Compendium [G.Marciani] - Platone

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PLATONE TERZO ANNO di Giacomo Marciani a.s. 2008/2009

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Platone

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PLATONE

TERZO ANNO

di Giacomo Marciani

a.s. 2008/2009

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PLATONE

TERZO ANNO

La Vita e Le Opere

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Il Pubblico e Lo Stile

1. Platone in un particolare del dipinto "La Scuola di Atene" di Raffaello

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I Dialoghi

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Fedone, 116-118 – “La Morte di Socrate”[Introduzione]Si tratta dell’epilogo del Fedone il cui leitmotiv, trattando dialogicamente le ultime ore di vita di Socrate, ruota intorno all’immortalità dell’anima. Condannato al suicidio dal tribunale ateniese per corruzione di giovani, Socrate dovette attendere trenta giorni dall’emanazione della sentenza poiché proprio in quel periodo si era tenuto l’annuale (tradizione prevista per il voto fatto a Minasse da Teseo, dopo l’uccisione del Minotauro) invio a Delo di una nave di ambasciatori, i quali avrebbe chiesto la partecipazione di Atene alle feste Delie. La legge della città prevedeva che nei trenta giorni a seguire, nell’attesa della risposta da Delo, non fosse giustiziato nessuno, al fine di mantenere pura la città. Come nel Simposio, anche nel Fedone Platone ricorre all’espediente narrativo della cornice: Fedone è infatti uno dei discepoli di Socrate presenti al momento della sua morte (Apollodoro, Critone, Critobulo, Ermogene, Eschine, Cebete, Feconda di Tebe, Euclide, Terpsione di Megara). Racconta le ultime ore di Socrate all’amico Fichecrate di Fliunte che, come Platone, non era presente al momento della morte del maestro. La morte di Socrate, così come è narrata nel Fedone, sarebbe ben presto divenuta l’ideale letterario della “morte del saggio”, presa come apice del massimo grado libertà, per la serenità, o addirittura arbitrarietà, di fronte all’atto di morte. Nella prima età imperiale il suicidio stoico ebbe una gran diffusione; per questo lo storico Tacito, assistendo all’ondata di suicidi per la repressione neroniana della congiura dei Pisoni (65-66 d.C.), si dedicò negli Annales (XV, 62-64) alla narrazione di suicidi, il più celebre dei quali fu quello di Seneca, filosofo, tragediografo e anziano precettore di Nerone. In Tacito vediamo quindi, forse volutamente forse no, il punto di confluenza di una gloriosa tradizione filosofico-letteraria La concezione della morte quale viaggio dalla condizione di immanenza terrena ad una condizione di trascendenza spirituale è uno dei punti centrali su cui ruota la dottrina socratica (se ne parla anche in Apologia e Critone). La vita terrene non viene più vista come un bene da dilatare il più possibile, ma come una malattia inevitabile, dalla cui guarigione si deve solo render grazie al dio.Secondo Glenn W. Most questo epilogo rappresenterebbe “uno dei più raffinati prodotti della maestria di Platone come scrittore”. Tutto sembra procedere secondo le previsioni, verso una fine che non si può non immaginare. Alla costruzione di questo cammino verso la guarigione concorrono anche alcuni cambiamenti stilistici, all’interno dello stesso testo, i quali seguono l’inesorabile scorrere del gelo della morte lungo il corpo di Socrate, raggiungendo il culmine massimo quando il freddo comincia ad abbracciare l’addome. Di certo il passo non può non suscitare forti emozioni in quanto, come d'altronde gran parte delle opere riguardanti “le ultime parole famose” di un saggio, ogni azione, ogni momento viene visto come “un tutto organico e significativo” per la loro immediata arbitrarietà, prescindente da un qualsivoglia accadimento esterno. L’Epilogo non ha tuttavia suscitato solo ammirazione e commozione, ma anche alcuni dubbi circa la sua interpretazione: bisognerebbe infatti saper discernere fra ciò che vuole intendere Socrate con le sue parole, e ciò che vuole intendere Platone con il suo scritto. Inoltre il ringraziamento di Socrate per l’intervento del dio Asclepio ha suscitato non pochi dubbi. Il verbo indica infatti un ringraziamento per un fatto avvenuto (do ut des di religiosità antica); per questo Socrate non starebbe ringraziando il dio per la morte/guarigione che presto gli avrebbe concesso, ma per qualcosa di già avvenuto, di cui Socrate, nonostante la prigionia, è al corrente. Si pensa che il maestro sia grato alla divinità per la guarigione di Platone (gravemente malato, per questo assente in questi suoi ultimi attimi di vita). Secondo una credenza diffusa nell’antichità, al momento della morte un uomo potrebbe essere in possesso di alcuni poteri profetici: ciò confermerebbe l’ipotesi secondo la quale Socrate si sarebbe compiaciuto non solo per la guarigione di Platone, quanto per l’immortalità del suo pensiero, del quale Platone sarebbe stato disegnato come legittimo erede e scrittore di una tradizione filosofica che fino ad allora era rimasta nella precarietà della dimensione orale.

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[Traduzione][116a]E dette queste cose, si alzò per andare a lavarsi nell’altra stanza, Critone lo seguì, e ci ordinò di rimanere. Noi rimanemmo discutendo tra noi sulle cose che erano state dette e riflettendovici, e anche considerando che grande sventura ci fosse capitata, convinti come privati del padre che avremmo passato il resto della vita da orfani. Dopo che si fu lavato, gli furono portati i figli – infatti aveva tre figli, due piccoli, uno grande – e vennero anche le donne di casa, [116b]dopo aver parlato di fronte a Critone e aver dato le disposizioni che desiderava, ordinò che le donne e i figli andassero via, e ritornò da noi. Era ormai vicino il tramonto del sole: aveva infatti trascorso molto tempo dentro (quella stanza). Tornato, dopo essersi lavato, si sedette e non molte parole disse dopo queste cose, e arrivò il ministro degli Undici e fermatosi presso di lui disse: “Oh Socrate [116c]non dovrò certo lamentarmi di te, quanto degli altri, che si infuriano con me e mi maledicono quando annuncio loro di bere il veleno per ordine dei governanti. Io già altre volte, in questo tempo, ho capito che sei l’uomo più nobile e mite e migliore fra quanti mai son giunti qui, e anche ora so bene che tu non ti adirerai contro di me, perché conosci i responsabili, ma (ti adirerai) contro costoro.[116d]E ora sai bene cosa sono venuto ad annunciarti, ti do l’addio e cerca di sopportare al meglio ciò che non si può evitare.” E scoppiato a piangere si voltò indietro e se ne andò. E Socrate, alzando lo sguardo verso di lui, disse: “Addio anche a te, farò queste cose.” E verso di noi disse: “Com’(è) gentile quest’uomo: per tutto questo tempo mi veniva a trovare e qualche volta discuteva con me ed era il migliore degli uomini, e ora guardate come mi piange. Suvvia, Critone, ubbiadiamogli, e qualcuno porti il veleno, se è (già) pestato, altrimenti che qualcuno lo pesti.” [116e]E Critone disse: “Ma mi pare, Socrate, che il sole sia ancora sui monti e che non sia ancora tramontato. E poi io so di alcuni che lo hanno bevuto tardi, dopo che gli era stato annunciato, dopo aver mangiato e bevuto abbondantemente, e addirittura di altri dopo essersi trovati con chi desiderassero. Non avere fretta, c’è tempo.” E Socrate disse: “E’ naturale, Critone, che quelli di cui parli facciano così – infatti credono di guadagnare facendo così – ed è anche naturale che io non faccia così: [117]infatti credo di non guadagnare niente bevendo un poco più tardi se non rendermi ridicolo di fronte a me stesso, attaccandomi alla vita e facendone risparmio, quando ormai non c’è più.” E disse: “Su, vai, dammi ascolto e non fare diversamente.”

[Paradigmi]

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