Come Una Bambola Kokeshi

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COME UNA BAMBOLA KOKESHI

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Kokeshi, chiamata così per la sua somiglianza con le bamboline giapponesi, ha sette anni e vive nel bosco. Non ha i genitori, ma gli abitanti del posto la amano come una figlia.Un giorno Kokeshi incontra nel bosco un oni di nome Hiei; l'episodio la spingerà a cercare l'amore di una famiglia, cambiandola per sempre.

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COME UNA

BAMBOLA KOKESHI

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La chiamavano Kokeshi perché era piccola, graziosa e

malinconica, come una bambola kokeshi.

Kokeshi aveva sette anni. La pelle chiara ricopriva un corpo

esile, da cui ci si sarebbe aspettati un viso altrettanto

smilzo. Invece no, il suo era rotondo, con due guance piene

e colorite; a incorniciarlo, un caschetto di capelli scuri,

lucido e voluminoso.

I grandi occhi avevano lo stesso colore del sumi1 disciolto, e

veniva quasi voglia di intingervi il pennello. In fondo a quel

nero ardeva una luce calda e avvolgente, simile a quella

custodita dalle braci.

Kokeshi non aveva i genitori, ma gli abitanti del villaggio si

prendevano cura di lei come fosse figlia loro. Se aveva

bisogno di vestiti, la signora Shirou non esitava a

cucirgliene di nuovi; il buon Yo le regalava panini, focaccine

e dolci di ogni sorta; la signorina Tsukemono le aveva

insegnato a leggere, diceva che era importante.

La bambina si sentiva molto amata, e ricambiava senza

sforzi l'affetto dei suoi benefattori. Cercava così di ripagarli

con lavoretti, commissioni, ma soprattutto, con i suoi

grandi sorrisi.

Quando la sera tornava nella sua piccola casa in mezzo al

bosco, Kokeshi però si sentiva triste. Il suo cuore tremava.

1 Bacchetta di inchiostro solido da cui deriva lo stile pittorico sumi-e.

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Tentava di sconfiggere quel malessere nell'unico modo che

conosceva: dormendo. Si infilava la minuscola camicia da

notte, si pettinava il caschetto con la spazzola sdentata e si

tuffava sotto le coperte, fredde ma accoglienti. A tenerle

compagnia, la luce aranciata della lampada ad olio.

Prima che il sonno la cogliesse, Kokeshi soffiava lieve sulla

fiamma e, una volta al buio, riservava gli ultimi barlumi di

lucidità alla sua fantasia. Immaginava che due mani le

rimboccassero le coperte, e che una voce soave le

sussurrasse canzoni di terre lontane. Solo allora riusciva ad

addormentarsi. Quella magia era tuttavia breve e sottile,

perché al mattino Kokeshi si risvegliava senza nessuno

accanto. Dopo qualche istante di smarrimento, si guardava

attorno e, sconsolata, mormorava “era solo un sogno”.

Un mattino che vagava per il bosco, Kokeshi udì in

lontananza lamenti e singhiozzi. Diede un'occhiata in giro, e

notò una figura grande e grossa seduta su un tronco; decise

così di andare a curiosare. Quando fu abbastanza vicina,

trasalì: la pelle rossastra e le corna rivelavano un oni,

proprio come quelli delle storie narrate dai vecchi.

Spaventata, tentò di allontanarsi senza far rumore, ma

proprio allora l'oni si accorse di lei.

Kokeshi si pietrificò.

– Ciao piccola, – la salutò il demone, tra un singhiozzo e

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l'altro.

– Non... non farmi male, ti prego! Non uccidermi! – lo

supplicò lei.

– Farti male? Ucciderti? Non ne ho intenzione, – la rassicu-

rò placido. – Il mio nome è Hiei. Sono buono, sai?

La bambina era disorientata: non aveva mai sentito di un

oni buono e non credeva alle parole di quell'essere.

– Come ti chiami? – domandò Hiei.

– Ko... Kokeshi. Mi chiamano tutti così.

La paura lasciò così il posto alla curiosità; la piccola si fece

coraggio e chiese alla creatura – Perché piangi? Non ho mai

sentito di un oni che piange.

– La mia gente... la mia famiglia! Non mi vogliono. Mi han-

no cacciato! Dicono che non sono cattivo e si vergognano di

me. Non posso più tornare a casa. Mi sento solo e triste.

Kokeshi era diffidente. Poteva essere una bugia, o magari

era era la verità. Per quanto ne sapeva, gli oni erano esseri

bugiardi, maligni e senza scrupoli, portatori di calamità e

sofferenze. Le era difficile credere che il personaggio davan-

ti a sé non fosse malvagio. Eppure quelle due parole, “triste”

e “solo”, bastarono per indurla a fidarsi.

Kokeshi decise di consolare Hiei, perché lo capiva. Si sedet-

te sul tronco accanto a lui, e gli raccontò quanto si sentisse

anche lei triste e sola, soprattutto la sera. Gli confessò che

una famiglia non l'aveva mai avuta, e che l'amore degli abi-

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tanti del villaggio non le bastava più. Voleva appartenere a

qualcuno, si sentiva incompleta.

Hiei, che nel frattempo aveva smesso di piangere, ascoltò

Kokeshi in silenzio. Riprese la parola solo quando la bambi-

na ebbe terminato.

– Mia piccola Kokeshi, il tuo è un cuore fantastico, caldo e

pieno d'amore per le persone a te care. Chiunque fra loro

vorrebbe possedere un simile tesoro.

– Cosa intendi? – domandò confusa la bambina.

– Che se offrissi il tuo cuore alle persone che ami, allora sa-

resti finalmente felice e non ti sentiresti più incompleta.

Kokeshi restò in silenzio, i pugnetti chiusi sotto il mento in

segno di riflessione. Non mise più in dubbio l'onestà del

demone, anzi, si meravigliò di come lei stessa non avesse

mai pensato a quella soluzione.

– Hai ragione! – esclamò entusiasta. – Ci proverò. Andrò a

bussare alle porte degli abitanti del villaggio e donerò loro il

mio cuore.

– Allora va'. Io ti aspetterò qui, – disse l'oni, – il bosco è la

mia nuova casa.

Kokeshi saltò giù dal tronco, salutò il demone, e si

incamminò in tutta fretta verso il villaggio.

Giunta in paese, la bambina si appartò qualche minuto

dietro a un albero per raccogliere le parole che l'avrebbero

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condotta alla felicità. Non era facile: doveva sceglierle bene,

pesarle con cura, dar loro la forma di un mondo possibile.

Quando si sentì pronta, prese un bel respiro e puntò dritto

verso la casa della signora Shirou.

La donna era vedova da molti anni, Kokeshi pensò dovesse

sentirsi molto sola in quella grande casa, proprio come lei.

Le volte che ci era stata, si era accorta dell'eco dei suoi passi

per i corridoi, e di quanto fossero fredde le stanze, senza

nessuno che le abitasse.

La signora Shirou era la persona giusta.

Davanti alla porta, Kokeshi si aggiustò i capelli e il vestito,

poi ripassò a mente il suo discorso. Infine bussò.

Non dovette attendere troppo; dopo poco la porta si

spalancò e la padrona di casa si manifestò sulla soglia.

– Buongiorno signora Shirou, – esordì la bambina.

– Oh, ciao Kokeshi cara! Come mai da queste parti? Ti serve

qualche vestito? Lo sai che mi fa sempre tanto piacere far-

tene...

– La ringrazio signora, ma a dir la verità sono qua per farle

un regalo!

– Un regalo? – si sorprese l'anziana. – Entra pure, ci pren-

diamo una bella tazza di tè.

Kokeshi accettò l'invito.

Entrò in casa, sprofondò sul grande divano imbottito e atte-

se il tè. Con la tazza fumante tra le mani a darle manforte, la

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bambina spiegò tutto alla donna. La signora Shirou sorrise

con dolcezza, eppure il sapore del suo sguardo era amaro.

– Cara Kokeshi, mi lusinga che tu voglia farmi un regalo

tanto prezioso. Ma non posso accettarlo, – rispose con voce

incerta.

Gli occhi della bambina non riuscirono a trattenere la de-

lusione, e si inumidirono.

– Non è colpa tua, – proseguì la donna, – è che sono vec-

chia, ormai. Non potrei occuparmi di te come meriteresti.

Mi dispiace tanto, piccola cara.

Kokeshi forzò un'espressione distesa.

– Non fa niente, – mentì.

Posò il tè, ormai freddo, e si accomiatò. Si sentiva una scioc-

ca.

Determinata a non farsi scoraggiare da quel rifiuto, Kokeshi

decise che avrebbe perseverato nella sua missione.

La meta successiva fu il negozio del signor Yo.

L'uomo aveva un gran cuore, e si era sempre dimostrato be-

nevolo nei confronti della bambina. Non aveva figli, ma una

moglie, quella sì, anche lei adorabile. Kokeshi era emozio-

nata al pensiero che il suo dono potesse essere accettato

dalla coppia, ma non voleva illudersi.

Arrivata a destinazione, non ripassò il discorso; varcò deci-

sa la soglia del negozio e cercò subito lo sguardo di Yo.

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Quando questi la vide, si illuminò.

– Ciao Kokeshi, – la salutò, – cosa preferisci mangiare

oggi?

– Niente signor Yo. Oggi sono io a volerle dare qualcosa!

L'uomo, stupito, fece accomodare la bambina sullo sgabello

dietro al bancone e ascoltò attentamente quel che aveva da

proporgli. Quando ebbe finito, Yo si strofinò le mani sul

grembiule, tradendo del nervosismo; era visibilmente a di-

sagio.

– Il tuo regalo è meraviglioso, piccola mia, davvero. So che

sei una persona speciale, ma non posso accettarlo. Saresti

una benedizione per me e mia moglie, tuttavia i soldi basta-

no a malapena per noi due. Non potremmo prenderci cura

di te come meriteresti. Mi dispiace tanto, Kokeshi, – spiegò

Yo desolato.

La bambina si sentì venir meno. Stringeva i piccoli pugni

per soffocare lo sconforto, eppure non riusciva a stare me-

glio. Quel secondo rifiuto faceva male.

Scese dallo sgabello, ringraziò Yo con un veloce inchino, e

uscì in fretta dal negozio.

Seppur avvilita e sconfitta, Kokeshi non se la sentiva di ar-

rendersi, non era ancora il momento.

Scelse di fare un altro tentativo: la signorina Tsukemono.

Le era sempre parsa una persona intelligente e sensibile;

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era giovane, bella e viveva da sola. Si dedicava all'arte della

pittura e della musica, era di indole gentile e tutti nutrivano

una grande stima per lei.

Kokeshi si presentò alla sua porta nel tardo pomeriggio, ca-

rica della finta determinazione di chi è ormai rassegnato.

Quando la signorina Tsukemono aprì la porta e la vide, non

sembrò affatto sorpresa, anzi. Era come se la stesse aspet-

tando, come se non avesse atteso altro per tutto il giorno.

– Buonasera Kokeshi, – la accolse. La bambina arrossì.

– Perché non entri? Ho sfornato dei biscotti, sono sicura ti

piaceranno.

Kokeshi non si fece pregare oltre ed entrò in casa.

Tra un biscotto e l'altro, la piccola si fece forza e offrì il suo

cuore alla signorina Tsukemono. A quel punto, la giovane

donna le si avvicinò, allungò una mano e le carezzò il viso

con affetto.

– Oh, Kokeshi, – disse, – mi rendi molto, molto felice. Un

dono simile non ha prezzo, ha un valore inestimabile. Non

ho parole per esprimere la mia gioia.

Le scintille negli occhi di Kokeshi brillarono come mai pri-

ma di allora, sul volto le si allargò il sorriso.

– Però... – riprese la Tsukemono, che d'improvviso si fece

cupa, – non so. Non credo di essere la persona più indicata

per crescere una bambina. Dedico le mie giornate all'arte,

che mi assorbe completamente. Spesso trascuro la casa,

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perfino me stessa! Mi dispiace cara, temo non riuscirei a

prendermi cura di te come meriteresti.

A quelle parole, la piccola lasciò cadere i biscotti e corse via,

lontano da quella casa in cui, per pochi istanti, si era illusa

sarebbe stata felice.

Al calar della sera, Kokeshi, in lacrime, fece ritorno al bo-

sco.

Là ritrovò Hiei, seduto sullo stesso tronco su cui l'aveva la-

sciato quella mattina.

– Mi hai mentito, oni! – lo accusò la bambina. – Nessuno

ha voluto il mio cuore! Nessuno ha pensato fosse un tesoro!

– piangeva.

– Non sono stato io a mentirti, piccola Kokeshi, – rispose

Hiei. – A mentirti è stato chi diceva di amarti. Il tuo cuore è

un tesoro prezioso, ma potrà apprezzarlo solo chi lo rico-

noscerà, – concluse.

– Se lo desideri, – aggiunse, – punirò coloro che ti hanno

respinta, così che il tuo dolore diventi il loro.

– No, non è mio desiderio, – lo fermò pronta Kokeshi.

– E cosa desideri allora, adesso che il tuo cuore è ferito e

non hai più certezze?

– Vorrei non averlo, il cuore, – disse risoluta la bambina, le

lacrime a rigarle le guance. – A cosa serve un cuore, se non

può amare? Se tutto ciò che riesce a provare sono tristezza e

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dolore? Vorrei essere di legno, come una bambola kokeshi,

e allora nulla potrebbe più ferirmi.

L'oni la guardò affranto.

– È questo ciò che realmente desideri?

Kokeshi non proferì parola, i grandi occhi scuri fissi sulla

creatura.

Il mattino seguente pioveva a dirotto.

Sul davanzale della piccola casa nel bosco, una graziosa

bambola kokeshi osservava le gocce battere contro il vetro.

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