione dell’organo (ascite, albumina, bilirubina) così da stimare la probabilità di sopravvivenza del paziente.

Oggi si utilizza la classificazione della Clinica del fegato di Barcellona che utilizza caratteristiche legate al tumore a alla funzione apatica. Permette di elaborare anche un programma tarapeutico.

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- singola lesione, piccola, in paziente con cirrosi child A, senza ipertensione portale resezione perché il rischio di scompenso è basso. Meglio se l’eziologia è esotossica (alcolica) o dismetabolica e non virale (HBV).

- Neoplasia singola <3cm o tre piccoli nodulitrapianto o trattamenti di radio-frequenza. Sopravvivenza a 5 anni stimabile tra 40-70%.

- Stadi più avanzatichemio-embolizzazione oppure terapia medica con sorafenib.

- Stadi ancora più avanzati terapia sintomatica e bassa sopravvivenza.

Tra le ripercussioni che si possono avere nella cura del nodulo non è tanto la recidiva o la ripresa di malattia ma la formazione di nuove lesioni, favorita dal trattamento stesso. Per esempio la TACE (chemio-terapico e blocco arteria per bloccare l’apporto ematico al nodulo) crea uno stimolo ipossico che induce la neoangiogenesi ,con produzione di fattori di crescita vascolare, che può fare comparire nuove lesioni.

COLANGIOCARCINOMA (CC):

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Il colangiocarcinoma è una neoplasia che parte dai dotti biliari. Può originare da punti diversi dell’albero biliare: all’interno del fegato (10%) o alla confluenza dei dotti biliari destro e sinistro, cosiddetto tumore di Klatskin (60%) o nella porzione extraepatica dell’albero biliare(30%).

La diversa sede influenza la sopravvivenza. Infatti un CC extraepatico tende ad avere sintomatologia cinica, poiché da ostruzione, e quindi viene facilmente scoperto, invece un CC intraepatico periferica viene scoperto, in genere, solo quando è di grosse dimensioni.

Rappresenta il 3% delle neoplasie vaso intestinali, ed il 10-20% dei tumori primitivi di fegato. Ha una incidenza maggiore nei maschi. In Thailandia c’è una alta incidenza, associata ad infestazioni parassitarie delle vie biliari.

L’infiammazione cronica delle vie biliare rappresenta un fattore di rischio. Può esserci anche un rischio aumentato in paziente cirrotico oppure nella Fibrosi epatica congenita o nella Malattia di carolì, nel Fegato policistico e nella Colangite sclerosante (associazione tra CC e colangite sclerosante del 12%).

Ha caratteristiche pseudoghiandolari. È una neoplasia che cresce lentamente, invadendo i linfatici, per questo le forme periferiche vengono diagnosticate quando già hanno raggiunto grosse dimensioni.

Forma ilare del CC:

ha una componente fibrotica importante. È una massa dura nell’ilo, che raramente assume aspetto spugnoso. Vi possono essere lesioni metastatiche e intraepatiche.

Sintomi:

- ittero (senza altri sintomi accompagnate),

- prurito,

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- feci alcoliche,

- dolori quadrante dx,

- perdita peso.

Dati di laboratorio:

• γ-GT e fosfatasi alcalina (Aph): aumentate

• bilirubina aumenta

• CEA è il marcatore specifico

• CA19.9 aumenta pure ma è meno specifico perché aumenta in tutte le forme prostatiche.

Diagnostica per imaging:

eco, tac, RM, eco per via endoscopica.

ANGIOMA:

Neoplasia benigna più frequente. Si stima al 7%, soprattutto in donne. Può essere solitario o multiplo.

È un aggregato di tessuto spugnoso caratterizzato da vascolarizzazione anomala e atipica. È benigno e non tende ad evolvere in forma neoplastica.

Se si de-oxa si vedono lacune vascolari multiple all’interno del materiale aspirato.

Solitamente è asintomatico, i sintomi possono comparire in caso di lesione molto grande o in caso di sanguinamento.

Potrebbe esserci crescita aumentata di tumori.

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Il rischio di rottura deve essere considerato per angiomi grandi e periferici.

Diagnosi in imaging:

Iperecogeno, con margini ben definiti, localizzazione tipica.

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Chirurgia dell'apparato digerente

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Parleremo degli aspetti chirurgici delle malattie dell’apparato digerente. Quindi faremo una disamina generale degli aspetti di semeiotica e di fianco a questi vedremo le principali patologie neoplastiche dell’apparato digerente (tumore dello stomaco, dell’esofago, delle vie biliari, del pancreas e del fegato) per poterne almeno cogliere gli aspetti di diagnosi differenziale e legati alle prospettive di sopravvivenza (con solo qualche accenno di terapia).

Analizziamo ora uno per uno i principali sintomi che sono propri delle malattie dell’apparato digerente. Per lo più si tratta di sintomi aspecifici, che si presentano in forma variabile in molte patologie dell’apparato digerente: alcuni prevalentemente nel tratto superiore, alcuni del tratto inferiore e alcuni in entrambi.

I principali sono questi:

- il dolore, che va trattato a parte perché può essere molto variegato. Può avere significati diversi a seconda delle sue caratteristiche, a seconda delle sedi di insorgenza e delle modalità di irradiazione.

- disfagia;

- rigurgito;

- singhiozzo;

- anoressia;

- nausea e vomito;

- aerofagia e meteorismo;

- dispepsia (che vuol dire una lenta digestione);

- pirosi (bruciore);

- reflusso (in particolare il reflusso gastro-esofageo);

- diarrea e stipsi;

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- tenesmo (senso di pienezza dell’ampolla rettale che da una sensazione di continua necessità di svuotamento dell’ampolla rettale pur in assenza di feci nell’ampolla); questa è legata essenzialmente ad alterazioni dell’innervazione degli sfinteri anali (in particolare quello interno) al livello dei quali si trovano i barocettori che presiedono alla regolazione della pressione dell’ampolla rettale. Un’alterazione della loro sensibilità può dare una sensazione di continua pienezza e necessità di defecare;

- ittero che è un sintomo a carattere generale. Mentre tutti gli altri si ritrovano pressoché in maniera esclusiva, l’ittero può essere invece espressione di patologie diverse, quindi come sintomo, a seconda della componente della bilirubina che lo compone maggiormente (diretta o indiretta).

Ci sono poi i sintomi legati ai sanguinamenti che come per il dolore possono essere variegati e ad espressioni diverse:

- ematemesi ovvero l’emissione di sangue dalla bocca, quindi una sorta di vomito con rigurgito ematico

- melena ovvero l’emissione di feci scure, nere dal retto espressione di un sanguinamento al livello del tratto gastroenterico alto che a seguito dei fenomeni digestivi e di ossidazione dell’Hb presente nelle feci stesse assume appunto questa colorazione.

- enterorragia e proctorragia che sono emissioni di sangue indigerito dall’intestino che a seconda della propria origine possono essere espressione di sanguinamento a livello del piccolo intestino o del retto stesso.

Andiamo quindi a vedere in maniera un po’ più approfondita ciascuno di questi disturbi.

La disfagia come indica il termine stesso (dal greco dis + fagos) indica una difficoltà nella deglutizione. Generalmente si presenta nella forma classica con una difficoltà di deglutizione dei boli solidi che riescono ad essere ingeriti (in questa prima fase) solo con la concomitante digestione di liquidi. Solo nelle fasi più tardive dell’espressione di questo sintomo la disfagia si presenta anche e solamente per i liquidi: l’escamotage di combinare l’ingestione di solidi e di liquidi non è più efficace e anche la semplice ingestione di liquidi avviene con difficoltà. Le cause che la possono determinare sono prevalentemente cause organiche, quali la presenza di

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una alterazione della parete dell’esofago e/o della parete della faringe (posteriormente alla bocca) e in qualche caso patologie che riducono anatomicamente lo spazio. Altre cause possono essere quelle di carattere funzionale, come un cattivo sincronismo nelle varie fasi della contrazione delle fibre muscolari della faringe, e dell’esofago alto, medio e basso che appunto non consentono la progressione normale dei liquidi. Fra le cause organiche abbiamo le neoplasie, ma anche le esofagiti che determinando una erosione della superficie della mucosa dell’esofago possono di per sé rendere difficoltosa e spesso anche dolorosa la progressione del bolo. Ancora possiamo avere i diverticoli dell’esofago, che possono essere classificati sia tra le cause organiche sia come espressione di una patologia funzionale ad esempio una discinesia che ne determina la formazione e in più ci sono delle malattie di carattere più generale che esulano dallo stretto contesto gastroenterico come la sclerodermia. Fra le cause funzionali abbiamo detto che ci sono le discinesie: sia quelle che determinano uno spasmo che può interessare sia lo sfintere esofageo superiore che inferiore (acalasia) e non consentono così il transito del bolo nello stomaco rendendo necessaria una iperpressione (deglutizione forzosa). Abbiamo poi dei fenomeni di incoordinazione, soprattutto esofagei: il bolo alimentare progredisce dalla faringe verso l’esofago grazie a una contrazione coordinata e progressiva della muscolatura della faringe stessa e della porzione alta, media e bassa dell’esofago che avviene come un’onda peristaltica. Nel momento in cui si verificano delle patologie funzionali che determinano una incoordinazione di questa contrazione sequenziale si possono avere dei fenomeni di disfagia, gli spasmi e l’acalasia.

Un aspetto importante da riconoscere nel momento in cui si presenta ed espressione sempre di una patologia di carattere esclusivamente funzionale è la cosiddetta disfagia paradossa: si tratta sostanzialmente dell’insorgenza in prima battuta di una disfagia ai liquidi (in genere la disfagia si presenta prima per i solidi e solo successivamente per i liquidi). Il paradosso quindi è che il bicchiere di acqua non va giù, mentre il boccone di pane o di carne vanno giù normalmente. In questo caso spesso si hanno le forme iniziali di acalasia. Ciò è legato al fatto che lo spasmo determina una contrazione più forte dello sfintere esofageo inferiore che per esser vinta necessita di una pressione più alta fin dall’inizio (maggiore sarà la pressione del bolo e maggiori saranno le sue possibilità di superare lo sfintere).

L’odinofagia è invece l’espressione di una sensazione dolorosa al momento del passaggio del bolo alimentare e si può associare con un sintomo specifico a ciascuna

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delle forme di disfagia che abbiamo visto finora ed è rappresentata appunto da uno stato di dolore nel momento della deglutizione.

Il rigurgito è un altro aspetto importante tra le patologie dell’apparato GI superiore e sostanzialmente deve essere distinto in maniera netta e precisa perché il suo riconoscimento permette una diagnosi differenziale rispetto al vomito. Sebbene in entrambi i casi si tratti di una fuoriuscita dalla bocca di cibo precedentemente ingerito, rigurgito e vomito sono sintomi diversi e spesso espressione di patologie diverse. Per rigurgito si intende il ritorno del materiale alimentare nella cavità orale, seguito sia da emissione all’esterno o dal solo fenomeno di ruminazione (ovvero il bolo si ferma nella cavità orale, il soggetto provvede di nuovo alla masticazione e cerca di farlo progredire nuovamente verso il basso); oppure dal ritorno del succo gastrico, quando cioè non c’è stata precedente (o contemporanea) immissione del cibo. L’aspetto principale del rigurgito è che questo avviene senza fenomeni di contrazione a ritroso della muscolatura dell’esofago o della faringe. Anche il reflusso gastro-esofageo (cioè quel fenomeno per il quale il succo gastrico presente nello stomaco ritorna verso la bocca a seguito di una incontinenza, acalasia, dello sfintere esofageo inferiore) è un fenomeno di rigurgito, così come quello che si verifica per una mancata maturazione dei meccanismi che presiedono al controllo dello sfintere esofageo. Dal punto di vista concettuale è da distinguere anche il fatto che per rigurgito si intende materiale che ancora non è giunto a contatto con il succo gastrico, quindi materiale soltanto masticato. Nel momento in cui bisogna effettuare l’anamnesi si evince facilmente questo dettaglio perché il soggetto che ha un ritorno di materiale frammisto a succo gastrico descriverà questa esperienza come una sensazione di amaro in bocca e di bruciore. Il soggetto invece che soffre di rigurgito non descrive questa sensazione, ma il materiale che ritorna nella cavità orale ha le stesse caratteristiche che aveva prima di essere deglutito (infatti spesso si ha il fenomeno di ruminazione). Il soggetto spesso avendo un particolare disagio nel riavere il materiale nella bocca lo rilavora, lo rimastica per poi tentare di ributtarlo giù. Le malattie sottostanti al rigurgito sono nuovamente le neoplasie, i diverticoli e l’acalasia. A seguito della presenza di queste forme che determinano sostanzialmente un ristagno del materiale nei vari tratti dell’esofago si ha, all’esame diagnostico per immagini, come segno clinico quello o di una presenza di diverticoli che fanno da reservoir al materiale indigerito e poi rigurgitato,o fenomeni di vera e propria dilatazione a tutto canale del’esofago (generalmente dilatazione che arriva fino al cardias, come nell’acalasia). La pericolosità del fenomeno del rigurgito sta nel

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fatto che il materiale non digerito, nel suo ritorno verso la bocca, a seguito appunto del fatto che manchi una contemporanea collaborazione della muscolatura, può determinare dei fenomeni di polmonite ab ingestis, ovvero la progressione del materiale alimentare all’interno della via aerea. Questo appunto perché non si ha una contemporanea chiusura della glottide, come avviene nel fenomeno fisiologico della deglutizione, o in quello patologico del vomito.

La dispepsia è un fenomeno più generico, aspecifico, presente in una miriade di patologie dell’apparato digerente e che può sostanzialmente essere sintetizzato come una cattiva digestione, cioè una digestione rallentata. Un senso di pesantezza al livello dello stomaco: si ha la sensazione che lo stomaco non si svuoti in tempi normali ma si mantenga costantemente pieno con fenomeni di tensione a livello epigastrico della parete addominale (soprattutto postprandiale), con fenomeni di eruttazione e borborigmi presenti generalmente nei quadranti mediani e laterali medi (fianchi) dell’addome e ovviamente anche fenomeni di pirosi (bruciore) gastrica. Si tratta di un sintomo che può essere assolutamente generico, difficile da sostanziare in maniera oggettiva perché ciascuno possiede una soglia di questa tipologia di sintomo particolare: ciò che può essere considerata una digestione rallentata per qualcuno invece una digestione normale per altri e dipende spesso anche dalla quantità di cibo presente.

La pirosi invece è la sensazione di avere un dolore urente, quindi un bruciore, al livello epigastrico, generalmente esteso o anche originante a livello retrosternale in genere determinato da alterazioni di tipo funzionale/motorio della muscolatura dell’esofago e dello stomaco che possono favorire fenomeni di reflusso di materiale gastrico a livello esofageo. Si può avere questo disturbo di bruciore perché la mucosa esofagea non è “protetta” dall’insulto acido dei succhi gastrici e quindi la presenza di un materiale ad alta acidità (pH compreso tra 1 e 3) va a determinare fenomeni di dolore o di infiammazione (esofagiti) che possono essere associati a fenomeni di . A volte la pirosi può essere sostenuta da uno spasmo dello sfintere esofageo inferiore secondario al reflusso: l’irritazione della mucosa al livello del passaggio tra esofago e cardias, determinando uno spasmo aumenta la sensazione di bruciore perché aumenta il tempo di presenza del succo gastrico al livello della porzione terminale dell’esofago andando ad esacerbare la sintomatologia. Anche qui le cause della pirosi sono di carattere infiammatorio (le esofagiti), ma anche ulcere, neoplasie, farmaci che riducono la capacità di protezione della mucosa. Un aspetto importante della pirosi quando questa si presenta nella forma retrosternale è che

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deve esser sempre posta una diagnosi differenziale rispetto a problemi di origine cardiaca: a volte fenomeni di ischemia cardiaca, soprattutto della componente inferiore del’apice del ventricolo di sinistra, possono mimare un disturbo simil-pirotico.

Il singhiozzo (o singulto, come è proprio definirlo) è invece un altro sintomo che può essere o meno patognonomico (quindi da solo essere in grado di individuare la patologia sottostante). È rappresentato da una contrazione momentanea, puntuale, spastica, acuta, involontaria e finalistica del diaframma. Può essere sostenuto da cause diverse che agiscono attraverso archi riflessi avendo come branca efferente comune il nervo frenico, che presiede appunto alla contrazione del diaframma (volontaria o involontaria). Proprio perché si tratta di una azione mediata dal nervo frenico, quindi espressione di un arco diastatico, tutte le cause che possono irritare il nervo frenico stesso possono rientrare nel singhiozzo. Il più delle volte si tratta di cause banali legate alla condizione del momento: iperpressione dello stomaco ad esempio per ingestione di liquidi gassati (che aumentano la distensione dello stomaco) e agiscono con irritazione del nervo frenico, mentre quando il singhiozzo è sostenuto e continuativo, protratto nel tempo, deve essere sospettata una causa organica che sostenga l’irritazione del nervo frenico e quindi poi la contrazione. In genere sono patologie che possono determinare una infiammazione della pleura o del pericardio, e sono tutte strutture che passano a contatto col nervo frenico o anche a causa di una sovra distensione colica: il colon si distende in maniera abnorme e va a irritare il nervo frenico, soprattutto al livello delle flessure dove i rapporti sono più intimi. Ad esempio nel caso di megacolon tossico la distensione del colon è legata a malattie come quella di Hirschsprung o in altre forme patologiche che determinano un aumento della pressione endoaddominale e che sono causa della sindrome compartimentale (determinata dall’effetto della pressione in sé sugli organi contenuti nella cavità peritoneale). Un’altra forma che deve essere sospettata quando un soggetto è stato sottoposto a manovre invasive come interventi chirurgici o anche biopsie e manovre varie che abbiano determinato un’azione all’interno del peritoneo: l’irritazione, la raccolta di fluidi, la loro sovra infezione così come la presenza di semplici spie indicative a livello sottofrenico e sovra epatico (in quella zona che sta fra fegato e diaframma) possono esser causa di singhiozzo. Quindi in questi casi il singhiozzo può essere espressione legata alla presenza di un ascesso o di una raccolta di liquido che spesso passa inosservata perché di difficile diagnosi con la semeiotica clinica (essendo una zona al di sotto dell’arcata costale e quindi

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difficilmente esplorabile) e spesso anche gli strumenti di primo livello, di diagnostica per immagini (come l’ecografia) possono con difficoltà esplorare quell’area perché in stretta vicinanza col polmone e quindi facilmente mascherabile da questo (visto che l’aria fa da barriera fisica alla possibilità di esplorazione).

Con anoressia di intende invece la perdita dell’appetito. In genere può essere legata a fenomeni banali come la semplice indigestione che per semplice compensazione determina perdita dell’appetito. Può essere transitoria e quindi essere recuperata rapidamente, ma può anche essere invece in forma prolungata (nell’ordine di giorni-settimane-mesi). Può essere espressione di patologie di ordine psichico ma anche di natura organica. L’anoressia più conosciuta è quella nervosa, sostenuta da fenomeni di nevrosi o psicosi o da farmaci che agiscono a livello centrale e bloccano il centro dell’appetito. Ci sono poi invece delle forme di anoressia secondaria che sono più legate a fenomeni di natura organica come la presenza di stati febbrili, malattie infettive, patologie endocrinologiche (che possono andare a intervenire a livello ormonale), gastriti (soprattutto nelle forme croniche in cui si ha riduzione della produzione dei succhi gastrici e quindi per riflesso una digestione più rallentata e un senso di sazietà più prolungato). Altro segno abbastanza tipico nella sua forma di rifiuto in particolare della carne, quella associata a carcinoma gastrico oltre alle altre forme annesse alle patologie gastroenteriche tipiche.

La sitofobia è il timore di assumere cibo per un senso di consapevolezza che il cibo darà origine al dolore nei minuti subito successivi all’ingestione. Questo è tipico di due patologie in particolare: la pancreatite acuta ma soprattutto cronica e ai fenomeni di angina addominis (un dolore causato da una insufficienza vascolare al livello dell’apparato gastroenterico determinata da fenomeni aterosclerotici che colpiscono i vasi che irrorano il piccolo intestino impegnato nella digestione del materiale ingerito).

Veniamo ora a nausea e vomito. La nausea è il senso di ripugnanza nei confronti del cibo e la sensazione di essere sul punto di vomitare. Non è detto che la nausea sia seguita dal vomito mentre in genere il vomito è sempre preceduto dalla nausea. (il concetto di sempre è comunque relativo in medicina). In genere si associa la nausea a fenomeni corollari di natura neurovegetativa: ad esempio correlata a fenomeni di stanchezza, astenia, pallore, bradicardia, sudorazione profusa o anche aumentata salivazione. Le cause sono varie.

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Il vomito è l’espulsione forzata del bolo alimentare che sia già venuto a contatto con il succo gastrico e che venga quindi riportato a ritroso nella bocca e generalmente espulso. L’espulsione non è sempre espressione della forza con la quale il materiale viene fatto regredire (forza determinata dal fatto che il vomito è associato alla spinta della muscolatura dell’esofago e della faringe), ma è anche a volte determinato dalla sensazione di acidità e di fastidio che il bolo alimentare, venuto a contatto con il succo gastrico, determina in chi la subisce. Il fenomeno come detto richiede la contrazione della muscolatura e quindi un controllo nervoso per una coordinazione di questa, seppure invertita. Per questo spesso si ha il coinvolgimento del centro del vomito che si trova nella formazione reticolare del bulbo. Altre volte, seppur meno frequentemente, ci possono essere fenomeni ab ingestis soprattutto quando questo avviene nelle situazioni di minor controllo spontaneo della muscolatura esofagea (come ad esempio nelle fasi di anestesia dell’intervento chirurgico in cui ci possono essere fenomeni di vomito non per cause organiche ma per l’effetto che il farmaco ha in particolare sulla formazione reticolare del bulbo). In questi casi i soggetti non hanno la tendenza a protendersi in avanti e quindi ci può essere ingestione nelle vie aeree e susseguente polmonite ab ingestis. Gli stimoli nervosi, chimici o fisici che sono coinvolti nel fenomeno del vomito provengono dall’encefalo, dal , quindi possono essere fenomeni legati a patologie di tipo vestibolare che presiedono al centro dell’equilibrio, possono nascere da stimoli al livello del tratto GI ma possono anche essere espressione di sensibilizzazione di chemiorecettori sensibili a particolari sostanze come veleni o farmaci o metaboliti che vedono nel vomito un meccanismo di difesa del paziente. L’aspetto invece di efferenze, ovvero le vie attraverso le quali il fenomeno contrattile si manifesta sono la combinazione di fenomeni di contrazione e rilasciamento in maniera invertita rispetto a quella che si ha nella normale deglutizione. Le cause che possono determinare il vomito, essendo le vie afferenti variegate, sono anch’esse variegate. Possono essere patologie centrali che colpiscono il centro bulbare del controllo del vomito e sono generalmente sintomo di aumento della pressione all’interno della cavità cranica (aspecifici perché questa può aumentare per tumori, infiammazioni ecc…); ci sono poi patologie di natura vestibolare e labirintiche che determinano il vomito in risposta a disequilibrio o cinetosi; malattie intestinali acute o croniche e le malattie metaboliche, oltre alle intossicazioni e ad altre più generiche che rappresentano spesso una combinazione di origini delle irritazioni periferiche nel vomito oltre a forme legate a stati emozionali e alla gravidanza. Lo stato di gravidanza non deve essere mai dimenticato

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nel momento in cui la giovane donna viene con la sintomatologia di vomito prevalentemente mattutino.

Dal punto di vista generale il vomito sembra piuttosto aspecifico anche se negli aspetti delle patologie che richiedono trattamento chirurgico può essere un sintomo importante per favorire la diagnosi. Grossolanamente di distinguono tre tipi di vomito: il vomito di natura centrale (legato alle affezioni di tipo encefalico, labirintico o a cause tossiche e dismetaboliche, oltre a quello determinato a fenomeni di intossicazione farmacologica), il vomito riflesso (in genere determinato in maniera riflessa a stimoli dolorosi acuti, prevalentemente di tipo ostruttivo ma anche di tipo irritativo acuto, come per esempio nelle esofagiti e gastriti) e il vomito ostruttivo (determinato da un ostacolo determinante un parziale o completo impedimento alla normale progressione del bolo alimentare). Quelli che si avvalgono esclusivamente della terapia di natura chirurgica sono il vomito riflesso e il vomito ostruttivo perché quello centrale non è generalmente presente tra le patologie di caratteristiche chirurgiche. Vediamo ora un po’ più in dettaglio quali sono le caratteristiche organolettiche del vomito in quanto differiscono lievemente le une fra le altre e quindi possono essere d’aiuto nel riconoscimento di questo sintomo. In genere il vomito riflesso è esclusivamente rappresentato da materiale gastrico quindi senza la presenza di bolla quindi di succhi gastrici o da succhi biliari a seconda del suo livello o di nessuno dei due, quindi con una quantità relativamente scarsa ma una acidità e un senso di amaro (proprio della bile) più spiccato; il vomito ostruttivo varia a seconda del livello al quale si ha l’ostruzione perché progressivamente si ha accumulo del materiale dal punto dove c’era l’ostruzione a monte fino ad arrivare allo stomaco e solo come ultimo passaggio va a determinare il vomito stesso. Il vomito rappresentato da materiale gastrico può essere riflesso o ostruttivo, può avere carattere di presenza di materiale alimentare oppure solamente di carattere del fluido presente nello stomaco e a seconda della fase di digestione nella quale ci troviamo può avere caratteristiche organolettiche ma anche di presentazione diversa (può essere bianco, trasparente, filante), può corrispondervi una componente di natura biliare che gli da una coloritura sui toni del giallo/verde e a seconda di quanto tempo si è trattenuto il materiale all’interno dello stomaco prima di essere emesso può avere una densità e un tono vario. Il vomito biliare ha la caratteristica di non avere all’interno generalmente ingesti perché è espressione del reflusso della bile dalla prima porzione del duodeno (punto in cui viene immessa attraverso il coledoco che sbocca nella seconda porzione duodenale nell’ampolla di Vater). È quindi una

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immissione di bile a valle dello stomaco e quindi la presenza di un vomito biliare presuppone che il tratto a monte sia libero da materiale (altrimenti ci sarebbe vomito alimentare misto a bile). Vi è poi il vomito di natura enterica, espressione di un ostacolo alla progressione del bolo a livello variabile del piccolo intestino: in questo caso raramente si tratta di un bolo solido, quindi solitamente è una emissione di bolo liquido misto a bile (già presente nella componente del bolo), in genere denso e maleodorante perché per essere emesso dallo stomaco verso l’esterno è necessario che si sia accumulato e abbia ristagnato un tempo sufficiente. Da quindi vita a fenomeni di natura fermentativa e avere quindi questa caratteristica di essere maleodorante. Vi è poi il vomito di natura fecaloide che non vuol dire fecale (in condizioni veramente eccezionali in presenza di fistole da colon, enteriche alte o colo duodenali si può avere anche emissione di feci dalla bocca): si tratta di un materiale che è molto maleodorante perché è espressione di una ostruzione ancora più a valle del tratto gastroenterico e quindi ha dato tempo ai fenomeni di natura fermentativa di prender piede e di essere più intensi, oltre al fatto di aver dato luogo a una iper manifestazione della flora batterica fisiologicamente presente al livello del tratto intestinale. In genere è determinato da una occlusione di natura meccanica e quindi una maggior permanenza nel canale gastroenterico ne è l’espressione. Ovviamente un aspetto interessante è che le occlusioni che originano inizialmente al livello del colon, che sono quelle più frequenti, come patologie neoplastiche, solo tardivamente danno origine al sintomo vomito perché affinchè questo possa avvenire occorra che ci sia stata una precedente dilatazione della porzione del colon a monte del tratto a livello del quale c’è l’occlusione con una contemporanea perdita della continenza della valvola ileo-cecale (perduta la quale la progressione verso l’alto è solamente una questione di tempo), e si tratta comunque di una manifestazione tardiva e per questo abbastanza rara. A giustificazione dei fenomeni fermentativi di natura enterica e dell’iperespressione della flora batterica facciamo una piccola sinossi delle componenti della flora batterica più rappresentate al livello del tubo digerente. Per ogni porzione del tubo digerente si ha una flora batterica tipica e differenziata, sia di natura aerobica che anaerobica. La presenza di questi microrganismi al livello del bolo alimentare è un aspetto fisiologico/parafisiologico: diventa patologico quando si ha la colonizzazione da parte di batteri normalmente presenti in un tratto, nel tratto nel quale non sono normalmente presenti (ad esempio un escherichia coli in un tampone faringeo è espressione di una infezione patologica). Per quanto riguarda la fisiopatologia del vomito fecaloide bisogna evidenziare come ci sia un equilibrio, un’omeostasi batterica al livello gastroenterico

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che è mantenuto dalla produzione batterica da un lato e la pulizia che avviene attraverso le feci. E’ in questo equilibrio che avviene la fisiologia della colonizzazione batterica del tratto intestinale e che consente anche una digestione normale. Quindi qualsiasi condizione patologica (organica o funzionale) che va a minare questo equilibrio,vuoi per una più rapida progressione o vuoi per un rallentamento (fino all’ostruzione) ovviamente determina una perdita di questo equilibrio e quindi la conseguente sovra infezione del bolo alimentare che ristagna. Si possono quindi avere dei fenomeni legati sia ad aspetti quantitativi dei batteri presenti, sia di natura qualitativa. Altri sintomi associati a vomito di natura olostruttiva sono da tener presente per valutarne ricorrenza e per orientarci per individuare a che livello si va a determinare l’ostruzione sono presentati in questa diapositiva. Bisogna tener presente che le secrezioni a livello del tratto GI, e in particolare a livello dello stomaco, del pancreas e della bile hanno un andamento continuo nell’arco delle 24h, non si arrestano mai. In particolare la produzione della bile e dei succhi pancreatici riconosce dei momenti di maggiore attività in corrispondenza del pasto ma continuativamente si ha una produzione di base che è abbastanza cospicua. Questo va tenuto a mente perché in fenomeni di natura ostruttiva si ha un accumulo progressivo e relativamente rapido di questo materiale a livello del tratto gastro intestinale e lo stomaco fa generalmente da reservoir per questo materiale fino alla sua espulsione. Quindi ai fenomeni di accumulo si associano dei fenomeni di distensione dell’addome che saranno inizialmente localizzati prevalentemente nella zona dove c’è il sospetto che vi sia l’ostruzione stessa. Quindi con un esame attento di semeiotica fisica del paziente si può essere indirizzati sul quadrante addominale sul quale si ha l’iniziale ostruzione che poi determinerà il vomito stesso. Vi è poi l’associazione con il dolore che inizialmente ha un carattere di natura viscerale, diffuso all’addome profondo, sordo e di difficile individuazione. Ovviamente altro aspetto che va tenuto presente nei fenomeni di tipo ostruttivo, sia che essi determinino o meno il sintomo emetico, è l’aspetto legato alla disidratazione perché il sequestro del materiale fluido all’interno del tubo gastroenterico, fisiologicamente non è diverso dalla perdita del liquido all’esterno. Ciò vuol dire che i soggetti che subiscono una occlusione intestinale e a maggior ragione con vomito hanno una perdita sia della componente liquida che della componente elettrolitica e quindi possono andare incontro anche a fenomeni di shock ipovolemico e di disequilibrio elettrolitico. Nel momento in cui si ha un’ostruzione del tratto gastroenterico si ha fisiologicamente per fenomeni di differenza di densità della componente liquida con quella gassosa, la stratificazione delle due componenti e la formazione, all’esame

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radiologico diretto (quindi senza mezzo di contrasto), dei livelli idroaerei. Questi sono più evidenti quando l’esame viene fatto in ortostatismo, cioè col paziente in piedi, perché l’aria tende ad andare verso l’alto e il liquido verso il basso. Si va così a determinare una immagine tipica che orientativamente può andare a indirizzare sulla sede dell’ostruzione perché il fenomeno si ripercuote a ritroso mentre nella porzione a valle non si ha l’evidenza di questa organizzazione idroaerea. Per avere un’idea di quello che vuol dire avere una ostruzione che possa determinare un ristagno a monte e quindi dopo il vomito, è riportata la composizione in termini di elettroliti e la quantità giornaliera dei vari fluidi che vengono continuativamente prodotti nel sistema GI. Facendo una banale somma delle varie componenti si vede che si può arrivare a una perdita complessiva di addirittura fino a 10 litri di fluidi (quindi una notevole forma di disidratazione, grave per l’intensa alterazione degli equilibri conseguente, che non deve essere sottovalutata).

Per aerofagia si intende la deglutizione di aria eccessiva che in genere è sostenuta da comportamenti, più che vere e proprie patologie. È quindi una condizione legata più alle abitudini che a vere e proprie patologie: tra queste

, la masticazione delle gomme da masticare e l’eccessivo utilizzo di bevande gassate. L’aerofagia può essere riconosciuta come una componente sintomatologica importante quando questa eccessiva ingestione di gas da luogo a meteorismo, in genere transitorio e associato anch’esso a .

Per meteorismo si intende la presenza di gas al livello del tratto gastroenterico basso, fino al livello dello stomaco la presenza di gas è normale mentre nella porzione inferiore la presenza di gas in maniera abnorme può dar luogo a fenomeni di fastidio perché si sentono dei borborigmi accentuati, si possono avere eruttazioni verso l’alto o flautulenze verso il basso che possono essere un corollario sintomatologico di patologie nelle quali il transito è di per sé alterato, nel senso di iper o ipocinesia. Nelle occlusioni intestinali, essendo un fenomeno nel quale non si riesce a progredire verso il basso, il meteorismo e la distensione intestinale diventano sempre più gravi e quindi possono dare luogo essi stessi a dolore e a fenomeni di vomito (perché occupando spazio favoriscono una più rapida progressione retrograda del bolo alimentare).

Veniamo a parlare di fenomeni più propri della componente inferiore del tratto GI, in particolare diarrea e stipsi.

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Per quanto riguarda la diarrea non esiste una definizione univoca perché questa ha una componente soggettiva: ci sono soggetti che considerano di avere diarrea in condizioni nelle quali l’emissione delle feci è meno consistente rispetto al normale, e soggetti che invece dicono di defecare in maniera normale anche in presenza di 5 o 6 emissioni nell’arco della giornata e con feci sostanzialmente semiliquide. Quindi è uno dei sintomi che è più difficile da interpretare nel momento in cui ci si trova di fronte il soggetto. La definizione più accettata la classifica come emissione rapida di feci abbondanti conformate. È favorita dal mancato riassorbimento dei liquidi normalmente presenti nell’intestino (circa 10 litri di fluidi che fisiologicamente ogni giorno il nostro tratto GI produce). Il 90% di questi fluidi solitamente sono riassorbiti al livello dell’ileo, quindi solo 1 litro arriva ad affacciarsi al cieco. Di questo litro un ulteriore 90% (quindi 900cc) viene riassorbito lungo il transito a livello colico e quindi solamente 100 cc dei 10 litri di partenza arriva a comporre il volume fecale. In condizioni particolari in cui l’ileo o il digiuno sono accorciati fisicamente o hanno delle problematiche nel riassorbimento fisiologico, il colon ha comunque una capacità di riserva e riesce ad assorbire fino a 5 litri (compensando un eventuale mancato riassorbimento a monte). Quindi perché si abbia una diarrea determinata da una riduzione della capacità di riassorbimento parafisiologica dell’intestino è necessario che ci sia una compromissione importante dell’intestino stesso. Ci sono poi delle forme di pseudo diarrea che sono importanti da distinguere perché sono invece espressione tipica dell’infiammazione della componente bassa del colon e in particolare patologie neoplastiche del sigma e del retto. Sono rappresentate dall’emissione di piccole quantità di feci ripetute rapidamente nel tempo che hanno nel proprio aspetto costitutivo o una componente di natura mucosa o di natura purulenta o di natura ematica. Ovviamente nella classificazione della diarrea è importante l’osservazione dei caratteri organolettici, specialmente se la diarrea si presenti in combinazioni con perdite ematiche: è importante riconoscere se si tratta di feci normoconformate, normocromiche, se si tratta di una diarrea mucosa (steatorrea – in realtà dovrebbe essere eccessiva presenza di grasso nelle feci) espressione di alterazioni della componente esocrina del pancreas (tipico delle pancreatiti croniche o comunque nelle forme neoplastiche che determinano una ostruzione del dotto pancreatico e quindi una mancata secrezione dei succhi pancreatici al momento del pasto). Quindi nella steatorrea abbiamo la presenza di feci untuose e ripetute nel tempo e di consistenza molle.

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La classificazione delle diarree riconosce diarree di natura osmotica, che sono quelle nelle quali si ha un mancato assorbimento dei fluidi fisiologicamente presenti all’interno del canale alimentare. Questo mancato assorbimento può avvenire per riduzione della lunghezza dell’intestino (sindrome dell’intestino corto) o per l’azione di farmaci lassativi o osmotici (cioè che hanno nel loro meccanismo di azione il blocco dei meccanismi con i quali si ha riassorbimento dei liquidi) oppure fenomeni di vero e proprio malassorbimento e quindi patologie che ostacolano la capacità di riassorbimento dell’intestino.

Vi sono poi le diarree di natura secretoria che si hanno nel momento in cui si ha una iperproduzione di liquidi al livello dei vari tratti del GI. Tra queste forme secretorie una tipica è quella dei tumori neuroendocrini del tratto gastroenterico che appunto hanno nella diarrea uno dei sintomi principali.

Vi sono poi le diarree di natura essudativa che sono quelle tipiche delle malattie infiammatorie croniche intestinali: il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, la colite ischemica; così come le forme irritative legate alle radiazioni (possono essere infatti un corteo sintomatologico presente anche nel corso di terapie antineoplastiche).

Vi sono poi le diarree che sono legate ad una alterata motilità al livello del tratto gastrointestinale: colon irritabile; quelle legate a fattori psico-emozionali, neuroendocrini e metabolici.

Quindi conducendo un colloquio adeguato ai fini anamnestici abbiamo modo di ricavare degli importanti indizi per orientarci sulla tipologia di diarrea e sulla malattia sottostante a questo disturbo e orientare la nostra diagnostica in modo corretto.

La stipsi è l’altra faccia della medaglia della diarrea: è caratterizzata da una riduzione della frequenza dell’evacuazione delle feci e determina una permanenza del bolo fecale nel colon e nel retto con o senza una difficoltà nell’evacuazione. Caratteristica essenziale per distinguerla rispetto alle forme sub occlusive è che non vi sia una presenza di una entità che determini occlusione di natura meccanica. Ovviamente i disturbi che sono associati possono mimare almeno in parte la presenza di una causa occlusiva meccanica e quindi si avrà distensione addominale, alvo chiuso, talvolta il vomito. Però l’assenza della componente di natura occlusiva determina la caratteristica principale della stipsi. Ovviamente vale lo stesso discorso fatto per la diarrea per quanto riguarda la capacità critica del singolo paziente di definire lo stato

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di stipsi anche se in linea generale si considera la presenza di questo disturbo quando il numero delle evacuazioni sia pari o inferiore alle 2 a settimana.

La stipsi si presenta prevalentemente in due forme: di origine colica e di origine ano-rettale. Quella di origine colica in genere è legata a fattori di natura alimentare: si parla di colite spastica quando le attività della componente neuromuscolare dei plessi nervosi del colon hanno delle aburgie, quindi patologie come il morbo di Hirschsprung, o patologie che determinino una riduzione della frequenza, della forza e della sincronia delle contrazioni. Vi sono poi stati depressivi e l’azione di farmaci antidepressivi, in particolare ansiolitici che possono agire direttamente su queste componenti neuromuscolari e quindi favorire l’insorgenza di questo sintomo come effetto collaterale delle terapie.

La stipsi vera è propria è difficile da distinguere dalle forme fisiopatologicamente border-line, idiopatiche che determinano il rallentamento del transito nel colon e quindi non sono classificabili come una forma di disturbo vero e proprio ma sono una caratteristica personale accentuata del soggetto.

La stipsi invece di origine ano-rettale è invece più spesso legata a origini di natura organica o, anche se in una forma più rara, per un ipertono del muscolo uro rettale che quindi non favorisce, e anzi riduce la capacità di sensazione di pienezza dell’ampolla rettale e quindi la sensazione di urgenza alla defecazione. Anche questo tipo di forma, essendo appunto coinvolgente plessi neuromuscolari, è presente nel morbo di Hirschsprung, la quale è l’unica patologia che può presentare entrambe le forme di stipsi in maniera contemporanea.

Altro sintomo importante della parte inferiore dell’intestino e che probabilmente troverete con maggior frequenza è il tenesmo, che è il sintomo proprio del tumore del retto. Si tratta di una sensazione di pienezza dell’ampolla rettale e di continuo stimolo alla defecazione nonostante si abbia appena finito di defecare. È legata a fenomeni di occupazione fisica della mucosa rettale: questo è il caso dei tumori del retto che occupano lo spazio ma non possono essere espulsi al momento della defecazione, oppure più banalmente può essere presente quando si hanno dei fecalomi al livello della mucosa rettale ed è tipico delle persone anziane. Può essere sostenuto da stimoli di natura flogistica ma l’irritazione è indicazione di un coinvolgimento dei recettori della parete dell’ampolla che, essendo barocettori, misurano lo stato di distensione dell’ampolla stessa e presiedono al rilascio della muscolatura involontaria degli sfinteri anali.

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Vi è poi l’incontinenza fecale che è invece una perdita, una riduzione del controllo della componente volontaria dello sfintere anale: questo darà luogo a forme di incontinenza maggiore nel caso di perdita di feci solide (prevalentemente durante il sonno); una incontinenza minore quando si ha perdita di feci liquide o di gas o ancora una cosiddetta incontinenza paradossa, che è all’origine del fecaloma stesso quando non si ha l’apertura dello sfintere interno (controllato in maniera automatica dal sistema nervoso) ma si riesce solamente a controllare lo sfintere esterno (quello volontario).

L’ittero è invece un sintomo che può riconoscere cause di origine dal sistema gastro-enterico ma anche cause che invece possono essere espressione di patologie sistemiche epatiche o anche di natura oncologica. L’ittero spesso è associato a prurito quando è di origine colestatica, cioè determinato dalla mancata emissione di bile nel tratto gastro-enterico che determina prurito ed è espressione del ristagno nell’organismo, e in particolare sulla cute, dei sali biliari che danno appunto questa sensazione pruriginosa. Determina una colorazione di natura giallastra della cute, delle e delle mucose ed è legato all’accumulo nei tessuti di bilirubina che normalmente viene invece liberata, insieme con la bile, nel tratto gastro-enterico dove favorisce il riassorbimento dei grassi da parte dell’intestino. La bilirubina è il prodotto del metabolismo dell’emoglobina ed è prodotta al livello epatico. Gli itteri sono classificabili in:

• tipo emolitico: quando la causa che determina l’accumulo della bilirubina indiretta è di natura pre-epatica (cioè prima del momento nel quale questa bilirubina indiretta viene metabolizzata al livello epatico per essere trasformata in emoglobina diretta ed espulsa lungo la via biliare nell’intestino);

• può essere di natura epatocellulare: quindi espressione di una alterazione della capacità del metabolismo dell’epatocita nel processo di trasformazione della bilirubina indiretta a bilirubina diretta. In questo caso la iper bilirubinemia sarà determinata con una componente mista: in parte diretta e in parte indiretta;

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• itteri ostruttivi o meccanici: caratterizzati dall’accumulo di bilirubina diretta, ovvero quella componente che è prodotta dal metabolismo dell’emoglobina e della bilirubina indiretta dall’epatocita. In questo caso l’ittero sarà espressione di una ostruzione nella emissione della bilirubina dalla via biliare nell’intestino e quindi ai vari livelli e per cause diverse.

L’ittero proprio delle patologie chirurgiche dell’apparato GI è la forma ostruttiva, quindi quella caratterizzata da un accumulo prevalente di bilirubina diretta. Si tratta generalmente di un ittero di tipo colestatico, cioè una mancata emissione della bile lungo la via biliare. Quali sono le cause di ittero ostruttivo?

Sono le calcolosi della via biliare. Le calcolosi della colecisti non danno mai ittero: danno coliche addominali, colecistite ma NON ittero. Con la presenza di un calcolo, nella progressione dalla colecisti alla via biliare si può determinare un impedimento di deflusso che può dare ittero ostruttivo. Ci sono poi le neoplasie, i tumori della via biliare, ma anche quelli della testa del pancreas perché per una questione anatomica il coledoco nella sua porzione terminale transita in una doccia contenuta nella parete posteriore della testa pancreatica: una neoplasia che nasca nella testa del pancreas può determinare la ostruzione per compressione del coledoco e quindi dare luogo a ittero. Oltre ai tumori pancreatici bisogna annoverare anche i fenomeni infiammatori del pancreas, per la formazione di pseudo-tumori infiammatori o di masse di rimaneggiamento del parenchima pancreatico non necessariamente di carattere neoplastico ma che su base infiammatoria possono dare fenomeni analoghi.

I tumori della ampolla di Vater, cioè la porzione comune nella quale il coledoco e il dotto di Wirsung sboccano nell’intestino: anche in questo caso si avrà una occlusione e un impedito transito della bile con conseguente colestasi. Infine ci sono tumori che possono nascere nelle vie biliari intraepatiche o dal parenchima epatico e quindi determinare compressioni segmentarie dei rami biliari al livello del parenchima dell’organo stesso.

L’ittero ostruttivo nella sua manifestazione riconosce dei sintomi che si associano in maniera invariabile: ipercromia urinaria, cioè l’emissione di urine color marsala, un colore più carico, ambrato, presente in tutti gli itteri ed è legato all’aumento della bilirubina nel sangue e quindi a una maggiore escrezione della bilirubina nel torrente

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urinario, oltre alla emissione di feci ipo o acromiche, quindi biancastre, cretacee, espressione di un ittero di natura ostruttiva in quanto la bile non raggiunge il tratto gastroenterico e quindi non è in grado di mischiarsi al bolo alimentare dandogli il colorito marrone che generalmente caratterizza le feci.

Ovviamente ci sono una serie di esami e reperti anamnestici che sono utili per differenziare le varie forme di ittero ma le vedremo poi man mano che analizzeremo le patologie che sono di natura gastroenterica e che hanno come sintomatologia l’ittero.

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Emorragie digestiveSi tratta di una problematica relativamente frequente e con un tasso di mortalità elevata (fino al 10%). È importante per questo fare una diagnosi precoce e una terapia adeguata. Questa è una classificazione semplice che è utile per approcciare il paziente in maniera utile (perché vi permette di fare una distinzione tra emorragie che vanno trattate in maniera differente) e semplice:- Emorragie digestive superiori (85-90%): esofago, stomaco, duodeno, anche

pancreas e fegato;- Emorragie digestive inferiori (10-15%): digiuno, ileo e colon.

Per indicare come superiori o inferiori queste emorragie si prende come riferimento l’angolo duodeno-digiunale, in prossimità del legamento del Treitz.

Molto spesso il problema è da ricercarsi a livello dell’esofago, dello stomaco, del duodeno e più raramente a livello epatico o a livello del pancreas; questo perché ovviamente il fegato scarica la bile nel duodeno tramite l’ampolla di Vater e lo stesso vale per il dotto pancreatico del Wirsung.

Come tutte le patologie mediche la prima cosa da valutare è l’esame clinico del paziente (stabilità emodinamica: sanguinamento, pressione, sudorazione, pallore), valutiamo se ha dolore, se ha l’addome disteso: questo non ci indica subito ad individuare il sanguinamento, ma mi aiuta se è possibile che sia coinvolta una patologia emorragica che mi coinvolge; cerchiamo di capire se ci possa essere una patologia intestinale che giustifichi l’emorragia tramite una serie di osservazioni e di constatazioni.

Effettuiamo pure un’ispezione ano-rettale ed un’esplorazione rettale (cerchiamo di osservare se ci sono tumori, fecalomi ecc.): in questo modo se c’è del sangue nelle feci l’esplorazione rettale mi permette di escludere tutta una serie di patologie.

Importante è anche l’ispezione delle feci e del vomito, che variano a seconda di dove sia l’emorragia; cambiano le caratteristiche a seconda della zona interessata dall’emorragia.

Accanto a queste procedure affianco una serie di esami di laboratorio: innanzitutto l’esame emocromocitometrico: l’emorragia porta ad abbassamento dell’emoglobina in maniera netta. In caso di sanguinamenti acuti l’emoglobina cala drasticamente ed

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il paziente ne risente (c’è dispnea, è sudato, è agitato), in quelli cronici i valori sono bassi, ma il paziente non riferisce alcun sintomo particolare e dice di star bene: gli stessi valori sortiscono effetti diversi.

È importante constatare l’iperazotemia nei pazienti epatopatici e cirrotici; così come l’iperammoniemia, da tenere presente perché il sangue nell’intestino viene assorbito e degradato in alcune sue componenti proteiche; spesso sono interessati pazienti cirrotici, che magari presentano anche varici esofagee a causa dell’ipertensione portale.

È molto utile anche l’uso del sondino naso-gastrico: è una manovra banale e fondamentale perché quando ho la melena non ho sanguinamento a livello basso, anzi proviene dalle porzioni prossimali dell’intestino o anche dallo stomaco. In più possono servire in caso di sanguinamenti gastrici come i lavaggi con acqua fredda a livello dello stomaco: così capiamo se si tratta di sanguinamenti attivi o tamponati (in questo caso l’acqua non la vedremmo rossa con il sondino).

I quadri clinici sono:• Rigurgito ematico: emissione di sangue senza il vomito, la sede è tipicamente

l’esofago;• Ematemesi: emissione di sangue con il vomito (gastrico o dal duodeno). Si può

avere per massiva rottura delle varici esofagee in epatopatici con ipertensione portale e in cirrotici;

• Melena: emissione di sangue frammisto a feci liquide e nere (simil-caffè); hanno un odore particolare e cattivo, sono assai maleodoranti. Il cattivo odore è dovuto alla commistione di sangue con il contenuto gastrico e dall’assorbimento a livello intestinale;

• Proctorragia: il sangue è rosso vivo e la sua provenienza è da ricercarsi nel sigma distale e dal retto. Il colon deve riassorbire l’acqua ed è difficile che il sangue si possa mescolare agli altri componenti. Le feci, già formate, non si mescolano alle feci, ma le verniciano. Poi c’è pure il sangue occulto nelle feci.

Le emorragie digestive possono essere classificate anche come:- Acute: episodi clinicamente evidenti, di intensità variabile, l’HB va al di sotto

dei 9g/dl in breve tempo. Il paziente è pallido, iperteso, tachicardico, sudato. Se massiva, il quadro è dominato dall’instabilità emodinamica sino allo shock emorragico conclamato;

- Croniche: stillicidi emorragici, spesso in questi casi abbiamo da sospettare una possibile patologia neoplastica. I pazienti non dimostrano di provare nulla di particolare; spesso si tratta di anziani che hanno quadri di anemia

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sideropenica compensata con perdita di sangue dal colon destro, che spesso è colpito da tumori che si palesano in maniera ritardata.

L’eziologia è varia e cambia a seconda del livello dell’apparato in cui si manifesta un problema: nell’esofago abbiamo varici, esofagite peptica, lacerazione di Mallory-Weiss (lacerazioni longitudiali dell’esofago a livello della giunzione gastrica. La gravità del sanguinamento va da episodi a vere e proprie emorragie massive, visualizzazione tramite endoscopia), ulcerazioni, displasie e tumori maligni. Molto più rara è la wirsungragia (sanguinamento del dotto del Wirsung). Nel duodeno abbiamo tumori benigni, ulcere duodenali e fistole. Le cause più frequenti sono: l’ulcera gastrica e duodenale, la gastrite acuta, le varici esofagee.La possibilità che un sanguinamento venga da un distretto piuttosto che da un altro è da ricondursi a patologie che variano a seconda dell’età del paziente considerato: diverticoli e polipi sono più comuni nei bambini, le neoplasie prevalgono negli anziani.

Qui vediamo delle varici esofagee che protrudono dalla mucosa e queste ci preoccupano poco: la mucosa è rosa, anche se la patologia ci preoccupa nel suo incedere. Queste altre varici sono ad alto rischio, queste altre ancora sanguinano.

Qui invece vediamo un quadro di fistole aorto-duodenale, dove il sangue che esce dall’aorta non è tamponato e non c’è una resistenza dell’intestino verso questo sangue. Qui ancora osserviamo delle varici che presentano delle stigmate molto caratteristiche.

L’eziologia delle emorragie basse è data invece da diverticoli e tumori, Crohn, angiodisplasia nel tenue, malattia diverticolare e tumori maligni e benigni nel colon-retto, emorroidi e ragadi nell’ano. L’ulcera solitaria del retto interessa la mucosa del retto, generalmente quella dell'ampolla, è spesso associata ad un prolasso completo od occulto (interno) dello stesso retto ed è una delle principali cause delle emorragie basse.Questa è un’angiodisplasia: il loro trattamento è assai complesso. Sono causa frequente di sanguinamenti occulti e conseguente anemizzazione.

Ricominciamo con la valutazione della severità del sanguinamento (possiamo avere una massiva, moderata con ipotensione ortostatica, lieve), necessità o meno di un supporto emodinamico (con due accessi venosi di grosso calibro, preleviamo per osservare l’Hb, l’Hct, le piastrine che potrebbero essere esaurite a causa dell’emorragia, PT e aPTT, effettuo una prova crociata; cerco di localizzare l’emorragia. Infondo cristalloidi fino alla disponibilità di sangue).

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La terapia medica consiste in un ripristino della volemia con infusione di cristallodi o emazie concentrate; oppure sfrutto farmaci. La terapia radiologica invece prevede l’infusione selettiva, ossia inducono una riduzione del flusso splancnico; oppure si fa un’embolizzazione selettiva (ma attenzione alla vascolarizzazione della parete intestinale).

La diagnosi si avvale del supporto della storia clinica (sanguinamenti precedenti, anamnesi positiva per l’assunzione dei farmaci o dei FANS). L’esame obiettivo si basa su stigmate intestinali ed esplorazione rettale. Molto importante è l’uso dell’EGDS, indagine di prima scelta, diagnostica e terapeutica. Ancora, posso sfruttare l’arteriografia (soprattutto a sanguinamento in atto), con un’accuratezza elevata, la scintigrafia con Tc 99 o la Rx delle prime vie (anch’essa dell’80%).

Le varici esofagee le trattiamo con l’emostasi endoscopica (scleroterapia/legatura), in passato si sfruttava la chirurgia, ma aveva un alto tasso di mortalità. Per l’ulcera peptica invece usiamo farmaci antiacidi (bloccano l’acidità ma non bloccano il sanguinamento, o effettuiamo un’emostasi secondaria o una gastroresezione: togliamo il pezzo di stomaco che sanguina.

La terapia endoscopica si basa su:23) iniezione di adrenalina;24) terapia sclerosante;25) elettrocoagulazione;26) sonde termiche e terapia meccanica.

Da alcuni sondaggi emerge che l’endoscopia è da ritenersi una pratica sicura. La terapia emostatica non la effettuo nei pazienti son stigmate.

Vediamo la scleroterapia: con il sondino si impiantano aghi che a seconda delle varici infondono sostanze sclerotizzanti i vasi e bloccanti l’emorragia. Possiamo sfruttare anche la sonda di Sengstaken-Blakemore: si tratta di una sonda che entra e poi si gonfia e in questo modo permette di arginare l’emorragia per compressione delle varici sanguinanti: si tratta di una manovra di urgenza e non estendibile a lungo termine. Abbiamo inoltre un trattamento termico tramite la coagulazione.

Tutti i pazienti con diagnosi di cirrosi necessitano di controllo del livello delle varici esofagee. Chi ha varici piccole può essere da subito sottoposto a trattamento con farmaci. Nonostante i trattamenti, le varici tendono a ripresentarsi.Anche qua la storia clinica è importante: precedenti sanguinamenti, dolore rettale, malattia infiammatorie croniche intestinali, infiammazioni dell’alvo. La diagnosi si avvale di colonscopia, clisma barico, scintigrafia. Il clisma opaco è un esame utile, ma

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si preferisce applicare prima la colonscopia, poi se questa non è diagnostica il clisma opaco.

Vediamo i trattamenti:- diverticolo resezione colica;- angiodisplasia resezione segmentaria;- sede non identificata colectomia subtotale (colonscopia intraoperatoria).

Il caso dell’emoperitoneo è dovuto a motivi vari: traumi post-operatori, coagulopatie; è diagnosticato tramite esame obiettivo, TA.

Shock ipovolemicoNello shock ipovolemico il paziente ha perso grosse quantità di volemia. Abbiamo diversi gradi di shock ipovolemico: più ci spostiamo verso perdite massive, più vediamo che aumenta la frequenza cardiaca, che la cute suda e diventa fredda e pallida, più c’è ipotensione ortostatica, la diuresi si riduce con conseguente oliguria. Nei casi estremi si ha pelle fredda e cianotica, pressione ridotta, anuria, frequenza cardiaca >140. I segni da monitorare nello shock sono:

• frequenza cardiaca; • frequenza respiratoria; • stato di coscienza; • temperatura corporea; • ECG; • RX torace; • pressione venosa centrale (nella vena cava superiore o nell’atrio destro): • se è elevata, allora ho uno shock cardiogeno, ostruttivo o settico; • se è normale ho uno shock neurogeno-spinale; • se è bassa ho una shock ipovolemico-anafilattico.

Posso monitorare inoltre la funzione renale, le frequenza respiratoria e mi posso avvalere di esami di laboratorio.Devo effettuare una rapida anamnesi, avvalendomi del maggior numero di informazioni utili disponibili; poi nell’arginare lo shock effettuo una stabilizzazione

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cardio polmonare e infondo cristalloidi (soluzioni fisiologiche e cliniche che però fuoriescono facilmente dal circolo venoso) oppure colloidi (che mi permettono di mantenere una pressione colloido-osmotica naturale.

SINDROME DELL’ADDOME ACUTO

Con il termine “addome acuto” si intende una sindrome (serie di manifestazioni cliniche che possono avere cause diverse) che coinvolge l’addome, caratterizzata da una rapidità di instaurazione (da pochi minuti finanche a qualche ora) e dal dolore, accompagnato o meno da una serie di segni e sintomi che indicano necessità di trattamento urgente. Generalmente è difficile che, una volta inquadrato lo stato di addome acuto, si riesca subito a fare una diagnosi certa: sono rari i casi in cui si hanno segni e sintomi patognomonici (in grado di render conto della causa del disturbo). Più spesso si parte con diagnosi generica per poi arrivare a maturare un primo sospetto diagnostico e, solo in un secondo momento tramite uso di strumenti diagnostici di secondo livello, si arriva a definire con precisione la patologia connessa a questo quadro di addome acuto.

N.B: il quadro addominale acuto è quello che più spesso comporta errore diagnostico.

VALUTAZIONE CLINICA

Per trarre il maggior numero di informazioni si esegue un percorso ben definito, in modo da non tralasciare informazioni importanti che possono essere nascoste per il fatto che il paziente ha un forte dolore addominale. Occorre definire correttamente la tipologia di dolore, e quindi definire la sede di insorgenza, la sede eventuale di irradiazione, le caratteristiche proprie del dolore,la presenza o meno di riflessi che possono esacerbare,lenire il dolore, e il corollario di sintomi e segni che possono essere mascherati, a cui magari il paziente non dà importanza.

Cause più frequenti:

- Peritoniti:

o Peritonite primitiva settica , determinata da infezioni del peritoneo (foglietto che ricopre tutto l’interno della cavità addominale, la parete, ma anche i visceri soprattutto quelli cavi). Rispetto alle peritoniti

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secondarie (l’infezione proviene da uno dei visceri addominali,ad esempio in seguito a perforazione o a passaggio per traslocazione dell’agente infettante),questa forma è più rara ed è causata ad esempio dall’infezione di cateteri utilizzati per dialisi peritoneale che infettano in primo luogo il peritoneo ma che possono comunque poi estendersi ai visceri circostanti.

o Ci sono poi anche peritoniti di natura chimica, determinate da perdita di fluidi ad alto contenuto di acidi nel peritoneo (es contentuto gastrico, ph<3 altamente irritante) o liquidi basici (perdita bile);

o infine le peritoniti ad azione enzimatica: enzimi pancreatici che in fase di pancreatite acuta possono agire in maniera autodigestiva anche sul peritoneo stesso;

- Occlusioni intestinali: per motivi intriseci(interni) o estrinseci si può avere arresto della progressione del bolo alimentare e quindi impedimento al transito intestinale. Questa situazione provoca dolore molto intenso. Diverso è invece il caso in cui il transito del bolo è impedito non tanto da un’ostruzione o strozzamento del lume intestinale, ma da una ridotta capacità dell’intestino di trasmettere l’onda peristaltica (è il caso dell’ “ileo paralitico” dovuto all’azione di farmaci o a operazioni chirurgiche in cui viene toccata la parete intestinale. Questo porta a un riflesso di paralisi dell’intestino, smette di contrarsi e la situazione si protrae per qualche giorno dall'intervento, per poi risolversi spontaneamente). In questo caso il dolore non è il principale sintomo.

- Ostruzione delle vie escretrici:

o Ostruzione biliare : c’è dolore in caso di calcoli della via biliare o della colecisti,della papilla di Water o della via biliare principale. L’ aumento acuto della pressione a monte dell’ostruzione dà una sintomatologia dolorosa. Questo non avviene in caso di ostruzione biliare progressiva, che dà invece origine al fenomeno dell’ittero (casi di ittero e dolore sono più frequenti in caso di neoplasie al pancreas che comprime la parte terminale del coledoco).

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o Ostruzione urinaria : sappiamo che l’uretere ha un attività peristaltica propria, che veicola l’urina dai reni alla vescica. Se a livello ureterale è presente un’ostruzione(ad es per la presenza di calcoli o tumori) si verificherà una contrazione più intensa e dolorosa della parete. Questo può portare anche ad una dilatazione a monte del punto di ostruzione;

- Vascolari:

o dilatazioni, (aneurismi) soprattutto dell’aorta addominale. Quando arrivano a certe dimensioni distendono il peritoneo e possono cominciare a fissurarsi (essi hanno un andamento progressivo e inesorabile, quindi si interviene chirurgicamente quando questi arrivano ad una certa dimensione, in quanto il rischio che si rompano supera il rischio relativo all’intervento chirurgico in sé);

o cause emorragiche e ischemiche: il dolore è causato dalla mancanza di irrorazione, insufficiente a soddisfare le necessità del tessuto. Questo è un fenomeno che può essere anche transitorio,ad es nel caso dell “angina abdominis” caratterizzata da dolori addominali post prandiali, dovuti alla insufficiente irrorazione all’intestino nella fase in cui esso richiama più sangue per provvedere alla digestione( può succedere ad es per stenosi dei vasi). Questa situazione si risolve nel momento in cui la fase digestiva è terminata e le richieste di irrorazione tornano ai livelli basali.

- Necrosi parenchimale: determinate ad es dalle pancreatiti acute, con attivazione di enzimi pancreatici usciti dal pancreas che diffondono nel peritoneo e che possono attaccare sia l’organo stesso (determinando una necrosi pancreatica caratterizzata da sintomatologia dolorosa importante), ma anche estendersi ai plessi nervosi circostanti o agli organi vicini,ai vasi.

Dal punto di vista fisiopatologico è importante ricordare che il DOLORE viene classificato in due grandi categorie:

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• SOMATICO: è un dolore localizzato in un punto preciso, tanto che il paziente riesce a mettere in relazione la porzione di superficie del corpo con il dolore (riesce ad indicare in modo preciso la parte). Le zone di origine sono soprattutto muscoli, ossa, articolazioni,tendini, e, per quanto riguarda la cavità addominale il diaframma, la pleura, il peritoneo parietale, radice del mesentere.

Tutte queste sedi danno la possibilità al paziente di fare una valutazione epicritica del dolore, precisa, ben definita.

Un’altra proprietà del dolore somatico è che le sedi interessate sono soggette a iperalgesia, ovvero in seguito a palpazione, stimolazione, il dolore diventa più forte e acuto.

Sono coinvolte le fibre nocicettive di tipo A o DELTA.

• VISCERALE: più difficile da individuare. Origina da recettori parietali, ma anche da recettori delle capsule che ricoprono i visceri(fegato, rene). I recettori sono stimolati in seguito a distensione o contrazione, spasmi acuti, oppure quando queste capsule vengono interessate da stimoli chimici o fisici. Non ha una localizzazione precisa, ma viene indicato genericamente come un’area dove è insorto il dolore. Deriva spesso da una innervazione che si mantiene dalla fase embrionale, e quindi la sede di irradiazione sulla superficie può essere distante da quella di origine del dolore stesso.

Sono coinvolte le fibre nocicettive di tipo C, i nocicettori sono scarsi, e c’è interazione con i dermatomeri corrispondenti(?)

Vengono riportate tre aree che possono essere interessate: Area epigastrica (il dolore proviene da stomaco e duodeno, ma in realtà origina anche dal piccolo intestino); area mesogastrica (piccolo intestino,colon di dx ma posono essere coinvolte anche la III e IV porzione del duodeno); area ipogastrica( piccolo intestino, colon sx e retto).

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• VISCERO-SOMATICO: vengono interessate per prime le fibre viscerali, e successivamente quelle somatiche vicine, e quindi c’è una maggiore capacità di localizzazione della sede di insorgenza del dolore.

Es: dolore da irritazione della colecisti, dolore iniziale all’epigastrio, poi migra verso dx e poi si irradia posteriormente all’angolo scapolare inferiore e poi alla fossa sopraclavare. E’ un dolore che nasce come viscerale e poi coinvolge le fibre del nervo frenico e quindi ha una irradiazione tipica del dolore somatico, con localizzazione precisa della zona dolorante.

Riassunto: dolore somatico=epicritico; dolore viscerale=profondo; dolore viscero somatico= nasce come profondo, mal definibile e generico, ma poi evolve acquisendo le caratteristiche proprie del dolore somatico.

E’ importante dare una definizione del dolore, una nomenclatura:

- localizzato;

- diffuso;

- è importante riconoscere la sede primitiva del dolore;

- diffusione: indica la zona circostante al punto di insorgenza;

- irradiazione:zona distante dal punto insorgenza, nella quale si presenta la sintomatologia dolorosa secondariamente all’ inorgenza stessa, insorge dopo!

PATOLOGIE PRINCIPALI, CAUSE DI ADDOME ACUTO

Colica biliare,data dalla presenza di calcoli nelle vie biliari, ostruzione della via biliare stessa o del dotto cistico: queste condizioni danno spasmo, dilatazione della via e dolore. Ulcere gastriche o duodenali, perforazione dell’appendice, e altre(elencate nella slide).

SEDI PRINCIPALI DEL DOLORE

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• Appendicite acuta: a causa di irritazione dell’appendice vermiforme del colon, ricca di fibre dolorose. In fase iniziale il dolore è in sede epigastrica. Solo successivamente, quando il processo infiammatorio si è consolidato e ha coinvolto tutta l’appendice, il dolore migra nella fossa iliaca destra e in quella sede si mantiene inalterato fino ad un eventuale coinvolgimento peritoneale.

• Colica biliare: il dolore origina nel passaggio tra epigastrio e ipocondrio dx, resta lì salvo irradiarsi, per coinvolgimento delle fibre diaframmatiche, nello spazio compreso tra l’angolo inferiore della scapola e la colonna vertebrale.

• Occlusione intestinale: nella fascia mediana, soprattutto mesogastrio, talvolta epigastrio, e ipogastrio (per quanto riguarda sigma e retto).

• Sigma: (spesso per infiammazione di diverticoli). Il dolore insorge in sede ipogastrica e poi migra nella fossa iliaca sinistra. Viene chiamata “appendicite di sinistra”.

• Colica renale: insorge prevalentemente in sede posteriore, tra il margine inferiore delle coste e la colonna vertebrale. Resta localizzato e non lascia tregua, il dolore è incessante. Il paziente non trova una posizione antalgica.

Ci sono diapositive che esplorano le diverse possibilità di patologie legate ai diversi quadranti addominali:

• quadrante superiore dx(ipocondrio e fianco dx): vie biliari, epatiche... (vedi slide);

• quadrante superiore sx: pancreatite, pielonefrite, dolore splenico..

• quadrante inferiore dx: appendicite, calcolosi ureterale, Crohn ileale, gravidanze ectopiche, patologie cecali, ernia inguinale complicata, rottura di cisti ovariche.

NB: per ogni quadrante le patologie hanno tutte sintomi molto simili, quindi è indispensabile fare un’attenta analisi, per arrivare ad effettuare una diagnosi differenziale.

- quadrante centrale, mesogastrio: aneurisma, ischemia viscerale, occlusione intestinale, peritonite diffusa. Queste sono patologie molto gravi, e devono essere valutate attentamente, anche per il fatto che hanno una evoluzione

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molto rapida. Questo dolore poi si diffonde a tutti i quadranti dolore generalizzato a tutto l’addome.

NB: l’appendice può essere localizzata in sede anomala, pelvica retrocecale, sottoepatica, e quindi la sintomatologia dolorosa avrà sedi diverse, ma la caratteristica comune è che origina sempre in sede epigastrica! [questo è il dato che è indispensabile conoscere].

SEDI DI IRRADIAZIONE

• Colica biliare e ulcera duodenale : tra scapola e colonna (interessa nervo frenico) e poi fossa sopraclaveare.

• Pancreatite acuta : insorge come dolore addominale(ipocondrio dx, epigastrio, ipocondrio sinistro) e poi si irradia posteriormente. Il dolore riferito è un dolore “a sbarra” (come se avessimo una sbarra su addome) che poi diventa un dolore “a cintura”, presente anche posteriormente.

• Utero: irradiazione posteriore, nella zona sopraglutea.

• Colecisti: zona di irradiazione posteriore, sopraclaveare.

• Colica renale: irradiazione lungo tutto il decorso dell’uretere(con dolore alla palpazione).

• Ascesso diaframmatico: a volte ci sono patologie di difficile individuazione con strumenti diagnostici di primo livello, fra cui l’ecografia. Ad es la zona sottodiaframmatica e sopraepatica è una zona di difficile esplorazione. Il dolore può essere di aiuto a porre il sospetto diagnostico di un ascesso in tale zona, che poi comunque va confermato con mezzi diagnostici adatti.

Diapositiva che ripropone tutte le patologie viste, che pone l’attenzione sul tipo di dolore che le caratterizza, sull’esordio, sulla sede della diffusione e dell’irradiazione (è una sorta di riassunto che può servire per avere un quadro completo).

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“STORYBOARD” CLINICO ( si intende il quadro clinico, la storia clinica del paziente)

27) COLICA BILIARE DA LITIASI COLECISTICA

Coinvolge soprattutto donne di età superiore a 30 anni, pluripare, sovrappeso e fumatrici. I fattori di rischio associati sono una dieta ipercalorica, l’assunzione di anticoncezionali orali, dislipidemia, gravidanze.

Eventuali antecedenti possono essere disturbi dispeptici, cattiva digestione con bocca amara al mattino, senso di pesantezza post prandiale.

NB: la colica in genere compare in relazione al pasto, soprattutto dopo un pasto ricco di grassi, fritti, intingoli, oppure un pasto a base di uova. La colecisti si contrae per secernere una giusta quantità di bile per provvedere alla digestione dei grassi.

In caso di presenza di calcoli alla colecisti questa contrazione porta ad aumento di pressione a monte del punto di ostruzione, distensione del viscere( dotto cistico)e dolore acuto che nasce nell’ipocondrio dx ed epigastrio, per poi diffondersi e irradiarsi alle zone già viste. Può essere associato il vomito prima che il pasto sia digerito,(e quindi sarà un vomito con ancora presente il cibo ingerito) e poi però, quando il bolo è stato completamente eliminato, si è in presenza di un “vomito biliare” ( da notare che la bile viene comunque immessa nell’intestino perché il calcolo è a livello del dotto colecistico, non all’interno della via biliare principale!).

Se a questo fenomeno di semplice natura ostruttiva si associa un processo infiammatorio, o si sovrappone un’infezione batterica, si può avere la comparsa di febbre, e la chiusura dell’alvo alle feci e ai gas, situazione di paralisi dell’intestino stesso.

Il paziente trova una posizione antalgica rappresentata dalla posizione fetale, con le gambe flesse verso l’addome, oppure una posizione seduta o semiseduta.

Esame obiettivo: palpazione dell’ipocondrio destro; segno di Murphy positivo: si chiede al paziente di eseguire una inspirazione profonda, durante la quale si esegue la palpazione del punto superficiale del corpo corrispondente alla colecisti( rappresentato dalla proiezione della linea mammaria mediana, in corrispondenza del capezzolo): il paziente avverte un dolore importante. Il segno di Murphy è considerato un segno patognomonico per questa patologia.

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28) ULCERA GASTRICA E DUODENALE

Sono coinvolti più spesso gli uomini. In generale c’è spesso una storia recente di assunzione di quantità importanti di FANS (aspirina, aulin),cortisonici; bastano circa due aulin al giorno per 3-4 giorni assunto senza protezione gastrica per essere a rischio di sviluppare un’ ulcera gastrica.

Tra i fattori che possono essere associati ci sono tutte quelle condizioni che possono spingere una persona ad assumere questo tipo di farmaci: sindromi articolari acute (coxartrosi), dolori mestruali importanti, sindromi inluenzali.

Spesso nella storia clinica c’è la presenza di una gastrite o doudenite cronica, acuta o subacuta, e il dolore è lancinante, acuto, in genere nell’ epigastrio, che poi si diffonde rapidamente a tutta la zona addominale di dx e poi a tutto l’addome.

Per fenomeni legati alla rapida infiltrazione del peritoneo ci può essere una condizione di shock, grave sofferenza del soggetto che cerca una posizione antalgica che trova nel decubito supino, effettuando contemporaneamente una respirazione superficiale (questa aiuta perché la minor mobilità del diaframma sfavorisce l’ulteriore diffusione del liquido, che si è diffuso all’interno del peritoneo, ad altre sedi.

Non c’è febbre nè vomito.

Esame obiettivo: La contrattura della parete addominale è un elemento diagnostico importante per il fatto che il viscere che si perfora, cavo, fa fuoriuscire oltre a liquido anche aria, e quindi......

29) APPENDICITE

L’aspetto importante da sottolineare riguarda l’esame obiettivo, caratterizzato da contrattura della parete addominale in particolare nella fossa iliaca dx, e dalla posizione antalgica per il paziente che consiste nella flessione della coscia dx sull’addome. Per effettuare una diagnosi è utile quindi tentare di distendere la

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coscia: ci si oppone alla contrazione della coscia flessa e il paziente avverte un forte dolore.

Il segno di Blumberg è positivo: si ha un forte dolore non nella fase di compressione nella zona della fossa iliaca dx ma nella fase di rilascio. E’ un segno utile per la diagnosi di appendicite acuta.

E’ importante dire che,soprattutto nelle donne, la diagnosi di appendicite acuta deve essere valutata molto attentamente,in quanto lo stesso quadro clinico può essere dovuto ad altre cause, per esempio un dolore mestruale molto forte, la rottura di cisti ovariche ecc..

30) COLICA RENALE

C’è anche qui un segno patognomonico importante, che è il Segno di Giordano: compressione, stimolazione della zona lombare, renale, con colpi secchi → sintomatologia dolorosa supplementare. Può essere quindi un elemento che aiuta nella diagnosi.

Sono più soggetti gli uomini, spesso possono essere associati pasti ricchi, ma anche fenomeni di disidratazione, perché essa favorisce la formazione del calcolo e il fatto che possa incunearsi nel rene. Infatti la terapia migliore per la colica renale è una iperidratazione, in modo da favorire la distensione della pelvi renale e degli ureteri, e lo scivolamento del calcolo verso la vescica, per essere poi espulso spontaneamente.

31) RITENZIONE ACUTA DI URINA

E’ un’altra sintomatologia che può mimare delle patologie ben più importanti, e che è risolvibile in modo abbastanza banale. Questa condizione deve essere conosciuta dal medico.

Sono più soggetti gli uomini, in quanto la causa più comune è di origine prostatica, che porta ad una ostruzione dell’uretra con difficoltà allo svuotamento vescicale.

Tra le donne tale condizione è più probabile nelle pazienti operate recentemente, per paralisi degli sfinteri dovuta all’effetto di farmaci anestesiologici.

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I fattori associati possono essere gli alcolici, e un tipo particolare di anestesia locale che comporta una paralisi transitoria della parte terminale del midollo spinale.

Un aspetto importante è il dolore acuto in ipogastrio con forte stimolo a urinare senza però riuscirci. Il fatto che sia presente continuamente lo stimolo ad urinare è importante perché permette di escludere altre patologie ben più gravi che causano dolore nella stessa sede, ad esempio un aneurisma dell’aorta addominale.

Esame obiettivo: Il segno caratteristico è il cosiddetto “globo vescicale”, cioè la vescica è distesa, ed è palpabile a livello dell’ipogastrio. Il più delle volte il soggetto risolve spontaneamente il problema; se questo non è possibile si può procedere con l’introduzione di un catetere vescicale.

32) ROTTURA DI UN ANEURISMA AORTICO

É’ un quadro drammatico, che deve essere riconosciuto perché spesso mortale se non trattato immediatamente. Anche se viene trattato, a seconda del momento in cui viene fatto l’intervento, il tasso di mortalità è molto elevato, si arriva fino al 30-40%.

Colpisce più gli uomini, tutti ipertesi, e essendo espressione di un interessamento aterosclerotico dell’aorta addominale, in genere è espressione di un quadro aterosclerotico di tutto l’albero cardiovascolare.

C’è un associazione col periodo invernale, perché la temperatura esterna rigida porta a vasocostrizione, con aumento della pressione, che provoca una spinta maggiore a livello dell’aneurisma, favorendone la rottura. Il dolore è di solito acuto, e insorge in sede lombo sacrale, non dà pace, non c’è una posizione antalgica. Questo è tipico della rottura della parete posteriore dell’aorta addominale,che è il più frequente ed è l’unica situazione in cui ci possono essere delle chance di intervento chirurgico; se invece la rottura avviene nella parete anteriore o laterale dell’aorta , non essendoci nessun ostacolo alla diffusione dell’emorragia, si ha un emoperitoneo massivo e quindi una morte rapida. Se la rottura avviene invece nella parete posteriore, trovando dei tessuti retroperitoneali consistenti, muscoli e la colonna vertebrale come ostacolo, fa sì che ci sia una sintomatologia più evidente e la progressione dell’emorragia più lenta, dando il tempo di qualche ora prima che questa diventi irrecuperabile.

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La diffusione del dolore è progressiva, soprattutto a sinistra perché l’aorta si trova più a sinistra della colonna vertebrale, e spesso c’è una componente associata di shock, calo della pressione importante.

Un elemento prognostico importante è il tempo tra l’insorgenza del dolore e l’instaurazione dello stato di shock: più lungo è questo tempo, maggiore è la probabilità che il soggetto sia irrecuperabile.

Esame obiettivo: quadro tipico dell’emorragia tra cui l’ assenza dei polsi femorali.

Vi sono poi delle infezioni acute che hanno delle sedi di insorgenza del dolore tipiche che possono essere confuse con patologie non di pertinenza chirurgica addominale:

- ESOFAGITI, l’insorgenza del dolore è in sede epigastrica e perciò va posta in diagnosi differenziale anche con una patologia cardiaca, in particolare l’infarto acuto del miocardio: esso è caratterizzato inizialmente da un dolore retrosternale continuo, senza tregua, oppressivo, ma può dare anche un dolore epigastrico, che è espressione di infarto dell’apice del cuore o della parete posteriore del cuore. Dà spesso come unico sintomo il dolore, che può diffondersi a sinistra, e che può essere confuso con una gastrite, con un generale disturbo gastro intestinale.

[Vi sono elencate altre patologie che abbiamo già esaminato e che quindi possiamo tralasciare.]

Nell’anamnesi di un paziente che si presenta con un dolore acuto va sempre esplorata a fondo la storia clinica del soggetto, va considerata l’età, il momento dell’esordio della sintomatologia dolorosa (rispetto a un pasto, al risveglio, all’assunzione di liquidi siano essi alcolici o quant’altro), cercare di determinare il grado di acuzie (che però è più difficile da individuare vista la soggettività della questione), considerare i sintomi correlati e gli antecedenti.

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Poi va fatto sempre un esame clinico, perché permette di orientarci sia sulla sede, sia sull irradiazione, diffusione e potenziali cause del dolore.

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Tumore esofago, stomaco, pancreas.

Accenni di anatomia e fisiologia:

Esofago: esofago è un tubo, non ha funzioni particolari se non quelle di trasporto del cibo e di collegamento della faringe allo stomaco.

Si possono individuare 3porzioni: porzione cervicale “retrofaringea”, porzione “intertoracica” e una piccola “intraaddominale” che termina con il cardias.

È costituito da 3tuniche sovrapposte, esternamente una muscolare, con 2strati circolare interno e longitudinale esterno, poi la sottomuca e internamente la mucosa (e bisogna ricordare che l'esofago non è rivestito né dalla pleura ne dal peritoneo).

Vascolarizzazione arteriosa: no arterie principali come lo stomaco che ha 4vasi principali. L'esofago è irrorato da rami segmentali e rami accessori di alcune arterie: tiroidea inferiore, da rami delle arterie bronchiali e dalle arterie freniche per quanto riguarda la porzione di esofago intertoracico, mentre quello addominale dall'arteria gastrica di sinistra.

Sistema Venoso: vene percorrono lo stesso sistemo delle arterie, in particolare nella porzione inferiore e ultima toracica c'è un shunt tra sistema portale e venoso sistemico; anastomosi importante in alcune patologie con ipertensione portale sia perché questi shunt si possono dilatare e dare luogo a della varici, che possono sanguinare e sia perché decorrono nella sottomucosa.

Drenaggio linfatico: decorso delle linee linfatiche è longitudinale dal alto-basso e viceversa. Linfonodi periesofagei convergono verso i linfonodi del colon in alto(loro compromissione segno della malattia tumorale) e in basso convergono verso i linfonodi del plesso celiaco.

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Innervazione è duplice: simpatica e parasimpatica e avviene attraverso delle reti di interconnessione nervose tra i 2strati muscolari o all'interno della sottomucosa.

L' Esofago ha una funzione di connessione e attività peristaltica; coesistono fenomeni sincroni di rilasciamento e contrazione sequenziali delle singole parti dell'esofago. Ci sono patologie determinate da l'alterazione di fenomeni di sincronismo e patologie occlusionali che determinano contrazione spastica o rilasciamento sincrono dei due sfinteri esofagei e possono condurre a patologie funzionali.

Forme tumorali maligne:

epidemiologico, tumore esofago non è tra le forme più comuni di neoplasia, è raro, in passato la sua frequenza era maggiore ma oggi rappresenta la 11°causa di morte nei paesi occidentali ma è più diffuso nei Paesi in via di sviluppo con abitudini alimentari diverse soprattutto legati alla conservazione dei cibi.

In generale la fascia di età più colpita è tra la 5° e 6° decade di vita come spesso accade tra tutte le forme neoplastiche e va dai 50anni in su. Tra i consumatori di superalcolici l'incidenza è maggiore in Russi, in Cina e Sud Africa.

Negli Stati Uniti d'America dove troveremo tutte forme tumorali perché ci sono studi sulle forme tumorali da decine di anni e quindi i dati vengono raccolti in modo sistematico e aggiornati spesso, l'incidenza è diversa tra i soggetti di origine caucasica dove l'incidenza è maggiore negli uomini rispetto alle donne di quasi 3volte, mentre la distribuzione negli afroamericani è identica tra i due sessi.

In Italia è molto rara, rappresenta il 3% di tutte le forme neoplastiche negli uomini e 0.9% nelle femmine.

Si parla di circa tra i 3 e i 5 casi ogni 100.000 casi l'anno, la proporzione negli uomini è maggiore nel rapporto di 6a 1 rispetto alle donne, in particolare ci sono dei casi dove l'incidenza è più alta come nel Triveneto. Infatti i centri di trattamento di questa neoplasia si trovano a Padova e Verona.

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I fattori di rischio: la correlazione con abuso di alcolici, e tabagismo sono spesso diffuse nella neoplasia.

Il rapporto tra il fumo e la neoplasia è un rapporto ormai consolidato, per tutte le neoplasie non solo quelle per l'apparato digerente. Altra causa connessa con sviluppo di neoplasia è l'assunzione involontaria di caustici non tanto per effetto diretto quanto per le complicanze connesse a questo perché i meccanismi di riparazione che possono evolvere in modo stenotico.

Acalasia, altra condizione, patologia funzionale dove c'è lo spasmo allo sfintere esofageo inferiore e e dilatazione a monte di tutto l'esofago;

neoplasie infettive: HPV, Acantosi nigricans, e fattori dietetici (deficit vitamina A o carenza di Fe e Mg).

Poi patologie ulteriori in particolare la “malattia da reflusso gastro-esofageo”, dovuta a reflusso del materiale gastrico nella porzione dell'esofago, esofagite che può evolvere in degenerazione neoplastica;

“esofago del Barrett”, neoplasia dell'esofago stesso, ernia iatale, sindrome di “Armen Wilson” ma è considerata una patologia preneoplastica e vanno monitorate quotidianamente.

Meccanismo per presupporre il fumo, che rimane il candidato più sospetto per sviluppo di neoplasia, (l'abitudine è possibile modificarla).

Il meccanismo è legato alla presenza di idrocarburi aromatici (benzopirene) che esercita azione irritativa sulle mucose, legata anche alle elevate temperature sviluppate durante la combustione e determina 3effetti:

• riduzione del tono del sfintere esofageo inferiore, perdita continenza,

• riduzione della clearance esofagea, capacità di far progredire il materiale

• istaurarsi di meccanismi che portano a esofagite acuta, infiammazione arrossamento e dolore che possono evolvere verso forme croniche che innescano meccanismi di riparazione che possono determinare degenerazione in senso neoplastico.

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I superalcolici contengono nitrosamine e derivati nitrosi e conservanti che provocano innesco della degenerazione neoplastica.

Ovviamente correlazione tra fumo-alcol determina l'aumento del rischio, nei forti fumatori e bevitori cronici l'insorgenza di carcinoma esofageo è aumentato del 54,2% e la semplice modifica di questa abitudine consente una notevole riduzione del rischio neoplastico.

Le lesioni da fattori caustici aumentano la degenerazione neoplastica di più della combinazione fumo e alcolici, fortunatamente è una condizione molto rara, perché o è accidentale o è a scopo suicidario, e quindi i soggetti coinvolti sono veramente pochi, ma la correlazione con la possibilità di sviluppare tumore esofageo è molto alta; la neoplasia si presenta sugli esterni cicatriziali.

HPV, connesso con la degenerazione neoplastica, percentuale importante 1 su 7-8 dei soggetti che sono positivi al dna del virus; correlazione tra virus e carcinoma è più diffusa dove la forma virale è endemica, come in sud Africa e in Cina.

Il reflusso gastro-esofageo aumenta il rischio dovuto allo sviluppo dell'esofago del Barrrett e il rischio che ci sia questa connessione tra reflusso e esofago di Barrett è presente in un quarto dei soggetti.

Esofago di Barrett: forma di metaplasia, modifica dell'epitelio che riveste la mucosa esofagea che può modificarsi in varie forme: epitelio cardiale, o giunzionale, gastrico-fundico, e quando si modifica in epitelio intestinale si può parlare di esofago di Barrett vero e proprio.

Il livello di rischio è differente a seconda di quale è la forma di metaplasia che si è instaurata, nelle forme gastriche il rischio è basso perché la parete gastrica è più resistente al fluido che risale mentre le forme metaplastiche vere e proprie intestinali hanno un rischio più alto di degenerare in forma neoplastica. Il rischio aumenta quando la estensione longitudinale della porzione esofagea supera i 5cm a partire dallo sfintere esofageo inferiore e qui il rischio è più alto.

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L'esofago di Barrett è una forma neoplastica scarsamente rappresentata, forma patologica rara, (0,02-0,22%) e la probabilità che la forma degeneri nei soggetti coinvolti è intorno al 1-2 % e tendono a sviluppare tumore dell'esofago.

Occorre mantenere un monitoraggio costante in questi pazienti, con esami come la gastroscopia fatta una volta l'anno per verificare la non degenerazione.

Nel tumore all'esofago la porzione più colpita, è la porzione intratoracica, segue la porzione intra-addominale ed è raro l'interessamento della porzione cervicale dell'esofago. Dal punto di vista della forma anatomo-patologica la porzione toracica e cervicale sono colpiti dal tumore spinocellulare mentre la porzione intra-addominale è colpita da adenocarcinoma.

Aspetto macroscopico: in tre forme:

- vegetante, con escrescenza irregolare e protuberanze e sanguinanti

- forma ulcerata, escavazione a bordi duri, forma crateiforme e a volte sanguinante

- infiltrante, forma più subdola da diagnosticare, caratterizzata da ispessimento della parete esofagea spesso senza coinvolgimento diretto del rivestimento mucoso perché lo strumento passa più difficilmente in questa zona.

Aspetto microscopico; due forma principale, con distribuzione differente:

• carcinoma squamoso-spinocellulare:

• adenocarcinoma

Carcinoma spinocellulare: localizzato nel tratto toracico superiore per 1/3 e in quello medio per 2/3, e si differenzia in tipi istologici diversi tra i quali il più frequente è a

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“cellule squamose” che rappresenta il 70%, poi ci sono altri sottotipi ma con frequenza inferiore.

Dal punto di vista macroscopico: si presenta in forma polipoide sessile o peduncolare con escrescenze sulla mucosa con forma ulcerata e poi infiltrante della parete. Si diffonde per via linfatica oppure per metastatizzazione ematica a distanza.

La diffusione per continuità avviene per coinvolgimento degli organi più vicini alla porzione alta dell'esofago: trachea che ha rapporto di continuità con esso, bronchi, polmone e poi aorta che può fistolizzare e dare emorragia massiva spesso mortale.

Diffusione linfatica si distingue a seconda della sede di insorgenza, perchè avviene per via longitudinale verso alto e verso il basso a seconda del livello del coinvolgimento del viscere. Nel 3°superiore sono interessati i linfonodi paraesofagei, retrofaringei, cervicali superficiali e sovracaveali,

per il 3°medio quelli più profondi sono i paratracheali, mediastinici bronchiali.

Da un semplice esame obbiettivo se si riscontra la presenza di linfonodi ingrossati ci si può orientare sulla sede di appartenenza della patologia stessa, quelli profondi sono esplorabili con esami diagnostici e radiologici e non visibili all'esame obiettivo.

Adenocarcinoma: localizzato al 3° inferiore dell'esofago, si instaura sull' esofago di barrett, isole ectopiche dell' epitelio gastrico e su aree di epitelio ghiandolare.

aspetto microscopico: ci sono alcune forme ma l'adenocarcinoma stesso è il più frequente e importante per la classificazione generale.

La caratteristica di questa patologia è che diffonde per continuità ma meno del carcinoma spinocellulare, mentre le vie di metastatizzazione sono le vie diffusione linfatiche e ematiche.

Le vie linfatiche possono diffondere ai linfonodi toracici o andare lateralmente o verso il basso e ai linfonodi del diaframma o a quelli precardiali, celiaci, splenici.

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La metastasi a distanza la caratteristica è che sfrutta lo shunt porto-sistemico e può dare metastasi al fegato e alla milza.

Dal punto di vista della frequenza della metastatizzazione le forme più frequenti sono il coinvolgimento dei linfonodi cervicali, mediastinici, e della piccola curvatura gastrica, mentre per via ematica le diffusione più frequente è quella al fegato e per via di continuità più frequente è alla faringe e alla trachea.

La clinica: sintomo principale è la disfagia direttamente per i solidi e per i liquidi (89%), poi il calo ponderale legato direttamente alla disfagia: difficoltà a ingoiare il bolo alimentare, mangi meno e cali di peso(56%), poi dolori retrosternali (34%)correlati con la difficoltà di transito e sono più presenti nelle forme dell'esofago intermedio. Infine i rigurgiti 19% legati al restringimento del lume stesso.

Sintomi meno frequenti e meno specifici: pirosi, singhiozzo, astenia.

Quindi sintomi principali:

• disfagia,

• dolori retrosternali

• calo di peso

• rigurgiti.

Non sono sintomi molto specifici ma vanno considerati in 1soggetto che presenta un cambiamento nella condizione del soggetto che si presenta; se mangiava bene e da qualche giorno ha difficoltà alla deglutizione si deve tenere di conto che è questo cambiamento che deve porre il sospetto.

Dal punto di vista della sintomatologia:

la disfagia è più frequente, episodica e ingravescente e poi diventa costante. Inizialmente coinvolge i solidi e poi progressivamente coinvolge anche i liquidi con andamento progressivo e a questo punto seguiranno fenomeni di rigurgito.

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Scialorrea, forma estrema di disfagia, tendenza a produrre la saliva perché siamo in costante carenza di alimentazione.

Poi mancato deflusso salivare, non riusciamo a digerire la saliva ma c'è un continuo stimolo alla sua produzione;

rigurgito, che insieme alla disfagia può portare a polmoniti ab ingestis dove il contenuto alimentare tende ad andare nell'albero bronchiale.

Il dolore più frequente è in sede epigastrica e retrosternale causato dal reflusso gastroesofageo e solo nelle forme più avanzate è legato alla compromissione delle fibre intercostali dei nervi che presiedono la innervazione sensitiva della gabbia toracica.

Dal punto di vista degli altri sintomi a corollario l'emorragia è rara e più spesso si ha anemia cronica a insorgenza progressiva legata a perdita di sangue.

Poi fetore della bocca che è legato alla necrosi mista del bolo alimentare e del materiale di sfaldamento del tumore stesso nella forma avanzata della malattia.

Diagnosi: sostanzialmente clinica: il primo sospetto è clinico, cambiamento dell'abitudine ed è precoce e raro che si arrivi alla diagnosi nelle forme molto avanzate e quando la patologia da segno clinico è espressione di un coinvolgimento di distretti linfonodali. Alla diagnosi clinica deve rispondere un esame radiologico come un esame di primo livello come la radiografia Rx TD delle prime vie digestive, importante dal punto di vista chirurgico per valutare l'estensione in senso longitudinale, poi la esofagoscopia, esame di 2livello, che oltre ad avere la possibilità di vedere la forma neoplastica, consente di fare biopsie e avere la diagnosi di certezza solo patologica però, quello che non è confermato a livello anatomo-patologico rimane un sospetto clinico.

Solo la diagnosi istologica consente di avere delle certezze sulla patologia che abbiamo di fronte.

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Per fare la diagnosi bastano gli esami di 1°, non servono esami di 2livello, è sufficiente la diagnostica di base che poi va corroborata con la raccolta di dati anamnestici, esami ematochimici, markers neoplastici e completamento di indagini radiologiche che avverrà con scopo chirurgico e rispetto al quale non tutti questi esami sono necessari.

Esami radiologici: rx torace

rx con pasto opaco ha la funzione di capire se l'intestino tenue e il colon siano adeguati per sostituire una porzione di esofago che è necessario resecare perché negli interventi di esofagectomia la porzione eliminata è sostituita o con lo stomaco o con il colon stesso che si mette tra stomaco e faringe.

poi ecotomografia dell'addome, esame di 1°livello per vedere metastasi epatiche perché è più sensibile rispetto alla tac e che ha la funzione di verificare l'estensione locale della patologia e programmare l'intervento chirurgico.

La risonanza è utile ma non dispensabile mentre la per è un esame che non può essere di scelta. Combinazione di un esame diagnostico per immagini, una tac con poca capacità di risoluzione e si combina questo esame con uno di tipo funzionale, ricerca di parti dell'organismo che hanno attività metabolica più avanzata di quella basale.

L'econtomografia del collo è importante perché in queste zone è più facile evidenziare presenza di linfoadenopatie, e l'ecografia ha il vantaggio rispetto alla tac di essere un esame dinamico e fatto in tempo reale “real time”, e questo consente di combinare una componente interventistica all'esame ecografico, combinare delle biopsie ecoguidate di facile esecuzione.

Tac consente la valutazione precisa delle dimensioni delle metastasi e la presenza di eventuali metastasi a distanza rispetto alla radiografia che è un esame oggettivo e standardizzata, mentre la tac è molto più precisa a differenza dell'ecografia dove è la sonda che esplora in real time e la cui accuratezza dipende dall'angolo che l'operatore da alla sonda stessa essendo soggetta alla soggettività dell'operatore stesso.

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La risonanza magnetica è utile quando abbiamo una metastasi a livello del mediastino perché da una accuratezza maggiore dell'estensione della malattia.

Per verificare la presenza di metastasi ossee si può ricorrere alla scintigrafia ossea.

Quando siamo di fronte a forme infiltranti dell'esofago si ricorre alla la ecoendoscopia che permette di esplorare lo spessore della parete dell'esofago e permette di valutare con accuratezza la parete dell'esofago e delle strutture adiacenti e delle dimensioni del tumore. È più accurata rispetto alla ecografia: accuratezza diagnostica 80% e accuratezza diagnostica per le metastasi linfonodali 50-90%

Per classificare i vari stadi della malattia “stadiazione” dei tumori, che ha lo scopo di poter dare una previsione su quello che è l'evoluzione della patologia si ricorre all'utilizzo di un sistema standardizzato con 3 parametri:

- t - tumore primitivo-dimensioni,

- n - presenza di linfonodi,

- m - metastasi a distanza

La classificazione del tumore primitivo per quanto riguarda l'esofago si svolge lungo 4gradi principali da t1 a t4 più alcune classificazioni che sono precedenti a t1 e che servono per evidenziare la presenza di neoplasia allo stadio iniziale,

• tX si intende quando il tumore primitivo non è individuabile,

• T0 tumore presente ma la sede non è definibile,

• Tis-carcinoma in situ di neoplasia che non supera la lamina propria

• T1 indica il superamento della lamina propria o della sottomucosa

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• T2 invasione tonaca muscolare

• T3 tonaca avventizia

• T4 strutture coinvolte adiacenti all'organo,

Classificazione dei linfonodi:

• NX non valutabili,

• N0 non metastasi linfonodali

• N1 Linfonodi regionali coinvolti e per quanto riguarda l'esofago ad esempio i linfonodi cambiano in base alla collocazione della malattia,

• M la presenza di linfonpodi a distanza

A seconda del numero di linfonodi interessati si classifica da 1a, 1b e 1c

Per le metastasi a distanza:

- MX metastasi a distanza non accertabili,

- M0 certezza di non metastasi a distanza,

- M1 metastasi a distanza presenti.

Dal punto di vista metastatico è sufficiente la presenza di una singola metastasi a distanza dalla sede principale per rientrare in questa classificazione per avere effetti prognostici importanti e far considerare la malattia già sistemica.

Vi è poi il grado di differenziazione delle forme neoplastiche che sarà diverso a seconda della istologia del tumore stesso, gradazione da 1-4 che nei livelli più bassi indica maggiore gravità e nei livelli più alti maggiore differenziazione e minore aggressività.

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Vi è poi la combinazione dei parametri t e m e n per definire lo stadio della malattia, e su questo è possibile fare la previsione di sopravvivenza del soggetto; la condizione più favorevole è:

• lo stadio 0 quando siamo in presenza del tumore in situ e senza metastasi linfonodali e a distanza,

• stadio 1 determinato con tumore con dimensioni oltre la lamina propria e sottomuca in assenza di metastasi linfonodali,

• stadio 2 indicato dal tumore di t2-t3 senza metastasi o tumore e con t1-t2 con metastasi linfonodali,

• stadio 3 poresenza di metastasi linfonodali e di un tumore in situ da t3 e n1 che coinvolge la lamina avventizia con metastasi linfonodali o t4 a prescindere dalla presenza di metastasi linfonodali o meno.

• stadio 4 determinato dalla presenza di metastasi a distanza a prescindere dalle dimensioni del tumore e dei linfonodi a distanza.

Classificazione ulteriore che coinvolge esofagia cancer, forma precoce del tumore dell'esofago, non è una patologia diversa ma è lo stadio di evoluzione della malattia ancora più precoce, forma resa evidente grazie all'utilizzo di metodiche endoscopiche, questa forma di invasione determina un rischio di metastatizzazione linfonodale maggiore quanto più è coinvolta la sottomucosa perché qui decorrono i vasi linfatici.

La terapia: terapia di scelta del carcinoma dell'esofago è la terapia chirurgica, intervento chirurgico diviso in 2 tempi principali:

• tempo demolitivo; che a seconda della sede può coinvolgere una porzione dell'esofago o l'esofago in blocco con il mediastino posteriore e sempre associato a linfoadenectomia regionale;

• fase ricostruttiva dove è necessario ripristinare la continuità del tratto digerente.

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La fase demolitiva per quanto riguarda l'esofagectomia deve rispondere a requisiti di ordine oncologico e occorre avere una estensione di esofago sano di almeno 6 cm di esofago a monte rispetto al margine macroscopica della neoplasia perché la patologia può infiltrare la sottomucosa risalire o discendere per 3-4cm al disotto del piano mucoso, e si può manifestare e dare segni di se solo dopo l'operazione.

L'altro principio oncologico da rispettare è quello che poichè la prima zona di interessamento nella patologia esofagea è quella cellulare del mediastino posteriore è necessario rimuoverlo in blocco oltre a rimuovere i linfonodi regionali.

Ovviamente a seconda della sede saranno diverse le vie d'accesso, la potenzialità della radicalità dell'intervento e quale organo può essere riutilizzato per ricostituire la continuità del tratto alimentare,

Vie d'accesso a seconda della sede di coinvolgimento dell'esofago sono 3:

- cervicotomia, accesso al tratto cervicale dell'esofago con incisione laterale a livello del collo per accedere alla parte posteriore dell'esofago,

- toracotomia destra per accedere all'esofago toracico che si fa a destra perché l'esofago è spostato più a dx rispetto all'aorta che è spostata nel versante sinistro e quindi a destra si trova prima l'esofago,

- laparatomia, apertura dell'addome,

Le tipologie dell'intervento si differenziano a seconda del tratto coinvolto; può essere necessario asportare in toto l'esofago se coinvolto il 3superiore e 3medio dell'esofago, se coinvolto l'esofago cervicale si deve eseguire la faringolaringoesofagectomia totale mentre nel 1/3 inferiore si farà la esofagectomia totale, se è coinvolto l'esofago cardiale si deve asportare anche una porzione dello stomaco.

La chirurgia con intento radicale non ha lo scopo di curare la malattia, ma il suo vero obiettivo è quello di consentire al paziente un periodo libero dalla malattia che sia il più lungo possibile, alle volte può corrispondere al resto della vita e quindi si parla di

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guarigione ma solo a posteriori perché non si può parlare a priori per questo si parla di chirurgia con intento radicale e non di guarigione.

La esofagectomia totale è necessario farla e si può fare con intento radicale con 2accessi: addominale e cervicale o con 3accessi: addominale, cervicale e toracico;

il primo caso si verifica quando non è coinvolto dalla malattia il tratto toracico, se invece è coinvolto si deve associare all'accesso alto e basso anche l'accesso intermedio.

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Ricostruzione del tratto esofageo

Esistono diverse opzioni se si deve ricostruire la continuità del transito esofageo: o si usa lo stomaco, tubulizzato, facendo un'esofago-gastro anastomosi (questo tipo di ricostruzione si può fare per le demolizioni dell’esofago toracico e addominale, in particolare il toracico fino ai 2/3 dal basso verso l’alto); in alternativa si può usare il digiuno, ed in questo caso si arriva a sostituire anche l'esofago cervicale con un’ansa sufficientemente lunga. Nel caso in cui sia necessario demolire tutto l'esofago si può eseguire una ricostruzione ulteriore: si isola un tratto di colon, che viene trasposto nel torace fino alla faringe per ricostruire la continuità del tratto esofageo.

Si eseguono chirurgicamente due o tre accessi: toracico, addominale, con o senza uno cervicale, se è coinvolto questo tratto d'esofago.

I risultati della terapia chirurgica con intervento radicale dipendono dello stadio della malattia: la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti trattati con trattamento chirurgico, ma senza la componente medica associata (cioè senza radio e chemioterapia associate): 60.4% nel I stadio, 35% nello stadio IIA, fino a 4.1% nello stadio IV, quello più avanzato.

I tumori dell'esofago cervicale rappresentano le forme più invasive, spesso richiedono degli interventi molto demolitivi perché possono coinvolgere le strutture con cui sono a contatto e quindi richiedere associate delle faringo-laringectomie, esofago-faringo-laringectomie. In tal caso se è coinvolto solamente l'esofago cervicale l’accesso che si pratica è il trans-jatale e il cervicale, senza l’apertura del torace; poiché è possibile rimuoverlo per via smussa senza aprire il torace essendo la sua vascolarizzazione blanda e di scarsa entità si può rimuovere l'esofago senza necessitare di un controllo preciso dell'emostasi toracica.

Quando invece sono coinvolti i tratti superiori e dobbiamo fare un'esofagectomia totale, sarà necessario procedere con i tre accessi: cervicale, toracico, gastrojatale.

Per l'esofago toracico tratto inferiore e l'esofago addominale la via di accesso è toracica ed addominale. Recentemente (almeno 10 anni fa) si è introdotto l'uso della chirurgia microinvasiva soprattutto per la parte toracica (inizialmente era utilizzata per il tratto addominale, poi si è visto che era meno utile). Al giorno d’oggi la procedura più utilizzata consiste nella chirurgia microinvasiva per il tempo toracico, mentre per il tempo addominale si preferisce l’intervento a cielo aperto.

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Per i tumori allo stadio iniziale, che non hanno un interessamento dei linfonodi e coinvolgono solo lo strato mucoso della parete esofagea, si può procedere ad una esofagectomia per via trans-jatale, con accesso toracico per via smussa, o anche solo una mucosectomia, che ottiene dei risultati a lungo termine sovrapponibili alla chirurgia a cielo aperto.

Immagini di tecnica chirurgica: per fare la tubulizzazione dello stomaco si segue una linea parallela alla grande curvatura gastrica, una volta tubulizzato viene trasposto nel torace, rimuovendo la porzione paracardiale dello stomaco e dell’esofago poi si ricostruisce una anastomosi esofago-gastrica.

In realtà il trattamento esclusivamente chirurgico è una rarità, utilizzato solamente per il carcinoma dell’esofago nelle forme più precoci; ad oggi le strategie terapeutiche più utilizzate sono quelle multimodali, nelle quali cioè si utilizza la radio chemio terapia sia prima che dopo l’intervento chirurgico, questo tipo di terapie permettono di attaccare la malattia su più fronti e sono quelle che hanno dato i risultati migliori.

La radio-chemioterapia è utile prima della chirurgia poiché determina una regressione riportando la malattia verso stadi meno avanzati, aggredibili chirurgicamente. La chirurgia, che in ogni caso (anche in caso di regressione dal punto di vista oncologico) va fatta seguendo le linee di sezione, di rimozione dell'organo, che erano state tracciate al momento della prima diagnosi. Cioè, sostanzialmente, si segue come indicazione chirurgica quella data dalla diagnostica per immagini al momento della prima diagnosi. Si fa chemioterapia (e/o radioterapia), preferenzialmente solo chemioterapia, ed anche nel momento in cui la malattia risponda, riducendosi di dimensioni, si seguono comunque i primi contorni, perché nelle zone che hanno risposto alla terapia medica potrebbero annidarsi dei cloni silenti e dormienti della malattia neoplastica, che successivamente all'immunosoppressione legata all’intervento chirurgico possono riattivarsi e determinare una crescita successiva della malattia stessa.

Lo scopo della terapia multimodale è quello di ridurre la massa neoplastica e delle metastasi linfonodali, e questo dà un down-staging nell’indice TMN e determina una aumento della sopravvivenza dopo trattamento chirurgico. Il trattamento chemioterapico ha esito favorevole nella metà circa dei casi trattati e in particolare

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trova un applicazione più precisa negli stadi più avanzati, IIB fino al IVA, negli stadi più avanzati come il IVB ma anche IVA, poiché si tratta di malattie che hanno invaso le strutture circostanti e dato metastasi a distanza, occorre selezionare adeguatamente i pazienti (infatti in particolare la radioterapia determina spesso una colliquazione dei tessuti ed effetti infiammatori locali e se la malattia ha coinvolto tessuti circostanti ci può essere una perforazione dei visceri, si tratterebbe di una complicanza mortale. Nel caso il soggetto abbia fistole esofago-bronchiali o esofago-aortiche non si deve spingere troppo sul trattamento chemioradioterapico, perché possono essere mortali, portando a perforazioni della parete dell'esofago), in modo da determinare un danno al paziente minore possibile.

Cosa fare se il soggetto non risponde alla radio-chemioterapia neoadiuvante? In questo caso purtroppo l’unica cosa che siamo in grado di fare è una terapia palliativa in grado di diminuire i sintomi determinati dalla neoplasia, ma che non è in grado di curarla. Si tende ad un miglioramento della qualità della vita, ma non si pretende di determinare un prolungamento della stessa. Ciò nonostante queste terapie combinate insieme alla chirurgia possono arrivare ad avere tassi di sopravvivenza a 5 anni del 40%, anche negli stadi più gravi, risultati sovrapponibili ai tassi di sopravvivenza nella malattia agli stadi più precoci.

I trattamenti palliativi servono a ridurre i sintomi o trattare le complicanze determinate dall'invasione locale del tumore, con il solo scopo di migliorare la qualità della vita e in particolare il sintomo più frequente che è necessario palliare nel caso del tumore dell'esofago è la capacità di alimentarsi. Si possono ottenere questi risultati sia con terapie chirurgiche e che non chirurgiche (dilatazioni dei tratti esofagei stenotici, posizionamento di protesi oppure rimozione endoluminare di tessuto, sempre per via endoscopica).

In alternativa si possono fare degli interventi di by-pass, che saltano la zona ostruita e consentono un transito per una via alternativa.

Il più tipico, classico, intervento di by-pass dell’esofago, eseguito quanto il tratto coinvolto è quello toracico, consiste in una trasposizione o dello stomaco tubilizzato (se utilizzabile) o del piccolo intestino, in via retrosternale (passando cioè nel mediastino anteriore per via smussa), fino all’esofago cervicale con il quale viene anastomizzato. L'esofago toracico stenotico si lascia in situ, nella parete posteriore del torace. La malattia avrà il suo decorso naturale, magari rallentato dalle terapie mediche ma il soggetto sarà in grado di alimentarsi in maniera pressoché normale,

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avendo creato una nuova via di transito ( ci può essere un anastomosi anche in sede pre-sternale ma è molto più rara).

La palliazione non chirurgica può essere endoscopica o radiologica.

L’ endoscopica ha i vantaggi di essere: rapida, di facile esecuzione, non necessità ospedalizzazione del paziente, bassi costi e scarse complicanze.

Si può eseguire in diversi modi: la dilatazione può esser fatta con dei palloni gonfiati, con del liquido o con aria, dopo esser stati inseriti all’interno del tratto ristretto dell’esofago; oppure si può precedere a rimozioni parziali del tessuto neoplastico luminare utilizzando o l’elettrocoagulazione o laser. Così come, sempre per via endoscopica, è possibile il posizionamento di sonde, che superino il tratto stenotico, e consentano al paziente di alimentarsi con cibi predigeriti, liquidi, o semiliquidi facendo arrivare il cibo direttamente nello stomaco.

Nel trattamento endoscopico bisogna stare attenti alla possibilità di perforazione della parete e onde evitare questa complicazione al trattamento endoscopico di dilatazione si associa spesso il posizionamento di protesi coperte, che possono anche avere il ruolo di contenere la malattia, ricoprendo le porzioni di viscere fistolizzate e riducendo così il rischio di complicanze e infezioni.

Foto di strumenti: sonde olivari, che servono per dilatare le zone stenotiche; sonde progressive, cilindriche o coniche, di vario calibro, devono anch'esse determinare dilatazione per passaggio ripetuto; sonde con palloncino, che dilatano il viscere. Ci sono altri strumenti, meno importanti.

Asportazione del tessuto: può essere utilizzata l’elettrocoagulazione; il laser; la plasma e la brachiterapia, in cui si inseriscono delle barrette di materiale radioattivo che portano la radioterapia localmente, e servono per rimuovere il tessuto per effetto della radioterapia locale, ma in tempi relativamente lunghi rispetto ad una rimozione per elettrocoagulazione (nell’arco di qualche giorno).

Sonde per la nutrizione enterale, dispositivi utilizzati: sondino naso-gastrico, PEG (è la gastrostomia percutanea endoscopica, viene eseguita una endoscopia a livello della parete anteriore dello stomaco con cui si posiziona un dispositivo che viene fatto appoggiare alla parete addominale anteriore dove si posiziona un altro dispositivo percutaneo attraverso cui il soggetto introdurrà il cibo), PEJ (digiunostomia endoscopica percutanea).

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Dose di radiazioni massima utilizzabile: intorno ai 45-55Gray, rappresenta la dose cumulativa, utilizzabile in più sedute di radioterapia. L’unica controindicazione assoluta: presenza di fistole tra esofago e vie aeree o vasi. In questo caso non si fa, perché non ci sarebbe più la possibilità di arginare le fistole, che anzi andrebbero ad allargarsi. La radioterapia è efficace nelle forme ostruttive, ha però un effetto temporaneo e nella maggioranza dei casi si ha una ripresa della malattia stessa ed una re-stenosi della zona che si era resa pervia. Questa re-stenosi avviene in due fasi: una transitoria, legata all'edema infiammatorio dato dalle radiazioni, e una permanente, data dalla ricrescita della malattia contemporaneamente rimane comunque una zona infiammata, a cui può facilmente seguire sanguinamento locale.

In genere, trattandosi di terapie palliative, la probabilità di sopravvivenza è limitata a 6-8 mesi dall'inizio della terapia.

Schemi sulla chemioterapia: anche in questo caso gli effetti di rallentamento della progressione della malattia si calcolano nell’arco di qualche mese, per quanto riguarda i benefici come terapia sono riscontrabili in circa la metà dei casi, diversamente dalla radioterapia dove la risposta era pressoché in tutti i soggetti trattati.

Tumori dello stomaco

Quello non cardiale (quello cardiale lo abbiamo analizzato con l'esofago), riconosce due varianti istologiche: intestinale e diffuso. Quello intestinale è più frequente negli uomini rispetto alle donne, soprattutto anziani, correlato con l'infezione da H. Pilori, forma infettiva che determina in maniera dimostrata la capacità di generare fenomeni di promozione della neoplasia gastrica. Quello diffuso è proprio dei soggetti più giovani, non ha prevalenza di sesso, è legato ad una componente genetica. Il tumore allo stomaco rappresenta la seconda forma neoplastica più diffusa nel mondo, per incidenza (diffusione) e mortalità. 10% di tutti i tumori nell'uomo, 7% nella donna; nella 7^ decade di vita si registra un picco d'incidenza, molto raro prima dei 40 anni ma già dai 40 anni in su assume una percentuale intorno al 10 %. Uno dei problemi del trattamento del tumore dello stomaco è la diagnosi tardiva (nel 65 % dei casi), che avviene quando la malattia è ormai diffusa localmente, ha già dato metastasi linfonodali regionali e/o a distanza, e questo fa si

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che sia resecabile solo nella metà dei pazienti che giungono a diagnosi.

Sopravvivenza a 5 anni: la possibilità di terapia pura chirurgica ha risultati relativamente scarsi, 20-30% di sopravvivenza. Nel complesso la sopravvivenza, sia tra soggetti operabili e non: 5% (sempre a 5 anni).

Ancora una volta i pochi che sopravvivono sono quelli che riescono ad essere operati. Chi non è operato e riceve solo terapia medica, generalmente, non ha probabilità di sopravvivenza rilevanti.

Il tumore allo stomaco non ha una spiccata impronta ereditaria, prevalentemente si manifesta come forma sporadica. Prevalente nel sesso maschile, ha delle differenze di incidenza geografica a livello mondiale, correlata sia all'etnia che alle abitudini culturali, in particolare alimentari. In Italia è circa due volte più frequente nel centro-nord piuttosto che nel centro-sud. Nei paesi asiatici, in particolare Cina e Giappone è molto diffuso, in queste zone si fa uno screening endoscopico a tappeto su tutta la popolazione (come da noi si fa con il colon).

Grazie a queste indagine sul larga scala si è passati da una percentuale di diagnosi precoce del 3% di tutti i casi scoperti, al 35-40% dei soggetti, effetto positivo molto importante.

Da un punto di vista anatomico è diffuso in maniera proporzionale nelle regioni: un po' di più nell'antro, un po' meno nel corpo, mediamente nel cardias e nella regione del fondo dello stomaco. Diminuzione della mortalità e delle incidenza delle neoplasie nella porzione distale dello stomaco (antro) e un aumento invece della porzione gastro-esofagea sono variazioni epidemiologiche che si sono registrate negli ultimi anni in relazione soprattutto all’ introduzione di terapie a base di gastrici.

Mentre nei gruppi etnici e nelle popolazioni a più alto rischio non si è registrata variazioni di questo tipo.

3 gruppi di incidenza: alto rischio (coreani, vietnamiti, cinesi, giapponesi), intermedio (latini, cinesi, africani), basso (filippini, caucasici).

Il fatto che si tratti di una caratteristica legata all'etnia più che alle abitudini alimentari della zona di provenienza è dimostrato da studi fatti su soggetti di queste etnie che sono migrati dalle zone di origine: i migranti di prima generazione hanno mantenuto il profilo tipico delle loro zone di origine, mentre nelle generazioni

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successive c'è stato un cambiamento verso le percentuali di incidenza tipiche del luogo di migrazione; questo vuol dire che si tratta di una forma neoplastica che risente di comportamenti culturali radicati, propri delle zone del sud est asiatico. Ovviamente incidono l’alimentazione, lo stile di vita, etc.

Per quanto riguarda l’alimentazione ha importanza soprattutto la modalità di conservazione: i cibi salati, affumicati o il consumo di tabacco causano gastrite cronica atrofica, con perdita della capacità di produrre acido cloridrico che altera il ph dello stomaco (che risale fino ad arrivare ad un ph quasi neutro, 5-6) la situazione diventa particolarmente pericolosa se si innesta un reflusso biliare, tipico nei soggetti che hanno subito una resezione della parte distale dello stomaco, poiché si crea un ambiente ideale per la produzione di nitriti, nitrati, ammine secondarie, che possono promuovere la trasformazione in senso neoplastico.

Fattori che contrastano la tendenza: vitamine A, C, E, calcio (frutta, verdura, latte) che contrastano la produzione di nitriti, nitrati e ammine secondarie.

Vi sono altre condizioni predisponenti, tutte hanno come caratteristica comune quella di determinare una modifica del pH dello stomaco: ipocloridria, poliposi gastrica, vari tipi di gastrite, ulcera peptica ecc..

Non ha un impronta genetica importante ma ciò nonostante nel 8-10% dei casi si ha un aggregazione nelle famiglie, e quindi una sorta di predisposizione genetica. In questi casi la mutazione connessa con la possibilità di sviluppare neoplasia è quella dell’oncogene p53, coinvolto in molte forme tumorali. Un altro oncogene mutato nei soggetti con questa forma di neoplasia è l’oncosoppressore BRCA-2 e anche CG (associato a Lynch) e FAP.

Fattori genetici in una piccola percentuale dei casi: mutazione del gene oncosoppressore che codifica per la proteina caderina, AD, connessa con la forma diffusa e non con la intestinale.

H. Pilori è un elemento centrale per lo sviluppo della neoplasia. È stato descritto come batterio alla fine dell'800, ma furono Waren e Marshall che correlarono la presenza di ulcere peptiche a livello gastrico con questo batterio. Capirono che aveva una capacità e un effetto di promozione della degenerazione neoplastica, ed è stato messo in correlazione con il carcinoma dello stomaco e con queste altre forme di malattia legate al cambiamento dell’ambiente acido dello stomaco stesso. Si tratta di un infezione; è importante farne diagnosi quando si hanno sintomi di tipo gastritico,

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perché si può eradicare con una semplice terapia antibiotica. Batterio che si acquisisce nell'infanzia, presente in circa la metà della popolazione mondiale che spesso non sa di averlo. Solo nel momento in cui diventa sintomatico è indicato procedere ad una terapia eradicante di tipo antibiotico. H. pilori si ritrova in tutte le forme di gastrite, quando ci sono sintomi dispeptici è ritrovabile nel 40% dei soggetti, nel 15% delle ulcere gastriche e circa nel 2% di tumori dello stomaco.

H. pilori induce modificazioni multiple che possono determinano l'insorgenza dell’adenocarcinoma; in particolare altera il rapporto fisiologico tra apoptosi e rigenerazione cellulare innescati da stati di atrofia cellulare in corso di gastrite cronica, portando così ad una rigenerazione distorta della componente cellulare della parete della mucosa gastrica, facendo così emergere cellule affette da metaplasie intestinale.

Il batterio può alterare questi equilibri in vario modo: può agire sulle citochine secrete da Th1 determinando ipocloridria ed atrofia, può agire sui segnali innescati dalle citochine, ed avere effetti secondari sulle vie alternative che favoriscono la replicazione e la crescita del tessuto rigenerato.

Possibili bersagli di chemioprevenzione: come si previene queste forme di degenerazione?

La gastrina può esser neutralizzata con farmaci adeguati che ne riducono la produzione, in particolare i bloccanti dei recettori COX-2, sono in grado di ridurre l’ossidazione cellulare e quindi la capacità dell’H. Pilori di indurre degenerazione. Si è dimostrato che se p53 è mutato aumenta l'incidenza di tumore dello stomaco.

La mutazione di p53 può avvenire a 3 livelli: espressione del gene, più o meno espresso; alterazione del gene stesso che diventa inefficace; perdita dell’eterozigosi e la forma omozigotica ha azione meno intesa.

Alterazioni di p53 intervengo nelle fasi iniziali di promozione della neoplasia e ovviamente la frequenza della presenza di mutazioni aumenta al progredire della neoplasia. È maggiormente correlato con le forme a carico del cardias e del fondo dello stomaco di quanto non sia con le forme a carico del corpo dello stomaco.

Gli aspetti morfologici della neoplasia: la stragrande maggioranza dei tumori dello stomaco, 90-95%, è rappresentata dall’adenocarcinoma; mentre i tipi istologicamente meno frequenti sono: linfomi, carcinoidi, tumori a cellule fusate

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(leiomiosarcomi), GIS (gastrointestinali).

Esistono varie classificazioni:

1) La storicamente più antica è quella del 1926, messa appunto da Bormann che distingue: forme polipoidi a larga base di impianto; forme ulceranti a margini marcati senza infiltrazione della parete; ulceranti con infiltrazione della parete (anche fino alla sierosa, quindi a tutto spessore); forme diffuse a tutto l'organo, con interessamento ed irrigidimento della parete dello stomaco stesso che sono sintetizzate nella forma della rinite aplastica(?).

2) 1942 Broders che distingue 4 gradi, classificazione istologica microscopica: 1° ghiandole quasi normali, con nuclei più grossi di dimensione, e più alti; 2° cellule normali, senza alterazione cito-nucleari, con allineamento non più preciso, ma ci sono disaggregazioni e disallineamenti, 3° cellule tendono a formare dei nuclei ghiandolari assestanti invece che essere distribuiti in maniera lineare; 4° cellule irregolari, grandi, con aspetto tipico detto ad anello con castone.

3) 1965 Lauren, che distingue il tipo intestinale e quello diffuso; nel tipo intestinale la crescita è di tipo espansivo, in quello diffuso è di tipo infiltrativo. Inoltre il tipo intestinale presenta delle zone di metaplasia che non sono presenti nell’altro, determinando una prognosi migliore. Infine il tipo intestinale ha delle caratteristiche di prevalenza diverse nella popolazione giovane da quella anziana.

4) Con l’avvento della diagnostica di tipo endoscopico è stato possibile individuare anche in questo tipo di tumore una forma precoce detta Early gastric cancer: si tratta di un adenocarcinoma con invasione limitata alla mucosa, o alla sottomucosa, ma solo nella forma più avanzata, che non è caratterizzata da invasione linfonodale. Da un punto di visto clinico l’early gastric cancer è diverso dalle altre forme di tumore allo stomaco: è limitato nell'espansione, mentre l'advanced gastric cancer è molto infiltrato, arriva addirittura alla muscolaris se non alla sierosa. Naturalmente l’early gastric

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cancer ha prognosi migliore rispetto alla forma più avanzata. Sempre da un punto di vista clinico l’early gastric cancer quando è sintomatico (la maggior parte delle volte è asintomatico), dà sintomi aspecifici e lievi caratterizzati prevalentemente da dispepsia, epigastralgia (rara), sangue occulto nelle feci, legato a fenomeni di erosione della superficie della mucosa ma solo nelle forme più escavate. Nella forma più avanzata i sintomi sono sempre presenti, e sono: dispepsia, calo ponderale (il soggetto si alimenta meno ed assorbe meno), epigastralgia che può essere persistente e non recede con la terapia medica, nelle forme del fondo dello stomaco può essere presente un anemia, che si instaura progressivamente per stillicidio e si può arrivare a livelli di anemizzazione molto importanti senza avere sintomatologia evidente ad esclusione di astenia generale; quando il sanguinamento è più importante si può avere melena o atemesi (anche se questa è caratteristica soprattutto di una forma ancora più avanzata), infine quando il tumore coinvolge gli sfinteri, cardias o antro e piloro, si possono avere fenomeni legati alla difficoltà di transito, nel caso del cardias disfagia ed eruttazioni, o addirittura rigurgito mentre quando sono interessati l’antro e il piloro vomito alimentare per la difficoltà di svuotamento dello stomaco stesso.

Tabella con sintomi presentati all’esordio in 18.000 pazienti, mostra che la maggior parte dei soggetti ha perdita di peso e dolore addominale; disfagia; il 20% melena; il 37% sazietà precoce; molti, addirittura un quarto, presentano come reperto anamnestico precedente ulcere gastriche o duodenali, che sono connesse alla progressione della malattia in senso neoplastico.

Segni della malattia, quando questa è avanzata: massa palpabile a livello epigastrico, cachessia, occlusione intestinale, ascite ( quando il tumore avanzato coinvolge l’omento, diffusione per via celomatica può arrivare ad interessare le ovaie), epatomegalia, edema degli arti inferiori.

Diagnosi: l’esame principe per fare diagnosi è la gastroscopia perché oltre a consentire una visione diretta della zona sospetta consente di fare un prelievo bioptico, che analizzato consentirà diagnosi di certezza, inoltre da indicazione utili ad orientare la strategia chirurgica dando la sede e l’estensione della lesione, nonché indicazioni su aree particolari che devono essere esplorate con attenzione specialmente se si tratta di zone che normalmente non vengono esplorate durante la

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progressione verso il basso dell’endoscopio, come in particolare il fondo dello stomaco e il cardias che necessitano di un esplorazione in retroversione. La biopsia deve essere condotta e praticata su tutte le regioni dello stomaco che vengono individuate, anche quelle che possono apparire come benigne, e nel caso di una lesione ulcerosa il prelievo bioptico deve esser fatto sui cercini, perimetro della zona, e non sul fondo dove l’ulcerazione potrebbe esser a contatto con la parete dello stomaco e quindi si potrebbe scatenare un emorragia. Inoltre le biopsie devono esser fatte su zone diverse della stessa lesione in modo da poter avere una mappa completa della zona interessata e vanno fatte abbastanza in profondità, arrivando fino alla sottomucosa (questa potrebbe esser coinvolta senza interessamento della mucosa). L’esame istologico permette di fare diagnosi di certezza oltre che diagnosi differenziale con le altre patologie che possono interessare lo stomaco. L’esame di contrasto grafico, cioè l'esame radiologico con pasto di bario, è un esame complementare che non viene fatto per tutte le forme di neoplasie, perche generalmente l’endoscopia è sufficientemente esaustiva. Quando ci sono forme particolarmente diffuse, in particolare la nicchia aplastica o situazione non ben esplorate allora può essere utile eseguire un esame radiografico.

Altri esami utilizzati per completare la stadiazione (per avere notizie non tanto sulla natura quanto sull’estensione) sono quelli della diagnostica per immagini tradizionale: TAC, RMN, ecoendoscopia (più utile nelle forme che hanno un'invasione della parete limitata, come l'early gastric cancer, poiché quest’esame permette di capire quanto siano coinvolte la mucosa e la sottomucosa, sia in senso longitudinale che trasversale con più precisione di quanto non sia possibile solo con la TAC), ed infine la laparoscopia che in genere ha un tempo di stadiazione e di conferma nelle forme più avanzate, quando si ha il dubbio di carcinosi peritoneale, quindi coinvolgimento a distanza, che non rende indicato l’intervento chirurgico ma si invia il paziente direttamente alla terapia medica con intento palliativo.

Immagini sulle slides: la classificazione TNM stadio 1 carcinoma in situ, corrisponde all’early gastric cancer; il T1 è il tumore che invade la lamina propria o la sottomucosa, il T2 invade la muscolare e la sottosierosa, il T3 arriva a comprendere il rivestimento peritoneale viscerale, quindi l’esterno del viscere stesso senza che vi sia una compromissione delle strutture adiacenti, perché in quel caso si ha lo stadio 4; per quanto riguarda l’ N: N0 non c’è compromissione dei linfonodi regionali, l’N1 i linfonodi coinvolti sono meno di 7, tra 7 e 15 N2, più di 15 N3 per avere la classificazione N è necessario l’intervento chirurgico visto che dobbiamo analizzare

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istologicamente i linfonodi, la radiografia o la TAC non ci permettono di determinarlo in modo preciso, nella classificazione N è importante il numero di linfonodi coinvolti piuttosto che la loro sede; M riguarda la presenza di metastasi a distanza.

Diagnosi differenziale del tumore dello stomaco va fatta:

1) Con l’ulcera peptica con la quale condivide molti dei sintomi come il dolore epigastrico, il fatto che ci possano essere fenomeni dispeptici e vomito. La caratteristica che li distingue è che nel tumore c’è anche un calo ponderale che nella forma benigna non è presente;

2) Con le gastropatie benigne che sono distinte con la gastroscopia;

3) neoplasie benigne, linfomi gastrici.

Decorso: la malattia può diffondere per contiguità, nella via diretta sia all’esofago distale che al duodeno per progressione intraparietale, oppure per progressione trans parietale al colon trasverso che è appoggiato allo stomaco anatomicamente, o al peritoneo parietale; un caso particolare è la diffusione per via celomatica alle ovaie (tumore di Krukenberg), si può avere anche diffusione diretta per via celomatica al retto dall’esterno verso l’interno.

Si può avere diffusione per via linfatica (elettiva) → distretto superiore, medio, inferiore in particolare da ricordare, anche se tipico di una forma molto avanzata oggi rara, la presenza del linfonodo di Virchow, linfonodo sopraclaveare sinistro patologico, ingrossato duro alla palpazione, non dolorante, non elastico e non dolorabile che deve far pensare ad una forma alta di tumore allo stomaco così come un linfonodo patologico con le stesse caratteristiche ma in sede periombelicale; o il linfonodo ascellare di “Hairich”, segni patognomonici del tumore avanzato.

Diffusione per via ematica: essendo drenato dal sistema portale ha il primo filtro nel fegato, quindi le metastasi si ritrovano nel fegato, poi nelle ossa tramite il sistema cavale e possono poi arrivare al polmone e al SNC.

Complicanze sono: emorragia, anche come segno di presentazione, intesa sia come ulcera neoplastica sanguinante sia come erosione della parte dello stomaco isolato senza ulcerazione vera e propria; lo stillicidio con anemizzazione progressiva; la perforazione, con esordio acuto o subdolo, rappresenta un segno prognostico negativo perché al momento della perforazione si ha diffusione a livello del peritoneo e quindi rischio di metastasi a distanza; infine l'insufficienza d'organo e

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quindi l'incapacità di digerire.

La terapia può essere chirurgica radicale solamente nelle forme precoci (senza linfonodi e senza metastasi a distanza). Mentre nelle malattie con diffusione loco regionale, alla terapia chirurgia, che rimane comunque l’unico mezzo in grado di cambiare la storia naturale della malattia, deve seguire sempre radio e/o chiemioterapia adiuvante; nella malattia localmente avanzata, specialmente se c’è coinvolgimento degli organi circostanti, la terapia chirurgia non ha più intento curativo, si può solo chemio e radioterapia. Nella malattia disseminata solo terapie palliative. I gradi della radicalità chirurgica sono rappresentati dalla possibilità di asportare tutto lo stomaco, con margini di tessuto sano e ovviamente combinare a questo una linfadenectomia, che deve consentire una stadiazione completa della compromissione dei linfonodi regionali. La gastrectomia potrà essere totale o subtotale a seconda della sede, delle dimensioni della lesione stessa e dalla possibilità di avere margini macroscopicamente sani, liberi dalla malattia, di almeno 5 cm nella forma intestinale e di almeno 10 nella forma diffusa (l’estensione dei margini nella forma diffusa ci fa capire come nel 99% dei casi sarà praticamente una resezione totale, mentre in quella intestinale è ancora possibile una resezione parziale). È necessario mantenere una margine perché tipicamente nelle neoplasie del tratto gastrointestinale hanno la capacità di diffondere per via intraparietale per cui anche se macroscopicamente non è evidente la presenza di malattia si deve supporre che nello strato sottomucoso siano presenti cellule neoplastiche per circa ancora 3 cm da dove macroscopicamente la malattia non è evidente quindi occorre mantenere un margine minimo maggiore di 3, e tradizionalmente si è giunti al valore di 5, scongiurando così la possibilità di lasciare cloni neoplastici in sede sottomucosa che potrebbero determinare una recidiva della malattia stessa. Nelle neoplasie del terzo prossimale dello stomaco si possono eseguire interventi, a seconda delle dimensioni, che determinano una linfadenectomia R1 quando le dimensioni sono piccole e si asportano solo i linfonodi cardiali della piccola e grande curva; R2 quando invece la neoplasie è più estesa si asportano i pilorici, subpilorici, quelli dell’arteria epatica, dell’arteria gastrica sinistra, i celiaci, etc..

Nelle neoplasie del corpo e del fondo dello stomaco si può optare sia per una gastrectomia totale che subtotale, perché i risultati nel medio-lungo termine non mostrano una differenza sostanziale.

Generalmente, come è intuitivo, c'è correlazione tra dimensioni del tumore e il

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numero di linfonodi coinvolti; più è limitato in senso trasversale meno sarà la probabilità di linfonodi coinvolti. Dal punto di vista tecnico chirurgico i linfonodi sono raggruppati in 3 gruppi, indicanti il tipo di linfadenectomia associata alla chirurgia. Oggi lo standard di cura è l’asportazione dello stomaco con linfadenectomia D2. La terapia adiuvante ha efficacia diversa a seconda della presenza di compromissione linfonodale o meno:

Casi N-negativi → sopravvivenza dopo 5 anni: 75%

Casi N-positivi → sopravvivenza dopo 5 anni:10-30%

Ancora una volta è chiara l’importanza di una diagnosi precoce, altrimenti anche con l’utilizzo della chirurgia, nonché della chemio e radioterapia, non possiamo modificare in modo sostanziale la storia naturale della malattia. Le terapie adiuvanti sono una conquista recente ed è stato visto che molto spesso la loro maggior funzione è quella di riportare la malattia entro criteri di resecabilità. Dal punto di vista delle strategie palliative volgono al consentire il mantenimento di un alimentazione, sono principalmente interventi che hanno lo scopo di oltrepassare la zona istruita eseguibili, per via endoscopica o con radioterapia.

Le caratteristiche che determinano la prognosi del carcinoma dello stomaco sono:

-lo stadio, soprattutto per la compromissione dei linfonodi;

-il grado di differenziazione;

-le dimensioni;

-la sede;

-presenza di metastasi a distanza.

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Carcinoma del colon-retto

Scaletta della lezione

Epidemiologia

Eziologico

Anamnesi

Diagnostica

Quadro clinico

Terapia

I tumori del colon-retto sono divisi da quelli dell'ano perché hanno caratteristiche istopatologiche, andamento clinico e anche un campo diagnostico diverso.

EPIDEMIOLOGIA

In Italia il tumore del colon retto è la seconda forma neoplastica più frequente sia negli uomini che nelle donne,nell'uomo è preceduto dal tumore del polmone e nelle donne da quello della mammella ed è la seconda causa di mortalità in entrambi i sessi.

Ha una distribuzione di incidenza e prevalenza differenziata a livello del nostro paese. Sostanzialmente è il più frequente, e ha tasso di mortalità ed incidenza più alti nei paesi più sviluppati rispetto a quelli sottosviluppati. Vedremo infatti che questa forma di tumore è correlata con gli stili di vita.

I dati epidemiologici (nella slide del 2001,ma non sono cambiati) indicano come i casi incidenti nel mondo sia nell'uomo che nelle donne vedono nel tumore del colon,la terza causa per l'uomo e per le donne la seconda.

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Dal punto di vista della mortalità anche in questo caso,è tra i primi posti:il 9% significa infatti che su 100 pazienti che muoiono per tumore,il 9% di questi avevano un tumore del colon o del retto. Nelle donne è leggermente più alto: 11%. È la seconda neoplasia per incidenza e terza per mortalità negli USA.

Mentre nei dati italiani vediamo 13000 nuovi casi di tumore del colon-retto ogni anno ed è la seconda causa di mortalità nel nostro paese, responsabile di più di 100.000 decessi all'anno.

Importante quindi riconoscerlo in tempo e fare una prevenzione.

Guardando l'andamento negli anni dell'aumento dell'incidenza sia negli uomini che nelle donne e della mortalità,vediamo che se l'incidenza è andata aumentando più nell'uomo che nelle donne, la mortalità sostanzialmente non si è modificata nel corso degli anni.

EZIOLOGIA

Per quanto riguarda le cause di tale patologia può essere, (ed è il caso più frequente) una forma sporadica,sostanzialmente legata a fenomeni multifattoriali o genetici,ma comunque con una presenza sporadica,eccezionale all'interno di una famiglia.

Mentre poi vi sono delle forme meno frequenti nelle quali vi è una componente ereditaria importante,quindi in questi casi è importante riconoscere le famiglie con tale componente e mantenere un livello di attenzione e prevenzione,screening alto per scongiurare il rischio.

In realtà non abbiamo dei marker veri che consentono di distinguere le forme ereditarie da quelle sporadiche che si presentano all'interno delle famiglie. Una forma sporadica può anche rappresentare l'innesco di una trasmissione ereditaria,per cui in realtà la prevenzione e lo screening è opportuno farlo in tutti i casi nei quali vi sia anche un singolo soggetto di una famiglia che presenta tale neoplasia. Discorso a parte riguarda forme meno presenti, 5% ,che sono le forme di poliposi familiari adenomatose PAF o FAP e la sindrome di Linch HNPCC forma ereditaria di neoplasia non polipoide del colon.

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In questi casi vi è una trasmissione genetica diretta e quindi è necessario un controllo alto di queste famiglie.

FATTORI DI RISCHIO DEL CANCRO DEL COLON-RETTO.

Sono fattori di rischio:

dietetici

geografici

l'età

la familiarità

sindrome ereditaria

condizioni patologiche predisponenti

Dieta

Vi è sicuramente un ruolo importante della dieta legato alla presenza di grassi, in particolare il colesterolo,e povera di fibre. La presenza di grassi soprattutto di origine animale favorisce nella fase di digestione e metabolismo di tali grassi,la formazione di sottoprodotti che hanno un'azione promotrice nell'azione neoplastica. Sono prodotti che generalmente hanno un'azione predisponente e agendo sulla mucosa dell'intestino determinano la possibilità di una degenerazione neoplastica , soprattutto nel caso in cui vi sia una dieta anche scarsa di fibre, che permette il contatto diretto tra i metaboliti e la mucosa intestinale per tempi più prolungati .

Oltre l'effetto negativo dell'alcool e del fumo, che anche in questo caso sono correlati alla presenza di neoplasie.

Aspetti geografici

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Sono rappresentati più che da una condizione genetica da una abitudine alimentare. Classico esempio è quello dei giapponesi emigrati in America e quindi abbandonata la dieta tradizionale,probabilmente a base di pesce e verdure,e assunta la dieta ricca di grassi,carne e fritti americani,progressivamente hanno assunto l'incidenza della neoplasia del colon-retto propria dei paesi che li ospitavano rispetto alla bassa incidenza dei paesi di origine.

Età

La distribuzione è progressiva con l'avanzare dell'età.

E' una patologia che si sviluppa prevalentemente nell'età adulta;è eccezionale trovarla al di sotto dei 40 anni e molto raro sotto i 50, ed ha una media di incidenza tra i 60-70 anni e invece il massimo dell'incidenza si ha nei soggetti con più di 80 anni.

Da qui anche le indicazioni che si hanno per lo screening.

Per le neoplasie del colon-retto,mammario e anche del collo dell'utero è stabilito dal nostro Sistema Sanitario Nazionale un programma di screening a tappeto ,per quanto riguarda il colon-retto su soggetti che hanno più di 50 anni di età e consiste nella ricerca del sangue occulto nelle feci,e poi eventualmente con la colonscopia che verrà ripetuta ogni 3-5 anni in base al risultato.

Familiarità

Si può notare come aumenta il rischio nel momento in cui vi sia un parente di primo o secondo grado che ha una neoplasia del colon-retto.

Anche se tale neoplasia rappresenta una forma sporadica nel 70-80% dei casi,l'avere un familiare con questa neoplasia fa aumentare tale rischio di 2-3 volte,o anche di 3-4 volte se la diagnosi è avvenuta in età giovanile. Quindi è importante in questi soggetti avere uno screening ancora più aggressivo.

Tutti i familiari di primo grado di una persona che ha avuto una neoplasia eseguono un controllo a partire da 10 anni di età in meno rispetto alla diagnosi fatta al

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paziente (esempio:diagnosi fatta a 60 anni,i parenti di primo grado faranno controlli a partire da 50 anni).Questo per ridurre i rischi di trasmissione.

Come vedete anche la presenza di un polipo adenomatoso che tecnicamente non è un tumore ma una forma ancora benigna, poiché si tratta di una malattia che ha un andamento progressivo,determina un aumento del rischio di sviluppare neoplasia. Quindi non è solamente la neoplasia conclamata a rappresentare un indicazione di uno screening familiare più approfondito,ma è sufficiente anche la diagnosi di un semplice polipo adenomatoso.

Il motivo per cui questo screening è opportuno farlo è mostrato dalla diapositiva in cui possiamo vedere come l'incidenza,nonostante l'andamento progressivo con l'aumentare dell'età,è nettamente superiore ed ha un andamento differente tra coloro che hanno avuto in famiglia anche un solo caso diagnosticato di tumore o polipo del colon-retto rispetto a chi invece non ha avuto nessun caso in famiglia.

Sindromi ereditarie

Vi sono poi delle sindromi ereditarie che invece riconoscono una trasmissione genetica a carattere mendeliano all'interno delle loro famiglie. Sono la poliposi adenomatosa familiare, la sindrome di Gardner (che in realtà una forma particolare della poliposi adenomatosa familiare), la sindrome Turcot e la sindrome di Linch, forme ereditarie del carcinoma colon-rettale senza poliposi.

Le prime sindromi sono tutte caratterizzate da una poliposi intestinale generalizzata che si distingue nelle diverse forme solamente sulla base dello studio genetico e hanno la caratteristica di manifestarsi su base ereditaria,ma soprattutto in età giovanile già a partire dalla seconda e terza decade di vita;questi polipi hanno la possibilità di degenerare e quindi poiché la progressione porterebbe al cancro del colon-retto,è necessario portare avanti una bonifica intestinale estesa, una volta fatta la diagnosi di una di queste sindromi.

Poliposi adenomatosa familiare:

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Possiamo vedere nella slide l'immagine di un clisma opaco,nel caso di una poliposi adenomatosa familiare:mostra il piccolo intestino che presenta delle zone di nero scuro che rappresentano il segno della presenza di polipi.

La poliposi è di per se responsabile dell'1% dei casi di cancro del colon-retto,infatti tendono a degenerare determinando la progressione verso la malattia neoplastica maligna.

Tali sindromi sono caratterizzate dalla presenza di centinaia di polipi distribuiti su tutto l'intestino sia piccolo che grande.

In genere la degenerazione avviene non prima della terza-quarta decade di vita ed è associata anche a manifestazioni extracoliche che sono tipiche di questa mutazione genetica come:osteomi,cancri cutanei e dei tessuti molli,melanomi e ipertrofie dell'epitelio pigmentato della retina. E infatti spesso l'esame oculistico è un esame con il quale si pone il dubbio di essere in presenza di un soggetto affetto da tale sindrome.

Il gene che è coinvolto è il gene PAF localizzato in C 21-22 ed è vicino al gene che è implicato nel carcinoma del colon retto sporadico.

Quindi il meccanismo con cui avviene la degenerazione, dal punto di vista genetico,è simile a quello che si ha nel caso di neoplasia del colon retto da poliposi adenomatosa familiare.

La poliposi adenomatosa familiare si può presentare come un tappeto di polipi,quindi spesso è impossibile fare una bonifica completa e dobbiamo intervenire con una resezione di tipo preventivo prima che uno di questi polipi degeneri nel carcinoma del colon retto.

Sindrome di Gardner

E' una variante della poliposi adenomatosa familiare e anche in questo caso è associata a manifestazioni extra-intestinali di tipo neoplastico,in genere benigno come ad esempio osteomi, polidesmoidi, cisti epidermoidi.

E' differente dalla poliposi solo sulla base genetica,è difficile differenziarla in base alle manifestazioni cliniche perché anche in questo caso siamo in presenza di molti polipi diffusi in tutto l'intestino con possibilità di degenerazione.

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Sindrome di Turcot

Ha la caratteristica particolare di essere associata a neoplasie del SNC(cosa che non avviene nelle altre due) come per esempio glioblastomi,neuroblastomi(forme di neoplasia del SNC più indifferenziate)che sono spesso il motivo di esordio della malattia con poi il successivo riconoscimento della sindrome stessa.

In tutti i casi sono sindromi che si manifestano in età giovanile con polipi diffusi in tutto l'intestino spesso presenti già in forma avanzata e quindi spesso è necessario effettuare una colectomia totale per bonificare.

Sindrome di Lynch

È una forma più marcatamente ereditaria autosomica dominante. Non vi è una poliposi e in genere hanno la caratteristica di manifestarsi in una età più giovanile della forma del cancro del colon-retto classica.

L'incidenza mediana è intorno alla 4°decade di vita e come localizzazione sono più spesso presenti al livello del colon dx.

Complessivamente rappresentano circa il 3% delle forme di neoplasie diagnosticate.

La degenerazione neoplastica del carcinoma del colon -retto avviene in maniera progressiva e evolutiva.

L'ipotesi che indica la sequenza di progressione dall' adenoma al carcinoma la dobbiamo a Bolkestein che prima, nel 1988 ,e poi nel corso degli anni fino al 1993 ha individuato le alterazioni genetiche,i particolari geni, gli oncosoppresori e gli

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attivatori dell'oncogenesi che sono stati riconosciuti responsabili delle trasformazioni dell'adenoma progressivamente in carcinoma del colon-retto.

Quindi l'asportazione eventuale dell'adenoma/i di piccole dimensioni o di dimensioni più grandi consentono di interrompere la sequenza di passaggi e di determinare la guarigione o meglio la non presentazione della neoplasia.

Da qui l'importanza dello screening colonscopico da eseguire nella popolazione a maggior rischio.

Quali sono gli eventi e la sequenza che porta dall'adenoma al carcinoma?

Per prima cosa vi é la fase di produzione dell'adenoma.

Dall'epitelio normale attraverso una mutazione genetica al livello del gene responsabile del cancro al colon-retto o quello responsabile delle sindromi familiari,si passa dall'epitelio normale a una fase di iperproliferazione che poi ,favorita dagli eventi di metilazione che possono essere anche innescati dall'azione di metaboliti degli acidi grassi, darà luogo all'insorgenza di un adenoma di classe I:adenoma di piccole dimensioni e di estensione limitata alla mucosa.

Il passo successivo é l'attivazione dell'oncogene Ras che si trova sul cromosoma 12,che dà luogo alla progressione dell'adenoma primario in secondario meno differenziato.

Su questo agiscono poi l'inattivazione di altri oncogeni o oncosoppressori che fanno sì che si passi all'adenoma di classe 3°,adenoma altamente indifferenziato,quindi con una displasia severa che rappresenta di per sé una fase terminale prima della formazione del carcinoma in situ che avviene in genere per perdita dell'effetto regolatore da parte dell'oncosoppressore p53.

Si arriva così al carcinoma in situ vero e proprio che a sua volta attraverso un'azione di RSCC RN23 che ancora non è stato spiegato dal punto di vista meccanicistico,fa sì che il carcinoma in situ si trasformi in un carcinoma infiltrante con caratteristiche e capacità metastatiche anche a distanza.

Quindi tutta la catena che va dall'epitelio normale al carcinoma in situ è ormai ben conosciuta nei suoi passaggi sia dal punto di vista genetico che dell'azione dei prodotti dei geni stessi.

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L'elemento che ancora deve essere spiegato in maniera completa è il passaggio dal carcinoma in situ a quello infiltrante.

Nelle fasi di degenerazione poliposica adenomatosa la malattia è confinata , in forma displastica, solo nello strato mucoso senza superare la muscolaris mucosae, il cui superamento è l'elemento che,al di là della degenerazione,rappresenta il 1°grado di invasività della neoplasia e quindi che segna il passaggio dalla forma in situ a quella invasiva.

Quindi in realtà i polipi adenomatosi sono da considerarsi delle lesioni precarcerose e il rischio che tali lesioni degenerino aumenta con alcune caratteristiche:le dimensioni poiché sono correlate all'età del polipo stesso, e quindi più passa il tempo più è probabile che sia nella forma villosa, e sarà anche di più facile caratterizzazione quando avrà un diametro superiore ad 1cm; infine se presenta una displasia severa indica una maggior progressione nella catena che abbiamo precedentemente vista.

Anche la retto colite ulcerosa rappresenta in realtà una lesione precancerosa vera e propria perché sottopone l'intestino per i fenomeni infiammatori e quindi lo sfaldamento della mucosa del retto e della parete terminale del colon favorisce un ricambio più accelerato e quindi può rappresentare l'innesco di fenomeni di degenerazione.

Maggiore è il tempo di malattia più è probabile che la malattia degeneri determinando l'insorgenza di neoplasie e ovviamente maggiori sono le zone di displasia severa più è probabile che le zone si trasformino in tumore infiltrato vero e proprio.

L'immagine della slide mostra la progressione oncologica dell'adenoma in forma tubulosa fino a quello villoso,con rimaneggiamento della struttura del polipo progressivamente maggiore sempre rimanendo al di sopra della muscolaris mucosae.

ANAMNESI

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Dal punto di vista anamnestico nel momento in cui ci troviamo di fronte un soggetto con un sospetto cancro al colon-retto, l'anamnesi che va raccolta è prima di tutto la familiarità di neoplasia in generale e in particolare del colon,ma anche la presenza o meno di polipi. Va indagata la presenza di familiarità per malattie infiammatorie intestinali come la colite ulcerosa e il Morbo di Crohn (nel Crohn è meno frequente la degenerazione in senso neoplastico ma è possibile).

Vanno raccolte notizie sulle abitudini alimentari,precedenti interventi, precedenti patologie,e

precedenti esposizioni a radiazioni nella regione pelvica.

Dal punto di vista dell'esame obbiettivo generale prevede una ispezione al livello dell'addome nella quale non è in genere possibile avere degli elementi indicativi, perché anche nelle forme avanzate nono si hanno delle modificazioni morfologiche evidenti, l'ascultazione può darci degli indizi riconoscendo delle zone di maggiore o minore presenza di gorgorismi per la presenza di stenosi, restringimenti lungo i tratto colico colpito da malattia e questo può essere un elemento di sospetto.

Alla percussione al di là della presenza di ascite ,indice di presenza di una malattia già diffusa a livello peritoneale nelle forme più precoci ,non si hanno delle modificazioni particolari.

La percussione delle zone epatica e splenica in genere non presentano modificazioni rispetto alla normalità a meno che non vi siano metastasi già avanzate.

Alla palpazione si possono cercare delle masse addominali che in genere sono difficili da individuare e che sono più frequenti in genere nelle forme a carico del colon di dx,questo perché a dx la neoplasia è meno sintomatica rispetto a quella di sx e quindi raggiunge delle dimensioni maggiori perché la diagnosi è più tardiva e in questo caso è possibile quindi ritrovare anche massa. addominale.

Prima di passare all'esplorazione rettale,che è un punto importante dell'esame obbiettivo,in caso di sospetto di patologie del colon retto,ricordiamo che dal punto

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di vista anamnestico un elemento importante che deve essere sempre indagato sono le modificazioni dell'alvo rispetto alla normalità e alle abitudini del soggetto.

Modificazioni dell'alvo sia in senso stitico sia nel senso diarroico possono essere elementi anamnestici importanti perché l'intestino,colpito dal cancro del colon,in genere,si restringe determinando il passaggio da lumi intestinali normali verso l'alvo stitico,con maggiore difficoltà,inoltre abbiamo feci più solide,feci caprine(piccole emissioni più volte nella giornata):questi sono tutti elementi che devono far sospettare la presenza di una neoplasia in genere del colon sx.

Altro aspetto anamnestico importante è la presenza di sangue nelle feci e le caratteristiche di tale sangue orientano sulla sede della neoplasia stessa.

Per quanto riguarda l'esplorazione rettale o meglio digito ano-rettale consiste in una manovra semplice eseguita con delicatezza ma che consente da sola la diagnosi del 50% dei tumori del retto, ovviamente deve essere seguito da altri esami come colonscopia e altre diagnosi strumentali, ma molto spesso permette il contatto diretto con la neoplasia e questo perché le neoplasie del retto, nella maggior parte dei casi si sviluppano nei primi centimetri del colon stesso.

DIAGNOSI STRUMENTALE.

Per quanto riguarda la diagnosi strumentale,la principale è la colonscopia,esame che ha sia una componente diagnostica,sia una componente terapeutica,e dà la possibilità di fare non solo una diagnosi di sospetto ma anche di certezza perché con la colonscopia è possibile effettuare delle biopsie e quindi poi avere una diagnosi istologica sul reperto.

Gli esami a corollario a livello del tratto gastrointestinale,che ovviamente hanno una funzione di esami di completamento,dopo aver effettuato la colonscopia oppure nei casi in cui la colonscopia non si è potuta condurre in modo completo o eseguirla,sono il clisma opaco con contrasto e la ecoendoscopia.

La ecoendoscopia in particolare viene eseguita nella porzione terminale del retto e consente di avere notizie sullo stato di infiltrazione transparietale del retto stesso e

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di intuire la presenza di linfonodi al livello del meso retto e di fare la biopsia transparietale.

La colonscopia è un esame con una serie di vantaggi e pur essendo un esame noioso è importante nella diagnosi permettendo l'esplorazione visiva diretta del grosso intestino,viene infatti condotto dal retto fino al colon di dx e nel 75%dei casi anche nell'ultimo tratto del piccolo intestino,ultima ansa ileale.

E' una indagine invasiva ma che può essere altamente diagnostica.

I polipi individuati nel caso dell'esame possono essere asportati o effettuata la biopsia direttamente.

Può essere terapeutica nel caso di lesioni benigne o usata nel senso palliativo come nei casi di non operabilità per ripristinare anche se solo temporaneamente il transito nelle zone ristrette.

Nello screening generale della popolazione si ha come 1°esame la ricerca del sangue occulto (perchè poco costoso e facilmente ripetibile) e poi come 2°esame se vi sono sospetti o certezze di sangue occulto si passa alla colonscopia che ha una altissima sensibilità nei confronti del carcinoma vero e proprio e dei polipi di diametro superiore ad un centimetro,ha una sensibilità del 98% e specificità del 100%. Ma anche per i polipi inferiori al cm la sensibilità è comunque alta del 85%.

In tutti i casi è possibile raggiungere il cieco con una piccolissima percentuale di casi in cui non è possibile a causa di dolicosigma (colon particolarmente lungo e tortuoso)mentre i 3/4dei casi si raggiunge anche l'ultima ansa ileale.

Il clisma opaco a doppio contrasto è un altro esame a completamento dello studio del colon. I segni radiografici tipici della presenza della neoplasia sono difetti di riempimento a forma di torsolo di mela oppure una massa aggettante nel lume del colon (detta immagine di minus). L'immagine a torsolo di mela rappresenta l'immagine tipica della presenza di un neoplasia che coinvolge il grande intestino.

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L'ecografia endo ano-rettale con direttamente lo strumento ecografico o con una sonda per ecografia endo-rettale,o l'ecografia eseguita durante una colonscopia consente lo studio del canale anale e del retto e in genere dà informazioni riguardanti i livelli di infiltrazione delle strutture epiteliali e muscolari del canale del retto e consente la stadiazione delle patologie perché il TNM di queste patologie si basa sullo stato di infiltrazione della parete del viscere e sulla compromissione dei linfonodi regionali. Consente anche di eseguire biopsie al livello dei linfonodi del mesoretto con lo scopo di fare diagnosi. Nelle slide vi è un'immagine di ecografia endorettale dove si può vedere come sia possibile studiare in maniera precisa i diversi strati della parete del retto anche con immagini costruite tridimensionalmente.

Localizzazione della neoplasia

Dal punto di vista della localizzazione della neoplasia del colon-retto la zona del grosso intestino più frequentemente colpita da neoplasia è il sigma-retto,segue il colon destro(quindi cieco e colon ascendente),mentre più raro a livello del colon trasverso e discendente.Per quanto rigurda le neoplasie del colon sinistro,quindi del retto,del sigma e del colon discendente,sono nel complesso i ¾ delle malattie neoplastiche del colon-retto.La maggior parte delle neoplasie si sviluppa negli ultimi 6 centimetri del retto,dall'ano per 6 centimetri subito a monte e per questa natura sono facilmente diagnosticabili anche semplicemente con l'esplorazione ano-rettale.

Colon sinistro

Dal punto di vista delle modalità di esordio e della manifestazione clinica delle neoplasie del colon sinistro sono in genere neoplasie che hanno una caratteristica infiltrativa circonferenziale al viscere e danno origine ad una stenosi ad anello del viscere stesso,con un immagine a torsolo di mela che determinerà una dilatazione progressiva a monte del segmento di colon precedente e con invece una riduzione del calibro del viscere a valle che dà ragione anche dell'insorgenza di stitichezza che è tipica delle neoplasie del colon sinistro.

In genere i margini della zona stenotica sono rilevati aumentati di consistenza,più rigidi e possono anche ulcerarsi.

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Progressivamente la neoplasia che parte sempre dallo strato mucoso andrà ad infiltrare la muscolaris mucosae ,la muscolare propria e infine la parete a tutto spessore fino ad arrivare alla sierosa ed eventualmente se il tempo è sufficiente anche i visceri circostanti.

Sintomatologia

Dal punto di vista della sintomatologia le alterazioni dell'alvo sono il sintomo principale,combinato con dolori addominali crampiformi,espressioni del tentativo dell'intestino di far procedere il bolo alimentare oltre la zona stenotica. I dolori crampiformi a livello intestinale sono determinati dalla distensione e dal restringimento che avvengono durante le onde peristaltiche.

Poiché in questa parte dell'intestino le feci sono più solide,per sfregamento possono determinare del sanguinamento della zona neoplastica,ma anche a causa del fatto che vi è difficoltà di transito nella zona neoplastica,e anche per la mucorrea che è legata allo sfaldamento delle cellule della zona neoplastica stessa.

In questo caso se si tratta di neoplasia di sigma o del colon discendente,il sangue sarà misto alle feci,mentre invece nel caso di neoplasie più basse dell'intestino,il sangue può essere non necessariamente frammisto alle feci ,ma il sanguinamento può avvenire subito prima delle emissioni delle feci,oppure verniciare le feci al di sopra della superficie stessa.

Un sintomo tipico del coinvolgimento dell'ampolla rettale è il tenesmo che è legato all'infiltrazione della parete del viscere e in particolare alla stimolazione dei vagocettori della parete del retto che darà al soggetto la sensazione di avere sempre l'ampolla piena e quindi la sensazione di avere la necessità di defecare anche quando l'ampolla rettale è vuota. Questo per un effetto dell'infiltrazione della parete del viscere da parte della neoplasia.

Slide:Immagine macroscopica tipica con zona di restringimento(di stenosi),con dilatazione a monte e calibro normale al di sotto.

Colon destro

Nel caso di neoplasie del colon destro,la prognosi è peggiore perché si tratta di neoplasie che sono meno sintomatiche,la cui sintomatologia si manifesta quando la neoplasia ha raggiunto dimensioni ben maggiori.

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L'eccezione riguarda le neoplasie che interessano la valvola ileo cecale. In questo caso l'ostruzione della parte terminale dell'intestino tenue,nel punto di passaggio dal tenue al crasso,può dare luogo a sintomatologie più precoci.

In generale la neoplasia del colon destro,colon ascendente,sono delle neoplasie di tipo polipoide con la protrusione di una massa voluminosa,tipo cavolfiore che tende ad occupare il lume del viscere;ma essendo le feci a questo livello ancora fluide,non si hanno di solito fenomeni di tipo ostruttivo e le neoplasie si mantengono silenti fino a livelli di evoluzione molto avanzate.

Quindi in questo caso i sintomi saranno di tipo aspecifico e sono praticamente:astenia,dimagrimento,anoressia,che sono sintomi generali di tutte le neoplasie,associati ad una anemia che può essere anche molto grave perché questo stillicidio avviene in maniere inapparente non dando in genere quindi sintomi importanti ma che si può evidenziare con gli esami del sangue.

Quindi in un soggetto anziano nel quale si manifesti,negli esami di controllo,una certa anemizzazione occorre sospettare il cancro del colon anche in assenza di qualsiasi altro sintomo.

Nelle fasi molto avanzate si può avere la presenza di una massa addominale palpabile,così come del dolore di tipo gravativo localizzato nei quadranti di destra o di natura crampiforme in caso di difficoltà di transito che comunque avviene solo nelle fasi molto avanzate della neoplasia.

Nell'immagine:calibro del viscere conservato sopra e sotto la neoplasia che con aspetto polipoide aggetta nel lume,e che si presenta facilmente sanguinante.

Retto

Per quanto riguarda le neoplasie del retto anche qui le modalità di manifestazione sono quelle della forma polipoide,quindi con una massa all'interno dell'ampolla rettale in quanto appunto l'ampolla presenta spazio per permettere la crescita di una massa vegetante.

In genere i sintomi sono tensione con sensazione di evacuazione incompleta, ematochezia (sanguinamento al termine dell'emissione delle feci) che sono sintomi spesso confondibili con i sintomi di una patologia comune come le emorroidi e quindi è necessario fare una diagnosi differenziale.

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Con il tempo i sintomi si aggravano e si possono avere emorragie anche importanti causa di anemizzazione grave che in questo caso avviene in maniera repentina e ovviamente ci possono essere alterazioni dell'alvo fino a una riduzione del calibro del cilindro fecale fino ad arrivare all'emissione delle cosiddette feci caprine (piccole quantità di materiale fecale emesso in vari momenti della giornata),inoltre per l'interessamento delle terminazioni nervose della regione anale si può avere dolore anche con fistolizzazione.

Nell'immagine:lesione vegetante del retto medio subito a monte della prima valvola di Houston a circa 3-4 centimetri dalla linea pettinata che rappresenta il limite di passaggio con il canale anale e quindi raggiungibile con l'esplorazione rettale.

CLASSIFICAZIONE ISTOLOGICA

Dal punto di vista della classificazione istologica i tumori del colon-retto si distinguono in tumore epiteliale, tumore non epiteliale, carcinoidi, linfomi e poi le forme metastatiche secondarie.

I tumori epiteliali.

I tumori epiteliali nella loro forma maligna sono rappresentati nella grande maggioranza dei casi dall'adenocarcinoma mentre una percentuale minore dall'adenocarcinoma mucinoso. Ci sono poi delle forme,in piccolissime percentuali,che sono i carcinomi a cellule ad anello con castone,epidermoide indifferenziato e altre forme non classificate per la non differenziazione. Quindi è l'adenocarcinoma la forma più tipica di neoplasia epiteliale del colon.

I tumori non epiteliali

Nelle forme non epiteliali la forma più frequente è il leiomiosarcoma anche se la percentuale sul numero complessivo anche in questo caso è molto bassa.

Sistemi di classificazione

Dal punto di vista della stadiazione abbiamo 3 sistemi di classificazione del tumore del colon:la stadiazione di Dukes che sostanzialmente è in disuso,la stadiazione di Astler-Coller che è quella che viene utilizzata più frequentemente insieme alla stadiazione internazionale TNM anche essa molto utilizzata.

La stadiazione di Dukes distingue le neoplasie in 3 categorie:A-B-C e il C si distingue in C1 e C2 a seconda del numero dei linfonodi che sono coinvolti.

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A:neoplasie che pur avendo superato la muscolaris mucosae (essendosi estese quindi alla sottomucosa) non arrivano a coinvolgere la muscolare propria.

B:compromissione della parete oltre la muscolare propria senza però impegno linfonodale.

C:superamento della muscolare propria del viscere con interessamento lifonodale,più o meno diffuso nel C1 e nel C2.

La Classificazione di Astler e Coller è un po' più articolata e riconosce uno stadio A-B-C-D e due sottostadi B1 e B2.

A:neoplasia limitante solo alla mucosa senza superamento della muscolaris mucosae.

B:superamento della muscolaris mucosae con coinvolgimento quindi della sottomucosa fino a coinvolgere la tonaca muscolare propria.

Inoltre si distingue:

B1:superamento della muscolaris mucosae ma la muscolare propria non è coinvolta.

B2:coinvolgimento anche della muscolaris propria.

C1:coinvolgimento dello strato muscolare proprio e impegno linfonodale,mentre C2:superamento della muscolare con interessamento della sierosa e con la neoplasia che affiora sulla superficie in presenza di linfoanedopatia satellite neoplastica.

D:stadio in cui a prescindere dallo strato di infiltrazione si ha la presenza di metastasi a distanza.

La calssificazione di Astler e Coller rispetto a quella di Dukes è più fine e consente una maggiore differenziazione soprattutto per quanto riguarda l'aspetto prognostico e le strategie terapeutiche complementari alla chirurgia.

La Classificazione TNM è quella più recente,internazionalmente riconosciuta che standarizza maggiormente le cose e si riferisce a T:tumore N:stazioni linfonodali M:diffusioni a distanza.

T: ci sono quattro stadi

T1:nella forma di carcinoma in situ.Neoplasia che non supera la muscolaris mucosae.E anche

T1: nella forma di neoplasia che supera la muscolaris mucosae ma che è limitata alla sottomucosa.

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T2:arriva a coinvolgere la muscolare propria del viscere.

T3:che invade la sottosierosa e determina quindi una retrazione sulla seriosa del viscere coinvolto o che attrae a sé i tessuti pericolici che non sono ricoperti dal peritoneo cioè sostanzialmente il grasso sottosieroso e le appendici epiploiche del viscere stesso.

T4:si ha l'invasione diretta degli organi circostanti con superamento dello stadio serioso e del peritoneo viscerale.

Per quanto riguarda i linfonodi si distingue:

stadio N1: se sono interessati 1-3 linfonodi regionali

stadio N2 da 4 linfonodi in poi

stadio N3 se ci sono più linfonodi lungo la stessa catena ma a distanza rispetto al viscere coinvolto.

M si basa sulla presenza o assenza di metastasi a distanza

La classificazione TNM viene poi raggruppata in stadi da I a IV.

Lo stadio I e II è rappresentato esclusivamente dal T della malattia.

Nello stadio I sono compresi i tumori fino a T2,nello stadio II i tumori da T3 a T4 sempre senza compromissione linfonodale.

Nello stadio III troviamo le neoplasie con interessamento linfonodale a prescindere dalle dimensioni della neoplasia e a prescindere dal numero dei linfonodi coinvolti.Quindi lo stadio III è caratterizzato da metastasi linfonodali.

Lo stadio IV è caratterizzato dalla presenza di metastasi a distanza a prescindere sia da T che dall'N.

Puntualizzazione:T1 invade la sottomucosa e raggiunge la muscolaris mucosae senza raggiungere la muscolaris propria che invece raggiunge nel T2.Il T3 arriva a coinvolgere la sottosierosa e il T4 supera la sottosierosa ,la sierosa e coinvolge i tessuti circostanti.

Per quanto riguarda i linfonodi ,le stazioni linfonodali coinvolte sono differenti a seconda della sede della neoplasia.Nel caso di N1 abbiamo da 1 a 3 linfonodi regionali coinvolti,nello stadio N2 sono interessati linfonodi regionali della catena

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che va lungo l'asse mesenterico superiore seguendo l'arteria e la vena ileo-colica nel caso di neoplasie del colon dx,invece linfonodi lungo l'arteria mesenterica inferiore nel caso di neoplasie del sigma-retto.

Nel caso quindi di neoplasie del colon dx ,i linfonodi interessati vanno lungo l'arteria ileocolica o lungo la colica media della mesenterica superiore.

L'irrorazione del sigma e del retto è garantita dalla mesenterica inferiore e ,per quanto riguarda la parte inferiore del retto,dai rami dell'ipogastrica(iliaca interna).

Quindi per le neoplasie del colon sx e retto le stazioni linfonodali interessate sono quelle dell' asse della mesenterica inferiore e in particolare per il retto le stazioni linfonodali lungo l' ipogastrica (iliaca interna) che provvede alla vascolarizzazione della parte terminale del retto e quindi i linfonodi lungo l'asse iliaca interna, iliaca comune e. preaortico possono essere coinvolti in caso di neoplasia del retto.

Metastasi

Per le metastasi a distanza queste generalmente incontrano come prima stazione la stazione epatica perché il sistema colico è tributario del sistema portale che va al fegato. Sono comunque possibili dei salti del filtro epatico raggiungendo il polmone senza metastasi a livello epatico. In realtà nei tumori nella parte terminale del retto e,in particolare, dell'ano si possono avere metastasi direttamente a livello cerebrale perché questa parte terminale del retto è tributaria del sistema iliaco e quindi può passare direttamente dalla cava inferiore e poi all'arteria polmonare e da lì al polmone e cervello.

Esami per stadiazione

Per la stadiazione della malattia questi sono gli esami che è opportuno eseguire: 1) Innanzitutto i marker neoplastici che ci danno una misura dell'attività del tumore ma che non sono tanto importanti in sé per fare diagnosi quanto a scopo di follow up per valutare il proseguo della malattia perché un loro rialzo può indicare una ripresa in maniera misconosciuta e silente della malattia. Sono marker neoplastici aspecifici: il CEA,il Ca-19.9 che sono modificabili anche in molte altre neoplasie. 2) Ecografia epatica perchè il fegato è il primo filtro che incontra il sangue ed è quindi la sede più frequente delle metastasi. 3) TAC dell'addome e della pelvi che ci dà un'idea della estensione locale della malattia,dell'interessamento linfonodale e dei rapporti che può aver preso con gli organi vicini 4) RX torace per valutare eventuali metastasi epatiche nel caso di salto del filtro epatico 5) E cografia transrettale

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6) RM della pelvi che ci dà notizie sostanzialmente simili a quelle della TAC ma in alcuni casi può essere indicata.

TERAPIA

Per la terapia questa malattia può essere trattata in senso curativo solamente con la chirurgia nel senso che solo i casi trattati con la chirurgia combinata o meno a terapia medica, sono quelli che hanno una possibilità di guarigione.

La terapia medica ha quindi funzione adiuvante rispetto al trattamento chirurgico o solamente palliativo e quindi si distingue la chemioterapia neoadiuvante( cioè eseguita prima dell'intervento chirurgico allo scopo di ridurre le dimensioni delle neoplasie stesse e di rendere quindi più semplice dal punto di vista tecnico,il trattamento chirurgico) e la chemioterapia adiuvante.

Nel primo caso il trattamento chirurgico deve essere condotto su piani ritenuti sani al momento della stadiazione.

Se una neoplasia del retto di 4-5 cm con una stazione linfonodale a livello della catena del'arteria mesenterica superiore viene trattata con chemioterapia neoadiuvante e ho una buona risposta sia in termini locali di buona riduzione delle dimensioni della neoplasia stessa,e anche in termini di risposta linfonodale con scomparsa di linfonodi patologici a livello della catena della mesenterica sup.,al momento della chirurgia va comunque asportata la catena dei linfonodi della mesenterica sup.

La neoplasia del retto va trattata quindi rispettando i margini della parete sana a partire dal livello in cui era considerata sana al momento della prima stadiazione e non della seconda dopo la chemioterapia neoadiuvante.

Questo per avere la certezza di aver asportato tutta la massa e tutte le zone che eventualmente avrebbero potuto essere sede di residui microscopici di malattia che dopo l'intervento chirurgico avrebbero potuto riavere una nuova presentazione.

In questo particolare caso,se ciò accadesse,vorrebbe dire che siamo in presenza di cloni cellulari resistenti alla terapia medica.

Questa chemioterapia neoadiuvante oggi è diventata lo standard,soprattutto nelle patologie del retto perché consente di rendere più semplice la chirurgia con minori complicanze e permette un più alto tasso di operabilità di quanto non avvenisse prima.

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La terapia adiuvante è il trattamento che segue la terapia chirurgica quando si ha la compromissione della parete del viscere a tutto spessore(T4),o quando si ha la compromissione fino alla muscolare con interessamento linfonodale quindi T3,M1,M2,M3. In questi casi è quindi indicata la terapia adiuvante. Ovviamente spesso in realtà,si tratta di chemio-radioterapia neoadiuvante o adiuvante,

Gli interventi chirurgici dipendono ovviamente dalla sede. Si faranno quindi delle emicolectomie dx o sx, resezione del sigma, resezione anteriore del retto. In questo ultimo caso abbiamo una incisione della parete addominale con successiva asportazione del retto e mesoretto con conservazione, per quanto possibile, del sistema nervoso simpatico a livello iliaco che è quello che nell'uomo presiede alla potenza sessuale e nella donna alla lubrificazione vaginale.

Altro intervento più demolitivo e invalidante è l'asportazione del retto per via perineale.

Fattori determinanti la terapia chirurgica

• Stadio della malattia,

• Sede,

• Età,

• Condizioni generali del Paziente,

• Necessità di non eseguire l'intervento in condizioni di urgenza cioè in presenza di complicanze che in questo caso sono:l'occlusione,l'emorragia e la perforazione.

La radicalità oncologica è garantita quando c'è una resezione en bloc dell'intestino con l'escissione in blocco del mesentere corrispondente. Quindi nel caso di sigma-colon sx: si escinde il mesocolon sx e il mesosigma in blocco; nel caso del retto: mesoretto. Nel caso del colon dx: mesocolon dx.

La manipolazione deve essere il minimo possibile nella zona della neoplasia e deve essere asportato ogni eventuale impianto neoplastico peritoneale presente.

Questa chirurgia del colon solo nella seconda metà degli anni 50, ha raggiunto una validità chirurgica che è alla base della chirurgia moderna. Ancora più recente è il concetto della combinazione dell'escissione en bloc dei mèsi con il viscere stesso, in particolare del mesoretto. Questi studi sono stati fatti nella seconda metà degli anni 70 con l'introduzione della resezione anteriore del retto.

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L'emicolectomia dx è indicata nei tumori del cieco-colon ascendente e flessura epatica e nel blocco dell'escissione è compresa anche l'ultima ansa ileale per motivi di vascolarizzazione perché l'arteria che irrora il colon dx (arteria ileocolica) rilascia un ramo che va appunto,anche all'ultima ansa ileale.

Per i tumori del colon trasverso si può prendere in considerazione una emicolectomia dx o sx in base alla sede dx o sx della neoplasia; nel caso di localizzazione intermedia si fa una resezione del colon trasverso asportando sempre il vaso del con trasverso stesso.

Per tumori della flessura splenica, colon discendente e sigma è necessario asportare il colon sx en bloc fino alla giunzione retto-sigmoidea resecando l'arteria e la vena mesenterica inferiore (all'origine l'arteria e a livello dell'inosculamento sul margine inferiore del pancreas), al fine di garantire l'asportazione di tutta la catena linfonodale corrispondente.

L'amputazione del retto addomino-perineale o intervento “secondo Miles” prevede l'asportazione di tutto il retto compreso l'ano e quindi la necessità di confezionare una stomia definitiva a monte. Questa colostomia è indicato farla quando c'è una condizione di incontinenza anale, per cui anche la conservazione dell'ano non darebbe alcun vantaggio all'ammalato o quando c'è una infiltrazione macro o microscopica dei muscoli elevatori dell'ano (in questo caso l'intervento si fa in due tempi,un primo tempo per via addominale con la rimozione del sigma,del retto fino al piano degli sfinteri e poi per via perineale si procede alla rimozione dell'ano e quindi alla chiusura del piano perineale stesso).

La resezione anteriore invece con la rimozione del mesoretto, prevede la conservazione dell'estrema porzione terminale dell'ano sempre rispettando i margini di 4-5 cm di tessuto sano (come si è detto anche per i tumori dello stomaco e dell'esofago) perché il tumore del retto ha la capacità di progredire sullo strato sottomucoso per un margine anche di 4-5 cm a monte o a valle rispetto al punto dove è macroscopicamente evidente.

Occorre quindi sempre garantire un margine di 4-5cm di tessuto sano rispetto al margine macroscopico della neoplasia. Quando si tratta di neoplasia del tratto terminale del retto, negli ultimi 2 cm, ovviamente non è sempre possibile farlo, in quel caso la fine del retto stesso, cioè il passaggio tra retto e ano, e quindi la fine del viscere retto, fa sì che asportando completamente il retto anche se non c'è questo margine,non c'è possibilità di infiltrazione a livello dell'ano. Quindi è possibile

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confezionare una anastomosi diretta tra colon e ano e quindi di conservare lo sfintere anale.

L'asportazione del mesoretto è la più recente novità concettuale nel trattamento chirurgico nel tumore del retto.

Il mesoretto è quella porzione di tessuto adiposo e linfatico che circonda il retto,in particolare la parete posteriore e le pareti laterali e che va dal promontorio sacrale fino al piano degli elevatori ed è rivestita da una fascia che è la fascia mesorettale e che va rispettata ed è in questo punto che si fa la resezione anteriore del retto,si tratta della zona dove c'è il primo drenaggio linfatico dei tumori rettali ed è coinvolto nella metà dei casi del tumore del retto e non asportarlo fa si che ci sia una percentuale di recidiva locale di malattia molto alto perché è già compromesso nella metà dei casi al momento della diagnosi della malattia stessa.

Il drenaggio linfatico che nasce dal mesoretto si articola su tre peduncoli. Uno è il peduncolo mesenterico superiore, uno è quello della ipogastrica-iliaca comune e il terzo peduncolo è quello inferiore che va ai linfonodi ipogastrici ma anche a quelli inguinali.

La recidiva locale a 5 anni quando non si faceva la resezione in blocco del mesoretto era del 30% e anche in termini di sopravvivenza si è passati dal 60% ad oltre l'87%. Tutto questo semplicemente con l'asportazione del mesoretto e la resezione anteriore. Questa innovazione concettuale chirurgica risale alla seconda metà degli anni 70.

ANO

Il cancro dell'ano è una piccola percentuale dei tumori del tratto gastrointestinale.

Il picco di incidenza è nella quinta decade di vita .

L' epitelio del canale anale è al di sotto della linea dentata un epitelio squamocellulare,al di sopra è un epitelio colonnare e nella zona di transizione presenta un passaggio graduale dallo squamocellulare al colonnare.

Questa zona è nel complesso definita zona cloacogenemica ed è all'interno di questa zona di transizione che si verificano la maggior parte delle neoplasie.

Dal punto di vista dei fattori predisponenti nell'insorgenza del tumore anale,vi sono patologie croniche che sono coinvolte:le fistole,le emorroidi,le ragadi,e in particolare vi sono alcuni virus,in particolare HRU16 e 18 ossia quelli responsabili dei condilomi,che rappresentano un fattore predisponente importante.

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Donne che hanno condilomi benigni,tumori della cervice uterina,originati da questi virus,hanno un rischio di sviluppo tumori anali più alto rispetto alla popolazione.

Dal punto di vista della diagnosi differenziale vanno differenziati dai tumori dell'ano,le emorroidi,il prolasso rettale e i polipi rettali.

Non sempre è facile in base alla morfologia differenziarlo da altre forme per cui è opportuno sempre una biopsia per ottenere una diagnosi di certezza.

Dal punto di vista della classificazione istopatologica riconosciamo forme squamocellulari,carcinoma cloacogenico della membrana di transizione,e il carcinoma o epidermoide che parte dalle cellule colonnari,e l'adenocarcinoma che deriva dalle ghiandole amocrine, e infine le forme indifferenziate.

Le forme squamose e cloacogeniche sono associate al HPV.

Associazione molto stretta,infatti nel 90% dei tumori anali di questa natura viene riscontrata la presenza del HPV. Tanto è che, per il fatto che l'infezione da HPV aumenta nella sindrome di immunodeficienza acquisita, tale patologia è molto frequente nei soggetti che sono affetti da HIV.

Dal punto di vista della classificazione TNM si tratta di una classificazione che va da T1 a T4.

Quando è minore di 2cm è T1, tra 2-5cm T2, superiore ai 5cm T3. Quando c'è una infiltrazione a tutto spessore della parete dell'ano con coinvolgimento degli organi adiacenti o dei muscoli della superficie anale si tratta di T4.

N1 vi è la presenza di metastasi nei linfonodi regionali.

N2 invece quando la metastasi avviene a livello dei linfonodi iliaci interni e inguinali monolaterali,e quando sono bilaterali è invece N3.

M è la presenza di metastasi a distanza.

Importante quindi per questo tipo di neoplasia è l'esplorazione della regione inguinale alla ricerca di linfonodi ingrossati che spesso possono essere spia di una neoplasia dell'ano.

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Indice

1. Pag. 2: Malattie dell'apparato digerente:

•Pag. 3: insufficienza epatica e cirrosi;

•Pag. 15: IBD;

•Pag. 42: l'esofago;

•Pag. 92: steatosi, emocromatosi, celiachia;

•Pag. 106: insufficienza epatica acuta e ascite;

•Pag. 124: il pancreas;

•Pag. 139: patologie non neoplastiche delle vie biliari;

Page 338: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

1. Pag. 158: Epatologia:

•Pag. 159: epatiti virali e patologie biliari;

•Pag. 216: Epatopatia e danno epatico per accumulo di rame;

•Pag. 224: tumori primitivi del fegato.

1. Pag. 248: Chirurgia dell'apparato digerente:

•Pag. 249: sintomi delle malattie dell'apparato digerente;

•Pag. 267: emorragie digestive;

•Pag. 272: sindrome dell'addome acuto;

Page 339: COMPLETO Gastroenterologia e Chirurgia Dell'Apparato Digerente

•Pag. 285: tumori dell'esofago, dello stomaco e del pancreas;

•Pag. 299: ricostruzione del tratto esofageo;

•Pag. 313: carcinoma del colon-retto.

1. Pag. 337: indice.