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Universität Zürich Seminario di letteratura italiana "La letteratura nell'età digitale" Prof. Dr. Tatiana Crivelli Speciale HS 2012 - FS 2013 Come cambia la critica? Illustrazione di Sara Groisman, 2013 Sara Groisman [email protected] via Stefano Franscini 2A 6600 Locarno 31 marzo 2013

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Universität Zürich

Seminario di letteratura italiana "La letteratura nell'età digitale"

Prof. Dr. Tatiana Crivelli Speciale

HS 2012 - FS 2013

Come cambia la critica?

Illustrazione di Sara Groisman, 2013

Sara Groisman

[email protected]

via Stefano Franscini 2A

6600 Locarno

31 marzo 2013

  2  

INDICE

1. Introduzione 3

Parte 1 – Il critico accademico 6

1. La critica in crisi: l'analisi di Raul Mordenti 6

2. Una critica informatizzata? 8

2.1 Landow e le prime avvisaglie di un'informatica umanistica 8

2.2 Lavori in corso: Franco Moretti e Matthew Jockers 9

Parte 2 – Il critico recensore 16

1. What makes a critic tick?: ovvero, della probabilità d'essere recensiti e della convergenza tra i

giudizi di critici e lettori 16

2. La situazione si fa critica: lettori al potere 19

 

Parte 3 – Il lettore critico 22

1. Troppi critici nel web? 22

2. Da lettori a recensori? Tre domande agli aNobiiani 23

2.1 Cos'è cambiato nel vostro modo di leggere? 24

2.2 Siete stati influenzati dal fatto di poter pubblicare un giudizio come un critico professionista? 25

2.3 Cos'è emerso dal vostro confronto con gli altri lettori? 25

 

Conclusioni – Una nuova critica? 29

Figure 32

Appendice 34

Bibliografia 39

1. Libri, saggi e articoli 39

2. Siti e blog 40  

 

 

  3  

1. INTRODUZIONE

Come è cambiato il ruolo del recensore, del critico, nell'era digitale? È irriconoscibile. Quando ero più giovane e i giornali mi commissionavano recensioni, avevo un sacco di lavoro, ben pagato per di più. Adesso la gente dà i voti da sola sul web a quello che mangia, guarda, ascolta, legge. È sempre meno necessario, sempre meno importante, aspettare che il critico dalla torre d'avorio dica che film vedere o che libri comprare.1 La critica letteraria è in crisi. Osteggiata dall'avanzata dei blog bibliofili, esiliata nelle sue torri

d'avorio dall'esercito degli utenti dei social-network letterari, messa a tacere dal bottone "mi piace" e

soppiantata dalla voce automatica del "chi ha comprato questo libro compra anche": è questo il quadro,

assai negativo, dipinto da molti tra gli interessati e gli addetti ai lavori. Stiamo assistendo alla «vistosa

estinzione del critico-recensore»,2 scrive Raul Mordenti; «un'altra epoca si chiude, quella dei giudizi»,3

tuona Alfonso Berardinelli.

E mentre gli esperti dell'ambito registrano il fenomeno, il web pullula di discussioni che mirano a

capire se la critica tradizionale è stata davvero soppiantata dai giudizi dei – per lo più incompetenti,

come osserva qualcuno – internauti-lettori. "Il lettore comune è anche critico letterario?", "Il futuro dei

blogger rappresenta la morte della critica letteraria?", "Ma la critica letteraria è morta?", "Esistono

ancora i critici militanti? E la stroncatura?" chiedono i blogger ai loro lettori, dando il via a discussioni

virtuali che spesso prendono le mosse da articoli di giornale sull'argomento. Le risposte degli utenti non

si fanno attendere, e si delineano così due fronti: i difensori di una rete libera in cui ciascuno, colto o

ignorante che sia, possa dire la sua, e chi invece si sente minacciato dallo tsunami di recensioni virtuali,

dove i commenti si mescolano senza discrimine di qualità e spesso senza la possibilità di sapere chi ne

sia l'autore.

Che ci si trovi in un momento di rottura appare quindi evidente; e lo sconcerto di fronte all'ignoto

panorama che si sta profilando in questo inizio di millennio si palesa a volte nelle affermazioni

paradossali di alcuni internauti. Esemplare quella dell'utente Barnabus, che sul blog “Cado in piedi”

arriva ad affermare: «La critica letteraria è morta da tempo, nei suoi tradizionali canali, e non è (ancora)

risorta in alcun "salotto digitale on line" che dir si voglia. La critica letteraria, del resto non è mai stata

fatta, ne deve essere fatta mai, dai lettori»;4 un'asserzione che, se lascia intuire il suo vero significato, ci

mostra anche il disorientamento che domina oggi nel discutere di critica letteraria e critici: per arrivare

ad affermare che questi non debbano essere lettori, il nostro Barnabus deve trovarsi davvero

confrontato con una realtà sfuggente. Quello che le sue parole tradiscono è infatti l'ansia di ristabilire                                                                                                                1 FRANCESCHINI ENRICO, Nick Hornby: 'Oggi siamo tutti lettori più distratti ma gli scrittori sono meno affascinanti', in «La Repubblica», 7 novembre 2012, pp. 50-51. Reperibile anche all'indirizzo: ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/11/07/nick-hornby-oggi-siamo-tutti-lettori-piu.html (consultato il 13 marzo 2013). 2 MORDENTI RAUL, L'altra critica, Roma, Meltemi, 2007, p. 186. 3 Alfonso Berardinelli, citato in SALIS STEFANO, Se il critico si confonde tra rigore e spettacolo, in «Il Sole 24 ore Domenica», 10 aprile 2011. Reperibile anche all'indirizzo: www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-04-09/critica-confonde-marketing-163728.shtml?uuid=AaQ7LeND&fromSearch (consultato il 13 marzo 2013). 4 www.cadoinpiedi.it/2012/04/05/ma_la_critica_letteraria_e_morta.html (consultato il 13 marzo 2013).  

  4  

dei confini netti tra critico e lettore, due categorie che nella rete sono portate sempre di più a

convergere. Questo perché di fronte alla possibilità, offerta da blog e social-network, di pubblicare

liberamente il proprio verdetto su un'opera (magari corredato dalle immancabili stelline) pochi

resistono, e i lettori sembrano così invadere un ambito che una volta era riservato ai recensori

professionisti: esprimere un giudizio per iscritto e pubblicamente.

Lo scrittore inglese Nick Hornby in proposito osserva ancora:

Nell'era del web, dove i consumatori danno la pagella online a tutto, dagli hotel ai ristoranti, dai film alla musica, dalle automobili allo sport, la figura del critico letterario che scrive ogni settimana le sue recensioni è destinata a scomparire, se non è già scomparsa, così come non esistono più molti giornali che pubblicano pagine e pagine di recensioni di libri.5 In questo lavoro mi soffermerò sugli sviluppi sorti dal confrontarsi della critica con il mondo

digitale. Ma dato che il critico può rivestire molti ruoli, ho strutturato il testo in tre parti caratterizzate

da tre prospettive. La prima parte è dedicata alla figura del critico accademico: in essa mi concentro

dapprima sull'analisi della situazione attuale proposta da Raul Mordenti nel saggio L'altra critica, per poi

passare a interrogarmi su quali apporti abbiano fornito o potrebbero fornire in futuro gli strumenti

digitali alle ricerche condotte in ambito universitario. La seconda parte è incentrata sul critico attivo in

ambito giornalistico: in essa riporto alcune reazioni di recensori professionisti confrontati con la

concorrenza di blog e social network. Nella terza parte passo invece "al fianco degli internauti" per

osservare la situazione dal loro punto di vista e cercare di capire perché molti di essi tendano a dare più

fiducia al commento di un utente anonimo piuttosto che a quello di un critico di professione.

Tento così di offrire una panoramica (inevitabilmente parziale) dei mutamenti che negli ultimi

decenni stanno attraversando la critica e promettono forse di trasformarne l'assetto. Dico forse, una

parola a cui ricorrerò spesso nelle pagine seguenti: infatti quando si riflette sul tempo presente è sempre

arduo riuscire a formulare diagnosi chiare. E se dapprincipio le mie osservazioni saranno sostenute dalle

tesi di alcuni accademici, col procedere del lavoro, e spostandomi dall'ambito universitario a quello del

web, i punti di domanda si moltiplicheranno (come si nota dando una semplice scorsa all'indice)

insieme ai miei dubbi sull'interpretazione da dare ai fatti. Perché capire cosa sia davvero definibile come

critica letteraria e quali testi possano essere considerati parte di questa categoria non sempre è semplice,

soprattutto se entra in scena la grande massa degli anonimi recensori del web, che mette in crisi (o

almeno in dubbio) concetti come autorevolezza e professionalità. D'altronde, se accettiamo come

definizione della critica quella offerta da Alfonso Berardinelli, secondo il quale: «La critica non è altro

che un'intensificazione dell'esperienza di lettura e una conversazione intensificata intorno al significato

e al valore dei libri»,6 ci rendiamo conto che allora essa si presta ad essere declinata in varie forme e da

                                                                                                               5 FRANCESCHINI ENRICO, Nick Hornby: 'Oggi siamo tutti lettori più distratti ma gli scrittori sono meno affascinanti', cit. 6 BERARDINELLI ALFONSO, C'era una volta il critico, in «Il Sole 24 Ore Domenica», 12 ottobre 2008. Reperibile anche all'indirizzo: bibliogarlasco.blogspot.ch/2008/10/alfonso-berardinelli-cera-una-volta-il.html (consultato il 13 marzo 2013).  

  5  

varie figure, e non è escluso che tale «intensificazione dell'esperienza di lettura» possa sorgere anche dal

dialogo tra i lettori.

  6  

PARTE 1 – IL CRITICO ACCADEMICO

La prima parte di questo lavoro si concentra sulla critica in ambito accademico; riporto quindi il

punto di vista di un professore universitario, Raul Mordenti, sui mutamenti in atto, e in seguito

presento le posizioni di alcuni studiosi che tentano di utilizzare le potenzialità del mondo virtuale a

favore dello studio della letteratura, persuasi che da tale unione possano nascere nuove prospettive di

ricerca.

1. LA CRITICA IN CRISI: L'ANALISI DI RAUL MORDENTI

Nel suo libro L'altra critica Raul Mordenti offre un'analisi della crisi della critica:7 essa tocca solo

tangenzialmente la questione del mondo digitale, ma mi sembra un buon punto di partenza per

sviluppare l'interrogativo che dà titolo a questo lavoro. Va detto che lo studioso è un membro attivo del

partito comunista: tale orientamento politico permea le sue osservazioni, com'è ben visibile dalle

critiche al sistema capitalistico e dall'ideale di società che traspare dal saggio. Si tratta dunque di uno

scritto fortemente profilato ma che non manca di delineare un'immagine a mio parere illuminante del

panorama contemporaneo.

Per Mordenti la crisi della critica è legata strettamente alla crisi della modernità. Secondo lo studioso

infatti critica e modernità sono due concetti che procedono uniti: avvalendosi di una citazione di

Lefebvre, Mordenti spiega che la modernità è «un inizio di riflessione, un abbozzo più o meno

sviluppato di critica e di auto-critica, un tentativo di conoscenza»;8 e sempre rifacendosi a Lefebvre

ribadisce che tipica di questa fase è la riflessione di ogni disciplina su sé stessa.

Nel concreto, Mordenti riconosce la fine della modernità nel sorgere di quello che chiama

"berlusconismo".

Sarebbe il più ingenuo degli errori ridurre il berlusconismo alla persona di Silvio Berlusconi e alla sua vicenda politica; come accade per ogni seria malattia, anche il berlusconismo precede chi gli dà il nome, va molto al di là di lui e, purtroppo, è anche destinato a sopravvivergli. […] 'berlusconismo' [non] è in realtà niente altro se non il capitalismo semiotico dei nostri tempi, il capitalismo finanziario (e vitalmente intrecciato alla criminalità) che residua dopo i processi di de-industrializzazione e la rottura di ogni patto socialdemocratico fra capitale e lavoro.9 Più chiara (e cruda) è la definizione di Georg Steiner, sempre ripresa da Mordenti: «in Europa è in

trionfale ascesa un fascismo del denaro, del filisteismo e dei media. Per tutto questo in Italia c'è

un'espressione: il berlusconismo».10

Al berlusconismo Mordenti collega il sorgere di una cultura basata sulla pubblicità, che va a

rafforzare il capitalismo sfrenato tipico degli ultimi decenni. La pubblicità si pone, nell'analisi dello

                                                                                                               7 MORDENTI RAUL, L'altra critica, cit., cap. 5, pp. 167-195. 8 Citato in Ibidem, p. 174. 9 Ibidem, p. 173. 10 Ivi.  

  7  

studioso, come la nemesi della critica, perché si fonda sulla ricerca di un consenso indiscriminato

possibile solo in assenza di riflessione. Una pubblicità "oppio dei popoli", quindi, che gradualmente

uccide la capacità degli individui di porsi domande. Lo studioso dimostra tale trionfo della pubblicità

tramite vari esempi (il più interessante è forse quello della morte di Papa Giovanni Paolo II:11 in tale

circostanza i programmi televisivi d'intrattenimento e addirittura la campagna elettorale per le elezioni

regionali furono sospesi, ma si continuò senza alcuna perplessità a trasmettere gli inserti pubblicitari) e

si sofferma infine sul tema che sta al centro di questo lavoro: gli effetti di tale "nuova forma di cultura"

(chiamiamola così) sul mondo dei libri. Mordenti afferma che la cultura libraria durante il

diciannovesimo e il ventesimo secolo si basava «sulla catena funzionale casa editrice-recensione-libreria-

biblioteca»:12 la critica vi si situava quindi come un momento cruciale di valutazione, prima nella

persona del consulente editoriale, che aveva il compito di vagliare quali volumi fossero meritevoli di una

pubblicazione, e in seguito in quella del recensore, che stroncava i libri da lui considerati

qualitativamente insufficienti.

Tale circuito è oggi completamente distrutto e anzi reso insensato, sostituito dalla libreria-supermercato in cui si vendono pressoché soltanto i libri-immagine pubblicizzati dai programmi televisivi, i libri assurdamente tratti da film o da programmi televisivi di successo, oppure quelli scritti in prima persona dai discutibili gestori di quegli stessi eventi mediatici […], con un terribile effetto-specchio moltiplicatore, che essi chiamano 'sinergia': si legge (o meglio: si compra) solo il libro che si è visto in televisione, e si mostra in televisione solo il libro che si deve far comprare.13 Questo quindi il contesto in cui Mordenti vede affogare la critica letteraria. In tale ambito il mondo

digitale si configura da una parte come un elemento che favorisce la crisi («l'innovazione legata

all'informatica, quella che si suole definire con il nome […] di "rivoluzione informatica", rappresenta un

aspetto cruciale della crisi dello statuto moderno del letterario»),14 in quanto porta a una

riconfigurazione del testo letterario che così devia dai canali codificati, creando di conseguenza

interrogativi sullo statuto della critica in rapporto ad esso; dall'altra si prospetta però come un

potenziale "salvatore" della critica: lo studioso esprime infatti la speranza che, se la critica è destinata a

languire in un mondo dominato dalla pubblicità, quello virtuale possa invece darle asilo.

Si fa insomma ogni giorno più chiaro che proprio l'attuale problematicità del testo informatico […] spingerà sempre di più a ricercare le competenze testuali di cui anche l'informatica e le sue aziende hanno un assoluto bisogno negli umanisti "esperti di contenuti", nei filologi capaci di gestire le complicazioni dei testi, nei nuovi retori della multimedialità e del web, perfino nei filosofi e nei poeti.15 Ed è la possibile intersezione tra informatica e studi letterari che indagherò nel capitolo seguente.

                                                                                                               11 Ibidem, p. 177-178. 12 Ibidem, p. 181. 13 Ibidem, pp. 181-182. 14 Ibidem, p. 129. 15 Ibidem, p. 191.

  8  

2. UNA CRITICA INFORMATIZZATA?

In questo capitolo presenterò dei casi d'applicazione dell'informatica agli studi letterari, cercando di

illustrare alcune potenzialità e limiti del nuovo medium. Partirò dagli esperimenti di George P. Landow,

professore d'Anglistica ed emerito di Storia dell'arte alla Brown University, considerato un pioniere

delle cosiddette Digital Humanities. Landow ha condotto fin dalla fine degli anni Ottanta ricerche su

come l'informatica potesse favorire una "riconfigurazione" (è questo il termine da lui usato in

L'ipertesto)16 degli studi umanistici. Passerò poi ai lavori attualmente in corso di Franco Moretti e

Matthew Jockers, che collaborano nel Literary Lab dell'Università di Stanford e stanno elaborando dei

progetti basati sul concetto di macroanalisi o distant reading.17

2.1 Landow e le prime avvisaglie di un'informatica umanistica

Nel libro L'ipertesto, pubblicato nel 1994, George P. Landow presenta l'intento di rifondare lo studio

della letteratura tramite l'uso delle nuove tecnologie.

Landow afferma che la nascita dell'ipertesto ha cambiato i ruoli di autore e lettore, e così farà con

quelli di docente e studente; dovrà quindi cambiare il modo d'insegnare. In quest'ottica ha condotto,

vero pioniere, seminari basati sulla costruzione d'ipertesti durante i quali, posto un tema principe, gli

studenti erano invitati ad investigarne ciascuno una parte; le tesine ottenute venivano messe in

collegamento tramite il computer, andando a costituire siti in cui navigare tra i vari argomenti. Il

maggior frutto del suo lavoro è forse “The Victorian Web”:18 si tratta di una grande piattaforma che

indaga i vari aspetti del mondo vittoriano. L'utente è invitato a cliccare sul tema di suo interesse

(filosofia, religione, arte, letteratura…) per trovarsi di fronte a testi, fonti primarie e secondarie, link ad

altri siti, immagini e materiali utili per confrontarsi con l'argomento da vari punti di vista.

Secondo Landow l'ipertesto è uno strumento didattico utilissimo: esso insegna una lettura non

sequenziale che è assolutamente necessaria allo studente di letteratura, confrontato con testi tra cui

trovare analogie e con apparati critici da interpretare;19 inoltre a suo parere il fatto che un link colleghi

due elementi in relazione tra loro sviluppa nella mente la capacità di cogliere rapporti causali.20 Un

ulteriore vantaggio è che esso porta necessariamente a un lavoro cooperativo tra gli studiosi, dove il

contributo del singolo acquisisce valore grazie alla connessione con quello dei suoi colleghi.

Nella costruzione d'ipertesti incentrati su opere letterarie la didattica di Landow mira primariamente

a rendere visibili i contatti tra queste e altri scritti;21 se da una parte ciò aiuta gli studi sull'intertestualità,

permettendo una comparazione tra le opere più agevole che sul supporto cartaceo, le sue implicazioni                                                                                                                16 LANDOW GEORGE P., L'ipertesto: tecnologie digitali e critica letteraria, Milano, Mondadori, 1998.  17 Ho scoperto i progetti di Jockers e Moretti, nonché altre informazioni utili a questo lavoro, grazie al blog di Arturo Robertazzi, «chimico computazionale e scrittore»: www.arturorobertazzi.it (consultato il 13 marzo 2013). 18 www.victorianweb.org (consultato il 13 marzo 2013) 19 LANDOW GEORGE P., L'ipertesto: tecnologie digitali e critica letteraria, cit., p. 278. 20 Ibidem, p. 184. 21 Ibidem, pp. 296-297.

  9  

sono particolarmente significative per quel che riguarda il canone. Ciò che fa il canone, scrive infatti

Landow, è dare a un'opera una «"cornice" concettuale»22: come un dipinto che si ritiene di valore viene

fatto incorniciare e acquisisce così il particolare status di "oggetto da recepire esteticamente", così

l'appartenenza al canone invita il fruitore all'attenzione e

annuncia al lettore: "Ecco qualcosa da apprezzare come oggetto estetico. Complesso, difficile, privilegiato, l'oggetto che ti sta di fronte è stato vagliato dalle poche persone sensibili e da molte persone meno sensibili, e ti ripagherà della tua attenzione. Proverai un brivido; o almeno dovresti, e se non lo provi, forse in te c'è qualcosa che non va."23

L'esclusione dal canone non preclude solo tale forma di ricezione privilegiata, ma «una delle

conseguenze più sconcertanti […] è che le opere non dialogano tra loro»:24 i collegamenti tra opere

canoniche e non rischiano dunque di passare inosservati, magari privando la comprensione delle prime

di tutta una serie di sfumature che acquisirebbero in virtù delle seconde. Se poi l'esclusione dal canone è

deliberata e motivata ideologicamente, com'è successo con la letteratura delle donne o di autori non

occidentali, essa diventa anche segno di una pericolosa volontà di oscurantismo. Secondo Landow non

si può abolire il canone, però si può tentare di ampliarlo: e questo può realizzarsi grazie all'ipertesto, che

«consente di personalizzare qualsiasi corpus di materiali permettendo al lettore e allo scrittore di

connetterli ad altri contesti»25. Così partendo da testi canonici si potranno mettere in luce le loro

analogie con opere non canoniche, donando anche alle seconde visibilità.

Mosso da questo e molti altri intenti, Landow procede in un ormai più che ventennale lavoro nel

mondo digitale, persuaso del suo valore didattico e della sua utilità ermeneutica.

2.2 Lavori in corso: Franco Moretti e Matthew Jockers

Tra i "lavori in corso" più interessanti in ambito d'informatica e studi letterari vi sono le ricerche di

Franco Moretti, professore alla Stanford University, che negli ultimi anni ha sviluppato la teoria del

distant reading, a partire dalla quale hanno preso le mosse le indagini del suo collega Matthew Jockers e

dello Stanford Literary Lab, da loro coordinato. Il concetto di distant reading sta alla base del libro di

Moretti Graphs, maps, trees (2005), pubblicato in Italia col titolo La letteratura vista da lontano (una

traduzione che la dice lunga sullo scetticismo dei lettori peninsulari verso un saggio di critica letteraria

che si presenti sotto un titolo smaccatamente "scientifico").

Graphs, maps, trees non teorizza propriamente il ruolo dell'informatica negli studi letterari, ma vi si

trovano suggestioni che sono particolarmente adatte ad essere approfondite, come del resto è stato

fatto, grazie a strumenti computazionali. Alla base del libro vi è l'idea che la letteratura non vada

studiata soltanto focalizzandosi sulla lettura intensiva dei capolavori, definita «close reading», ma che

                                                                                                               22 Ibidem, p. 304.  23 Ivi, p. 304. 24 Ibidem, p. 306. 25 Ibidem, p. 310.  

  10  

vada analizzata anche grazie al «distant reading»: considerando, cioè, la grande massa di testi tramite

schemi provenienti da discipline diverse (i grafici dalla storia, le mappe dalla geografia e gli alberi dalla

teoria evoluzionistica, in questo caso).

'Distant reading', I have once called this type of approach; where distance is however not an obstacle, but a specific form of knowledge: fewer elements, hence a sharper sens of their overall interconnection. Shapes, relations, structures. Forms. Models.26 Grafici, mappe e alberi – spiega Moretti – offrono un diverso sguardo sui fatti: «[they] place the

literary field literally in front of our eyes».27 E più avanti, a proposito della letteratura, afferma:

a field this large cannot be understood by stitching together separate bits of knowledge about individual cases, because it isn't a sum of individual cases: it's a collective system, that should be grasped as such, as a whole […].28 Nel capitolo dedicato ai grafici Moretti sostiene che la storia letteraria ha la tendenza a concentrarsi

sull'opera o l'autore singolo, usando i capolavori per tratteggiare teorie generali e analizzando soltanto

questi ultimi. Lo studioso sostiene invece che alla letteratura sarebbe necessaria una svolta analoga a

quella che ha avuto luogo nella storia: il passaggio dall'analisi del singolo evento significativo o del

personaggio determinante alla «large mass of facts».29 In questo senso bisognerebbe sviluppare il

concetto di ciclo all'interno della storia letteraria: si tratterebbe di identificare fenomeni che si

ripropongono regolarmente nel tempo e che possono essere analizzati su un piano generale,

considerando il totale delle opere pubblicate in un'epoca. Moretti applica questa tesi alla storia dei

generi, e costruisce dei grafici che mostrano come l’emergere di nuovi generi letterari e il loro affermarsi

si leghino strettamente al succedersi delle generazioni di lettori.30

L'ultima parte del libro, Trees, cerca invece di analizzare la letteratura tramite lo strumento degli alberi

evoluzionistici (come esempio viene proposto quello che Darwin presentò nell'Origine della specie).

Moretti cerca di dimostrare che, studiando la letteratura in termini evoluzionistici, si sottolinea come i

mutamenti che portano, per esempio, a sviluppi all'interno di un genere non si producano al

macrolivello dei testi, bensì al microlivello dei singoli elementi che li strutturano. Per illustrarlo cita

l'esempio dei racconti gialli d'inizio Novecento e ne paragona alcuni, tutti pubblicati sulla stessa rivista

(quindi con la stessa visibilità), ponendosi la domanda: perché di tutti questi testi solo quelli scritti da

Arthur Conan Doyle sono oggi ricordati? Moretti mostra che il fattore determinante che permette a

Doyle di superare la "selezione naturale" operata dai gusti dei lettori è il fatto che nei suoi gialli siano

presenti indizi, e che nei suoi racconti più elaborati essi siano visibili anche al lettore, che ha così tutti gli

strumenti per risolvere l'enigma prima o insieme al detective. Lo studioso cerca dunque di dimostrare che

                                                                                                               26 MORETTI FRANCO, Graphs, maps, trees – abstract models for literary history, Londra, Verso Books, 2005, p. 1. 27 Ibidem, p. 2. 28 Ibidem, p. 4. 29 Citazione di Krzysztof Pomian, in Ibidem, p. 3. 30 Ibidem, Figure 8-10 del capitolo Graphs, pp. 3-33.

  11  

è lo sviluppo del motivo dell'indizio a rendere i racconti di Doyle "vincenti" su quelli dei concorrenti (si

veda la figura 1).

But what is it, that generates this morphological drifting-away? Texts? I doubt it. Text are distributed on the branches of the tree, yes, but the 'nodes' of the branching process are not defined by texts here, but by clues […]: by something that is much smaller than any individual text […]. And on the other hand, this system of differences at the microscopic level adds up to something that is much larger than any individual text, and which in our case is of course the genre–or the tree–of detective fiction. The very small, and the very large; these are the forces that shape literary history. Devices and genres; not texts. Texts are certainly the real objects of literature […]; but they are not the right objects of knowledge for literary history.31 Credo che tale visione possa offrire nuove prospettive sullo studio della letteratura e ritengo l’analisi

dell’evoluzione dei racconti gialli offerta da Moretti assai interessante. Mi permetto però di sottolineare

alcuni aspetti potenzialmente problematici della teoria esposta. Innanzitutto vorrei sollevare una

questione toccata anche da Moretti stesso: è davvero possibile applicare il procedimento da lui

utilizzato per analizzare i racconti gialli ad altre forme letterarie? Lo studioso afferma:

It should however be kept in mind that a process of selection determined by a single character [in questo caso, l’indizio], like the one presented here, is almost certainly atypical […]. As a rule, literary trees will have to be based on a multiplicity of morphological traits.32 Mi chiedo però: se si allarga il campo a una molteplicità di fattori, non si sta tornando a una critica

letteraria tradizionale, che per dimostrare il valore di un’opera ne elenca le caratteristiche che la rendono

diversa da quelle coeve? E, più importante, si può davvero ridurre a «tratto morfologico» ogni elemento

che rende un testo pregevole? Personalmente credo che spesso il valore in letteratura non derivi tanto

da una serie di caratteristiche specifiche (indizio o non indizio?), quanto piuttosto da qualità

difficilmente misurabili come la sensibilità dell’autore, in virtù della quale alcuni testi riescono a esporre

problematiche, topoi e motivi in maniera più acuta e illuminante di altri. Azzardando un esempio potrei

citare la Gerusalemme liberata: a mio parere essa non è un capolavoro soltanto perché presenta degli

elementi specifici che la differenziano dagli altri poemi cavallereschi, ma soprattutto perché utilizza topoi

e personaggi tradizionali con uno spessore, una profondità e una finezza eccezionali – caratteristiche,

queste, che mi sembrano difficili da illustrare in uno schema. Credo quindi che gli alberi di Moretti

potrebbero rivelarsi fuorvianti, dando l’impressione che tutti i testi compresi nel canone vi abbiano

avuto accesso perché presentavano un qualcosa di precisamente determinabile che li distingueva dalle

opere coeve, mentre spesso tale differenza si gioca su questioni di stile o sensibilità difficili da

rappresentare formalmente.

Un’ulteriore punto che mi lascia perplessa è quello in cui Moretti, per spiegare la validità dell’uso

degli alberi nello studio della letteratura, asserisce:

[…] instead of reiterating the verdict of the market, abandoning extinct literature to the oblivion decreed by its initial readers, these trees take the lost 99 per cent of the archive and reintegrate it into the fabric of literary history, allowing us

                                                                                                               31 MORETTI FRANCO, Graphs, maps, trees – abstract models for literary history, cit., p. 76. 32 Ibidem, nota a p. 72.

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to finally ‘see’ it. It is the same issue raised in the first chapter–the one per cent of the canon, and the ninety-nine of forgotten literature–but viewed from a different angle: whereas graphs abolish all qualitative difference among their data, trees try to articulate that difference.33 Non ho alcuna obiezione alla scelta di analizzare testi inclusi ed esclusi dal canone; mi lascia però

perplessa la conclusione del brano. Quando lo studioso parla di «articulate that [qualitative] difference»

sembrerebbe dare per scontato che i testi canonici siano quelli di maggior pregio; gli alberi dunque

servirebbero a dare ragione di tale superiorità qualitativa (come fa per esempio la figura 1). Questo

procedimento – se l’ho interpretato correttamente – sottintende che l’entrata nel canone sia una

garanzia di qualità: sembra quasi che Moretti parta dal canone per sapere quali sono i testi migliori e poi

cerchi di spiegare cosa li rende superiori agli altri. Nel caso dei racconti gialli, per esempio, Moretti ha

condotto la sua analisi già sapendo che tra i testi considerati solo quelli di Doyle erano sfuggiti all’oblio, e

nel corso della ricerca ha determinato il motivo della loro fortuna. Arriva così a concludere che

[…] figures 30 and 31 [qui riportata come figura 1] aim precisely at distinguishing ‘The Red-Headed League’ [racconto di Arthur Conan Doyle dove gli indizi sono presenti e decodificabili] from ‘The Assyrian Rejuvenator’ and ‘How He Cut His Stick’ [racconti coevi dei quali il primo non contiene indizi e il secondo li contiene ma senza che siano visibili al lettore], thus establishing an intelligible relationship between canonical and non-canonical branches.34 Questa frase rivela quello che a mio parere è l’aspetto più discutibile della ricerca, pur

interessantissima, di Moretti: egli sembra dare il canone per scontato e cercare semplicemente di

rendere comprensibile perché alcuni testi vi siano inclusi e altri no. Ma così facendo rischia di

dimenticare che la canonizzazione di un’opera non è data esclusivamente da qualità interne ad essa

(nell’esempio citato, la presenza di indizi che rendono il racconto più coinvolgente per il lettore), ma

anche da problematiche esterne che comprendono i pregiudizi di critici e pubblico, a causa dei quali,

per esempio, autori di genere femminile o d’origine non occidentale sono stati per secoli esclusi a priori

dal canone. Gli alberi di Moretti rischiano pertanto di legittimare il concetto di canone dando

l’impressione che si basi esclusivamente sulla qualità letteraria dei testi, trascurando così quanto esso sia

influenzato da pregiudizi che hanno ben poco da spartire con il concetto di valore artistico.

Nonostante queste riserve, ritengo il saggio Graphs, maps, trees ricco di spunti che potrebbero aprire

vie alternative d'interpretazione testuale. Lo schema ad albero, per esempio, è presentato come

un'occasione per visualizzare la letteratura in modo al contempo sincronico e diacronico: lungo un asse

osserviamo infatti lo sviluppo e la fortuna nel tempo dei testi; lungo l'altro, la loro divergenza formale

(ne è un esempio la figura 1). Interessante è inoltre l'affermazione che i modelli presentati «share a clear

preference for explanation over interpretation; or, perhaps, better, for the explanation of general

structures over the interpretation of individual texts».35 Così lo studioso non si propone di presentare

                                                                                                               33 Ibidem, p. 77. 34 Ibidem 77-78. 35 Ibidem, p. 91.

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una nuova lettura dei capolavori letterari, ma mira alla «definition of those larger patterns that are their

necessary preconditions».36

Le ricerche esposte in Graphs, maps, trees non chiamano esplicitamente in causa il mondo digitale, ma

non sarebbe così semplice condurle senza l'ausilio di strumenti informatici. Esse sono inoltre una

premessa indispensabile agli studi che Moretti sta compiendo attualmente e che procedono anche

attraverso le ricerche dello Stanford Literary Lab, fondato nel 2010 con l'Assistant Professor

dell'università del Nebraska-Lincoln, Matthew Jockers. Tale progetto «discusses, designs, and pursues

literary research of a digital and quantitative nature».37 Si tratta, in un certo senso, di un affinamento dei

"graphs, maps, trees" che Moretti utilizzava nel libro: le ricerche condotte nel laboratorio si avvalgono

infatti di strumenti informatici che permettono di creare complesse tabelle, diagrammi e grafici e di

comparare, tramite una "lettura" computerizzata, opere diverse.

In quest'ottica si collocano le ricerche di Matthew Jockers, che si propone di "mappare", grazie

all'ausilio degli strumenti informatici, i grandi testi della letteratura e studiarne le connessioni su

macrolivello.38 La sua idea è che attraverso il computer si abbia accesso a una forma di lettura ampliata

(la macroanalisi, appunto, che riprende il concetto morettiano di «distant reading») che nell'era pre-

informatica era impossibile: il singolo critico doveva allora applicare, per forza di cose, il «close reading»

– la lettura del singolo testo. Al contrario, nella macroanalisi il computer decifra una miriade di opere in

contemporanea e può farne emergere caratteri comuni che sfuggono alla lettura "umana" ma sono

potenzialmente utili per un'analisi più vasta della storia letteraria. Jockers ha tentato di programmare il

computer in modo che possa comparare la frequenza e la scelta delle parole (e, a un livello più

complesso, i motivi) negli scritti presi in esame. Grazie alle ricorrenze ottenute l'ordinatore riesce a

quantificare i legami stilistici e tematici tra i testi e a renderli visibili in grandi schemi (si vedano le figure

2a-2b).

Ma vediamo un esempio pratico.39 Tramite l'analisi computazionale di circa 3500 testi pubblicati tra

1700 e 1900 (da autori notissimi come Jane Austen e Hermann Melville, fino a nomi meno canonici)

Jockers ha creato una "mappa della letteratura" che evidenzia connessioni e analogie tra le opere (figura

2a): per farlo si è basato sulla frequenza di parole ad alto utilizzo (come preposizioni, congiunzioni,

verbi servili e ausiliari) e sulla ricorrenza di specifici temi.40 La mappa così ottenuta colloca il capolavoro

Moby Dick ai margini, a sottolineare la sua radicale diversità dalla maggioranza delle opere coeve:

                                                                                                               36 Ivi. 37 Dalla homepage di: litlab.stanford.edu (consultato il 13 marzo 2013).  38  Alcune sue ricerche condotte nell'ambito del Literary Lab sono presentate sul sito litlab.stanford.edu, mentre quelle che confluiranno nel libro Macroanalysis, la cui pubblicazione è prevista per l'aprile 2013, sono anticipate sulla pagina www.matthewjockers.net/macroanalysisbook/ (consultato il 16 marzo 2013).  39 Dall'articolo anonimo di presentazione delle ricerche di Jockers apparso sul blog della University of Nebraska-Lincoln: By text-mining the classics, UNL prof unearths new literary insights, newsroom.unl.edu/blog/?p=1271 (consultato il 13 marzo 2013). 40 Jockers ha infatti elaborato una classificazione delle parole per temi a cui si può accedere sulla sua pagina www.matthewjockers.net/macroanalysisbook/macro-themes/ (consultato il 13 marzo 2013).

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Melville ha infatti costruito il romanzo facendo ricorso a temi poco frequenti nella sua epoca e mostra

un uso originale delle parole più comuni (preposizioni, verbi servili ecc.) che lo differenzia nettamente

dai contemporanei. Si osserva per contro che i romanzi di Jane Austen e Walter Scott, collocati al

centro di una fitta rete di relazioni, sarebbero da considerare sia altamente affini ad un genere

consolidato (o in via di consolidamento), sia molto influenti sulla letteratura coeva. Ulteriore dato

degno di nota è il fatto che, nella mappa, il computer abbia posto le opere delle donne vicine tra loro,

pur non avendo ricevuto alcun input riguardo al genere degli autori considerati; ciò significherebbe che

esistono modalità stilistiche e tematiche che rendono la scrittura delle donne riconoscibile (figura 2b).

Secondo Jockers ricerche computerizzate come questa potrebbero divenire complementari al lavoro del

critico ed essere sfruttate per confermare ipotesi su vasta scala, offrendo inoltre spunti che aiuterebbero

ad approfondire la lettura dei singoli testi.

Naturalmente tali risultati sono discutibili, e discutibile la necessità di tale "scientificizzazione"

dell'analisi letteraria. Si può obiettare che non è certo necessario un computer per dedurre che le donne

tra Settecento e Novecento avessero più affinità tra loro rispetto che coi colleghi uomini, dato che

erano soggette a una serie di norme e divieti che limitava il loro campo d'azione a temi altamente

specifici e ne condizionava fortemente la sensibilità (il semplice fatto che la loro esistenza fosse

perlopiù confinata nella sfera privata basta a dar ragione dello spettro limitato di argomenti che era loro

possibile trattare). Vi sono però, a mio parere, potenzialità di sviluppo di tali ricerche, le quali – come lo

stesso Jockers sottolinea – non mirano certo a soppiantare la teoria letteraria, ma semplicemente a

fornirle nuovi punti di vista. Per esempio, personalmente sono piuttosto affascinata dall'idea che una

serie di parole che si potrebbero ritenere insignificanti per l'analisi di un'opera letteraria (come verbi

ausiliari e congiunzioni frequentissime) permetta di riconoscere un autore o di situare un'opera in una

determinata epoca: mi ricorda un metodo usato dagli storici dell'arte per l'attribuzione dei dipinti, dove

si considera non lo stile generale ma dettagli apparentemente insignificanti come la forma d'un orecchio

o delle dita dei piedi dei soggetti.

Se ritengo che un'analisi computazionale dei testi letterari possa portare a sbocchi interessanti, resto

però convinta che sia precondizione irrinunciabile che essa sia corredata, come ribadisce più volte

Moretti, di un'interpretazione dei suoi esiti basata su una solida cultura umanistica. Non bisogna infatti

nutrire l'illusione che i dati, solo perché ottenuti con metodi scientifici (ma che pure sono frutto della

mentalità fallibile di chi ha programmato il computer), siano portatori di verità assolute capaci di parlare

da sole. All'inizio del suo libro Moretti nutriva questa speranza, ma procedendo muta opinione: e in

conclusione al capitolo Graphs mette in luce la cruciale importanza dell'operazione ermeneutica in

relazione ai dati da lui analizzati:

I began this chapter by saying that quantitative data are useful because they are independent of interpretation; then, that they are challenging because they often demand an interpretation that transcends the quantitative realm; now, most

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radically, we see them falsify existing theoretical explanations, and ask for a theory, not so much of 'the' novel, but of a whole family of novelistic forms. A theory – of diversity.41 Si tratta di raccogliere dati, dunque, alla ricerca di una teoria del romanzo (e anche particolarmente

ambiziosa).

Per concludere, e tornando a Jockers, ritengo particolarmente interessante che anch'egli, come

Landow quasi vent'anni prima, sottolinei la cruciale importanza di aprire, tramite gli strumenti digitali, il

canone ad autori dimenticati:

Macroanalysis provides one method for studying the orphans and the classics side by side - a way of sifting through the haystack of literary history, of isolating and then studying the canonical greats within the larger population of less familiar titles.42

                                                                                                               41 MORETTI FRANCO, Graphs, maps, trees – abstract models for literary history, cit., p. 30. 42 Articolo anonimo apparso sul blog della University of Nebraska-Lincoln: By text-mining the classics, UNL prof unearths new literary insights, da: newsroom.unl.edu/blog/?p=1271 (consultato il 13 marzo 2013).  

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PARTE 2 – IL CRITICO RECENSORE

Il primo rischio per il lettore, il più originario e fra i più gravi, è il rischio di diventare, di voler diventare, scrittore; oppure, anche peggio, critico.

Alfonso Berardinelli43 Con l'avvento di Internet i lettori sembrano essersi decisi a correre il sommo «rischio» additato da

Berardinelli: si moltiplicano i blog di critica letteraria, le recensioni libere, i commenti pubblicati sui

social network o sulle librerie online. Anche se molto spesso, bisogna riconoscerlo, gli autori di tali testi

negano di sentirsi dei "recensori" e affermano di voler semplicemente discutere i loro gusti con gli altri

internauti senza alcuna vocazione all'autorevolezza, non sempre queste dichiarazioni sono state ritenute

veritiere dai critici professionisti, che subiscono sempre più fortemente la concorrenza della rete. Tra

questi, alcuni hanno espresso la loro insoddisfazione in articoli (ne leggeremo alcuni) dove difendono la

loro categoria e cercano di tracciare un discrimine tra il valore delle proprie recensioni e quelle degli

internauti, spesso anonimi personaggi di cui non si conosce nome né qualifica. Quel che però traspare

maggiormente da tali prese di posizione è l'urgenza crescente con cui oggi s'impone la domanda: chi è

veramente il critico-recensore? E credo che spesso l'acredine di alcuni professionisti verso le recensioni

dei lettori nasca dal fatto che il confronto porti a chiedersi: e se il discrimine tra critico e lettore non

fosse sempre netto?

1. WHAT MAKES A CRITIC TICK?: OVVERO, DELLA PROBABILITÀ D'ESSERE RECENSITI E DELLA

CONVERGENZA TRA I GIUDIZI DI CRITICI E LETTORI

Nel marzo 2012 tre studiosi dell'Harvard Business School (Loretti I. Dobrescu, Michael Luca e

Alberto Motta) hanno realizzato una ricerca intitolata What makes a critic tick? Connected authors and the

determinants of book reviews.44 In essa indagano sulle motivazioni che portano un giornale a recensire

determinati libri, dimostrando innanzitutto che «an author's connection to the media outlet is related to

the outcome of the review decision».45 Infatti i dati raccolti, basati sull'analisi dei cento libri di saggistica

che si sono guadagnati i migliori giudizi sul sito Metacritic46 (che si occupa di comparare recensioni) tra

2004 e 2007, dimostrano che se un autore ha legami con un determinato organo di stampa la

probabilità per lui d'essere recensito aumenta del 25%, e c'è il 5% di possibilità in più che il giudizio sia

positivo. Gli autori si affrettano però ad affermare che ciò non è dovuto a collusione, ma a quella che

chiamano «differenziazione orizzontale». Essa consiste nel fatto che un organo di stampa si rivolga a un

pubblico specifico con delle determinate preferenze: un giornale ha infatti un profilo politico ed

                                                                                                               43 Berardinelli Alfonso, I rischi della lettura, in «Il Sole 24 ore», 27 novembre 2011. Reperibile anche all'indirizzo: www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-11-25/rischi-lettura-171837_PRN.shtml (consultato il 13 marzo 2013). 44 Lo studio può essere scaricato all'indirizzo: www.hbs.edu/faculty/Publication%20Files/12-080_77d52972-4ada-47e7-92bd-19ed91efa00d.pdf (consultato il 13 marzo 2013). 45 Dobrescu Loretti I., Luca Michael, Motta Alberto, What makes a critic tick? Connected authors and the determinants of book reviews, Harvard Business School, 23 marzo 2012, p. 1.  46 www.metacritic.com (consultato il 16 marzo 2013).

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ideologico che di solito è condiviso dai suoi lettori. Dobrescu, Luca e Motta tentano allora di

dimostrare che la preferenza per autori affiliati a un giornale non è dovuta tanto a equivoche relazioni di

favoreggiamento, ma piuttosto al fatto che chi collabora con un organo di stampa di solito ne condivide

il pensiero e quindi è particolarmente apprezzato da lettori e redazione; la scelta di recensire i suoi libri

rientrerebbe dunque nella linea editoriale del giornale (non dimentichiamo che il discorso concerne la

saggistica, più esplicitamente legata a una determinata visione del mondo della narrativa). Per

dimostrare l'assenza di collusione gli autori dello studio affermano che tra gli scrittori recensiti alcuni

hanno iniziato a lavorare per il giornale o la rivista dopo aver ottenuto la critica al proprio libro; e

secondo i calcoli proposti la probabilità d'essere recensiti prima o dopo aver collaborato con un

determinato organo di stampa non subirebbe cambiamenti.

Empirically, the reviews given to authors who have already written for a given media outlet are no more favorable than those given to authors who will later write for that media outlet, but are more favorable than those for authors that write for other media outlets.47 Quindi, «the evidence supports horizontal differentiation and not the collusion hypothesis».48

Dobrescu, Luca e Motta paragonano inoltre il giudizio della critica sui cento libri di saggistica

considerati dallo studio a quello dato, sulle stesse opere, dagli utenti di Amazon.49 Per ottenere la media

dei giudizi dei professionisti la ricerca si basa sui dati forniti dal sito “Metacritic”, che raccoglie le

valutazioni di vari esperti.50 Dallo studio emerge che la media dei voti data dai lettori tramite le famose

“stelle” di Amazon e quella dei giudizi dei critici spesso coincidono.

Nel maggio 2012 il «Guardian», uno dei giornali considerati dalla ricerca, ha ripreso questi dati con

toni polemici, rispondendo agli autori su due fronti: da una parte Paul Laity, redattore della sezione del

giornale che si occupa di recensire la saggistica, è stato invitato a spiegare i criteri che portano un libro

ad essere commentato sulle sue colonne, dall'altra il critico letterario Lionel Shriver ha preso posizione

sulla (poco nobilitante) equiparazione tra i giudizi dati dalla sua categoria e quelli offerti dalla massa dei

lettori che frequentano Amazon.

Laity ha dichiarato di non aver mai recensito un autore solo perché affiliato alla rivista ed ha

aggiunto, a proposito delle motivazioni nella scelta dei libri da presentare: «It's a combination of

looking for books that are interesting and of high quality, and for something that, once reviewed by a

                                                                                                               47 DOBRESCU LORETTI I., LUCA MICHAEL, MOTTA ALBERTO, What makes a critic tick? Connected authors and the determinants of book reviews, cit., pp. 12-13. 48 Ibidem, p. 12. 49 www.amazon.com (consultato il 16 marzo 2013). 50 Però sottolineerei, cosa che gli autori dello studio trascurano, che il voto che emerge dalla media delle recensioni dei critici su Metacritic non sempre è del tutto legittimo: infatti per arrivare a una cifra il sito si basa da una parte sul voto numerico, se la recensione lo contiene; se non lo contiene, i redattori del sito attribuiscono un voto al libro sulla base della recensione, cosa che evidentemente può portare a snaturare il giudizio del critico.

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critic, will appeal to the Guardian readership»,51 osservazione coerente con le conclusioni dello studio. A

proposito del paragone tra i giudizi degli amazoniani e quello dei critici ha invece osservato che i

recensori del «Guardian» non sono gente qualunque, ma

They have to be discriminating writers, with expertise, and stylish too. Writing the best, the liveliest kind of review takes unusual talent and it's interesting that even many published authors make disappointing reviewers. Not many people can do the particular thing I'm looking for, which is one reason why the Guardian's book pages are different from Amazon book reviews.52 Sempre a questo proposito si è espresso, invero con tono piuttosto piccato, Lionel Shriver,53 che ha

difeso la sua categoria affermando innanzitutto che pochi frequentatori di Amazon presentano un libro

con la profondità che si può trovare in un articolo di 800 parole; ha poi aggiunto che il recensore "con

pedigree" avvalora le proprie affermazioni con citazioni ad hoc (non così l'amazoniano) ed ha osservato in

generale, sintetizzando i compiti della propria professione: «We try to put an author's work in context,

to advance a more constructive argument than "I didn't like it", and to make a few halfway amusing

observations along the way».54 Si è poi soffermato sul tema delle responsabilità: se da una parte, in

risposta a Luca, ha affermato che i critici integri rifiutano di recensire le opere di colleghi e conoscenti,

dall'altra ha sottolineato che i professionisti si assumono la responsabilità di ciò che scrivono,

firmandolo col proprio nome; mentre gli internauti, coperti dall'anonimato, hanno la possibilità di

pubblicare recensioni che vanno a favore o sfavore di scrittori di cui sono amici o rivali.

Quest'ultima questione sollevata da Shriver si sta dimostrando, in effetti, vera. È del settembre 2012

la notizia che il giallista inglese R. J. Ellory sia stato pizzicato a pubblicare su Amazon, naturalmente

sotto falso nome, recensioni fin troppo positive delle proprie opere (si va da «a modern masterpiece» a

«È scritto così bene che mi sono sentito immerso in quell'epoca, ben sapendo che non può accadere

nulla di simile oggi», per concludere con un entusiastico: «Basta comperarlo e leggerlo perché vi sentiate

rigenerati nella mente e... toccati nell'anima»)55 nonché secche stroncature di quelle dei concorrenti.

Paolo Di Stefano, autore dell'articolo del «Corriere della Sera» che riporta la vicenda, racconta anche il

caso di un critico dell'Oklahoma che offre le sue recensioni positive per "soli" 99 dollari, con lo scopo

di far decollare il passaparola in rete. Di Stefano commenta:

con l'autopubblicazione […]; con l'autopromozione […]; e finalmente con l'autorecensione […], il cerchio si chiude. La letteratura diventa un fenomeno di puro e-narcisismo o autismo digitale. Non ha più bisogno di niente e di nessuno: né di un editore, né di un redattore, né di un promotore, né di libraio, né di un critico. Forse nemmeno di un lettore,

                                                                                                               51 FLOOD ALISON, Amazon consumer book reviews as reliable as media experts, in «The Guardian», 16 maggio 2012. Reperibile anche all'indirizzo: http://www.guardian.co.uk/books/2012/may/16/amazon-consumer-reviews-media-experts (consultato il 13 marzo 2013).  52 Ivi. 53 SHRIVER LIONEL, The battle of the book reviews, in «The Guardian», 18 maggio 2012. Reperibile anche all'indirizzo: www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/may/18/battle-book-reviews (consultato il 13 marzo 2013) 54 Ivi. 55 DI STEFANO PAOLO, La beffa dello scrittore narciso che recensiva i suoi libri, in «Corriere della Sera», 4 settembre 2012. Reperibile anche all'indirizzo: www.corriere.it/cultura/12_settembre_04/beffa-scrittore-narciso_e682e7c4-f656-11e1-ac56-9abd64408884.shtml (consultato il 13 marzo 2013).  

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piuttosto di un compratore.[…].56 Se l'ultima osservazione di Shriver addita quindi un problema concreto, quelle precedenti

costituiscono, a mio parere, una difesa piuttosto debole: affermare la qualità delle recensioni dei critici

professionisti come un valore assoluto basandosi solo su affermazioni generiche e screditando in

blocco i commenti letti su Amazon dimostra una superficialità che non aiuta certo a ristabilire la dignità

di coloro di cui Shriver prende le difese. E se per essere un professionista bastano davvero recensioni di

800 parole condite di qualche citazione, che si spingono oltre il "mi piace" e che portano il nome

dell'autore, non mi stupisce che tanti internauti si sentano all'altezza del compito… Il problema, che

ben emerge dal tentativo di Shriver di definire il proprio lavoro, è che offrire dei criteri per distinguere

una buona recensione dalle altre non è un compito facile, come non lo è elencare dei criteri univoci che

permettano di capire quali opere siano degne d’essere considerate letteratura.57

2. LA SITUAZIONE SI FA CRITICA: LETTORI AL POTERE

Anche Peter Stothard, redattore del «Times Literary Supplement», si è di recente espresso contro lo

spopolare di recensioni in rete. Stothard ha dichiarato nel corso di un'intervista: «It is wonderful that

there are so many blogs and websites devoted to books, but to be a critic is to be importantly different

than those sharing their own taste… Not everyone's opinion is worth the same»;58 osservazione che, fa

notare polemicamente un'internauta che ha commentato l'articolo online, riecheggia il noto adagio

orwelliano «Tutti gli animali sono uguali, ma ce ne sono alcuni più uguali di altri». Il critico ha

continuato affermando che la folla di recensioni può essere un male per la letteratura: «People will be

encouraged to buy and read books that are no good, the good will be overwhelmed, and we'll be worse

off. There are some important issues here».59

Anche in questo caso, le asserzioni di Stothard sono più che altro controproducenti (tanto che,

scorrendo i commenti dei lettori all'articolo, è arduo trovarne uno favorevole). Così come trascritte

nell'intervista, esse risultano maldestre e poco convincenti, tutte tese come sono a creare un contrasto

fin troppo nitido tra recensioni buone (che sembrerebbero essere prerogativa dei critici) e cattive (quelle

dei non professionisti).

La polemica contro i lettori-recensori non è però confinata al mondo anglosassone: è del dicembre

2012 l'attacco della filosofa Nicla Vassallo, attiva su varie testate giornalistiche, agli utenti del social

network “aNobii”60 (particolarmente fortunato in Italia), il cui motto è «Together we find better books»

                                                                                                               56 Ivi. 57 A difesa di Shriver devo sottolineare che il suo scetticismo verso gli internauti non sembra motivato da rancori privati: i suoi libri, su Amazon, oscillano tra le 3 e le 4, 5 stelline (su un massimo di 5)… 58 CLARK NICK, The bionic book worm, in «The Independent», 25 settembre 2012. Reperibile anche all'indirizzo: http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/features/the-bionic-book-worm-8168123.html (consultato il 13 marzo 2013). 59 Ivi.  60 www.aNobii.com (consultato il 13 marzo 2013).

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e il cui appellativo deriva dalla denominazione scientifica del tarlo della carta. Si tratta di un sito in cui ci

si può registrare e, usando il proprio nome autentico o celati da un nickname, creare una "libreria

virtuale" dove si indica quali opere si sono lette e quali si desidererebbe leggere, corredate di commenti,

note, citazioni. Tutto questo condiviso da un numero imprecisato di utenti (un blog nel febbraio 2011

stimava tra 50'000 e 100'000 il numero dei partecipanti, ma ammettendo la difficoltà di reperire le

informazioni)61 che discutono, questo ce lo dice il sito stesso, nientepopodimeno che 38'624'540 libri.62

Il sito offre inoltre la possibilità di scambiarsi messaggi, trascrivere brani dei romanzi e leggere quelli

citati da altri, conoscere utenti con gusti simili ed essere aggiornati sulle loro attività, contattare gli amici,

reperibili anche grazie alla sinergia col gigante Facebook, e riunirsi in gruppi (dedicati a argomenti

generici o molto specifici: si va dai fan di un singolo autore a categorie ampie come "Letteratura

francese"). In essi si concretizza quella "comunicazione circolare" di cui parlano Ciotti e Roncaglia nel

loro libro Il mondo digitale: una comunicazione tra molti che vede gli utenti passare continuamente da un

ruolo attivo di scrittore a quello passivo di lettore (dei commenti altrui).63

È però in particolare la pratica della recensione (cuore pulsante di aNobii) ad essersi attirata le

critiche di Nicla Vassallo, che sul Venerdì del 7 dicembre 2012 titolava: Alla larga dagli «aNobiiani» lettori

saccenti e un po’ marpioni.64 «Incerta la competenza degli aNobiiani che recensiscono, commentano,

votano», commenta la filosofa, e continua:

[aNobii] è luogo in cui il dilettante vanitoso ha la meglio, mentre lavora gratis per i nuovi padroni (Hmw Group, Harper Collins, Penguin, Random House). aNobii è il salotto letterario online più cool! Ma va là: nulla da spartire coi salotti della realtà non virtuale, che rimpiango insieme alle antiquate librerie londinesi, in via d’estinzione. L'articolo termina con un'ultima stoccata agli aNobiiani, «vanitosi, esibizionisti, saccenti» e inoltre

accusati di ambire solo a "cuccare".

Anche in questo caso l'attacco sembra spropositato: per quanto effettivamente tra i frequentatori di

aNobii ve ne siano alcuni che potrebbero meritare le accuse della filosofa (anche se probabilmente sono

pochi quelli che "cuccano"), è piuttosto difficile capire cosa possa aver scatenato critiche tanto

virulente; quel che appare evidente è che a infastidire la Vassallo sia il fatto che dei lettori perlopiù

incompetenti esprimano un giudizio pubblico, compiendo un gesto che prima di Internet era

prerogativa del critico di professione. Va però notato che la maggior parte dei frequentatori di aNobii,

tra cui mi annovero, non scrivono (lo vedremo nella sezione dedicata al lettore critico) per porsi in

concorrenza con gli esperti: la scrittura è per loro un sostituto dell'oralità e un modo di comunicare con

                                                                                                               61 jumpinshark.blogspot.ch/2011/02/sociale-influenza-e-diffusione-dei-blog.html?showComment=1297667504711 (consultato il 13 marzo 2013). 62 La cifra risale al 13 marzo 2013. 63 CIOTTI FABIO E RONCAGLIA GINO, Il mondo digitale – introduzione ai nuovi media, Roma, GLF editori Laterza, 2003, p. 318. 64 VASSALLO NICLA, Alla larga dagli «aNobiiani» lettori saccenti e un po' marpioni, in «La Repubblica – Venerdì», n. 1290, 7 dicembre 2012. Reperibile anche all'indirizzo: http://foglianuova.wordpress.com/2012/12/08/nicla-vassallo-alla-larga-dagli-aNobiiani-lettori-saccenti-e-un-po-marpioni/ (consultato il 13 marzo 2013).  

  21  

persone distanti, o anche un mezzo per annotare idee avute durante la lettura; solo una minoranza

ambisce ad elaborare recensioni vere e proprie.

Mi sembra allora che le deboli apologie di critici letterari come Shriver e Stothard e gli anatemi della

Vassallo non facciano che mettere in evidenza la fragilità dello statuto del critico-recensore nell'età

digitale. Credo che il confronto dei recensori di professione con la loro controparte virtuale abbia

instillato nei primi un acuto interrogativo: dove si situa il discrimine tra un lettore appassionato e colto e

un critico? E se questo confine non fosse così netto? Tra i milioni di recensioni circolanti in rete ve ne

sono alcune (una minoranza, naturalmente) che non possono dirsi inferiori per qualità a quelle di alcuni

professionisti, e i cui autori, forse, avrebbero tutte le qualifiche necessarie a intraprendere una carriera di

critico letterario a tutti gli effetti. Prima di Internet, a questi critici potenziali la visibilità era negata: se

per sfortuna o mancanza d'opportunità non giungevano a lavorare presso un organo di stampa, le loro

possibilità di rendere pubbliche le proprie recensioni erano nulle. Oggi la facilità estrema con cui si può

prendere posizione pubblicamente sta evidenziando sempre più, ritengo, il fatto che i confini tra un

recensore di professione e un amateur non siano facili da delineare con chiarezza. Con ciò non miro

certo a sminuire i pregi dei critici, ma solo a mostrare che giungere a questo status non è esclusivamente

il frutto di merito, ma anche di una dose di casualità e fortuna: dato che si tratta di una professione

intrisa di soggettività, è naturale che il valore di un critico oscilli a seconda di chi lo valuta e legge, e al

momento dell'assunzione di un recensore entreranno in gioco sia criteri relativamente "misurabili"

come le sue competenze, sia qualità molto più vaghe come il suo stile e il suo carisma.

Le recensioni degli internauti spingono dunque, a mio parere, i professionisti a prendere coscienza

della fragilità della propria posizione, e non sorprende che da parte di molti di essi la reazione primaria

sia quella di tentare di sminuire la concorrenza virtuale in modo affrettato e fin troppo vigoroso.

Ma perché, d'altra parte, i lettori tendono ad affidarsi sempre più al giudizio degli internauti e a

distaccarsi dai professionisti? Tenterò di rispondere alla questione nell'ultima parte di questo lavoro.

  22  

PARTE 3 – IL LETTORE CRITICO

Nell'ultima parte di questo lavoro mi concentrerò sulla figura del lettore, che tramite la rete ha avuto

l'occasione d'assurgere al discusso ruolo di recensore. A questo proposito mi soffermerò dapprima sulle

parole di una blogger che in parte dà ragione alle osservazioni di Shriver e Stothard, mostrando così che

le loro preoccupazioni non sono prerogativa dei professionisti; in seguito chiamerò nuovamente in

causa gli utenti di aNobii, che hanno condiviso con me le loro esperienze di "lettori critici", e le

confronterò con alcune opinioni espresse su blog letterari, che spesso prendendo le mosse da articoli

sulla crisi della critica si sono interrogati sul proprio ruolo.

1. TROPPI CRITICI NEL WEB?

Nella sezione di questo lavoro intitolata Il critico recensore abbiamo incontrato le reazioni di alcuni

professionisti di fronte al dilagare delle recensioni in rete. Essi non sono però i soli ad essere irritati:

anche alcuni blogger avvertono il pericolo che l'ondata dei "lettori critici" possa avere effetti negativi.

A questo argomento è dedicato un interessante dibattito65 svoltosi nel maggio 2012 sul blog

criticaletteraria.org, che portava il significativo titolo La critica annega nella troppa democrazia; a lanciarlo era

stata l'amministratrice del sito, Gloria Maria Ghioni. La Ghioni giudica negativamente l'eccesso di

recensioni sul web e soprattutto il fatto che fin troppo spesso i blog di persone non qualificate si

trovino in cima ai risultati di ricerca di Google. In proposito commenta:

Penso però che l'errore di base sia eccedere in democraticismo spicciolo. Mi spiego meglio, prima che si fraintenda: la libertà di parola non è, a mio parere, coincidente col diritto di ficcanasare ovunque, e solo – sia chiaro – in certi ambiti. Letteratura, cinema, musica, arte, ecco che tutti si improvvisano piccoli critici, armati di un televoto più o meno esibito. Perché nessuno si intromette a questionare sulla legittimità del tale assioma trigonometrico? Perché nessuno osa mettere in dubbio la specificità di una materia tecnica, ma le arti sì? Proverò a rispondere (e scusate la banalità): perché pare semplice. Pare.66 Questo sfogo non fa che mostrare come il dilagare delle recensioni in rete sia un problema anche per

chi tenta di sviluppare blog di qualità: essi rischiano di svanire nel mare magnum dei siti meno seri, cosa di

cui evidentemente la Ghioni è scontenta. Mi ha però stupito che tra i commenti dei suoi lettori molti

concordassero con lei, e solo alcuni (dei quali però la maggior parte non aveva partecipato alla

discussione sulla sua pagina web, ma aveva commentato la risposta di una collega blogger)67

rivendicassero la libertà e la democrazia della rete, come mi sarei aspettata da naviganti di mari virtuali.

Le osservazioni dei sostenitori della Ghioni possono offrire qualche spunto per comprendere meglio

il mondo dei lettori-internauti: come alcuni sostengono, la loro è una realtà che si confronta

continuamente col rischio dell'omogeneizzazione perché, dato che chiunque sia capace di maneggiare

                                                                                                               65 www.criticaletteraria.org/2012/05/criticalibera-la-critica-annega-nella.html (consultato il 13 marzo 2013). 66 Ivi. 67 La risposta della blogger Marta a Gloria Maria Ghioni è stata pubblicata sulla pagina: eletteratura.wordpress.com/2012/05/18/critica-letteraria-accademia-vs-internet/ (consultata il 13 marzo 2013).

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un computer trova un potenziale spazio in cui dire la sua, spesso le opinioni davvero di qualità non

riescono a farsi spazio e ad emergere. A proposito di questa contraddizione intrinseca alla rete, che da

una parte si dibatte nella «troppa democrazia» additata dalla Ghioni, ma dall'altra è pervasa dalle spinte

di milioni d'individualità che lottano per la visibilità, si è ben espresso il professore di Letteratura

italiana Giancarlo Alfano, che in un articolo intitolato Fare cose con i testi nota:

[…] tra le più grandi preoccupazioni di chi frequenta stabilmente la Rete c'è la necessità di farsi un nome, di accampare un'origine e un primato, di partecipare a nuove gerarchie; proprio la totale orizzontalità del mezzo è quel che induce il suo utente a stabilire una verticalità, proponendosi come Uno.68 E in effetti alcuni lettori della Ghioni hanno fatto notare nei loro commenti che il proliferare di blog

da parte di non-esperti (e spesso non-seri) recensori può essere letto come un frutto della tendenza

contemporanea alla «mera esibizione di sé».

Altri commenti mettono invece in evidenza come spesso i blog letterari di successo mirino

soprattutto ad essere punti d'incontro che hanno il fascino di tingersi quanto basta di un'aura libresca,

senza che però la letteratura vi giochi un ruolo determinante.

Vediamo quindi che anche tra gli internauti molti sono infastiditi dalla moltitudine di sedicenti

"critici"; ma, come ha osservato l'utente Rodolfo Monacelli in risposta alla Ghioni, a tale spopolare dei

blog letterari ha contribuito anche la «perdita dell'“aura” dell'artista e del critico» – un aspetto che

indagheremo nel capitolo seguente.

2. DA LETTORI A RECENSORI? TRE DOMANDE AGLI ANOBIIANI

In vista della presentazione che ha preceduto la stesura di questo lavoro ho pubblicato all'interno del

gruppo aNobiiano "Appunti di lettura", di cui sono membro, tre domande, spiegando di essere una

studentessa interessata ad approfondire il rapporto che gli utenti hanno con il loro social network.69 Ho

posto loro le seguenti questioni:

• Cos'è cambiato nel vostro modo di leggere da quando siete iscritti ad aNobii?

• Siete stati influenzati dal fatto di poter pubblicare un giudizio come un critico professionista?

• Cos'è emerso dal vostro confronto con gli altri lettori?

A tali interrogativi hanno risposto ventiquattro utenti, le cui osservazioni mi hanno fornito utili

spunti di riflessione a proposito dei mutamenti in atto. A mo' d'introduzione riporto l'interessante

commento di Svalbard, che ha tentato di spiegare le cause del successo di aNobii:

                                                                                                               68 ALFANO GIANCARLO, Fare cose con i testi, in «Libellula», n.3, anno 3, dicembre 2011, p. 26. Reperibile anche all'indirizzo: http://www.lalibellulaitalianistica.it/blog/wp-content/uploads/2011/12/Giancarlo-Alfano.pdf (consultato il 13 marzo 2013). 69 Le mie domande e le risposte degli utenti sono riportate integralmente nell'Appendice a questo lavoro. Segnalo fin da qui che non ho apportato alcuna modifica a tali testi, che quindi contengono refusi e imprecisioni tipici della scrittura di getto che caratterizza i social network; d'altra parte, correggerli non avrebbe avuto alcun senso: anche la frequenza degli errori è una specificità della scrittura virtuale che ha un suo valore documentale.

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Ci sarebbe da riflettere sul perché in Italia, in assoluto il Paese cosiddetto sviluppato in cui si legge di meno, aNobii ha avuto tutto questo successo. Probabilmente proprio perché i "forti lettori" (quelli che di fatto tengono in vita le case editrici che non siano Mondadori e Feltrinelli, per capirci) si sentivano molto soli e, appena hanno trovato un posto dove poter confrontarsi con i propri pari, sono corsi come mosche al miele. Perché anch'io ho sentito, come altri qui sopra, la sensazione sgradevolissima di avere qualcosa da dire di bello o di brutto su quello che si è appena letto e non trovare nessuno a cui poterlo dire.

2.1 Cos'è cambiato nel vostro modo di leggere?

A questa domanda tredici utenti hanno risposto che non è cambiato nulla (anche se in alcuni casi si

trattava di un "nulla" con riserva); cinque hanno invece affermato che esso è migliorato: «commentare

un libro, votarlo secondo il proprio gusto personale, inserire delle note ha ampliato il mio modo di

leggere», osserva Sele, e molti utenti con lei affermano di essere passati a una lettura più attenta e

qualitativamente migliore, che li spinge a porsi più domande e a riflettere maggiormente.

Ho trovato poi particolarmente significativa la testimonianza di Angelo Anselmo, che mostra i

meriti di uno spazio come aNobii in quanto operatore di divulgazione culturale:

Ha cambiato, ha cambiato eccome [il mio modo di leggere], da quando ho conosciuto aNobii la qualità delle mie letture è decisamente salita, vuoi per l'ampio panorama librario offerto, che per quello che per me è lo strumento principale di consultazione e cioè le recensioni. Prima... ahimè i miei orizzonti limitati e lo scarso bagaglio culturale, dovuto alla mancata frequentazione di scuole superiori (quanto avrei voluto anch'io odiare "I promessi sposi") facevano ristagnare le mie letture in impenetrabili foschie di pompaggi mediatici, "il codice da vinci" etc.. etc.. Pollapollina ha invece scritto: «L'idea dell'aggiornamento continuo della libreria, mi ha stimolato a

leggere di più, a dedicare ancora più tempo ai miei libri»; e a questo commento si ricollega quello d'elys,

secondo cui aNobii ha avuto un influsso negativo sul suo modo di leggere:

ho la sensazione che la lettura sia diventata qualcosa di comunitario...leggere per parlarne non più leggere per leggere... questo elemento mi manca parecchio, prima non c'erano giudizi, recensioni, novità, o vecchi libri o impressioni semplicemente prendere in prestito, acquistare un libro e iniziare un Rapporto personale con esso, positivo, negativo, indifferente...ma comunque una cosa personale che rimaneva tra il libro e me...adesso questo elemento manca perchè, c'è sempre qualcuno o qualcosa (un' altro libro) con cui confrontarsi o confrontare. Ho trovato queste osservazioni particolarmente interessanti: in effetti il fatto di discutere di libri nel

contesto di un social network porta a mutamenti radicali, primo fra tutti il fatto (ben evidenziato da

elys) che la lettura si trasformi in evento sociale. Su aNobii infatti essa diventa il modo di distinguersi e

affermare la propria individualità tra migliaia di altri utenti; e dato che le informazioni personali sono

ridotte all'osso (alcuni iscritti sono caratterizzati solo da un nickname e da un'immagine che perlopiù

non ne rappresenta le vere sembianze) in tale realtà sono solo i libri a veicolare il ritratto che si vuol

dare di sé. Nel contesto di aNobii, quindi, le scelte letterarie assumono significato sociale: io sono

quello che leggo, e sono riconoscibile tramite quello che leggo.70

                                                                                                               70 Se si comincia a frequentare i gruppi i ritratti dei singoli utenti si arricchiscono di sfumature legate ai loro caratteri (anche se i dati personali di solito restano esigui) ed emerge con evidenza una serie di dinamiche di potere tra i frequentatori del sito: vi sono quelli influenti, conosciuti da tutti, e quelli ai margini, quelli rispettati e quelli che si limitano a "fare numero" – proprio come nella realtà quotidiana; e si dimostra vera l'osservazione di Giancarlo Alfano citata nel capitolo precedente.

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2.2 Siete stati influenzati dal fatto di poter pubblicare un giudizio come un critico professionista?

Quasi tutti, di fronte al secondo interrogativo, si sono accodati all'affermazione del primo utente che

ha risposto alle mie domande, Dark Matter, il quale ha ironizzato sul fatto di scrivere recensioni

affermando che si tratta di un «modo di comunicare e - perchè no? - esprimere un tantino di

narcisismo». Dopo questa prima chiamata in causa il narcisismo è stato nominato quasi da tutti, che

hanno però perlopiù negato di sentirsi dei recensori. Scrive Anileve:

Non provo la velleità o la presunzione di sentirmi un critico questo mai, ma come dice Dark Matter, una punta di narcisismo e di sfoggio delle proprie competenze si cela spesso nelle recensioni anche mie o di altri ma soprattutto nelle discussioni. Altri hanno ribadito che per loro le recensioni sono piuttosto uno strumento utile a raccogliere le

impressioni di lettura: Paranoid Android ha detto che «sinceramente le recensioni le scrivo più per me

che per gli altri. Sono degli appunti che rileggo quando ripenso ad un libro», e il concetto di aNobii

come archivio di recensioni o raccolta di appunti è stato frequentemente citato nelle risposte.

L'osservazione di Grifo mostra invece uno dei moventi che porta a scrivere recensioni pubbliche:

La possibilità di esprimere commenti, invece, non mi fa sentire un critico letterario ma mi da, soprattutto, modo di sfogare le mie delusioni e tutte le sensazioni negative che provocano certi libri estremamente irritanti, pretenziosi, insignificanti, etc. Lo sfogo pubblico per il lettore frustrato non è poca cosa. Molti infine sottolineano l'importanza della scrittura come forma di meditazione sui libri e momento

di approfondimento, e Momi scrive: «rifletto molto di più per evitare di scrivere sciocchezze nei

commenti».

2.3 Cos'è emerso dal vostro confronto con gli altri lettori?

Le risposte a questa domanda hanno soprattutto sottolineato che dal confronto con altri lettori sono

emersi nuovi punti di vista e si è avuto modo di conoscere autori o opere sconosciute (tramite aNobii si

può annunciare agli altri utenti che si è disposti a scambiare un libro, quindi il sito dà l'occasione di

reperire testi fuori catalogo o rari). Il fatto poi di ritrovarsi in un "luogo" deputato essenzialmente ai

libri fa sì che le discussioni restino concentrate su tale argomento, mentre con gli amici si tende a

divagare, ha fatto notare Lady W.

Elayne ha invece messo in evidenza che aNobii le ha offerto una possibilità di condividere la sua

passione per la lettura, che nella vita quotidiana non trovava invece sbocchi: «Prima c'eravamo solo io e

il mio libro, la lettura era esclusivamente un'affair privato, ora invece è anche in parte pubblica.» Anche

apollo81 conferma: «le mie prospettive sono cambiate perchè prima c'ero io, il libro e l'eventuale critica

"dotta" mentre adesso c'è tutto un mondo». Si sottolinea quindi il ruolo della lettura come evento

sociale, e si evidenzia il passaggio da un rapporto col libro mediato dalla critica professionistica a un

altro in cui esso è oggetto di discussione pubblica. Allo stesso proposito Maria Francesca ha scritto:

«prima andavo a concatenazioni e le mie fonti erano le pagine culturali del Manifesto ( per le novità) e

  26  

Cfr di Einaudi, mentre ora mi prende la curiosità per qualche autore osannato sul sito che il più delle

volte è veramente valido». In questo caso si osserva chiaramente l'affermarsi di una forma di lettura

condivisa con altri grazie al mondo digitale: abbiamo un'utente che passa dalle recensioni

professionistiche di uno dei maggiori quotidiani italiani ai consigli d'internauti anonimi. Riguardo al

confronto tra i commenti degli utenti del social network e quelli degli esperti, elalma sostiene che «molti

fanno considerazioni profonde, anche più sagaci e azzeccate di tanti critici che scrivono sui quotidiani»

e Sele ribadisce: «[…] trovo che alcune recensioni lette su aNobii siano davvero molto più oggettive di

quelle scritte da critici di professione e forse molto più veritiere proprio perchè non viziate dalla

necessità di recensire un volume per lavoro».

Quest'ultima osservazione mi è sembrata particolarmente significativa: essa evidenzia infatti la

sfiducia di una lettrice nei confronti dei critici professionisti, sfiducia che ho poi ritrovato ribadita più

volte all'interno dei blog dove si discuteva del confronto tra i "lettori critici" e i "critici recensori". Si

vede quindi che lo scetticismo dei critici professionisti verso i lettori-recensori è ricambiato: questi

ultimi, spesso persuasi della parzialità degli esperti, tendono ad affidarsi sempre più ai giudizi dei propri

"simili". Infatti dalle mie ricerche in rete è emersa un'immagine del recensore di professione dai tratti

inquietanti: collusa con i grandi gruppi editoriali, pronta a interessarsi solo a ciò che le viene propinato,

tremante di fronte alla prospettiva di stroncare qualcuno e piuttosto disponibile a celebrare i personaggi

che bisogna vendere. Tale ritratto traspare per esempio dall'osservazione dell'utente Salvatore Belcastro

che, rispondendo all'interrogativo di un blogger («Ma la critica letteraria è morta?»), scrive: «La critica

letteraria di per sé non è morta. E' morto il mondo letterario. Nell'epoca del "mi piace" tutti, scrittori,

editori e critici sono preoccupati di entrare nello schema fissato dalla realtà economica-finanziaria».71

Sul blog Gruppo di lettura ci si chiede invece: «Ma il lettore comune è anche critico letterario?» e tale

Alberto commenta: «Invece [i critici] scordano le passioni per gli emolumenti delle case editrici (in molti

casi, non in tutti) e sulle riviste non hanno tempo nè voglia di “fare critica”, ma danno “consigli per gli

acquisti”. Quanti anni è che non leggete una stroncatura?»,72 mentre sulla stessa pagina Ilaria conviene:

«[la figura del critico] ormai è diventata sempre più una questione di marketing e sempre meno una

questione intellettuale e culturale, quindi quasi totalmente priva di interesse per i lettori».

La sfiducia di alcuni internauti verso la critica tradizionale è coerente con il quadro delineato da

Mordenti, quando parla del già citato «effetto specchio moltiplicatore» a causa del quale «si legge (o

meglio: si compra) solo il libro che si è visto in televisione, e si mostra in televisione solo il libro che si

deve far comprare»;73 una visione, quindi, di una "critica" (ormai messa tra virgolette) che è più che altro

pubblicità (e quindi, ci dice Mordenti, anti-critica). Il sospetto di un sistema di recensioni poco

                                                                                                               71 www.cadoinpiedi.it/2012/04/05/ma_la_critica_letteraria_e_morta.html (consultato il 13 marzo 2013). 72 gruppodilettura.wordpress.com/2008/10/17/il-lettore-comune-e-anche-critico-letterario/ (consultato il 13 marzo 2013).  73 MORDENTI RAUL, L'altra critica, cit., p. 181-182.

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trasparente sta anche all'origine di uno studio come quello di Luca, Dobrescu e Motta, sebbene esso si

concluda escludendo l'ipotesi della collusione.

Mi sembra allora evidente che, se dobbiamo delineare una delle cause della crisi della critica

tradizionale, essa consista nell'impressione diffusa che il recensore di professione non sia disinteressato

e che quindi le sue scelte non siano sempre autonome, qualità riconosciuta invece (a ragione o meno) ai

recensori virtuali: ci dice la blogger Alessandra Zengo:

il lettore tende a fidarsi maggiormente del blogger: sia perché scevro (almeno, quasi sempre) dalle “ingerenze” degli editori e da “altri condizionamenti” (leggi: soldi), sia perché può facilmente identificarsi con il soggetto scrivente e le sue preferenze in ambito libri.74 Il fatto che la Zengo specifichi che il blogger sia scevro «quasi sempre» da affiliazioni col mondo

editoriale si lega alle recenti notizie che dichiarano il crescente interesse delle case editrici per i blog, che

si fanno uno strumento potente di diffusione del passaparola. Un caso limpido è quello di minimum

fax, che gestisce dichiaratamente www.minimaetmoralia.it; ma ve ne sono anche di meno trasparenti,

che preoccupano chi si è volto verso le opinioni dei blogger proprio per tentare di sfuggire alle

recensioni interessate. L'utente Nina Pennacchi, a seguito del post di Alessandra Zengo, per esempio

osserva: «Però il pericolo delle ingerenze nei blog c'è, ed è reale. Sempre più case editrici si stanno

accorgendo della loro importanza, ed è un peccato, perché potrebbero limitare in qualche modo la loro

spontaineità»; e di commenti simili al suo è piena la rete. D'altra parte, lo stesso aNobii dichiara sulla

propria pagina di presentazione di essere supportato anche da HarperCollins, Penguin e The Random

House Group (come non ha fatto a meno di notare Nicla Vassallo nel suo articolo);75 un fatto che

dimostra l'interesse delle case editrici verso fenomeni che le riguardano molto da vicino.

Possiamo concludere la sezione dedicata al "lettore critico" osservando che quindi è l'impressione di

una critica collusa e parziale a far sì che molti si volgano al mondo virtuale nella speranza di trovarvi

disinteresse e autentica passione. Un'«impressione» certo aiutata, in Italia, dal fatto che tante case

editrici, riviste e media siano di proprietà dello stesso uomo, il personaggio che ha dato nome al

«berlusconismo» e che ha contribuito fortemente a sviluppare, come scrive Mordenti, la cultura della

pubblicità e dell'anti-critica. È naturale che in un tale contesto i lettori cerchino figure svincolate dal

mondo editoriale e si rifugino nel web (che però non è certo senza macchia), sostenuti in questa scelta

da un sentimento attualmente diffuso: la sfiducia nella professionalità, un fenomeno additato anche di

recente da Massimo Gramellini in rapporto alla fortuna del Movimento Cinque Stelle (il cui successo,

non dimentichiamolo, è strettamente legato all'abilità nel ricorrere ai mezzi di comunicazione virtuali).

Anticipando il probabile duello finale dei prossimi mesi, Grillo ha attaccato Renzi dandogli della «faccia come il c.» (in comproprietà con Bersani) e del «politico di professione». Per lui e per una parte dei suoi elettori le due definizioni sono

                                                                                                               74 www.diariodipensieripersi.com/2012/10/il-futuro-dei-blogger-rappresenta-la.html (consultato il 13 marzo 2013). 75 «[aNobii] è luogo in cui il dilettante vanitoso ha la meglio, mentre lavora gratis per i nuovi padroni (Hmw Group, Harper Collins, Penguin, Random House)». Da VASSALLO NICLA, Alla larga dagli «aNobiiani» lettori saccenti e un po' marpioni, cit.  

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sinonimi. […] vorrei sommessamente segnalare che essere professionisti della politica non è una vergogna né una colpa. E’ colpevole, e vergognoso, essere dei professionisti della politica ladri e incapaci. In questi ultimi decenni ne abbiamo avuti un’infinità e la stampa porta il merito ma anche la responsabilità di averli resi popolari […]. Dando agli elettori la percezione che tutti i politici fossero uguali a Fiorito o a Scilipoti e che chiunque potesse fare meglio di loro. Non è così. Il «chiunquismo» è una malattia anche peggiore del qualunquismo e porta le società all’autodistruzione. Questa idea che tutti possono fare politica, scrivere articoli di giornale, gestire un’azienda o allenare una squadra di calcio è una battuta da bar che purtroppo è uscita dai bar per invaderci la vita e devastarcela.76 Credo che l'analisi di Gramellini getti luce anche sul nostro argomento: come in politica la notoria

disonestà di molti "professionisti" ha fatto sì che s'iniziasse a mettere in dubbio tutta la loro categoria

d'appartenenza e, in seguito, ha portato l'elettorato stremato a votare un movimento di sconosciuti,

capaci però di presentarsi come gente comune, onesta e appassionata (che sia vero o meno), così, si può

ipotizzare, lo strapotere di alcuni gruppi editoriali e l'impressione diffusa che molti recensori li

favorissero hanno portato alla sfiducia verso la figura del critico di mestiere, da alcuni dunque

accantonata e rimpiazzata con quella del "lettore comune", che si considera per contro mosso dal

disinteressato desiderio di divulgare ciò che gli è caro. Quali effetti possa avere questa nuova fiducia

nell'"uomo qualunque" resta un interrogativo a cui probabilmente troveremo risposta nei prossimi anni.

                                                                                                               76 GRAMELLINI MASSIMO, Le virtù del buon politico, in «La Stampa», 2 marzo 2013. Reperibile anche all'indirizzo: www.lastampa.it/2013/03/02/cultura/opinioni/buongiorno/le-virtu-del-buon-politico-pKekhgWD3FLbt51STLzrtN/pagina.html (consultato il 13 marzo 2013).

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CONCLUSIONI – UNA NUOVA CRITICA?

Ho iniziato questo lavoro citando un'intervista a Nick Hornby in cui l'autore inglese sostiene che

presto la pratica di scrivere recensioni scomparirà. A seguito di questa dichiarazione il giornalista ha

incalzato l'interlocutore, commentando:

Lei però continua a farlo. Ma io non mi metto nella parte del critico di professione. Perlomeno non mi ci metto più. Le mie rubriche sui libri sono scritte dal punto di vista di un lettore ordinario, che oltretutto prende i libri come una scusa per dialogare in libertà di un sacco di altre cose. È una specie di diario in pubblico.77 Il concetto di «diario in pubblico» rimanda immediatamente alla forma del blog. E infatti le

recensioni di Hornby (che, al contrario della discussa "fine della critica", continuano a mietere successi

– si pensi solo che la casa editrice Guanda pubblica regolarmente volumi che raccolgono i testi da lui

scritti per la rivista «Beleaver») più che recensioni vere e proprie sono cronache spontanee e argute delle

sue esperienze di lettore, dove Hornby elenca i libri letti nel corso del mese, li discute, li mette a

confronto e correda il tutto con osservazioni estemporanee sulla sua vita quotidiana in generale. Una

forma di recensione, dunque, che ricorda quella offerta dai blog, con i quali condivide l'andamento

dialogico e disinvolto della scrittura.

Interessante è inoltre che lo scrittore britannico parli del «punto di vista del lettore ordinario»:

sembrerebbe che anche lui abbia capito la diffusa sfiducia nei professionisti e abbia sviluppato un

linguaggio che lo porti più vicino ai lettori, presentandosi non come scrittore o recensore ma come

"uno di loro".78

E se fosse questa una possibile via di salvezza per la critica? Se il lettore di oggi cercasse una forma

di recensione che lo coinvolga e che sia intrisa di soggettività, quella soggettività che la fede nelle

cosiddette scienze esatte e nell'oggettività, tanto radicata nella società contemporanea (ne abbiamo visto

l'ombra discutendo dei "lavori in corso" in ambito accademico), cerca di svalutare? La necessità di

liberarsi dalla pretesa "scientificità" della critica è stata indicata anche da Mario Lavagetto nel suo libro

significativamente intitolato Eutanasia della critica: «[…] sono convinto che ogni tentativo di trovare una

via d'uscita passi attraverso la liquidazione di alcuni luoghi comuni, e prima di tutto attraverso

l'abolizione definitiva di qualsiasi pretesa di «scientificità» della critica letteraria».79

La blogger Alessandra Zengo, dal suo punto di vista, commenta: «I blog hanno un grande pregio:

l'entusiasmo. Un entusiasmo dato dalla libertà della propria "attività" svolta free nella rete e che avvicina

il lettore a quella figura evanescente che è il recensore».80 E se fosse un entusiasmo del genere che il

lettore d'oggi cerca nelle recensioni, e che motiva il dilagare di commenti emotivi sul web? Se il fatto di

                                                                                                               77 FRANCESCHINI ENRICO, Nick Hornby: 'Oggi siamo tutti lettori più distratti ma gli scrittori sono meno affascinanti', cit. 78 Non bisogna dimenticare che Hornby ha familiarità anche con la forma tradizionale della recensione, che ha praticato per anni, come emerge dall'intervista citata. Ma è interessante notare che, se sono ben informata, nessuna di queste recensioni "tradizionali" è mai stata pubblicata in Italia, al contrario di quelle scritte dal punto di vista dell'Hornby lettore. 79 LAVAGETTO MARIO, Eutanasia della critica, Torino, Einaudi, 2005, p. 28. 80 www.diariodipensieripersi.com/2012/10/il-futuro-dei-blogger-rappresenta-la.html (consultato il 13 marzo 2013).  

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poter cliccare un semplice "mi piace" fosse, in certi casi, non tanto da leggere come un sintomo di

disinteresse, ma più che altro come una reazione un po' tribale a una critica che accampa pretese

d'oggettività? La Zengo preconizza per la critica professionistica un futuro in cui essa si abbandoni a

«Una scrittura immediata, più informale, più “amica”, che accolga il lettore e lo faccia sentire partecipe

della materia di cui si scrive».81 Un giudizio forse semplicistico (e piuttosto irritante per il tono

compiaciuto in cui è espresso, a mio parere), ma che credo rispecchi chiaramente ciò che il lettore

contemporaneo cerca in una recensione, e che potrebbe quindi aiutare a delineare un assetto nuovo (ma

non per questo più superficiale) da dare a tale forma di scrittura. D'altra parte, che l'interesse per il

"recensore emotivo" sia in crescita ce lo mostra anche una recente intervista a Gian Paolo Serino,

ideatore e direttore della rivista letteraria Satisfiction, che ha dichiarato con una certa spocchia: «La parola

critico non mi è mai piaciuta, preferisco definirmi un estensore di recensioni emotive».82

Naturalmente questo desiderio di recensioni tutte incentrate sulla soggettività e l'emotività ha anche

un rovescio potenzialmente negativo: il fatto, cioè, di passare a una modalità di commento dove il gusto

e il piacere del lettore siano preponderanti rispetto alla fatica di cercare di capire e far parlare veramente

un'opera. All'emotività, dunque, potrebbe accompagnarsi l'idea che il coup de coeur legittimi tutto e che se

il libro non appassiona immediatamente non sia degno d'essere letto. Scrive il critico Massimo Onofri:

Il piacere del testo è diventato l’elogio della piacevolezza. Abbiamo dimenticato tutta una tradizione umanistica per cui la bellezza era un processo che passava anche attraverso la sofferenza. Personalmente voglio leggere libri che facciano soffrire, che mi costringano a mettermi in discussione, il piacevole mi annoia.83 La ricerca del «piacevole» si ricollega anche alla cultura della pubblicità additata da Raul Mordenti in

L'altra critica: proporre i prodotti solo tramite espressioni che s'appellano ai sentimenti del consumatore

e lo invitano a sperimentare un dato bene con la promessa che lo renderà (più) felice è un tipico

meccanismo pubblicitario, e sta prendendo piede anche nel mondo dei libri: si veda la figura 3, che

mostra una pagina pubblicitaria del «New Yorker» dove tra tutti i commenti atti a vendere un romanzo

non ve n'è nemmeno uno che si soffermi sui suoi effettivi contenuti.

Questi aspetti negativi (che rispecchiano tutti caratteristiche della società contemporanea) non

devono però, a mio parere, scoraggiare il percorso verso una nuova forma di critica che sappia

coniugare la capacità d'esprimere opinioni valide, meditate e approfondite a una maggiore centralità

della soggettività, la quale, che si voglia o meno, pervade inevitabilmente l'atto di recensire. Certo,

Stothard può essere nel giusto quando afferma che «Not everyone's opinion is worth the same»:84 ci

                                                                                                               81 Ivi. 82 Da un'intervista di Nicoletta Scano a Gian Paolo Serino pubblicata su: www.i-libri.com/intervista-al-critico-paolo-serino.html (consultato il 13 marzo 2013). 83 Citato in: TAGLIETTI CRISTINA, Critici, essere faziosi è un dovere, in «Corriere della Sera», 28 novembre 2007, p. 47. Reperibile anche all'indirizzo: archiviostorico.corriere.it/2007/novembre/28/Critici_essere_faziosi_dovere_co_9_071128049.shtml (consultato il 31 marzo 2013).  84 CLARK NICK, The bionic book worm, cit.  

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sono competenze culturali che rendono alcuni commentatori piu autorevoli di altri. Ma il caso di

Hornby ci mostra che la capacità di mettersi nei panni del lettore e presentarsi più come un "lettore

critico" che come un "critico letterario" sembra configurarsi sempre più come un requisito

fondamentale del critico odierno. E così negli articoli dell'autore britannico si realizza quella

convergenza tra le figure di lettore e recensore che sembra sempre più caratteristica del web, e dalla

quale potrebbe nascere una nuova forma di critica. Una nuova critica che forse riuscirà a scongiurare la

morte imminente della disciplina minacciata da Mordenti e discussa da Mario Lavagetto che, prendendo

le mosse da un testo in cui George Steiner immagina una città senza critici, afferma:

Questa città, nel momento in cui la sua realizzazione non appare più del tutto impossibile, è una città di morte, una specie di incubo elaborato alla fine del secondo millennio. […] Non passerebbero molti anni dalla sua fondazione e ci si accorgerebbe della morte non solo della critica letteraria, ma anche della letteratura che, abbandonata a se stessa, andrebbe incontro a una progressiva rovina: la sua voce si farebbe sempre più flebile e indistinta, sempre più sparuti e guardati a vista i suoi frequentatori. Perché pensare che i testi parlino da soli, al di là e al di fuori di ogni possibile mediazione, è un'idea tanto vecchia quanto ingenua e intimamente balorda: disconosce la storia, disconosce la diversità dei codici e il modificarsi radicale, di secolo in secolo, degli orizzonti di attesa, delle domande che un testo produce e che al testo vengono poste. Dimentica soprattutto che le grandi opere letterarie sono, come ci è stato insegnato, abitate fin nell'intimo delle loro fibre da una critica immanente, che la cifra nel tappeto esiste e che su di essa, sul suo rinvenimento, si gioca la cifra stessa della letteratura.85 Quel che a mio parere Lavagetto trascura, e che oggi si sta rendendo sempre più evidente, è che non

solo senza critica non può esserci letteratura, ma soprattutto non può esserci lettura. La lettura, anche se

fatta con ingenuità e senza un solido bagaglio culturale alle spalle, è un'esperienza che porta già in sé il

germe della critica, come dimostrano le recensioni degli internauti. Leggere è sempre atto interpretativo:

un'interpretazione che può essere condotta a livello profondo facendo capo a tutte le conoscenze di cui

parla Lavagetto («la storia», «la diversità dei codici», gli «orizzonti di attesa») ma anche a livello

superficiale, dal momento in cui il "lettore comune" s'interroga sul significato di ciò che ha letto. Certo,

i due tipi di "critica" sono diversi, ma bisogna ammettere che, come ho affermato nella parte dedicata al

critico recensore, il confine tra essi si fa sempre più nebuloso. E da questa nebbia sembra sorgere la

figura ibrida del lettore critico, promotrice di un nuovo modo di porsi di fronte alla letteratura che non

è migliore ma, credo, rispecchia e forse risponde in maniera più stringente ad interrogativi ed assetti

assunti dalla società contemporanea.

                                                                                                               85 LAVAGETTO MARIO, Eutanasia della critica, cit., p. 80-82.

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FIGURE Figura 1. Albero evoluzionistico che indica lo sviluppo del racconto giallo basandosi sul motivo

dell'indizio: secondo Moretti i racconti di Arthur Conan Doyle mietevano maggiori successi di quelli dei contemporanei perché spesso contenevano indizi e nei casi più raffinati essi erano individuabili anche dal lettore. Nell'immagine si osserva il sorgere graduale di varianti sempre più raffinate del motivo dell'indizio: se dapprima si avevano storie in cui gli indizi non sono presenti, in seguito a esse si affiancano racconti dove gli indizi sono presenti, ma non necessari o non individuabili dai lettori, e si giunge infine alla nascita della forma oggi più diffusa di giallo dove gli indizi sono, per il lettore attento, decodificabili.

Da MORETTI FRANCO, Graphs, maps, trees – abstract models for literary history, Londra, Verso Books, 2005, p. 75.

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Figure 2. Immagini che illustrano gli studi di Matthew Jockers, da un articolo apparso sul blog della University of Nebraska-Lincoln: By text-mining the classics, UNL prof unearths new literary insights, newsroom.unl.edu/blog/?p=1271 (consultato il 13 marzo 2013).  

Figura 3. Pubblicità di un libro tratta dal New Yorker dell'11 e 18 febbraio 2013, p. 9: come si può vedere i commenti non danno praticamente alcuna informazione sui contenuti del romanzo presentato, si limitano invece ad appellarsi all'emotività dei lettori.

Figura 2a. Didascalia originale: «A detailed view of the literature map showing just American authors – including a cluster of works near Herman Melville's work "Moby Dick"».  

Figura 2b. Didascalia originale: «The novels of the period by gender. Female authors were grouped closely at one end of the book map, though their gender was not part of how they were evaluated. The purplish areas represent groups of women authors; indicating female authorship is objectively detectable.»  

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APPENDICE Le risposte complete degli utenti di aNobii Nota: riporto le risposte degli utenti del social network aNobii senza alcuna modifica. Il primo testo,

quello di "Henrietta Stackpole", è il mio appello rivolto agli utenti. Ciao a tutti, sto seguendo un seminario sul tema "La letteratura nell'età digitale" e mi è stato chiesto di

svolgere una ricerca su come cambia la critica con i nuovi strumenti virtuali. Ho pensato così di risalire alla fonte e chiedere a voi: credete che l'iscrizione a un sito come Anobii abbia influenzato e magari cambiato il vostro modo di leggere e riflettere sui libri? Avete l'impressione che la vostra lettura sia stata influenzata dal fatto che possiate pubblicamente esprimere un giudizio che viene condiviso con centinaia di altri utenti e che vi mette nella posizione che fino a pochi anni fa era propria del critico professionista (quella di emettere un giudizio per iscritto in ambito pubblico e eventualmente attribuire stelle)? E anche il fatto di potersi confrontare in modo immediato con i pareri di altri lettori (spesso sconosciuti), vi sembra che cambi il vostro modo di leggere? Grazie e buone letture! HS

Henrietta Stackpole | Nov 8, 2012 Anobii non ha cambiato una virgola nel mio modo di leggere e non ha influenzato i motivi per cui leggevo -

che restano sempre il diletto e l'arricchimento culturale. Certo, lo scambio di opinioni con altri lettori consente di acquisire nuovi "punti di vista" e soprattutto conoscere autori e opere che non conoscevo. Quanto alla possibilità di scrivere recensioni e commenti, la vedo più che altro come un modo di comunicare e - perchè no? - esprimere un tantino di narcisismo.

Dark Matter | Nov 8, 2012 Sono d'accordo anche io .. non ha cambiato nulla tranne che per il fatto che potendo mettere per iscritto

alcune sensazioni che un libro mi lascia mi permettere di riflettere maggiormente ed avendo una sorta di archivio andarlo a riprendere magari dopo qualche mese e vedere se magari non ho nel frattempo cambiato o ampliato opinione; ovviamente rimane ideale come spunto nel caso si sia rimasti a corto di idee su quale nuovo libro incominciare...

Corbyflo *NO E-BOOKS* | Nov 8, 2012 Per quanto mi riguarda non è cambiato il mio modo di leggere in termini quantitativi ma è cambiato in

termini qualitativi, il fatto di scrivere un commento a caldo o freddo che sia, il fatto di vedere un libro letto oggetto di una discussione mi ha portato a pormi delle domande in più su di esso e ad affrontare la lettura meno superficialmente, meno tipo usa e getta.

Non provo la velleità o la presunzione di sentirmi un critico questo mai, ma come dice Dark Matter, una punta di narcisismo e di sfoggio delle proprie competenze si cela spesso nelle recensioni anche mie o di altri ma soprattutto nelle discussioni, la qual cosa non è poi così deplorevole nel momento in cui sento di potere imparare e, d’altronde, questa è una vetrina che riflette i meccanismi della vita reale cui raramente riusciamo a sfuggire e quindi miseramente ci si cura anche dell’aspetto più biecamente esteriore.

Ma il motivo che più mi spinge a frequentare questo sito e a cercare di non abbandonarlo, è la possibilità di condividere perché assai di rado mi capita nella vita di poter discutere delle mie letture con chicchessia, i discorsi sono sempre altri.

La lettura per me, dopo annobi, ha smesso di essere un evento solitario ed è diventato un evento sociale e in questi lidi, fatti di carta e parole, mi è capitato di incontrare persone veramente notevoli e interessanti la cui condivisione è andata al di là dell’amore per i libri stessi.

Non parliamo poi degli innumerabili spunti di lettura che in Annobi ho colto, un tesoro inestimabile. Anileve | Nov 8, 2012

Anobii abbia influenzato e magari cambiato il vostro modo di leggere e riflettere sui libri? Modo di leggere no.

Di riflettere sui libri si. Discutere con altri aiuta la riflessione. maggiori punti di vista. "esprimere un giudizio che viene condiviso con centinaia di altri utenti ecc...." Sinceramente le recensioni le

scrivo più per me che per gli altri. Sono degli appunti che rileggo quando ripenso ad un libro. Al massimo è la lettura delle altrui recensioni che può influenzarmi. Specialmente se conosco l'utente e mi fido di lui.

"E anche il fatto di potersi confrontare in modo immediato con i pareri di altri lettori (spesso sconosciuti), vi sembra che cambi il vostro modo di leggere?" No! Al massimo mi aiuta a conoscere nuovi libri o a ripensare ad un aspetto di un libro letto.

Paranoid Android | Nov 8, 2012

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Dal mio punto di vista il cambiamento è radicale. Vivevo, come lettore, in un mondo isolato, fatto di pochi, anzi pochissimi, confronti con amici sulla lettura e

sui libri. Questo mi offriva solo una visione parziale, mi lasciava (ancor più di oggi) nell'ignoranza di una moltitudine di autori e, soprattutto, delle ragioni per cui leggere, o non leggere, un qualche autore/libro "rinomato". E qui non mi riferisco ai vari fenomeni del momento, il vincitore del premio Strega di turno, bensì a fenomeni più planetari (ad esempio i vari De Lillo o Philip Roth che mai mi avevano attirato).

Luoghi come Anobii, quindi, hanno sgrezzato il mio snobbismo intellettuale (fermo restando che una volta letti De Lillo e Philip Roth ho potuto, più che altro, motivare la mia consapevolezza del rifiuto, ma questa è altra storia) e mi hanno aperto molti mondi.

Questo anche se il mio modo di leggere non è poi molto cambiato, ma la possibilità di confronto (anche passivo) mi ha aiutato a costruire dei percorsi di lettura più articolati e completi.

La possibilità di esprimere commenti, invece, non mi fa sentire un critico letterario ma mi da, soprattutto, modo di sfogare le mie delusioni e tutte le sensazioni negative che provocano certi libri estremamente irritanti, pretenziosi, insignificanti, etc. Lo sfogo pubblico per il lettore frustrato non è poca cosa.

Grifo | Nov 8, 2012 Per quanto mi riguarda, la penso come Grifo. Da quando ho scoperto Anobii, il mio essere lettrice è cambiato completamente. I vicini, le recensioni, i gruppi, mi hanno tutti permesso non solo di venire a contatto con altri lettori

scambiando opinioni e consigli, ma soprattutto conoscere libri e autori ai quali altrimenti non mi sarei mai avvicinata.

Prima c'eravamo solo io e il mio libro, la lettura era esclusivamente un'affair privato, ora invece è anche in parte pubblica.

Elayne | Nov 8, 2012 Come per altri, Anobii mi ha dato la possibilità di parlare e confrontarmi quindi inevitabilmente le mie

prospettive sono cambiate perchè prima c'ero io, il libro e l'eventuale critica "dotta" mentre adesso c'è tutto un mondo.Mi piace leggere le recensioni degli altri, ma solo quelle che descrivono lo stato d'animo che il libro lascia in chi lo legge (le altre le aggiro), per quanto riguarda le mie sono solo appunti per tenere a mente impressioni del momento.

apollo81 | Nov 9, 2012 Stranamente penso che sia cambiato in senso negativo...apprezzabile il fatto di aprire maggiormente i propri

orizzonti, di conoscere nuove prospettive e visioni su una lettura..ma spesso ho la sensazione che la lettura sia diventata qualcosa di comunitario...leggere per parlarne non più leggere per leggere...questo elemento mi manca parecchio, prima non c'erano giudizi, recensioni, novità, o vecchi libri o impressioni semplicemente prendere in prestito, acquistare un libro e iniziare un Rapporto personale con esso, positivo, negativo, indifferente...ma comunque una cosa personale che rimaneva tra il libro e me...adesso questo elemento manca perchè, c' è sempre qualcuno o qualcosa (un' altro libro) con cui confrontarsi o confrontare.

elys | Nov 9, 2012 credete che l'iscrizione a un sito come Anobii abbia influenzato e magari cambiato il vostro modo di leggere e riflettere sui libri?

No, né è cambiato il modo di leggere né di riflettere Avete l'impressione che la vostra lettura sia stata influenzata dal fatto che possiate pubblicamente esprimere un giudizio che viene

condiviso con centinaia di altri utenti e che vi mette nella posizione che fino a pochi anni fa era propria del critico professionista (quella di emettere un giudizio per iscritto in ambito pubblico e eventualmente attribuire stelle)? Anche io scrivo il giudizio essenzialmente per me stessa ,inoltre scrivo anche ciò che io vorrei sapere quando cerco commenti su un libro

E anche il fatto di potersi confrontare in modo immediato con i pareri di altri lettori (spesso sconosciuti), vi sembra che cambi il vostro modo di leggere? Questo ha portato un grande arricchimento e scoperte. Ho scoperto autori che non sono pubblicati da anni e che hanno un alto valore letterario; molti fanno considerazioni profonde, anche più sagaci e azzeccate di tanti critici che scrivono sui quotidiani.

elalma | Nov 9, 2012 Modo di leggere assolutamente no. Modo di confrontarmi sulla lettura un po' ma non in modo radicale,

perchè ho la fortuna di aver sempre avuto qualcuno con cui condividere le letture, sia a casa che fuori. Molti dei miei amici leggono e sinceramente non è che me li sia andati a cercare nei circoli letterari, per quel che ho vissuto

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io leggere è una cosa che magari non fanno tutti ma fanno in molti. Infatti mi stupisco che così tanti di voi si trovino un po' "soli" in questa cosa (lo metto tra due virgolette ma potrei metterne trecento), ossia che abbiano tanti amici che non leggono e pochi con cui parlare di libri. Ognuno con i suoi gusti, ognuno con la sua intensità e i suoi tempi, però davvero io nella vita reale conosco molte più persone che leggono che persone che non leggono. Però qui ci sono molti più punti di vista sullo stesso libro, quindi lo trovo molto interessante e sicuramente credo che sia una fonte inesauribile di novità e anche, perchè no, un modo per imparare. C' è anche da dire che qui si parla di libri senza le naturali 'distrazioni' degli argomenti eterogenei che si presentano tra amici e che spesso sono assai più immediati e accattivanti. Le recensioni sono un po' uno sfoggio di narcisismo, sì, ma ne ho lette alcune davvero belle di alcuni utenti, probabilmente meglio di quelle di qualunque critico si trovi in giro (esattamente come ha detto @Elalma)

Lady W. "of dubious and questionable memory" | Nov 9, 2012 @Lady W. io sono una dei "soli"...perchè effettivamente prima di conoscere anobii e gente in generale che

ama lettura, ero sola, non ho avuto reali lettori attorno a me...gente che diceva..adoro leggere...ma poi appena intavolavo una discussione il deserto cosmico, non si andava più in la di mi è piaciuto, non mi è piaciuto....la lettura e la riflessione post lettura è sempre stata una sorta di rito in solitaria...per quello adesso che leggo più commenti, mi confronto con gli altri ogni tanto sento questo desiderio di tornare alle origini e riscoprire il mio vecchio modo di leggere e rapportarmi ad un libro :)

elys | Nov 9, 2012 Nemmeno per me è cambiato il modo di leggere. E' mia abitudine, prima di acquistare un libro, fare un salto su anobii per conoscere il parere di altri lettori. Ed

inizialmente tale parere giocava un ruolo importante nelle mie decisioni di acquisto, poi il tutto si è ridimensionato. Ora la consultazione di anobii continua, ma ha più i connotati, appunto, di semplice abitudine.

Personalmente non ho mai nemmeno provato interesse a parlare di un libro con miei amici lettori, meno che meno qui su anobii.

Chysterna | Nov 9, 2012

Il mio rapporto con la lettura non e' cambiato con la frequentazione di Anobii, pero' ho avuto l'occasione di conoscere molti autori di cui ignoravo l'esistenza. Quanto alla questione della solitudine del lettore, penso che ciascuno di noi sia "solo" di fronte al testo che ha davanti, di qualsiasi tipo esso sia. Personalmente non mi sono mai sentita una lettrice solitaria nel senso affrontato in questa discussione perche' con i miei amici lettori ho sempre la possibilita' di un confronto e la mia migliore consigliera ce l'ho in casa: e' mia figlia, che mi ha fatto conoscere Anobii e che e' una preziosissima "consulente letteraria"...

Roberta | Nov 12, 2012 Non è cambiato assolutamente nulla o quasi nel mio modo di leggere e di approcciarmi alla lettura. Leggo da

quando ho imparato a farlo e Anobii è stata un'interessante novità e un mezzo di arricchimento notevole. Come ha sottolineato qualcuno, al di fuori di questa comunità virtuale non ho molti punti di riferimento, nè conosco persone alle quali piace leggere con le quali confrontarmi, e tra quelli che leggono i gusti sono così diversi (a me piace la letteratura italiana e straniera, e i libri di storia dell'arte mentre quei pochi amici che leggono, leggono fumetti e autori italiani contemporanei) che è anche difficile confrontarsi su qualcosa. Anobii è stata una piacevole scoperta e la possibilità che viene data di commentare un libro, votarlo secondo il proprio gusto personale, inserire delle note ha ampliato il mio modo di leggere. Sono sempre stata molto attenta a quello che leggo però avere la possibilità di condividere le proprie opinioni, di scrivere quello che ci mi ha colpito o meno, di sottolineare passaggi per me importanti mi ha permesso di prestare ancora più attenzione a quello che leggo, ha ampliato i miei orizzonti di lettrice facendomi avvicinare a generi che prima avrei semplicemente ignorato e perchè no mi ha anche permesso di scrivere, cosa che in Italia è molto sottovalutata. Infine non da ultimo mi ha permesso di eliminare quelle fastidiose orecchiette di cui erano pieni i miei libri nei punti in cui mi colpivano. Inoltre, come anche altri hanno sottolineato, scrivo recensioni per me però se qualcun altro le trova interessanti o possono essere d'aiuto perchè no? forse c'è un pò di narcisismo in questo, però principalmente scrivo per me e trovo che alcune recensioni lette su anobii siano davvero molto più oggettive di quelle scritte da critici di professione e forse molto più veritiere proprio perchè non viziate dalla necessità di recensire un volume per lavoro. In conclusione penso che sia uno strumento molto utile che permette però di mantenere la propria individualità di lettori.

Sele | Nov 12, 2012

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Prima leggevo un po' alla "mordi e fuggi", oggi rifletto molto di più per evitare di scrivere sciocchezze nei

commenti :) Inoltre ho scoperto autori che non conoscevo, e questo grazie a un manipolo di fissati aNobiani :) Momi | Nov 12, 2012

aNobii non ha cambiato il mio modo di leggere, perchè ho sempre letto molto e mi è sempre piaciuto

sperimentare nuovi generi e autori... Però di certo, l'idea dell'aggiornamento continuo della libreria, mi ha stimolato a leggere di più, a dedicare ancora più tempo ai miei libri. E il confronto con altre persone appassionate come me, che in molti casi sono diventate delle vere e proprie "amiche" (sono tutte donne, quindi uso il femminile), mi ha permesso di scoprire libri e autori nuovi.

Pollapollina | Nov 13, 2012

Si, penso che aNobii aiuti in qualche modo la riflessione perche' spesso i commenti che si leggono vagando

per le librerie degli anobiani sono piu' divertenti,stimolanti e profondi rispetto alle recensioni stampate sui libri ( le quali a volte sembrano scritte giusto perche' si deve scrivere qualcosa..).Anche i commenti del tutto negativi possono essere ovviamente interessanti.E poi certo, se vuoi lasciare anche tu due righe di commento devi ripensare a quello che hai letto e il libro in questione spesso,o almeno a me cosi' capita,resta nella memoria piu' a lungo.

cianfry | Nov 19, 2012 Amo moltissimo la lettura e non credo che Anobii abbia cambiato il mio modo di leggere, trovo piuttosto che

abbia alimentato la mia curiosità letteraria. Trovo che sia un ottimo punto di partenza, offre tanti spunti, ottime recensioni, commenti molto divertenti. Ho iniziato ad utilizzarlo come semplice archivio personale, ma adesso mi capita spesso di navigarci alla ricerca di un autore ancora non conosciuto o di qualche buon suggerimento da approfondire.

Anna Bonci | Nov 19, 2012 Anobii non ha cambiato il mio modo di leggere e di rapportarmi rispetto alla lettura in generale; sicuramente

mi ha offerto l’opportunità di conoscere autori e opere dei quali ignoravo l’esistenza. Quanto alle recensioni, non faccio altro che riportare in Anobii esclusivamente le sensazioni e le emozioni

che il libro mi ha suscitato, senza soffermarmi a pensare all’eventuale numero di persone che potrebbe leggere quanto ho scritto.

Anche il fatto di poter leggere le recensioni altrui è certamente per me un motivo in più di interesse e curiosità, ma non ha influenzato più di tanto il modo di leggere i libri e di scegliere le letture successive.

Riflessi Violetti | Nov 23, 2012 Ha cambiato, ha cambiato eccome, da quando ho conosciuto anobii la qualità delle mie letture è decisamente

salita, vuoi per l'ampio panorama librario offerto, che per quello che per me è lo strumento principale di consultazione e cioè le recensioni. Prima... ahimè i miei orizzonti limitati e lo scarso bagaglio culturale, dovuto alla mancata frequentazione di scuole superiori (quanto avrei voluto anch'io odiare "I promessi sposi") facevano ristagnare le mie letture in impenetrabili foschie di pompaggi mediatici, "il codice da vinci" etc.. etc..

Angelo Anselmo | Nov 24, 2012 Un mezzo nuovo che socializza i lettori a volte chiusi nelle pagine della propria mente,zittiti dal volume alto

dei mass media,soli in un era che vuole l'immagine protagonista assoluta.Un'idea intelligente per creare un luogo virtuale di scambio e conoscenza che promuove l'amore per i libri,una pausa contemplativa tra una pagina e l'altra sorseggiando un buon tè

AleBookMark | Nov 24, 2012

La lettura di un libro e' sempre un fatto individuale, come gia' notato da diversi commentatori in vari articoli. Cio' detto e' possibile mettere in comune cio' che la lettura puo' suscitare: le emozioni, "Galeotto fu il libro e chi lo scrisse..." oppure i commenti. Mentre i commenti sono piu' facilmente condivisi con la rete, per le emozioni bisogna mettersi ancora fisicamente vicini come i personaggi di Dante!

pulce | Nov 25, 2012

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Iscrivermi ha cambiato il mio modo di leggere nel senso che prima andavo a concatenazioni e le mie fonti erano le pagine culturali del Manifesto ( per le novità) e Cfr di Einaudi, mentre ora mi prende la curiosità per qualche autore osannato sul sito che il più delle volte è veramente valido.

Inoltre il fatto di poter esprimere un giudizio pubblico con una recensione [che anche prima facevo per me ma era più uno studio e riguardava solo i "libri" (perchè ci sono i libri e quelli che non lo sono!)], mi fa leggere subito con la "seconda lettura" e se sono in gdl anche con la terza. E la ricerca la faccio per il 90% delle letture.

Non leggo di più. Forse meno, anche perchè cause personali mi fanno stare più "a parlare" di libri su anobii che a leggerli: vivo in un ambiente parzialmente rumoroso. Questo parlare mi diverte anche perchè l'ambiente di lavoro non pullulava di lettori e miei amici sono o non lettori o non compulsivi come me.

La recensione è come il commento e raramente ne faccio un componimento "libero". Ne viene fuori qualcosa di indigesto, ma mi piace leggere i commenti altrui e la discussione che ne segue, specie quella che mette a confronto punti di vista diversi.

Cmq, non sopporto quelli che su anobii danno agli Autori del tu ( metaforicamente parlando)! Maria Francesca: anche su Goodreads senza capirne nulla! | Nov 25, 2012

dico la mia: essere su anobii non ha cambiato le mie scelte, nè il mio modo di leggere, ma se prima ero sempre

sola nella mia stanzetta, col mio librino (come del resto è normale che sia: la lettura è intima e solitaria per definizione), adesso ho una finestra che si apre sulla piazza di un villaggio abitato da tanta gente che parla la stessa lingua. Si parla e si viene ascoltati, si ascolta e si condivide. Si danno consigli veramente gratuiti e in ogni momento si trova quello che si cerca. Manca il fattore umano? Mancano le facce di chi ti parla? Vero, ma non è detto che questo, a questo livello, intendiamoci, costituisca un difetto.

emma bi | Nov 25, 2012 Interessante discussione. Ci sarebbe da riflettere sul perché in Italia, in assoluto il Paese cosiddetto sviluppato

in cui si legge di meno, Anobii ha avuto tutto questo successo. Probabilmente proprio perché i "forti lettori" (quelli che di fatto tengono in vita le case editrici che non siano Mondadori e Feltrinelli, per capirci) si sentivano molto soli e, appena hanno trovato un posto dove poter confrontarsi con i propri pari, sono corsi come mosche al miele. Perché anch'io ho sentito, come altri qui sopra, la sensazione sgradevolissima di avere qualcosa da dire di bello o di brutto su quello che si è appena letto e non trovare nessuno a cui poterlo dire.

Sicuramente Anobii non ha cambiato le mie abitudini di lettura, nel senso che non leggo di più o di meno o con chiavi interpretative differenti rispetto a prima. Diciamo che leggo in un modo più consapevole, accolgo stimoli, scopro autori (uno su tutti: Richard Powers, mi chiedo come diavolo abbia fatto a vivere fino ad oggi senza conoscerlo) e - in misura minore, dato che non "socializzo" molto come fanno altri - mi confronto con altri lettori. Scrivere recensioni (con una bella dose di narcisismo da cui mi auto-assolvo senza problemi) mi permette di dire quello che penso su quello che leggo con la certezza che qualcuno lo leggerà, e anche di tenere traccia per mio uso personale di quello che ho letto e di cosa ne ho pensato (molto utile in caso di riletture).

Svalbard | Nov 25, 2012

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BIBLIOGRAFIA 1. Libri, saggi e articoli ALFANO GIANCARLO, Fare cose con i testi, in «Libellula», n.3, anno 3, dicembre 2011, p. 26. Reperibile

anche all'indirizzo: www.lalibellulaitalianistica.it/blog/wp-content/uploads/2011/12/Giancarlo-Alfano.pdf (consultato il 13 marzo 2013).

BERARDINELLI ALFONSO, C'era una volta il critico, in «Il Sole 24 Ore Domenica», 12 ottobre 2008. Reperibile anche all'indirizzo: bibliogarlasco.blogspot.ch/2008/10/alfonso-berardinelli-cera-una-volta-il.html (consultato il 13 marzo 2013).

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Blog e-letteratura: MARTA, Critica letteraria, accademia vs internet, eletteratura.wordpress.com/2012/05/18/critica-letteraria-accademia-vs-internet/ (consultata il 13 marzo 2013).

Blog Gruppo di lettura: Il lettore comune è anche critico letterario?, gruppodilettura.wordpress.com/2008/10/17/il-lettore-comune-e-anche-critico-letterario/ (consultato il 13 marzo 2013).

Blog Jumpinshark: JUMPINSHARK, Social(e), influenza e diffusione dei blog letterari, jumpinshark.blogspot.ch/2011/02/sociale-influenza-e-diffusione-dei-blog.html?showComment=1297667504711 (consultato il 13 marzo 2013).

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critico-paolo-serino.html (consultato il 13 marzo 2013).  Sito Metacritic: www.metacritic.com (consultato il 16 marzo 2013). Sito Stanford Literary Lab: litlab.stanford.edu (consultato il 13 marzo 2013). Sito The Victorian Web: www.victorianweb.org (consultato il 13 marzo 2013).