Compendium [G.Marciani] - Letteratura Greca

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LETTERATURA GRECA TERZO ANNO di Giacomo Marciani a.s. 2008/2009

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LETTERATURA GRECA

TERZO ANNO

di Giacomo Marciania.s. 2008/2009

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LETTERATURA GRECA

TERZO ANNO

La Commedia Greca

PremessaLa tragedia e la commedia acquisirono i loro aspetti strutturali fondamentalmente nell’ambito teatrale ateniese, divenendo parte integrante delle feste dionisiache. Sebbene vi fossero ovvie differenze formali, il regolamento delle feste fece si che di base avessero in comune l’elemento drammatico, quale azione diretta, e che vi fosse un qual certo parallelismo formale tra i due nomi e . Nonostante le gravissime lacune, la dimensione ateniese rappresenta infatti solo l’esito finale dei due fenomeni, possiamo dire con certezza che tra i due generi intercorra una sostanziale differenza. La tragedia raggiunse il suo apice di successo solo nel teatro di Atene e per meno di un secolo. Il suo successo andò di pari passo con i successi politici, sociali e culturali di

Atene. Questo perché il genere, nonostante le differenze tra Eschilo, Sofocle ed Euripide, mantenne sempre un carattere omogeneo e poco versatile ai cambiamenti. Dopo il declino di Atene non fu più un genere vivo, ma una tradizione estenuata. La commedia invece, non solo ritrova comunanze di genere con il dramma siceliota (rappresentato per antonomasia da Epicarmo), ma grazie alla sua natura mutabile, e per questo indipendente dal successo o dal declino ateniese, potè godere di una continuità supersecolare, che culminò nell’opera di Menandro e nel passaggio alla commedia latina. La grande estensione temporale permette di dividerne l’evoluzione in tre periodi: “antica” (V secolo a.C.), “di mezzo” (330 a.C.) e “nuova” (260 a.C.).

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Le OriginiCome per la tragedia, anche per la commedia il dilemma riguardante le sue origini non ammette soluzioni univocamente valide. Le fonti antiche ne datano la presentazione ufficiale nelle feste dionisiache che si tennero ad Atene nel 486 a.C., nelle quali si affermò il nome di Chionide. Fu Aristotele però il primo ad introdurre due teorie riguardanti le sue origini, più che la sua presentazione, partendo dall’etimologia del termine .Secondo la prima tesi, detta tesi del komos attico, ancor prima della protocommedia promossa da privati e di ispirazione siceliota (si parla di un organizzazione facente capo a Cratere, ma il suo nome apparve per la prima volta quando già vi erano state le prime feste dionisiache), si potrebbe far risalire l’origine della commedia all’improvvisazione dei canti fallici durante le falloforie in onore di Dioniso. Non si spiegherebbe così solo l’etimologia del termine (il era infatti il corteo festoso in onore di Dioniso), ma anche alcuni tratti caratteristici della commedia, comuni anche ai canti fallici: il canto corale, il riferimento alla sfera sessuale e a Dioniso, ed il carattere irrisorio.

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1. Immagine vascolare della nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus

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La seconda teoria, la teoria della farsa dorica, attribuisce ai Dori l’invenzione del genere. viene in questo caso fatto derivare da , cioè villaggio. Infatti i Dori sostenevano che, disprezzati nelle città, alcuni attori si fossero trasferiti in campagna ad eseguire rudimentali farse che poi avrebbero dato vita a farse più note, prima fra tutte quella megarese. Scacciati i tiranni ed instauratasi la democrazia, Susarione avrebbe inventato nel VI secolo a.C. la commedia. Questa teoria spiegherebbe come la commedia ateniese avesse ripreso dalla farsa dorica e da quella megarese: gli attori, la trama rudimentale, il realismo ed il forte legame con la politica.Tuttavia sembra impossibile sostenere che la commedia possa essere stata introdotta nel VI secolo a.C.: le rappresentazioni vascolari del VI secolo a.C., con i loro danzatori-attori e cori mascherati, rimandano infatti ad una protocommedia già presente ad Atene; inoltre lo schematismo della sezione riservata all’agone rimanda ad una tradizione di antichità ancor più remota.

Dobbiamo quindi considerare una fase preletteraria in cui le tradizioni popolari su siano fuse, formando una protocommedia preletteraria. Nelle fase letteraria, al sostrato precedente si sarebbero aggiunti influssi sicelioti e tragici, da cui derivarono: il dramma, la struttura scenica, l’alternanza fra recita e canto, caratterizzazioni linguistiche e metriche delle due (dialetto attico e dorico) e le componenti strutturali.Bisogna tener conto però anche dell’influenza di generi non drammatici che fornirono influssi dal punto di vista tematico. Uno di questi era stata la poesia giambica di Archiloco ed Ipponatte, dai quali (persino la critica antica vi attribuiva molta importanza, quindi la commedia cominciava ad acquisire coscienza di sè) derivarono: realismo, quotidianità, antieroismo, derisione, attacchi ad personam.

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La StrutturaLa grande poetica greca era sempre stata calibrata sull’equilibrio di capacità inventiva dell’autore e norme strutturali del genere. Nella commedia tali norme non vennero mai viste come vincoli, ma come opportunità di implementazione espressiva dell’autore stesso. Tale concezione empirica consentì piccoli, ma significanti mutamenti al cuore drammatico, senza mai minare alle fondamenta del genere. La conoscenza della commedia antica è riassumibile nella conoscenza delle opere di Aristofane (gli altri commediografi del V secolo a.C. seguirono bene o male tutti l’esempio dell’autore).Gli sconvolgimenti ateniesi comportarono numerosi mutamenti dell’organo comico. La commedia riuscì quindi ad accettare mutamenti senza mai intaccare il proprio ordine strutturale. Esso consisteva di:

prologo: di notevole ampiezza, descriveva lo status quo ed il progetto del protagonista.

parodo: entra il coro, creando il contesto per accogliere l’inizio delle scene. agone: contrasto a ritmo binario che costituisce la sizigia epirrematica,

dove si corrispondono sezioni omo-metriche ed omo-croniche. parabasi: aspetto maggiormente caratteristico della commedia antica. Si

suddivide in più sezioni, durante le quali il coro si toglie i travestimenti e sfila () impersonificandosi nell’autore della commedia e discutendo riguardo gli argomenti politici e socio-culturali che fanno da sfondo all’opera, spesso con tono polemico nei confronti della realtà.

brevi scene giambiche: episodi e canti corali brevi, entrambi di carattere buffonesco, che preludono al trionfo del protagonista, già vincitore dell’agone.

esodo: il coro celebra con una festosa processione il trionfo del protagonista, la prosperità della sua impresa e del nuovo ordine stabilitosi.

La dimensione e la successione di queste sezioni poteva essere alterata (nelle ultime due commedie di Aristofane la parabasi non compare proprio!). Tuttavia il

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simmetrico meccanismo strutturale non si allenta mai, tanto che la libertà inventiva rivendicata dal genere sembra quasi venir neutralizzata.

Le maschere degli attori vanno dalle deformazioni grottesche della fisionomia umana alla caricatura realistica di personaggi davvero esistenti nell’Atene contemporanea (ad esempio venne rappresentato Socrate in Nuvole) Il coro poteva travestirsi, o da comuni esseri umani, o da esseri e fenomeni del mondo naturale, al fine di creare un allegorico simbolismo relativo alla nostalgia per i perduti legami primordiali con le forze ritmate della natura cosmica. Quest’ultima caratteristica rafforzava l’intento della commedia di reagire alle forzature che gli artifizi sociali avevano attuato sulla vita degli uomini, comportandone l’esclusione dall’ordine naturale del cosmo.

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Natura e Forme del Comico a TeatroA differenza della tragedia, la cui idea di tragico le era esclusiva, l’idea di comico appartenne anche a molteplici realtà artistiche (inni omerici, poesia giambica ecc…), ma solo con l’esperienza teatrale si venne a creare un vero e proprio statuto artistico. A creare tale statuto per l’analisi strutturale della commedia fu proprio Aristofane. Charles Baudelarie invece, poeta francese del XIX secolo, elaborò una categorizzazione del comico. Secondo il poeta esso si suddividerebbe in:

comico significativo: il riso ragionato suscitato dalla critica sferrata contro l’attualità, nell’ambito socio-politico, etico ed estetico.

comico assoluto: il riso spontaneo suscitato dalla creatività assoluta dell’artista.

Le commedie aristofanee sono la perfetta sintesi dei due elementi del comico. Ciò risulta assai significativo, in quanto la commedia, derivata dalle feste dionisiache, risulta come sintesi di due momenti delle feste: quello religioso e quello pubblico. Dal primo sarebbe derivato il comico assoluto, distaccato dal quotidiano e dalle tendenze critiche; dal secondo il comico significativo, legato all’attualità e con intenti sarcastici.

Parallelamente si potrebbero creare due categorie basate sull’oggetto del comico, piuttosto che sulla sua intenzione (comico assoluto e significativo):

realtà irrealtà

Aristofane si colloca sempre nel mezzo dei due momenti: la sua risulta infatti essere una commedia irreale strutturata nella realtà. Basti pensare a Rane: l’oltretomba è popolato da figure terrene come i portieri e le ostesse; persino il progetto di Dioniso di far ritornare il mondo agli antichi valori attraverso la resurrezione di un antico poeta risulta a cavallo tra la realtà e l’irrealtà.

Possiamo raggruppare gli strumenti del riso in sei categorie: figura gesto parola circostanza personaggio intreccio

Ma perché si ride? Si ride quando si viene a creare uno scarto fra l’immagine e la realtà, che ispira superiorità nello spettatore nei confronti della rappresentazione. Le cause del riso sono quindi così raggruppabili:

assurdità equivoco meccanicità stupidità

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monomania

Un punto di convergenza fra tragedia e commedia è in parte rappresentato dalla concezione dell’eroe. Infatti l’eroe comico, come anche quello tragico, è sempre una personalità di eccezione che mette in scena la speranza che l’impossibile possa divenire possibile.

Nel comico si può osservare inoltre il bipolarismo reciproco fra il personaggio comico e la situazione in cui è inserito. Si possono quindi creare due situazioni. Nella prima è il personaggio, fattore positivo, a scontrarsi con la realtà, fattore negativo, nel tentativo di correggerla. Nella seconda si assiste allo scontro comico fra il personaggio, ora fattore negativo, contro il quale si scontra una realtà ideale. Entrambe le alternative appartengono ad una dimensione collettiva, in quanto:

il riso è un piacere collettivo la collettività è uno dei due punti di riferimento l’opera è finalizzata alla correzione della realtà, per la quale, in entrambe i

casi, il protagonista si immola.

Potremmo dunque definire il comico come una cura omeopatica per le lacune interpretative della realtà. E’ un veicolo di integrazione per lo spettatore nel mondo in cui vive, dal punto di vista morale, politico, socio-culturale ed estetico attraverso il riso nel vedere vinto colui che tentava di corrompere la realtà.

La tragedia presenta dunque origini non dissimili dal genere comico: entrambe hanno come fondamento il criterio di verità e di riscoperta. La tragedia, con l’apogeo ateniese, descrive la profonda sofferenza a cui la condizione umana è predisposta. Il comico allo stesso modo, sfrutta la potenza persuasiva della creatività buffa, che diviene tramite perfetto per aprire gli occhi al cittadino riguardo la sconvenienza di:

dismisura assolutismi ambizioni che eccedono le capacità estremo individualismo

Infine possiamo dire che tragedia e commedia siano generi opposti, ma complementari. La tragedia indaga sul destino dell’uomo, mentre la commedia bada al suo comportamento; la prima si occupa di assolutezza metafisica, l’altra della relatività fenomenica. Entrambe tuttavia hanno come fine ultimo la consapevolezza: l’una la raggiunge con il terrore e la pietà, l’altra con il riso ed il lieto fine. Si occupano in fin dei conti entrambe di una catarsi.

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Epicarmo e il Teatro in Sicilia e Magna GreciaNonostante la scarsità dei frammenti e delle testimonianze si è certi che il mondo greco-italico, pur mantenendo saldi contatti con la madrepatria, si rese allo stesso tempo tanto indipendente da essa, da dar vita ad un proprio teatro locale.Siamo riusciti a ricostruire tre tradizioni, fondamento della cultura teatrale greco-italica, tutte appartenenti alla sfera popolare: il dramma siceliota, il mimo e la farsa fliacica.

Il dramma siceliota venne rappresentato per antonomasia (ne parlò anche Aristotele) da Epicarmo di Siracusa. Si tratta di uno spettacolo caricaturale popolaresco dall’acceso vigore mimico, incline alla demitizzazione, concentrato sulla quotidianità: in esso l’etica, l’estetica, la religione e la politica vengono analizzati dall’esperienza comune. La familiarità di Epicarmo con la cultura della madrepatria (aveva conosciuto Pindaro, Simonie, Bacchilide ed Eschilo) gli valse una consapevolezza artistica che non gli precluse, anzi alimentò, l’impeto d’autonomia dalla cultura della stessa madrepatria. Il corpus, se così può essere definito, può essere settorializzato in tre ambiti tematici:

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parodia del mitos e dell’epos: i protagonisti prediletti dell’ambito sono l’Odisseo che cerca di eludere il pericolo e di mascherare gli insuccessi, in Odisseo disertore, ed Eracle, che in Eracle e il cinto e in Busiride, viene presentato come un accanito mangiatore ed un ubriacone.

vita quotidiana: in Speranza e Ricchezza la lucida immagine di povertà materiale e morale porta il parassita a soverchiare le fittizie vanterie di cui crede di godere.

invenzioni di fantasia: ambito orchestrato da allegorie, come in Mesi, e strutture di contrasto, come in Terra e Mare.

Particolari comuni ai tre ambiti tematici sono: tema del piacere gastronomico sentenziosità nell’etica di una filosofia pacata e dal sottile umorismo

Il mimo è un genere minore di teatro sviluppatosi in Sicilia nel V secolo a.C., che godette di longeva fortuna scenica e letteraria, in quanto basato sulla mimesis, cioè l’imitazione della realtà. Il suo maggior rappresentate fu Sofrone, famoso per essersi basato sulla filosofia di Platone per il delineamento della raffigurazione psicologica dei mimi, divisi in maschili e femminili.

La farsa fliacica si sviluppò in Magna Grecia tra il IV e III secolo a.C.. Si trattò di uno spettacolo farsesco appartenente alla tradizione popolare, ampiamente documentato dalle coeve decorazioni vascolari italiote. Gli attori esibiscono un grosso fallo e delle imbottiture ventrali e posteriori e recitano la propria parte su di un podio rudimentale, tanto da far pensare ad un organizzazione girovaga. Il maggior esponente di questa tradizione fu Rintone di Taranto, il quale si dilettò fondamentalmente nella composizione delle parodie eschilee.

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Le Generazioni di PoetiPossiamo dividere i poeti della commedia antica in tre generazioni:

prima generazione: Chionide e Magnete. seconda generazione: Cratino e Cratere. terza generazione: Aristofane, Eupoli e Ferecrate.

La prima generazione crea una prima impressione del genere, introdotto dalla vittoria di Chionide alle feste dionisiache ateniesi del 486 a.C.L’opera più importante di Cratere fu Bestie: una descrizione della vita semplice, un’utopia in cui la natura è al totale servizio dell’uomo.Cratino fu il commediografo antico per eccellenza, facendo giungere il genere alla sua pienezza. Riuscì nelle sue opere a sintetizzare perfettamente la satira politica e l’esuberanza inventiva sotto il segno dell’ispirazione giambica (invettiva ed invenzione). Purtroppo non è rimasto molto della sua produzione, ma si è certi che avesse dimostrato profetizzato l’alta dignità artistica di cui avrebbe presto goduto il genere comico. Uno dei motivi conduttori nell’opera di Cratino è l’ostilità contro Pericle, accompagnato dalla nostalgia per il passato, la parodia mitica e l’agone fra poeti.Ferecrate, la cui comicità risultò fondata sull’immaginazione e l’evasione, fu importante in quanto preludio alla commedia di carattere e di costume.La terza generazione si scagliò contro la demagogia dilaniante e le prevaricazioni di potere: Eupoli dimostrò ad esempio l’ostilità nei confronti di Cleone, Iperbolo ed Alcibiade, rivalutando d’altra parte la figura di Pericle, tanto denigrato dalla seconda generazione, il quale doveva essere lodato per la sua oratoria fascinosa. Con Eupoli la commedia antica raggiunge la totale immersione nella contemporaneità, la quale era stata protagonista di un crescendo dalla prima alla terza generazione.

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Aristofane

PremessaSebbene il celebre verso di Orazio (Satire), Eupolis atque Cratinus Aristophanesque poetae, avesse stabilito una triade di eccellenza fra i poeti della commedia antica, e in effetti le uniche opere pervenuteci per intero risultano essere proprio quelle di Aristofane, i tre autori, a differenza della triade dei tragici, furono avvolti da un quadro assai articolato di opere appartenenti ad oltre cinquanta poeti.L’originalità di Aristofane, il quale si trovò a disporre di una struttura formale già ben consolidata, consistette nella creazione di una trama narrativa, dai caratteri spesso costanti, atta a mettere in risalto i disagi,

l’insofferenza ed il male di vivere generale che caratterizzò il declino di Atene a seguito della Guerra del Peloponneso. L’aspetto politico è interamente incentrato sullo svolgersi della

guerra; quello sociale sui disagi di cittadini soggetti alle prevaricazioni dei potenti e all’irresponsabilità collettiva; quello culturale sul superamento di convinzioni tradizionali fondate sulla Sofistica, ed il conseguente indirizzo verso la razionalistica accentuazione dell’autonomia individuale e l’indagine sul significato stesso dell’esistenza. Questa impostazione portava ad una duplice consapevolezza: il degrado del presente e la forza della volontà personale. Le due consapevolezze si rispecchiano nell’impostazione ternaria dell’azione della commedia: la prosperità dell’antefatto viene sconvolta dalla crisi del presente, il cui disagio verrà annientato dallo sforzo del protagonista, il quale porterà sé e gli altri alla riconquista degli equilibri e della felicità di vivere.L’eroe comico è un personaggio fuori dal comune: stralunato e paradossale, scegli di emanciparsi dalla realtà e di mettere in atto un progetto di rinascita della realtà stessa. Opponendosi ai falsi valori e promulgando la validità e la superiorità di valori autentici ormai dimenticati, finisce per ottenere una vittoria, non solo per sé, ma che si riverbera sulla collettività, la quale arriverà gradualmente a collaborare con lui. La commedia diviene così un utopico auspicio di rivalsa e di future fortune per la città. La vera originalità di Aristofane è stata quindi di aver oltrepassato la polemica ed essere approdato ad un’arte propositiva, finalizzata al cambiamento concreto della realtà.

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La Vita e Le OpereSebbene la vita di Aristofane si riassume per noi nella sua carriera drammaturgia, sappiamo che nacque nel demo ateniese di Cidatene intorno al 445 a.C., che ebbe tre figli e che cercò di iniziarli con scarso successo alla carriera drammaturgia. Da ciò che si evince dai suoi scritti sappiamo che non partecipò attivamente alla vita politica; tuttavia dobbiamo tener conto del contesto in cui espresse tali pareri: il teatro. Egli doveva mostrarsi coerente con le aspirazioni di un pubblico e le attenzioni ad un genere radicalmente opposti al potere. La situazione ateniese del tempo risultava comunque essere un grande spunto da cui trarre grandi

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2. Aristofane

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ispirazione. Divenuta culla di infinite critiche, Atene divenne il bersaglio prediletto di ciò che spesso venne considerato un eccessivo conservatorismo, ma che in realtà era semplice consapevolezza dei rischi a cui la democrazia ateniese si esponeva tollerando che la libertà si trasformasse in assenza di regole. L’invocazione di pace mossa da Aristofane diviene aspra critica contro l’orrore esplicito della strage e l’implicito sovvertimento morale che ogni guerra porta con sé.Aristofane iniziò a comporre giovanissimo: la prima composizione, Banchettanti, risale al 427 e la prima vittoria al 425 alle Linnee con Acarnesi. L’ultima opera pervenutaci è Pluto, risalente al 388, mentre Cocalo ed Eolosicone vennero messe in scena dal figlio Araros. Anticamente si conoscevano quarantaquattro drammi, ma, eccetto i migliaia di frammenti brevi e di tradizione indiretta, ci sono pervenute solo undici commedie: Acarnesi, Cavalieri, Nuvole, Vespe, Pace, Uccelli, Tesmoforiazuse, Lisistrata, Rane, Ecclesiazuse e Pluto.

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NuvoleIl contadino Strepsiade ha sposato una donna di elevato rango sociale e ha avuto da lei il figlio Fidippine, che lo sta rovinando con le sue spese pazze. Ossessionato dai debiti, Strepsiade si rivolge a Socrate per imparare da lui l’arte di ingannare i creditori, e frequenta il Pensatoio dove il filosofo e i suoi discepoli si dedicano a grottesche ricerche, assistiti dalle divine Nuvole che formano il coro. Ma il vecchio contadino è incapace di imparare alcunché, e convince il figlio a prendere il suo posto: al giovane viene proposto come esempio l’agone fra il Discorso Forte e quello Debole, che riesce vincitore. Alla scuola di Socrate, Fidippide fa progressi strepitosi e insegna al padre come liberarsi dai creditori che lo importunano. Ma il ragazzo finisce per esagerare: dopo una lite con il padre, lo bastona e pretende di dimostrargli che i figli hanno il diritto di battere i genitori. Strepsiade si accorge allora dell’errore che ha commesso, e corre ad incendiare il Pensatoio.

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VespeIl vecchio Filocleone è afflitto da una maniacale passione per i processi, e passa le sue giornate a fare il giudice nei tribunali popolari. Suo figlio Bdelicleone è costretto a chiuderlo in casa, per impedirgli di correre in tribunale. Dopo alcuni comici tentativi di fuga, che falliscono nonostante l’intervento dei vecchi amici di Filocleone (le Vespe del coro, simbolo di litigiosità del popolo ateniese e dell’irascibilità dei giurati), il figlio dimostra al padre la ribalderia degli uomini politici ateniesi e l’assurdità del suo comportamento. Quindi, per svagare il vecchio, Bdelicleone prepara una specie di tribunale domestico, dove si svolge un bizzarro processo contro un cane. Dopo la parabasi, Bdelicleone cerca di educare il padre ad una condotta raffinata, e lo incoraggia a frequentare compagnie più distinte. Ma a un banchetto il vecchio si comporta in modo sconveniente, disturbando i convitati e portandosi via una graziosa flautista. Infine, in una vorticosa scena finale, tutti lasciano la scena danzando.

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PaceIl vignaiolo Trigeo, dopo vani tentativi di arrampicarsi nel cielo, sale all’Olimpo a cavallo di un gigantesco scarabeo, poiché vuole chiedere a Zeus che cosa intenda fare per i Greci, tormentati dalla guerra. Ma Ermes spiega all’eroe che Zeus e gli altri dei se ne sono andati lontano, disgustati dal comportamento degli uomini: è rimasto solo Polemos (il dio della guerra), che ha rinchiuso Eirene (la pace) in una caverna, ed è intenzionato a mettere tutte le città greche in un enorme mortaio per ridurle in poltiglia. Approfittando di una momentanea assenza di Polemos, Trigeo

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chiama in soccorso i Greci (che compongono il coro), e con il loro aiuto riesce a liberare Eirene: insieme a lei appaiono Opora, la dea dei frutti e dell’abbondanza, e Teoria, la letizia della festa. In loro compagnia Trigeo ritorna sulla terra. La seconda parte della commedia, dopo la parabasi, è occupata da una serie di scene che illustrano le gioie della vita campestre, ora che la pace è tornata, mentre i profittatori di guerra sono ridotti alla disperazione. La commedia si conclude con le liete nozze di Trigeo e Opora.

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UccelliDue vecchi Ateniesi, Pisetero ed Evelpide, disgustati dalla frenesia dei loro cittadini per i processi, vanno da Upupa, che un tempo era stato il re Tereo, per chiedergli di indicare loro una città dove possano vivere in pace. Insoddisfatto dello proposte dell’uccello, Pisetero ha un’idea audace e geniale: fondare nel cielo una città degli uccelli, ridurre alla fame gli dei e costringere Zeus a cedere il suo potere universale. Con un abile discorso Pisetero si assicura l’assenso degli uccelli che formano il coro, richiamati da Upupa. Dopo la parabasi, che contiene una fascinosa e arcana storia della generazione del mondo, il progetto di Pisetero riceve puntuale e rapida esecuzione. Gli uomini perdono ogni fede negli dei tradizionali, e ripongono fiducia solo negli uccelli: e Pisetero è costretto a scacciare alcuni intrusi, accorsi nella nuova città per procurarsi illeciti vantaggi.. Gli dei, ridotti alla fame, sono costretti a venire a patti: un’ambasceria guidata da Poseidon riconosce a Pisetero, nuovo signore degli alati, il diritto di succedere a Zeus. La scena finale della commedia vede l’apoteosi dell’eroe e le sue nozze con la splendida Basileia (la Regalità), già compagna di Zeus.

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RaneDioniso ha deciso di scendere all’Ade per riportare sulla terra Euripide, poiché dopo la sua morte la scena tragica è desolatamente vuota. Egli si traveste da Eracle, da cui si fa \dare informazioni sull’itinerario, e intraprende il viaggio in compagnia del servo Xantia. Dopo numerose avventure i due giungono all’Ade, accolti dal canto del coro, costituito dagli iniziati ai misteri eleusini. Il costume di Eracle cagiona a Dioniso non pochi guai, poiché l’eroe tebano ha lasciato di sé un ricordo tutt’altro che favorevole. Dopo la parabasi, si viene a sapere che è scoppiato un furibondo litigio fra Eschilo ed Euripide, che ambiscono entrambi alla dignità di massimo poeta tragico nell’oltretomba; ora vi sarà una regolare competizione fra i due, e viene nominato arbitro Dioniso. Il contrasto fra i due poeti si può dividere in due parti: la prima ha la struttura di un agone tradizionale, la seconda è in trimetri giambici, che si alternano con la parodia di parti liriche. Tema del dibattito sono le diverse caratteristiche dell’ispirazione e dello stile dei due tragici: Dioniso è incerto sulla sentenza, ma alla fine, su suggerimento di Plutone, decide di attribuire importanza decisiva all’impegno politico e civile, e fa cadere la scelta su Eschilo. La commedia prende il nome dal coro secondario delle rane, che gracidano e infastidiscono Dioniso mentre rema la barca di Caronte, durante la discesa all’oltretomba.

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La DrammaturgiaLa drammaturgia aristofanesca è un organismo multifaccia che fonde i toni dell’impegno alla risoluzione buffonesca e caricaturale, l’invettiva all’inventiva, la realtà all’immaginazione, divenendo così, per la sua forza di coinvolgimento, esempio di unità nelle varietà senza eguali nella storia del teatro e per la sostanza di tale unità definita a ragione con l’aggettivo “surreale”: in quanto pine sul piano dell’immaginario circostanze della concretezza comune.

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Il surrealismo aristofanesco, basato essenzialmente sull’eroe comico, vede fondersi la realtà di una seria insoddisfazione, nata spesso da uno o più fattori socio-politici (caratteristica derivata dal teatro attico), all’immaginazione della paradossalità dell’espediente, da cui si dipartono le situazioni buffe della commedia. Inoltre, un ruolo di particolare importanza è svolto naturalmente dal riso: arma risolutiva per la sua aggressività implicita contro i nemici, irrigiditi dalla convenzionalità del reale, strumento di eversione e affermazione di libertà, e simbolo di gioia per il successo della propria inventiva. Il riso rende onnipotente l’eroe comico tanto, non solo da poter stabilire un nuovo assetto del reale, quanto da avvicinarlo sempre di più alla potenza degli dei, rendendolo quindi degno di stare al loro cospetto.

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Lo StileAristofane impiega il linguaggio medio: lontano dallo sfoggio di raffinatezza e dall’eccesso di grossolanità, capace di adeguarsi alle multisfaccettature dell’intreccio. Questo registro è reso inoltre capace di sfuggire alle ovvietà delle espressioni comuni, stravolgendone il linguaggio con mirabili interpretazioni. Altra grande caratteristica dello stile aristofanesco è la poliedricità del tessuto metrico-ritmico: la straordinaria gamma di variazioni ritmiche vede talvolta l’impiego del giambo, talvolta del trocheo, talvolta dell’anapesto o delle forme liriche. Di certo bisogna aggiungere che le moralistiche censure di alcune epoche hanno sicuramente tirbato un obbiettivo riconoscimento della poesia aristofanesca: la scurrilità dei testi, e in questo consiste la finezza di giudizio, non presenta alcuna volgarità, poiché manca di malizia ed si mostra unicamente finalizzata ad un’appropriazione ilare e spregiudicata della vita in tutti i suoi aspetti.

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Il Mondo ConcettualeIn Aristofane la passione civile e la magia liberatoria del riso convergono nella struttura drammaturgia e nel tessuto di idee. Con l’eroe aristofanesco la commedia riscopre la propria autenticità: sulla verità e sulla libertà assolute dell’arte, la forza della cui immaginazione da diritto alla gioia di vivere molto più della razionalità, vincolata/vincolante e contraddittoria, si viene a creare un mondo di festa travolgente, reminescenza di una passata naturalità e dionisicità, in cui si compie la riscoperta di una felicità che prescinde dai mali del reale, i cui valori vengono svuotati e riempiti di incantamento. Il trionfo dell’eroe risulta tuttavia essere fortemente contraddittorio, in quanto utopia prescindente da un concreto valore storico.

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Erodoto

Gli Inizi della StoriografiaLe nuove necessità pratiche della navigazione e del commercio resero manifesto un nuovo stimolo conoscitivo, che ebbe la sua origine nel VII secolo a.C., ed il suo apice e completo delineamento nel VI e V secolo a.C. con Ecateo di Mileto e soprattutto con Erodoto, considerato a ragione padre della storiografia antica (da istorìe grafèin, cioè scrittura della ricerca e dell’investigazione). I nuovi tempi fornirono anche un nuovo strumento formale che risultò più adeguato a veicolare analiticamente nuovi nuclei di verità, con una pratica e libera aderenza ai molteplici aspetti del reale,

e con un distacco dai condizionamenti tematici, stilistici e mentali della tradizione poetica: la prosa.

Possiamo individuare una prima fase di sviluppo nella quale si venne a creare la dicotomia tra epos e logos, tra gli antichi poeti ed i nuovi logopoioì e logogràfoi. Il personaggio più importante e noto di questa fase iniziale fu Ecateo di Mileto, vissuto tra il VI e V secolo a.C., il cui pragmatismo, laico razionalismo e profonda attenzione ad ogni aspetto della realtà lo resero uno tra i personaggi più rilevanti dell’insurrezione ionica contro i Persiani. Dai lunghi viaggi gli derivò una profonda conoscenza geografica ed etnografica, messe a frutto in Periegesi della Terra, divisa in Europa ed Asia, la quale era stata corredata anche da una primordiale Figura della Terra, rappresentato come un disco circondato dall’Oceano, e ripartito nei due continenti dell’Europa del nord e dell’Asia del sud. In seguito si dedicò anche ad una revisione laica e razionalistica della mitologia tradizionale, esposta nei quattro libri delle Genealogie. Il viaggio che lo portò fino a Tebe d’Egitto (aveva 345 generazioni di sacerdoti e neanche un Dio mentre lui si era vantato di discendere dagli dei attraverso 16 generazioni) fu sicuramente determinante per la riconsiderazione del bagaglio di leggende greche, le quali vennero da lui persino considerate “contraddittorie e ridicole”. Sebbene delle sue opere non restino che frammenti in dialetto ionico e molti nomi geografici, Ecateo viene considerato un iniziatore in quanto fu il primo ad applicare, seppur con un razionalismo ancora ingenuo e schematico, i parametri della realtà ad un passato favoloso, ed il primo a rivendicare la propria indipendenza critica, dimostrando così un rivoluzionario confronto con la tradizione.

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PremessaLa memoria del passato, tema grandioso della poesia omerica, l’attitudine all’esame critico delle tradizioni, esigenza di un discorso veritiero ed analitico, l’attenzione alla contestualizzazione fisica e sociale di ogni evento, la concezione rettilinea del tempo, ed il conseguente stabilirsi di rapporti cronologico-causali tra gli eventi, furono le

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3. Busto di Erodoto

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premesse che, a metà del V secolo a.C., permisero ad Erodoto la stesura della sua opera: Le Storie.Collocato in un periodo di trasformazione in cui Atene, protagonista dello scontro contro i Persiani, voleva, non solo assicurare un ricordo eterno degli accadimenti, ma anche una legittimizzazione delle proprie mire imperialistiche, Erodoto scelse come argomento della propria opera tutte quelle azioni dell’uomo che, accadute in un recente passato, hanno prodotto un’impronta tuttora riscontrabile nel presente e costituiscono una traccia futura. Guerre e rivoluzioni interne avrebbero costituito l’argomento centrale della nuova pratica storiografica, dalla quale sarebbe stato estraniato ogni finalismo, in quanto, sebbene il destino di ogni uomo fosse determinato dal volere degli dei, la storia porta sempre con se le cause, comprensibili solo empiricamente, le quali rimangono sempre in ambiguo tra progetto divino e responsabilità umana.

***La Vita e Le StorieErodono nacque intorno al 484 a.C. ad Alicarnasso, antica colonia dorica sotto il regno di Artemisia (vassalla dell’impero persiano), da Lyxes, figlio del poeta epico Paniassi. Partecipò attivamente alle insurrezioni contro Ligdami, figlio di Artemisia e tiranno della Caria, procurandosi un esilio a Samo che durò fino all’esautorazione del tiranno, intorno al 454 a.C., anno in cui Alicarnasso viene indicata fra le città tributarie di Atene. Viaggiò molto, spingendosi fino in Mesopotamia, Scozia ed Egitto, ma l’evento capitale della biografia erodotea fu lo stretto rapporto con Atene, e in particolare con il circolo di intellettuali che si riuniva intorno alla figura di Pericle, del quale Erodono condivise apertamente l’orientamento politico. Lo storico venne pagato dieci talenti per le sue letture pubbliche; tanto era importante per la propaganda ateniese la rievocazione dello scontro contro i Persiani. Intorno al 444 a.C., per impulso di Pericle, si trasferì a Turii (Sofocle dedicò un epigramma al suo trasferimento), dove rimase fino alla morte, avvenuta probabilmente negli anni successivamente prossimi al 430 a.C. (aveva incluso nella sua opera alcuni riferimenti alla guerra del Peloponneso).

Il titolo “Storia” o “Storie” venne attribuito dai grammatici alessandrini, i quali si occuparono anche della suddivisione dell’opera in nove libri. L’opera presenta i caratteri di un testo scritto, come d’altronde si addice alle sue monumentali dimensioni, ma essa risulta dall’accostamento di minori unità narrative (definite dall’autore logoi), dotate ciascuna di una propria autonomia e concepite secondo la prospettiva della recitazione. Si pensa che il progetto iniziale di Erodono, sull’orma dei logografi, prevedesse diverse trattazioni indipendenti a carattere geo-etnografico; questo perché lo storico tratta dello scontro tra Greci e Persiani e dell’insurrezione ionica che ne fu la premessa solo nella seconda metà dell’opera, mentre distende in tutta la prima metà una serie di logoi relativi all’impero persiano e ai popoli con cui entrò in contatto, focalizzando il proprio racconto sugli sviluppi dell’impero di Persia e sul suo espansionismo ignaro di giustizia e misura dal quale, al momento dello contro, sarebbe dipeso il fatale crollo. Il testo si conclude con la poco significativa presa di Sesto da parte degli Ateniesi, avvenuta nel 478 a.C., e con il ricordo di un’antica sentenza di Ciro, il quale ammoniva i Persiani a respingere il lusso e la ricchezza. Non si sa se sia stata volontà di Erodono quella di concludere l’opera con ciò che potrebbe sembrare il riassunto dell’esperienza storica e morale dell’impero di Persia, o se la morte fosse sopraggiunta inaspettatamente.

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Il Metodo StoriograficoPer comprendere al meglio il metodo storiografico erodoteo e capire i dubbi sull’attendibilità documentaria della sua opera bisogna anzitutto premettere che, non esistendo alle sue spalle alcuna tradizione storiografica, non avrebbe mai sentito l’esigenza di un’obbiettiva esattezza del dato storico. Inoltre va detto che il suo

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obbiettivo non è tanto la verità, che è assoluta, quanto la realtà, che è relativa e per questo interpretabile. Tale tendenza viene ricondotta al tracciato della cultura greca, da Archiloco ai tragici (basti pensare ai Persiani di Eschilo), la quale aveva sempre teso alla realtà, non potendo mai prescindere dal criterio di soggettività, relatività e parzialità.Per questo la pratica storiografica erodotea consistette in un primo momento di raccolta indiscriminata di materiale informativo (ricavato direttamente dalla propria esperienza, o indirettamente dall’esperienza altrui), seguita da un vaglio critico che, soprattutto nel periodo di maggior legame con l’Atene periclea, non poteva prescindere dal naturale condizionamento del suo retroterra culturale, che lo aveva da sempre spinto, sin dai tempi di Alicarnasso, a vedere nei Persiani i malvagi distruttori dei supremi valori.Non manca l’elemento favoloso, paradossale e soprannaturale, in quanto, pur nel suo razionalismo, non sente di dover sistematicamente negare le proprie credenze; tuttavia tiene saltuariamente a precisare di non considerare necessariamente vero tutto ciò che egli stesso scrive, in quanto appreso indirettamente o semplicemente trascritto. Sebbene dunque non manchino le contraddizioni, a causa non solo della tradizione spesso indiretta dell’informazione, quanto anche per il suo proposito di affascinare l’uditorio con racconti esotici sensazionali ed edificanti, Erodono dimostra di mantenere una profonda unitarietà dell’accadere storico: nella storia si può osservare come il particolare dell’evento singolo vada di pari passo con l’universalità delle tradizioni ed evoluzioni umane nel lungo svolgersi del tempo.

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Il Mondo Etico-ConcettualeL’opera erodotea non comportò solo l’invenzione di un nuovo genere letterario e tipologia del sapere, ma una nuova riflessione sull’esistenza umana: dall’analisi empirica dell’enorme varietà di accadimenti si potrebbe infatti, secondo Erodoto, definire alcune categorie generali dell’accadimento storico. Una di queste categorie è quella che lega la fede in un sistema di valori assoluti di un certo popolo con i suoi usi, costumi e leggi (nel complesso detti nomoi). Non può essere ammesso un confronto qualitativo tra i nomoi di diverse popolazioni, né ciò che da questo confronto scaturirebbe, cioè il tentativo di imporre con la forza i propri nomoi su quelli degli altri, al fine di unificare culture diverse. Tuttavia questo relativismo etnico, se così vogliamo chiamarlo, non ammette affatto in Erodono l’adesione al relativismo etico tipico della tradizione sofista. Ciò non gli impedisce tuttavia di respingere ogni pretesa superiorità di una religione sulle altre:il variare dei nomi non varia il sentimento religioso; per questo Erodono non specifica mai le divinità, pur tenendo fede al pantheon greco, ma le definisce universalmente sotto il nome di “il dio” o “divinità”. E’ quindi insito in Erodoto questa tendenza al rispetto reciproco. L’uomo ha il dovere di rispettare un ordine cosmico che risulta essere soggetto ad una eterna alternanza di violazioni e reintegrazioni: per questo la storia dell’uomo è un’immensa metatragedia (unità del singolo e del particolare; nella tragedia del singolo si riflette la tragedia dell’umanità), che tratta del valore collettivo della libertà e viene tessuta intorno a lui dalla volontà degli dei e dalla propria natura, dalle quali non può prescindere. Si viene quindi a creare un connubio indissolubile tra responsabilità umana e destino, tra ordine causale di trascendenza e di immanenza.

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L’ArteSappiamo troppo poco sulla prosa preerodotea per definire le derivazioni e le innovazioni apportate da Erodoto. Possiamo comunque indicare i fattori che maggiormente influenzarono la prosa erodotea: Omero, i tragici e le richieste del pubblico, cioè dall’epos, dalla tragedia e dalle contemporanee esigenze artistiche. L’influsso omerico si evince dalla fondamentale coesione strutturale nonostante la complicazione via via maggiore dell’intreccio, e dal monumentale impianto di

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racconti di grandi gesta in cui si alternano episodi di massa ed episodi individuali, che aprono la strada a sviluppi secondari. La suggestione della tragedia contemporanea si evince nella tensione drammatica che Erodoto imprime in personaggi psicologicamente connotati con la massima attenzione, al fine di constatare, con l’esaltazione delle tendenze dell’animo, la fragilità dell’uomo e la precarietà del suo destino. Da un corredo tematico assai variegato, che spazia dall’eros ai valori della politica, viene esplicitato il tragico contrasto fra le aspettative e i propositi dell’uomo e l’esito sventurato che attesta la precarietà di ogni suo progetto.Infine rispondono alle implicite richieste del pubblico: l’uso di un dialetto ionico che risente già di influssi attici, il ricorso a moduli espressivi tipici dell’epos, l’alternanza di incisiva sentenziosità ipotattica ed emozionale distensione paratattica della descrizione, la dimostrazione di una profonda gioia nel raccontare, il dettaglio esotico e la storia resa sempre più appassionante e commovente.

Tucidide

PremessaSebbene Tucidide fosse già in età adulta alla morte di Erodoto, le differenze fra le due tradizioni storiografiche sono notevoli. Tucidide, sotto l’influsso della sofistica e delle scienze naturali (medicina in primis), impresse infatti un nuovo corso alla storiografia greca. Affermando perentoriamente di voler lasciare un “possesso perenne”, svincolato dai condizionamenti di un transitorio gusto collettivo, si affidò alla composizione e trasmissione in forma scritta, non raccontando più la storia, come aveva fatto Erodoto, ma pensandola in relazione alla valenza eterna dell’agire umano. L’opera si concentra sulla

dimensione politica e sulle guerre che ne ritmano il divenire. Infine, altra grande differenza con Erodoto, Tucidide ha un approccio talmente scientifico nei confronti della propria materia da volersi attenere il più possibile all’unicità della verità, indagando a fondo i nessi causali del divenire storico e non lasciando quasi mai trasparire alcuna simpatia o repulsione.

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La Vita e Le StorieTucidide figlio di Oloro nacque intorno al 460 a.C. nel demo ateniese di Alimunte. La sorella aveva sposato Milziade, padre di Cimone, e questo lo aveva saldamente legato, nonostante la democraticità dimostrata nell’encomio a Pericle, agli ambienti conservatori della città. Prorpietario di vaste terre in Tracia e conoscente dei principi dell’entroterra, Tucidide ricevette da Cimone l’appalto per le miniere d’oro nel Pangeo. Divenuto stratego nel 424 a.C., essendo giunto tardi a contrastare l’assedio di Anfipoli (gli era stato infatti assegnato lo scacchiere dell’Egeo settentrionale) venne esiliato per vent’anni nel Peloponneso. A dir la verità non si è certi del suo esilio in quanto Aristotele ne aveva accertata la presenza ad Atene in occasione del processo ad Antifonte (poco dopo la caduta dei Quattrocento nel 411 a.C.). Non si conosce la data di morte (si pensa ad una morte violenta), ma si tende a collocarla ad Atene (o in Tracia) poco dopo la conclusione della guerra tra Atene e Sparta.

La non originalità del titolo e della suddivisione in otto libri, la brusca interruzione al capitolo 109 del libro VIII (corrispondente all’anno 411 a.C.; mentre Tucidide aveva dichiarato di voler narrare la storia del conflitto fino alla caduta di Atene, avvenuta

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4. Tucidide

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nel 404 a.C.) nonché la sua mancata revisione (mancano i discorsi diretti ed altri tratti dello stile tucidideo tanto da sembrare un abbozzo), la presenza di due prologhi che sembrano dividere l’opera in due sezioni in corrispondenza del capitolo 26 del libro V; tutti questi fattori hanno alimentato nel secolo scorso un dibattito intorno ad una vera e propria “questione tucididea”.Dopo essersi affriontate la scuola analitica e la scuola unitaria, oggi si pensa che Senefonte abbia pubblicato la seconda parte delle Storie, premettendovi il “secondo prologo”, ma che la sezione finale dell’opera tucididea sia stata, per errore di trasmissione, posta all’inizio delle Elleniche di Senofonte, nelle quali (libro I,1-libro II, 3,10) è possibile evidenziare il tipico stile tucidideo. Tale tesi è stata possibile grazie ad una notizia di Diogene Laerzio, secondo il quale Senonfonte avrebbe introdotto “alla notorietà i libri di Tucidide, mentre avrebbe potuto appropriarsene lui stesso”. Infine, sempre secondo la medesima tesi, Tucidide non sarebbe stato esiliato per vent’anni nel Peloponneso, ma sarebbe stato lo stesso Senofonte, del cui esilio si è certi; mentre, per quanto riguarda la morte violenta di Tucidide, essa sarebbe da attribuirsi alle dure repressioni portate avanti dai Trenta Tiranni a seguito del crollo di Atene.

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La Struttura e L’ArgomentoL’idea di comporre le Storie nacque, come scrisse nel promeio all’opera, per la convinzione che il conflitto tra Atenisi e Spartani ebbe un’importanza incommensurabile, non solo per il coinvolgimento di tutte le regioni della Grecia, quanto per, posto a confronto con le precedenti invasioni persiane, la più lunga durata e per le calamità naturali che si portò appresso. e portò con se. Caratteristiche fondamentali dell’opera sono: il criterio di verosimiglianza (già espresso tra le linee metodologiche del proemio ), il pensare storico al posto della sua narrazione tenuto conto dell’eternità dell’agire umano, il rapporto azione/discorso (modello già collaudato nei poemi omerici e ripreso anche da Erodoto), il discorso diretto, che risente della retorica sofista e della suggestione tragediografica (in cui atto e parola vanno di pari passo), l’importanza della cronologia (tanto è rigida la siuddivisione annalistica dell’opera che spesso le azioni prolungate vengono troncate per essere riprese in una seconda sezione).

Nel I libro sono esposti gli antefatti della guerra (le cause più dirette della guerra sono rintracciate nell’intervento di Atene a favore di Corcira nel conflitto contro Corinto), una sintetica storia della Grecia (Archeologia), capitoli di metodologia storiografica, un’ampia digressione sui cinquant’anni (Pentecontechia) che succedettero alla vittoria sui Persiani, durante i quali maturò l’ostilità tra Atene e Sparta per il dominio sulla Grecia.

Nel II libro (triennio 431/430-429/428) gli episodi più importanti sono l’Epitaffio di Pericle, la descrizione della peste, la morte di Pericle, l’ultimo discorso di Pericle e le considerazioni di Tucidide sul grande statista.

Nel III libro (triennio 428/427-426/425) gli episodi più importanti sono la repressione ateniese di Mitilene (fomentata da Cleone), la successione di Pericle, la conquista spartana di Platea.

Nel IV libro (triennio 425/424-423/422) gli episodi più importanti sono i successi dell’ateniese Demostene e quelli dello spartano Brasida nella spedizione in Tracia.

Nel V libro (422/421-416/415; interrotto lo schema triennale) gli episodi più importanti sono la morte di Brasida e di Cleone nella battaglia di Anfipoli, la Pace di Nicia (di cui viene riportato il trattato di pace e quello di alleanza), e il dialogo dei Melii.

Il VI e VII libro costituiscono un blocco unico (416/415-413/412) intorno alla spedizione ateniese in Sicilia; gli episodi più importanti sono il discorso di Alcibiade, la

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descrizione della colossale armata allestita per la conquista, l’esilio volontario a Sparta di Alcibiade, accusato di aver sfregiato le Erme ateniesi, e la sconfitta di Nicia e Lamarco contro Siracusa.

L’VIII libro rimasto incompiuto (413/412-411/410) presenta l’insidiamento del governo oligarchico dei Quattrocento, il ritorno di Alcibiade e gli intrighi dei satrapi persiani.

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I Principi della Storiografia TucidideaI principi fondamentali su cui si costituì la tradizione storiografica di Tucidide sono:

Concezione laica ed antimetafisica della storia, tale da permettere la decifrazione e l’interpretazione del divenire storico.

Esclusione dalla pratica storiografica di qualsiasi finalità morale (“historia magistra vitae”, Cicerone) e di previsione del futuro.

Indagine sui nessi causali della realtà e sulle costanti dell’agire umano dal punto di vista storico e politico (accenni a fattori socio-economici nell’Archeologia).

Dicotomia fra causalità effettiva ed occasionale: la causa effettiva della guerra tra Atene e Sparta è la paura che quest’ultima nutriva per lo strapotere ateniese, circostanziata poi da una serie di cause occasionali quali l’intervento di Atene nel conflitto fra Corinto e Corcira, l’occupazione di Potidea e il blocco di Megara.

Principio di verosimiglianza, cioè di un processo empirico-congetturale di stampo sofista.

Forte nesso discorso-azione, ereditato dalla tragedia, da cui scaturiscono i discorsi diretti, che risentono molto della retorica dell’antitesi della Sofistica.

Ammissione dell’errore per l’ammissione del , fattore di contraddittorietà del reale; la ragione umana può quindi spiegare i fatti avvenuti senza tuttavia comprenderli profondamente e con esattezza inconfutabile.

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Le Idee Politiche e Le Concezioni EticheL’obbiettività documentaria di Tucidide, non risolta in un impassibile agnosticismo, è strumento della ragione, la quale intende far luce sulla dissoluzione dei valori a cui porta l’eccessiva volontà di potenza e l’impigo della forza. Sebbene il giudizio personale non venga mai esplicitato apertamente, ma sempre sotteso al testo, ciò non impedisce di avere una visione d’insieme sulle sue idee politiche e concezioni etiche. E’ un forte sostenitore di Pericle e lo innalza a modello esemplare di statista, al cui valore vengono contrapposti Cleone ed Alcibiade, la cui sfrontata e sfrenata brama di potere è stata la causa della rovina di Atene. Tucidide non si lascia andare a nessun relativismo: Cleone ed Alcibiade non sono giustificabili in quanto è il valore dell’individuo ad imprimere il segno del buon governo e non il contesto istituzionale. Sembra quindi ovvia la considerazione tucididea del potere: esso è una spirale che porta con se la propria condanna, sottesa a quelle logiche di dominio che causano un’espansionismo ignaro. Non è chiarissima l’idea di Trucidide sulle forme di governo più adatte: da un lato disprezza il radicalismo della democrazia assembleare, dall’altro non può far altro che ammirarla per esser stata la condizione d’esistenza di ogni realtà ateniese; l’unica vera simpatia viene nutrita per la Costituzione dei Cinquemila, la quale fonderebbe al meglio l’ordine dell’oligarchia con la libertà democratica, dando vita ad una democrazia un po’ più moderata.

Di grande interesse può risultare la concezione tragica della storia. Essa è determinata dal sinolo di necessità storica dalla legge di giustizia e dalla (tracotanza) umana. La porta alla frustrazione, che porta all’orrore, alla paura, alla violenza, la quale, scontrandosi con la giustizia, fa nascere profondi e problematici interrogativi sull’esistenza umana, il cui effetto diretto, per mancanza

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di risposte e delusione delle attese, non può che essere il disperato grido di sofferenza di vivi e morti. Cos’altro potrebbe essere se non la tragedia?

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L’ArteL’irregolarità della sintassi, tipica in Tucidide, serve a mantenere viva l’attenzione del lettore, la quale non rischia mai di spegnersi. Il lettore si trova infatti davanti non tanto ad una cronaca storica (abbiamo parlato dell’attenzione di Tucidide alla cronologia), ma ad un’opera che fluisce su più livelli espositivi: le fasi belliche si alternano ai discorsi articolati, alle digressioni storico-politiche e socio-economiche, alle riflessioni e ai commenti, così come episodi più brevi si alternano a quelli di più ampio respiro e di maggiore impegno artistico e concettuale.La scienza si fonde con il sentimento di pietà, l’obbiettività analitica con il sentimento morale; ciò partecipa a non rendere mai sterile il testo che ci si trova davanti. Inoltre partecipano al realismo tucidideo una forma scritta che non fissa il ragionamento in nessi di causalità diretta, ma lo lascia fluire con naturalezza (digressioni, sconnessioni, riprese, antitesi…), la variatio linguistica nonché l’attenzione alla dimensione psicologica dei personaggi (in particolar modo quella di Nicia ed Alcibiade durante la spedizione in Sicilia). Infine i frequenti rimandi interni non ancano di certo di creare un’unitarietà nell’opera, dal punto di vista tematico e strutturale.

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L’Oratoria

IntroduzioneL’oratoria è un esito della situazione politico-giudiziaria ateniese dopo le guerre persiane. Qui la partecipazione attiva paritaria dei cittadini alla vita pubblica rese fertile il suolo per l’apparizione graduale dell’oratoria, verso la fine del V secolo a.C. Se inizialmente era il cittadino ateniese ad esporre la propria orazione davanti alla corte, col tempo si affermò la figura del logografo, un professionista che si occupava di scrivere l’orazione giudiziaria che sarebbe poi stata recitata dall’imputato in tribunale.La tradizione artistica suddivideva i prodotti dell’oratoria in:

deliberativa: orazioni in sede istituzionale con finalità strettamente politiche.

giudiziaria: discorsi d’accusa e di difesa in processi di causa pubblica o privata.

epidittica: discorsi pubblici circostanziati da cerimonie e festività con finalità encomiastico-propagandistica.

Le esigenze processuali impressero una rigida schematizzazione all’orazione giudiziaria, la quale veniva perciò divisa in più parti: introduzione, narrazione, discussione giudiziaria (possibilmente con interrogatorio) e perorazione.L’orazione deliberativa ed epidittica erano invece meno condizionate da schemi formali e in esse si rifletteva ancor di più la personalità dell’autore e gli intenti che si era prefissato: ad esempio se in Demostene vediamo la concretezza e l’urgenza attuale, in Isocrate l’eloquenza distesa richiamava in occasioni festive i grandi principi ideali.

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LisiaLisia è la prima grande figura di artista nella letteratura oratoria greca. La sua produttività fu eccezionale (425 orazioni, ma solo 233 autentiche), ma sebbene riuscisse a rendere anche nelle orazioni epidittiche (“Olimpico” per esortare i Greci alla concordia e alla lotta contro i tiranni alle Olimpiadi del 388 a.C.), il primato fu

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5. Busto di Lisia.

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sancito dalle orazioni giudiziarie, nella quali Lisia rinuncia programmaticamente allo schematismo formale dell’argomentazione. In esse rifulgevano la puntualità dell’argomentare giuridico, la varietà dei toni espressivi e l’energia che lo resero maestro di etopea. La maestria in questa tecnica si vede chiaramente in “Per l’olivo sacro” e in “Per l’invalido”: in queste orazioni Lisia insiste su certe apparenze negative del suo cliente per rendere il discorso più genuino ed accattivante possibile. All’eccezionale qualità mimetica si affianca inoltre un grande talento narrativo: indimenticabile, ad esempio, il realismo quotidiano in “Per l’uccisione di Eratostene”. Ma la grande passionalità raggiunge il suo apice nelle orazioni deliberative, specialmente in quelle nelle quali si trattavano fatti in cui è implicato lo stesso Lisia: come fare a dimenticare il pathos unito alla cura retorica di stampo gorgiano in “Contro Eratostene”, del 403 a.C., allorché accusò in tribunale il presunto assassino del fratello Polemarco.

***SenofonteSenofonte fu un aristocratico conservatore filospartano che iniziò il proprio lavoro di scrittura una volta ritiratosi in campagna in una villa donatagli dallo stato spartano per il suo impegno nella campagna per la spedizione anti-greca di Cheronea.L’eclettismo elevato a programma culturale e l’adozione esclusiva della prosa contribuirono a formare un nuovo modello di letteratura che avrebbe gettato basi per generi nuovi, come il diario personale e la biografia.In “Anabasi”, in cui viene raccontata al rivolta di Ciro contro Artaserse e il drammatico rimpatrio dei mercenari greci, la struttura diariesca, la minuziosità della notizia, l’esotismo per ignoti panorami geografici ed antropologici ed una emozione artistica volta ad una disperazione epica per il coinvolgimento personale.Esempio di storiografia tradizionale è “Elleniche”, in cui con tono filospartano si raccontano gli eventi dalla fine della guerra del Peloponneso alla battaglia di Mantinea (che segna la fine dell’egemonia tebana): quest’opera è caratterizzata dalla drammatizzazione delle situazioni, dall’accurata indagine psicologica dei personaggi, nonché dal distacco dalla tucididea attenzione alla causalità politica.La simpatia per Sparta incontra il fine encomiastico in “Agesilao”, una operetta sul re spartano, amico e protettore dello storico. Con questa opera vengono gettate le basi per il futuro genere della biografia.L’importanza dell’educazione si unisce alla prospettiva morale in “Costituzione degli Spartani”, in cui una indagine più propriamente politica trova nell’interesse per l’educazione dei giovani il motivo dell’eccellenza della costituzione spartana. Certamente non manca l’idealizzazione del modello spartano; tuttavia l’autore è consapevole della decadenza di questo modello e dell’utopismo nell’auspicarsi il ritorno agli antichi valori.Il motivo dell’educazione giovanile e della degenerazione dei costumi sono poi il fondamento della “Ciropedia”, la quale anticipa alcuni aspetti del romanzo storico-pedagogico. L’opera è quindi manifesto dell’educazione come fondamento delle virtù statali e allo stesso tempo manifesto politico della monarchia illuminata.

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L’interesse per lo stato si evince in “Poroi”, una indagine economica sugli ordinamenti statali in cui l’autore avanza anche proposte per risanare il bilancio statale, vera causa della precarietà ateniese.L’interesse per la funzione educativa della poesia è invece in nucleo attorno al quale ruota l’immaginario dialogo fra il tiranno siracusano Ierone ed il poeta Simonie in “Ierone”: la finalità è quella di persuadere il sovrano che solo una reggenza giusta e nell’interesse dello stato potrebbe fargli vivere con serietà il suo ruolo.L’interesse per la figura di Socrate è al centro di alcuni scritti senofontei, nei quali è presente il filosofo. Sebbene l’autore, pur conoscendolo, non fosse stato suo seguace, la figura di Socrate era al centro di un dibattito di vasta risonanza. Obbiettivo fondamentale dei suoi scritti socratici è moralistico ed apologetico. Il primo obbiettivo viene raggiunto in “Memorabili di Socrate”, in cui l’insegnamento socratico viene presentato come una etica pratica basata sull’ossequio alle leggi e alla religione tradizionale, mentre il secondo in “Apologia di Socrate”, in cui nella difesa dalle accuse il filosofo viene sostanzialmente presentato come un maligno e un mediocre. “Simposio” è esempio lampante della mancata profondità di Senonfonte: circostanziato dalla vittoria sportiva di Autolico, amasio del ricco Callia, Socrate parla dell’amore con una leggerezza superficiale totalmente estranea d’altra parte al “Simposio” di Platone.In “Encomico”, nel quale Socrate parla con Critobulo dell’amministrazione della casa e dell’agricoltura, Senofonte dimostra la sensibilità per le tendenze dei nuovi tempi, come ad esempio il nuovo ruolo delle donne e la tranquillità della vita rurale.Infine Senofonte si occupò di opuscoli di minore impegno, di natura pratico-didascalica: “Ipparchico” sull’impiego della cavalleria in guerra e in pace, “Sull’equitazione” riguardo l’allevamento l’ammaestramento e la cura del cavallo, e dulcis in fundo il “Cinegetico” (spurio) sull’allevamento dei vani e sulla descrizione delle razze.

Dal punto di vista stilistico Senofonte fu lodato dagli antichi come modello di atticità. Il suo vasto campo di osservazione del reale, nonché la capacità di animare la scena non furono tuttavia apprezzati dalla critica: l’autore godette infatti di una fama mediocre per la dispersività tematica, per la superficialità delle argomentazioni nonché per la sovrapposizione del proprio punto di vista sull’obbiettiva trattazione.

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IsocrateConsapevole del ruolo che avrebbe giocato l’egemonia macedone, Isocrate volle celebrare il primato della cultura greca: l’arte della parola. Nonostante la varietà dei temi, l’unico motivo ispiratore per Isocrate è il culto per la perfezione formale: una ricercatezza tale che a volte rischia di prendere il sopravvento sul contenuto. Importante per la sua formazione fu il rapporto con i Sofisti, specialmente Gorgia. Dopo aver fatto il logografo per rifarsi del patrimonio perduto a causa della guerra peloponnesiaca, decise di aprire una scuola. L’obbiettivo dell’insegnamento isocrateo era una “filosofia” che ammaestrasse a conoscere le esigenze della vita, e ad adattarsi pragmaticamente ad esse. In questo progetto utilitaristico rientra la funzione essenziale dell’oratoria: all’uomo è negata la conoscenza assoluta, e la sapienza consiste quindi nel cogliere l’attimo () sul fondamento della giusta opinione, e la giusta opinione dipende dalla giusta maniera di esprimersi, che conduce necessariamente al giusto modo di agire. Del corpus isocrateo abbiamo:

orazioni giudiziarie: “Sullo scambio”, dove si difende rivendicando l’utilità pubblica del proprio insegnamento dall’accusa mossagli da Megaclide di guadagnare troppo con l’insegnamento.

esercitazioni oratorie sullo schema dell’esibizione sofista: “Busiride” e “Elena”.

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orazioni pragmatiche: “Contro i Sofisti”, in cui contrappone gli obbiettivi del proprio programma educativo alla filosofia platonica e all’oratoria deliberativa e giudiziaria.

orazioni politiche: “Aeropagitico”, a sostegno della democrazia moderata si auspica il ritorno della costituzione di Clistere nonché l’Aeropago come utopico sovrintendente alla formazione etica e civica dei cittadini; “Panatenaico”, in cui viene celebrata l’Atene del passato; “Panegirico”, in cui viene proposta una visione della coalizione panellenica con a capo la potenza marittima ateniese; “Filippo”, in cui sembrano ormai tramontate le speranze per la supremazia ateniese e si auspica perciò la guida dei Macedoni contro i barbari; “Nicocle e Nicocle”, in cui si espongono i vantaggi della monarchia moderata nonché i doveri del principe; ed infine “Sulla Pace”, in cui si rinuncia ad ogni pretesta ateniese di imperialismo.

Dal punto di vista politico Isocrate fu profetico poiché, proprio in un momento in cui la polis stava tramontando ed occorreva pensare ad una nuova organizzazione statale, il panellenismo isocrateo mise a nudo il frazionamento politico, anticipando l’unificazione che sarebbe poi stata realizzata da Alessandro Magno.Famoso dunque per un programma teorico che vedeva nella perfezione formale di stampo gorgiano il grado nostalgico per una potenza ormai superata, Isocrate si rivelò, con il suo atteggiamento politico, abile profeta del futuro.

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DemosteneGli scritti di Demostene, stilisticamente antitetici alla retorica isocratea, rappresentano il puntuale corrispettivo della sua azione politica, anacronisticamente volta a far risorgere una potenza ormai alla fine della sua parabola: la potenza ateniese, sopraffatta in questo periodo dall’incalzante espansione macedone. Sebbene Demostene fallì nel proposito di richiamarla concretamente in vita, egli con la sua opera ne espresse il significato più alto: l’indissolubile unità dell’azione, del pensiero e della parola.Nonostante fosse da molti considerato un illuso sostenitore di un anacronistico municipalismo, nel corso dei secoli fu esaltato come il campione della democrazia e della libertà, se non altro per l’ardore delle convinzioni.Di elevate condizione economica, il giovane Demostene si cimentò subito nell’oratoria giudiziaria contro i tutori disonesti del patrimonio paterno (“Contro Afobo”, “Contro Onetore”). In politica estera affermò sempre le sue tendenze anti-spartane ed anti-persiane (“Sulle Simmorie”, “Per i Megalopoliti”, “Per la libertà dei Rodii”). In politica interna diede voce al convinto integralismo democratico (“Contro Aristocrate”) ed appoggiò il piano di risanamento del bilancio proposto da Tubulo contro i suoi oppositori (“Contro Andruzione”, “Contro Timocrate”, “Contro Leptine”).Il suo impegno politico e letterario si concentrò però tutto in un’ottica anti-macedone (“Filippiche”), spronando gli ateniesi a proteggere le città assediate (“Olintiche”), occupandosi delle trattative di pace con Filippo (“Intorno alla pace”), mettendosi a capo del movimento di resistenza (“Sugli avvenimenti del Cheroneso”).Se in politica estera l’acerrimo nemico era Filippo, in politica interna la polemica si scagliava contro Eschine: in “Sull’ambasceria corrotta” lo accusa, in “Per la corona” difende il proprio diritto alla corona d’oro offertagli da Ctesifonte per l’impegno politico dimostrato. Negli ultimi anni di vita Demostene non dovette far fronte solo all’accusa di corruzione nell’affare di Arpalo (venne condannato, poi evase), ma dovette rinunciare alle proprie utopistiche visioni quando l’insurrezione ateniese fu duramente repressa dal generale macedone Antipatro.

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Eschine e IperideEschine fu il principale avversario della politica demostenica. Entrato in politica dapprima su posizioni ostili alla Macedonia, dopo l’accusa di corruzione mossa da Demostene al ritorno dell’ambasceria (“Sull’ambasceria corrotta”), si sposta su tendenze filo-macedoniche. Le orazioni pervenuteci fanno tutte riferimento all’evento dell’ambasceria (“Contro Timarco” e “Sull’ambasceria corrotta”) e al processo contro l’attribuzione della corona a Demostene (“Contro Ctesifonte”). Punto debole dell’oratoria eschinea consiste nella mancanza di un’intima convinzione dietro le ferrate competenze giuridiche, nonché l’incapacità di competere, sul piano emotivo, della sua visione storica con il trascinante appello demostenico ai grandi valori ideali. Eschine non fu tuttavia lo spregiudicato profittatore dipinto da Demostene, ma uno dei tanti che erano convinti dell’ineluttabilità dell’egemonia macedone.

Iperide, allievo di Isocrate e probabilmente anche di Platone nonché degno continuatore dell’arte di Lisia, fu al pari di Demostene uno strenuo difensore della libertà ateniese. Il suo impegno politico fu interamente centrato in vista dell’indipendenza ellenica e si vide staccato dall’amico Demostene solo in occasione dell’affare di Arpalo, sostenendo l’accusa in modo decisivo per la condanna dell’imputato. Prese parte all’insurrezione ateniese, e venne giustiziato dal generale macedone Antipatro. Una minima ricostruzione del corpus, andato interamente perduto nel Medioevo, si deve ad alcuni ritrovamenti papiracei. In “Per Euxenippo” difende l’imputato accusato di aver falsificato un responso oracolare, in “Contro Atenogene” viene raccontato dal punto di vista giudiziario una spassosa storia di truffe ed erotismo omosessuale; infine in “Epitafio”, unico discorso epidittico di Eschine, viene decantata un’orazione funebre per i caduti nella guerra lamiaca.

La Commedia di Mezzo

IntroduzioneA differenza di Aristotele, il quale aveva suddiviso la storia del genere comico in due periodi (antica e nuova), i grammatici greci in età più tarda hanno individuato un terzo periodo: la cosiddetta “commedia di mezzo”, la quale nell’arco di circa 70 anni comportò una marcata evoluzione dalla commedia aristofanesca a quella menandrea.La fine del grande periodo della democrazia seguito alla sconfitta nelle guerre peoloponnesiache ha comportato la rinuncia alla tematica politica con la conseguente affermazione della tematica d’evasione e divertimento dove il contatto con la realtà non consiste più nella dimensione collettiva socio-politica quanto in quella domestico-individuale. Se dunque nella commedia antica la parodia del mito era sempre un’allegoria dell’attualità politica, nella commedia di mezzo il mito diventa dramma borghese (prevale dunque il motivo erotico) e la parodia ha come unica finalità il riso disimpegnato. Con ciò non si vuole dire che il riflesso della vita pubblica scompaia del tutto, ma cambia i suoi obbiettivi spostandosi dalla carica polemica ad personam alla bonaria irrisione di un comportamento. Nella commedia di mezzo il passaggio da Aristofane a Menandro si evince anche dalla trasformazione dell’eroe aristofanesco al tipi, fino al carattere menandreo.

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La trasformazione colpisce anche l’ambito strutturale, stilistico e linguistico dell’opera comica. Dal punto di vista strutturale si assiste alla drastica riduzione delle parti corali, espressione tipica dell’elemento collettivo, nonché ad una scansione dell’opera in cinque atti (il primo premiale affidato ad una divinità o ad un concetto; di ispirazione euripidea), al fine di conferire maggiore evidenza alla trama. Dal punto di vista stilistico la purezza attica della commedia antica si avvia, attraverso l’uso della conversazione familiare e la riduzione della polimetria aristofanesca, verso la koinè dell’età ellenistica.Queste caratteristiche non devono tuttavia far pensare ad una decadenza, quanto piuttosto ad un percorso di maturazione espressiva sempre più umana: si passa infatti dalla comicità delle situazioni nella dimensione collettiva finalizzati alla critica ad personam, alla messa in scena di situazioni più intime nella considerazione dell’uomo nella sua natura universale.Infine per quanto riguarda gli autori bisogna dire che i numerosi frammenti della mediana provengono da una selezione del materiale tanto arbitraria da non poter essere attendibile.

La Commedia Nuova

IntroduzioneIl disorientamento dato dalle incertezze provocate dalla morte di Alessandro, da una crisi economica dovuta all’incessante inflazione, dal perenne stato di guerra, dall’affermazione di una realtà sempre più urbana e cosmopolita avevano portato ad una rivalutazione dell’interpretazione esistenziale dell’uomo. L’interesse per la cosa pubblica era diminuito in modo direttamente proporzionale alla sovranità del caso. Nella riscoperta della dimensione domestica e del rifugio interiore, con i valori annessi e connessi, il teatro si affianca alla filosofia per scandagliare il senso dell’esistenza, proponendo alla collettività una discussione non più basata sul mondo delle azioni, quanto in quello dei pensieri e dei sentimenti.

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6. Busto di Menandro.

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Con Menandro dunque rimangono caratteristiche proprie della commedia mediana: ciò che viene superato è il disimpegno, l’opera come svago divertente piuttosto che come spazio riflessivo. Menandro sa che il suo pubblico è ormai avvezzo allo spettacolo mediano del comico d’evasione: per questo propone un’opera che sia rassicurante, esorcismo del disorientamento. Nella commedia menandrea infatti il lieto fine viene assicurato, rivendicata la fiducia in una giustizia immanente, e i personaggi non rispecchiano il disagio collettivo/individuale, ma conducono un’esistenza ideale, quella che il pubblico sogna di vivere; il tutto inserito in un microcosmo familiare e personale.

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MenandroMenandro nacque nel 342/1 a.C. a Cefisia da una famiglia ricca e nobile; allievo di Teofrasto e amico stretto di Epicuro, non appare coinvolto nella vita pubblica di Atene. Aneddotica la sua morte: avvenuta nel 291°.C. mentre nuotava nel Pireo.La produzione menandrea è fertilissima (gli antichi conoscevano più di 100 opere) e sebbene la sua fortuna non fu da meno, considerato il reimpiego dei suoi originali da parte dei comici latini, ai concorsi riportò solo otto vittorie (era scomodo per la polemica sociale contenuta nelle sue opere). La collocazione cronologica delle sue opere fa affidamento alla distinzione tra periodo giovanile e maturo: nel secondo vanno diminuendo sempre più le allusioni autobiografiche, le espressioni oscene, le scene marcatamente buffonesche e divaganti rispetto alla logica della trama.L’opera menandrea è caratterizzata da un forte rigore strutturale, scenico e narrativo: appare canonizzata la struttura pentapartita interrotta da intermezzi corali, il luogo è sempre uno spazio pubblico su cui si aprono due o tre edifici, il tempo è di una sola giornata, il numero degli attori (parlanti) fissato a tre e il ritmo narrativo rimane quello ternario della commedia antica.Il ritmo ternario può manifestarsi in due modi: o nel superamento di un ostacolo, o nel chiarimento di un equivoco. Questo perché il teatro si era ormai trasformato in un’occasione di divertimento e la gratificazione del pubblico era tanto maggiore quanto minore il suo sforzo alla partecipazione. In ogni caso, sia che si tratti di una crisi psicologica (chiarimento di un equivoco), sia che si tratti di una difficoltà obbiettiva (superamento di un ostacolo), la crisi presenta sempre come radice un errore di conoscenza, sia essa interna o esterna. Il lieto fine diventa quindi conquista morale di una consapevolezza di valori facenti capo alla solidarietà umana, fonte di coraggio e di aiuto concreto e reciproco nell’affrontare le difficoltà di un periodo ferito dal disorientamento esistenziale.Dal punto di vista stilistico si assiste ad una drastica riduzione dell’aspetto attico in vista di un realismo capace di cogliere il passaggio dal municipalismo della polis ad una realtà cosmopolita. Il tono è colloquiale, la definizione dei caratteri puntuale. Importantissimo nell’opera menandrea è il superamento del primato dell’azione: ora la parola e l’azione hanno un rapporto dinamico poiché, essendo la parola strumento di rivelazione agli altri e a se stessi, è da esso che si diparte l’azione.

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Sebbene nella commedia di Menandro si possa riconoscere il manifesto della filosofia peripatetica, essa è soprattutto un’opera teatrale: la sua funzione è di intrattenere, non di indottrinare. Tuttavia essa propone un’interpretazione della condizione umana, che trova il suo centro nel rapporto dell’uomo con l’uomo. Al sostanziale pessimismo prodotto da un periodo di incapacità di agire e comunicare, Menandro oppone un’ottimistica fiducia nella bontà della natura umana. Menandro è consapevole di non poter trasformare dall’interno un presente che critica fermamente: per questo la sua si connota come un’opera comico-utopistica. Tuttavia egli non perde tutte le speranze, riponendole non in un programma di trasformazione politico-sociale, ma nel sentimento. Il rimedio è nella solidarietà fra gli uomini e per realizzare questa aspirazione bisogna conoscere l’uomo, senza il quale il bene e il male neanche esisterebbero, attraverso le antinomie della sua esistenza. Il commediografo sostiene perciò l’esistenza di una giustizia immanente alla condizione umana: il problema è che gli uomini scelgono arbitrariamente di rifiutarla.

Callimaco

L’Arte e Le Opere

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Il nuovo orientamento della civiltà greca permise a Callimaco di Cirene di imporsi come cesura tra la tradizione e l’innovazione, proponendo un modello dal quale, a partire dalla poesia ellenistica, le epoche a venire non avrebbero più potuto prescindere (non a caso è l’autore più citato dopo Omero). I fattori essenziali del cambiamento sono riconducibili ad una radice storico-sociale. Il limite invalicabile che distingue potenti e sudditi unito al fatto che l’uomo ellenico non fosse più chiamato a condividere responsabilità di ordine pubblico hanno largamente diffuso la tendenza all’affermazione della propria interiorità; se dunque l’uomo antico realizzava se stesso nel contesto politico-sociale, l’uomo ellenico si realizza in se stesso. Da qui il carattere individuale del rapporto poeta-pubblico che, unito all’uso della forma scritta, fu il fattore essenziale del cambiamento. A questi due fattori sono riconducibili i numerosi aspetti della nuova poetica callimachea, quali:

destinazione e fruibilità elitariamancanza di un fine didascalicorinuncia all’universalità dei valoridesacralizzazione delle divinitàrinuncia ai grandi temiattenzione al particolarerealismo della quotidianità.

concezione della poesia come attività autonoma ed esclusiva, pensata come dialogo intimo fra poeta e lettoreminuziosa calibrazione linguistica (labor limae latino), sperimentalismo linguistico, ostentata erudizione: l’alto livello di elaborazione formale (Callimaco può definirsi a ragione padre del labor limae), la varietà di tematiche e di digressioni minuziosamente erudite dovevano costituire uno stimolo continuo per il lettore; il linguaggio callimacheo risulta quindi calibrato in modo tale che ogni parola esprima le proprie molteplici valenze anche e soprattutto in rapporto al contesto che la precede.

distacco apparentemente freddo dalla materia trattata. dissimulazione delle emozioni (in apparenza non curanza delle stesse): se la

forma orale di fruizione comunitaria aveva come prerogativa l’incisività e l’immediatezza, la fruizione elitaria della poetica callimachea elimina tale prerogativa in nome di una attenta riflessione a cui il lettore viene costantemente chiamato.

rielaborazione della tradizione mitologica: il corpus mitico viene rivisto razionalisticamente in funzione eziologica (vedi Aitia e Ecale), e comunque rielaborato per una soluzione che non mancasse mai di originalità.

prospettiva anti-epica: Callimaco rifiuta, da qui la chiacchierata inimicizia con Apollonio Rodio, il poema continuo (fatta eccezione naturalmente per Omero), prediligendo al poema epico l’epillio (“piccolo epos”), nelle cui ridotte dimensioni il fatto mitico non era più letto in chiave eroica quanto piuttosto in quella intima e domestica.

Le opere di Callimaco sono: “Le Tavole” (Pinakes): durante la sua attività presso la Biblioteca alessandrina

si occupò di catalogare in 120 libri le opere antiche suddividendole per genere ed autori; la raccolta, il cui nome completo è “Tavole di quanti si distinsero in tutti i campi della cultura, e delle opere da loro composte”, è stata anche provvista di sommarie biografie e da un erudito esame critico delle materie trattate.

“Nomi secondo i popoli”: trattato lessicografico in prospettiva storica. “Meraviglie che si trovano in tutto il mondo divise per luogo”: trattato

paradossografico, ampiamente rielaborato dai letterati a venire. “Inni”: nei sei inni di estenzione variabile, collocati nelle epoche più disparate

della sua attività letteraria (dagli inizi alla produzione più tarda), Callimaco propone una variante dell’inno omerico ed una concezione prettamente razionalistica della divinità. Il poeta vuole che i suoi Inni vengano intesi come un fatto letterario prima che religioso, e aciò si collega il fatto che gli dei callimachei non siano più oggetto di una fede religiosa quanto emblemi della tradizione nei quali tanto il poeta quanto il pubblico vi riconoscono una medesina identità nazionale. L’ “Inno a Zeus” narra la nascita del dio e ne celebra la potenza; in “Ad Apollo” viene celebrata Cirene (città natale di Callimaco) e la qualità suprema della piccola goccia che sgorga dalla fonte sacra (poesia di Callimaco); in “Ad Artemide” viene presentato un Eracle comico per la ghiottoneria che lo spinge a mangiare tutti gli animali che, giudicati nocivi per gli uomini, erano stati uccisi da Artemide su suo suggerimento; “A Delo” è l’elogio dell’isola in cui trovò

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7. Busto di Callimaco.

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rifugio Leto per partorire Apollo, quando tutte le altre città della terra scappavano dinnanzi alla donna perseguitata dalla gelosia di Era; in “I Lavacri di Pallade” il poeta spiega il motivo per cui fosse vietato vedere Atena nuda nonché l’origine del potere profetico dell’illustre Tiresia; in “A Demetra” viene narrata la punizione del contrappasso inflitta ad Erisittone per aver abbattuto un boschetto sacro alla dea per costruirvi una sala dove avesse potuto banchettare con gli amici.

“Ecale”: il tema dell’epillio è offerto dalla saga di Teseo. L’eroe si era allontanato dalla casa del padre Egeo per annientare il fetroce toro che imperversava a Maratona; viene ospitato dalla vecchia Ecale, trovata poi morta al ritorno dalla vittoria. La tristezza per il lutto spinge Teseo non solo a dare al demo il nome della donna, ma anche a consacrare un santuario a Zeus Ecalio (trattazione eziologica del mito).

“Aitia”: nella raccolta organica di elegie in quattro libri elevata a modello esemplare della poetica callimachea, il poeta si propone di narrare gli episodi mitici o eroici, espostigli in sogno dalle Muse, accomunati dal fatto di offrire la ragione remota di riti e feste. Di particolare importanza sono: il prologo dei Telchini (oppositori delle innovazioni callimachee, fra di essi si presume fosse enumerato anche Apollonio Rodio), la storia d’amore fra Aconzio e Cidippe, nonché il famoso episodio della Chioma di Berenice, in cui il tema eziologico si trova a fondersi con quello encomiastico (Berenice era moglie di Tolomeo Evergete, successore di Filadelfo) e dove l’adulazione della bellezza femminile viene dissimulata da una vaga quanto notabile ironia.

“Giambi”: nei tredici giambi conservati per lo più dalla tradizione papiracea compaiono temi che spaziano dall’esortazione morale, alla polemica letteraria, alla favola, finanche alla poesia d’occasione. Il più interessante è il quarto componimento, in cui si narra l’allegorica contesa fra l’alloro e l’ulivo, dietro la quale si celava una rivalità fra letterati.

“Epigrammi”: conservati nell’Antologia Palatina, presentano argomenti propri della tradizione epigrammatica; si trovano infatti epigrammi amorosi, votivi, sepolcrali e letterari, tutti accomunati da uno stesso accurato studio della forma, e differenziati l’uno dall’altro per un maggiore o minore accento di commozione.

Carmi Lirici: poco più che titoli.

Apollonio Rodio

L’Arte e Le OpereDi fondamentale importanza è la comprensione dell’irriducibile incompatibilità estetica e poetica che fu alla base dell’aperta inimicizia fra Apollonio Rodio e Callimaco, suo presunto maestro. Se da Callimaco

278. Rappresentazione vascolare della rappresentazione teatrale di "Medea".

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viene ripreso il labor limae, la tematicità erudita, l’attenzione al particolare, il carattere individuale dell’esperienza letteraria, vero è che Apollonio Rodio non condivise la radicale originalità con cui Callimaco aveva deciso di sviluppare tali premesse. Apollonio Rodio vuole riportare alla luce il grande poema epico (il “grande libro” respinto da Callimaco), non solo sotto l’aspetto strutturale, quanto per l’impronta generale della letteratura del passato: al tono distaccato di Callimaco espresso nell’ironia e nell’illusione, Apollonio Rodio oppone una totale immersione nel progetto narrato, vietandosi di metterci bocca. Dopo un periodo nel quale fu malvisto dalla critica per il sospetto di intellettualistica frigidità e gratuità, in seguito la sua maggiore opera (le “Argonautiche”) venne interamente rivalutata non solo per l’immediata risposta al gusto dell’epoca, quanto per la rielaborazione della tradizione passata fondata sulla personale ricerca di effetti e moduli narrativi nuovi, ma non strettamente mirati a stravolgere lòa tradizione. Caratteristiche principali dell’opera (di cui a breve tratteremo) sono:

linearità narrativa accostata da una tridimensionalità cronologica che incrocia passato (dell’avvenimento) presente (della narrazione) e futuro (delle predizioni, che sono un espediente tipico del genere epico).

multi-prospetticità come effetto della tridimensionalità cronologica. raccordo mito-storia: la concezione del tempo associa il mito alla storia,

investendo il primo di una implicita realtà; si afferma così la continuità della civiltà ellenica lungo un percorso che dalle più lontane origini si protrae fino a coinvolgere la problematicità del presente.

struttura complessa: la sequenza cronologico-spaziale scandita regolarmente dalle tappe del viaggio risulta sovente frazionata in episodi chiusi di carattere digressivo.

alternanza fra narrazione e segmenti dialogici: ciò fa pensare che l’opera possa definirsi drammatica.

Medea come emblema di una passione realmente umana: la concezione alessandrina dell’eros unita alla riduzione del personaggio mitico alla dimensione umana nonché all’attenzione al particolare psicologico fanno sì che la passione amorosa di Medea si caratterizzata da quella turbinio dinamico del sentimento umano visto nella sua progressione inesorabile.

Giasone come anti-eroe: la passività del personaggio è il segno di una debolezza che ha ormai sottratto al camnpione dell’epos tradizionale le certezze che gli derivavano da un sistema di valori. Giasone rappresenta l’anti-eroe inteso come uomo nuovo che con le sue deboli forze tenta di risolvere il problematico rapporto fra l’atteggiamento morale e le necessità di sopravvivenza.

giochi di allusioni: sebbene il futuro della vicenda risulti esterno al poema, esso è vivo nella sensibilità del poeta e del lettore; il presagio dell’atroce conclusione (spesso introdotta dalle allusioni) inserisce perciò nel realismo delle descrizioni e soprattutto nel realismo intimo della passione amorosa di Medea il pathos tragico di un destino irrevocabile ed immane.

motivo del viaggio: oltre ad essere un richiamo all’opera omerica, si sposava perfettamente con il gusto alessandrino per le implicazioni geo-etnologiche, onomastiche, religiose ed eziologiche (il viaggio di ritorno fu sarebbe stato differente da quello di andata così da permettere un maggior numero di implicazioni erudite).

modello omerico: aspirazione di Apollonio Rodio era di affermarsi in veste di erede di Omero. Pur ispirandosi a lui, sia nel parallelismo fra l’impresa degli Argonauti e quella troiana che nella rivisitazione di luoghi e personaggi dell’Odissea, nonché apertamente al suo stile per quanto concerne l’uso delle similitudini (stavolta però collegate alla circostanza del racconto) e la matrice linguistica (arricchita da un amore per la rarità del termine e per l’accostamento inusuale), del grande Omero rifiuta le formule fisse, nonché il naturalismo oggettivo, al quale sostituisce un forte impressionismo.

Con le “Argonautiche” Apollonio Rodio tentò vanamente di inventare un nuovo tracciato per l’epos, rimanendo tuttavia stretto fra l’indubbia superiorità di Omero e Virgilio. L’opera, passata presumibilmente per un lungo periodo di composizione (si pensa ad una proecdosis che vide una prima pubblicazione ad Alessandria d’Egitto ed una seconda a Rodi) ed una parziale divulgazione, narra in quattro libri l’avventura di Giasone e degli

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Argonauti dell’omonima saga, unendo nel tessuto narrativo la saga di Frisso e la saga di Pelia. L’impresa degli Argonauti (dal nome della nave sulla quale salparono, Argo) apparteneva ad una nobile tradizione poetica che l’aveva vista già menzionata da Omero ed Esiodo, e rivista nelle sua molteplici sfaccettature sia dai lirici che dai tragici.

Teocrito

L’Arte e Le OpereSebbene le origini della poesia bucolica affiorino nella raffinatezza di Teocrito, il poeta siciliano è stato fin dall’antichità erroneamente considerato l’iniziatore di un genere letterario che getta le sue radici in un tempo ben più remoto, nel contesto popolare dorico-siciliano. Più che iniziatore della poesia bucolica, Teocrito è il massimo erede della tendenza ellenica a fondere

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immaginazione e realtà in quello che potrebbe essere definito “realismo dell’illusione” attraverso il quale, in uno stile intimamente ellenistico, la concretezza della parola si fonde con la forza fantastica del pensiero. Caratteristiche della poetica teocritea sono:

abbandono dell’ostentazione dell’intellettualismo e dell’erudizioneerudizione come ispirazione.

individualismo e soggettività ellenisticaabbandono dell’indagine riguardante problematiche esistenzialiricerca di nuovi territori dell’esperienza umanaamore e natura.

amore: all’amore teocriteo (prettamente eterosessuale) è negato l’appagamento della commedia borghese; tutt’al più gli è concessa la speranza, tradita generalmente dalla disillusione e dalla frustrazione. Nella rappresentazione dell’amore Teocrito rifugge dal sentimentalismo e dalla commiserazione, volendo sostanzialmente attenersi all’analitica autenticità dei fatti interiori.

natura: la natura viene vista come paradiso della contemplazione e come sede di una primigenia felicità. Non viene vista come escamotage per far passare un sentimento di malinconia durante un processo di urbanesimo crescente; la natura viene offerta da Teocrito come compensazione alla realtà urbana, come dimensione nella quale il dettaglio realistico si fonde con la potenzialità dell’immaginazione.

realismo dell’illusione: nella dimensione della natura si realizza l’equilibrio fra la concretezza della parola e la forza fantastica del pensiero, in accordo con l’estetica callimachea.

penetrazione psicologica pseudo-commediografica: l’individuazione dei caratteri potrebbe definirsi di stampo teatrale, tanta è l’attenzione dell’autore alla connotazione psicologica dei personaggi.

adesione all’estetica callimachea: attenzione al dettaglio realistico dell’intima quotidianità (attenzione persino all’intimità affettuosa dell’età infantile) inserito in una purezza formale, in vista della quale ogni parola, soggetta ad uno studiato sperimentalismo linguistico, viene rivalorizzata dal contesto; distacco dalla materia trattata tanto da poter fruire delle potenzialità dell’ironia.

rapporto mimo-poesia bucolica: il genere del mimo e della poesia bucolica sono accomunati dalla medesima origine siciliana, dall’analogo riferimento alla realtà quotidiana, ma se l’uno si inserisce nella dimensione dell’urbs, l’altro si inserisce in quella del rus.

compromesso tradizione orale-tradizione scritta: tono esotico: il gusto per l’esotismo maturato nell’occidente ellenistico. rapporto con l’urbanesimo alessandrino: con l’Alessandria dei Tolomei il

fenomeno dell’urbanesimo esplode in una dimensione fino ad allora inusitata; contestualizzato in un processo simile, l’idillio teocriteo non deve essere letto come nostalgia di un’esperienza diversa o come il vagheggiamento di un ritorno alla genuinità della vita agreste, bensì come compensazione dell’urbanesimo nel richiamo all’autenticità di una dimensione naturale perduta, ma certamente non dimenticata.

reminescenze letterarie ed eclettismo

I carmi teocritei sono assai diversi, sia dal punto di vista formale che contenutistico. In toto essi vengono complessivamente raccolti sotto il nome di “Idilli” (da eidullion, diminutivo di eidos, “forma”, “aspetto”), con il quale si voleva indicare un insieme di componimenti accomunati dal medesimo carattere descrittivo.La numerazione corrente risale alle edizioni umanistiche, ricavate da un filone della tradizione manoscritta, che a sua volta aveva evidentemente risentito di numerosi trasposizioni sulle tracce di un antico ordinamento tematico. Tra i componimenti (per la maggior parte in esametri epici) si possono enumerare:

encomi: prevale la finalità pratica dell’adulazione cortinagesca. carmi pastorali: in essi compare spesso l’amore eterosessuale dalla coloritura

efebica; l’allegorismo si alterna quindi alle gare di canto, alle serenate e ai dotti riferimenti mitologici.

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9. Busto di Teocrito.

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poemetti mitologici: rappresentano un ulteriore punto di contatto con la poetica callimachea.

mimi

Polibio

L’Arte e Le OperePolibio fu il massimo esponente della storiografia ellenistica, colui che si distinse per la ferma consapevolezza delle finalità e delle metodologie proprie dell’indagine storica, in dichiarata polemica con le soluzioni proposte dagli immediati predecessori. All’epoca di Polibio la storiografia aveva maturato una lunga tradizione, per questo, a differenza di storici come Tucidide, nell’opera polibiana ricorrono sovente riferimenti alla teoria storiografica della quale possono essere

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chiaramente tracciati i principi regolatori di questa attività che voleva tendere sempre più all’omogeneità, alla coerenza e al rigore scientifico. I punti fondamentali del programma storiografico polibiano sono:

pragmatismo: la storiografia deve basarsi sull’analisi dei fatti politici e militari senza concessioni di carattere romanzesco né retorico; nella storiografia è impressa una forte utilità pratica, in quanto l’esatta conoscenza dei fatti politico-militari servirà all’uomo di stato e al condottiero di eserciti per valutare le

situazioni e intuirne gli esiti. obbiettività: lo storico deve approfondire il lavoro sulle fonti

scritte, l’informazione geografica e topografica vagliata dal controllo personale e l’esperienza della prassi politico-militare.

cautela nell’uso di discorsi diretti: a differenza di Tucidide e Timeo, Polibio comprende la pericolosità del discorso diretto, la cui problematicità consiste nel potenziale fuorviamento dell’obbiettività storica nel nome di un’eccessiva emotività.

causalità: Polibio distingue tre cause. La causa vera (), il pretesto o causa formale () e l’inizio (). Si tratta di uno sviluppo delle categorie causali tucididee, in cui Polibio, a differenza di Tucidide, si arresta ai fenomeni politici, nei quali il suo predecessore si era invece inoltrato, comprendendo di non poter indagare i complessi movimenti psicologici da cui è essenzialmente determinato il corso della storia.

universalità: la storiografia non deve limitarsi a raccontare fatti avvenuti nella loro peculiare singolarità, ma bensì coordinare l’uno all’altro in vista di una visione complessiva (). Questa visione sinottica degli avvenimenti era facilitata dalla situazione contemporanea. A partire dalla 140° Olimpiade la storia viene a costituire un tutto organico in quanto le vicende dell’Italia e dell’Africa si vedono intrecciate a quelle della Grecia e dell’Asia; con il centrismo romano questa visione va sempre più radicalizzandosi.

abbandono del determinismo: il valore strettamente pratico che Polibio attribuisce alla religione (vedi analisi delle cause della grandezza di Roma), non lascia spazio all’intervento divino nella dimensione dell’agire umano.

ambiguità del concetto di : il ruolo della fortuna non è chiaramente definito. A volte le viene attribuita una funzione provvidenziale, altre volte un intervento ostile all’azione umana, ed altre volte essa viene interpretata come l’irrazionalità del caso, che impedisce di ricondurre gli eventi ad una ragione comrpensibile.

esperienza politico-militare: indispensabile per il pragmatismo dell’obbiettività storiografica polibiana. I fatti di questa nuova concezione storiografica sono infatti quelli strettamente legati all’ambito politico e militare, contesti nei quali l’esperienza polibiana si era accresciuta particolarmente.

abbandono dell’intellettualismo retorico: la concezione pragmatica della storia non lascia spazio ad abbellimenti retorici o a sfoggi di erudito intellettualismo; sovente questa caratteristica ha fatto sembrare il discorso polibiano volutamente arido e disadorno.

dimensione scientifica: ambizione massima di Polibio è di riuscire nell’intento di far aderire il più possibile il pragmatismo della sua storiografia alla minuziosità del rigore tecnicistico della pratica scientifica.

precisione: per precisione Polibio intende la capacità di distinguere con lucidità intellettuale l’essenziale dall’episodico.

storiografia tragica: all’aridità dello stile della storiografia pragmatica Polibio riesce a fondere squarci di intensa emozione, una caratteristica che, fra le altre, lo lega alla tradizione storiografica battezzata da Tucidide.

L’opera più importante di Polibio sono le “Storie” che, articolate in 40 libri, dilatavano la propria trattazione dall’inizio della prima gerra punica (264 a.C.) ai due anni immediatamente successivi alla distruzione di Corinto e Cartagine (144 a.C.). Dell’opera ci sono pervenuti integralmente solamente i libri I-V, nonché ampi estratti dei libri VI-XVIII, per il resto occorre avvalersi di riferimenti esterni. I primi due libri erano dedicati all’esposizione sintetica degli avvenimenti che, secondo un criterio annalistico (rare eccezioni laddove lo richiedesse la continuità del tema), sarebbero poi stati trattati nei libri III-XL. Interessanti risultano i libri VI, VII e XL. Nel libro VI, dedicato alla teoria delle

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10. Una delle prime traduzioni italiane dell'opera di Polibio.

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costituzioni, viene indagata la causa della grandezza di Roma: l’indagine porta alla formulazione del principio di anaciclosi costituzionale, un processo degenerativo periodico, il cui concetto gettava le radici nel pensiero di Platone ed Aristotele. Peraltro Polibio affermò che la stabilità che ha portato alla grandezza di Roma si deve alla forza dell’assetto militare, al profondo sentimento religioso, nonché, e principalmente, alla sua costituzione mista in cui concorrono le tre “forme buone di governo”: monarchia, aristocrazia e democrazia, opposte alle “forme cattive di governo” che sono la tirannide, l’oligarchia e l’oclocrazia.

La Storiografia Ellenistica

IntroduzioneLe imprese di Alessandro Magno avevano alimentato l’interesse storiografico, in primis, la ricerca storiografica intorno alla sua persona, in secundis, l’interesse per le culture orientali. Per quanto riguarda il profilo storiografico dell’operato di Alessandro, essa risultò caratterizzata perlopiù da toni adulatori, apologetici e romanzeschi. Possono comunque essere distinti diversi filoni storiografici:

storiografia obbiettiva: di Tolemeo, basatosi sui propri ricordi personali e sulla consultazione personale delle Effemeridi (diario ufficiale compilato durante le spedizioni dal segretario di Alessandro Magno), Aristobulo, Clitarco, il quale diede un’interpretazione univoca del personaggio di Alessandro pur corroborando la storia dell’imperatore di coloriture mitico-romanzesche, e Ieronimo di Cardia, il

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quale avrebbe costituito la principale fonte documentaria per le opere di Diodoro, Arriano e Plutarco.

storiografia retorico-celebrativa: di Callistene di Olinto, la cui opera appare chiaramente marcata di retorica ed intenti adulatori-celebrativi in chiave panellenica.

storiografia etno-geografica: propria di Nearco, capo della flotta alessandrina inviata ad esplorare la costa indiana dall’Indo all’Eufrate.

storiografia asiano romanzesca: propria del retore Egesia di Magnesia, fondatore dell’asianismo e neklla cui opera storiografica appare un esasperato impiego di artifici retorici.

romanzo storico popolare: a questo genere appartiene il “Romanzo di Alessandro”, erroneamente attribuito a Callistene; l’opera fu quella che maggiormente alimentò nel medioevo l’alone mitico intorno alla figura di Alessandro.

storiografia tragica: Duride e Filarco erano maggiormente interessati all’autenticità delle emozioni più che alla minuziosa esattezza dei fatti.

Per quanto riguarda l’accresciuto interesse, nella prima età ellenistica, per le culture orientali si distinsero due nomi: Evemero ed Ecateo. Il primo tentò di fondere elementi favolosi ad intenti razionalistici, creando quella tendenza storiografica che prnede il nome di “evemerismo”, che altro non è se non il razionalismo analitico improntato alla tradizione mitologica e religiosa. Il secondo invece, Ecateo, fu il primo a comprendere come la cultura greca in primis non potesse prescindere dal punto di vista storico-culturale dalla civiltà egiziana.

L’Epigramma

IntroduzioneL’epigramma è un genere che vanta una tradizione millenaria: dall’ingresso in letteratura nel V secolo a.C. si dilatò infatti fino al VI secolo d.C. Dalla prima scrittura alfabetica greca della “Coppa di Nestore” (VII secolo a.C.) l’epigramma si sarebbe diffuso con una frequenza progressivamente sempre maggiore, tanto da rendere necessarie raccolte che catalogassero i testi più meritevoli (VI secolo a.C.) Fu proprio con queste raccolte che l’epigramma fece il suo primo ingresso in letteratura. Se nel V secolo a.C. il genere si limitava fondamentalmente alla celebrazione in memoria dei caduti per la patria durante le guerre persiane, nel IV secolo a.C. le potenzialità tematiche si ampliarono e con la destinazione fittizia andò sempre più delineandosi una più marcata connotazione

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letteraria. Con l’Ellenismo (III secolo a.C.) godette di una vera e propria consacrazione artistica, e in esso si vedono concentrati i temi e di conseguenza i canoni espressivi di tendenza ellenistica. La tematica nella quale più si sarebbe cimentato l’epigramma dall’Ellenismo in poi sarebbe stato l’amore. La tematica erotica, affiancata comunque dall’epigramma funebre, celebrativo e dedicatorio, viene solitamente ricondotta all’usanza di accompagnare con dediche gli oggetti donati all’amata. Caratteristiche peculiari del genere epigrammatico sono:

distico elegiaco marcato ritmo binario che amplia le potenzialità degli effetti di simmetria ed

opposizione attenzione per la parola artistica cura dell’attimo particolare preminenza della soggettività sul realismo obbiettivo importanza della rielaborazione formale intorno a tematiche appartenenti alla

tradizione

Le raccolte che confluirono nell’Antologia Palatina, unica fonte documentaria sul genere epigrammatico a noi pervenuta, sono:

papiro di Posidippo “Corona” di Meleagro Raccolta di Filippo di Tessaglia “Ciclo” di Agatia “Antologia” di Costantino di Cefala

La tradizione epigrammatica viene solitamente divisa in quattro periodi: prima età ellenistica: l’epigrammismo callimacheo e teocriteo hanno

ampiamente influenzato i due filoni di quest’epoca, la cui chiara varietà tematica non nega tuttavia la comunione di scelte e maniere espressive. Per questo motivo sono stati individuati: epigrammisti in dialetto dorico, nella cui poetica prevale il realismo e l’impressionismo naturalista, ed epigrammisti in dialetto ionico, nei quali invece prevale la soggettività espressionista ed il realismo della quotidianità urbana intorno a tematiche erotico-simposiache.

ellenismo maturo o decadente: nel periodo di declino dell’Ellenismo e di parallela preparazione all’ascesa dell’imperialismo romano, la quantità degli esemplari non presuppone una proporzionale fioritura qualitativa. Il maggior esponente di questa fase fu Meleagro (sebbene anticipato dal manierismo compassato di Antipatro). Meleagro, autore della “Corona” (raccolta di epigrammi famose per l’allegoria floreale del proemio), è padre dell’epigrammismo fenicio. In questo autore rifulge il tema erotico, ispirato da Zenofila (passione festosa) e Eliodora (passione struggente), visto nelle sfaccettature della bellezza femminile, dell’atto sessuale, della seduzione come della repulsione.

età imperiale: in questa fase l’epigramma assume le valenze espressive tipiche delle tendenze decadentiste. Gli autori si cimentano nella resa della riflessione e commozione nella dimensione quotidiana (Crimagora), nel convenzionalismo tematico-espressivo (Archia), nella spregiudicatezza erotica (Filodemo), nell’eclettismo (Antipatro), nell’intento satirico (Lucillio), nella resa della fisicità dell’esperienza pederasta (Stratone) nonché nel piacere della fisicità femminile (Rufino).

prima età bizantina

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Luciano

Introduzione

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Luciano è il maggior rappresentante della Seconda Sofistica. Nato a Samosata intorno al 120 d.C., studiò grammatica e retorica presso i sofisti dell’Asia Minore, i quali ebbero su di lui un completo effetto di ellenizzazione culturale. Viaggiò molto come maestro di retorica e conferenziere in Asia Minore, Grecia, Italia e Gallia. Fu avvocato, ambasciatore e segretario della cancelleria imperiale egiziana. Al termine dell’incarico si trasferì definitivamente ad Atene, dove morì dopo il 180 d.C.Il repertorio delle opere comprende scritti in prosa, epigrammi ed epistole fittizie. Tra le più di 80 opere in prosa figurano: scritti retorici (: esercitazioni retoriche, declamazioni sofistiche, ed encomi paradossali, molto in voga presso i retori della Seconda Sofistica), trattati di carattere erudito, dialoghi comici (sulla vita divina), satira religiosa e morale, dialoghi filosofici (di ispirazione platonica), scritti polemici contro le tendenze irrazionalistiche (diatriba di carattere menippeo), contro la vuotaggine della vita romana e in generale contro tutti i vuoti formalismi contemporanei (si pensi a “Storia vera”: parodia dei romanzi d’avventura allora di moda).La vasta gamma di interessi induce Luciano a spaziare dalla esercitazioni retoriche, alla trattatistica erudito-storiografica, al racconto fantastico, alla satira contro l’una o l’altra dottrina filosofica. Luciano possedeva un ampio patrimonio di conoscenze filosofiche dovuto all’evoluzione delle sue tendenze dal Platonismo, al Cinismo, allo Scetticismo fino all’Epicureismo; per questo motivo può essere qualificato come un filosofo. Un filosofo tuttavia non fedele all’una o all’altra dottrina, ma animato da un antidogmatismo tale da non potervi attribuire una dottrina quanto piuttosto una morale del buon senso.Ciò che determinò la fortuna di Luciano furono: l’invenzione di una nuova struttura letteraria che fondesse dialogo filosofico e commedia, nonché lo stile basato sull’attento dosaggio di una lingua attica lontana da esasperazioni puriste.Possiamo infine dire che Luciano è il rappresentante esemplare non solo della retorica sofistica, ma dell’intellettuale del II secolo d.C.: nel quale si fondono levità formale, poliedricità intellettuale, acume polemico ed indipendenza di giudizio.

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Plutarco

L’Arte e Le OperePlutarco fu senza dubbio la personalità maggiore del mondo greco nell’età imperiale: estraneo allo stile di vita della Seconda Sofistica ed indipendente dalla politica imperiale propose uno stile di vita che lo rese tramite esemplare fra la cultura della Grecia antica e la storia a venire.Nato a Cheronea in Beozia intorno al 47 d.C. da famiglia agiata e colta, Plutarco studiò all’accademia di Atene seguita da Ammonio, il quale lo iniziò alla dottrina platonica. Attratto dalla vita famigliare ed innamoratissimo della moglie Filossera, con la quale condivideva interessi intellettuali, rimase sempre in una dimensione domestica attirando intorno a sé amici e discepoli (non si può parlare di una vera e propria scuola). Ricoprì funzioni amministrative minori fino a divenire sacerdote del santuario di Apollo a Delfi, ruolo determinante nella formazione religiosa di Plutarco. Morì intorno al 127 d.C..

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L’imponente complesso di testi pervenutoci (un terzo dell’effettivo) viene classificato nelle due sezioni di opere morali (“Moralia”) ed opere storiche (“Vite Parallele”). I criteri di datazione si basano su di un periodo giovanile caratterizzato da propensioni retoriche, ed una maturità artistica volta ad un intenso impegno etico-religioso e contraddistinto da un più intimo sperimentalismo formale.Interessante è senza alcun dubbio il rapporto di Plutarco con il passato: non bisogna tentare di imitare un passato irripetibile, ma vivificarne i valori nell’esperienza presente, ricontestualizzandoli alla luce del massimo valore della civiltà greca: la filantropia. Questo valore consiste nel rendere significativa la quotidianità nella consapevolezza che l’esistenza individuale è il fine proprio e altrui, che la storia individuale concorre a formare ciò che è umano. L’originalità della personalità nonché la competenza come fonte erudita hanno relegato in secondo piano la dimensione più propriamente letteraria di Plutarco. Il pathos dato dalla teatralità dell’atto e della parola in “Vite Parallele”, nonché l’anticipazione del romanzo-saggio moderno in “Moralia” dovrebbe difatti tradire questo radicato pregiudizio.

Le “Vite Parallele” sono una raccolta di 22 coppie di biografie che abbinano un personaggio greco con un personaggio romano secondo il principio di corrispondenza/opposizione in vista di un confronto finale che dia ragione del parallelismo. Il genere letterario a cui Plutarco vuole richiamarsi è la biografia di tradizione peripatetica, secondo la quale la personalità dell’individuo si manifesta in ogni sua azione, grande o piccola che sia. Certamente l’opera esprime anche una valenza simbolica: nonostante Plutarco sentisse con orgoglio l’appartenenza alla civiltà greca, egli ammira l’ascesa di Roma nella sua necessità e nella sua grandezza, affermando la complementarietà della civiltà greco e quella latina. Certamente egli era consapevole che l’integrazione fra l’intellettuale dell’una e dell’altra civiltà era possibile solo fino ad un certo punto e la storia gli avrebbe dato ragione. Egli rielaborò con tale libertà le sue fonti poiché il suo intento non era di scrivere un’opera rigorosamente storica, quanto di proporre un’immagine dell’uomo attraverso l’espressione del suo interiore attraverso gli atti.

I “Moralia” devono il loro nome a Massimo Plaude, il quale radunando alla fine del XIII secolo le opere di Plutarco in un unico corpus manoscritto, lo fece iniziare dai testi di contenuto morale. Di fatto la tematica spazia ben oltre la categoria morale: gli scritti si presentano eterogenei infatti sia dal punto di vista tematiche, che dal punto di vista strutturale. I gruppi tematici sono: scritti filosofico-popolari di argomento etico, teoria politica esegesi e polemica filosofica, teoria e storia della religione, scienze fisiche e naturali, declamazioni retoriche e dottrina della retorica, critica letteraria, erudizione antiquaria, scritti di argomento vario: a questi vanno aggiunti scritti spurii in forma di rifacimenti o di epitomi.Dal punto di vista strutturale gli scritti appaiono: nella forma del dialogo di tradizione platonica (diegematici, drammatici e di forma mista con cornice), nella forma del trattato espositivo, della declamazione secondo la prassi retorico-scolastica, e nella forma della diatriba. I “Moralia” riflettono senz’altro l’eclettismo fortemente antidogmatico di Plutarco. Ciò che più influisce sul suo pensiero è il modello platonico, dal quale egli deriva la concezione della vita terrena come prigione di un’anima che anela alle regioni dell’etere, nonché la conciliazione di attitudine scientifica e credenza religiosa nella consapevolezza dell’inafferrabilità del reale. Nonostante ciò però Plutarco non si esenta dall’esaltare la bellezza del mondo come concreta dimensione in cui all’uomo è dato di sperimentare il rapporto fra l’universale e l’individuale. Dal punto di vista stilistico egli apre, non condividendo il contemporaneo successo dell’atticismo, la tonalità alta alle forme espressive della koinè.

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Gli Studi Linguistici e Letterari

IntroduzioneGli studi linguistici nell’età imperiale, particolarmente fiorenti durante il II secolo d.C., si rivolgono ad una attività di sistemazione in campo grammaticale, sintattico, prosodico e metrico al fine di creare gli strumenti basilari per lo studio della lingua greca nelle età successive. A questi studi va aggiunto poi il merito di aver conservato passi di autori antichi che sarebbero altrimenti andati perduti. La radice di questi studi va individuata nell’opposizione profilatasi a metà del I secolo d.C. fra due diverse concezioni della retorica: quella di Apollodoro di Pergamo, e quella di Teodoro di Gadara.

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La concezione apollodorea sosteneva la scientificità della retorica: avendo la persuasione un fondamento razionale, il filone puntava al rigore precettistica sia dal punto di vista delle finalità che dal punto di vista stilistico-strutturale.La concezione teodorea vedeva nella retorica un’arte caratterizzata dalla libertà delle ispirazioni e della tecnica basandosi sul principio di piacere e sull’elemento patetico. Per questo motivo il filone apollodoreo sosteneva l’atticismo nello stile e l’analogismo nella grammatica, mentre quello teodoreo aderiva rispettivamente al programma degli asiani e degli anomalisti.

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Il Trattato “Sul Sublime”Nella polemica sugli stili rientra il trattato anonimo e fortemente mutilo “Sul Sublime”, composto presumibilmente intorno alla metà del I secolo d.C., nel momento più acceso della polemica fra apollodorei e teodorei.Il trattato è dedicato a Postumio Floro Terenziano, discepolo dell’autore, e prende le mosse dal trattato “Sul Sublime” di Cecilio di Calacte: l’obbiettivo non è di offrire una precettistica descrittiva del sublime, ma piuttosto come esso possa scaturire. Il sublime, vertice dell’arte della parola, è il prodotto di:

mente eticamente corretta: poiché il sublime è l’ “eco della grandezza d’animo”;

pathos: è preferibile una grandezza geniale e travolgente scaturita dall’irrazionalità dell’animo, non esente quindi da cadute, rispetto ad una impeccabile e vuota perfezione;

fantasia: facoltà prodotta dall’entusiasmo e dalla passione; capacità mimetica: la deve esser vista come energia vivificatrice e

non come meccanica emulazione.

Il trattato, in lingua koinè, dallo stile denso e metaforico, è la più luminosa manifestazione della critica letteraria antica nonché elevatissimo documento di pensiero.

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