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1 Come Claude Monet, Mauro Bazza davanti ad un soggetto faceva la posta al sole e alle ombre, catturando con poche pennellate il raggio di luce, le nuvole di passaggio ma soprattutto i riflessi sull’acqua dell’amato fiume Brenta, per lui importante luogo di ispirazione. In questo opuscolo un assaggio di quella bellezza naturale che Mauro riusciva a captare per arricchire di colore quel profondo respiro che ogni quadro induce. Mauro Bazza - “Al Mattino” - olio su tela

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Come Claude Monet, Mauro Bazza davanti ad un soggetto faceva la posta al sole e alle ombre, catturando con poche pennellate il raggio di luce, le nuvole di passaggio ma soprattutto i rifl essi sull’acqua dell’amato fi ume Brenta, per lui importante luogo di ispirazione.In questo opuscolo un assaggio di quella bellezza naturale che Mauro riusciva a captare per arricchire di colore quel profondo respiro che ogni quadro induce.

Mauro Bazza - “Al Mattino” - olio su tela

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Io non ho bisogno di denaro.Ho bisogno di sentimenti,

di parole, di parole scelte sapientemente,di fi ori detti pensieri,

di rose dette presenze,di sogni che abitino gli alberi,

di canzoni che facciano danzare le statue,di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti...

Ho bisogno di poesia,questa magia che brucia la pesantezza delle parole,

che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Alda Merini

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INTRODUZIONE

“Io non ho bisogno di denaro ma di poesia”, recita Alda Merini nella sua bella poesia che a me ricorda tanto un bel giorno di primavera passato, in un giardino fi orito. Ed è vero, una persona protesa ad accumulare ricchezze è povera dentro perché non lascia spazio al proprio animo di vivere la vita con emozione, di amare il prossimo o di guardare un arcobaleno dopo una tempesta come abbiamo imparato a fare noi dopo la nostra “avventura”.

Io sono molto orgogliosa di vedere realizzato questo opuscolo perché è frutto di tanti e forse anche assillanti inviti da parte mia a scrivere. Sono certa che rimarranno sorpresi e soddisfatti soprattutto gli autori stessi di trovare tra queste pagine la testimonianza dei loro vissuti, tutti “importanti momenti di vita interiore”, come recita Lucia nella presentazione.

Pertanto desidero rivolgere un grazie di cuore a tutti gli autori ma soprattutto ancora un invito a scrivere per continuare la tradizione della Rassegna e magari realizzare altri opuscoli.Non posso non ringraziare la giuria composta da Maurizia Rossella Perandin, scrittrice e poetessa; Luccia Danesin, poetessa e pittrice; Anna Artmann, giornalista, per aver operato la scelta degli elaborati da premiare e per la loro presenza a tutte le cerimonie di premiazione.Un caloroso grazie anche a Filippo Crispo, attore e professore di arte drammatica, per aver fatto vivere gli elaborati premiati con la sua voce inconfondibile e coinvolgente.Un caro ed affettuoso grazie a Fiorenza Bazza, per averci permesso di arricchire l’opuscolo con i bellissimi quadri del carissimo amico Mauro.

Grazie,

Caterina Tanzella

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PRESENTAZIONE

Il presente fascicolo nasce con l’intento di dare testimonianza degli elaborati prodotti nell’ambito del laboratorio di scrittura creativa, tenuto dalla nostra Associazione e delle poesie-racconti vincitori della Rassegna di poesia e narrativa “La Vita Riconquistata”.

Si tratta di due iniziative a cui l’Associazione ha dato vita perché, nel corso della sua esperienza ultra decennale, ha visto gli effetti benefi ci che può avere, sulla persona malata, il riuscire ad esprimere e comunicare i propri stati d’animo.La sensibilità che emerge durante e dopo un’esperienza di malattia, può diventare uno strumento di recupero se ben incanalata in situazioni creative che, oltre a dare grande soddisfazione all’autore, risultano un potente stimolo a chi si trova in situazioni analoghe e si vede rispecchiato nel prodotto creativo.L’espressione e anche la comunicazione dei propri percorsi di vita, diventano così segno tangibile di una possibile ripresa, fonte di speranza per chi ancora si trova nel buio, raggi di luce che orientano verso un personale recupero.

Al di là della riuscita estetica, che comunque ci sembra molto valida, questi racconti e poesie sono un pezzo di umanità, anzi un pezzetto del cuore delle nostre donne, un regalo prezioso da accogliere con rispetto e attenzione.Abbiamo visto che entrambe le iniziative sono piaciute e hanno riscontrato grande successo.In particolare, gli incontri riservati alla premiazione dei vincitori della rassegna si sono svolti in un clima sempre intimo, oserei dire di raccoglimento.Infatti il pubblico presente si aspettava, e così è sempre stato, il dispiegamento di importanti momenti di vita interiore, che sono stati accolti con sincera adesione e partecipazione.Tutti nella vita abbiamo sperimentato come il “voltar pagina”, l’uscire da tunnel oscuri, il recuperare fi ducia nella vita, rappresenti un’ esperienza esaltante, potete così immaginare quanto esaltante sia riuscire a dar voce a queste esperienze, riuscire a tradurle nero su bianco, in prodotti fi niti (poesie e racconti) da veicolare al mondo. È un modo per marcare il passaggio, per sancire uno spartiacque, per procedere con passo più deciso ad un recupero di sé a livello sia interiore che esteriore.

Per quanto riguarda il laboratorio, esso è avvenuto in sede comunitaria, in una sorta di comunione di cuori e di sensibilità che ha avuto un effetto sinergico, ha potenziato cioè lo slancio creativo e il coraggio di esprimersi.Tutto questo in un contenitore quale è l’Associazione, che sa garantire spazi, appoggi, sostegno alla libera espressione di sé, soprattutto quando essa diventa conditio sine qua non per un recupero effettivo e duraturo.

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Il fatto che le autrici delle poesie non siano poetesse di professione, rende la loro produzione, paradossalmente, particolarmente accattivante, in quanto forse più diretta e spontanea. Risulta così più facile l’identifi cazione per altre donne che hanno vissuto o stanno vivendo il problema. Vi chiediamo di entrare in questo “mondo poetico” in punta di piedi, per poter cogliere le risonanze profonde che queste composizioni emanano . Sono echi e risonanze lontane, che vengono dal profondo ma, è questa la magia, sono anche a fi or di pelle, vicine a tutti quelli che sanno entrare in contatto con le proprie emozioni.

Grazie e buona lettura.

Lucia Andriolo Stagno

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PREMESSA

della Giuria della Rassegna di Poesia e Narrativa “La Vita Riconquistata”

L’esperienza interiore della malattia, trasforma lo sguardo sulle cose: le guardavamo, ora le vediamo; troviamo i loro veri contorni. Avviene anche una selezione, si mette ordine e priorità. Così anche nei sentimenti spesso non espressi e dati per acquisiti; in queste occasioni vengono percepiti e così rivissuti con più intensità e consapevolezza.Questa è la rinascita che subentra al superamento della malattia: il rinnovarci ogni giorno, il ringraziamento per quanto prima davamo per scontato e posseduto.

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PRIMO PREMIO POESIE RASSEGNA “LA VITA RICONQUISTATA” 2006

Motivazione della Premiazione della Poesia “Per Sempre”

La composizione “Per sempre” è un incisivo monologo interiore in cui la persona che scrive, esprime una ricca gamma di sentimenti: dolore, debolezza, speranza, forza. Il presente problematico viene vissuto in modo anche fantastico, sublimando con metafore appropriate i momenti critici fi no a trovare un’apertura verso un futuro più sereno per dare certezza all’esistere.Il tutto è espresso con ritmo armonioso e sicurezza di scrittura.

PER SEMPREdi Vanes Ferlini

Vedo la mia ombra, laggiùaddormentarsi sopra un cuscino di pietra

e mani di gomma ricucire lo strappoe occhi di vetro rabbrividireal soffi o gelido del metallo

Una fi nestra di luce mi attraein danza di coriandoli,non chiuderò gli occhi

davanti all’orizzonte screziatonon nasconderò tesori

sotto la sabbia della disperazione…cavalcherò vele di speranzaallungherò le mani all’aurora

sfoglierò petali di corsacome giorni rapiti al calendario,

fi ori secchi tra le dita rinascerannogermogli di speranza

nella stretta di mani vigoroseLa belva nera ruggisce nell’angolo,

forse domani si acquieterà…sarò giocoliere e domatore,

rimbalzerò il mondo nelle bracciae con la frusta avvinghierò il domani

Per sempreRicorderò chi sono.

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PRIMO PREMIO NARRATIVA RASSEGNA “LA VITA RICONQUISTATA” 2006

Motivazione della Premiazione del Racconto“Stasera non spengo la luce”

Il racconto è un breve diario che descrive pagine di dolore e smarrimento di fronte alla scoperta e all’evoluzione della malattia.Affronta con effi cace spontaneità il susseguirsi di pensieri lucidi e zone d’ombra.Con stile conciso ed incalzante la persona che scrive esprime il suo vissuto che si fa messaggio di speranza e amore per la vita.Per superare l’angoscia e la paura della notte ricorre alla pittura e all’uso dei colori.La nascita di una nipotina segna il felice passaggio verso un futuro di luce.

STASERA NON SPENGO LA LUCEdi Rita Mazzon

Stasera non spengo la luce.L’abat-jour sul comodino rifl ette ombre oblunghe.

Scruto il mobile con un cassetto aperto, dove occhieggiail lembo di un foulard azzurro.

Domani lo annoderò al collo per farmi sentire in cielo.Domani, o forse adesso, lo stringerò forte,più forte fi no a lacerarmi in un sospiro.

La notte è troppa. È grande. È lunga. Sono solo le tre!La notte mi fa paura.

E pure di giorno ho voglia di rintanarmi nei miei angoli di casa.Chiudo i vetri, tiro giù le persiane, tiro le tende. Dalle fessure fi ltra la luce.

Filo di speranza leggera, impalpabile, viva. Ha un senso per me questa parola?Nella notte i miei problemi assorbono tutte le ombre e si ingigantiscono

e mi martellano.Sono malata di….Non ho il coraggio di dirla quella parola.

Mi sembra di essere marchiata: unabestia destinata al macello.

Il dolore mi prende e mi sventra da dentro.Ho sempre avuto terrore degli ospedali, della fl ebo, degli aghi.

Sapore di sangue che preme in gola.La testa è istupidita dal pensiero fi sso, che trasuda dalle pareti di casa, che

incombe e restringe le stanze.Domani metto all’aria le lenzuola, sole solamente sole.

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Io però non la voglio la luce.Io non posso usufruire del calore di un raggio. Gli altri sorridono.

A me non è concesso.Quando cammino mi sembra di essere additata: “Poverina! Quella, la vedi?

Quella che cammina piano…e sì quella. Ha il cancro!”Non la voglio la pietà! Lo capite? Bella forza!

La salute cattiva non si condivide con le parole buone.La mia lotta è mia, solo mia.

Avevo pensato di farla fi nita. Non ci riesco.I miei compiti li ho eseguiti tutti.

Sono stata moglie ed oggi sono vedova.

Sono ancora madre e le mie fi glie si sono sposate. La più grande è pure incinta.Chissà se riuscirò a vedere la mia nipotina?

Io non faccio del male a nessuno se me ne vado in punta di piedi.Avrei preferito un colpo e via.

Per non disturbare, per non costringere le mie fi glie a vedere questaagonia così lunga.

Sono loro che parlano coi medici, sono loro che fi ltrano le notizie.Nessuno me l’ha detto esplicitamente, ma io lo so che cosa ho.

La medicina fa piccoli passi. Ogni anno le percentuali delle persone che superano questa malattia aumentano.

Sono diventata anch’io una percentuale, un numero, una statistica.Non so da che parte sono: in quelli che si salvano, o in quelli che si accollano

tutto il male fi no in fondo?Stasera non spengo la luce.

La penombra mi fa compagnia.Il buio si colora di incubi e non concedo loro di esistere se penso a qualcosa di

diverso, di bello.Mi alzo, vado nella cameretta, quella che odora di colore, di sogni variopinti.

Prendo il pennello, lo intingo.La tela bianca che sa di ospedale, di medicinali, di chemio si annulla e diventa

acqua blu.Diventa barca viola su un’onda che infrange la forza sulla terra scura.

Si spacca la forza, si schianta l’onda, ma poi ecco un’altra e poi un’altra onda. Senza fi ne.

Il pennello scorre veloce.No, mare piatto.

Mare in burrasca per questo dolore che mi divora.Se sento dolore, sono ancora viva.

La linea retta dell’acqua quieta dà la sensazione di stasi, morte.Io non vorrei morire. Vorrei respirare ancora cento, mille giorni.

Quanti quadri dovrò dipingere per superare questa notte?E tutte le prossime notti?

Spremo il tubetto. Assemblo le tinte. Le sfumature delle mie emozioni mi

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mescolano l’animo.Ce la farò a provarle tutte?

Ho comprato tante tele bianche, come per mettermi in gioco, per fare una sfi da contro me stessa.

Contro quella che si fa vittima. Quella che piagnucola. “Proprio a me. Perché proprio a me? Non ce la farò mai!”

La guerra devo vincerla contro il mostro che ho dentro. Non ho la spada. Ho solo un misero pennello spelacchiato e sporco.

Ho cento tubetti di colore e poi posso mettere assieme i blu ai gialli, i rossi ai bianchi e mi inventerò nuove sfumature e poi…

La bestia è nera. Lo so. Io odio il nero. Io non l’adopero questo colore.Prendo il tubetto, lo getto nella spazzatura, chiudo il sacchetto con lo spago. Lì dentro in mezzo allo sporco, lì in mezzo agli odori nauseabondi non potrai

respirare e non avrai scampo.

Oggi ho terminato l’ultimo ciclo.Mi sento svuotata. Mia fi glia mi fa domande per tenermi sveglia alla vita.

Io non ci sono.Mi chiedo fi no a che punto potrò sopportare la sofferenza che cammina con

me, che mangia, che mi fa compagnia.Ho passato giorni in ospedale. Io che non sono mai stata dal dentista, io che mi

sono curata da solacon le mie erbe. Volevo tornare a casa. Odio l’ospedale.

Ora sono diversa. Avevo pudore e mi vergognavo di mostrarmi anchealle mie fi glie.

Le infermiere, i dottori perlustrano il mio corpo, indagano, sentono.“Ditemi in quale percentuale mi trovo? Ve ne prego, ditemelo!”

se mi dicono che sono in quella dei condannati?Non voglio sentirlo! Ho ancora tante tele bianche da dipingere.

Non chiedo niente. Lasciatemi colorare i miei quadri con il chiasso di questa serenità perduta.

Oggi sono diventata nonna!Mia nipote è bella, piccola. Ha in sé i colori che non ho usato ancora.

Sono le tinte che danno il risveglio alla vita.Non ci sono ombre in un neonato.

L’aroma di vaniglia si spande.La dolcezza, oltre la forza può far scoppiare il male in una bolla di sapone?Sì, posso proprio rispondere di sì, perché l’ho sperimentato su me stessa.

Stasera non spengo la luce.Ho ancora tante cose da fare.

La più importante?Vivere!

(Dedicato a mia madre)

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PRIMO PREMIO POESIARASSEGNA “LA VITA RICONQUISTATA” 2007

Motivazione della Premiazione della Poesia “Il Seno del Destino”

Il seno del destino offre un’originale cifra di scrittura che utilizza registri con differenti tonalità e usa una singolare grafi ca.È una composizione intensa, dagli accenti visionari e incisivi.L’autrice trasmette sentimenti d’amore nei confronti della madre malata e trova in se stessa e nei propri ricordi la forza per accompagnarla e accettare, lei stessa, l’evento.

Estratto da di Floriana Rigo

Edizioni Tracce, Pescara, 1996

a mia madre

a mia sorella

a tutti coloro che hanno vissuto il coma e sono o non sono tornati;

ai conoscitori degli ospedali o di altri luoghi di dolore collettivo

dove si colgono i sensi e i non sensi comuni;

a chi è indifferente alla morte e a chi è differente

“solare domenica d’orizzonti chiari nuvole leggere navicelle spumanti

astronauta lanciato nel suo spazio

gli occhi socchiude

Il s

eno del destino

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a un richiamo di menta se pur da lontano lassù

gli occhi dementi da un opaco risucchio forse mettono a fuoco il mazzetto di verde

è stanca però troppo stanca

abbracci carezze lacrime raccoglie sul suo seno e tenera la guarda?

ma alla stretta del capezzolo non c’ènon reagisce più neanche un po’ di malegola tosse sbadiglio la bocca il collole parti più vive cioè più dolentisocchiude gli occhi

non vuole più

saperne più torna ai suoi segreti

si arrampica lassù il corpo separato

astrale viaggia

ma lampo d’intesa è stato alla domanda se la luce ha visto?

la grande luce madre che l’attira

“più di me che la chiamo tardi”

cercare energie per portarle al suo letto da Pradidali al Passo Ball lasciato il rifugio della notte ancora immerso nell’umido nell’ombra

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passi sui sassi

ancora rocce picchi scoscesi tutt’intorno cattedrali le Pale protese gotiche guglie pinnacoli becchi e punte

a graffi are il cielo che non sanguina là dove le nuvole accorrono a batuffoli in soccorso corvi buoni per i Parsi per lei

che librarsi vorrebbe con due ali nere

senza vertigine particella del vuoto

sospiro del vento goccia d’acqua che scende

al suo destino aderendo con gravità sicura

fi nché un ultimo sasso non la trattenga

scampanio di pecore lanose contro il masso lassù ghiacciai musica perenne di cascatelle raccolte in un laghetto tra polveri di pietra troppo in alto

oltre i duemila qui non arriva il suo corpo sottile la sua malattia

capra solitaria balzava nella sera preda

d’un’euforia visioni rarefatte di cui sempre

l’ossigeno è ragione

pensa alle cose belle

sussurrò sconcertata

al ritorno la faccia di luce

contro la sua febbre occhi cerchiati

pensa alle cose belle! carezze

lasciati

lasciala andare

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Nota informativa sul testoIl seno del destino è iniziato nei giorni immediatamente successivi all’ingresso in coma di mia madre (13 luglio 94). Nel piccolo quaderno portatile la scrittura è fl uita piena di muco e di scorie fi no al giorno della sua sepoltura (23 agosto). Ho scritto prevalentemente in ospedale, piccole parti nella casa di mia madre e un passo in alta montagna, sotto le Pale di San Martino.Il testo magmatico, ossessivo, viscerale come un incubo, della prima stesura ha dovuto fare i conti con un duro lavoro di pulizia.All’interno del testo ho individuato 5 registri, 5 tonalità che sono stati evidenziati dalla scelta di 5 differenti caratteri.Il Times New Roman è diventato il carattere dei dati concreti della situazione ed ha rappresentato gli aspetti tecnico-scientifi ci e medici. Il T.N.R. corsivo ha dato corpo alle sofferenze degli altri, i vicini di letto ed anche ai ricordi d’infanzia. Il Modern, carattere esile, si è prestato alle interrogazioni, alle rifl essioni, alle formulazioni dei dubbi. Il Park Avenue ha risposto al carattere intimo e segreto delle questioni ”profonde”. Il Brush Script ha tradotto le verdi osservazioni della natura, il percepire la forza dell’energia vitale. La continuità automatica della scrittura iniziale, incolonnata, è stata spezzata. Il testo si è andato riducendo in frammenti, in isole descrittive e rifl essive e ha trovato una diversa distribuzione spaziale. Questo elemento visivo, insieme a quello della pluralità dei caratteri, concorre alla manifestazione del senso, in un rapporto interattivo tra signifi canti e signifi cati. E’ un aspetto ludico che ritengo importante, anche in relazione alla gravità del tema e al suo carattere pesantemente autobiografi co.

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PRIMO PREMIO RACCONTORASSEGNA “LA VITA RICONQUISTATA” 2007

Motivazione della Premiazione del Racconto “E Io Rido”

Il racconto si snoda secondo una forma narrativa in sintonia con il tema proposto; denota una profonda capacità di introspezione in una dimensione di consapevole maturità.Passo – passo si segue l’evolversi della coscienza di fronte alla malattia, emergono i passaggi emotivi in relazione ad una fase particolare e diffi cile.Il racconto contiene, inoltre, elementi di notevole positività e si conclude trasmettendo un messaggio di apertura, di forza e di speranza

E IO RIDOdi Elena Cipresso

Non si sa perché ma tutti sperimentiamo che in ogni partenza si lascia un pezzo di cuore.Dopo ogni viaggio qualcosa se ne va, e la nostalgia offusca i ricordi e le foto profumano di un sapore lontano.Questo è un ritorno da un non luogo, qualcosa che lascia in sospeso, fra speranza e negazione di futuro, fra coraggio e speranza, fi ducia che passa e il ticchettare del tempo che appare defi nitivo.La diffi coltà di condividere. Le remore per aver generato ansia e dolore. La solitudine, chiusa nel cerchio di un abbraccio, accoccolata in un divano a passare le serate nell’intimità di uno scenario che appare surreale.Eppure era lei.Le parole del medico descrivevano la sua situazione, la terapia e il bisturi che avrebbe inciso il suo corpo parevano raccontare una storia che apparteneva a qualcun altro.Calma, un passo alla volta. Questo pensavaE un passo alla volta è stato.Prima il silenzio.Poi le prime parole, come dirle. Perché a dirle le cose assumono realtà.Prima se le raccontava, studiava le modalità, prima decise, poi leggere infi ne caustiche. Come se dovesse dare solo l’impressione di forza.Poi un giorno, davanti allo specchio, dopo la doccia, accarezzando il suo corpo nel punto esatto del male, nella sua bellezza di donna che sa cos’è la sveglia del mattino e l’odore del caffè, l’amore e il nervosismo, la famiglia, il mal di testa, il lavoro, gli occhi dei bimbi appena svegli e le loro raffi che di domande, le piccole

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cose di ogni giorno, arrivò la paura. Aveva la forma nera di una domanda.

Cosa succederà dopo?

Cosa succederà dopo è una domanda che uno si fa e lascia lì, dentro un cassetto, in attesa di una risposta intelligente anche altrui, ma che si può indossare con destrezza.Quando però una diagnosi fa sfi orare con mano la probabilità di un non domani, tutto diventa futile, e si cercano certezze da tenere e da lasciare.Come quando si parte per un viaggio, e si lasciano le chiavi di casa al vicino, per le piante, e gli animali all’amico fi dato, con le istruzioni per le pappe e le passeggiate.Così quando si avvicina l’idea di un capolinea defi nitivo si vorrebbero lasciare le coordinate per le cose importanti, si comincia a prendere in mano tutto, ma la paura fa confusione e la confusione fa vuoto.L’horror vacui arriva ed è un momento cruciale e necessario.Perché non c’è coraggio senza paura, e non c’è volontà senza meta.Il vapore della doccia aveva appannato lo specchio, disegnò sulla destra un punto di domanda un cerchio, un po’ di capelli, due occhi, il naso. Chiuse gli occhi. Prese un respiro che da solo raccontava forza, rivalsa. Gli occhi erano umidi per il silenzio sprecato e le parole sbagliate, perché quando il tempo pare avere scadenza, le parole sbagliate sanno di occasioni perse.Guardò lo specchio, e si accorse che mancava la bocca. Ecco. Ora era tutto chiaro.Non c’era nulla da mettere insieme, nessun fagotto di cose fatte e da fi nire da mettere a bilancio.C’era solo una cosa che non poteva passare in silenzio.Ed era la felicità.Tutta quella che aveva vissuto, dal primo regalo atteso, all’anello che tutte le ragazze sognano, al perdono chiesto e ottenuto, alle battaglie vinte e a quelle perse ma la lotta era stata già da sola edifi cante. All’abbraccio che valeva quella follia, al primo bacio sulla bocca, al primo giro in macchina da sola, alla prima notte fuori casa, all’esame superato, a quel sì sussurrato con la voce, ma urlato con l’anima, alle parole lette e a quelle dette al momento giusto, alla prima volta che prese in braccio suo fi glio, a quella volta che non avrebbe dovuto, ma viva Dio, la vita è fatta anche di questo. E rise. Perché era con quella felicità che avrebbe affrontato tutto, ed era tutto quello che voleva che restasse, comunque, qualunque futuro ci fosse ad attenderla. Occhi velati di lacrime, per aver trovato la forza. Un dito tremante di emozione, disegnò una bocca. Anzi, un sorriso.

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PRIMO PREMIO POESIARASSEGNA “LA VITA RICONQUISTATA” 2008

Motivazione del Premio alla Poesia “Un Giorno D’autunno”

La poesia “Un giorno, d’autunno” è ricca di immagini ed emozioni adatte ad esprimere il modo di vivere e affrontare l’evento inatteso. Vi convivono momenti di fragilità e bellezza espressi in modo cadenzato e armonico.

UN GIORNO, D’AUTUNNOdi Marta Bresciani

Così mi sento in un giorno d’autunno:ricca e fragile,che un vento di parole può piegaree il timbro di una voce può segnare…

Ma viva,in questo fremere.Raccolta nel mio essere.

Sospesa, ma ancorata,a quanto di sottile unisce,persone, luoghi e cose,oltre il tempo.

Senza età, mi sentoe prossima alla vitaquanto alla morte.

Senza paura, inatteso,il nuovo gioco mi coglie,perché antico è questo destino‘che le donne madri son di Natura.

Perciò non temo.Sorrido e grata a Lei mi affi doin questo giorno d’autunno.

Al suo umido ventoe alle voci sue vibranti. (per Francesco)

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PRIMO PREMIO RACCONTORASSEGNA “LA VITA RICONQUISTATA” 2008

Motivazione della Premiazione Alla Prosa “Le Braccia In Fiore”

Un racconto lieve, dai toni poetici e sognanti, dal ritmo vitale e incalzante, descrive una ragazza piena di voglia di vivere, capace di attenzione ai sogni, con partecipazione alla vita dell’universo e rinnovata volontà di rimettersi in cammino. Il tutto espresso con tocchi di fantasia e con metafore originali.

LE BRACCIA IN FIOREdi Lucia Andriolo Stagno

Le braccia in fi ore, in fi ore il petto e la carnosa bocca, pedalava sulla bici rossa, la ragazza d’altri tempi.Godeva del pedale e della robusta gamba. Insieme alimentavano la spinta giusta, l’energia che produce energia. Lei e la bici: una cosa sola, semiumana, un guizzo di vita che va e si perpetua.Col vento per compagno e il sole per amico, la ragazza e la sua bici saltellano sul sentiero che saltella sulla schiena del monte, ogni volta il brivido dell’equilibrio da ritrovare e, che bello!, sempre ritrovato.Non ha segni del tempo sul viso, la ragazza, solo i segni dell’anima a fi or di pelle: rapidi i cipigli, la fronte corrugata, il sorriso svelto e schietto. Il venticello, di primavera odoroso, spartisce la chioma, ne fa due onde che respirano da sé. Si lascia accarezzare dall’aria che va, la donna in fi ore, le regala i suoi pensieri, li vuole lasciar andare, per sempre… o per un po’. Chissà?E lascia andare anche il cuore, via via tutte le idee, le emozioni incalzanti, gli impegni seriosi, i tempi stretti, i perché, i se, i “senni del poi” di cui le fosse sono piene. Vorrebbe che l’aria, il sole,la luce bianca dell’alba attraversassero i suoi pori, quelli della pelle e quelli dell’anima. Proprio così: un trapasso per una trasparenza nuova , un respiro profondo che nutra tutto il suo essere. Ha bisogno solo delle emozioni del corpo, quelle animali, istintive, non rifl esse.Vuole un contatto forte, immediato, diretto,con la terra, la luna, le stelle, le cose di natura.E le mani: tengono su tutto, perchè loro è il manubrio, ma vorrebbero vita autonoma, senza le briglie del pensiero e dell’azione.Voglia d’andare, trapassare, trascolorire in questa luce lattea dove tutto è possibile, dove i colori ancora non sono. E dal sentiero la ragazza sente il richiamo di un

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altro amico: è il mare che accompagna il respiro del mondo con onde che giocano il “ ci sono”, “non ci sono più”, “ci sono ancora”.E’ l’eternità del tempo che ritorna. Ferma la bici vicino alla spiaggia. Ferma: che strana novità: c’è vita anche da fermi, c’è gioia anche nello stare, nel sentirsi lì, fermo, immobile, solo respiro, solo lo spazio del suo perimetro, nulla più.Frena lo spirito indomito: da qualche parte, in qualche modo, vuole ruggire. Ma non è il momento dei ruggiti. E’ il silenzio che regna sovrano, vuole il suo spazio anche nel cuore della ragazza. Lei s’adatta, s’adegua al silenzio della natura. Non è però un silenzio assoluto: si sentono attorno segnali di vita. Le onde del mare e il canto dei gabbiani fanno da contrappunto a questo silenzio essenziale del mondo attorno.“E adesso basta!” Basta muoversi, basta caricarsi, basta battagliare, chiacchierare, captare, volere.Basta! Solo vivere: di sole, aria, vento, respiro.E’ il respiro, il ponte, è il respiro, il segreto onnipotente dell’equilibrio: pieno-vuoto, dentro-fuori, movimento-stasi. Il ritmo di una silente sinfonia che lega tutto e tutti. La ragazza alza gli occhi al cielo.C’è pace, lassù, un vuoto pieno di nubi, un pieno ricco di spazi. E tra cielo e mare un continuo rimando di azzurri . A testa in su la ragazza non sa più in quale blu si trova. Le gira un po’ la testa, chiude gli occhi e il giro è dentro lei. Un po’ di vertigine, un bello stordimento: e dentro il canto dei gabbiani rimbomba, evoca canti lontani, fi lastrocche senza senso, ovvero con il solo senso di fi lare la voce in un bel garbuglio sonoro. E affi ora tra mare e cielo, in assenza di un tempo esterno, la leggerezza di lei bambina.E’ poco fa, praticamente un ieri dilatato, dove il tempo della palla è il tonfo del cuore al gioco sempre bello perché sempre uguale. Gode, la ragazza, delle piccole gioie della leggerezza.Apre gli occhi e ritrova la leggerezza nella sabbia soffi ata dal vento. E’ tanta, riempie chilometri ma con un niente è spazzata via dal vento, mangiata dal mare, corrosa dal tempo.In fondo, le dune, più in là un verde tunnel di pini frondosi.Sola, ma piena di pace e di fi ducia, la ragazza va verso il verde, questa volta a piedi. Sprofonda il piede nella sabbia: non le da fastidio, anzi, è bello caricare i passi con enfasi, diventano un po’ ridicoli, da marionetta: un nuovo gioco, una nuova leggerezza. Un piccolo gabbiano si posa lì vicino, porta con sé, come in dono, l’odore del mare, un profumo di libertà. Poi riapre le ali e la ragazza con lui riprende il volo, ritorna al “blu dipinto di blu”.Quanti viaggi, quanti voli, e quanti rientri, quanti ritorni nella sua vita. Ma sente che è lei, sempre lei, il punto di partenza e di arrivo. Sente, ha sempre sentito, che non è lei in realtà il vero punto di partenza e di arrivo. C’è un “prima” e un “dopo” lei, una Persona che le funge da costante rimando.

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Vaga, indefi nita, infi nita Persona, che gioca a nascondino, il “Dio Nascosto”, che c’è ma si nasconde, si fa cercare, gioca a rimpiattino in un costante alternarsi di rimandi, promesse, speranze, presenze. E così è anche lei a se stessa, c’è e non c’è, è fedele ma sembra talora tradirsi per poi tornare a sé. Ma in questo ambiente, per la ragazza è più facile trovarsi che perdersi, contattarsi che respingersi, contenersi che non disperdersi. C’è nell’aria, nella luce, nel verde, nei blu, un che “d’antico e sempre nuovo”, una cornice che raccoglie, contiene e rasserena. E’ il contatto col tutto, e questa cornice è già il tutto che rassicura, non le consente di perdersi, l’aiuta a starsi vicina, a perdonarsi, a pulirsi del Male dentro e fuori di sé.Il richiamo dell’acqua è forte, il mare chiama col suo rumore cullante, grande ventre che dà vita, lavacro che purifi ca, bacino che accoglie.Prima i piedi: la pianta del piede sul bagnasciuga tocca l’umido e lo propaga per tutto il corpo; poi procede decisa. Lo scambio termico, miracolo d’unione, ancora una volta avviene. Brividi di pelle, intenso il piacere dello scambio, dolce l’abbraccio fresco delle onde, dopo il tuffo che conclude l’immersione.La ragazza gode, di sé, della vita, del mondo.Non c’è spigolo, non ci son freni, fratture.Nella morbida acqua la ragazza sente che le tensioni si distendono e più non sono, la leggerezza prende il sopravvento. Non più il peso del corpo, non più i carichi dell’animo e i sospesi del tempo!Tutti uguali, tutti leggeri, nell’acqua blu, un po’ marini e un po’ terrestri, tutti punto d’unione tra mare e terra, tra due mondi, vicini sì, ma anche così lontani.

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“E IO...?!”di Lucia Andriolo Stagno

“E io...?!”La bimba a mani teserisposta attese invano,

“E io...?!” Ancora!Ragazza ormai arrabbiataancor non si dà paceche l’urlo silenziosoancor rimanga muto.

E’ viva?Riecheggia la domandarimbomba tra le volted’un tempo ormai vissuto.

“E io...?!”

Taci fanciulla stolta taci querula voce!

sei un’ombra che mi copremi toglie la mia forma.

Ormai noi due sappiamo:è solo dal di dentro che vienla vera l/Luce!

Mai invero riusciranno rifl ettoriesterni a lei sostituirsi,a dare vita a ciò che, solo,non si muove.E’ la l/Luce interna che fa brillare gli occhi etraduce fuori l’intensa tua beltà.

E’ guida al tuo camminoti dà la gioia veraè primavera al cuore.

Ti dona il giusto centroper cui lo spazio all’altropiù non ti compromettee puoi lasciarti andareal suono che ti prende.

Mia vecchia bimba triste!

Sopisci la tua voceche già la sento stanca.

Sei stata mia compagnama mi fai stare sola!Ridammi la mia vita,che voglio ora gentileritmata dal di dentroallegra nell’amor.

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UN CANTOdi Lucia Andriolo Stagno

Senza senso,come un sacchetto di plasticastrappato, lasciato in terrachissà perché, chissà da chigonfi ato da un vento che strapazzacosì t’hanno ridotto, Cristo in crocebattuto, frustato, colpito, bastonato.

Nella furia dissennatadi chi t’ha crocifi ssotutto il male del mondo s’è riunitomale strisciante, male roboante,trasfi gurato, lacerante.

Nelle braccia, nelle manitrafi tte da quei chioditutto il dolore del mondos’è concentrato, dolore sordo,acuto, delirante, neroforte, soffocante.

Cielo e terra hanno dialogato.Viscere terrene e stelle d’oltremarehanno avuto un punto di contatto.

L’ultima parola è stata allora detta.

Ed allorala legge della morte,che come nebbia nera,avea coperto il mondo, sfumòper sempre lasciò il passo.

E da allorala legge della vita con mille sfumatureimprime il suo sigillo su ogni luogo neroovunque un volto umano gli occhivolga al cielo, le mani al Creator.

E da allora...

mai più un buio pazzo,ma luce che traspare

mai più confi ni chiusima spazi sconfi nati.

E da allora ogni cuore ha un canto che l’attende...

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IL TEMPO DEL DOLOREdi Anna Artmann

Arriva il tempo del dolore per ogni uomoad imbrigliare i giorni della festaad oscurare l’orizzonte dei sognia scombinare le regole della vita.

Non riesco più a goderei campi gravidi di spighe al solela carezza del vento che zufola fra i capellie le canzoni antiche.Nel sipario delle ombre che offuscano il carro delle stelleho pianto con l’Angelo della notte.

Ho riudito allora il canto della terrail profumo del calicanto ela voce soave di mia madrele sue parole d’amorela carezza di Dio sulle ferite del cuore.

L’anima abbandonò il sudario del dolore, dei silenzie si aprì piano piano alle labbra della vita.

E la fatica del pianto si fece sollievo dell’animo.

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CORAGGIO DI VIVEREdi Anna Francesca Basso

Stasera sotto la pioggia sei tornato;sola, nel vento ho udito la tua voce,un brivido: il tocco della tua manosulla mia bocca, il tuo viso maschio...

Ho ritrovato l’incanto della nostra vita:ci sembrava di possedere il mondo;credevamo nelle nuove stagioni:come le illusioni, sono rotolate via.

Ti ho amato subito, gioiosamente,condividendo la tua aspra vita.Con un bacio mi sono innamoratae ho serrato gelosamente il cuore.

La disperazione ha piegato, logoratole nostre anime, divorandole piano.Impreparati, in silenzio, piegati,abbiamo affrontato insieme la morte.

Scorre l’acqua, lava via il dolore,dalle gocce fresche fl uisce il coraggiodi cercare un nuovo soffi o d’amore,che porti poesia in questo cuore chiuso.

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RISVEGLIOdi Marina Giro Boccalatte

E’ mio questo cielo di cristalloè mio questo sole di fuocoè mio questo stupore al mattino,per me vanno le nuvole migrantiper me soffi a leggero il vento che mi sfi ora.Svegliarsi è immergersi in un sogno meravigliosoperché ora so che la vita è anche generosa.Danzano davanti a me tutti i miei domani,impallidiscono i ricordi e le paure.Tengo stretti tra le mani brandelli di speranzae li ricucio, fi duciosa e paziente,con un ricamo d’amore.

ORA SO DAVVEROdi Fabiano Braccini

Fu la paura del silenzio e del nienteil mio tormento maggiore:del dolore ricordo appena i morsi.

Durante il giornoi miei cari e i pochi amici fedelifacevano a gara a distrarmi:io fi ngevo una forza che non avevo.

La notteil viaggio era però troppo lungo:lampi abbaglianti, tuoni assordanti,sguardi gialli di civette nascoste,improvvise pallide scie di fantasmi.

Ma i pensieri delle cose rimandate,il rimpianto per le parole non dette,per gli slanci trattenuti,per gli affetti tanto spesso misurati,mi pesavano di più in cuore.

Quanto mi restava ancora da fareha acceso allora ogni residua energia,ha moltiplicato la mia voglia di vita,mi ha infi ne salvato.

Ora so come donare sorrisi, speranzee il mare di emozioni risparmiate.

Ora so davvero portare negli occhiun’inconfondibile luce d’amore.

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UN PONTE (Brasil)di Marta Bresciani

Vagando raggiunsi, per rotta a me ignota,un’isola nuova lontana, remota:

la terra del padre dal ritmo pulsante,richiamo di Madre, vitale e intrigante.Avvolta in quell’acqua, nel vento, nel fuocolasciai le mie pene per viverne il gioco.

Seguendo il suo canto trovai la mia pace,l’amore profondo, sincero e vivace.Sospinta da eventi di rara naturaaccolsi l’invito, accettai l’avventura.

Tornando m’accolse un’eco infi nita:i ritmi, i colori, la gente, la vita...“Saudade” si chiama ed è nostalgia...E’ rabbia, è una samba, vorresti andar via.

Restando assopita, in cerca di metrovai un sollievo, un motivo, un perché:un PONTE mi sento che lega due mondilontani, distinti, ma ricchi e fecondi.

Scoprendo la rabbia per quello che vedisi rompe il silenzio e parli e crediche l’eco rimasta non debba svanire:APRIRSI ALLO SCAMBIO, PENSARE ED AGIRE.

Raggiunto lo scopo di questo vagaregioisco e mi dico: c’è tanto da fare!

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ECCOTIdi Elena Cipresso

Esisti come da sempre,nei disegni fantasiosidi notti stellatein alcune curve di gentili emozioni.

Sei quello che sono e che non sono.E nel silenzio di un sorrisoMi stupisco.Provo a calcare le tue emozioni bambine.A fermarle e impressionarleCome da sempre faccioFin dal tuo primo sorriso.

Il tuo coraggio misuratoLa tua saggezza ovviaLa tua felicità frescaLa tua innata prudenza

Nei tuoi pensieriC’è il sogno e la lunaPedali di bicicletta alataIl gioco e la felicità che sei.

Leggera come una stellaPesante come il tuo sonnoIntonata come la tua voceBeata come il tuo sorriso.

Un domani, un qualunque domaniTi guarderòE capirò che il tuo posto è lìNella linea sottile di un’albaFra speranze e impegnoE nel mio cuore.

A mia fi glia Per il suo primo diplomaDi scuola materna 17/06/06

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PAROLE IN PRIGIONEdi Anna De Castiglione

Era il giorno del suo ottantatreesimo compleanno. Lo sapeva. Ma ancora non sapeva che quel giorno avrebbe cambiato il senso di tutta la sua esistenza.Il sole ardente, che pochi minuti prima sembrava incendiare il cielo, si lasciava ora disfare, in un caldo lampeggiare di colori, in un terribile splendore che spaventava il cuore.Quel vago sgomento che, nell’ora del tramonto, riempiva l’anziana signora in tutto il suo essere era, però, anche dolce e malinconico: nel giorno del suo ottantatreesimo compleanno, decise di non volerlo allontanare.Con dita tremanti, quasi ferite, accarezzò le numerose lettere sparse sul suo scrittoio, nella speranza, ma anche nel timore, di risvegliare ricordi mai sopiti, inghiottiti nelle tenebre della sua stanca memoria; e aprì la prima busta che le rimase intrappolata tra le mani:

“Cara nonna,

non te l’ho mai detto, ma a me piacciono i maglioni di lana che mi fai. E’ vero: le maniche sono troppo lunghe e non sono nemmeno lunghe uguali; pizzicano e certo non sono alla moda come le felpe dei miei compagni...Ma tengono caldo più di ogni altra cosa...E, non te l’ho mai detto, ma quando le mie amiche mi dicono di non avere mai visto nulla di simile, io sono sicura che sia un complimento e ne vado fi era...Insomma, anche se ti sembro sempre imbronciata quando indosso i tuoi maglioni, volevo solo dirti: grazie!”

In un silenzio sospeso, ma con l’animo sollevato, agitò la corrispondenza distrattamente rovesciata sul tavolo e fu come un susseguirsi di onde, candide e vaporose, che si infrangevano sulla dura superfi cie della sua scrivania.Si sentì fremere in un brivido di inconsapevole anticipazione e, lasciandosi guidare da una sorta di “volontaria fatalità”, aprì un’altra lettera:

“Non ti ho mai detto che ti amo, ma so che lo sai.Non ti ho mai parlato, anche se forse tu lo aspettavi; ma quando i sentimenti sono tanto intensi e profondi, arrivano diretti al cuore senza correre il rischio di restare impigliati tra le parole.Forse, agli esseri umani è concesso solo di scorrere vicini gli uni agli altri, ma distinti e separati, come due rette parallele che, solo all’infi nito, possono incontrarsi.Per quanto strano possa sembrare, a noi è consentito molto di più.La realtà è che tu appartieni ormai alla tua famiglia e io posso solo amarti da

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lontano, ma certo più intensamente e più profondamente di chiunque ti è apparentemente vicino: ti amo come chi ammira un prato fi orito ma si limita a guardarlo, per non calpestarlo; come chi gioisce ascoltando la risata di un bimbo, pur sapendo che non è suo.Credimi: se il mio amore per te si distraesse anche solo per un istante, io non riuscirei più a rinunciare a te.Non so dove sei, nè dove andrai, ma so che non potrai mai essere tanto lontana da non lasciarti raggiungere da un mio bacio. Per quanto distante tu possa essere, io saprò abbracciarti, tanto stretta da non lasciarti distinguere dove fi nisco io e dove cominci tu.”Ripiegò la lettera, sollevò il meno e chiuse gli occhi, con dignitosa lentezza, come una regina a riposo, cercando di lasciare affondare dentro di sé le parole che aveva appena letto.Poi si decise a rimescolare le buste, disordinatamente sparse davanti a sé e ne pescò un’altra:

“Ciaoooo! Sto arrivaaandooo...!

Manca pochissimo, cara mammina!Ho una gran voglia di abbracciarti dal di fuori, oltre che dal di dentro... Non aver paura, sarà meraviglioso!Non preoccuparti se non ti senti adeguata e se pensi di non poter essere la mamma perfetta come vorresti; nemmeno io sono perfetta... ed è per questo che ho perso l’equilibrio e sto cadendo tra le tue braccia!Non sarà facile, ma sarà bellissimo!Anche se oggi ti sembra impossibile, io so che tu mi lascerai piangere da sola nella mia grande culla, senza chiederti perché piango e infi lerai la testa sotto il cuscino per cercare di continuare a dormire; so che mi dimenticherai a scuola e che non riuscirai a sopportare nessuno dei miei fi danzati... Ma... non possiamo farci nulla; è così che ti ho voluta e non voglio cambiare nulla di te, perché... so che cambierai da sola.E, quando io sarò diventata grande, tu sarai diventata la mamma perfetta che avresti voluto essere!”

Guardò la sua immagine rifl essa nello specchio, i suoi capelli radi e le sue rughe fi tte: no, non era ancora la mamma perfetta che avrebbe voluto essere! Ma un leggero fremito increspò gli angoli della sua bocca: per metà era sofferenza e per metà era un sorriso.Raccolse le lettere che giacevano sul tavolo e le ripose con delicatezza affettuosa nel loro cassetto, il cassetto della “corrispondenza mai ricevuta”, quella corrispondenza che lei aveva scritto a se stessa, per conto di altri, per riempire lo spazio vuoto di dolorosi silenzi.

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Un sentimento ineffabile e sconosciuto si impossessò di lei, come se stesse per accadere qualcosa.Forse solo quel giorno capì cosa l’avesse spinta a scriversi tutte quelle lettere: il disperato tentativo di “possedere” davvero le persone che amava, di coglierne quel fondo insondabile e impenetrabile, che nemmeno loro sapevano di avere e che restava celato dietro il rumore di inutili parole, dietro l’apparenza di vite “inesistenti”.Poi, aprì il cassetto a fi anco, quello della corrispondenza “scritta e mai spedita”: era traboccante di carte e scorreva a fatica.Si chiese perché avesse scritto tanto senza mai spedire nulla: forse per il terrore di essere abbandonata o forse di abbandonarsi; forse fu l’imbarazzo di sorprendere e, magari, di sorprendersi; forse, fu la paura di svelare pericolosi misteri o, forse, l’angoscia di ritrovarsi senza più misteri da svelare.In realtà, le risposte erano molte, ma nessuna suffi cientemente convincente.Un pensiero inaspettato le attraversò allora la mente, gli occhi brillarono all’improvviso come due punti luminosi nascosti nel suo cuore e lei considerò che 83 anni non erano passati senza lasciare traccia.Prese fi ato e allargò i polmoni, come uscita da un’apnea durata tutta la sua esistenza, e fu un lungo, intimo, diffi cile respiro di liberazione.Svuotò quel secondo cassetto e, stringendo tra le mani i pensieri di tutta una vita, si diresse, senza fretta, ma con passo fermo, verso la buca delle lettere.

SALA D’ATTESAdi Caterina De Martino

Sto qui,Con il pulviscolo che saleDallo spiraglio di luce,In attesa,Trattengo il respiroAd ogni rumore di passiNel corridoio,Aspettando il responsoTra due pareti sbiaditePrecipita il tempoNello spazio d’angoloDella scansione della fi ne...Ma noE’ qui la vitaA perpendicolo di un raggio...

Brilla ogni molecola natanteRitorna l’onda del desiderioE la trama delle cose da fareDavanti a meAncora, ancora.Stringo nel pugno la speranzaE la certezza straripante dell’essereInvade il mio spazio.

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LA DOMANDAdi Elena Galateanu

Sono corsa dal ruscello:- mi vuoi?- ma certo, vieni che ti rinfresco...

Ho abbracciato l’albero,mi sono nascosta dentro i suoi ramie gliel’ho chiesto:

- mi vuoi?- sciocca, vieni, ti asciugo le lacrime...

Sono salita sulla montagna e al vento:- mi vuoi?

Non mi ha risposto, ha sospirato solo...e ha accarezzato il mio (non) senocon lo sguardo, con la mano...

È TORNATO IL SERENOdi Marina Galvan

Cosa pensa quel fi ore nel vasoquando tende la testa all’ingiù...Cosa pensa il sole che muoredietro i monti per non vedersi più...E l’uccello che vola lontanolui un nido sappiamo se l’ha?Cosa pensa una donna serenaquando un fulmine in senoimprovviso le appare.Io non so cosa pensa quel fi oree neppure quel raggio di sole,tanto meno l’uccello che volada un bel nido e non sa dove andare.So che pensa una donna feritadal destino che sconvolge una vita.E’ confusa, spaesata e perduta,la paura le ferma il respiroe il suo cuore angosciato che battele ricorda che ancora c’è vita.Dolci mani si allungano a leicome foglie in un abbraccio, sui rami.

Il sorriso dei fi gli suoi caridanno vita a pensieri sereni.Passa il buio, la pioggia,la nebbia dissolve, tra i muri e le strade.Con l’aiuto d’amore e di Diocosa pensa la donna che c’è?E’ tornato il sereno per me.

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L’INVERNO È PASSATOdi Marina Galvan

Ho sentito il mio cuore scoppiarema non di gioia, di una fredda pauradi un tormento che bruciava lento.La mia vita sconvolta, fermata;lì dove il pensiero mi avvolgevae portava la mia mente al nulla.Il tarlo di quel male entrato dentro di mecosì fulmineo quanto inaspettato.Speranze svanite, sogni annebbiaticome se all’improvviso perdessi la strada,la fede.Un terremoto che mi strappava via dalla vita,dalla mia famiglia,dalle mie piccole gioie quotidianee tutto intorno un vuoto immenso.E l’impotenza di darmi una risposta,di darmi un perché.Lentamente i giorni passati tra lotta e abbandono.La forza di vivere per loro, vita della mia vitaunica fonte di luce.Oh! fi gli adorati, linfa viva per me!

Mani che tendono un aiuto insperato fuori dal muro.Sorrisi, consigli, bellezza interiore di amoree bontà.Come l’arcobaleno appaiono per menella gelida nebbia.Donne dal cuore d’oro, pronte a proteggere,a sorreggere si stringono a me.Giorno dopo giorno, lento ma progressivotorna nel cuore il sereno.Spunta lontano il raggio di soleche scalda, che avvolge,che mi culla incurante di ciò che è stato.Alzo gli occhi, vedo la luce, l’azzurro nel cielo,i fi ori sui prati.L’inverno è passato, a nuova vita sono tornata.

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TI ASPETTERÒdi Domenico Luiso

Ti aspetterò.Mi troverai seduto

sull’ultimo cavallo appena natoo sarò in piedi all’angolo di casaa meditare squarci nella nebbiaparafrasando un vecchio ritornellosui righi ancora bianchi del mattinoche s’alza nuovo di modulazioni.E lì ti aspetterò. Con la bandieraaccesa sopra l’elmo garriròla mia risata acidula e blasfemaall’ultimo ruggito del cannone.Mi chiuderanno chiese e bar saròcostretto a mendicare anche un salutoe invano cercherò il mio nome in rossonelle didascalie dei rotocalchi.Ma io ti aspetterò schiumoso e pigrosegnando strisce brune sulla sabbia(darò un castello a Biancaneve e un corvoal fegato di carta dei poeti).Mi segnerò nel nome di me stessoper non dimenticarmi che ci sono.Ti aspetterò dannato nella boccaaperta tra gli scrosci dei perchée sarò eterno nell’attesa folledi un’eco catturata a mani piene.

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QUALCOSA DI BUONOdi Patrizia Magro

Ho imparato che fare qualcosa di buonomi fa bene

Sento il cuore pieno, quasi scoppiala testa è libera, quasi vuotail corpo leggero, forte, sano,

quasi vola.Ho imparato che fare qualcosa di buonomi fa bene sono fi era di me

domani voglio fare ancora

qualcosa di buonovoglio sentirmi ancora scoppiare libera leggera sana

perché ora lo sono

perché ora ho imparato a fare ogni giorno

qualcosa di buono.

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VOGLIO FERMARMI UN ATTIMOdi Patrizia Magro

Voglio fermarmi fi nalmente un attimovoglio fermarmi a guardare fi nalmente quel campo di margheriteche passo tutti i giorni, dove oltre c’è cemento, ruote, motori gente invisibile, tutta uguale.

Voglio fermarmi un attimoe dare un volto a questo nulla, un sorriso a questo volto, un profumo a questo mio tempospeso solo di tante cose materiali, inutili, fragili, inodori.

La mia corsa è fi nita mi sono fi nalmente fermata un attimoed il mio campo di margherite ècosì bello, profumato, calmoche la mia mente si rilassa e dà fi nalmente un volto, un sorrido, un profumoa questo mio tempo che era sopito, era fatto di nulla.

Voglio fermarmi ancora nel mio campo di margherite per rifl ettere, assaporare, imparare chela mia vita non è, e non deve essere una corsama solo fi nalmente il mio campo di margherite.

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PERCHÈ HAI SMESSO DI GUARDARE LE STELLE?di Paola Mancini

Che ti succede?

Non riesci più ad alzare la testa? Non distingui più le infi nite piccole luci dal buio che le circonda?

Le percepisci troppo lontane e irraggiungibili?

Vedi solo le nuvole che si frappongono?

Eppure

sai che le nuvole sono passeggere, si dissolvono e, oltre loro,

l’immenso e immutabile spazio è rassicurante e consolatorio.

Alza lo sguardo.

Sentirai che il pensiero si dilata,

si pulisce dal vischio che lo lega alla terra

e si apre alla coscienza all’infi nito.

Finalmente potrai accorgerti che la VITA è più grande della nostra vita.

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TRA CUORE E LABBRA CHIUSEdi Paola Mancini

Il mio cuore duole,guardo i rifl essi del sole sul lago.L’acqua è mobile e liquida,come i miei pensieri.

Dove sei volontà?Non so più dove cercarti.Ma dove ti nascondi?Rimango ferma... e ti aspetto.

Forse questo nuovo sentire il nulladentro e fuori di meè un’opportunità per il mio spirito.Non sono più all’altezzao sto scoprendo nuove profondità?

Questo sentimento è depressioneo nuova espressione?

C’è un silenzio inquietante.Vorrei una pacca sulla spalla.Sarà bene che me lo dica da sola che posso farcela ancora!

Com’è bella e brillante la luce sull’acqua!

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VORREI ESSERE LA FRONDA PIÙ ALTA DI QUEL GRANDE TIGLIO di Paola Mancini

Vorrei essere la fronda più alta di quel grande tiglio

dondolare col vento ascoltando il suo sibilo e capire cosa racconta

accompagnare l’armonioso movimento che concilia il riposoe invita a lasciarsi andare al ritmo della natura

percepire lo scorrere della linfa che nutre il ramo e rinnova la vitafi n nei punti più lontani dalla sua origine

cogliere il benefi co effetto del sole che riscalda e dona lucee con un silenzioso processo chimico di fotosintesiricrea magicamente la materia vivente

attendere lo scorrere del tempo contando i tramonti e le nuove auroree... sentire che si sta girando intorno al solenell’universo infi nito che tutto contiene

accettare l’oscurità della notte come un naturale e benefi co momentoper il riposo, la rifl essione, la rigenerazione

assaporare la fragilità e la forza che si può provaresolo da un punto così privilegiato di osservazione.

Sì. Da quassù potrei sentirmi già un po’ staccata dall’ansia del viveree più vicina alla “fonte”.

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IL BIGLIETTOdi Rita Mazzon

Per una parolache si fece piantocalpestaii miei domani.L’inverno annebbiòe gelò.Io rimasi ferma e muta.

Ora sto partendocon la valigia che straripadi meravigliee canto.Per troppa sete di orelascioi miei deserti sconfi natie prendo il trenoper giorni di miele.

Il bigliettol’ho compratoil momento in cuiho credutoe mi sono arrampicatasu, più su,attraverso la vita.

ALL’AMOREdi Luigina Pege

Amore sofferto amore salvatoApriti racconta cosa hai datoE cosa hai fatto.Non tutto ti è dovuto e se hai sacrifi catoMale hai fatto.

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IL MIO SOGNOdi Luigina Pege

C’eri nei miei pensieri C’eri nei miei desideriTi cercavo in una passioneEra il mio cuore che voleva aprirsi a teEra l’amore che voleva donarsi a te

Come in un sogno inaspettato sei giunto da meI desideri erano la mia realtà Il mio cuore si riempiva di teI pensieri miei si perdevano con teL’amore sognato si è realizzato

Ora rimane il vuotoSolo del tuo ricordo riempitoE il nostro amore abbandonatoDal lungo sogno risvegliatoDi quel sogno farò miei i pensieri più belliDi quei desideri farò mio il sogno più bello

IL SORRISOdi Luigina Pege

Ti incontrai sorridente e allegro, ti amaiSperanzosa di quel sorriso.Vivevo della tua voglia di vivere e l’avrei fatta mia,la tua voglia di vivere non era per mee il tuo sorriso si è trasformato in tristezza negli occhi miei.Ti persi e la nostalgia distrusse in me anche la voglia di amarti.

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EPPURE IL SOLEdi G.P.

Eppure il sole era alto nel cielo, i bambini giocavano tra loro, le automobili sfrecciavano come sempre lungo la strada, le lancette dell’orologio segnavano i minuti. Per tutti gli altri, ma non per me.Il tempo si fermò in quello stesso istante in cui mi venne detto che mi sarei dovuta operare per un tumore al seno. Il sangue sembrava scorrere più nelle vene, il cuore non battere più: solo le lacrime, che cominciarono a sgorgare dai miei occhi dimostravano che ero ancora viva.Per fortuna trovai accanto a me una spalla su cui piangere, quella di mio marito che sarebbe stato sempre accanto a me.Poi venne programmato l’intervento, era il giugno 1989 e dopo ci fu il ritorno a casa. Lì, il calore familiare, i fi gli che in ogni modo mi dimostravano la loro gioia nel riavermi con loro, gli amici, i colleghi mi aiutarono a sopportare la radioterapia e a riprendere le attività di sempre.Anche i controlli medici, all’inizio abbastanza frequenti, diventarono sempre più radi, seppur ogni volta mi causassero paura ed ansia.La normalità sembrava riconquistata.Questo durò ancora per sette anni.Poi un giorno qualcosa si interruppe. Di nuovo un intervento, poi due anni dopo un altro intervento.Ci fu anche allora la solita spalla su cui versare le nuove lacrime, che furono tante da farmi sentire fi accata nello spirito e nel corpo.Anche la chemioterapia fu sopportata e non riuscì ad annullare i miei sogni che anzi diventarono sempre più pressanti. Avrei dovuto vivere per poterli realizzare.I controlli medici ritornarono ad essere frequenti ma trovai sempre disponibilità all’ascolto e professionalità nel mio oncologo, il Dr. Fornasiero, e questo mi aiutava.Fu in quell’occasione che cominciai a frequentare l’Associazione “Volontà di Vivere”, a seguire le varie attività: la considero ancora oggi un’oasi di serenità, in cui si trovano persone squisite e disposte sempre ad ascoltare, a dare il proprio tempo, il proprio aiuto, la propria competenza.In quel momento cominciai anche a scavare dentro di me e riportare su carta pensieri, rifl essioni, sensazioni. E anche questo mi aiutava.Avevo ancora una volta vinto, ma la battaglia non era fi nita. C’era ancora da combattere.Un nuovo intervento, una nuova chemioterapia, altre lacrime: mi sentivo inerme, impaurita, smarrita, ma ho ripreso a lottare e tutto è passato.Sono ripresi i controlli, il sole ha ripreso ad essere alto nel cielo, anche per me, i bambini hanno continuato a giocare tra loro, anche per me, le automobili hanno continuato a sfrecciare lungo la strada, anche per me, le lancette dell’orologio, a segnare i minuti, anche per me.E questo dura tuttora.

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LA VITAdi Grazia Pilotto

Mi allineo alla vitaPer avere mille baciDalle brezze del marePer volgere altrove gli occhiDagli sguardi indiscretiPer centellinare ninnenanneTemperanti offese feroci

Mi collego ai cantori dell’ovestAi centauri dall’abbraccio fataleAlle acquatiche voci del sogno

Mia madre era edera nel desertoFoggiava adunanze col mirtoSoccorreva ogni fataOltre i veli del tempoPercorreva rivi remotiNel sotterraneo mondo del nulla

Io m’aggrappo alle steppe del futuroAggancio audaci ruscelliTrainando l’adagio del mare

Della conchiglia m’appassiona l’onda.

RINASCITAdi Giuliana Pisani

Verbene fi orite in un pugno di terra,candidi petali di una rosaschiusi di primo mattinoper festeggiare l’albae tenere lontano i follettiche portano il buio.

Intrecciavo ghirlande di ederae salutavo il soleper poi unirmi alle farfalle

in una danza propiziatoriamentre le gocce di rugiadapurifi cavano il mio voltodalla fuliggine della notte.

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ANELITO DI LIBERTÀdi Flavia Sanfi lippo

E d’improvvisole illusorie certezzealtro non sonoche mucchio di macerie,il vaso di cristallosempre ugualecome la tua vitava in frantumi.Provi a incollarne i cocciad uno ad unoil respiro fermie la tua tremula manoprovi riprovi e ancoraa riportare i tuoi giornial vecchio andare,ma un soffi oe l’anelito di libertàche l’anfora aveva imprigionatolibra la tua esistenzanell’ariasopra l’ala felicedi un gabbiano.

PACE DEL MAREdi Antonio Sangervasio

Mare calmopalmo di vita,dorso di mano amicache ti accarezza amica.Chiedo al futuro un passato sinceroe un dolce sollievo.Canti ripresidapprima dismessiconcessi dal fuoco divino.Riprende la storia di sempre.Acqua mio dolce bagnarsi di sensi,planami oh mare

su letto di rose,che al sol profumo mi fa rabbrividiree al cielo che chiedouna stilla armoniosa,di un senso ormai quieto pretendo una cosa,il senso soave di un suono sublime,che non ha inizio e non ha fi ne.

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IL DEBITOdi Gianroberto Viganò

Le vicende della vita hanno fatto sì che moristitravolta da un nemico tanto spietato quanto invisibileche in due mesi ti ha portato via da papà e da me.

In poco tempo il male ti ha ridotto come una larvae sebbene la quotidianità ci faccia apparire tutto consolidato ed immutabile,solo allora ho compreso che le nostre esistenze sono così fragili.

In certi momenti ho tanto sperato che morissi per non vederti soffrire,in altri avrei voluto ritornare indietro per dirti cose che davo per scontato,ma scontate non sono ed ho il cruccio di non averti detto.Omero diceva che è un dolore troppo grande per i padri veder morire i propri fi gli,è certamente vero, però quanto è doloroso vedere una madre fi nire così,senza un saluto, senza un’ultima parola, senza dirsi arrivederci.

Lo sai, a differenza di te, la mia fede non ha mai brillato.Ti ho visto perdere la vita in ospedalee ho pensato che Dio avesse contratto un debito nei miei confronti, un debito insanabile.

A giugno è nata Silvia e so quanto avresti voluto vederla, toccarla, coccolarla.Sono cinque anni che ho in odio gli ospedali, però ho deciso di vederla nasceree quando l’ho vista venire alla luce, ho compreso che Dio ha saldato il suo debito.

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LA VITA RICONQUISTATAdi Caterina Tanzella

A trentadue anni, quando i sogni si trasformano in realtà, quando si ha la consapevolezza di poter progettare la vita, il futuro, quando il tuo fi sico è perfetto, quando hai due bambini da allevare, la parola “cancro” non appartiene al tuo mondo.Non ti sfi ora neanche, tanto si è sicuri che non può toccarti. Durante una doccia, un dubbio (però la certezza che non può toccarmi mi lascia serena). Il consulto del medico, prima, del chirurgo poi, l’esito dell’esame istologico conferma una mastopatia fi brocistica. Tutti mi tranquillizzano e la vita scorre serena. Ancora per poco, perché nella regione esplorata ricresce qualcosa. Nel 1970 non esistono strumenti diagnostici e alle mani dei medici sfugge la gravità del caso.Quando intervengono, prima con lo svuotamento del seno, poi con la “radicale” e svuotamento ascellare, la diagnosi è infausta; si rende necessaria anche l’ovariectomia. Il tutto in 45 giorni di ospedalizzazione. Un tempo interminabile.Le mezze verità dette dai medici, le espressioni dolorose e spaventate sui volti dei familiari mi fanno nascere i primi dubbi. Involontariamente ascolto un colloquio tra mio marito ed un suo amico:”Hanno fatto il possibile, avrà quaranta giorni di vita, ha detto il professore”. Il sangue mi si ferma, nella mia testa esplode una bomba.Mi dico:”Non è possibile, mi hanno martoriata per niente...”, intorno a me il precipizio. Crollano i progetti. Le speranze spariscono. Si insinua la certezza di una fi ne immediata...Dio! I miei fi gli: sei anni e due anni e mezzo. Mi accorgo che dalla loro nascita non sono mai stati con altre persone (ho parenti a 800 Km). Non è il seno che mi manca, ma il tempo. Mi immergo nello spazio della giornata e vorrei che durasse 24 giorni e non 24 ore. Arrivano le terapie: cobalto e Rengter: 50 sedute che fi niscono il mio corpo come già è la mia mente.Passati 40 giorni comincio a vivere i giorni come una proroga – questo arrampicarmi al tempo mi stanca. Nel giro di tre mesi aumento di 15 Kg. Non mi riconosco esteriormente come interiormente. Non avevo mai conosciuto la paura, la malattia me ne mette tanta da non farmi dormire.La mia identità si “sdoppia”, il confl itto interiore mi distrugge. Non ci sono medici o familiari che riescano a farmi credere che ho delle possibilità. Mi isolo, vivo in completa confusione; tanto che non mi rendo conto della diversità del giorno dalla notte; della diversità della vita dalla morte; dell’importanza di agire oppure di lasciarmi andare. Mi sento travolta come da una gigantesca onda che mi porta alla deriva in uno stato di oblio dal quale esco sempre più sporadicamente.Quando accadono cose eccezionali di bene o di male, sono come sferzate e mi svegliano; mi rendo conto che qualcosa non va. Sento il peso dell’isolamento e

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nasce il primo perché. Mi guardo allo specchio e quel perché diventa martellante e la trasformazione inizia. Come? Non so, forse guardando una pianta di rose (lo facevo spesso) in primavera e la prorompente forza delle gemme che scoppiano dai rami all’apparenza secchi. Toccando il mio corpo sento nelle vene il sangue pulsare forte e scopro che... la vita rivendica la sua esistenza.Mi rendo conto che la situazione di malessere è ormai insopportabile e mi sento spinta a scegliere: riprendo i remi in mano e correggo la rotta di quel battello che è l’esistenza umana oppure lo lascio andare alla deriva? In uno di questi risvegli, per la prima volta nella mia vita sento che il peso della responsabilità di essere di qua o di là della vita è solo e unicamente mia. Ricordo che misi tutto il mio passato sulla bilancia e, forse per un residuo di amore per la vita, mi resi conto che i punti positivi erano di gran lunga più numerosi dei punti negativi; che la resa e la rinuncia mi procuravano vergogna; che col mio vivere male avevo causato sofferenza in chi mi voleva bene; avevo tradito la fi ducia in chi era abituato ad appoggiarsi a me; che il mio risentimento verso gli altri (non mi sentivo capita) mi rendeva infelice e sterile, non sapevo più dare niente.Allora...... ho scelto la vita.

Durante questi anni molte donne operate mi hanno chiesto “quando” io ho capito che stavo sciupando il mio tempo inseguendo la convinzione di una fi ne prossima. Credo non sia importante il “quando” (perché ognuno di noi ha dei tempi propri) quanto il perché e il come.Il rendermi conto come stavo funzionando è stata una leva importantissima perché mi ha permesso di aprirmi al cambiamento, di muovere il primo passo verso la vita, di rivedere il mio bagaglio culturale, di non aver paura di perdere la faccia.Queste sono state le strade che mi hanno portata ad ESSERE, a VIVERE il mio tempo nella sua interezza, conscia che la VITA è un’esperienza irripetibile.E’ stato lungo e duro il cammino; sentivo la necessità di confrontarmi con altre persone come me, avere un punto di appoggio. Non ho trovato niente. Ho dovuto da sola liberarmi dal peso della paura, dei tabù, delle credenze, dei preconcetti e falsi moralismi che, come le sabbie mobili, cercavano di soffocarmi. All’inizio esile e vulnerabile, poi sempre più forte sono NATA A NUOVA VITA.Oggi, quando immagino il mio futuro, vedo una strada luminosa in continuo crescendo in ampiezza e colori con ai bordi delle seggiole sulle quali le mete che intendo raggiungere aspettano pazienti; tra queste c’è anche la morte, non più battagliera e prepotente come la vedevo nei periodi di angoscia ma inoffensiva che aspetta sonnecchiando non al termine della strada perché questa oltrepassa e prosegue infi nita.

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Ho imparato a vivere e sono guarita!Quando fi nalmente ripresi i primi contatti con gli altri, lo feci attraverso un lavoro. Un lavoro che mi portava a fi ssare degli appuntamenti e a mantenerli; ad avere cura del mio aspetto tanto quanto del mio umore, dovevo essere convincente per vendere dei prodotti. Il primo incontro fu un disastro – avevo perso l’abitudine di parlare – ma non mi lasciai più prendere dalla paura, ritentai e fu un successo, furono i primi scalini per risalire la china.Contemporaneamente cominciai a frequentare il reparto dov’ero stata operata, un po’ per salutare i medici e il personale infermieristico che tanto mi avevano seguita, ma soprattutto per andare a trovare altre persone che stavano vivendo il mio stesso problema. Mi resi conto che nella maggior parte dei casi riuscivo a portare un aiuto, una speranza. Intensifi cai le mie visite e cominciai a sperare di formare un gruppo organizzato come già era avvenuto a Milano con “Attive come prima”.Non immaginavo quanto in seguito avrei imparato dal contatto con gli altri.Più cercavo di aiutare e più mi arricchivo di sicurezze e di entusiasmo.Il lavoro di introspezione compiuto mi ha aiutata a leggermi dentro. E’ stato un cammino stupendo – ho scoperto quell’immenso mondo interiore dove le numerose risorse e conoscenze acquisite compongono come un mosaico l’archivio della mia vita.Oggi so di Essere – non più la fi glia di..., la moglie di..., la mamma di..., ma IO che insieme agli altri, come linee parallele, proseguiamo per le nostre strade, senza alcuna invadenza o dipendenza. Ho imparato a gestire la mia volontà e mi sono liberata della zavorra delle convinzioni inutili; mi sento leggera e proiettata verso la vita.Oggi continuo a testimoniare con l’esempio che si può vivere agevolmente e attivamente anche senza quella parte del corpo fi sico che è stata – in fondo – spesa per raggiungere un grado più elevato di comprensione dell’esistenza.Così sento di aver riconquistato la mia vita.

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GRUPPO “CRESCERE CON ARTE”:

TESTIMONIANZE DEL LABORATORIO CREATIVO

“Il concerto” di Chagall

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PREFAZIONE

Ho avuto la possibilità di conoscere l’Associazione attraverso la malattia. All’inizio ho vissuto l’esperienza dal versante della persona colpita dal cancro, incapace di trovare risposte tranquillizzanti, anche per il fatto di trovarsi a rivivere un percorso familiare che tra gli anni ‘60 e il 2006 ha attraversato il ramo materno (madre e quattro sorelle) con esiti negativi. L’aiuto, non previsto, effi cace e stimolante, mi è stato offerto da Caterina con le sedute psicoterapeutiche del Dottor Trevisan.Da lì è iniziato un cammino di messa a fuoco degli aspetti creativi, già bagaglio dell’esperienza scolastica degli ultimi vent’anni di insegnamento, legati soprattutto alla parola, come elemento individuante di Marina.Quando mi è stato richiesto di condurre un’attività di scrittura creativa con le donne che lo desideravano, che come me, o per altre esperienze personali, avevano avuto la fortuna di imbattersi nel Centro, ho accolto l’invito con favore.Non solo, ma toccare con mano la scrittura delle partecipanti al laboratorio, attraverso stimoli comunicativi diversi, mi ha dato la possibilità di uscire dal guscio in cui mi ero rinchiusa, arricchire le relazioni umane, potenziare le risorse creative altrui e offrire chiavi interpretative di sé, tra parola scritta e detta.

Prof.ssa Marina AgostinacchioInsegnante di poesia e scrittura creativa

Gruppo “Crescere con arte”

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IL GRUPPO “CRESCERE CON ARTE”

Prendendo spunto dalle attività creative seguite con notevole partecipazione ed interesse, come la danza-movimento-terapia, l’atelier delle emozioni, le rassegne di poesia e narrativa ed il corso di pittura, l’Associazione “Noi e il Cancro – Volontà di Vivere” ha deciso di promuovere l’esperienza di gruppo “Crescere con arte”, un luogo protetto e assolutamente riservato, dove le persone possano comunicare attraverso le numerose forme e colori che l’arte offre, per dar voce a parti di sé inaspettate, profonde, non pensate, ma proprio per questo portatrici di importanti signifi cati. Lo scopo del gruppo è simile a quello di un viaggio: visitare, scoprire e rielaborare attivamente luoghi sconosciuti di sé, così da arricchire la propria esperienza interiore, condividendone potenzialità e limiti con gli altri, al fi ne di facilitare un migliore adattamento psicosociale alla vita. L’esperienza è iniziata nel febbraio del 2008, con laboratori di creta, pittura su stoffa, recitazione, scrittura creativa, musica, canto e danza. Per ogni laboratorio è presente una volontaria dell’Associazione, una persona che ha precedentemente vissuto l’esperienza della malattia, in grado di offrire, oltre alla propria competenza, anche le proprie risorse creative come modello assertivo per il gruppo. Non è solamente un “tecnico” esterno a stimolare l’esperienza creativa, ma una persona che conosce bene la sofferenza e il disagio che la malattia comporta, ma che è anche in grado di offrire un’alternativa positiva di rielaborazione dei propri vissuti personali.

Il progetto è stato inoltre inserito all’interno della campagna proposta per la Giornata Nazionale del Malato Oncologico (31 maggio e 1 giugno 2008) da FAVO – Federazione nazionale delle Associazioni di Volontariato in Oncologia.

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L’IMPORTANZA DELLA CREATIVITA’

Nello specifi co il progetto è nato dalla consapevolezza dell’importanza della creatività, come modalità attraverso la quale organizzare l’informazione e l’ esistenza, come punto di partenza per la promozione e la facilitazione dello sviluppo della dimensione della “possibilità”, per l’acquisizione cioè di un pensiero più fl essibile e libero dai condizionamenti. La musica ad esempio, può favorire la creazione di relazioni con immagini o con sensazioni e così anche la parola, la pittura, la danza. Giocare con i signifi cati delle parole, prendere ironicamente le distanze dagli eventi, relativizzare le prospettive, sono tutte modalità che aiutano le persone a vivere la vita con una maggiore leggerezza, che non equivale ad una maggiore superfi cialità, anzi, aiuta a riconciliarsi con la vita, aumentando l’autostima e il senso del valore personale, grazie alle infi nite possibilità di signifi cato attribuibili all’esistenza stessa.La creatività come strumento e risorsa che un individuo possiede è “ciò che genera sorpresa”, qualcosa che, rispetto al risultato atteso, è originale e inconsueto. Il momento creativo permette di collegare il mondo emotivo con il mondo cognitivo, rendendolo “visibile” attraverso gli strumenti che l’arte ci offre; l’arte in questo senso va intesa come la potenzialità che ognuno ha di elaborare artisticamente il proprio vissuto e di trasmetterlo agli altri. L’arte-terapia facilita nelle persone l’emergere della creatività, suggerendo tecniche che potenziano gli aspetti caratteriali positivi e offrendo un contenitore emotivo e strumenti per elaborare le emozioni più diffi cili da accettare. Fantasia, creatività, intuizione, percezione, comunicazione corporea diventano una ricchezza, un patrimonio che può essere utilizzato consapevolmente come sostegno nella vita di tutti i giorni. L’arte come nutrimento per lo spirito, in grado di motivare una persona a voler migliorare, crescere e guarire, poiché tutti hanno il diritto di produrre il proprio esclusivo segno creativo, un’impronta che nessun altro potrebbe creare, che riafferma il Sé e che comunica “Io ci sono, ho qualcosa da esprimere”. Nell’atto di creazione di ciascuna persona dunque, l’arte coinvolge le emozioni e libera lo spirito. L’origine della creazione sta nell’esperienza: si vive non solo l’atto della creazione, ma occorre anche permettere a quell’atto di ricreare emozioni, avvenimenti e sentimenti vissuti in precedenza, incanalandoli attraverso quell’espressione creativa.

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GLI INTERVENTI DI ARTE-TERAPIA IN ONCOLOGIA

Gli interventi di arte-terapia hanno come scopo principale quello di migliorare la qualità di vita del paziente oncologico, utilizzando una particolare forma di comunicazione: l’interazione simbolica. Quest’ultima tende ad integrare due dimensioni fondamentali, da una parte la creatività (dimensione intrapsichica) e dall’altra il rapporto interpersonale tra paziente e arte-terapeuta, attraverso l’uso della comunicazione simbolica. Questo concetto inserisce l’arte-terapia nel recente approccio interdisciplinare che vede il lavoro terapeutico sulle emozioni come una continua “traduzione” dalle sensazioni alle immagini e al linguaggio. Nell’arte-terapia le immagini provengono dal paziente stesso e vengono sviluppate a livello sia verbale sia visivo.A seconda della formazione dell’arte-terapeuta e delle esigenze del paziente gli interventi si possono situare su un continuum, che va dal privilegiare il processo creativo-intrapsichico-non verbale, all’uso del rapporto dinamico-interpersonale-verbale tra paziente e terapeuta. Qualunque intervento deve comunque contenere un’integrazione tra le due dimensioni.Alcuni lavori (Rosal, 1992 e 1996; Malchiodi, 1999; Epping, Willmuth, 1994) dimostrano come l’impiego di programmi e protocolli di arti-terapie implichino cambiamenti in alcune dimensioni psicologiche misurabili attraverso specifi ci strumenti o scale. La riduzione dell’ansia e cambiamenti nel locus of control (concetto studiato da Rotter nel 1996, relativo alla valutazione di quanto il comportamento individuale sia determinato da fattori interni o esterni) indicano che gli interventi di arte-terapia favoriscono una maggiore interiorizzazione dei vissuti psichici e predispongono ad un più effi cace controllo delle emozioni.Dai dati raccolti in numerose situazioni di arte-terapia si può vedere come nel corso delle sedute i pazienti si muovano di più e facciano maggior uso di espressioni facciali rispetto al loro abituale espressivo: in particolare il fatto di essere impegnati in un’attività di tipo artistico accentua le capacità espressive corporee. Tramite strumenti quantitativi possono inoltre essere rilevati cambiamenti nell’attenzione e nell’interesse per la produzione e per il materiale artistico; questi aspetti sono più stabili e duraturi rispetto a quelli espressivi e rivelano una crescita motivazionale dei pazienti per la terapia seguita.Infi ne, un altro parametro che può essere preso in considerazione per una valutazione di tipo quantitativo riguarda i cambiamenti dei vissuti soggettivi da parte dei pazienti rilevabili mediante le loro verbalizzazioni sulle principali modifi cazioni dei loro stati affettivi.

Le espressioni artistiche possono fornire alle arti-terapie idee utili ad attivare il lato creativo presente in ogni individuo e le arti-terapie possono essere fonte di ispirazione di percorsi artistici contemporanei, tuttavia è bene non confondere

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i due piani e ritenere che qualsiasi esperienza artistica, in qualunque modo essa venga svolta, costituisca una forma di arte-terapia. Queste ultime infatti prevedono una specifi ca organizzazione, determinati protocolli di intervento e si fondano sul rapporto che si viene a costruire tra paziente, terapeuta e gruppo di lavoro.

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LE EMOZIONI E IL BENESSERE INDIVIDUALE L’intervento di arte-terapia è orientato ad un ampliamento della sfera dei vissuti emotivi: l’espressione artistica porta nel campo dell’esperienza individuale nuovi contenuti affettivi con cui il paziente, sostenuto dal terapeuta, deve confrontarsi. Al contrario dei meccanismi di difesa, in particolare la rimozione, l’aspetto espressivo - comunicativo porta ad una maggiore consapevolezza di sé, a volersi vedere e a non nascondersi.

Lo stato di salute e di benessere individuale dipendono in gran parte dal controllo e dalla regolazione delle emozioni. Le capacità di controllare, esprimere, vivere e sentire le emozioni sono qualità che non tutte le persone possiedono in eguale misura e, in alcune circostanze, può essere particolarmente utile svilupparle o acquisirle.

A tale proposito si può fare riferimento al concetto di “intelligenza emotiva”, introdotto da Salovey e Meyer (1990), poi riproposto da Goleman (1995), il quale sottolinea l’esistenza, tra i vari fattori che costituiscono l’intelligenza, di un’abilità emotiva che permette a molti individui di saper interagire con gli altri in modo effi cace, di vivere meglio e, spesso, più a lungo. Gli ambiti in cui sostanzialmente questa abilità emotiva si esplica riguardano:

- la conoscenza delle proprie emozioni, ovvero la capacità di essere autoconsapevoli dei propri vissuti emotivi e di sapersi osservare;

- il controllo e la regolazione delle proprie emozioni (appropriatezza nell’espressione e nel vissuto emotivo; evitare di essere dominati dalle emozioni);

- la capacità di sapersi motivare (predisposizione di piani e scopi, capacità di tollerare le frustrazioni e di posporre le gratifi cazioni);

- il riconoscimento delle emozioni altrui (empatia); - la gestione delle relazioni sociali (capacità di leadership, negoziazione

ecc …).

L’intelligenza emotiva evidenzia dunque le abilità sociali dell’individuo e si fonda su diverse forme di regolazione delle emozioni.Pur non avendo una fi nalità didattica, le arti-terapie hanno come obiettivo lo sviluppo di una maggiore intelligenza emotiva, che può essere realizzato nel tempo e nel rispetto del setting, attraverso l’espressione artistica.

Salute e malattia non sono due condizioni contrapposte, ma aspetti dinamici dello stesso percorso esistenziale, elementi evolutivi insostituibili nella costruzione dell’umana identità. La salute non può essere considerata come puro evento biologico, ma esperienza totale, che investe integralmente l’identità; essa non va

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intesa solo come assenza di malattia, ma in senso più ampio, come capacità di vivere armoniosamente la relazione con se stessi e con il mondo. La salute dunque va costruita giorno per giorno e ciò signifi ca fondamentalmente attribuire un senso alla propria vita, intraprendere con fi ducia la via di una scelta interiore di cambiamento, dove necessario.

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LE TESTIMONIANZE DEL GRUPPO“CRESCERE CON ARTE”

Le testimonianze raccolte durante l’esperienza del gruppo dimostrano come di fronte allo stesso evento traumatico si possa reagire positivamente e come sia possibile gestire la sofferenza cambiando se stessi e il proprio modo di pensare, quando le circostanze non cambiano. Non hanno importanza tanto gli eventi che ci capitano, quanto il modo con il quale ci rapportiamo e ci trasformiamo in relazione ad essi.

Tutte le persone che hanno partecipato al gruppo sono accomunate dall’esperienza del cancro, vissuto direttamente sulla propria pelle, o indirettamente, su quella di un proprio caro. In entrambi i casi tale evento non è sempre la principale causa della sofferenza psicologica: ognuno infatti, è frutto di una storia, unica e irripetibile, nella quale la malattia si contestualizza.

L’auspicio è che queste rifl essioni possano essere da esempio e da stimolo per tutti coloro i quali nel corso dell’esistenza abbiano incontrato non solo la malattia fi sica, ma soprattutto la sofferenza psicologica, la paura, la disperazione, la solitudine, e che da queste esperienze vogliano uscire vincitori, consapevoli delle proprie risorse e potenzialità.

E per tutti gli operatori dell’area oncologica, affi nché non si dimentichi mai di lavorare nell’ottica di una valutazione multidimensionale e globale della persona, che tenga in considerazione l’intreccio continuo tra aspetti biologici, psicologici ed il contesto socio-relazionale nel quale si manifestano (Engel, modello biopsicosociale, 1977). Di fondamentale importanza “dunque” rimane il confronto con il vissuto soggettivo di malattia del paziente, con quella sofferenza che, se riconosciuta ed accettata, può divenire per la persona una vera e propria possibilità di crescita e di recupero di spazi di sé ancora inesplorati.

Dr.ssa Chiara VitalonePsicologa

Responsabile e coordinatrice Gruppo “Crescere con arte”

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Bertolotti P., Buchal N., Rolando G., Pensare la salute. Tecniche creative per ridurre l’ansia e organizzare armoniosamente la propria giornata. In: Collana Attivecomeprima, “Tumore al seno: prevenire, curare, vivere”, Franco Angeli, Milano, 1999.

Burrone A., Maccarini G., Il gusto di vivere, Oscar Mondatori editore, Milano, 1993.

Caterina R., Che cosa sono le arti terapie, Carocci editore, Roma, 2005.

Luzzatto P., “L’intervento di arte - terapia”, in Bellani M., Morasso G., Amadori D., Orrù W., Grassi L., Casali P., Bruzzi P. (a cura di), Psiconcologia, Masson, Milano, 2002.

Warren B., Arteterapia in educazione e riabilitazione, Edizioni Erickson, Trento, 1995.

La peculiarità del percorso di scrittura, come narrazione consapevole di sé consiste nell’attivare più canali estetici (parola, immagine, musica) in sinergia. In riferimento alle poesie che seguono, questa attività espressiva ha dato modo di esprimere spontaneamente il proprio vissuto, abbandonandosi a modalità sensoriali personali. Il risultato fi nale è stato un prodotto video in cui immagini, parole e musica “viaggiano” in perfetta sintonia.

La curva del silenzio

Per canali sotterraneiproseguo verso la primavera segreta che rinasce. In me cantano i fi umi,non parolee la curva del silenziocopre ogni germoglio. (tratto da P. Neruda, in “La grande poesia”, edizioni speciali per il Corriere della Sera, Milano, 2004)

P. G.

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Nel silenzio

Nel SilenzioLasciare ogni attaccamentoEntrare nel silenzioCome la bambola di saleEntra nel mare e sciolta in esso esclama:adesso so chi sono!Silenzio ePossiamo udire nuovi suoniPossiamo udire la nostra vita come volo di piumaPossiamo udire l’immensità di quanto abbiamo vissuto.

(tratto da A. De Mello, “Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni”, Paoline Editoriale Libri, 1990)

L.

Dentro la mia anima

Dentro la mia anima,vola il tempo del silenzio.E’ scaduto il tempo del dolore?Una linfa silenziosaCerca di nutrirmiDi ancorarmi una volta alla vita.

C.

Cosa mi aspetta

Cosa mi aspetta dopo la curva del silenzio?Posso trepidare, ma dovrò scoprirlo perché comunque dovrò percorrere tutta la mia strada magari ancorandomi all’invisibile, ai ricordi confortanti del mio passato, piume in volo, leggere come l’anima.Potrò chiedermi smarrita se quel viandante è il mio io o il mio non io ma, scaduto il tempo del dolore, la linfa silenziosa scorrerà ancora.

P. M.

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Il fi lo del la vita

Dalle mie ciglia colorate mi affaccio ancora una volta alla vita,allacciata alle sillabe la lingua di lince non urla più ma canta,ogni ferita è stata amaramente rammendata ma,nella scatola di nervi, c’è ancora il fi lo dell’errore mortale.Il tempo del dolore è scaduto, per adesso,quello che cerco cerco … la mia gioia e la mia persona.

(tratto in parte da G.Lorca e D. Thomas, in “La grande poesia”, edizioni speciali per il Corriere della Sera, Milano, 2004)

A.

Armonia

Quando colmo di fi ori è il pesco,occorre pure l’alito del vento,un’ape silenziosa e gli occhi di un bambinoper dirsi pronti a nuove stagioni,dove occorrono anche gioco ed innocenza.

(tratto da H. Hesse, “Stagioni – Prose e Poesie per tutto l’anno”, ed. Guanda, 1995)

M.

Nella curva del silenzio

Nella curva del silenzio che attraverso,con volo di piuma,sento la linfa silenziosa del mio ioancorarmi all’invisibile del mio non-io…

…E ascolto:colmo di fi ori è il pesco,il tempo del dolore è scadutooccorrono anche gioco ed innocenza.

M.

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Anche una piuma

Anche una piuma che vola può disegnare la tua fi gura, o il raggio che gioca a rimpiattino tra i mobili, il rimando dello specchio di un bambino, dai tetti.Lascia andare la tua fi gura al profumo dei tigli, sulla scia dell’azzurro-violetta, del rosa e del rosso.Lasciala andare alla brezza calda che sa di gelsomino e mughetto per fonderti in quella nuova via che fa di te un essere fra cielo e terra.La frangia dei capelli che ti vela la fronte puerile, tu distrarla con la mano non devi. Anch’essa parla di te, sulla mia strada è tutto il cielo, la sola luce, il solo stupore.

(tratto da E. Montale, in “La grande poesia”, edizioni speciali per il Corriere della Sera, Milano, 2004)

F.

Il mio io – non io

Il mio io - non io:coriandoli colorati e grigi come semi lustri di un fi co purpureo e ben maturola linfa silenziosa tramae improvvisa accende il mattinoe illumina le cose. Con lacrime d’oro mi faccio una collanae con gemme di speranza un cappello.

P. G.

Compagno invisibile

Sento nella mia stanzaUn compagno invisibile.Se potessi ancorarmi stanotte a te.

(tratto da E. Dickinson, in “La grande poesia”, edizioni speciali per il Corriere della Sera, Milano, 2004)

C.

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Sfalci d’erba

Ho avuto tanti sfalci d’erba ,ma lo sfalcio arriva quando l’erba è maturae lo sfalcio fa cadere i semi pronti a germogliarepronti a mettere forti radici.Dopo lo sfalcio l’erba cresce sottile, alta, forte,pronta a innamorarsi del sole, bere la rugiada, la pioggiadelicata,ma sopporta il temporale, la grandine, il vento, il gelo.Poi si rialza, fi orisce, sempre in movimento.

L.

Canto di me stesso

Io ozio, ed esorto la mia anima.Mi chino ed indugio ad osservare un fi lo d’erba estivo.

Io sono quel fi lo d’erba Sul quale la rugiada indugia.

Tutto questo mi arriva giorno e notte, e se ne va,Ma non sono il mio Io.

Il mio Io sei Tu Cuore di un cuore amato Senziente, trapassato da punture di spilli.

La grande porta del fi enile è spalancata.

Ora io entro e calmo Con la calura estiva l’angoscia Del mio cuore. Il mio Io- non Io.

Lontano in posti deserti e su montagne vado a caccia solitarioVago qua e là e mi stupisco della mia agilità e dell’umore allegroE verso sera scelgo un posto sicuro per passare la notte.Accendo un fuoco e vi arrostisco la selvaggina appena uccisa.

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Sono un indiano che pensa la pauraSono un arabo che ama le suggestioni di una donnaSono un meticcio, che non sa chi è.

Ho veduto le nozze di un cacciatore di pellicce nel Far – West, all’aria aperta, la sposa era un’indiana.

C’eravamo tutti, quella sera, e mangiavamo come assatanati.Io, lui, e l’indiano lacero andammo nel bosco di notte a cacciare.Fu una preda a rubarci l’anima.La stiamo ancora cercando.

(tratto da W. Whitman, in “La grande poesia”, edizioni speciali per il Corriere della Sera, Milano, 2004)

S.

Colmo di fi ori

Colmo di fi ori è il pescoNon tutti diventeranno frutto,splendono limpidi come schiuma di roseper l’azzurra fuga delle nubi.

Come fi ori sbocciano i pensieri,cento al giorno – Lasciali fi orire! Lascia alle cose il loro corso!Non domandare del raccolto!

Occorrono anche gioco ed innocenzae fi ori in abbondanza,altrimenti il mondo ci sarebbe angustoe la vita priva di piacere.

(tratto da H. Hesse, “Stagioni – Prose e Poesie per tutto l’anno”, ed. Guanda, 1995)

M.

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Il Ricordo Ancorato

Il treno correin quel frastuono mi assentorincorro i ricordi e sentoil suo alito sfi orarmiil viso, la bocca, le manil’animo si accende di lucee dalla penombra il mio spiritovola alto.

Il treno correnon esisto, sono dentro al tempolo sentosia pur come animaun altro senso ha preso in mel’universoè gioia, colore, calore, è oroil sospiro trattengo gelosa

è il mio ricordo!vorrei gridarloma tacere devo per loro.

Il treno correancor più velocisentimenti emozioniscorrono in un fi umea mostrarmi il tempo dell’amore- ancora i tuoi occhi penetrano i mieie in essi mi perdo -ma linfa calda e silenziosa mi attraversa ancorarmi ad essa vorrei, ma il tempo è scaduto.

Il treno corre e in quest’ora più che in un’altrapiango e soffoco l’urlo che sale l’ho perduto! mi è mancato il coraggio!e la curva del silenzio piano miavvolgemi prende l’angosciala disperazione di non poter confessarein un tono di grido austero. L’ho amato! È stato il mio tempo

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ma non posso, loro ignari dormono.

Il treno si fermastruggente torna la realtàmi disconosco e chiedo: imboscami futuro negli ombrosi sentieri del mio sogno il tempo passa e brevi sono gli anni non il rimpianto ad adombrarmi i giorni voglio ma vivere pienamente ancora e ancora la ricchezza di quel tempo che è stato mioil mio animo si placala luce ritornala vita si illuminae insieme si torna a casa.

C.

Linfa silenziosa

Il mio cuore si è ricolmato di fi ori e di frutti.Cos’hanno prodotto i tanti periodi di malattia?Pause di rifl essioni profonde, capacità di dare valore a cose piccole, essenziali e pure.Non dolore o disperazione, ma piuttosto malinconia che però ha guidato la mente verso la parte più nascosta e ancora non svelata di me.Ora “sento” quella linfa silenziosa che dalle più lontane radici ha sempre nutrito l’intero mio essere, portando in ogni stagione della vita, il succo necessario per produrre fi ori e frutti.Oggi la mia vita è ornata da queste ricchezze: posso consumarle pian piano senza che per questo si esauriscano, perché le radici sono profonde.Forse quando la morte verrà potrò ancora essere capace di qualche dono.

(tratto da R. Tagore, in “La grande poesia”, edizioni speciali per il Corriere della Sera, Milano, 2004)

P. M.

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Cerchio di piume

Un cerchio di donne forti in cerca di identità(si sommano e giocano le paroleNel girotondo e nell’intenzione)

Quando due o più donne giocano, il sole sorride.

Tutto intorno danzano le donne, Cerchio di Piume.

Il semicerchio si allargae lascia entrare la luce dell’intimità: è un cuore che palpita/ un verbo non detto/ un essere distante che richiama al cuore vibrazioni.

Ed il sole e il cielo sorridonoa veder germogliare i frutti

dei ventri femminei:ciliegie di idee/

fragranze profumate alla viola su tele colorate/impalpabili sonorità di canti mai esplosi/gesti che nessun’altra grazia può imitare/

intuito di sguardi. Quando due o più donne giocano, il sole sorride.

Nel grembo il seme si deposita.La fertilità materna acquisisceistanti di pura levità.

Il Cerchio di Piume si richiudealla ricerca di una nuova fertilità.

S.

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POESIEDI ALCUNE NOSTRE AMICHE

POETESSE

Mauro Bazza - “Sul Brenta” - olio su tela

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IL CERCHIO MAGICO OVVERO QUALCOSA CHE CANTA… di Marina Agostinacchio

Uno, due, tre…Dove, perché.Un luogo, un punto.L’albero frondoso che ripara.Uno, due, tre…Come, perché.Un passo indietro, le cose confi nate;lo vedi, dopo è il buio, avanza.Una capanna per riporre l’umidodel male,il cerchio vuoto,il moto dei pianeti rallentato.Uno, due, tre…Sei braccia a raccogliere il giorno,sei mani a fermare la notte che avanza.Uno, due, tre…Nero-castano i capelli,odorano un sogno dentro il mare.Agosto sul bordo. Cosa senti?Era suono, poi ricordo.Uno, due, tre…Intorno a un divano, tu premi la pelle,non sai la qualità dell’impasto,ma vedi il profi lo, lo sguardoa raccogliere: uno, il distacco,due, il dolore che preme,tre, il sorriso che rinasce solo insieme.

A ME STESSAdi Lucia Andriolo Stagno

Lotti, lotti estolta,non ti accorgi neanche quanto ti costa,la lotta:

Poi ti fermie provi ad amarti.

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CATERINAdi Lucia Andriolo Stagno

Già il nome è cristallino.

Sei limpida, chiaraErettaPiena di una dignità cheNon è arroganza.

E’ dignità di chiAccetta la sfi da della vita,ci vuol provare.

Chissà quante ne hai viste;potresti ergerti sulla tuamontagna di esperienza.

Sei, invece, semplice,parli ad ogni singolo cuore,ami la storia di ognuna.

Sei Mamma con la

E BASTA di Lucia Andriolo Stagno

C’è chi vuol far tutto lui,e poi... fa la vittima

c’è chi non vuol far nientee poi... si lamenta

c’è chi agiscema solo sulla basedi incontri, scontri, scambi

c’è chi fa e non si fa domande

c’è chi cercae vuole risposte

c’è chi amae basta...

Emme maiuscolaPerché fai quel che faLa vera mamma:accogli.E poi...Tutto il resto viene,si risolve,si appianacon la maestria di chi curando i particolari,sa dare concretezzaal suo grande amore.

Sai essere sorella nelDolore ma anche Nella gioia.

Tu non hai un sesto senso soloMa anche un settimo un ottavoEtc. etc.

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FARDELLIdi Lucia Andriolo Stagno

E’ un peso il passatoE’ un peso il futuro

Io prendo i due fardelliLi faccio roteareE poi, molto più libera,li butto in fondo al mare.

FUTUROdi Lucia Andriolo Stagno

Luce, ariasole, colori:

bisogna sceglierliuna volta per tutte.

E poi...

quel che dovrà esseresarà!

LIBERTÀdi Lucia Andriolo Stagno

Uccelli neri puntano control’azzurro intensoe aprono un varcoche dà profonditàal piatto cielo.

M’intrufolo nel solcoe diventoocchi che volano.

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COS’È LA VITAdi Jolanda Fassina – Smaniotto

La vita è un viaggiocon migliaia d’imprevisti:camminate, fermata,soste o corse pazze.

Sgorga dal cuoredesiderio di gioia:è la stagionedella favolosa infanzia!

Nasce nell’anima una bramosia di lucee di conoscenze: il momentoè dell’adolescenza!

E... ad un passodalla maturitàgià bramila tua libertà!

INSEGNAMI AD AMARE!di Jolanda Fassina – Smaniotto

Ad amare insegnamiSignore! Insegnamisecondo il mio Essere!Aiutami a non sprecarele mie potenze d’Amore!Ad amarmi sempre menoper amare gli altrisempre di più,affi nché attorno a menessuno soffra o muoiaper avergli negato l’Amorenecessario per vivere.

Tesoro prezioso la “VITA”valore infi nitoda non sciuparenel tempo donato.Fanciullo, ragazzo, uomonon perderti nell’effi mero!

Vuoi luce?Cercala in Dio!Vuoi gioia?E’ tra i tuoi!Vuoi libertà?Sì, vuoi tesorid’anima!

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IMPARA DALL’ALBEROdi Jolanda Fassina – Smaniotto

Dall’albero impara:si piega esso,dolcemente al pesodella neve!Piegati al supremovolere: accettagli eventidell’umana esistenza;se non vuoi spezzartisii come un ramo chenon vuol piegarsi.Le tue radiciimmergi nella faldadella preghiera;vita novella riavrai,

MAMMAdi Jolanda Fassina – Smaniotto

Per me il tuo nomeè santo “mamma”perché amica fostidel Creatoreallorché m’accettastiper atto d’amorevicino al tuo cuore.Ben dieci volte gli dicesti sìEi dieci anime t’affi dò così.Madre: - Dove sono ora?La tua testa si vadi fi li d’argentoornando i tuoi fi gliquasi soffi o di ventoaccanto a te passando;se ne sono andati.E sei rimasta solanella vecchia casa.Mamma/ Chi ti consola?

Papà non c’è più;ma tu vecchia e stancaserena porti la crocedi tua vedovanza.Jo voglio dirti una cosa:In questo mattino di splendido soledi Maggio, al baciodel primo raggio,la più bella rosa d’amoreè fi orita / Per TeMamma / qui dentroil mio cuore!

nel tuo ESSERE, enuove gemme/ là ovele foglie sono state strappaterifi oriranno all’aria pura di unanuova PRIMAVERA.

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PREGHIERAdi Jolanda Fassina – Smaniotto

Oh, voce del cuore,a lungo soffocata,dolce fl uisci,

arrotonda spigolicolma vuotirisana cicatrici

leviga questa pelle ruvidabagna questa pelle seccaculla questo essere stanco

porta, dolce,speranzaluceverità,affi nché l’anima miapossa bereil vino fortedella gioia.

FILASTROCCAdi Enzina Pizzato

Vi racconto una storia bellache parla di Caterina Tanzella.Vi racconto una storia birichinache parla ancor di Tanzella Caterina. Tutto successe a Padova città dove un dì, tanti anni fa, con un’amica giravo smarrita cercando una protesi ben rifi nita.

Davanti alla fornita sanitariaindecise eravamo col naso all’aria,quando fummo con forza e decisione,fatte salire su un mezzo di locomozione:una signora assai convincentesi mise al posto del conducentee sfrecciando sicura, via dopo via,ci scaricò proprio lì a S. Mattia. Fu quello un vero e proprio rapimento che mi fece conoscere quel portento dell’infaticabile ben nota Caterina, che una nuova ne pensa ogni mattina.

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Vuol dare aiuto alle tante signorecolpite come me, lì vicino al cuore;seno destro o sinistro non fa differenza,perché si tratta comunque di grave sofferenza.In quel di Padova Caterina con disponibilitàcoltiva la pianta di vivere a volontà. Da pugliese in Veneto trapiantata, una seme speciale ha qui gettata: in 25 anni ha radicato saldamente nel cuore della provata gente che colpita dal maligno tumore cerca cure, ma anche umano calore.

Nonostante bufere, ostilità, incomprensionegermoglia la pianta in continuazioneproducendo frutti in quantitàsia in periferia che in città:accoglienza e corsetterialinfodrenaggio e fi siatria,pittura ginnastica e psicologiainglese e consigli di alimentazionesono vere primizie di stagione. Ogni donna per sentirsi di nuovo bella le può trovare da Caterina Tanzella: tristezza e malinconia son da dimenticare perché il futuro ci sta ad aspettare.

Tanti splendidi frutti ben coltivaticon forza coraggio e amore alimentati,aiutano tanti con competenza e bontàa ricominciare a vivere con volontà.

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A PADOVA, SULL’ACQUA...di Anna C. Tizzano

A giugno i tigli di Padovaprofumano,come quando ero bambina.

Ora, sotto il ponte della Specolac’è un rifugio di cigni,di anatre e gabbiani.

Le anatre hanno fattotanti anatrini egalleggiano sul Bacchiglione,per tutte le riviere,fi no al Bassanelloe forse oltre.

Così a Padova,sull’acqua,c’è tanta gioia.

E TU SARAI PIOGGIA...di Anna C. Tizzano

E tu sarai pioggia,sole, vento,caldo e geloe i tuoi occhivedranno nelle tenebre.

Il mistero dileguerànella dimensionedell’Eterno.

L’anima,avvolta da Divina Luce,vivrà la sua stagione,dimenticadei turbamenti dellaTerra.

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CIELO D’INVERNOdi Gabriella Villani

Di Padova mi piaccionoI cieli grigi, indecisi,che non ti dicono nulla,non indovini se domani sarà bello o brutto.

Oggi è così, indefi nito,come la mia anima.

Non so che ne sarà,ma va bene lo stesso,non mi pongo domande.

E’ meglio tacere,quando non si ècapito nulla.

MAREdi Gabriella Villani

Porta canzoniil maretra ciottoli lucenti

Porta profumo d’algheil marecolorisfarfallio di lucisquarci di cielo blunel fondo

Porta schiumaalla battigiavita che vienee vacome l’amoreche rincorrie con dolore

perdi

Porta silenziod’improvvisoil mareassurdocome presagiodi morte

Ma d’incantolo spazio apertostrappa il cieloporta la luceil mare.

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PAROLE NON DETTEdi Gabriella Villani

Affondo il viso sul colloe odori di bambino pulito

Hai sulla nucacapelli soffi cicome piume di pulcino

Mi appoggioper farmi perdutamente consolare

SE UN GIORNO ME NE ANDRÒdi Gabriella Villani

Se un giorno me ne andròsarà grande per voila mia eredità.

Vi lascio l’amore per il vento,per il mare, l’amoreper il deserto dondeiniziai il mio cammino.

Vi lascio i tramonti dorati,il sole infuocato delcrepuscolo in cui ogni giornosi rispecchiò il mio DioOnnipotente.

Vi lascio tutte le stelle dell’universo,che possano illuminarvi l’animae mostrarvi la via della pace.

La luce delle cascate,il verde dei boschi,il sapore delle fragoleil viola dei mirtilliil canto degli usignoli,i momenti più belli

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di un giorno felice,vi lascio.

Quando me ne andròaccarezzate per me i fi ori delciliegio a primavera. All’auroraalzatevi a sentire il profumo delle ginestre e guardate il mare,il grande mare, affi dategli tutti i vostri pensieri, lui li cullerà.

Se un giorno me ne andrò senza saperlo ancora,cercate un fi ore di hibiscus, chè mai lo vidi.Vi lascio le rose languide e tristidel mio guardino.

Vi lascio l’amore per il Nord,nella sua brina gelata mi confusitra i cristalli di bruma etante volte sognai le nevi della steppa euna slitta con tanti campanelli.

Se un giorno me ne dovessi andare,vi lascio l’amore per la libertà eper tutti quelli che per essa morirono.

Vi lascio l’amore che ho nel cuoreper i fratelli di tutte le guerre, pergli Italiani, per i Vietnamiti, peri Cambogiani, per tutti quelli che perun ideale si batterono fi no in fondoe caddero senza pentimento.

Ad essi il mio dolore, ilpianto mio portate, giacché per loro degnamente ho vissuto.

Se un giorno me ne dovessi andare,vi lascio il sorriso ditutti i miei bambini, lagenerosità del loro piccolo cuoree quando, con mano lieve,vi accarezzeranno,pensate a me!

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TENERA GIORNATAdi Gabriella Villani

Morbidebraccia biancheattornoalla mia vita

Dita lungheteneramentesugli occhisul collosulla pelle

E’ un’emozionecoloratascintillanteuno scoppio di lucefi ore di magnoliaprofumato

Vorreipoterti trattenereancora un pocostretto stretto

Allungo la manoe ti perdono.

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Materiale realizzato con il fi nanziamento del Centro Servizio Volontariato provinciale di Padova