Compartir 19 - Lavoro e precarietà

22
#19 COMPARTIR APRILE 2012 C OMPARTIR Notiziario del gruppo “In Bolivia 2004” Patronato San Vincenzo Lavoro e prerietà BOLIVIA Progetti della Ciudad, di Fulvio Diploma TESTIMONIANZE Dignità, di Don Alessandro Sesana DOSSIER Racconti di precarietà, di Don Alessandro Sesana ATTUALITÀ Questa crisi, viviamola all'interno dell'azienda, di Claudio Rota CULTURA Libro "L’uomo flessibile" ! Film “Tutta la vita davanti” POESIA Lavoro a tempo, di Costanza Olmo VOLONTARIATO Progetto “Tempo di Lavoro” del centro per l’adolescenza META

description

In questo numeroBOLIVIA Progetti della Ciudad, di Fulvio Diploma TESTIMONIANZE Dignità, di Don Alessandro SesanaDOSSIER Racconti di precarietà, di Don Alessandro SesanaATTUALITÀ Questa crisi, viviamola all'interno dell'azienda, di Claudio RotaCULTURA Libro "L’uomo flessibile" · Film “Tutta la vita davanti”POESIA Lavoro a tempo, di Costanza OlmoVOLONTARIATO Progetto “Tempo di Lavoro” del centro per l’adolescenza META

Transcript of Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Page 1: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

#19

COMPARTIR

APRILE

2012

COMPARTIRNotiziario de l g r uppo “In Bol ivia 2004”

Patronato San Vincenzo

L avoro e prer ie tàBOLIVIA Progetti della Ciudad, di Fulvio Diploma

TESTIMONIANZE Dignità, di Don Alessandro Sesana

DOSSIER Racconti di precarietà, di Don Alessandro Sesana

ATTUALITÀ Questa crisi, viviamola all'interno dell'azienda, di Claudio RotaCULTURA Libro "L’uomo flessibile" ! Film “Tutta la vita davanti”

POESIA Lavoro a tempo, di Costanza Olmo

VOLONTARIATO Progetto “Tempo di Lavoro” del centro per l’adolescenza META

Page 2: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

a crisi economica e lavorativa che stiamo vivendo ci sta facendo prendere coscienza di una cosa f o n d a m e n t a l e : l o s v i l u p p o

tecnologico -materiale ed economico - ci ha portato a vivere al di sopra delle nostre possibilità sociali e finanziarie illudendoci di poter vivere dentro una perenne stabilità di vita. Di fatto stiamo vivendo il tema della precarietà della vita come uno dei problemi drammatici del nostro tempo.Sappiamo bene che molte delle certezze e delle conquiste del novecento (pensate al mito del posto di lavoro certo e sicuro) rischiano di essere come invalidate proprio da questa situazione di crisi.

La pratica del consumismo e l’economia consumistica ci stanno portando a desiderare oltre ogni limite, in un pensiero esagerato su tutto: tutto deve avere il tono del grandioso.All’uomo viene chiesto di essere pronto, “all’ultima moda”, capace di non fissarsi su un oggetto solo, ma di entrare in una logica di un continuo desiderio, cercato e ottenuto immediatamente.

In questa situazione il lavoro non è più atto creativo e sociale, ma solamente strumento che mi permette di realizzare i miei desideri di consumo.Questa crisi economica ha messo in evidenza la drammaticità della società consumistica e di questa strana logica con cui pensiamo ad un tema fondamentale come il desiderare.

Attraverso il Compartir vorremmo provare a porre uno sguardo sul mondo del lavoro, cercando di mantenere come punto di osservazione la realtà che conosciamo, che sperimentiamo ogni giorno: il mondo degli adolescenti e dei giovani, soprattutto quelli che oggi fanno più fatica a star dentro il mondo del lavoro.L’augurio è proprio quello di essere capaci di osservare e sperimentare vie nuove di impegno lavorativo, partendo dalla considerazione che la precarietà e la mobilità sembrano essere due imperativi di cui non possiamo fare a meno.

! Il gruppo “InBolivia2004”

Le nostre attivitàProsegue l’esperienza dei campi di lavoro, i prossimi appuntamenti sono:• Sabato 28 aprile, Mercato frutta e verdura• Sabato 5 maggio, a Berbenno (bosco – manutenzione verde - legna)per informazioni: Don Alessandro Sesana ! [email protected] ! 340.8926053

Inoltre siete tutti invitati alla giornata di festa e solidarietà di domenica 20 maggio, presso la casa dello Spazio Circo Ambaradan a Berbenno. Trovate tutti i dettagli nell’invito della pagina seguente.

2

Precarietà...nuova condizione di vita?

L

Page 3: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

!

!

!"#$%&''$(&%()$*$(+,-.%&/$(01(2$##&,(

3%$(#&,"%$*$()&(4.5*$(.(6,7&)$"&.*8(

"#$%#&''&((

9(:1;11!#)*#$+$!,#-..$!/&!0&.&!1-//$!2,&3)$!4)#0$!5'6&#&1&7!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

&!8-#6-77$!)7!+)&!9:;:<-77-1=>!?@!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

A.-%B)#-!)71)0&3)$7)!,-#!#).*$#&7*-!45CD((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((((

9(::;11!'-..&!0-/-6#&*&!1&!E$7!5/-..&71#$!2-.&7&(

9(:0;<1!,#&73$!0$'B7)*&#)$!,#-,&#&*$!1&/!%#B,,$:!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

F/!'-7G!,#-+-1-!&7*),&.*)>!0$.*)7->!,$/-7*&>!&0HB&>!+)7$>!1$/0-!-!0&IIJ!&/!

,#-33$!1)!KL!!!&1B/*)!-!M!!!6&'6)7)!&/!1)!.$**$!1)!KN!&77)!

5!.-%B)#-!%)$0O)!,-#!)!,)G!,)00$/)!-!*$'6$/&*&!0$7!#)00O)!,#-')!

!

"#-7$*&3)$7)!-7*#$!P-7-#1Q!KK!R&%%)$!!

E$7!5/-..&71#$!2-.&7&!!!!!STLU?N@LVS!!!!.-.&7&:&W*).0&/):)*!

X)B/)&7&!X&/6)&*)!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!%)B/)&7&:%&/6)&*)W&/)0-:)*!

YB0&!"-.-7*)!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!SSST@U@VLV!!!!/B0&Z,-.-7*)W*).0&/):)*!!

!

)/!#)0&+&*$!1-//&!%)$#7&*&!0$7*#)6B)#[!&!.$.*-7-#-!/-!.,-.-!,-#!

"#$""%&'()%*'+,-%""$,*.+/$,0(0"(+'%1$,-%//&!4)B1&1!1-!/$.!\)7$.!1)!

4$0O&6&'6&!

Page 4: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

n accordo con la Ciudad de los ninos di Cochabamba, con il Patronato San Vin-cenzo e con il gruppo inBolivia2004, si stanno realizzando alcuni micro-pro-

getti per sostenere l'attività della casa.La scelta di realizzare questi micro-progetti ha come scopo quello di dare la possibilità di conoscere, sostenere e vedere realizzate esperienze significative ed economicamente sostenibili anche da piccoli gruppi o da sin-gole persone.Un altro motivo per cui ci sembra opportu-no proporre a tutti voi questi micro-progetti sta nel fatto che la stessa Ciudad, con i suoi operatori e i suoi ragazzi, possono effettiva-mente contribuire non solo sul piano lavora-tivo ma anche economico alla realizzazione di tali progetti.

I primi due micro-progetti che vi proponia-mo sono la realizzazione alla scuola agraria di un apiario con la possibilità di produrre il miele, e la realizzazione della biblioteca presso la Ciudad de los ninos, in particolare l'acquisto del materiale didattico.

L'invito che facciamo a tutti voi è quello di provare a prendere visione dei progetti e di contattarci se qualcuno fosse intenzionato a collaborare per la loro realizzazione.

Progetto apiculturaScuola Agricola Ciudad de los Niños

Introduzione generale

Il centro pilota di Agrozootecnica della Ciu-dad de los Niños è una scuola professionale dell’area agricola che funziona dal 1988. È nato con la cooperazione allo sviluppo del Governo italiano attraverso dell’Instituto Italo Latino Americano e con la collabora-zione del Governo Boliviano, grazie al Mini-stero dell’educazione e cultura.Una volta conclusi i finanziamenti di enti stranieri la scuola rimase a carico esclusivo dell’amministrazione della Ciudad de los Niños, sotto la direzione generale di Padre Antonio Berta.

3

Bolivia

Progetti della Ciudad

I

Page 5: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Attualmente la scuola si trova in un proces-so di rinnovamento dovuto alle nuove sfide economiche e educative che ci troviamo ad affrontare e di adeguamento alla nuova leg-ge educativa vigente nel paese.

Introduzione al progetto

La zona di Itapaya, nella regione di Cocha-bamba, Bolivia, possiede eccellenti condi-zioni per incentivare la creazione dell’attivi-tà di apicultura, dovuta alla presenza di nu-merosi specie di piante adatte all’allevamen-to delle api.L’apicultura è un’attività reditizia, che pre-serva il medio ambiente e promueve la rifo-restazione grazie all’impollinazione delle stesse api.A livello locale, in Cochabamba, la produ-cione di miele è aumentata negli ultiimi an-ni, tuttavia la domanda di miele continua ad essere superiore all’offerta.Tutto ciò garantisce un importante mercato a tale tipo di attività.

Obiettivo generale

Creare un ‘modulo productivò di apicultura nella scuola Ciudad de los Niños nella locali-tà di Itapaya, con finalità educative e come modello di piccola impresa, per coprire la domanda di prodotti derivanti da tale attivi-tà e per complementare l’offerta educativa della scuola.

Obiettivi specifici

• Sviluppare i processi produttivi di miele, propoli e altri sotto prodotti dell’attività di apicultura.

• Introdurre il miele prodotto all’interno della scuola nel mercato di Cochabamba.

• Incentivare processi produttivi negli stu-denti della scuola, come suggerito dalla nuova riforma educativa.

Mete previste

• Si raggiungerà lo sviluppo dell’apiario del-la Scuola Ciudad del Nino come unità pro-

duttiva redditizia nei primi 10 mesi, con la posta in loco di 15 unità produttive.

• Si raggiungerà nei primi 2 anni di progetto la produzione regionale di 15 Kg di miele per unità produttiva, equivalenti a 450 Kg di miele annuo, che rapportato al valore commerciale del miele equivale a un in-gresso lordo annuo di 1940 $.

Finanziamento e Controparte locale

La scuola agrozootecnica Ciudad de los Niños sarà controparte attiva del progetto collaborando con la copertura degli stipendi e la parte di formazione del personale per tutta la durata del progetto.

L’investimento necessario per il progetto prevede un finanziamento di 2.128,15 Euro come base minima indispensabile per co-minciare la costruzione dell’apiario e il suce-sivo funzionamento.

4

Page 6: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Progetto bibliotecaAcquisto materiale educativo e didat-tico per l’appoggio psicopedagogico della Biblioteca della “Ciudad de los Niños”

Introduzione

La Ciudad de los Niños nacque grazie alla volontà del Patronato San Vincenzo di Ber-gamo, con la figura di Don Antonio Berta, sacerdote di Sovere, per occuparsi dell’at-tenzione dei bambini in situazione di ab-bandono della città di Cochabamba, Bolivia.L’istituzione fu fondata il 19 Dicembre del 1971 grazie ad una intuizione del Patronato San Vincenzo ed in particolare di don Bepo. La Ciudad de los Niños si sviluppò con atti-vità puramente assistenziali rispondendo alla realtà socioeconomica del momento, fi-no a consolidare nel corso degli anni una politica di lavoro volta alla formazione inte-grale come progetto di vita per i ragazzi che vivono presso la casa stessa.Dalla sua fondazione sono passati 40 anni, e migliaia sono i bambini e le famiglie che hanno potuto cambiare la loro vita, riceven-do affetto, alimentazione, vestiti, educazione scolastica e tecnica. Ad oggi molti di questi ragazzi sono padri di famiglia responsabili, inseriti stabilmente nella società, con valori umani e cristiani che sono uno dei pilastri della formazione dell’istituzione.Don Antonio Berta è venuto a mancare nel maggio del 2007, ma la sua opera continua viva e con maggiore intensità verso la gio-ventù che lui tanto amò.

Obiettivo Generale del progetto

Permettere il recupero dei bambini/e che, per circostanze socioeconomiche special-mente avverse, si trovano in situazione di orfanato o abbandono, dando loro una nuo-va famiglia, un sistema di educazione inte-grale e il loro reinserimento nella società.

Obiettivi specifici

• Offrire la sicurezza di una famiglia, ali-mentazione, attenzione medica e educa-zione formale a livello tecnico.

• Orientamento pastorale per la formazione di valori cristiani.

• Progettare l’attenzione verso la comunità attraverso differenti cicli educativi, per-mettendo l’ingresso di bambini esterni nel sistema di educazione formale della Ciu-dad de los Niños.

La Ciudad de los Ninos conta attualmente circa 130 fra ragazzi e ragazze dagli 0 agli 8 anni di età, e un equipe educativa di una quindicina di persone, alla quale si aggiunge tutto il personale amministrativo e di manu-tenzione.L’importanza di questo progetto si spiega considerando che la maggior parte dei ra-gazzi presenta difficoltà di apprendimento nel processo di formazione scolastica.Le aree più deficitarie sono quelle del lin-guaggio, comprensione della lettura, motri-cità, coordinazione. Perché l’uso del materiale didattico educativo?

Per accompagnare lo sviluppo dei bambini nei processi relativi al pensiero, al linguag-gio orale e scritto, l’immaginazione, la mi-glior conoscenza di se stessi e degli altri.

Il progetto si sviluppa con la co-partecipa-zione dell’equipe psicopedagogica della Ciu-dad de los ninos e il gruppo di educatori del-l’istituzione, i quali partecipando in diffe-renti riunioni hanno manifestato l’esigenza di migliorare l’attenzione che si offre ai ra-gazzi nell’ambito psico-pedagogico.

I beneficiari diretti sono i bambini della Ciudad de los ninos, in particolare quelli che appartengono all’età pre-scolastica e al ciclo educativo delle elementari, oltre ai giovani e adolescenti dell’istituzione stessa.

5

Page 7: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Quale è il proposito del progetto?

Il progetto aiuterebbe l’acquisto del materia-le educativo e del materiale didattico utile per implementare la biblioteca della Ciudad, il quale servirebbe per stimolare i bambini e i giovani nelle differenti aree, nella risolu-zione dei problemi di apprendimento con materiale specifico, nello sviluppo di abilità cognitive e nell’attenzione dei bisogni emo-tivi.

Nelle differenti età è importante conoscere i loro bisogni e appoggiarli con accompagna-mento psicopedagogico e l’utilizzo di diffe-renti materiali per il migioramento nelle dif-ferenti aree.

Finanziamento

Il finanziamento prevede in sintesi l’acqui-sto di differenti tipi di materiale educativo, psicopedagogico, per la stimolazione delle differenti aree.

Inoltre il progetto prevede l’acquisto di 1 computer da utilizzare all’interno della bi-blioteca, e una piccola parte di materiale per una eventuale esperienza di dopo-scuola.L’istituzione si impegna ad inventariare tut-te le risorse acquisite in modo da assicurare il loro utilizzo per molti anni, in modo che ne possano beneficiare più generazioni di ragazzi.

La sintesi del finanziamento è la seguente:

Materiale psicopedadogico vario 400 "

Materiale di appoggio scolastico 300 "

Materiale per accompagnamentopsicopedagogico 800 "

Totale finanziamento 1.500 "

! Fulvio Diploma

6

Page 8: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

ammino per un sentiero tranquillo, dopo aver percorso un tratto di strada sterrata con l'ambulanza del-

l'ospedale del dott. Pietro Gamba.

È la prima volta che vedo la Bolivia di que-sta stagione e mi sembra meravigliosa, più del solito. Verde, fiorita, la terra pronta per il raccolto delle patate. Mi piace godere di questi paesaggi, mi piace ammirare il gran cielo di Bolivia, azzurro, quasi blu.La stagione delle piogge volge al termine, dicono che quest'anno ha piovuto tanto: un bene, visto che poi non pioverà quasi più per il resto dell'anno. Una buona riserva d'ac-qua. Rimango quasi suggestionato dalla madre terra (la pachamama) che nutre e da vita, che è madre attenta e che chiede di es-sere rispettata.

Preso da tanta bellezza non sento la fatica del camminare; so che mi aspetta un incon-tro con la povertà, la sofferenza e la malat-tia, per il momento mi godo la natura con tutta la sua rigogliosa bellezza. È sempre co-sì quando si sta insieme al dottor Pietro Gamba: parole, silenzi, natura e dialoghi si intrecciano continuamente, nell'attesa del-l'incontro con un malato, perché, non dob-biamo perderlo di vista, sto camminando per andare a trovare una persona che è pas-sata per l'ospedale di Anzaldo, che è stato curato da un gruppo di medici, infermieri e personale con una amorevolezza e profes-sionalità che è a dir poco ammirevole.

Il fatto è che con Pietro tutto diventa una sorpresa, un imprevisto: mi dice ogni volta che vado a trovarlo: dobbiamo programma-re la giornata e poi so già che ci lasceremo come travolgere dalle emozioni e dagli in-contri che capitano un po’per caso. La do-manda che mi gira nella testa e nel cuore è:

chi troveremo alla fine del cammino, quale sarà il malato da visitare? e perché no: quali le sue condizioni?

Ed è così che alla fine del cammino incontro una ragazza più o meno sui 12 anni. Si muo-ve con le stampelle perché è stata operata ad un piede. Viene medicata e visitata dal dott. Pietro e da Silvia, una dottoressa che sta svolgendo del volontariato presso l'ospedale. La ragazza quando si sente dire che va tutto bene, fa un gran sorriso, prende le sue stampelle, le mette in un angolo fuori dalla casa e prova a camminare, finalmente libera di potersi muovere per gli spazi libera della sua terra. Non perde tempo: la scuola e il lavoro la aspettano.

Io non posso fare altro che guardare la scena incuriosito e ammirato. Quelli di Pietro sono gesti semplici, veloci, di mani esperte. Sono gesti di mani che sanno curare la sofferenza con la giusta amorevolezza, con la passione di chi ha scelto di fare questo lavoro come scelta di vita.Sono gesti che ridanno dignità alla povertà, che riescono a mostrare l'altra faccia della medaglia della sofferenza, quella della spe-ranza e della serenità.

Mi soffermo a guardare il volto della ragaz-za, mi sembra di intravedere che a suo modo esprime una serenità, una dignità unica, un po’speciale. Qui, nel campo, la povertà è portata con dignità.La gente che abita da queste parti conosce la fatica, eppure riesce a suo modo ad esprime-re fin dove è possibile la serenità.

Me ne torno all'ospedale del dottor Pietro. Riguardo il gran cielo di Bolivia così azzur-ro, quasi blu. Mi rimane nel cuore una do-manda: non è che forse questo cielo, questi

7

Testimonianze

Dignità

C

Page 9: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

paesaggi sono così aspri, ma di una bellezza rara, oggi introvabile nelle nostre città, per-ché resi così unici da questa povertà vissuta con dignità?Luminoso il cielo, ma luminosi i volti. Rugo-sa la terra, ma rugose le mani che la lavora-no. Generosa la terra quando piove, ma ge-nerosi i cuori di chi prova a servire e dare dignità ad ogni uomo.

! Don Sandro Sesana

8

Page 10: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Adolescenti invisibili

Adolescenti invisibili, così vengono chiamati quegli adolescenti che vivono tutto il dramma della precarietà del lavoro. Non riuscendo ad inserirsi dentro un percorso di studio o di lavo-ro, divengono invisibili alla società e a volte alla famiglia stessa. Sembra che non ci sia un per-corso, un progetto che possa rendere visibile la loro vita.Quando sento narrare delle loro storie di vita ed in particolare delle loro storie lavorative, mi rendo conto che non riesco a metterle insieme secondo una sequenza logica; sono, invece, sto-rie frammentate, non connesse tra loro. Non hanno una trama, non riescono a coniugare so-gno (voglio diventare…), desiderio (mi impegno a...) progetto (se voglio diventare devo fa-re...). Addirittura nella maggior parte dei casi sono storie lavorative involutive, che vanno a ritroso, verso un’incapacità a definire sé stessi nella dimensione di un progetto per il futuro.

Qualcuno ha definito queste storie di giovani che vivono la precarietà del lavoro “drammi spogliati di senso”, o più semplicemente storie vissute con senso di solitudine e di impotenza.I lavori sperimentati nella precarietà il più delle volte diventano luoghi di frammentazione tra vita, lavoro, relazioni amicali e genitoriali. Si tratta di giovani che fanno fatica a vivere rela-zioni amicali stabili, fatica a investire in un senso di appartenenza e di affettività attraverso dei legami forti.Le stesse istituzioni il più delle volte non riescono ad intercettare il mondo frammentato di questi adolescenti e giovani invisibili. La domanda di fondo che le istituzioni si pongono può essere così sintetizzata: “Se sono giovani invisibili perché dobbiamo occuparcene? Visto che le risorse sono così poche è meglio occuparsi di altro”.Succede allora che questi giovani invisibili sono come avviati ad una forma di emarginazione nuova diversa da quella conosciuta fino ad ora. È l’emarginazione del non esistere e di conse-guenza del fatto che nessuno si prende cura di loro.

Il mancato incontro con l’adultoL’adulto che ha conosciuto la stabilità del mondo del lavoro, il mito del lavoro fisso, di fronte a que-sti adolescenti invisibili il più delle volte si sente come spiazzato. In genere l’adulto nel lavoro esprime sollecitudine, impegno, sacrificio, legame profondo con il proprio lavoro, senso di respon-sabilità.

L’adolescente o il giovane precario invece in ge-nere non conosce nessun legame stabile e come conseguenza non riesce a pensare al lavoro come ad un luogo di assunzione di responsabilità e di fedeltà. Vi è come un mancato incontro tra l’espe-rienza lavorativa adulta e giovanile. In questo senso pensate al rapporto stretto che esisteva tra il maestro del lavoro adulto e il giovane apprendi-sta che era felice “di rubare” il mestiere all’adulto.

9

Dossier

Racconti di precarietà

Page 11: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Oggi questo legame si è come rotto.È chiaro che l’unica via che ci permette di ripensare a questa possibilità di incontro tra giova-ne e adulto nel mondo del lavoro, e che è in grado di ripensare a forme di responsabilità lavo-rative nuove, deve passare necessariamente dentro un’esperienza di ascolto, narrazione reci-proca e vicinanza. Addirittura per il giovane che oggi inizia a lavorare sembra diventare fon-damentale essere in grado di elaborare insieme all’adulto non soltanto una capacità lavorati-va, ma una riflessione condivisa sulla propria identità, sul proprio rapporto con gli altri e sulla società.Mi sembra di capire che, se vogliamo far uscire allo scoperto questi adolescenti invisibili, si devono mettere insieme una serie di esigenze: condizioni di tutela del mondo del lavoro di fronte alla sua precarietà e flessibilità, ma anche elementi di senso e di legame nei confronti della società attuale.

Perché lavorare?La precarietà e la flessibilità inducono a pensare che l’unico scopo dell’esperienza lavorativa sia quello di guadagnare soldi, il più delle volte per sopravvivere, quasi mai per investire sul futuro. Interessante è sperimentare invece il lavoro come capaci-tà di cura, di responsabilità, di realizza-zione di sé, di incontro con una forma di bellezza del mondo, di espressione di abi-lità e capacità personali. È chiaro che per entrare in questa logica bisogna struttura-re il mondo del lavoro in una maniera più stabile e sicura.

Ma come fare ad aiutare i giovani a fare queste esperienze? Credo che sia necessa-rio inventare esperienze reali di lavoro che

si muovano nella direzione di realizzare un profitto non fine a sé stesso, ma che generino senso di responsabilità. Servono organizzazioni e imprese in cui si producano beni e servizi non solo da consumare, ma che orientino la vita in una direzione educativa, di responsabilità e di cura.Sono tantissimi i giovani che rimangono come sulla soglia del lavoro, delle sue organizzazioni, della produzione, del profitto. Né fuori del tutto né dentro del tutto, ma sulla soglia e ai mar-gini: in un’incertezza contrattuale fuori dai luoghi decisionali, con poche prospettive di cresci-ta professionale.

Di sicuro a causa di questa esperienza di precarietà, l’orizzonte di attesa sul futuro, il sogno del mondo diverso e nuovo per questi giovani invisibili è quasi evanescente. La costruzione di una generazione con una propria identità come lo è stato per gli adulti oggi si colloca in una zona grigia.

Cosa fare?Mi diceva un giorno un mio carissimo amico: “Invece di scrivere dieci pagine di analisi e una sola di proposte invertiamo le proporzioni: una pagina di analisi e dieci di proposte”.Qui di seguito ho voluto provare a raccontare quello che il Patronato San Vincenzo sta facen-do per questi giovani invisibili. In questo progetto, chiamato “Tempo di Lavoro”, non soltanto troviamo proposte, ma anche e soprattutto la loro realizzazione concreta. Si tratta di una pro-

10

Page 12: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

spettiva che offre un’opportunità ai giovani invisibili per uscire dal loro anonimato ed entrare nel mondo del lavoro con una progettualità di vita bella.

Il progetto “Tempo di Lavoro”L’Opera diocesana Patronato San Vincenzo ha avviato da un paio di anni un progetto nell’am-bito della Piazza del Patronato che si chiama “Tempo di lavoro” e che intercetta gli “adole-scenti invisibili” accompagnandoli a prepararsi alla prima occupazione, a stare in un ambien-te di lavoro ma anche a conoscersi e comprendere in quale tessuto occupazionale inserirsi.Lo fa con colloqui, laboratori ad hoc, stage, avvalendosi di psicologi, educatori e artigiani ca-paci di trasmettere un mestiere e la fiducia in se stessi, ma anche cercando accordi con le principali realtà del territorio (Confindustria, Ascom, Associazione artigiani, Coldiretti Ber-gamo).

In due anni sono stati accolti in questi percorsi 219 ragazzi tra i 16 e i 24 anni: di questi 109 sono stati avviati a percorsi di stage e per una ventina si è arrivati anche a una assunzione. In-sieme al Patronato San Vincenzo stanno dando un apporto fondamentale al progetto anche due realtà cittadine come la parrocchia di San Lorenzo Martire a Redona tramite l’associazio-ne “Le Piane” e la parrocchia di San Giuseppe del Villaggio degli Sposi di Bergamo.

“Già da qualche anno, la percezione di un disagio giovanile, legato al venir meno di possibi-lità di lavoro, aveva condotto il Patronato a interrogarsi e verificare la consistenza e i moti-vi di tale situazione cercando di prevedere quali potessero essere le derive” spiega Isacco Gregis, responsabile del progetto.Il primo segnale di allarme venne da una ricerca della Provincia di Bergamo sugli “adolescenti invisibili” in cui si rilevava appunto che sul territorio provinciale il 19,2% degli adolescenti (uno su cinque), appena concluso l’obbligo scolastico, lasciava il percorso e provava ad avvici-narsi al contesto lavorativo. Da qui la nascita del progetto che ha come obiettivi primari quel-lo della costruzione di una propria identità e autonomia, il confronto con il mondo del lavoro e la prevenzione del disagio.

I giovani, inviati dalle scuole o dai servizi sociali ma anche segnalati dalle famiglie, vengono avviati a un colloquio di orientamento con un tutor e lo psicologo. Un’equipe di cui fanno par-te anche il direttore, il coordinatore, i responsabili di laboratorio individua il percorso idoneo per l’adolescente.Una strada è quella di avviarlo a un laboratorio di manualità che varia dalla falegnameria al-l’orticoltura e che permette di sperimentarsi con dei mestieri ma anche di capire come stare in un ambiente di lavoro. Da qui poi alcuni vengono avviati a stage e percorsi formativi profes-sionalizzanti presso delle aziende legate a realtà del mondo delle imprese (Confindustria), dell’artigianato (l’Associazione artigiani), del commercio (Ascom Bergamo) e dell’agricoltura (Coldiretti Bergamo). Gli stage vengono attivati in collaborazione con l’Agenzia di lavoro del-l’Associazione Formazione Professionale Patronato San Vincenzo. Il Patronato sta cercando ora di allargare le imprese interessate ad accogliere questi giovani attraverso forme di stage.

“Vivono in uno stato di cronica confusione”: così li descrive Maurizio Gualandris, psicologo del Centro Meta del Patronato San Vincenzo, impegnato nel progetto Tempo di lavoro. Gli adolescenti, per loro natura, vivono un momento della vita di passaggio, dai punti di riferi-mento tradizionali (famiglia, scuola, relazioni) allo sviluppo di una propria autonomia e indi-vidualità. Se il contesto socio lavorativo non favorisce questo passaggio - spiega lo psicologo - entra a rischio non solo lo sviluppo dei singoli, ma quello di un’intera comunità che di fatto non cresce. I “Neet”, i ragazzi che non studiano e non lavorano, vivono in uno stato di cronica confusione in cui sono insoddisfatti di se stessi, non hanno hobby, faticano a immaginare il

11

Page 13: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

proprio futuro. Spesso non hanno punti di riferimento: si sentono isolati e non hanno veri amici.

Testimonianze dei ragazziHa lasciato la scuola quattro anni fa: non si sentiva fatto per restare troppo in classe. Il lavoro invece gli piace: impa-ra facendo e per lui è l’ideale. Per un lungo periodo però non ha fatto che passare da un luogo di lavoro all’altro: pasticciere, pizzaiolo, panet-tiere, gastronomo. Andrea Bonfanti ha 20 anni e un cur-riculum di piccoli lavori im-pressionante.Li ha trovati ritornando al Patronato da cui se n’era andato quattro anni prima. Continuava a cambiare però senza trovare il suo. “Fino a quando poi non sono arrivato alla pizzeria Mare-chiaro in via Borgo Palazzo 2– racconta – lì ho trovato un ambiente serio, non mi sfruttano come in altri posti, e mi fanno imparare senza sgridarmi. Ho avuto un contratto a chiamata estivo e ora lavoro nel weekend perché ho deciso di ritornare a studiare. A scuola vado più motivato: ora so che un diploma mi serve, prima me lo sentivo dire e basta”.“Il lavoro per me è la vera scuola” racconta Andrea che ha trovato se stesso grazie al percorso del Tempo di lavoro. “Quello che mi piace qui è che non fai solo la scuola o dei laboratori, gli educatori sanno la tua esperienza personale e questo è importante” conclude.

I laboratoriNei laboratori del Tempo di lavoro del Patronato la cosa importante non è tanto imparare un mestiere quanto piuttosto imparare a conoscersi, a capire quali sono i propri interessi occu-pazionali e le proprie potenzialità, ma anche acquisire autostima e capire come si sta in un ambiente di lavoro.Nel laboratorio, ogni pomeriggio dal lunedì al venerdì, ci sono poco meno di una decina di ra-gazzi, con un educatore, Damiano Gregis, e una serie di artigiani volontari, tra cui Beppe Bo-netti ed Emilio Bertocchi, capaci di trasmettere un mestiere ma anche uno stile di vita. “Stare a casa senza studiare né lavorare – spiega Damiano Gregis – crea profondo disagio in un adolescente: non gli permette di provarsi con un mestiere, di confrontarsi con gli altri, di acquisire autostima. I laboratori hanno soprattutto questo compito: accompagnare la cre-scita di un giovane alla maturità. Lo scopo non è tanto quello di acquisire competenze pro-fessionali quanto sviluppare la propria persona facendo”.Un metodo caratteristico del Patronato, avviato dal suo fondatore, don Bepo Vavassori. “I ra-gazzi imparano a stare sul posto di lavoro – spiega Damiano – s’impara a rispettare regole e orari, a collaborare, a impegnarsi con continuità. Questo li aiuta a crescere”.

! Don Sandro Sesana

12

Page 14: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

l termine dell’estate del 2008 co-minciano a rendersi evidenti i se-gnali di una crisi economico-finan-ziaria che, partendo dagli Stati Uni-

ti e allargandosi a macchia d’olio, ha coinvol-to tutto l’occidente industrializzato, arrivan-do a mettere in difficoltà anche i bilanci delle nazioni. La crisi, dopo le banche, ha colpito la produzione industriale con l’immediato effetto di un calo della produzione che, come conseguenza ha la chiusura di molte aziende, e quindi la perdita di migliaia di posti di la-voro.

Questa situazione, come un grande domino, si è propagata fino a interessare tutto l’appa-rato produttivo, arrivando a coinvolgere non solo i clienti della ditta in cui lavoro, ma an-che i lavoratori. L’idea di proporre quale og-getto di tesi un lavoro sulla crisi economica e produttiva di questi ultimi anni, è nata nel momento in cui ho capito quanto spesso, e in modo sempre più coinvolgente, questo ar-gomento ricorresse nelle chiacchiere scam-biate con i colleghi nello spogliatoio, in men-sa, o davanti alla macchina del caffè.

Le motivazioni riguardano innanzi tutto la posizione che ciascuno assumeva rispetto a quanto stava accadendo nel mondo econo-mico, e in che modo tutto questo ci avrebbe coinvolto; più concretamente come la realtà della fabbrica ne sarebbe stata colpita e quanto fosse a rischio il proprio posto di la-voro.

L’argomento poteva essere collocato in un ambiente sociologico, focalizzando l’atten-

zione sul significato e sulle molteplici sfu-mature attribuite dalle persone alla fase di crisi.

Indagare il comportamento degli individui, analizzando il rapporto con se stessi, con la famiglia, con l’ambiente di lavoro, con gli amici e con il proprio gruppo di appartenen-za in seno alla comunità, era un’ipotesi coin-volgente e appassionante. Viverlo quotidia-namente in prima persona era un’opportuni-tà anche di confronto con ciò che io stesso pensavo e provavo. Il lavoro mi avrebbe of-ferto la possibilità di raccogliere e raccontare pensieri, commenti, e reazioni altrui facen-done la cronaca in tempo reale.

Il nucleo centrale attorno al quale l’attenzio-ne di tutte le persone coinvolte si è concen-trata, è rappresentato dalla paura di perdere il posto di lavoro e di tutto ciò che ne conse-gue. Il posto di lavoro come garanzia di red-dito, di riconoscimento, di posizione sociale, senso e speranza nel futuro, oggi non è più in grado di assolvere questi fini. La disoccupa-zione è in testa alle preoccupazioni della gen-te e il lavoro non è più uno strumento di ascesa sociale.

Lavoro e professione oggi fanno fatica a de-finire l’identità sociale della persona, così come i lavoratori fanno fatica a identificarsi con l’azienda. Le nuove tipologie di contratto sicuramente non favoriscono queste condi-zioni. Perdere il lavoro, o anche il solo esser-ne sospesi è il costo maggiore conseguente a questa crisi.

13

Attualità

Questa crisi, viviamolaall'interno dell'aziendaVi presentiamo l’introduzione alla tesi di Claudio Rota, 53 anni, laureato in scienze dell'edu-cazione all’Università di Bergamo. Caporeparto della fonderia "Mazzucconi" di Ponte S. Pie-tro, ha fatto numerose interviste ai colleghi rispetto alla crisi, dalle quali è emersa una pro-fonda paura e incertezza sul futuro, per loro e le loro famiglie.

A

Page 15: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Non possedere un reddito significa adottare nuove strategie che investono anzitutto l’ambiente di vita: la casa, la famiglia, gli amici nella costrizione di limitare il perime-tro delle relazioni sociali. La crisi ha ridefini-to le caratteristiche di uno stile di vita che pareva ormai sicuro e consolidato.

A essere messa in gioco è la vita quotidiana, nella ricerca del godimento e dei desideri in-dotti dal mercato che lavora sui mezzi e tace sui fini. La limitazione imposta altera gli equilibri e la solidità della persona, rende in-stabili le certezze, i rapporti, modificando ciò che prima era considerata normalità.

Il benessere cui si era abituati ora deve la-sciare spazio alla realtà oggettiva dell’oggi. La nuova condizione di precarietà obbliga a recuperare il ruolo della ragione, accanto-nando la ricerca di visibilità e apparenza, simboli di una società senza sostanza gover-nata dal consumismo immediato continua-mente esibito e sottoposto al giudizio degli altri, per passare alla concretezza richiesta indispensabile a creare nuove e diverse op-portunità.

Emerge il bisogno di trasformare la precarie-tà in una flessibilità intesa come crescita e non come obbligo. Dai colloqui emerge an-sia, paura, insicurezza, ma altrettanto sono presenti voglia di continuare, rimessa in gio-co, fiducia verso se stessi e gli altri: punti di partenza comuni e condivisi da cui ripartire.

Probabilmente le cose non torneranno a es-sere come prima, i ruoli e le posizioni ne usciranno ridefiniti, ricollocando le persone nelle dimensioni che competono loro; tutta-via da questa crisi così inaspettatamente profonda e interminabile, dovrà partire un ripensamento del modello di sviluppo. La crescita continua e lo sfruttamento indiscri-minato delle risorse a disposizione non rap-presentano più un modello sostenibile.

Una trasformazione lenta e faticosa del si-stema, mossa anche da noi stessi, dalle no-stre abitudini e dai nostri stili di vita, dovrà ridefinire i limiti entro i quali mantenere in

equilibrio le dinamiche economiche e sociali destinate a garantire a ognuno pari opportu-nità e pari dignità all’interno di questo mon-do così contraddittorio e spesso confuso.

Imparare dagli errori è un segno d’intelli-genza, condizione necessaria per costruire una cultura verso una condivisione e una giusta distribuzione delle risorse, come pro-dotto della civiltà multietnica determinato dalla globalizzazione.

! Claudio Rota

14

Page 16: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Si parla di “capitalismo flessibile”, ma non sempre si dice cosa sia davvero, come agisca sulle concrete esperienze dei singoli e quanto influisca sulle biografie.

Flessibilità, mobilità, rischio, sono i fattori centrali del cambiamento nello scenario la-vorativo contemporaneo.Finisce l’assistenzialismo, la burocrazia si riduce, l’economia si fa più dinamica e la vita personale ne risente. Non esistono più stabi-lità e fedeltà all’azienda, che erano la forza del vecchio capitalismo; ora valgono incer-tezza, perenne innovazione, frenetico avvi-cendarsi di personale, ma non per questo scompaiono le forme di potere e controllo né le diseguaglianze nelle opportunità.

Questo provoca nei lavoratori comuni un senso di fallimento per l’incapacità di ri-spondere adeguatamente alle nuove sfide, mina alle radici la percezione di continuità dell’esistenza e della tradizione, erode l’inte-grità dell’io.

Si manifesta una progressiva corrosione del carattere, le cui caratteristiche di stabilità, durata e permanenza sono in contrasto con la dinamicità, frammentarietà e mutevolezza del capitalismo flessibile.Lo si vede nei diversi casi narrati da Sennet: Rico, figlio di un’intelligente e insoddisfatta imprenditrice di mezza età; i fornai di un’ipertecnologica panetteria di Boston; e molti altri come loro, protagonisti di questo illuminante e drammatico affresco delle mi-cro-realtà quotidiane che sono il prodotto del nuovo capitalismo.

15

L’uomo flessibiledi Richard Sennett

Cultura

Page 17: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Sempre attento a registrare e riportare i cambiamenti della vita sociale del Paese, Paolo Virzì è capace di rielaborare la com-media all’italiana. Ciò che emerge dai suoi film è sempre una riflessione su ciò che sia-mo diventati o che stiamo diventando, è il mondo che viviamo o che ci circonda da molto vicino.

Anche la peggiore delle situazioni, come quella qui raccontata di una ragazza intelli-gente e laureata costretta, come tante altre, a lavorare in un call center perché quella è l’unica occupazione che le si offre, viene stemperata con quel tono ironico che riesce nell’impresa di intrattenere e allo stesso tempo a gettare una forte malinconia.

Non è un caso se in un momento del film si riveda un frammento di quel “C’eravamo

tanto amati” che ricostruiva il ritratto di una generazione, quella che dopo la guerra pen-sava che tutto sarebbe stato possibile. “Vo-levamo cambiare il mondo, ma il mondo ha cambiato noi” diceva l’ex professore Nicola Palumbo. La generazione di oggi forse un ideale neanche lo ha mai avuto, il sistema e il pensiero attuale hanno fatto sì che in po-chi pensino che la solidarietà e l’unione sia-no in grado di fare la forza. Non solo le col-leghe di Marta, la protagonista, non ascolta-no e non si rivolgono al sindacalista inter-pretato da Mastrandrea, ma quest’ultimo stesso rappresenta un personaggio contrad-dittorio e non così efficace, attento forse an-che lui più alla notizia che al radicamento del problema.

L’occhio senza pregiudizi di Marta diventa così l’espediente per scandagliare un univer-

16

Cultura

Tutta la vita davantidi Paolo Virzì

Page 18: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

so di tipi umani sempre più reali. Non c’è condanna in Virzì neanche per chi non sta all’ultimo gradino della scala gerarchica: i capi sono personaggi altrettanto tragici e miseri nella loro vita da reality.

L’ossessione per essere dei numeri uno, la prostituzione del corpo (come accade al per-sonaggio di Sonia) e quella del cervello, la meschinità con cui aziende che cercano di vendere per telefono cercano di farsi riceve-re a casa puntando sulla bontà di cuore di persone per lo più anziane preoccupate del mondo che stanno lasciando: “se riceverà un nostro incaricato aiuterà noi giovani che la-voriamo qui al call center e che veniamo pa-gati ad appuntamento”.

Sono tanti gli spunti veri (per chi non lo sa-pesse, in quei luoghi davvero c’è la musica prima di iniziare la giornata, così come sono realistici tanti altri momenti).Dietro quella che potrebbe sembrare ogni tanto una forza-tura (l’omicidio in ufficio o la video chiama-ta sul seno), c’è sempre un elemento di ri-flessione da far passare o un ballo da inse-gnare perché si cominci a capire quale sia il

ritmo di questa vita che il titolo del film dice essere davanti, mentre il film stesso puntua-lizza essere sì davanti, ma chiusa.

Perfetto tutto il cast, capitanato dalla quasi esordiente Isabella Ragonese. La sua bellez-za non appariscente, il suo sguardo non giu-dicante, ma comunque deciso e attento, bu-ca lo schermo.

~ · ~

È questa la vita che ci aspetta? E’per questo che ragazzi come noi studiano? In questo periodo, in cui spesso si parla di crisi eco-nomica, ciò che si respira per strada, sui treni, nei posti di lavoro, in famiglia è una profonda crisi di valori.

Crisi di valori semplici ed autentici, come la dignità umana, la riservatezza, l’onestà e la trasparenza.

La mancanza di questi valori rende la so-cietà in cui viviamo sfrontata e vuota, sen-za scrupoli, disposta a qualunque cosa pur di guadagnare, pur di rimanere legata al valore dei soldi, pur di arricchirsi…

È in questo modo che vogliamo vivere? Crediamo che dentro le nuove generazioni possa ancora esistere un senso di apparte-nenza e di vicinanza che parla dell’uomo e delle sue relazioni.

Una società più vivibile può esistere solo se i singoli individui riescono ad entrare in re-lazione, andando al di là del puro interesse personale ed economico, riscoprendo che in ogni volto, in ogni sguardo risiede una sto-ria fatta di sofferenze e di gioie, una storia che rende ognuno di noi unico e pieno di ricchezza.

! Lara Grane!i, Elisabetta Cattaneo

17

Page 19: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Quale?

Non lo vedo

Vorrei collaborare

Imparare

Diventare un vero lavoratore

Essere trattato come tale

Non per un progetto

Non occasionalmente vorrei essere impiegato

Per la mia vita

Il mio futuro…indeterminato

Nabil e Ismael

Sono giovani e vogliono lavorare

Crescere

Bussano alla porta dell’Autofficina Sana

Venite

Non assumiamo

Venite

Non garantiamo il compenso

Venite

Per tre mesi

Forse..

18

Lavoro a tempodi Costanza Olmo

Poesia

Page 20: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

Opera diocesana Patronato San Vincenzo, su iniziativa del Centro per l’Adolescenza META, ha avvia-to da un paio di anni un progetto,

il «Tempo di Lavoro», il cui obiettivo è quel-lo di intercettare giovani dai 16 ai 25 anni, accompagnandoli a prepararsi alla prima occupazione ed a inserirsi in un contesto la-vorativo.

Le motivazioni che spingono i ragazzi a ri-volgersi al Tempo di Lavoro sono diverse: alcuni hanno assolto l’obbligo scolastico ma non hanno terminato l’iter formativo, ritro-vandosi senza una specializzazione da spen-dere nel mondo del lavoro; altri hanno perso la loro occupazione; alcuni provengono da situazioni di disagio sociale o familiare; altri hanno difficoltà personali che limitano la loro operatività; altri ancora hanno proble-mi di integrazione in quanto extracomunita-ri.

Nonostante le diverse situazioni, tutti i ra-gazzi hanno come principale aspettativa la possibilità di trovare un posto di lavoro, an-che dopo un eventuale periodo di tirocinio o di prova.

Un’equipe di operatori individua il per-corso idoneo per l’adolescente, avvian-dolo ai laboratori di manualità.

In questi spazi non è tanto importante apprendere un mestiere, quanto piutto-sto imparare a conoscersi, a capire quali sono i propri interessi occupazionali e le proprie potenzialità, ad acquisire auto-stima al fine della costruzione della propria identità ed autonomia. Nei la-boratori, in giornate ed orari prestabili-ti, si alternano una ventina di ragazzi, con un educatore e una serie di artigiani volontari che cercano di insegnare loro

come si sta in un ambiente di lavoro, ri-spettando regole ed orari, collaborando ed impegnandosi con continuità. Tutto questo, infatti, è motivo di crescita.

Successivamente molti ragazzi del progetto vengono avviati a stage e percorsi formativi professionalizzanti presso aziende o artigia-ni del territorio; in alcuni casi il periodo di tirocinio si conclude con l’assunzione.

I laboratori di manualità (Laboratorio di Ar-ti e Mestieri) sono costituiti da tre attività prevalenti: la falegnameria, l’orticoltura e il laboratorio creativo, quest’ultimo rivolto al-le ragazze.

L’attività di falegnameria consiste nella rea-lizzazione di piccoli manufatti in legno quali lampade, orologi, sgabelli, appendiabiti, ta-glieri, ecc., nella costruzione di scaffalature in legno e nel ripristino di banchi di chiesa o mobilio. Il lavoro svolto consente ai ragazzi di apprendere l’utilizzo di varie attrezzature, nonché le tecniche di lavorazione e tratta-mento del legno, sviluppando accuratezza

19

Progetto “Tempo di lavoro”del centro per l’adolescenza META

Volontariato

L’

Page 21: Compartir 19 - Lavoro e precarietà

ed attenzione nello svolgimento della pro-pria mansione e dando spazio alla creatività.

L’attività di orticoltura consiste nella produ-zione di ortaggi, piccoli frutti e piante aro-matiche di vario tipo, sia all’aperto che in serra, nella coltivazione di piante da frutto quali meli, peri, albicocchi, cachi, noci ed uva, e nella manutenzione di prati e pian-tumazioni. In questo ambito i ragazzi acqui-siscono alcune metodologie di coltivazione, sperimentando anche la fatica fisica, con condizioni atmosferiche talvolta sfavorevoli.

Infine, nel laboratorio creativo si realizzano piccoli oggetti decorati quali portacandele, bomboniere, portafoto ed accessori vari. Ciò consente alle ragazze di esprimere tutta la loro creatività, imparando le diverse tecni-che di assemblaggio e decorazione.

Gli oggetti prodotti nei laboratori di fale-gnameria e creatività sono realizzati su commissione o venduti tramite botteghe e cooperative, mentre il raccolto degli orti viene distribuito al gruppo di sostenitori “Amici del Patronato”. Ciò consente di avere in parte una propria autonomia economica, utile al proseguo delle numerose attività presenti.

Possiamo dire che il progetto “Tempo di La-voro” è la continuazione di un percorso che il Patronato ha cercato di realizzare negli anni, dimostrandosi sempre attento ai cam-biamenti sociali; in particolare Don Bepo sottolineava un ulteriore aspetto importan-tissimo:

“…Sappiamo bene di non avere esaurito il nostro compito quando abbiamo dato al nostro giovane un pane, un tetto, un me-stiere, una professione, quando abbiamo donato un sorriso; potremmo aver formato un egoista, geloso della propria sicurezza raggiunta. Questo ci preme assai: i nostri giovani non debbono solo ricevere, ma debbono saper donare”.

20

Page 22: Compartir 19 - Lavoro e precarietà