Come alla Corte di Federico II · di Renato Musto . Le meraviglie del pensiero induttivo: come...
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO
PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA
LE IDEE GENIALI 9di Carlo Bernardini
L’ORIGINALITÀ SCIENTIFICO-FILOSOFICA DI ARCHIMEDE 11di Christian Vassallo
COLPI D’ALA DEL PENSIERO INDUTTIVO 13 di Vittorio Silvestrini
INTRICATI EQUILIBRI 15di Luciano Carbone
I DUE GENÎ CHE MISERO FINE AL GENIO 17di Maurizio Torrini
ENRICO FERMI E IL SECOLO BREVE 19di Renato Musto
Le meraviglie del pensiero induttivo: come indirizzare i giovani verso
le sorprese della cultura scientifica.
Carlo Bernardini
Carlo Bernardini è nato a Lecce il 22 aprile 1930 e si è laureato in
Fisica presso l’Università di Roma il 19 marzo 1952. Ha iniziato poco
dopo a lavorare, sotto la direzione del Professore Giorgio Salvini, nel
gruppo teorico del sincrotrone guidato dal Professore Enrico Persico.
Al completamento del sincrotrone ha partecipato alla progettazione,
realizzazione e messa in opera del primo anello di accumulazione per
elettroni e positroni (AdA, Frascati - Orsay) ideato dal Professore
Bruno Touschek. A completamento del lavoro con AdA (1964) ha
effettuato esperimenti presso il sincrotrone dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di
Fisica Nucleare, su: Verifica dell’elettrodinamica quantistica, Fotodisintegrazione del Deuterio con fotoni
polarizzati, Scattering di elettroni su nuclei (in collaborazione con Orsay). Ha collaborato all’avvio di un
esperimento di produzione multipla di adroni su ADONE prima di trasferirsi sulla cattedra di Fisica
generale presso l’Università di Napoli (1969). Richiamato a Roma nel 1971 è stato Direttore della locale
sezione dell’INFN, successivamente Preside di Facoltà e membro della giunta esecutiva dell’INFN e, dopo
una breve parentesi parlamentare (VII Legislatura, Senato), direttore del primo corso di dottorato in
Fisica. È attualmente Professore Emerito presso la Facoltà di Scienze MFN dell’Università di Roma, la
Sapienza. In tutto questo periodo si è occupato di problemi vari di fisica teorica e ha scritto, da solo o in
collaborazione, numerosi testi per uso didattico sia scolastico che universitario: Fisica degli atomi e dei
nuclei (1965) (con S. Tamburini), Fisica e strumenti matematici (1979), Lezioni di fisica (1981) (con S.
Tamburini), Fisica del nucleo (1982) (con C. Guaraldo), Che cosa è una legge fisica (1983, II ediz. 2006),
Relatività speciale (1992), Metodi matematici della fisica (1993) (con O.Ragnisco e P.M.Santini), La fisica
nella cultura italiana del ‘900 (1999), Contare e raccontare (2003) con T.DeMauro,Le idee geniali (2005)
con S. Tamburini Fisica vissuta (2006), Prima lezione di fisica (2007), La crisi energetica in Italia e nel
mondo (Dedalo, 2007) (a cura di C.B. e Giorgio Salvini). Dal 1983 è Direttore della rivista Sapere e ha
scritto saggi di sociologia e politica della scienza come L’ingegno e il potere (1992) (con D. Minerva), Idee
per il governo: la ricerca scientifica (1995), La letteratura scientifica (1999). È stato Presidente del
Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della nascita di Enrico Fermi, Presidente della
Commissione consultiva del Comune di Roma per la Città della Scienza, Presidente dell’Associazione
culturale per la promozione dell’Astronomia ‘Eta Carinae’, Presidente della Società italiana per il progresso
delle scienze (SIPS), di cui è ancora Presidente onorario.
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi
LE IDEE GENIALI
Carlo Bernardini
Fisico - Professore Emerito Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’
È possibile farsi una sorpresa da soli?
Regalarsi una cosa imprevista che dà molto
piacere a chi la riceve, noi stessi? Sì è possibile.
Basta avere un’idea geniale. Di questi ‘effetti
sorpresa’ è ricco il pensiero induttivo, quello
tipico della ricerca fenomenologica sulla realtà
naturale. Non è un caso se le emozioni dense di
idee geniali sono disseminate nella storia del
pensiero scientifico, particolarmente in alcune
scienze come la fisica; ma in tutte le scienze c’è
questo momento del bagliore, del lampo mentale
che illumina la soluzione di un problema che ci
arrovella. Non di rado, la genialità confina con la
semplicità: la semplificazione è una scorciatoia
verso la soluzione, la risposta a un interrogativo.
Ma, altre volte, l’illuminazione avviene
per abbandono del contesto locale e per
l’osservazione ingrandita dei fatti: Eratostene
che escogita la misura del raggio terrestre
abbraccia con il suo sguardo umano limitato una
grossa porzione del globo terrestre per
confrontare le ombre dei monoliti illuminati dal
Sole in due punti distanti giornate di cammino;
Newton che confronta il moto lunare con quello
di caduta dei gravi per concludere che sono lo
‘stesso fenomeno’ in condizioni un po’ diverse
abbraccia la Terra e lo spazio intorno ad essa;
De Sitter con il suo paradosso sulla
composizione delle velocità sta guardando astri
lontanissimi. Ma c’è anche la genialità delle
piccole idee: il piccolo Gauss che somma in un
baleno i primi cento numeri, Watt che escogita
un regolatore di velocità, il principio dello
stroboscopio, sono sorprese che chiunque di noi
avrebbe potuto regalarsi.
Oggi, però, le cose non sono più così
semplici: la conoscenza della realtà è cresciuta a
dismisura e rendersi conto, come padre Secchi,
che la composizione di stelle lontane è rivelata
dagli spettri della luce che emettono; o, come
Fermi, che i neutroni lenti sono i più efficaci nel
produrre isotopi nuovi e trasmutazioni; o, come
Einstein, dell’equivalenza massa energia; o,
come Dirac, della possibile esistenza
dell’antimateria, non è più una ‘gratificazione’
alla portata di tutti. Pochi indicatori
caratterizzano meglio l’enorme sviluppo culturale
dell’umanità negli ultimi secoli come la qualità
folgorante delle ‘sorprese scientifiche’. Vale la
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi
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pena, perciò di insistere, come pochi filosofi
hanno fatto dopo Hume e Russell, sull’estrema
importanza dell’educazione all’uso del pensiero
induttivo, che forse è la modalità più spontanea
degli umani finché l’alluvione dottrinaria del
pensiero assiomatico deduttivo di cui è pervasa
la scuola non ha il suo forzato sopravvento.
Un bambino di quattro anni mi disse una volta
che lui sapeva ‘che il Sole è più lontano delle
nuvole perché non si vedono mai nuvole dietro il
Sole’. Il sorriso con cui accompagnò questa
intuizione è rimasto per me indimenticabile; un
segnale di felicità intellettuale che chiamiamo
‘genialità’.
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L’ORIGINALITÀ SCIENTIFICO FILOSOFICA DI ARCHIMEDE
Christian Vassallo
Dottorando di Scienze Filosofiche Università degli Studi di Napoli Federico II
Vissuto nel III secolo a.C., l’aurora di
quell’età ellenistica dipinta da Lucio Russo come
teatro della rivoluzione scientifica ‘dimenticata’,
non v’è arcipelago dello scibile che la navicella
del suo ingegno non abbia osato lambire: dalla
geometria all’aritmetica, dalla meccanica
all’ottica, dall’astronomia all’ingegneria. Parliamo
di Archimede, il genio alla cui più intima
quotidianità il simpatico aneddoto vitruviano
accostò uno dei casi più famosi di serendipity.
Ma quell’«héur�ka!» gridato da un uomo nudo,
che da un capriccio di Ierone II avrebbe finito col
trovare per caso nella sua vasca da bagno la
legge dell’idrostatica, direbbe poco, in fondo,
sull’importanza del suo irripetibile operato, se
non ci premurassimo di coglierne l’originalità
scientifico-filosofica. Nell’affascinante libro in cui
ha ricostruito, insieme a William Noel, la
fortunosa riscoperta del celebre Palinsesto di
Archimede, il filologo Reviel Netz ha riferito allo
scienziato siracusano quanto già Whitehead
scrisse di Platone, al cui pensiero la tradizione
filosofica europea non avrebbe fatto altro che
aggiungere postille. Galilei, Leibniz, Huygens,
Fermat, Cartesio, Newton: tutti figli di
Archimede, autentico summis ingeniis dux et
magister, come piacque definirlo al vecchio
Heiberg, primo editore di quel palinsesto (codice
C, per i paleografi) che, nuovamente perduto,
solo il 29 ottobre 1998 rivide la luce durante
l’ormai leggendaria asta nella Christie’s di New
York. Rispetto ai codici A e B, anch’essi
miracolosamente scampati al sacco di
Costantinopoli, il palinsesto è l’unica fonte del
Metodo sui teoremi meccanici. Oggi possiamo
affermare, senza retorica, che questo scritto fa
di Archimede il vero padre della scienza
moderna.
Contro il deduttivismo dell’epistemologia
classica, egli espose ad Eratostene l’enfasi data
nelle sue ricerche all’induzione, senza peraltro
cadere nelle aporie della Fisica aristotelica,
contro la quale polemizzò circa l’equilibrio dei
corpi, circostanza colorita dal noto motto
attribuitogli da Pappo: «datemi un punto di
appoggio e solleverò il mondo!». Molte sue
teorie presupponevano nozioni meccaniche,
l’abilità di passare senza dogmi dal concreto
all’astratto e viceversa, anche grazie a quel
metodo di ‘esaustione’ che, già adottato dal
sofista Antifonte per la determinazione dell’area
del cerchio, fu il “canovaccio” cui si sarebbero
ispirati i due cervelli che si contesero
ferocemente la paternità del calcolo
infinitesimale nel XVII secolo. Invano, stando a
quanto nel 2001 lo stesso Netz, con l’ausilio di
Ken Saito e delle più sofisticate tecniche digitali,
riuscì a leggere nell’enigmatica XIV proposizione
del Metodo, lì dove gli occhi stanchi di Heiberg si
erano arresi con una disperata crux filologica:
smentendo clamorosamente un’atavica ubbia
degli storiografi, Archimede avrebbe dimostrato
familiarità non solo con l’infinito potenziale, di
cui già Zenone di Elea si era vagamente servito
nei suoi paradossi, ma anche con quello reale,
presupposto dell’odierno calcolo infinitesimale; e
avrebbe inoltre intuito i fondamenti della teoria
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degli insiemi, rivelandosi addirittura il precursore
di Cantor. Calcolo infinitesimale e concreta
applicazione dei modelli matematici al mondo
fisico compendiano dunque l’inestimabile eredità
da lui lasciata ai posteri: nella sua essenza,
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infatti, la scienza moderna altro non è che
rigorosa applicazione della matematica alla fisica
secondo i principi di quel calcolo, che ha
permesso, dopo millenni, il pacifico, un tempo
scandaloso abbraccio tra precisione ed infinito.
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COLPI D’ALA DEL PENSIERO INDUTTIVO
Vittorio Silvestrini
Professore di Fisica Generale Università degli Studi di Napoli Federico II
Il motore primo che spinge la civiltà
umana verso conquiste sempre nuove, è
l’attitudine dell’uomo a lanciare a sé stesso
sempre nuove sfide, per il semplice gusto di
vincerle. Di queste sfide, le più dense di
soddisfazione e di positivi frutti sono quelle che
riguardano le attività del pensiero; e ciò tanto
più se il risultato conseguito non è un singolo
raggiungimento conoscitivo, ma lo sviluppo di un
metodo (un procedimento) che l’inventore mette
a disposizione di chiunque voglia poi usarlo.
Fra gli strumenti metodologici sviluppati
per facilitare la produzione di conoscenze, un
posto preminente occupano le teorie
matematiche, quali sono ad esempio la
geometria piana euclidea, l’algebra, il calcolo
vettoriale, ecc.
Le entità che hanno diritto di
cittadinanza in una teoria matematica sono
entità astratte, definite in base alle loro
proprietà. La teoria fornisce infatti i criteri di
riconoscimento delle entità ammesse nella
teoria, e un apparato logico – deduttivo fatto di
pochi assiomi (o princìpi) e di un insieme di
regole (algoritmo) di manipolazione delle entità
astratte. Utilizzando questo apparato logico, la
teoria consente di formulare un numero illimitato
di problemi, fornendo gli strumenti per risolverli
e per verificare la correttezza del risultato. Tutto
ciò, sempre restando nell’ambito delle entità
astratte, appartenenti al regno del pensiero.
Le scienze naturali (e in particolare le
scienze esatte, il cui prototipo è la fisica), si
occupano però di capire il mondo reale, fatto di
oggetti concreti, e di grandezze misurabili
quantificando gli effetti – anche essi reali – che
esse producono. Lo studio di questo mondo reale
– dei fenomeni che in esso avvengono – non può
che partire dalla osservazione, registrando quali
siano il comportamento e l’evoluzione delle
entità reali coinvolte nel fenomeno. Facendo ciò,
siamo costretti a constatare che i fenomeni reali
sono unici e irripetibili: ciò che accade qui e ora
è diverso da quanto accade, è accaduto ed
accadrà altrove e in altro tempo.
La formidabile intuizione dei padri della
scienza dell’era moderna (il primo dei quali è
d’uso individuare in Galileo; ma importanti
precursori si ebbero nella cultura alessandrina) è
che sfrondando le situazioni reali di mille
perturbazioni aleatorie, per concentrare
l’attenzione sulle cause dominanti
(schematizzazione del fenomeno) viene alla luce
un substrato di universalità che innerva i
fenomeni reali rendendoli riproducibili; ed è
possibile allora anche cercare e trovare una
legge di corrispondenza fra le grandezze
concrete presenti nel fenomeno reale, e le
grandezze astratte di una opportuna teoria
matematica. Viene così formulata quella che si
chiama una ipotesi di teoria scientifica.
Utilizzando l’algoritmo proprio della teoria
ipotizzata, possiamo ora produrre una illimitata
varietà di esercizi, ognuno dei quali – usando
ancora, in senso inverso, la legge di
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi
corrispondenza – diviene la previsione di un
nuovo fenomeno, altro e diverso rispetto a
quello che avevamo osservato per farne il punto
di partenza alla ricerca della teoria. Mentre il
percorso logico – deduttivo che ci consente di
estrarre previsioni dalla teoria una volta che
questa sia stata formulata è una catena univoca
di causa - effetto, il percorso che – a partire da
poche osservazioni – ci porta a individuare e
scegliere la teoria matematica, così pregna come
essa è di potenziali previsioni, è un percorso
induttivo di generalizzazione che lo scienziato
compie per tentativi utilizzando la sua capacità
di invenzione fatta di intuito, fantasia e cultura;
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ed anche senso estetico, poiché l’esperienza
insegna che le leggi di natura sono in generale
fornite di particolare simmetria ed eleganza. La
‘bellezza’ diviene uno dei criteri per ‘inventare’
la teoria cercata. E se l’invenzione fosse
sbagliata e dunque l’ipotesi di teoria fosse
fasulla? Niente paura. Perché il metodo
scientifico prevede, come ultimo passo del suo
percorso euristico, la verifica sperimentale delle
previsioni. E solo dopo aver sperimentalmente
verificato che le previsioni si avverano, l’ipotesi
di teoria viene accettata come ortodossa dalla
comunità scientifica, ed assume la dignità di
‘legge di natura’.
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INTRICATI EQUILIBRI
Luciano Carbone
Professore di Analisi Matematica Università degli Studi di Napoli Federico II
Qualche osservazione ingenua su genialità e normalità
Il termine genialità richiama subito alla
mente un suo possibile contrario: la normalità.
Essa si presenta, infatti, come il superamento di
una situazione difficile attraverso un espediente
inaspettato che fuoriesce appunto da ciò che è
normale, usuale. La coppia genialità-normalità
evoca allora con immediatezza un’altra coppia:
creatività-metodo. Con essa tende a
confondersi, ma non a identificarsi. In effetti la
prima richiama situazioni uniche e irripetibili,
nella seconda invece ci si imbatte spesso
nell’esperienza quotidiana. Ma anche altre coppie
vengono evocate con maggiore o minore forza e
distanza. Si pensi ad arte-scienza, induzione-
deduzione o, più in generale, a slancio-stasi e
perfino, per chi ama le teorie freudiane, a eros-
thanatos.
Tutte queste coppie rifuggono da una
schematizzazione ingenua come proprietà che
possono essere possedute o non possedute da
un determinato individuo, che possono essere
presenti o non presenti in una determinata
situazione; sfuggono ad un’analisi matematica
serrata; si offrono come canoni interpretativi,
principi intuitivi che si presentano
continuamente e, pur opponendosi, sempre
intrecciati.
La scienza, esempio classico di un
procedere metodico, esaminata più in
profondità, mostra proprio nel suo progredire la
presenza di salti, di cambiamenti repentini di
punti di vista. Nello sviluppo della pittura si sono
consolidate tante metodiche: il chiaroscuro, la
prospettiva, lo sfumato, la teoria delle ombre, la
teoria della visione e dei colori complementari…;
esse possono e forse spesso debbono essere
infrante e superate ma non ignorate, anche
quando si vuol far rivivere il balbettio di un
bambino.
Ma è sulla coppia creatività-metodo che
vorrei concentrare l’attenzione proprio per il suo
offrirsi quotidiano.
La compresenza dei due principi non si
manifesta solo nel nostro vissuto attuale. Già ad
una rapida occhiata i vari periodi storici
assumono una loro coloritura creativa o
metodica. Il primo Ottocento con il
Romanticismo privilegia l’elemento creativo;
l’Ottocento maturo vede il trionfo del metodo
nel Positivismo…
E questa compresenza di metodo e
creatività non è neanche esclusiva delle cose
umane. Ognuno forse può citare qualche
elemento creativo nel comportamento di un
cane, di un gatto, di un uccellino…, che affianca i
modi di fare soliti.
Il continuo confronto tra metodo e
creatività obbliga allora a scelte complesse. Si
pensi al sistema educativo. La tensione tra
stimoli alla creatività e conoscenze metodiche è
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi
un dato immediato. Tempo ed energia che
vengono spesi per uno scopo vanno sottratti
all’altro. Le risorse economiche, le doti
individuali di chi apprende e di chi insegna sono
con una certa approssimazione determinate.
Per cercare di capire come agire si può
guardare ad una comune situazione di
successo: nelle più celebri squadre di calcio i
giocatori di estro e quelli metodici si mescolano
in un equilibrio fortunato. Gli esempi si possono
moltiplicare all’infinito: un bel film,
un’automobile ben fatta, uno spot pubblicitario
riuscito…. E si pensi per contrasto ad una
squadra costituita da undici Maradona.
Si tratta, per quanto possibile, di arrivare ad
una fusione equilibrata tra metodo e creatività.
Nel caso del sistema educativo la matematica
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che avevamo cacciato dalla porta può (e in parte
accade) rientrare dalla finestra se non per
arrestare l’eterna danza tra metodo e creatività
almeno per cercare di contenerne l’oscillazione.
Con pazienza, caso per caso, si vagliano le
esperienze già acquisite, si formulano delle
ipotesi, se ne saggia l’attendibilità raccogliendo
dati ed esaminandoli con i metodi statistico-
probabilistici.
Forse è poco e forse è vero che viviamo
in una notte profonda, ma si tratta di un buio
rotto da scintille, lampi, bagliori; sono questi
sprazzi di luce che consentono ora la
manipolazione della vita stessa a chi fino a non
molto tempo fa (in una scala geologica dei
tempi) si aggirava nelle caverne… nella speranza
di farne un buon uso.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi
I DUE GENÎ CHE MISERO FINE AL GENIO
Maurizio Torrini
Professore di Storia della Scienza Università degli Studi di Napoli Federico II
I due libri che danno vita, agli inizi del
XVII secolo, a quella scienza che è divenuta la
nostra scienza, il Sidereus Nuncius – l’Avviso
sidereo – di Galileo (1610) e il Discorso del
metodo – l’introduzione ai Saggi: Diottrica,
Meteore e Geometria – di Descartes (1637)
volevano dare a tutti la possibilità di compiere il
medesimo percorso che li aveva condotti a
rivoluzionare il sapere contemporaneo. Cartesio
offrendo il modello della propria vita per
edificare un mondo adeguato alla ragione, la
bona mens, la cosa più egualmente e
uniformemente distribuita tra gli uomini, si tratti
di francesi o cinesi, di cannibali o tedeschi,
Galileo mostrando come costruire quello
strumento – il cannocchiale – con cui provare in
modo ‘speditissimo e sicurissimo’ la possibilità
del copernicanesimo, fondamento della sua
nuova fisica. Entrambi additano una via
‘sperimentale’, aperta a tutti, per giungere alle
loro medesime convinzioni, per le quali non
valgono più né il consenso dell’autorità né il
carisma – il genio – di chi le propone, ma solo il
ricorso a quegli strumenti, geometria e
cannocchiale, che la ragione comune e uguale
per tutti è in grado di costruire e di utilizzare.
Proprio perché fondata sulla comune ragione e i
suoi riscontri – le ‘sensate esperienze’ – quella
scienza non più opinione, non più probabile
diviene necessaria e stringente, riconoscendo
l’alterità della natura e delle sue leggi.
Col che si metteva fine non solo al
secolare dominio del ‘maestro di color che
sanno’, Aristotele, ma anche a quello di quanti,
antichi e moderni, avevano riempito il mondo di
meraviglie, di automi, di specchi, di viaggi
immaginari, di rimedi e soluzioni portentose,
ostentando il proprio unico e solitario genio. ‘La
riconosciuta cagion dell’effetto – scriverà Galileo
– leva la meraviglia’. L’eroe, il genio non è più
Pitagora che dal battere ‘vicendevole dei
martelli’ inventò la musica, ma il ‘discorrere il
Colombo che bisognava per le tali, e tali ragioni,
che vi fossero le Indie nuove, e poi trovarle’»
perché ‘fu un camminar da’ principi alla
conclusione’. La ragione, il metodo, i principi
appunto divengono il banco di prova di ogni
affermazione, di ogni portento vantato o trovato.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi
Misurata col metro di quel comune bene che è la
ragione ogni genialità era destinata a scomparire
e a tradursi in opere, manuali, atti accademici,
giornali scientifici, enciclopedie alla portata
di tutti. Agli inizi dell’Ottocento il giacobino
napoletano Matteo Galdi si sarebbe
chiesto: ‘Qual è la società più colta,
quella che possiede un solo Galileo, un
solo Newton o quella in cui migliaia di cittadini
sanno intenderli?’ Per rispondere: ‘La seconda’.
Per passare dai geni solitari alla scienza di tutti,
era tuttavia stato necessario ricorrere ancora a
due geni non certo precoci come Galileo e
Descartes e appoggiarsi su un altro genio, il
solitario canonico di Varmia, Copernico, ‘questo
germano, il quale avendo poco riguardo a la
stolta moltitudine’ ha ripreso ‘abietti et rugginosi
fragmenti... da la antiquità’ per concludere
‘necessariamente che piuttosto questo globo si
muova... a dispetto della natura, et raggioni’.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi
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ENRICO FERMI E IL SECOLO BREVE
Renato Musto
Professore di Fisica Teorica Università degli Studi di Napoli Federico II
Enrico Fermi nella storia del ‘900
L'eccezionale intreccio tra scoperte
scientifiche, destino personale e vicenda
mondiale contenuto nella vita di Enrico Fermi,
permette di gettare uno sguardo, veloce ma
intenso, sullo scorso secolo, da quando, nel suo
precoce studio da autodidatta vi era ancora
occasione per un trattato in latino - segno di
un'antica universalità della scienza -, ai primi
importanti lavori, negli anni '20, pubblicati in
tedesco, lingua dominante nella cultura
dell'epoca, fino al periodo americano dal 1939,
alla morte nel 1954.
Fermi ha creato da solo un proprio stile
di ricerca senza veri maestri. Orso Mario
Corbino, per cui esprime ‘la profonda e sentita
venerazione del discepolo verso il maestro’ ha il
merito, piuttosto, di averne capito il valore e
averlo guidato nei primi passi della carriera.
Fermi, invece, ha creato vere scuole, in Italia e
negli USA, la cui influenza si avverte ancora
oggi. Tra i suoi discepoli si contano sei premi
Nobel. Di più ha riconosciuto tra i primi il ruolo
dell'organizzazione del lavoro scientifico, e le
istituzioni che portano il suo nome costituiscono
una memoria anche del suo ruolo di
organizzatore.
Le sue ricerche segnano la storia della
fisica, dalla fisica atomica e molecolare allo stato
solido, dalla fisica nucleare alle particelle
elementari, dalla statistica all'astrofisica, fino al
pionieristico uso del computer per problemi
fondamentali. Come ricorda Euglene P. Wigner
‘non amava le teorie complicate e le evitava
quanto più possibile. Benché sia stato uno dei
fondatori dell'elettrodinamica quantistica
resisteva all'uso della teoria dei campi’. Eppure
la sua fondamentale teoria del decadimento
debole ha reso la teoria quantistica dei campi il
linguaggio delle interazioni fondamentali. La sua
formula legge con chiarezza il processo fisico:
l'annichilazione di un neutrone e la
contemporanea creazione di un protone, di un
elettrone e di un (anti)neutrino.
Forse unico nel suo tempo Fermi era
grande teorico e sperimentatore eccellente,
capace anche di sfruttare l'aiuto del caso o,
forse, del suo istinto. Investigando la
dipendenza della resa delle reazioni nucleari dal
materiale interposto tra un fascio di neutroni e i
nuclei del bersaglio, Fermi introdusse, un giorno,
un cambiamento improvviso. Sostituì un cuneo
di piombo con una lastra di paraffina. La resa
della reazione crebbe enormemente. I nuclei
d'idrogeno di cui è ricca la paraffina rallentavano
i neutroni e la resa della reazione era in generale
molto più alta per i neutroni lenti. La strada era
aperta per la reazione a catena, per l'era
nucleare.
Alla fine del '38 Fermi ottiene il permesso di
recarsi a Stoccolma con la famiglia per ritirare il
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi
premio Nobel, ma non ritorna in Italia dove
iniziavano le leggi razziali. Sua moglie era ebrea
Sceglie l'esilio come molti suoi collaboratori
prima di lui, come tanti che abbandonavano i
paesi europei dominati dagli orrori del fascismo
e del nazismo. Negli USA la storia personale
di Fermi si intreccia con quella della bomba
atomica. È una storia troppo complessa e
controversa perché possa essere riassunta, ma
qui viene ricordata come la più scoperta
evidenza che la scienza costituisce nella storia
moderna un fattore essenziale, in guerra come
in pace, nei più inumani massacri e nelle
imprese più sublimi.
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