COLPA PENALE, “LEGGE BALDUZZI” E “DISEGNO DI LEGGE GELLI ...

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Archivio selezionato: Dottrina COLPA PENALE, “LEGGE BALDUZZI” E “DISEGNO DI LEGGE GELLI- BIANCO”: IL MATRIMONIO IMPOSSIBILE TRA DIRITTO PENALE E GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO Cassazione Penale, fasc.1, 2017, pag. 0386B Ombretta Di Giovine Classificazioni: MEDICINA LEGALE - Responsabilità professionale medica Sommario 1. Premessa: dalla quasi impunità all'“eccesso di attenzione” verso il medico. — 2. Quelli che sembravano punti fermi in materia di colpa penale. 3. La legge Balduzzi. 4. Le reazioni di dottrina e giurisprudenza. 5. Il disegno di legge Gelli-Bianco. 6. Gestione del rischio clinico e rilevazione dell'errore. 7. Lo scontro tra filosofie: preventiva (quella della gestione del rischio clinico) e repressiva (quella penale). 8. Dalla responsabilità delle persone fisiche alla responsabilità degli enti in ambito sanitario? Il finale triste della favola. 1. PREMESSA: DALLA QUASI IMPUNITÀ ALL'“ECCESSO DI ATTENZIONE” VERSO IL MEDICO La parabola della giurisprudenza in materia di responsabilità medica viene ripercorsa dalla Corte di cassazione in una recente sentenza in cui il giudice di legittimità, pur guardandosi dall'esprimere apprezzamenti, riconosce che ad un iniziale atteggiamento di pressoché sistematica indulgenza verso la classe medica ha fatto seguito un ripensamento radicale (1). La fase “aurea” passò attraverso l'applicazione, al “blocco” dell'attività sanitaria, dell'art. 2236 c.c. (2), disposizione in linea con la teorica della colpa civile (almeno sino alla fine degli anni Novanta), ma la cui utilità penalistica come preciserò si sarebbe potuta ritenere superata in virtù dei sofisticati arnesi concettuali messi a punto dalla dottrina penalistica (non varrebbe nemmeno la pena di richiamarla, se il discorso sul grado della colpa non avesse inaspettatamente, dal mio punto di vista riacquistato attualità). Comunque sia, una volta rimosso con argomenti non proprio chiari (3)“l'ingombro” concettuale di tale disposizione, l'espressione della mutata sensibilità giurisprudenziale non poté trovare un argine nella causalità penale, poiché questa nonostante i plurimi tentativi dei giuristi non riesce ad affrancarsi dal regno della logica e delle concezioni condizionalistiche le quali, com'è stato di recente ribadito proprio nell'epistemologia medica (4), si basano su un ragionamento circolare e si rivelano quindi, per forza di cose, epistemicamente inadeguate nelle materie complesse (5). Diversamente dicasi della colpa penale, della quale soltanto tratterò in questo contributo e che, essendo un concetto che non spartisce alcunché con la logica (ha debiti soltanto con la più malleabile tradizione giuridica), è più reattiva al contesto valoriale, comprensivo dei “cambi di umore” della magistratura nei confronti della classe medica, per un verso, ma anche della concezione di fondo della medicina imperante in un certo momento, per altro verso. Ebbene, il primo aspetto è prevalso sul secondo: è cioè accaduto che, nel plasmare la categoria, la giurisprudenza abbia perpetuato se stessa, ignorando il passaggio da una visione c.d. idiografica della medicina ad una medicina evidence based e comunque, nel bene o nel male, più standardizzata. Mentre, invece, come tutti sappiamo, dovrebbero essere proprio la colpa e, per chi le distingue, la colpevolezza a farsi carico del contenimento degli eccessi giurisprudenziali in malam partem. Anticipando il cuore delle mie riflessioni sosterrò che, in tale direzione, il legislatore ha cercato e si accinge a fare più della dottrina. 2. QUELLI CHE SEMBRAVANO PUNTI FERMI IN TEMA DI COLPA PENALE Scuola Forense 2017 - Modulo Avv. Maurizio Anselmi - Materiale Riservato

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COLPA PENALE, “LEGGE BALDUZZI” E “DISEGNO DI LEGGE GELLI-

BIANCO”: IL MATRIMONIO IMPOSSIBILE TRA DIRITTO PENALE E GESTIONE

DEL RISCHIO CLINICO

Cassazione Penale, fasc.1, 2017, pag. 0386B

Ombretta Di Giovine

Classificazioni: MEDICINA LEGALE - Responsabilità professionale medica

Sommario 1. Premessa: dalla quasi impunità all'“eccesso di attenzione” verso il medico. —

2. Quelli che sembravano punti fermi in materia di colpa penale. —3. La legge Balduzzi. —

4. Le reazioni di dottrina e giurisprudenza. —5. Il disegno di legge Gelli-Bianco. —6.

Gestione del rischio clinico e rilevazione dell'errore. —7. Lo scontro tra filosofie:

preventiva (quella della gestione del rischio clinico) e repressiva (quella penale). —8. Dalla

responsabilità delle persone fisiche alla responsabilità degli enti in ambito sanitario? Il

finale triste della favola.

1. PREMESSA: DALLA QUASI IMPUNITÀ ALL'“ECCESSO DI ATTENZIONE”

VERSO IL MEDICO La parabola della giurisprudenza in materia di responsabilità medica viene ripercorsa dalla

Corte di cassazione in una recente sentenza in cui il giudice di legittimità, pur guardandosi

dall'esprimere apprezzamenti, riconosce che ad un iniziale atteggiamento di pressoché

sistematica indulgenza verso la classe medica ha fatto seguito un ripensamento radicale (1).

La fase “aurea” passò attraverso l'applicazione, al “blocco” dell'attività sanitaria, dell'art.

2236 c.c. (2), disposizione in linea con la teorica della colpa civile (almeno sino alla fine degli

anni Novanta), ma la cui utilità penalistica – come preciserò – si sarebbe potuta ritenere

superata in virtù dei sofisticati arnesi concettuali messi a punto dalla dottrina penalistica (non

varrebbe nemmeno la pena di richiamarla, se il discorso sul grado della colpa non avesse –

inaspettatamente, dal mio punto di vista – riacquistato attualità).

Comunque sia, una volta rimosso con argomenti non proprio chiari (3)“l'ingombro”

concettuale di tale disposizione, l'espressione della mutata sensibilità giurisprudenziale non

poté trovare un argine nella causalità penale, poiché questa – nonostante i plurimi tentativi

dei giuristi – non riesce ad affrancarsi dal regno della logica e delle concezioni

condizionalistiche le quali, com'è stato di recente ribadito proprio nell'epistemologia medica

(4), si basano su un ragionamento circolare e si rivelano quindi, per forza di cose,

epistemicamente inadeguate nelle materie complesse (5).

Diversamente dicasi della colpa penale, della quale soltanto tratterò in questo contributo e

che, essendo un concetto che non spartisce alcunché con la logica (ha debiti soltanto con la

più malleabile tradizione giuridica), è più reattiva al contesto valoriale, comprensivo dei

“cambi di umore” della magistratura nei confronti della classe medica, per un verso, ma anche

della concezione di fondo della medicina imperante in un certo momento, per altro verso.

Ebbene, il primo aspetto è prevalso sul secondo: è cioè accaduto che, nel plasmare la

categoria, la giurisprudenza abbia perpetuato se stessa, ignorando il passaggio da una visione

c.d. idiografica della medicina ad una medicina evidence based e comunque, nel bene o nel

male, più standardizzata. Mentre, invece, come tutti sappiamo, dovrebbero essere proprio la

colpa e, per chi le distingue, la colpevolezza a farsi carico del contenimento degli eccessi

giurisprudenziali in malam partem.

Anticipando il cuore delle mie riflessioni sosterrò che, in tale direzione, il legislatore ha

cercato e si accinge a fare più della dottrina.

2. QUELLI CHE SEMBRAVANO PUNTI FERMI IN TEMA DI COLPA PENALE

Scuola Forense 2017 - Modulo Avv. Maurizio Anselmi - Materiale Riservato

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Qualche anno fa, nell'affrontare questo complesso tema, nemmeno avrei precisato che la colpa

trova nel codice (art. 43) una definizione, posto che essa è in linea con la teorica dominante

al momento dell'emanazione del codice penale; che molta acqua è passata sotto i ponti e che

da allora la teoria della colpa penale ha fatto enormi balzi in avanti.

Non essendo immaginabile anche solo accennare allo stato attuale del pensiero penalistico

sul punto (6), mi limito ad osservare che, quantomeno in dottrina, sino a poco tempo fa

sembrava raggiunto l'accordo su alcuni punti.

La colpa ha una dimensione innanzitutto oggettiva, attinente al fatto tipico (da evitare o da

compiere). Tale dimensione consiste nell'inosservanza di regole cautelari le quali possono

essere scritte (colpa specifica) oppure desunte da usi sociali (colpa generica), «senza che ciò

incida sull'essenza della colpa, la quale rimane sempre identica» (questa precisazione tornerà

utile nel prosieguo) (7).

Ciò premesso, quanto alla colpa generica, la distinzione tra imprudenza, imperizia e

negligenza, di lana caprina, sembrava relegata nel capitolo storico del diritto penale (certo,

veniva menzionata nelle trattazioni sulla colpa che però nelle centinaia pagine a seguire se ne

disinteressavano). Basti pensare che le diverse manifestazioni della colpa non sono

perfettamente distinguibili (si sovrappongono) e che quest'ultima può consistere anche di tutte

e tre insieme (8).

Di che cosa consta allora la colpa generica? Nella sua misura oggettiva (quella di cui ho finora

parlato), la colpa generica è prevedibilità ed evitabilità dell'evento alla stregua di un homo

eiusdem condicionis et professionis. Incidentalmente, l'ambito sanitario ha rappresentato un

utile serbatoio cui attingere esempi spendibili a lezione con gli studenti (dove, esaltando le

diverse specializzazioni, si insegna, per es., che se un ortopedico si perita in una

appendicectomia, è allo standard del chirurgo generale che deve attenersi, diversamente

configurandosi una c.d. colpa per assunzione ecc.).

Al di là di tali banalità e premesso che la colpa medica (a differenza di altri settori) è stata per

lungo tempo terreno di coltura della colpa generica, un Leitmotiv dottrinale (quantomeno)

degli ultimi decenni è stato la condanna del deficit di tipicità della colpa. In effetti, i suddetti

giudizi sulla prevedibilità ed evitabilità, soprattutto se assunti in una dimensione (io la

chiamo) naturalistica (come possibilità materiale di prevedere) e non squisitamente normativa

(9), sono fortemente manipolabili, in cattiva o buona fede.

Limitando questa scontata ricognizione all'ipotesi di buona fede, la prevedibilità, e con essa

la colpa generica, era infatti ritenuta il regno dell'insight bias, vale a dire l'ambito in cui più

si attiva quella celeberrima distorsione cognitiva che porta (il giudice) a giudicare con il senno

del poi, ritenendo prevedibile un evento per il solo fatto che si è inverato (nonostante le

probabilità statistiche non fossero favorevoli) (10). Un caso giudiziario oramai stereotipico

(11), assurto anche alle cronache giornalistiche, esemplifica tale distorsione cognitiva. «Il

paziente è stato ricoverato in ospedale per un infarto, ma è sempre possibile prevedere che al

primo episodio segua altro, più grave ed eventualmente letale. Se il medico non lo prevede e

dimette il paziente, anche seguendo standard previsti in GL, allora è in colpa». Ad esiti diversi

si sarebbe potuti giungere assumendo, più correttamente, che la colpa generica è non tanto

“possibilità” quanto “doverosità” della previsione.

Sempre con riferimento alla misura oggettiva, sembrava caduta nell'oblio (in dottrina come

nel lessico giurisprudenziale) altresì la distinzione tra colpa grave e colpa lieve (12). Né

personalmente penso si trattasse di una perdita grave, visto che la limitazione della

responsabilità ai casi di colpa grave perde senso e ragion d'essere una volta che si convenga

sul fatto che la colpa va valutata, oltre che alla stregua dello specialista di riferimento, “sempre

in concreto” (e tenendo a mente la specificità qualitativa della medicina). Non è la colpa un

concetto che più di altri si ciba del contesto fattuale e che dipende quindi da una serie di

variabili, relative alla specializzazione del medico, alla storia clinica del paziente, alla

“variabilità individuale” della malattia e alle circostanze in cui si è verificato l'evento

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avverso? Abbandonata l'illusoria speranza di definire con formule pseudo-tipizzanti e in

astratto i gradi della colpa, almeno in dottrina si sarebbe detto pacifico che non versasse in

colpa il medico, casomai giovane, il quale si fosse trovato a fronteggiare un'operazione

difficile in situazioni di difficoltà (ciò che oggi sarebbe una «colpa lieve» non punibile).

Coesa era la dottrina anche nel denunciare la necessità di considerare le circostanze fattuali

soggettive. L'unica differenza – cui in questa sede si può soltanto accennare – è che, secondo

i più, tale valutazione confluirebbe nella c.d. misura soggettiva della colpa anche quando

fattori circostanziali quali l'urgenza, la stanchezza, l'indisponibilità di supporti adeguati,

l'inadeguata esperienza nel fronteggiare casi difficili, ecc., possono condurre ad un esito

assolutorio; secondo altri, invece, la «prevedibilità ed evitabilità alla stregua dell'agente

concreto» potrebbe soltanto innalzare (mai abbassare) lo standard della cautela doverosa (se

un'operazione chirurgica la realizza un luminare del settore, questi dovrà usare una diligenza

maggiore del chirurgo specialista “medio”) (13), mentre tutto ciò che ha a che fare la

“inesigibilità” del rispetto di cautele oggettive dovrebbe rifluire nella colpevolezza, in quanto

“scusante” (nessuna delle due opzioni sistematiche è peraltro aproblematica). Comunque sia,

quel che interessa è che tali circostanze soggettive sfuggivano alla considerazione delle

sentenze, che raramente ne teorizzavano la rilevanza nella parte di diritto e comunque mai

indagavano nel fatto profili diversi da quelli strettamente riconducibili alla violazione della

cautela oggettiva.

Pertanto, nel momento in cui la prevedibilità – questo monstrum – ha cominciato ad essere

pervasiva (ravvisata nella quasi totalità dei casi) e l'evitabilità anche, la responsabilità del

medico è esorbitata dai suoi argini per diventare un fenomeno quantomeno fastidioso per i

medici stessi, poi preoccupante per il Sistema Sanitario ed infine dannoso per le principali

vittime della “medicina difensiva”, e cioè per i pazienti (14).

Quel che mi preme qui evidenziare è però che, oltre a coltivare una visione taumaturgica del

medico e della medicina, la giurisprudenza non aveva realizzato come la responsabilità

medica fosse sempre più governata da cautele scritte e non fosse quindi più dominio della

colpa generica, essendo invece da tempo diventata – al pari di altri settori prima di lei –

appannaggio prevalente di quella specifica (tornerò sul punto).

Nemmeno aveva avvertito l'eco di tutto quel movimento (di portata invero generale) che

aveva condotto negli anni Novanta del secolo scorso all'affermazione della EBM. E non si

era resa conto della sostanziale trasformazione della medicina, che oggi solitamente

presuppone (o dovrebbe): la collaborazione tra medico di famiglia e strutture ospedaliere;

l'interazione tra specializzazioni differenti e a volte tra diverse strutture ospedaliere; la

realizzazione del “percorso” terapeutico (non solo del singolo intervento) in équipe; il

crescente predominio della tecnica sull'intuito e sull'esperienza del singolo medico a livello

diagnostico e non soltanto... e chi più ne ha più ne metta.

Quando la dottrina penalistica, con i suoi fisiologici tempi di riflessione ed approfondimento,

cominciava a prendere atto di tali cambiamenti, teorizzando il problema della medicina

difensiva (15), per un verso, e concentrando in modo quasi ossessivo la sua attenzione sul

“fenomeno” delle linee guida (d'ora in poi GL), per altro verso, il legislatore invece agiva.

3. LA LEGGE BALDUZZI Oramai quattro anni orsono la legge Balduzzi si è ripromessa di aprire gli occhi a questa

giurisprudenza un po' retro. Per colpa del solito malcostume di sciatteria stilistica, ha usato

una formula testuale sicuramente infelice, e cioè ha disposto (art. 3), per quel che qui

interessa, che «L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività

si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde

penalmente per colpa lieve».

Dicevo, la formulazione è poco perspicua e, si potrebbe pensare, anche ingenua: come se,

rianimando artificialmente il messaggio dell'art. 2236 c.c., fosse possibile far tornare in vita

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anche l'originaria benevolenza dei giudici nei confronti della classe medica (il formante

legislativo sopravvaluta sempre il suo potere su quello giurisprudenziale!).

Fatto sta che dal contesto storico e legislativo in cui era stato emanato il provvedimento

legislativo era desumibile alla disposizione un senso piuttosto chiaro (e minimale) che – come

ho sostenuto più ampiamente altrove (16)– avrebbe dovuto essere quello di un monito, di una

mera direttiva interpretativa.

In prima battuta, lo traduco così: «tu, giudice, nel valutare la colpa, ricorda che esistono regole

oggettive di comportamento, siano esse lo formulate come raccomandazioni o contenute in

protocolli ovvero tramandate nella migliore letteratura scientifica, ecc.: regole che tu non puoi

ignorare, sostituendole con altre di tua creazione o invocando il tuo intuito in materia

sanitaria».

Un siffatto avvertimento sottende un dato pacifico per i medici, ma non per l'opinione

pubblica ed evidentemente nemmeno per la magistratura; forse neppure per tutta la dottrina

(17): il rischio terapeutico, sommandosi al rischio della patologia, può portare ad eventi

avversi anche quando la condotta sia stata ottemperante, vale a dire quando le cautele

standard risultino osservate (18). Ciò in virtù della (mai troppo sottolineata) specificità della

biologia (cui attinge la medicina), che la rende non assimilabile a domini disciplinati da leggi

non meramente probabilistiche.

Come dire, in medicina il rischio è minimizzabile ma non può essere azzerato poiché «una

quota di eventi avversi non è eliminabile dal sistema. E neanche è eliminabile una quota di

errori». Nella letteratura sul rischio in medicina è da tempo pacifico che, sempre in ragione

delle specificità di questo tipo di attività, una certa percentuale di errori è “inevitabile”, e

pertanto – a rigor di logica penalistica – dovrebbe essere ritenuta non rimproverabile, non

addebitabile (quantomeno) al medico (il grande problema di politica legislativa resta stabilire

se, chi, a che titolo e in che misura ne debba rispondere (19)).

In seconda battuta, volendo, si sarebbe potuto ampliare il contenuto del monito ad attribuire

rilievo a quelle circostanze fattuali soggettive che si sono dette fluttuare nell'aere

dell'irrilevanza giuridica, ricordando che la responsabilità del sanitario esula “anche quando

l'adempimento si sia rivelato ex post imperfetto, come talvolta accade per l'intervento di

fattori che rendevano inesigibile un approfondimento ulteriore del problema clinico (20).

Tutto qui. Nessuna esenzione speciale da responsabilità. Nessuna deroga al sistema. “Nessuna

decriminalizzazione”. Soltanto l'appello a un buon senso giudiziario, e precisamente il

suggerimento di contrastare il naturale senno del poi nella ricostruzione della cautela

doverosa, aprendosi alle evidenze scientifiche standardizzate per un verso; di considerare i

fattori soggettivi inerenti alla situazione concreta, per altro verso. Di tener conto, insomma,

delle acquisizioni teoriche in tema di colpa.

Anzi, anticipando concetti che riprenderò di seguito, il legislatore del 2012, messo alla gogna

e tacciato d'ignoranza giuridica, in realtà, semplicemente mirava a comportamenti c.d. ruled-

based e si è concentrato sul caso di “applicazione sbagliata di buone regole” (regole, cioè,

che abbiano un'utilità scientificamente provata in una certa situazione). Con una punta di

malignità, si potrebbe allora chiosare che è stato piuttosto l'interprete a misconoscere il

richiamo della legge a situazioni dotate di preciso (e ormai risalente) riscontro nella letteratura

di rilievo mondiale sul rischio e sull'errore nei sistemi complessi (21), influenzato ancora una

volta da una visione endosistemica che trova nella realtà sempre meno appigli.

Provocazioni a parte, per le ragioni esposte, l'art. 3 della legge Balduzzi poteva ritenersi non

innovativo del diritto vigente: il sistema, se correttamente applicato, consentiva di

argomentare, nelle ipotesi liminari, che non vi fosse colpa ed avrebbe dunque portato alle

medesime conclusioni perseguite dalla novella del 2012 mediante la buffa esenzione per colpa

lieve.

Invece...

4. LE REAZIONI DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

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Una dottrina ha lamentato l'introduzione di un privilegio odioso in favore della classe medica

(22). Altri hanno formulato (invero comprensibili) dubbi sull'efficacia della novella sul piano

della politica criminale («non è che in questo modo si finisce proprio con l'incentivare la

medicina difensiva promovendo l'appiattimento su GL e quindi la burocratizzazione dell'agire

medico?») (23). Altri ancora hanno prospettato interrogativi suggestivi ma inquietanti, del

tipo: «se la GL è stata osservata, ciò vuol dire che non c'è colpa, ma può esistere una colpa

senza colpa»? (24)oppure, «posto che la Balduzzi disciplina i casi di adempimento imperfetto

(casi molto simili a quelli all'attenzione del medico, ma ex post rivelatisi diversi), che cosa

accade se invece il medico per colpa lieve non riconosce che il caso è inquadrabile in una GL

e non la applica?» (25).

Quel che è peggio, prendendo particolarmente alla lettera il dato testuale, si è cominciato a

discettare sulle possibili implicazioni di teoria generale della legge Balduzzi, violando la

legge del rasoio di Occam in relazione almeno ai seguenti aspetti.

È stato sostenuto che la legge Balduzzi avrebbe ritagliato l'area della responsabilità penale,

dando luogo ad un'abolitio criminis parziale con riguardo alla colpa lieve (con intuibili

conseguenze in termini di riapertura dei processi, di allungamento dei tempi e di dispendio di

energie economiche e lavorative. Non certo a sorpresa, la maggioranza delle sentenze della

Cassazione dichiara la prescrizione del reato) (26), quasi si creda davvero possibile tracciare

con precisione matematica e in astratto – e cioè a priori – il confine tra colpa grave e colpa

lieve.

Prioritariamente, appunto, si è riesumata la distinzione stessa tra colpa lieve e colpa grave

(qualcuno non ha nemmeno risparmiato l'ipotesi, di reminiscenza romanistica ma superata

anche nel diritto civile, di una tripartizione, tra colpa lieve, ordinaria e grave o, che è lo stesso,

lievissima, lieve e grave (27)). Ho già spiegato le ragioni per cui, a mio (molto) personale

avviso, di tale distinzione si poteva fare a meno. Ora adduco un esempio che vede protagonista

proprio la legge Balduzzi. In uno dei pochi casi di assoluzione in virtù della stessa, non era

stato disposto l'elettromiocardiogramma (ma solo l'elettrocardiogramma) di un paziente che

clinicamente presentava sintomi aspecifici, come astenia, ipotensione (una volta con sincope),

edemi declivi, dispnea da sforzo e nel parlare; di conseguenza, non era stata rilevata la

miocardite che portò poi a morte il paziente. La Corte ha ritenuto ci fosse colpa lieve ed ha

assolto, ma, in realtà – come riconosce la dottrina che segnala questa sentenza (e che ironizza

sull'apparente ravvedimento della giurisprudenza) (28)– nel caso di specie si sarebbe potuti

giungere tranquillamente ad affermare che non c'era colpa tout court.

Sempre per amor di categorizzazione, la dottrina ha dissepolto la formulazione codicistica e

il distinguo tra imprudenza, imperizia e negligenza (29)della cui fumosità abbiamo già

trattato.

Ancora, sono state nettamente contrapposte le “buone pratiche mediche” (intese peraltro nei

modi più disparati e di cui si è sottolineata la vaghezza concettuale e, in alternativa, la

discendenza dal più tecnico concetto anglosassone di best practices) alle GL, sul cui ruolo e

sulla cui natura l'attenzione si è concentrata in modo quasi ossessivo. Anche per tal via si è

però deformato il senso della riforma, che voleva con ogni probabilità fare dei due termini

una endiadi (30)(ricordando che, se direttive di massima esistono, a queste deve attenersi il

giudizio sulla colpa, a meno ovviamente che non risulti che il medico possedesse una sfera di

cristallo).

Quanto alle GL, alcuni hanno poi tentato di negarne il rilievo normativo, argomentando che,

in caso positivo, la loro violazione darebbe luogo a colpa specifica e che, laddove per contro

si rivelino mere raccomandazioni, e cioè indirizzi di comportamento, la colpa resterebbe

generica, con la conseguenza che della sua esistenza continuerebbero a decidere gli ineffabili

giudizi sulla prevedibilità ed evitabilità (31).

Rinviando ad un momento successivo la valutazione sulla correttezza delle premesse di

siffatto ragionamento, mi limito ad osservare che, “a forza di distinguere”, si è data la stura a

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defatiganti quanto inutili discettazioni interpretative. Soprattutto, sono state avallate alcune

posizioni giurisprudenziali di retroguardia tese a consolidare lo status quo ante.

Nelle sentenze che sono seguite alla riforma si è infatti precisato quel che sembrava ovvio, e

cioè che la valutazione cui il giudice è chiamato deve vertere su «la misura della divergenza

tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi, sulla base della norma

cautelare che si doveva osservare» e, quanto al grado della colpa, che tale divergenza deve

essere «ragguardevole» o «rimarchevole» o «notevole» (e poco manca che si cominci a

distinguere pure i diversi significati di questi aggettivi).

Almeno a parole, si è aperta inoltre la strada alla considerazione di fattori soggettivi,

ammettendo che «possono venire in rilievo, nel determinare la misura del rimprovero, sia le

specifiche condizioni del soggetto ed il suo grado di specializzazione, sia la situazione

ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è trovato ad operare», dando

così la stura alla considerazione, in sede di colpa, di fattori che afferiscono all'esigibilità della

condotta conforme al dovere (e che, come già rilevato, miglior collocazione troverebbero

nella colpevolezza, ma ciò qui non rileva) (32).

Ciò vero, il sistema immunitario della giurisprudenza ha però sviluppato potenti difese

rispetto a quella che è stata vissuta come una sorta di aggressione da parte del legislatore,

articolando stilemi argomentativi che ricorrono nelle sentenze in modo alternativo oppure

congiunto. Del tipo:

a) la legge Balduzzi, innova, è vero, ma non è sufficiente verificare che la condotta del medico

ottemperi ad una GL perché la legge richiede un altro requisito, e cioè che la colpa sia lieve

e questa non è un'ipotesi di colpa lieve; (33).

b) la legge Balduzzi, innova, è vero, ma è applicabile nelle sole ipotesi di imperizia e quello

che mi trovo a giudicare è un caso di imprudenza o – più spesso – di negligenza (34)(l'idea

che la “novazione legislativa” concernesse la sola imperizia si è sviluppata a partire

dall'assunto che le GL mirino a prevenire la sola imperizia del sanitario. Passiamo ora a queste

ultime);

c) nel caso all'attenzione di questa Corte la GL c'era e prescriveva una condotta che

effettivamente è quella cui il medico si è attenuto, ma tale GL non può ritenersi attendibile

(credibile), poiché preposta al perseguimento di finalità di contenimento della spesa e non al

prioritario interesse della salute del paziente, tanto è vero che questo è morto oppure sta

peggio. Di conseguenza, la GL non può essere posta alla base di un'assoluzione per difetto di

colpa specifica (35)(senza troppo distinguere tra GL e GL e dimenticando che alle cautele

non c'è un limite astratto, ma solo quello concreto, delle finanze statali);

d) (versione più sofisticata) nel caso di specie la GL era esisteva, era credibile e prescriveva

la condotta effettivamente realizzata dal medico, ma a ben guardare, doveva riferirsi a

situazioni diverse da quella alla sua attenzione, se è vero che un evento avverso si è verificato

(ed io posso ben dirlo perché giudico ex post) (36). In questo modo tuttavia ci si dimentica –

un vuoto di memoria preoccupante nel penalista – che la colpa andrebbe accertata in un'ottica

esclusivamente prognostica, e si continua a fingere che l'evento avverso in medicina sia

azzerabile.

Per fortuna, cominciano a cogliersi piccoli segni di cambiamento. Recenti approdi

giurisprudenziali hanno demolito la premessa del ragionamento, notando come le GL siano

riferibili altresì a profili di diligenza e di prudenza e concludendo quindi che la limitazione

alle sole ipotesi di imperizia non è sostenibile (37).

Sono rimasti però in piedi gli altri assunti, in particolare quelli relativi alla distinzione tra

colpa grave e colpa lieve e alla natura delle GL: suscettibili – come ho detto – di vanificare il

senso della riforma Balduzzi perpetrando le interpretationes abrogantes di cui ho detto.

5. IL DISEGNO DI LEGGE GELLI-BIANCO Su quest'ultimo profilo entra in gioco la riforma allo studio del Parlamento. Alludo

ovviamente al disegno di legge Gelli-Bianco (di seguito, solo “d.d.l. Gelli”), che dispone

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l'introduzione nel codice penale di un: «Art. 590-ter. – (Responsabilità colposa per morte o

lesioni personali in ambito sanitario). – L'esercente la professione sanitaria che, nello

svolgimento della propria attività, cagiona a causa di imperizia la morte o la lesione personale

della persona assistita risponde dei reati di cui agli articoli 589 e 590 solo in caso di colpa

grave.

Agli effetti di quanto previsto dal primo comma, è esclusa la colpa grave quando, salve le

rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e

le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge».

Tralascio facili previsioni. Per un verso, la disposizione verrà probabilmente stigmatizzata

come l'espressione della deleteria tendenza legislativa alla clonazione del tipo (dopo

l'omicidio stradale, ora anche quello medico. E, un domani, inseriamo nel codice anche

l'omicidio del datore di lavoro, quello del tifoso ultras e così via?). Per altro verso, i

“dirittopenalecentrici” la riterranno fondante l'economia complessiva del provvedimento:

giudizio che, come specificherò meglio di seguito, sarebbe esagerato.

In realtà, è evidente che il testo rappresenta una riformulazione, linguisticamente in alcuni

punti più piana, della legge Balduzzi. Quella, come abbiamo visto, afferma che non risponde

per colpa lieve il sanitario che si sia attenuto alle GL o alle buone pratiche mediche; questo

limita alla colpa grave la responsabilità del medico e poi esclude la colpa grave quando il

comportamento sia risultato ottemperante alle GL o alle pratiche medico-assistenziali. Ma la

dottrina ha anche già segnalato alcuni “peggioramenti”:

a) il d.d.l. menziona la sola “imperizia”, e lo fa sulla scia della già richiamata giurisprudenza

formatasi sotto il vigore della Balduzzi. Poco perspicuamente, peraltro, visto che, come

abbiamo appena visto, su questo punto quell'orientamento sta già dando segnali di cedimento.

Allo scopo di evitare le letture vanificanti di cui si è detto, sarebbe auspicabile un

ravvedimento legislativo, che elimini il richiamo all'imperizia. In alternativa, ribaltando il

ragionamento della (chiamiamola:) giurisprudenza dominante, si dovrebbe convergere sulla

posizione di chi in dottrina nota che, anche nelle ipotesi di negligenza e di imprudenza medica,

residuino pur sempre profili di imperizia c.d. mascherata (38);

b) ancora, la riforma incide direttamente sul regale corpo codicistico. Non c'è dubbio che tale

scelta assecondi una biasimevole tendenza all'uso del codice in chiave meramente simbolica

(allo scopo cioè di dare rilievo mediatico alla riforma, falsamente nobilitandola). Alcuni

hanno anche evidenziato l'irragionevolezza della decisione di delimitare l'ambito della

responsabilità colposa ai soli omicidio e lesioni, che sono le ipotesi colpose più ricorrenti

nell'attività sanitaria, ma non le uniche (sono state richiamate, ad esempio, l'interruzione

colposa di gravidanza; art. 19 l. n. 194/1978, e l'esposizione ingiustificata a radiazioni

ionizzanti; art. 14 d.lg. n. 187/2000) (39). Ora, certamente la scelta di incidere sulla parte

speciale del codice penale (riservata alle scelte di incriminazione) rende più arduo il tentativo

di ridimensionare la portata della riforma ravvisando in questa, come già prima nella legge

Balduzzi, un mero criterio di valutazione volto ad evitare condanne temerarie, che come tale

non innova l'esistente. Ma proverei comunque a difendere questa tesi e a contenere il disagio

in una dimensione prevalentemente “estetica”, poiché continua a sembrarmi difficile misurare

il peso della colpa con un bilancino e decidere in questo modo l'area della irrilevanza penale

more geometrico, mediante a priori logici (in altre parole, ragionevoli assoluzioni non

potrebbero escludersi nemmeno per le fattispecie colpose non toccate dalla “riforma”,

esattamente come ben potremmo continuare ad imbatterci in argomentate condanne per

omicidio e lesioni in presenza di una colpa tutt'altro che grave);

c) altra differenza è che la riforma svincola il discorso sul grado della colpa dal rispetto delle

GL e buone pratiche, l'osservanza di queste rappresentando una mera esemplificazione di

colpa non grave. In altre parole, la colpa grave parrebbe l'asticella sotto la quale qualunque

ipotesi di imperizia (?) medica non è punita, salvo precisare che colpa grave non può esistere

se sono state osservate le GL o le buone pratiche. Invero, come ho detto, questa soluzione

Page 8: COLPA PENALE, “LEGGE BALDUZZI” E “DISEGNO DI LEGGE GELLI ...

sembra plausibile anche ora, sotto il vigore della Balduzzi, sebbene non corrisponda

all'interpretazione affermatasi a livello giurisprudenziale e nemmeno dottrinale (40);

d) la quarta innovazione consiste nel fatto che nel d.d.l. Gelli le «buone pratiche» sono

espressamente aggettivate come medico-assistenziali. Non può escludersi che in tal modo il

legislatore intenda valorizzare questo importante parametro di valutazione, rimasto quasi in

sordina nel dibattito sulla legge Balduzzi, dove – come ricordato – è stato sovrastato in

sonorità dalle GL;

e) la quinta novità – extra-testuale e più rilevante – risiede nel diverso status delle GL, definite

«raccomandazioni» e nel contempo – senza contraddizione – istituzionalizzate in un sistema

ufficiale che attribuisce un crisma particolare a quelle pubblicate sul sito dell'ISS ed elaborate

da società scientifiche accreditate presso il Ministero della sanità (41). Ebbene, premesso che

questa presa di posizione è stata ispirata dal fenomeno della proliferazione delle GL

(denunciato in coro) e dall'intento di operare una cernita al loro interno (42), segnalo come

essa abbia ciò nondimeno suscitato allarme in una dottrina penalistica (43), sulla base del

presupposto, già accennato, che a ritenere le GL dotate di efficacia vincolante, la colpa

medica, da generica quale sarebbe stata, diverrebbe specifica, implicando così perniciosi

automatismi interpretativi.

Niente di più opinabile (44).

La (tendenziale) trasformazione della colpa medica da generica in specifica – fenomeno a

mio avviso innegabile – non produrrebbe effetti di sorta sul piano pratico, essendo pacifico

che la colpa specifica concorre con quella generica, sicché, una volta esclusa la prima, nulla

impedisce al giudice di ravvisare la seconda (dunque, nessun automatismo, nemmeno sotto

questo punto di vista).

Non comporterebbe però conseguenze rilevanti nemmeno sul piano teorico.

Premesso infatti che la colpa specifica non è un “tipo di colpa” bensì “un tipo di accertamento

della colpa”, la quale rimane unica nella sua essenza di violazione di cautele doverose, è

appena il caso di osservare che nessuna regola porta su scritto “sono utilizzabile” oppure “non

sono utilizzabile” ai fini del giudizio sulla colpa specifica in un eventuale giudizio penale.

Sempre (non soltanto nell'ambito della responsabilità medica) sarà croce e delizia

dell'interprete e cioè del giudice, decidere, “di volta in volta”, se una data prescrizione rilevi

ai fini del giudizio sulla colpa specifica. A tal fine, il giudice dovrà verificare alcune

condizioni le quali non si esauriscono certo nella vincolatività della regola... ammesso che di

vincolatività possa parlarsi nel caso di “raccomandazioni”/linee guida (né credo che il

“medico di cultura men che infima” penserà mai che le GL vadano applicate anche se non

sono pertinenti... e comunque, il nuovo legislatore – non si sa mai – lo ha precisato).

Anzi, se proprio vogliamo, almeno nelle discipline, la supposta “obbligatorietà” della regola

non rappresenterebbe un elemento dirimente, apparendo, piuttosto decisivo che si tratti di

regola cautelare” (45); che abbia uno spettro cautelare ben definibile cui sia riconducibile

l'evento concretamente verificatosi; che abbia contenuto modale; che sia scientificamente

valida (ed è difficile negare che questo apprezzamento sia agevolato dal “bollino” apposto

sulla regola da un'autorità statale mediante il meccanismo previsto dalla legge).

La rilevanza penale della regola nel giudizio sulla colpa verrà poi da sé, senza apriorismi.

Dunque, il “tendenziale” passaggio della colpa medica da sistema di colpa generica a sistema

di colpa specifica non rappresenta una deminutio per il diritto penale. Al contrario, andrebbe

favorevolmente salutato, visto che GL e buone prassi facilmente individuabili possono

orientare la valutazione il giudice, almeno in prima battuta (è appena il caso di precisare che

l'aiuto di periti e consulenti continuerà ad essere indispensabile, poiché solo un esperto è in

grado di ricostruire il fatto e giudicare la pertinenza della buona regola con il caso concreto)

e che tutto ciò non può che implicare un arricchimento della tipicità colposa (che tanto si

lamenta essere evanescente) (46).

Page 9: COLPA PENALE, “LEGGE BALDUZZI” E “DISEGNO DI LEGGE GELLI ...

Se preoccupazioni desta la riforma, dunque, non sono penalistiche: il d.d.l. Gelli riproporrà i

dubbi di sempre, che si pongono almeno da quando si è sviluppato il sistema delle GL in uno

con la evidence based medicine (e che starà, come sempre, all'equilibrio degli operatori

esorcizzare): rischi di burocratizzazione, appiattimento, fuga dalla responsabilità etica e

quindi dalla medicina. Ma tra le varie “fughe” non ve n'è una dal diritto penale il quale, “nel

migliore dei mondi possibili”, si dovrebbe estinguere, come dirò, per altre ragioni, più...

fisiologiche.

In conclusione parziale sul punto, il d.d.l. Gelli fa un altro passo in avanti, mettendo a punto

alcuni profili della legge Balduzzi, di cui rappresenta dunque uno sviluppo logico e il tentativo

di congiungere la prospettiva tradizionale, dell'ex post factum, tipica della responsabilità

individuale, con una visione più attuale della medicina, incentrata su rischio e sinergie.

Ritengo pertanto doveroso dare atto al legislatore che sta cercando di adeguarsi al mutamento

dei tempi, cercando di instaurare un legame tra il vecchio e il nuovo, un trait d'union tra la

logica tradizionale in cui si muove il sistema penale, e la realtà attuale della medicina. Ci è

riuscito o ci riuscirà?

6. GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO E RILEVAZIONE DELL'ERRORE Per tentare di abbozzare una risposta al quesito, riserverò qualche riflessione, brutalmente

sintetica, al contesto legislativo di cui ho sinora soltanto alluso e che a mio avviso rappresenta

la “novità vera” della riforma, avvertendo peraltro che tale novità non è nel testo dell'articolo,

bensì nel “contesto” legislativo in cui tale articolo si pone, ed ha a che fare con il “cambio di

filosofia” che pervade il provvedimento.

Più esplicitamente, l'auspicio è che l'interpretazione dell'articolo dedicato dal d.d.l. Gelli al

diritto penale sia influenzato dalla linea di tendenza espressa dal disegno di legge stesso il

quale – così declama il suo art. 1 – è incentrato su: “prevenzione” e gestione del “rischio”

clinico, termini che, insieme a “identificazione” e “tracciabilità”, costituiscono le parole

chiave nel gergo della teoria dei sistemi complessi.

Non si tratta di concetti nuovi per la sanità. Almeno a partire dal 2004, una commissione

tecnica istituita (con d.m. del 2003) presso il Ministero della sanità su “Risk management in

sanità. Il problema degli errori” (47)ricordava:

la distinzione di Rassmussen (1987) tra errori umani che intervengono in: a) Skill-based

behavior (commissione istintiva dell'atto, che deriva da comportamenti routinari); b) Ruled-

based behavior (comportamento ottemperante a regole ritenute idonee a prevenire certi

eventi. Il problema che si pone in questo genere di attività consiste nel riconoscere la

pertinenza del caso alla regola); c) Knowledge-based behavior (comportamento messo in atto

di fronte a situazione sconosciuta e che richiede il maggiore sforzo per attualizzare le

conoscenze e superare il problema);

la celeberrima tassonomia dell'errore umano elaborata dallo psicologo James Reason (1990)

che, sulla scia di Rassmussen, distingue tra: slips, lapses e mistakes, a seconda che l'errore

intervenga nelle fasi dell'esecuzione, dell'immagazzinamento (nella memoria) e della

pianificazione (noto che tra i mistakes rientrano le applicazioni erronee di una buona regola).

Questi sono tipi di errore di base. I mistakes, poi, possono derivare da una violazione

intenzionale della regola, e si distinguono da situazioni più rare e gravi, di c.d. violazione

(sempre intenzionale), in cui rientrano violazioni di routine, violazioni eccezionali e veri e

propri atti di sabotaggio (48).

Si potrebbe provocatoriamente osservare che, a prescindere dalle mutevoli teorizzazioni

concettuali (credo però che Reason sia ancora attuale), si tratta di categorie forse più utili

all'interprete di quanto non siano le citate distinzioni penalistiche tra imprudenza, imperizia e

negligenza; colpa lieve e colpa grave ecc.

Ma qui interessa piuttosto mettere l'accento sul disegno di recepire a livello legislativo

l'impostazione di fondo della raccomandazione. Il legislatore, prendendo coscienza della

necessità di attribuire rilievo cogente alle raccomandazioni che circolano da tempo su risk

Page 10: COLPA PENALE, “LEGGE BALDUZZI” E “DISEGNO DI LEGGE GELLI ...

analysis e risk management, vorrebbe cioè attuare la pretesa normativa che tutte le strutture

familiarizzino con alcune idee, tra cui quella che l'errore è inevitabile – errare è umano (49)–

nel senso che un certo tasso di errori nelle attività complesse è fisiologico e che l'errore umano

è solitamente un errore attivo, in un rapporto di prossimità spazio-temporale con l'evento (per

questo è più facile scoprirlo), ma rappresenta la punta dell'iceberg o il momento finale di una

filiera di cause nella quale si insinuano errori latenti, che sono di natura organizzativa.

Soprattutto, come da tempo suggerisce la celebre (perché evocativa) immagine/teoria del

“formaggio svizzero” elaborata dal pluri-citato Reason, rimarranno pur sempre nel sistema

alcune falle (i buchi del formaggio). La strategia unica possibile è dunque quella di

sovrapporre i sistemi di controllo (altre fette), nella speranza che le loro falle (i buchi delle

fette) non si allineino e non lascino quindi filtrare l'errore, con conseguenze negative per la

salute o la vita del paziente, riuscendo, al contrario, ad intercettarlo.

7. LO SCONTRO TRA FILOSOFIE: PREVENTIVA (QUELLA DELLA GESTIONE

DEL RISCHIO CLINICO) E REPRESSIVA (QUELLA PENALE) Alla luce di quel che si è detto, dovrebbe apparire chiaro che il diritto penale del sanitario è

una specie di morto che sopravvive soltanto perché mantenuto artificialmente in vita da una

“giurisprudenza-dott. Frankestein”, pervicace e affetta da un grave problema identitario:

convinta cioè che suo scopo sia assicurare ristoro – in termini di risarcimenti pecuniari – alle

vittime, reali o presunte del sistema, e dimentica che essa dovrebbe invece accertare

responsabilità.

Il diritto penale antropomorfico andava bene finché si trattava di disquisire dell'operato di

medici condotti e tutto-fare, di medici-monade, ma oggi non “funziona” più (“funzione”: altra

parola-chiave in una delle più famose teorie dei sistemi complessi, quella luhmaniana, dove

soppiantò il lemma “causa”, ritenuto inadeguato per la sua aspirazione ad una spiegazione di

stampo deterministico).

Non funziona nell'era dell'iper-specializzazione e dell'équipe. Non funziona nell'era

dell'interazione tra medici di famiglia e strutture ospedaliere, nonché tra diverse strutture di

ospedaliere. Non funziona nell'era della tecnologia medica, dei mezzi di diagnostica “super-

efficienti-ma-non-si-sa-quanto-costosi” in termini economici e soprattutto di salute umana.

Non funziona nell'era della super-super-prevenzione, della medicina preventiva che poi

trascende in “difesa” preventiva.

Se infatti è vero che gli errori nella massima parte dei casi sono errori latenti e che questi sono

errori del sistema, ebbene il diritto penale tradizionale per evitarli può davvero poco, essendo

per sua storia tarato sull'errore attivo. E questo – come detto – è quello più facilmente

identificabile, perché solitamente prossimo all'evento sul piano spazio-temporale e, sempre

solitamente, riconducibile a singole persone fisiche, ma nella gran parte dei casi rappresenta

il frutto di una concatenazione di errori latenti.

Il nuovo approccio, dunque è prevalentemente calibrato sulla prevenzione; l'approccio penale

tradizionale sulla repressione. Il nuovo approccio è tarato sull'errore di sistema; l'approccio

penale va a caccia dell'errore della persona. E, ad onta di ogni sforzo del legislatore, è difficile

ridurre i diversi approcci ad unità.

Basti pensare che, come generalmente riconosciuto, all'analisi dell'errore di sistema è

essenziale una dimensione etica, che trapela pensando al fatto che, in questa prospettiva,

l'errore diventa fonte di apprendimento e occasione per un miglioramento, permettendo di

attuare meccanismi di controllo, a volte anche semplici (come le check list) (50), che

consentono di ridurre gli errori stessi e/o la loro ricorrenza.

Per fare emergere gli errori devono quindi esistere e funzionare sistemi di auditing e incident

reporting (ovviamente segretati (51)), ma soprattutto è necessario stimolarne la denuncia da

parte di chi li ha compiuti; quindi promuovere la condivisione di tali esperienze con gli altri

operatori e non solo. Ciò implica un sovvertimento dell'attuale paradigma culturale, poiché

dalla naturale tendenza all'occultamento dell'errore, indotto dal timore di una risposta

Page 11: COLPA PENALE, “LEGGE BALDUZZI” E “DISEGNO DI LEGGE GELLI ...

giudiziaria, si dovrebbe passare al promovimento della sua emersione e alla discussione sulle

modalità/strategie per evitarne il ripetersi, in un clima di condivisione e di cooperazione

“anche con il paziente”, che andrebbe prima responsabilizzato e poi messo a parte

dell'eventuale errore. Una nuova “cultura” che – com'è evidente – si scontra con il timore di

denunce e di procedimenti penali, che oggi domina all'interno della classe medica.

Sospendo dunque ogni entusiastico giudizio sulle ricadute giuridiche della riforma al

momento in cui queste saranno più chiare. E mi limito ad un auspicio: speriamo che i

cambiamenti legislativi agevolino non la prova dell'errore e quindi la facile affermazione di

responsabilità in capo a singoli, bensì, al contrario, la penetrazione anche nella giurisprudenza

penale della consapevolezza che la sanità risponde alla definizione di “sistema complesso”:

che i suoi problemi vanno inquadrati in quella cornice concettuale e quindi risolti alla luce

delle coordinate tracciate dalle teorie dei sistemi complessi, piuttosto che ascrivendo

improbabili responsabilità ex post a singoli individui, abbandonati a se stessi e, qualche volta,

veri capri espiatori.

Ove tale consapevolezza dovesse effettivamente farsi strada (e, come detto, grazie all'operato

della Cassazione, nella sapiente persona di Rocco Blaiotta, sta maturando la speranza che ciò

possa accadere), è possibile che il diritto penale del sanitario si estingua o, senza enfasi, che

si contragga notevolmente, limitandosi alle vere ipotesi di vera e propria misconduct (che

incidentalmente meriterebbero forse un trattamento più severo di quello che ricevono oggi),

in favore di altre, più istituzionali e meno mascherate, forme di compensazione dei danni (52).

8. DALLA RESPONSABILITÀ DELLE PERSONE FISICHE ALLA

RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI IN AMBITO SANITARIO? IL FINALE TRISTE

DELLA STORIA Che si estingua il diritto penale delle persone fisiche le quali esercitano professioni sanitarie,

dicevo. Ciò perché in molti casi in cui il singolo non è rimproverabile, lo potrebbe invece

essere l'organizzazione.

L'area del diritto penale naturalmente preposta a giudicare di errori latenti, di allocazione di

risorse, sperperi e funzionalità – sempre ovviamente che esitino in un evento avverso – è

infatti il diritto penale degli enti, creatura (in termini relativi) ancora giovane e – mi spingo a

dire – quasi neo-nata con riferimento all'ambito di responsabilità colposa (che è stata

introdotta la prima volta nel 2008), campo di elezione del penale sanitario. Per proseguire

nelle metafore, ancora in fase di gestazione sembra poi il diritto penale dell'ente sanitario,

posto che consta una sola condanna di Cassazione di un ospedale, oltretutto per truffa (53).

Ciò premesso, risk analysis, risk management, come anche compliance, audit, follow up,

remediation etc. formano già il lessico operativo del d.lg. n. 231/2001 e dei relativi sistemi di

compliance il cui tratto è una (come dirò, troppo) forte connotazione preventiva.

Questo però non significa affatto connubio tra gestione del rischio clinico e responsabilità

penale.

Ancora pochi anni fa mi sarei spinta ad ipotizzare che (anche) la soluzione all'annoso

problema della responsabilità del sanitario potesse essere cercata sul terreno della

responsabilità degli enti, eliminando l'esenzione in favore degli enti pubblici e svincolando,

in via interpretativa o per intervento del legislatore, la responsabilità dell'ente da quella delle

persone fisiche, in modo da consentire la condanna di un ente rimproverabile per la mancata

organizzazione, anche nel caso di assoluzione dell'individuo che ha violato la cautela

doverosa in modo, però, non colpevole.

In fondo, è l'ente che si organizza o meno in modo da evitare sprechi e da gestire le sue risorse

economiche e di professionalità fornendo una risposta efficiente alla domanda di sanità che

proviene dal territorio. È l'ente che consente e deve vigilare sulla migliore ripartizione di

mezzi e personale tra reparti e all'interno dei singoli reparti. È l'ente che promuove o ostacola

la migliore collaborazione tra le diverse professionalità all'interno della stessa struttura e in

sinergia con strutture affini e complementari. È l'ente che opera scelte o non controlla scelte

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le quali, sul piano procedurale, possono favorire l'annidarsi di errori latenti. È dunque, l'ente

il soggetto che merita il rimprovero in caso di eventi avversi che dipendano da errore umano

attivo scusabile, perché affonda in errori latenti.

Trascurerò la considerazione (di mero fatto) che probabilmente la sanità pubblica non sarebbe

in grado di sostenere – nell'attuale momento storico – i costi economici della compliance

aziendale ai fini 231.

Sorvolo anche sulle nubi che da qualche tempo si sono addensate attorno alla stessa utilità

dello strumento – per come effettivamente atteggiatosi – nell'ottica della risposta giudiziaria

(e quindi, in prospettiva temporale, della prevenzione dei reati). Se le intenzioni del legislatore

erano le migliori, i sistemi di compliance in alcune aziende (quelle che hanno preso la legge

sul serio) hanno raggiunto livelli di formalizzazione altissimi, infittendo progressivamente la

ragnatela delle cautele, scritte in una prospettiva che anticipa in misura a volte parossistica

l'evento e che trascende quindi ogni concreta “prevedibilità” dello stesso (54). Ed è ormai

chiaro che in tale ragnatela resterà impigliato lo stesso ragno che l'abbia tessuta e cioè, fuor

di metafora, l'ente (nel nostro caso, la struttura sanitaria).

Delle due, l'una: l'accertamento giudiziario può atteggiarsi in chiave “formale” oppure

“sostanziale”. Nel primo caso, più regole sono auto-positivizzate, più è facile che si incorra

in una loro violazione e quindi più è facile (anche grazie all'insight bias) che siano ravvisate

responsabilità penali al verificarsi (di fatto casuale) dell'evento. Nel secondo caso (ove si

prenda atto della non pertinenza del modello colposo antropomorfico), il giudizio retroagirà

alla “condotta di vita” dell'ente, rivelandosi ancora più sfumato e manipolabile di quello

espresso in relazione ad un fatto – circoscritto nei presupposti e dal punto di vista temporale

– realizzato da una persona fisica (senza che, come contraltare, all'ente venga un surplus di

legalità, posto che, al di là di un certo livello di formalizzazione, la cautela viene vissuta

dall'ente come mero costo e adempiuta in chiave burocratica) (55). Cose note.

Ciò che non convince della comprensione nell'alveo del d.lg. n. 231/2001 degli ospedali

pubblici e su cui vorrei richiamare l'attenzione, è la sua “ingiustizia”, essendo poco plausibile

– anche de iure condendo – che venga coinvolto nella risposta penale l'ente che più di ogni

altro sarebbe tenuto ad una “buona organizzazione” e che andrebbe dunque rimproverato in

caso contrario: vale a dire, lo Stato, che opera, a monte, la ripartizione delle risorse tra i suoi

comparti ed impartisce le direttive per la loro utilizzazione.

Il finale della storia, allora, non è dei più felici. La struttura della responsabilità degli enti

condivide con il sistema di controlli del management del rischio clinico molto sul piano

linguistico, ma non quel che più conta, e cioè la filosofia ispiratrice che, nel penale – in

“qualunque penale” –, è e con ogni probabilità resterà, ad onta di ogni sforzo (56),

eminentemente repressiva. Come dire, “il matrimonio non si può fare”.

Note: (*) Rielaborazione e aggiornamento della relazione su “L'evoluzione giurisprudenziale in

tema di responsabilità professionale medica”, III Congresso Nazionale Società Scientifica

COMLAS su “L'evoluzione della disciplina medico-legale e le garanzie per i cittadini e per

gli operatori sanitari”, Università di Foggia (Dipartimento Studi Umanistici), 29 settembre –

1° ottobre 2016.

(1) Sez. IV, 11 maggio 2016 - 6 giugno 2016, n. 1040, Denegri, in

dirittopenalecontempornaneo.it, 27 giugno 2016, con nota di Cupelli, La colpa lieve del

medico tra imperizia, imprudenza e negligenza: il passo avanti della Cassazione (e i rischi

della riforma alle porte).

(2) Art. 2236 c.c. (Responsabilità del prestatore d'opera): «Se la prestazione implica la

soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei

danni, se non in caso di dolo o di colpa grave».

(3) Argomenti del tipo: «il 2236 c.c. è norma civilistica e quindi non può applicarsi in

materia penale» (come se possa esistere una responsabilità penale che non sia prima civile e

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che, per di più, dà luogo a risarcimento del danno!) oppure «l'applicazione dell'art. 2236 c.c.

alla materia medica darebbe luogo ad un'irragionevole disparità di trattamento rispetto ad

altri settori, pure caratterizzati da problemi tecnici di particolare difficoltà» (come se,

applicandolo in ambito sanitario, divenisse per questo inapplicabile altrove).

(4) È dubbio «se sia possibile analizzare la causalità mediante controfattuali e mondi

possibili senza far ricorso a nozioni a loro volta causali»: R. Campaner, La causalità tra

filosofia e scienza, Clueb, 2012, p. 38.

(5) Non approfondirò queste osservazioni, sebbene mi renda conto che possono apparire

sibilline, perché ho affrontato il tema, in questa stessa sede congressuale, lo scorso anno a

Lucca. V. Di Giovine, La causalità tra scienza e giurisprudenza, in Riv. it. med. leg., 2016,

p. 29 ss.

(6)... su cui tantissimo è stato scritto. Rinvio quindi il lettore a poche e fondamentali opere:

vd. quantomeno Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, Giuffrè, 1990; Giunta, Illiceità e

colpevolezza nella responsabilità colposa, Cedam, 1993; Castronuovo, La colpa penale,

Giuffré, 2009. Nella manualistica, per tutti, Fiandaca - Musco, Diritto penale, Parte

generale, 6aed., Zanichelli, 2009, p. 542 ss.

(7) Per una diversa sistematica, vd. tuttavia Donini, L'elemento soggettivo della colpa.

Garanze e sistematica, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2013, p. 124 ss., il quale nega l'esistenza

della misura oggettiva nella colpa e muove, nella sua proposta, dal dato, condiviso ed

unanimemente denunciato, che la misura soggettiva, appiattendosi su criteri di ascrizione

oggettivizzanti, risponde ad esigenze di prevenzione generale, piuttosto che di garanzia

dell'imputato.

(8) Non per nulla la migliore manualistica a stento cita la tripartizione, soffermandosi

invece ampiamente sul profilo della violazione di cautele doverose e sui criteri per il suo

accertamento. Fiandaca - Musco, Diritto penale, Parte generale, cit., p. 545 s.

(9) Di Giovine, Il concorso della vittima nel delitto colposo, Giappichelli, 2003, pp. 409 ss.

(10) «Di qui la preferenza per il parametro, per sua natura sfuggente, dell'agente modello,

autentica incarnazione del senno di poi, attraverso il quale certa giurisprudenza ambisce a

fare dell'istituto della colpa lo strumento con cui perseguire il miglioramento etico e sociale

dell'umanità». Giunta, Protocolli medici e colpa penale secondo il «Decreto Balduzzi», in

Riv. it. med. leg., 2013, p. 328. Mostra apertura nei confronti dello strumento delle GL

anche Di Landro, Le novità normative in tema di colpa penale (l. 189/2012, c.d.

“Balduzzi”). Le indicazioni del diritto comparato, in Riv. it. med. leg., 2013, pp. 848 s., cui

si rinvia per una panoramica di diritto comparato sui punti della “colpa grave” e delle “linee

guida” (dalla quale si desume come, al di là delle diverse soluzioni formali, i problemi siano

sempre gli stessi).

(11) Sez. IV, ud. 23 novembre 2010 (2 marzo 2011), n. 8254, Grassini.

(12) Vd. peraltro la proposta di riforma elaborata dal Centro Studi Federico Stella, che

limita la responsabilità alla sola colpa grave (vd. Forti - Catino - D'Alessandro - Mazzuccato

- Varraso (a cura di), Il problema della medicina difensiva, ETS, 2010, p. 199) e che ha

riscosso un notevole consenso in ambito penalistico.

(13) Anche questa è una posizione minoritaria (Di Giovine, Il concorso della vittima, cit., p.

433 ss.).

(14) Una dottrina, che però è stata anche giurisprudenza, smentisce l'emergenza. Brusco,

Informazioni statistiche sulla giurisprudenza penale di legittimità in tema di responsabilità

medica, in penalecontemporaneo.it, 14 luglio 2016, e, dati alla mano, fa presente come – a

fronte di “un esercito di medici” – i procedimenti in Cassazione siano stati “soltanto” 67 nel

2013; 56 nel 2014; 55 nel 2015. Nel caso di ricorsi dell'imputato o dal responsabile civile i

casi di conferma della sentenza impugnata di condanna sono stati: 35 nel 2013; 27 nel 2014;

27 nel 2015. I casi di accoglimento del ricorso dell'imputato e annullamento della sentenza

di condanna con o senza rinvio sono stati: 14 nel 2013; 14 nel 2014 e 10 nel 2015. In tal

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senso, già Brusco, Valutazioni critiche su alcuni aspetti della c.d. legge Balduzzi, in Dir.

pen. proc., 2015, p. 742 s.In realtà, come noto, la massima parte dei procedimenti penali

avviati in primo grado, siano o meno fondati, si arrestano, a volte “miracolosamente”, per

effetto del risarcimento da parte delle assicurazioni (sempre più in sofferenza in ambito

sanitario).

(15) Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale, Giuffrè,

2012; Di Landro, Dalle linee guida e dai protocolli all'individualizzazione della colpa penale

nel settore sanitario. Misura oggettiva e soggettiva della malpractice, Giappichelli, 2012;

Risicato, L'attività medica di equipe tra affidamento e obblighi di controllo reciproco,

Giappichelli, 2013; Forti - Catino - D'Alessandro - Mazzuccato - Varraso (a cura di), Il

problema della medicina difensiva, cit.; Manna, Medicina difensiva e diritto penale, cit.

(16) Di Giovine, In difesa del c.d. decreto Balduzzi (ovvero: perché non e possibile

ragionare di medicina come se fosse diritto e di diritto come se fosse matematica), in Arch.

pen., 2014, I, p. 1 ss., cui rinvio anche per l'indicazione dei primi commenti alla legge.

(17) Non si tratta di un tema estraneo al discorso giuridico. Per tutti, Merry - McCall Smith,

Errors, medicine and law, 2001, trad. it., L'errore, la medicina e la legge, Giuffrè, 2004.

(18) Seppur escludendo che la colpa si sia trasformata da generica in specifica, ha da subito

evidenziato come la riforma abbia «espresso una preferenza, nell'ambito dell'accertamento

della responsabilità del sanitario, per criteri più certi e verificabili rispetto a quelli dell'homo

eiudem condicionis et professionis» (vero e proprio regno del senno di poi), Giunta,

Protocolli medici, cit., p. 329 s.

(19)... tenendo possibilmente presente che «l'inevitabilità dell'errore umano non dovrebbe

essere guardata come la prova della debolezza umana, ma piuttosto come l'insopprimibile

effetto collaterale della nostra straordinaria capacità di conoscenza e del nostro successo

evolutivo». Merry-McCall Smith, Errors, medicine and law, cit., p. 94.

(20) In effetti, nella dottrina pronunciatasi “a tiepido” sembra cominci a stagliarsi come

prevalente questa lettura. Così, ad esempio, G.A. De Francesco, Al capezzale della colpa

medica (editoriale), in Riv. it. med. leg., 2015, p. 884 ss. Si è scritto che la disposizione

potrebbe trovare ragionevole applicazione nei casi in cui il medico non avrebbe potuto

superare il legittimo affidamento nella linea guida se non a costo di un onere informativo

straordinario o comunque non esigibile in ragione delle sue competenze e specializzazione

(quasi testualmente, Vallini, L'art. 3, 1° comma, della legge Balduzzi: reazioni, applicazioni,

interpretazioni, in Giur. it., 2014, p. 2065). Analogamente, si è osservato che la fattispecie

trova sul terreno della responsabilità in equipe il suo terreno elettivo di applicazione, e che

la colpa lieve potrebbe ricorrere, ad esempio, nel caso del «medico inesperto “abbandonato”

in sala operatoria dal primario» o nel caso dello «specialista che non riconosca, tra le pieghe

di una condotta prima facie rispettosa di linee guida e buone pratiche accreditate dalla

comunità scientifica, l'errore diagnostico di un collega dotato di diversa specializzazione».

In tal senso, Risicato, Linee guida e colpa“non lieve” del medico. Il caso delle attività in

équipe, in Giur. it., 2014, p. 2070. Cfr., inoltre, Bartoli, Ancora difficoltà a inquadrare i

presupposti applicativi della legge c.d. Balduzzi (nota a sent. Sez. IV, 29 ottobre 2015, n.

4468), in Dir. pen. proc., 2016, p. 642 ss. Per una lettura che valorizza i fattori soggettivi,

nettamente, da ultima, Pezzimenti, La responsabilità del medico tra linee guida e colpa “non

lieve”: un'analisi critica, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, pp. 343 ss.

(21) J. Reason, Human Error, Cambridge University Press, 1990; trad. it. L'errore umano,

EPC, 2014, p. 99.

(22) Questa posizione è molto netta in Manna, Medicina difensiva, cit., p. 186 ss.; Manna,

Causalità e colpa cit., pp. 1193 s. Contra, già Di Giovine, In difesa, cit., in part., p. 7 ss.

(23) In tal senso, tra gli altri, D'Alessandro, Contributi del diritto alla riduzione della

medicina difensiva, in Riv. it. med. leg., 2014, p. 935.

(24) È il fortunatissimo titolo dell'articolo di Piras, In culpa sine culpa. A proposito dell'art.

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3 co. 1 l. 8 novembre 2012 n. 189 (linee guida, buone pratiche e colpa nell'attività medica,

in dirittopenalecontemporaneo.it, 26 novembre 2012).

(25) Brusco, Valutazioni critiche su alcuni aspetti della c.d. legge Balduzzi, cit., p. 744.

(26) Per tutti, Manna, Medicina difensiva, Pisa Univerity Press, 2014, p. 166 ss.; Manna,

Causalità e colpa in ambito medico fra diritto scritto e diritto vivente, in Riv. it. dir. e proc.

pen., 2014, p. 1197.Pezzimenti, La responsabilità del medico, cit., p. 348; 350 ritiene che la

disposizione in esame configuri una scusante legale. Spunti già in Pulitanò, Responsabilità

medica: letture e valutazioni divergenti del novum legislativo, in diritto penale

contemporaneo (riv. trim), 2013, 4, p. 85. Tale conclusione, comunque preferibile sul piano

della teoria a quella che esclude la tipicità, potrebbe incontrare un'obiezione nella mancata

specificazione dei presupposti operativi della fattispecie: il basso livello di tipizzazione

emerge con chiarezza anche dal raffronto con le altre figure analoghe previste a livello

legislativo, ispirate, al contrario, alla restrizione massima della discrezionalità interpretativa.

(27) Poli, Legge Balduzzi tra problemi aperti e possibili soluzioni interpretative: alcune

considerazioni, in Diritto penale contemporaneo (riv. trim.), 2013, p. 92; Di Landro, Le

novità normative, cit., p. 836.

(28) Piras, Culpa levis sine imperitia non excusat: il principio si ritrae e giunge la prima

assoluzione di legittimita' per la legge Balduzzi, in dirittopenalecontemporaneo.it, 24 aprile

2015, p. 6.

(29) Per tutti, Manna, Causalità e colpa in ambito medico fra diritto scritto e diritto vivente,

in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, pp. 1199 ss.

(30) Giustamente, Di Landro, Le novità normative, cit., p. 834.

(31) Brusco, Linee guida, protocolli e regole deontologiche. Le modifiche introdotte dalla

legge c.d. Balduzzi, in Diritto penale contemporaneo (riv. trim.), 2013, p. 53 ss.; ancora di

recente, cfr. inoltre Cupelli, La colpa lieve del medico, cit.

(32) Testualmente, Sez. IV, 6 giugno 2016, Denegri cit. Negli stessi termini, Sez. IV, ud. 15

aprile 2014 - 29 maggio 2014, n. 22281, Cavallaro, in C.E.D. Cass., n. 262273; Sez. IV, ud.

9 ottobre 2014 - 17 novembre 2014, n. 1858, Stefanetti, ivi, n. 260739. Il primo richiamo ai

fattori soggettivi è contenuto in Sez. IV, 29 gennaio 2013 - dep. 9 aprile 2013, n. 16237,

Cantore, in dirittopenalecontemporaneo.it, 11 aprile 2013, con osservazioni di Viganò,

Linee guida, sapere scientifico e responsabilità del medico in una importante sentenza della

Cassazione e note di Cupelli, I limiti di una codificazione terapeutica (a proposito di colpa

grave del medico di guardia e linee guida, 10 giugno 2013, nonché Roiati, Il ruolo del

sapere scientifico e l'individuazione della colpa lieve nel cono d'ombra della prescrizione, in

Diritto penale contemporaneo (riv. trim.), 2013, 4, p. 99 ss.

(33) Sez. IV, ud. 18 dicembre 2014 -21 maggio 2015, n. 2562, Pulcini, in C.E.D. Cass., n.

263493; Sez. V, ud. 13 novembre 2013 - 10 gennaio 2014, n. 2899, T.P.E., ivi, n. 258423;

Sez. IV, ud. 27 aprile 2015 - 25 giugno 2015, n. 939, Caldarazzo, ivi, n. 263826; Sez. IV,

ud. 8 luglio 2014 - 18 febbraio 2015 n. 7346, Sozzi, ivi, n. 262243 e in Riv. it. med. leg.,

2015, p. 636 ss., con nota di L. Maldonato, Lesioni personali colpose, attività chirurgica

d'équipe, colpa.

(34) Questo orientamento è stato inaugurato da Sez. IV, ud. 24 gennaio 2013 - 11 marzo

2013, n. 242, Pagano, in C.E.D. Cass., n. 254756; v. inoltre Sez. III, ud. 4 dicembre 2013 - 4

febbraio 2014, n. 5460, Grassini, ivi, n. 258846; Sez. IV, ud. 5 novembre 2013 - 5 maggio

2014, n. 1842, Loiotita, ivi, n. 261294; Sez. IV, ud. 8 luglio 2014 - 18 febbraio 2015, n.

7346, Sozzi, cit.; Sez. IV, ud. 20 marzo 2015 - 23 aprile 2015, n. 16944, Rota, ivi, n.

263389; Sez. IV, ud. 27 aprile 2015 - 25 giugno 2015, n. 939, Calderazzo, cit. V. inoltre

Sez. IV, ud. 15 ottobre 2013 - 22 novembre 2013, n. 46753, rel. Brusco, L.A. e N. F., in

Giur. it., 2014, p. 156 ss., con nota di Risicato, Colpa medica “lieve” e “grave” dopo la

legge Balduzzi: lo iato tra terapia ideale e reale come parametro di graduazione della

responsabilità del sanitario, p. 157 ss. Meno netta è la sentenza Sez. IV, ud. 8 luglio 2014 -

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16 gennaio 2015, n. 1421, Anelli, in C.E.D. Cass., n. 261764. Il precedente Cantore (Sez.

IV, 29 gennaio 2013, cit.), pur sovente richiamato, si limita invece a definire l'imperizia

«terreno di elezione» della riforma. L'orientamento in discorso ha poi ricevuto l'avallo della

Corte costituzionale in una sentenza di rigetto per inammissibilità. C. cost., ord. 6 dicembre

2013, n. 295, est. Frigo, in penalecontemporaneo.it, 9 dicembre 2013, con osservazioni di

Gatta, Colpa medica e linee-guida: manifestamente inammissibile la questione di legittimità

costituzionale dell'art. 3 del decreto Balduzzi sollevata dal Tribunale di Milano.

(35) L'affermazione di siffatti principi è rinvenibile in Sez. IV, ud. 15 ottobre 2013 - 22

novembre 2013, n. 46753, rel. Brusco, L.A. e N. F., cit.; Sez. III, ud. 4 dicembre 2013 - 4

febbraio 2014, n. 5460, Grassini; Sez. IV, ud. 8 ottobre 2013 - 19 febbraio 2014, n. 7951;

Fiorito, in C.E.D. Cass., n. 259334.

(36) Seppur non perfettamente in termini, Sez. V, ud. 13 novembre 2013 - 10 gennaio 2014,

n. 660, T., in C.E.D. Cass., n. 258423; Sez. ud. 8 luglio 2014 - 16 gennaio 2015, n. 1421,

Anelli, cit.

(37) Sez. IV, ud. 11 maggio 2016 - 6 giugno 2016, n. 23283, Denegri, in

penalecontemporaneo.it, cit. già prima, Sez. IV, ud. 9 ottobre 2014 - 17 novembre 2014, n.

47289, Stefanetti, su cui Roiati, Prime aperture interpretative a fronte della supposta

limitazione della Balduzzi al solo profilo dell'imperizia, in Dir. pen. contemp. (riv. trim.),

2015, p. 231 ss.

(38) Cupelli, La colpa lieve, cit.

(39) Piras, La riforma della colpa medica nell'approvanda legge Gelli-Bianco, in

penalecontemporaneo.it, 25 marzo 2016.

(40) V. ad esempio Roiati, Prime aperture interpretative a fronte della supposta limitazione

della Balduzzi al solo profilo dell'imperizia, in Dir. pen. contemp. (riv. trim.), 1, 2015, p.

239.

(41) L'art. 5 del d.d.l. Gelli (Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste

dalle linee guida) recita: «1. Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle

prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative e

riabilitative, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle buone pratiche clinico-

assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida elaborate dalle società

scientifiche iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro

della salute, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente

legge. Ai fini della presente legge, le linee guida sono inserite nel Sistema nazionale per le

linee guida (SNLG) e pubblicate nel sito internet dell'Istituto superiore di sanità».

(42) Sulle ricadute in chiave di indeterminatezza del precetto penale, per tutti, Risicato,

Colpa medica “lieve” e “grave” cit., p. 158 ss.

(43) V. per esempio Cupelli, La colpa lieve del medico tra imperizia, cit.; Brusco,

Informazioni statistiche, cit.

(44) Ho la sensazione che il ragionamento su riportato confonda il piano dell'antigiuridicità

(se la regola è vincolante ed è stata osservata può tradursi in un dovere/diritto) con quello

della colpa, e che sia forse suggerito dal parallelismo con la colpa per violazione delle

norme del codice della strada. Esso però perde forza se si pensa che tra le regole rilevanti ai

fini della colpa specifica rientrano le discipline (e le GL sarebbero appunto tali). Soprattutto,

evapora ponendo mente all'unitarietà della categoria della colpa e al fatto che nella colpa

generica le cautele di natura sociale sono tutto fuorché obbligatorie.

(45) Insiste ora giustamente su questo profilo Pezzimenti, La responsabilità del medico, cit,

p. 331 ss., la quale precisa, altrettanto condivisibilmente, che ciò non toglie che la cautela

possa avere natura elastica ed aggiunge – non si pensava ve ne fosse bisogno – che il

giudizio sulla colpa specifica non esaurisce l'ambito valutativo della colpa, ben potendo

sempre residuare l'apprezzamento di una eventuale colpa generica.

(46) Nel contesto di una riflessione più generale, vd. Piergallini, Autonormazione e

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controllo penale, in Dir. pen. proc., 2015, p. 264, il quale è tra i pochissimi ad aver espresso

apprezzamento per la riforma.

(47) Del 2006 è inoltre “Sicurezza dei pazienti e la gestione del rischio clinico. Manuale per

la formazione del personale sanitario”, Ministero della salute.

(48) Con riferimento alla sicurezza, Reason, Errore Umano, cit., p. 240.

(49) “To err is Human” è anche il titolo del famoso rapporto dell'Institute of Medicine della

National Academy of Science, del 1999.

(50) Gawande, Check list, Einaudi, 2011 (or. 2009).

(51) Un percorso in questa direzione era stato già avviato dalla legge di stabilità per il 2016,

ma in modo decisamente contraddittorio. Infatti, nonostante il comma 538 della l. 28

dicembre 2015, n. 208 declami con enfasi che «La realizzazione delle attività di

prevenzione e gestione del rischio sanitario rappresenta un interesse primario del Sistema

sanitario nazionale perché consente maggiore appropriatezza nell'utilizzo delle risorse

disponibili e garantisce la tutela del paziente», nel comma successivo si trova sancito che

«Ai verbali e agli atti conseguenti all'attività di gestione aziendale del rischio clinico, svolta

in occasione del verificarsi di un evento avverso, si applica l'articolo 220 delle norme di

attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale», così legittimando

l'apprensione dei risultati degli audit nel corso delle attività investigative del pubblico

ministero. La vicenda normativa illustra emblematicamente come prevenzione e repressione

siano in un rapporto di aut aut e richiama l'attenzione sulla necessità di chiarire se per lo

Stato la priorità sia l'intervento ex ante o quello ex post factum.

(52) V. Panti, Il ddl sulla responsabilità professionale del eprsonale sanitario: il punto di

vista del medico, in Dir. pen. proc., 2016, n. 3, p. 374 ss.

(53) Sez. II, ud. 9 luglio 2010 - dep. 21 luglio 2010, n. 28699, Vielmo, in questa rivista,

2011, p. 1888 ss., con nota di Di Giovine, Sanità ed ambito applicativo della disciplina sulla

responsabilità degli enti. Alcune riflessioni sui confini tra pubblico e privato. L'ostacolo

della natura “pubblica” dell'ente fu allora risolto notando che lo stesso era costituto in forma

di società per azioni, le quali per natura mirano al profitto privato.

(54) Sulle caratteristiche delle cautele nel sistema di autonormazione della 231, per tutti,

Piergallini, I modelli organizzativi, in Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli

enti,2a ed., Giuffrè, 2010, p. 185-187.

(55) Sarebbe scontato sottolineare che la condanna di un ospedale pubblico potrebbe

comportare, oltre alle pene pecuniarie, divieti di contrarre con la pubblica amministrazione,

interdizione ed in ipotesi il commissariamento dell'ente, con evidenti ricadute negative

sull'assicurazione delle prestazioni mediche fondamentali e quindi sulla collettività stessa.

(56) Alludo al meritorio tentativo della dottrina di esportare in questo ambito la c.d.

giustizia conciliativa (vd. Forti - Catino - D'Alessandro - Mazzuccato - Varraso (a cura di),

Il problema della medicina difensiva, cit., p. 84 ss.; D'Alessandro, Contributi del diritto alla

riduzione della medicina difensiva, in Riv. it. med. leg., 2014, n. 3, p. 927 ss.). Sul versante

civilistico, vd. il tentativo obbligatorio di conciazione di cui all'art. 8 del d.d.l. Gelli.

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