Colloquio/intervista - Elio Cocciardi la relazione...

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Colloquio/intervista a PATER PETER GRUBER 1 Bolzano, 28/11/2005 Merano, 29/06/2006 1a e 2a PARTE Intervista a cura di Elio Cocciardi 2 1 Padre Peter: Cappellano Ospedale Tappeiner di Merano e membro del Comitato Etico Provinciale di Bolzano. 2 Elio Cocciardi:Insegnante nella “Scuola per le professioni sociali” della Provincia di Bolzano. .

Transcript of Colloquio/intervista - Elio Cocciardi la relazione...

Colloquio/intervista

a

PATER PETER GRUBER1

• Bolzano, 28/11/2005

• Merano, 29/06/2006

1a e 2a PARTE

Intervista a cura di Elio Cocciardi2

1 Padre Peter: Cappellano Ospedale Tappeiner di Merano e membro del Comitato Etico Provinciale di Bolzano.2 Elio Cocciardi:Insegnante nella “Scuola per le professioni sociali” della Provincia di Bolzano..

INDICE

- INTRODUZIONE pag. 3

- Note biografiche su Padre Peter Gruber pag. 4

- Prima parte: 28/11/2005 (Bolzano) pag. 5

- Seconda parte: 29/06/2006 (Merano) pag. 19

INTRODUZIONE

La storia di questa dispensa ha inizio qualche anno fa con la frequenza da parte mia – presso la Scuola per le Professioni Sociali di Bolzano – di due seminari condotti da Pater Peter Gruber.C’era da parte mia – come credo da parte di molti – sia un desiderio di conoscere più da vicino questo tema, sia nello stesso tempo una certa paura di cosa sarebbe potuto succedere/succedermi durante la frequenza del suo corso: sapevo, infatti, che non sarebbe stato “solamente” un sentire qualcuno che parlava di questa tematica, ma che – in qualche modo – vi sarebbe stato un coinvolgimento personale più intimo: questo fatto suscitava in me allo stesso tempo interesse e paura.La prima mattinata del corso non era per me proprio ideale: mio padre era stato ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico e quindi ero preoccupato riguardo a ciò che un’operazione comunque comporta in termini di rischio. Durante la pausa di metà mattina il Direttore della Scuola dott. Bissolo mi chiese come stava andando ed io risposi che non era proprio il momento ideale per l’inizio di un corso del genere per i motivi cui accennavo sopra, ma tant’è. Entrambe le cose andarono bene, sia l’intervento di mio padre che il corso con Padre Peter.A distanza di qualche anno Padre Peter accompagnò mio padre nell’ultimo periodo della sua vita, durante il suo ricovero all’ospedale di Merano, dove esercitava – come tuttora – il suo servizio di Padre Spirituale.L’insegnamento – da parte mia – presso la Scuola per le professioni sociali della materia “Relazione d’aiuto” ha fatto sì che questo argomento costituisse una parte del corso.Ciò che ho sempre notato era il fatto che nel momento in cui parlavo nelle varie classi di questo argomento vi era sempre un’attenzione speciale, un silenzio carico sia di interesse, ma anche di altro. Con una certa frequenza succedeva che a qualche studente/studentessa si inumidivano gli occhi, che qualcuno silenziosamente usciva.Di fatto la tematica di accompagnamento del moribondo tocca dei livelli molto sottili della relazione e coinvolgimento con la Persona.Come insegnante sentivo e sento l’esigenza di dare allo studente un “qualcosa” che non siano delle corpose indicazioni bibliografiche, che richiedono però un consistente impegno di lettura, anche in termini di tempo: nasce così l’idea del colloquio/intervista: con la convinzione e l’auspicio che forse l’intervista si presta ad uno scorrere da parte del lettore/lettrice un po’ più leggero rispetto alla densità dei testi sull’argomento, senza trascurare la loro importanza e rigore: valgano per tutti i testi di Elisabeth Kùbler-Ross. Ne parlo a Pater Peter che pian piano acconsente e, in due momenti distinti – la prima volta a fine novembre del 2005 e la seconda a fine giugno 2006 – ci incontriamo e registriamo/filmiamo i due momenti.I tempi portano ad oggi.Con l’augurio per chi legge di averne una qualche utilità nella pratica professionale e magari degli stimoli per ulteriori approfondimenti: in sé la dispensa può essere sviluppata ed ampliata con note commentate, dato che diversi riferimenti presenti nell’intervista lo potrebbero prevedere…Chi vivrà vedrà.

Bolzano, 26 maggio 2007

Elio Cocciardi

Note biografiche su Pater Peter Gruber.

Padre Peter Gruber è nato a Bolzano il 14 dicembre 1942. Trascorre l’infanzia e la giovinezza a Lana (Bolzano): questo periodo viene interrotto da una degenza di tre anni presso l’ospedale di Cortina.

Frequenta le Scuole medie e quelle superiori fino alla maturità nella scuola dei Frati Cappuccini in Alto Adige; poi compie gli Studi universitari in Filosofia e Teologia sempre nella Scuola interna dei Cappuccini e presso la Scuola Superiore di Teologia della diocesi di Bolzano-Bressanone.

Nel 1960 entra nell’ordine dei Cappuccini dell’Alto Adige e viene ordinato sacerdote nel 1970 nel Duomo di Bressanone; trascorre l’anno pastorale a Firenze, dove può collaborare all’assistenza spirituale dei malati, dei carcerati e alla cura delle anime dei malati psichiatrici.

Dal 1972 al 1976 presiede alla cura delle anime presso la parrocchia di St. Josef per le persone in lingua tedesca.

Nel 1976 comincia il suo lavoro all’Ospedale di Bolzano che durerà fino al 1989, quando poi andrà a prestare la sua opera all’Ospedale di Merano, dov’è tuttora.

Nel 1978 compie la sua formazione nel settore dell’assistenza spirituale ai malati presso la Facoltà di Teologia di Salisburgo e nel 1987 comincia la formazione biennale nell’Assistenza Spirituale ai malati presso la Chiesa cappellanea dell’Ospedale di Salisburgo.

E’ del 1989 la frequenza di un Workshop con Elisabeth Kubler-Ross e, come si diceva sopra, il suo passaggio all’Ospedale di Merano.

Nel 1995 comincia la sua formazione di “Accompagnamento al lutto” con il Prof. Jorgos Canacakis ottenendo la Certificazione che lo autorizza ad operare come “Trauerbegleiter”.

Dal 1999 al 2001 partecipa alla formazione: “Etica nella medicina e cura” e nel 2002 compie la formazione interna dell’Ospedale come “Moderatore”.

Dal 2002 al 2006 compie la formazione con certificazione nei primi tre livelli in “HealingTouch”; per sei anni è nel direttivo del movimento Hospice (Hospicebewegung) della Caritas ed è membro della Commissione Etica provinciale dal 2002.

INTERVISTA CON PADRE PETER (28/11/2005)

EC: Volevo fare una chiacchierata sul tema dell’”Accompagnamento alla Persona Morente”Da dove cominciamo?…Cominciamo dai Vivi o dal MORENTE?PP. Il vivo è il morente!!!E: cominciamo bene!!

…Risata…

PP: Secondo me dobbiamo cercare di “portare” a vedere nella morte un elemento della nostra vita. Finché si muore si vive: cioè il morire è l’azione terminale del vivere. La Morte è un fattore di Vita. Questo deve essere capito altrimenti il morire rimane sempre qualcosa al di fuori della vita, almeno della nostra vita moderna…EC: ...Infatti nell’introduzione di una dispensa riguardante La Persona Morente (capitolo estratto dal “Trattato di psicogeriatria “ del “Barucci”) si dice che quando si parla di persona morente si tratta sempre di “Persona Viva”. In realtà, spesso si tende a ragionare per “Categorie”: il Morente, l’Handicappato, l’Anziano… piuttosto che a ragionare sui “Bisogni” che queste categorie portano in luce !PP: Sì, ci escludiamo volentieri dai problemi dalla nostra vita: questo è il punto debole della nostra società. Creiamo dei GHETTI in cui concentrare le persone difficili, nel nostro caso inseriamo i moribondi in strutture particolari: “per metterle nelle mani d’esperti”, dicendo: “Qui sarete curati bene.” Noi figli della società moderna abbiamo escogitato questo modo per eludere i problemi, ma per poter anche dire che ci interessiamo a loro.Gli handicappati, per esempio, prima erano esclusi dalla collettività, ora però si è trovato il modo per inserirli. La società però fa più fatica ad inserire la problematica della morte nella vita quotidiana. EC: In che senso dici “escluderli”, … che li ignoriamo?PP: … I moribondi sono una ferita, un lutto, e la ferita ed il lutto fanno male.La società vorrebbe curare queste ferite con grande impegno, ma non si rende conto che in fondo è essa stessa che procura queste ferite! ! !EC: Però tu dici che li escludiamo (i Malati)…che muoiono in ospedale…Di fatto molti muoiono in ospedale…PP: …Sì, diciamo, adesso ci sono gli HOSPICE, la Lunga Degenza. allora, diciamo sono trattati bene…”Trattarli Bene” è lo scopo affinché noi ( società) “non ci sentiamo Male”…EC: ...Che poi non sò neanche se vengano trattati così bene?PP: Oggi Abbiamo più personale e mezzi a disposizione, che fino a ieri erano impensabili! EC: Stai parlando degli “Hospice” ?PP: ..SiEC: In Alto Adige ad esempio, l’unico, in questo momento, è il “Martinnsbrunn”…a MeranoPP: Sì ,ma nell’Hospice, di solito, vengono curati maggiormente i malati di tumore: … il tumore dura parecchio, e prende una bella fetta della nostra vita…Allora si ha il tempo di curare la persona colpita., mentre per altre malattie non abbiamo questa possibilità , perciò la maggior parte continua a morire negli Ospedali o nelle Case di Riposo e soltanto una piccola parte muore negli Hospice…EC: e quindi..?PP: Quindi…dire…di aver trovato il sistema per accompagnare i nostri moribondi, vale solo per un certo tipo di moribondi…

EC: …leggevo proprio ieri su “La morte è di vitale importanza” (E. K. Ross, Ed. Armenia, trad. it., 1999) che negli Stati Uniti, in California, quando lei aveva cominciato c’era un solo Centro e poi adesso non so quante centinaia ve ne siano, se non di più; il problema è che prendono dei soldi, pubblici. E quindi il problema era avere i soldi più che avere la funzione per la quale erano nati: è rimasta una cosa un po’ esteriore…PP: In provincia abbiamo la Caritas Ospizio che opera nel territorio ed è una struttura privata, sostenuta anche da soldi pubblici. Non basta la buona volontà per curare il moribondo. C’è bisogno anche dei mezzi.Ho parlato ultimamente con Don Carlo3 che dice: “Se non torniamo a curare la società, noi queste piaghe le avremmo sempre”. Penso che l’Hospice dovrebbe essere una istituzione dovunque presente per l’uomo che muore. Ma se noi facciamo sì che questa assistenza sia possibile solo in quella struttura speciale, allora avremo tanti esclusi… EC. Ma tu come la vedi, che se aumentassero le strutture non andrebbe necessariamente meglio?...PP: ...No, perché allora daremmo i moribondi nelle mani agli Esperti…e niente altro…EC: Sono andato recentemente ad un Convegno4, dove non ricordo quale relatore5 diceva che, praticamente, in futuro, ci saranno meno soldi, e che le cure mediche per i malati terminali costeranno sempre di più e quindi forse verrà messa più attenzione al paziente: ma con meno soldi o con il personale che magari ne frega (opinione personale) come può venir messa più attenzione al paziente ? Come la vedi tu? Come andrà a finire secondo te?PP: Mi chiedo come vivono oggi le nostre famiglie la realtà della morte, considerato le poche esperienze a loro disposizione. Si vedono i parenti parecchie volte spaesati nel “Cosa posso fare?”; in più le famiglie sono piccole e vivono in appartamenti fatti in modo tale da non poter ospitare una persona morente, perciò si morirà sempre più nelle strutture.L’Hospice sarà, come già detto, riservato per un certo numero di persone, mentre la maggior parte morirà in Lungodegenza o in Casa di Riposo. Questo sarà il futuro…come lo vedo in questo momento.EC: Senti un po’, tu tieni dei corsi da noi6 e da altre parti. Da noi ci sono una ventina di classi, con in media 15 persone a classe, quindi ogni anno si fa formazione a circa 300 allievi e ne escono 70/80 (?): sono persone che secondo me escono con una maggiore sensibilità - forse - rispetto ad una volta: la domanda è questa: col tempo, con la formazione degli operatori ci può essere un’attenzione maggiore a questo tema?PP: L’attenzione sicuramente c’è e ci sarà. Questo non si può negarlo; soltanto dobbiamo riuscire ad inserire anche la Famiglia nell’assistenza al moribondo, perché è proprio lei il punto più rilevante…Sarebbe importante dare il compito che è proprio della Famiglia alla Famiglia. È fondamentale che la famiglia sia presente. Le altre persone: Assistenti spirituali, Operatori socio-assistenziali, Operatori socio-sanitari,Volontari possono appoggiare la famiglia, ma non potranno mai sostituirla. Senza la famiglia possiamo fare soltanto “presenza TECNICA”. Le Strutture sanitarie devono creare lo spazio necessario alla Famiglia per assistere il proprio caro, in modo particolare quando sta morendo. Solo insieme con la famiglia saremo capaci di creare, in strutture sanitarie, un ambiente dove una Persona possa vivere umanamente e morire umanamente. Soltanto con il personale tecnico delle strutture è troppo poco, non è possibile ottenere questo! EC: Ma, ad esempio, quanti sacerdoti ci sono negli Ospedali che hanno una preparazione specifica, in Provincia di Bolzano? Non dico una preparazione come la tua?PP. Qualsiasi Cappellano d’ospedale deve possedere la specifica conoscenza e la capacità di poter curare i Moribondi. Una parte fondamentale della formazione dei cappellani è proprio l’assistenza ai moribondi. Certo dobbiamo anche gestire il ruolo di “ Corvo Nero”, che porta la notizia di morte. Non possiamo però ritirarci per questo motivo. Una Persona può morire

3 Associazione “La Strada-Der Weg”.4 Vipiteno, Giornata delle Cure Palliative, 29 ottobre 2005.5 Si tratta del Dr. Lintner Direttore sanitario, Ospedale Bressanone.6 Scuola per le Professioni Sociali.

umanamente, se saremo capaci di essere umanamente accanto alla persona che sta morendo. Dobbiamo anche essere preparati per restare accanto ai Familiari, accanto al Personale, dando l’appoggio e l’aiuto che questi possono richiedere. Di questo c’è bisogno… I Parenti, in particolare, hanno paura perché sono fuori casa, in un posto che non conoscono, in un ambiente che certe volte sentono ostile, perché non dà loro quell’appoggio che vorrebbero e di cui hanno bisogno. Sono in difficoltà ad assistere il loro Caro semplicemente perché non sanno come affrontare la situazione. Ecco perchè è importante l’appoggio da parte nostra e del personale di struttura! ! !EC: Dunque…(facendo un disegno, dove vengono indicate tre figure)…qui c’è il Personale, qui c’è la Famiglia e qui c’è, diciamo, il Morente: sopra il Personale ci sono i Responsabili…PP: …la Struttura…diciamo…EC: …Sì…i Responsabili di Struttura… Quindi si può andare dal Direttore al Responsabile di Piano se è una CdR7, o alla Caposala se è un Ospedale…o al Responsabile Medico…PP: Ho fatto quest’esperienza, in una CdR dove ho tenuto un Corso di Aggiornamento sui Moribondi. Avevo chiesto che partecipasse tutta la CdR; quindi anche la cucina, la lavanderia e l’amministrazione. Solo in questo modo siamo riusciti a far sì che qualcosa venisse cambiato in quella struttura: La morte d’un ospite influisce su tutta l’organizzazione. Tutti sono toccati, in un modo o nell’altro.EC: Stiamo parlando in un certo senso di Politica, di Politica delle Strutture…PP: Non basta che io mandi qualcuno della Struttura, un OSS oppure un’Infermiera a partecipare ad un Corso, se quello dopo che è tornato non può cambiare niente….EC: Sì, io sono d’accordo che il problema è politico…PP: Ho costatato che ciò che ho detto è in realtà possibile, perchè a Laces l’abbiamo sperimentato: prima del corso il Morto veniva portato via di nascosto, ora viene salutato da tutta la CdR. Ora viene salutato con un rituale d’addio preparato: viene ricordato, si canta e si prega. Si onora così la persona deceduta. Dopo la prima volta, un Ospite della CdR che aveva partecipato all’addio disse:”Cosa devo fare perché venga fatto così anche per me ?”EC: Un ospite morente?PP: Semplicemente un ospite della CdR. Ma in fondo, loro sono tutti morenti, la loro méta è il cimitero prima o poi, è vero questo vale per tutti, ma diciamo che per loro la mèta è più vicina.E: E quindi da cosa era stato colpito? Dal fatto…PP: la CdR ha rispettato e onorato il suo ospite defunto, gli ha rivolto un saluto, non ha espresso fastidio. L’essere salutati significa non essere buttata via dopo la morte, ma essere riconosciuti come persona del gruppo e salutata come un caro ospite che se ne va, questo aveva colpito l’anziano.

EC: …è come se la CdR fosse una grande famiglia; in una famiglia ci si ricorda silenziosamente, o meno, di certi momenti della persona che è morta: nel senso che può succedere per caso che se uno dice: ”Ti ricordi che gli piaceva questo colore…”, ci si ricorda, della persona defunta e magari c’è quell’attimo di silenzio, di tristezza, di…PP : Questa méta è stata raggiunta nel primo anno. Nel secondo anno abbiamo continuato l’aggiornamento. Il tema rigurdava il moribondo nel suo piano: come posso salutare un compagno defunto nel mio piano? In tempi passati si aspettava finché tutti erano a letto e si portava via la salma di nascosto.Ora viene tutto organizzato e ritualizzato: gli ospiti sanno l’ora della cerimonia e, se vogliono partecipare, possono accompagnare il morto fino all’ascensore. Cioè l’ospite che con loro ha vissuto l’ultima parte della sua vita, vicino a loro nel loro stesso piano. Questo l’obiettivo del secondo anno.Il terzo anno, abbiamo visto che la Camera Mortuaria era situata in cantina8. La gente aveva paura di scendere per pregare, in quei giorni nei quali la salma rimaneva nella Casa di Riposo. 7 Casa di Riposo.

Adesso la salma viene portata in Chiesa e lì la gente, durante il giorno, desidera passare e salutare, dire una preghiera per quest’ospite con cui ha vissuto questi anni insieme…EC: …Se ho capito bene, prima il paziente moriva e veniva portato via di nascosto… in questo caso “tutti fuggono” da questa situazione…ora invece c’è un passaggio inverso, nel senso che comunque chi può e vuole s’avvicina: questa modalità crea relazioni con le persone e con i luoghi presenti nella Casa di Riposo.PP: … e mettendo la salma in Chiesa, cioè nel seno materno di Dio, si dà la giusta attenzione al fatto che siamo figli di Dio. Quindi non oggetti da cantina. Salutando la Persona con l’Acqua benedetta si rafforza la Fede ed il Credo!!!EC: ..Carina questa cosa del Saluto, anzi qualcosa in più… …parlavo proprio stamattina ed in questi giorni a Scuola, quando chiedendo agli allievi: “Quali sono nella “Relazione d’aiuto” (Disciplina che insegno all’interno della Scuola Provinciale per le Professioni Sociali) le Regole principali dell’Educazione che avete imparato a casa vostra?...E mi hanno detto: Salutare, Ascoltare, anche nel senso di non parlare sopra l’altro (interrompere) ...comunque erano delle regole di buona educazione ed ora tu ci parli del saluto quando la Persona morta esce dalla casa: in effetti due persone si riconoscono quando?? Quando si incontrano e si salutano e quando si lasciano e che si risalutano: è un cerchio che si chiude…PP: Esatto, quando uno entra in una Casa viene salutato e questo fatto si ripete anche quando esce. Quel giorno, inoltre, si prepara un pasto particolare per l’ospite. Anche il mangiare rafforza questo rituale simbolico…EC: Questo sarebbe possibile per tutti gli ospiti della CdR? Comunque in Ospedale sarebbe un po’ più problematico, mi sembra..PP: In ospedale, mi ricordo ero a Bolzano, quando un nostro dipendente morì, l’abbiamo portato la mattina nella chiesa dell’ospedale. Dopo la Messa l’abbiamo accompagnato fino all’uscita dall’Ospedale…Chi poteva, veniva dai piani.EC: Questo era un operatore?PP: Sì, mentre con i parenti si celebra una S. Messa , di solito, nella sua parrocchia.EC: Col cibo non è possibile?PP: No, quello no…soltanto in una struttura dove si vive insieme come la CdR. L’Ospedale non è una Struttura dove si vive…EC:……mmm… (doppio senso tragico!!!)PP: …dove sono ricoverato per un certo periodo, come l’Ospedale, non potrà mai diventare casa mia.EC: …sto pensando a quello che si dice, che il 50% delle persone muoiono in Ospedale…PP Sì, ma l’Ospedale è una struttura particolare che ha i suoi ritmi. I rituali usati in chiesa o in casa di riposo non possono essere trasportati nell’ambiente ospedaliero. Devono essere rivisti e trasformati, affinché possano essere vissuti in quell’ambiente. Di solito il tempo è ristretto e limitato.EC: … mi viene in mente una cosa su quanto hai detto fin’ora: quello che tu hai fatto in buona parte fino ad ora è un discorso “politico”, dall’alto: cioè una cosa che può essere cambiata da chi comanda: da chi stabilisce le regole, le procedure, ecc. e quindi il discorso che tu hai fatto, è che tutti hanno da essere coinvolti all’interno di una struttura a cominciare dai responsabili, per sviluppare un processo collettivo di consapevolezza e conoscenza. L’intenzione di questo colloquio/domande era però quella di dare qualche indicazione agli operatoriAnni fa ho parlato con una giovane Geriatra – tra l’altro sensibile e brava - che si stava specializzando e le ho chiesto se conosceva il libro dell’E.Kùbler- Ross, che io stavo leggendo in quel momento, e mi ha risposto di no. E’ come se un cuoco non sapesse come …si cucinano gli spaghetti…per dire.

8 Non si deve vedere in questo atteggiamento un segno di disprezzo, in genere le Salme vanno sempre collocate negli ambienti più’ freddi.

Da un lato c’è il discorso, diciamo politico, del coinvolgimento di tutti dall’alto. Dall’altro ci può essere un coinvolgimento che viene dal basso: un po’ quello che stiamo facendo tu ed io trattando questi temi con gli Operatori.PP: La scuola ha il compito d’insegnare agli studenti il bagaglio teorico del loro lavoro, l’impegno a svolgerlo con responsabilità e di destare la loro personale sensibilità verso la persona bisognosa. Accanto alle cure mediche ci sono tante possibilità creative che sono possibili. Vedo p.es. l‘ospite che guarda la bottiglia d’acqua e allunga la mano: chiaramente io posso capire che lui a sete. Guardo, se c’è un divieto, e se non c’è, la presenza stessa della bottiglia mi fa capire che posso alleviare quella sofferenza.EC: Sai cosa pensavo… secondo te quali sono le azioni , ovvero quei modi che un Operatore può avere – non necessariamente appariscenti –nella relazione col morente, che possano essere anche d’insegnamento per gli altri colleghi?PP: L’iter è il seguente: 1°devo essere convinto della mia azione 2°devo essere costante anche se trovo resistenze, 3°con il tempo troverò imitatori, 4°dopo lungo tempo anche gli altri si accorgeranno che il mio fare è giusto, 5°accetteranno il mio esempio ed intorno al letto del Moribondo, l’atmosfera cambierà in bene.Mi spiego meglio: c’è chi considera il Morente come uno che non capisce, che non sente; per cui ad esempio può esserci il medico che parla a voce alta e che dice la diagnosi alla moglie; gli operatori che chiacchierano tra di loro delle vacanze, ecc.Cioè, stando all’interno delle Regole della Struttura di cui parlavi prima, quali sono, secondo te, alcune cose, due o tre cose - da imparare - per cui l’operatore si può avvicinare in modo che sia importante/utile per il paziente e che sia – allo stesso tempo – di sensibilizzazione o modello per i colleghi o altri?PP: Quando entro in stanza, SALUTO e DICO CHI SONO. Lo faccio anche se una persona è in coma. saluto, Dico Chi Sono e QUELLO CHE VOGLIO FARE.Queste sono piccole regole affinchè da questa piccola informazione il paziente possa sapere che l’operatore che è entrato deve fare questo servizio, e lo fa per lui.EC: E se in quella stanza c’è anche un altro utente che invece sta bene ed io dico: “Buon giorno, sono Elio, vengo a…”Se lo dico a tutti e due…è lo stesso???…PP: È importante salutare tutte le persone presenti. Prima devo salutare gli altri, poi posso andare dalla Persona interessata…È anche importante, dove incontriamo il dolore, di usare un RITUALE d’ARRIVO e un RITUALE d’ADDIO. Esempio di “Rituale”:Prima di entrare

• A casa tutto a posto?• Cosa c’è da fare?• Come mi sento?• Decido di entrare• Dopo saluto l’ambiente: ovvero salutando l’ambiente vedo tutti gli oggetti presenti, così

non mi disturbano;• Saluto tutte le persone presenti nella stanza;• Alla fine arrivo al Moribondo con il quale devo lavorare.

E’ l’ultima persona che saluto, così mi posso concentrare nel mio compito e…Prima di uscire

• Saluto il moribondo;• Saluto gli Altri;• Saluto l’Ambiente: così rivedo gli stessi oggetti di prima ancora collocati nel loro posto;• Esco.

QUESTO Rituale è UN GRANDISSIMO AIUTO CONTRO IL BURN-OUT.

So sempre quello che ho fatto: con questo posso sempre organizzarmi bene e sarò sempre attento al lavoro che devo svolgere…EC: Tu dici che il Rituale è fondamentale contro il Burn-out9…?PP: Si È un buon rituale. Prima di affrontare un dolore, devo prima imparare ad uscire. Per la magia nera p.es.questo è il primo comandamento: Prima di entrare in casa devo sapere come uscirne! Poi ci sono dei modi di prestare attenzione a tutti i sensi ella Persona:

• Stare attenti facendo il letto. Si deve tirare bene le lenzuola affinché non ci siano delle pieghe, perché potrebbero fare male alla pelle. Sono piccole cose, ma importanti;

• guardare che la luce non vada negli occhi; • che i rumori non disturbino;• che l’odore nella stanza sia piacevole per il moribondo;• per quanto riguarda la bocca: che possa avere l’acqua;• che possa, gustare le cose;• cioe’ che il moribondo possa gustare la giornata in tutti i sensi con tutti i sensi: vista, udito,

olfatto, gusto,tatto; per questi gesti non devo avere né il permesso del medico, né dell’infermiera: ognuno lo può fare, l’ importante è che il corpo si senta bene, facendo uso dei cinque sensi.

Qui abbiamo una grandissima creatività a disposizione.

EC: …E’ carino ciò che hai detto: “che possa - la persona/il paziente - gustare la giornata in tutti i sensi e CON TUTTI I….(risata di entrambi) I SENSI…..C’è il tema del PIACERE: c’è una Cultura per cui se si è in Ospedale si soffre, nel senso che si deve solo soffrire: c’è quasi un TABU’: da un lato viene detto alle persone: “Comprate, spendete soldi, soddisfate i vostri desideri”.Poi, quando si va in certe strutture sembra che il tema del piacere sia…tabù…PP: … cosa succede, quando uno va in una stanza tutta sterile? Vede solo la malattia, il dolore. Allora il suo inconscio sveglia situazioni di dolore del suo passato. Se la stanza è curata bene, anche con quadri, possono essere svegliati altri ricordi: allora è gia più piacevole entrare in quella stanza.Soltanto un piccolo fatto, nella camera mortuaria a Merano. All’inizio hanno messo delle tende nere intorno ai muri. Le finestre coperte con dei teli neri e bianchi. Quando entri in una stanza dove c’è un morto, dove c’è un tuo caro, che reazioni puoi avere? Già sei triste, vedi ancora questa tenda triste…diventi ancora più triste… Allora cosa abbiamo fatto? Abbiamo tentato di mettere la croce: ma anche la croce già in se stessa ricorda il dolore…allora abbiamo tolto la croce e un infermiere ha dipinto la situazione in cui Abramo va via da Caldea (riferimento biblico): dove la gente dice: “Rimani qui…non andare…”, mentre Abramo è già oltre il muro, che va nel deserto…verso il sole: questa è in fondo la situazione che è lì presente, una persona che ci ha lasciati e noi ancora non siamo capaci di lasciarlo andare…vogliamo che, vorremmo che… rimanesse con noi, questo messaggio è riposante per le persone che stanno li dentro, anche se devono vestire o lavare la Salma, adesso l’Ambiente è diventato certamente più accogliente, perché fa vivere quel messaggio…EC: ..al posto della tenda nera e bianca cosa è stato messo?PP: …abbiamo messo una tenda beige; perciò adesso l’ambiente è meno tetro.Le modifiche non sono ancora finite. Fuori, prima di entrare nella Camera Mortuaria nel cortile dietro, vi erano anche dei rifiuti, ma questo può essere avvertito che anche il morto sia come un rifiuto da gettare via; allora abbiamo messo una Pietà: una Madonna, ancora grezza di fattura, fatta da uno scultore giovane. La Pietà esprime una sofferenza non ancora elaborata. L’espressione della Madonna ribadisce il duro dolore di quando si è appena perso una persona cara. Quello che i Parenti e gli amici 9 Burn-out: letteralmente scottatura, rovina. Nelle Professioni sociali corrisponde al “Collasso motivazionale”.

possono provare nel loro cuore prima di entrare nella Camera Mortuaria. …. “Non sono solo nel mio dolore. Lei mi aiuterà perché ha sofferto come soffro io ora. …”Viene inoltre data la possibilità di vestire il proprio caro…magari con i vestiti che più amava.E: Quello che mi viene in mente è ciò di cui parlavi all’inizio, e cioè di come - per l’accompagnamento della persona Morente e non solo di essa – fosse importante la sensibilizzazione di tutta la struttura, cioè il coinvolgere tutti, compresa la famiglia, anche se facevi un discorso un po’ più complesso: era un discorso sociale, politico - più grosso, se vogliamo – però, indubbiamente, se all’interno di una Struttura, i Responsabili: i medici ed altri hanno un tipo di Formazione c’è una sensibilità maggiore.Adesso stavamo parlando della Tematica dal Basso, cioè il tipo di attenzione che gli operatori possono avere per Morente. Facevi riferimento ai dettagli operativi…A me viene in mente ciò che dico a Scuola sui CINQUE SENSI: quando tu parlavi di stare attenti alle pieghe delle lenzuola del letto, alla luce negli occhi, ai rumori, agli odori, al gusto, all’acqua…cioè l’attenzione alla persona…Cioè dimostrando attenzione alle cose pratiche dimostra attenzione alla persona…l’attenzione alla persona in tutti i sensi…PP: Sì. voglio mettere al centro la persona. Uso il metodo degli innamorati10, consiste nell’assumere il ritmo respiratorio del moribondo e mettermi in sintonia con lui, questo mi fa già sentire un po’ come potrebbe percepire se stesso.EC: Cioè tu dici: “Se io vado al capezzale di una persona morente ed entro in sintonia col respiro...sento, posso percepire lo stato d’animo altrui oppure…?” PP: Sì, Respirando in sintonia creo un’atmosfera personalizzata nella stanza, diciamo creo un’atmosfera di giusta accoglienza, dove il Moribondo con i suoi ritmi, non i nostri, è al centro della nostra attenzione…EC: …cioè, anche se il Moribondo ha un respiro affannoso, poniamo…PP:… Allora il ritmo del mio respiro si mette in armonia con il suo: come in un coro che canta a più voci, e le diverse voci creano insieme un’armonia.EC: …cioè tu dici: se il moribondo ha una frequenza…un ritmo rapido, praticamente uno ci va un po’ sopra per poi portarlo ad un Ritmo più lento?PP: Si,…anche questo è possibile.EC: Se tu abbassi (???)PP: Se lo fai lentamente ed hai pazienza può succedere anche questo.EC: …questo significa che c’è sintonia, sennò non verrebbe dietro a te ?PP: Si, esattamente ! ! !EC: Infatti è molto bello, interessante…direi anche molto di più.Tu parlavi che nella vita gli Innamorati sono in sintonia, come del resto dicono le stesse persone che stanno bene insieme: Allora sintonia significa avere la stessa Frequenza…?PP: Non ho più bisogno di tante parole…EC: Ed un’altra cosa ancora: tu parlavi prima dei colori della camera mortuaria: Sintonia sono delle Frequenze ed i Colori hanno delle Frequenze. Ogni colore ha una frequenza diversa dall’altro…Quindi, in un certo Senso… Tutto Torna…: i Colori, il Respiro…PP Certo, però quando respiro con una Persona al suo stesso ritmo , allora sento – anche senza che lei mi dica qualcosa – in che stato d’animo si trova…: se é’ angosciata, se è arrabbiata, se vuole essere lasciato in pace, se è depressa.Se sto attento lo posso verificare ! ! !EC: Cioè tu dici che Stando In Sintonia Col Respiro Altrui, ad un certo punto hai una sensazione e quella sensazione tua è la stessa del paziente?PP: Sì ! ! !EC: Infatti un problema che mi diceva oggi un’allieva e che riveste un certo interesse è questo: “Ma se io sto troppo attenta – si parlava di pazienti dementi – non rischio di diventare “demente” anch’io?”10 E’ noto che due innamorati, senza accorgersene, finiscono per “respirare insieme”.

Allora poi ho citato te….Ho detto che tra l’altro …”nei corsi che fate con Padre Peter, lui ribadisce di accompagnare la Persona Morente…fino ad un certo punto e poi tornare indietro…” Giusto?PP: …Sì …di solito pensiamo che accompagnare voglia dire darci la mano come due innamorati. Questo è l’accompagnare da parente: quando io stesso sono toccato dal dolore dell’Altro, perché è un mio familiare, un mio caro…allora vado insieme, mentre nel mio accompagnare – riferito alla professione - io sono rivolto sempre verso la mia vita, mentre l’Altro cammina davanti a me, cosi che io lo possa osservare ed aiutare in qualsiasi momento. Ma cammino vicino a lui solo per un pezzo di strada, diciamo 10 minuti, dopo lo lascio e torno alla mia vita personale.…Lui continuerà il suo percorso e io tornerò alla mia vita…Perciò stò solo dei momenti insieme, dei minuti, mezzora e dopo io torno, esco dalla sua vita per tornare alla mia…Ossia SONO RIVOLTO VERSO DI LUI, ma NON CAMMINO accanto a LUI !!! Io l’accompagno, mentre se sono toccato CAMMINO CON LUI, e può succedere che io non riesca – ad esempio se sono un’infermiera – ad accudire mia madre, perché sono troppo toccata dal dolore per lei…Un medico non riesce ad operare sua moglie, perché dice “Non ce la faccio…”, perché ha troppi legami, mentre il nostro accompagnare m’insegna e mi dice di essere sempre rivolti verso la nostra vita.EC: E infatti a quel Convegno di cui accennavamo prima – quando si parlava dei medici e della difficoltà nel fare la diagnosi giusta, del problema del fare la prognosi – è stato detto come è curioso che i medici curanti di riferimento fanno una prognosi d’aspettativa di vita del paziente, molto più lunga di quella fatta dai colleghi che non hanno in carico il paziente: cioè chi è coinvolto fa degli errori, in questo senso il medico direttamente coinvolto crede che possa vivere più a lungo…PP: Proprio così, i parenti non vedono che sta morendo il loro caro !!! Mentre l’operatore esterno che lo accompagna lo vede chiaramente!!!EC: Sì, addirittura neanche il medico curante…PP: Dipende dal Medico, se accetta la morte o non la accetta!!!E: E’ questo il problema!!! Tu sai bene, meglio di me, che il medico forse fa più fatica ad accettare…(la morte)PP. …Noi a Merano ci siamo accorti, studiando su come portare le cure palliative nella Terapia Intensiva, che ogni Medico vive nel suo mondo, quasi isolato… e perciò è molto difficile, per il Paziente, per il Personale ed anche per i Parenti, poter parlare con loro: se un giorno parlano con un medico ed un altro giorno con un altro, non riescono quasi a capire cosa stia succedendo. Allora ci siamo detti: “Se vogliamo aiutare dobbiamo aiutare i Medici a trovare una base comune e farli entrare in sintonia fra loro…EC:A proposito, mi riferisco ancora a quest’ultimo Convegno, ma sono temi che ritornano sempre – quando si riferisce la prognosi a Paziente: chi deve essere incaricato per questo compito? Il medico? Lo Psicologo? Il Paziente impiega diverso tempo per decidere a chi; dei molti Operatori, fare la fatidica domanda “Come Sto?”, quando ancora non sa nulla della prognosi.Ed è stato detto, sempre allo stesso Convegno, come sia importante all’interno del reparto ,che ci sia un medico o un responsabile che informi tutti gli operatori.PP: Dobbiamo fare anche i conti con l’oste, perché il paziente che è toccato da questa verità deve vivere questa verità, e di solito possiede anche un meccanismo di rifiuto, cioè: vede solo quello che lui vuol vedere o sente solo quello che vuol sentire ! ! !EC: Mi dicevano che ci sono dei Pazienti che accettano, come dire, che sanno già, stanno già sentendo di morire, stando alle varie Fasi descritte dalla Kuebler-Ross. PP: Attenzione, ripeto, anche se il medico dice: “l’abbiamo già detto al paziente…” io devo verificare cosa ha capito la persona, e a certi pazienti, anche se è già stato detto: “lei sta morendo!” …Loro non l’hanno sentito ! ! ! ....perciò bisogna stare molto attenti a capire ciò che il

paziente ha compreso.11 Accettare un cammino può essere abbastanza lungo…Finché uno non si renda effettivamente conto di come stanno realmente le cose.EC: Dunque la questione è quella del “Dire la Diagnosi” e “Controllare/Verificare cosa effettivamente il paziente abbia capito”. Credo che vi siano dei SEGNALI: ad esempio il Paziente che si gira dall’altra parte, che cambia discorso, esprimendo un rifiuto di ciò che gli viene detto; l’importante è dunque VEDERE QUESTI SEGNALI .Un’altra cosa, come si diceva prima e come dicevi tu riguardo all’Informazione, se ho ben capito dovrebbe coinvolgere TUTTI, così all’interno del reparto sia agli infermieri, sia gli OSS o chiunque si possa relazionare col paziente, risultano informati ed aggiornati.Non solo, ma inoltre bisognerebbe sapere se il paziente è stato informato o meno.PP:.. Solamente si deve stare attenti a non entrare dicendo: “poveretto”…EC: Si, è molto importante sapere se gli è stato detto, oltre a verificare se l’ha capito. Perché è inutile, se il Paziente chiede “ma io come sto?” rispondergli “un po’ meglio! ”; poi magari il paziente si rende conto che i parenti vengono a trovarlo meno spesso…cominciano ad evitarlo…lui, probabilmente capirebbe subito l’aria che tira!!!PP: Sì, io devo controllare queste domande:

• ha bisogno di verificare quello che sente? Il moribondo fa spesso domande per verificare se quello che sente internamente corrisponde alla verita; perciò chiede a me la verifica: ad esempio “io mi sento cosi’, e’ vero questo????

EC: Se chiede la Verità, vuole effettivamente la Verità ? O no ? O Forse ? O non sempre ? PP: …silenzio…si e…no dobbiamo sempre stare attenti in che modo egli la chiede ? …La maggior parte dei nostri pazienti sono degli slalomisti che fanno fatica affrontare la verità: allora devo stare attento quando dico loro questa verità, gli devo mettere sempre vicino un aiuto.EC: Ma se un paziente ti chiede “Sto morendo ?” Secondo me se c’è un paziente così diretto è uno che vuole la verità ! ! !PP: NO ! ! !EC: NO ? ? ?...Dipende come lo dice?PP: Mi ricordo di una persona che mi diceva spesso: “Padre, vorrei morire !”…Me lo ripete un mese…due mesi…finché un giorno dissi: “Signora, se veramente vuol morire io celebro ora la S. Messa per chiederle una BUONA MORTE ,tra un quarto d’ora lei potrà partecipare in TV (circuito interno dell’Ospedale) alla S.Messa celebrata apposta per lei, e se lei veramente lo vuole, io l’AIUTERO’ in questa preghiera!!!!“Ah no padre, io non voglio morire, io voglio di nuovo camminare…! ! !” Perciò - la frase della signora era da interpretare - “Se io non posso più camminare, allora vorrei morire!!!” dice soltanto metà frase “Io voglio morire!!” e non mi dice l’altra metà della frase, perciò chi mi parla spesso del voler morire mi obbliga a pensare a questa signora e mi dico: devi verificare…EC: Parlavamo del discorso sulla verita’: da quello che tu dici si deduce che il paziente può essere un po’ ambiguo. Da un lato può dire un si’ che è un no, oppure una mezza frase…PP: L’importante per me è sapere se lui è abituato ad affrontare la verita’ e in che modo ? Comunque devo dargli la possibilità di far pian piano crescere in lui questa verità.EC: A me è successo una volta, che ero andato a visitare il papà di una mia amica, lui ammalato di polmoni, mi disse all’improvviso, fuori dall’Ospedale: “LEI LO SA CHE STO MORENDO ?”Quando lui ha detto questa cosa, era già consapevole: cioè bisogna distinguere quando il Paziente sa già…PP: Io mi parlo in questo modo: “ Perché me lo chiede ? ...cosa vuole sentire da me ?Io non gli posso dire “tu stai morendo, perché io non sono il medico, non conosco la sua situazione, ma se avesse bisogno del mio aiuto ? Io sono qua, posso fare qualcosa per lui ?

11 Si vedano i vari testi della Elisabeth Kurbler-Ross e il capitolo di M. Barucci su “L’anziano e il problema della morte”, nel “Trattato di Psicogeriatria”

rispondo con una domanda per verificare quello che il moribondo mi vuol dire.EC: …e magari chiede che tu sia sincero ?PP: Per prima cosa, come ho già detto, devo verificare perché me lo chiede. Quindi, se sono un dipendente devo sapere se il primario, i superiori, o i familiari sono d’accordo di non dirlo, in questo caso io devo adeguarmi. Allora posso solo dire: “Questa domanda la devi rivolgere al medico” EC: Credo sia abbastanza dura anche per un Operatore o per un’Operatrice il fatto di sapere diciamo la verità o la diagnosi, e per qualche motivo questa non possa essere comunicata.Perché io so che in genere, bisognerebbe comunicarlo prima al paziente che ai familiari, salvo che…PP: Per la privacy? Quasi tutti i medici sarebbero davanti ai giudici, perché diciamo la verità, chi chiede al malato il permesso di parlare con i familiari? Il medico dovrebbe prima averne il permesso….EC: In effetti, il punto è che, almeno credo, riguardo alla parte finale della vita, pochi medici/operatori vengano indagati: hanno così tanta paura degli aspetti legali ! Credo proprio che indagati per qualche motivo ce ne siano ben pochi…PP: Io, sono anche contento che non sia così rilevante come nelle aree anglosassoni, dove veramente ad un certo momento il moribondo dice “Non voglio che si dica alla famiglia”…Allora può veramente succedere che lui diventi un Solitario. La Famiglia informata ha invece la possibilità di camminare insieme: almeno questo.La prassi da noi è diversa, ovvero: tutti i familiari lo sanno, tranne la persona toccata dalla malattia. Ci sono quindi due possibili situazioni:

• O lo sa solo il paziente e gli altri nooppure

• Tutti lo sanno fuorché il paziente.

EC: Io pensavo ad un’altra tematica…abbiamo visto che l’aspetto politico è fondamentale…visto che l’agire in modo adeguato in quest’ambito professionale riguarda diversi aspetti…PP: Io penso che se vogliamo cambiare qualcosa devono suonare tutte le campane ! Cioè tutta l’orchestra.EC: Io credo una cosa: l’ottica riguardo alla formazione degli allievi deve comprendere tutto il suo complesso, con i suoi status e i rispettivi ruoli…che poi sia tutta la struttura ad esserne coinvolta mi trovo d’accordo, però deve essere - su questo sono convinto – un movimento dal basso: se ci sono cento operatori ed ottanta di questi (anche molti meno) vogliono questa cosa, la otterranno, e quindi, come si dice, per cambiare una struttura devono cambiare gli operatori.Visto che noi ci occupiamo della Formazione degli Operatori: se c’è una meta, questa può essere vista dal punto di vista dell’Operatore come una MAGGIOR ATTENZIONE AL PAZIENTE…Per questo noi siamo qua, io per fare il mio lavoro e tu per altri versi il tuo !PP: Ovvero… l’Operatore si può chiedere, ma se tutto quello che mi serve manca, cosa posso fare…che possibilità ho ?EC: Magari provo a farti qualche domanda, come me le ero segnate: poi chiaramente alcune sono già state trattate…Io me le ero segnate così?

Come ci si può avvicinare al paziente, con quale spirito?

PP: Se veramente vogliamo aiutare un Moribondo DOBBIAMO VEDERLO QUASI COME UN FRATELLO UNA SORELLA…diciamo con lo Spirito di San Francesco…EC: Cioè la TEMATICA DELL’AMORE..! ! !PP: Si, perché l’amore ha l’occhio giusto e ha anche le giuste severita’.Per esempio, mi ricorderò sempre mia sorella quando io stavo allacciando le scarpe a papà, lei mi disse: “Questo e’ amore ?…Se tu lo fai, tra una settimana lui non riuscirà più a chiudersi le scarpe da solo!". Perciò l’amore verso il prossimo significa anche che io stia attento a quello che lui

riesce ancora a fare: devo rispettare la sua autonomia, anche se moribondo. Per questo devo avere delle giuste severità, affinchè egli non diventi mio schiavo ed io suo schiavo.EC: SI’, perché se sei mio schiavo sei in mio potere, COMANDO IO !PP: NO, Comanda lui, perché quando lui non riuscirà più a compire il lavoro che io gli ho tolto, allora lui mi chiamerà e mi vorrà sempre più vicino e avrà sempre più bisogno di me: e io sarò suo schiavo. EC: Avevamo detto prima alcune cose da fare quando si entra nella stanza p.es. : “Salutare”Ce ne sono altre tantissime…Diciamone alcune che diano la misura del Rispetto: Credo che se uno entra salutando, parlando a voce bassa…Ed inoltre cosa non fare, andiamo un po’ sulle ricette…quali errori non fare o cercare di evitare ? A me viene in mente “parlare a voce alta”…parlare come se la persone non fosse presente…PP: Devo adattarmi alla situazione. Sicuramente quando so che c’è un Moribondo non posso entrare scherzando…Inserisco la persona nel mio colloquio per parlare in stanza sua, ma se io voglio parlare su di lei e non con lei, devo farlo fuori della sua stanza. Si deve sempre sapere, p.es. se la persona è sorda (succede) allora devo parlare ad alta voce…(risata)… insomma adeguarsi, con rispetto, alla situazione.EC: E’ interessante questa cosa che dici: Allora, non entrare scherzando, nel senso che si sta già scherzando fuori e si entra ridendo, e questo non va bene !…A me è successo, quando stava morendo mio padre: ero presente quei giorni. Una sera è arrivata mia cugina da Trento a fare la notte: c’era mio padre ed a fianco un altro signore; io stavo andando via e lì dentro si è creata un’atmosfera divertente. Non so cos’abbia detto mia cugina – sarà che mia cugina piaceva al signore anziano a fianco – si era creata una bella atmosfera…PP: Se c’è dell’armonia, può esserci lo scherzo ed altro ancora, ma quello deve crescere nell’ambiente dentro…la stanza.

Se non ho osservato la situazione, non posso intervenire

EC: Come dire, uno che entra, cambia il mondo …PP: Devo prima entrare in quel mondo …e…E: Ed essere rispettoso di quel mondo… Una cosa che mi viene in mente: COSA NON FARE …Si diceva di non parlare a voce alta…a meno che uno non sia sordo.. E mi sono chiesto:

Se uno non sa cosa fare, cosa fare ?

PP: Salutare e chiedere: Come stai ?

EC: Forse siamo ancora alle domande della buona educazione …PP: Ma è una domanda importante questa, non è solo una questione di buona educazione tout court.EC: Sì, volevo dire che ce l’hanno già insegnato….Alla fine mi sembra di capire che sia una questione di AUTENTICITA’ DEL RAPPORTO, non c’e’ una domanda specifica; come fare un’anamnesi, una domanda giusta o una sbagliata. Cioè “Sono interessato a questa Persona?”…”Se sono interessato…spontaneamente chiedo come stai ?”PP: SI…in questo modo io posso intervenire, se io so come sta la persona, se dice “Io ho male”… devo prima Intervenire e curare questo male, poi posso fare altre cose ! EC: Un’altra domanda che mi ero segnato era:

Cosa fare con i propri pensieri ?

Per esempio il tema – al quale forse sono più interessato – e non è quello più facile…è…Cosa fare col malato che non parla, quando... ad esempio sta morendo ?Ci si avvicina alla persona e può venire questo pensiero “Sta Morendo!!”…e adesso?Un Operatore, magari viene preso dall’angoscia.PP: Devo prima vedere se quest’angoscia deriva dal Moribondo ! ! ! ? ? ? Oppure ha a che fare con la mia vita ? EC: E come faccio a saperlo ? …Non è facile !PP: Se io, entrando non ho quest’angoscia, ma dopo vengo preso dall’angoscia, allora significa che c’è un' ANGOSCIA nell’AMBIENTE…Allora magari dico “Sento molta tristezza oggi in questa stanza… è triste”… Esprimo il mio sentimento e cerco subito delle conferme.EC: Se io entro “normale”, come stato d’animo e dopo ho questa sensazione, la comunico verbalmente ? E con un paziente che non parla ?PP: In questo caso posso rivolgermi al suo sguardo, al suo comportamento, diciamo alla Comunicazione non-verbale (CNV).EC: Se è IMMOBILE ? La faccenda si complica.PP: Lo stesso: io posso sentire com’è internamente…Allora io uso il respiro12 , per mettermi in sintonia con loro, per comunicare con loro nel linguaggio del sentimento.Qunte volte si dice: “L’ho sentito”. Qui si usa il linguaggio comunicativo usato nella pancia della mamma: I MORIBONDI LO USANO, LO POSSIAMO USARE ANCHE NOI…! !EC: Cioè?PP: Verifico il mio sentimento, e mi dirò, ad esempio “Lo sento che oggi questa persona non sta bene…non so spiegare in che modo…ma lo sento” E allora, dopo questa “comunicazione” comincio ad osservare.EC: Tu sei – se ho capito bene – in sintonia col respiro…PP: Col respiro… e devo imparare ad essere capace di credere al mio sentimento, ma non fissarmi strano. È un elemento in più che ho a disposizione. Così posso controllare se corrisponde a verità.EC: Supponiamo che giungano angoscia, tristezza o che vengano le lacrime, non so…PP. Allora verifico da dove derivano…dov’è la fonte? La fonte può essere il moribondo stesso, o un parente, o io stesso.EC: Mettiamo che tu sia al capezzale del moribondo –oppure mettiamo un Operatore/Operatrice – poniamo inoltre che non ci sia nessuno o al massimo nel letto a fianco ci sia un’altra persona: ipotizziamo questa situazione …Mettiamo ancora che tu sia solo col moribondo e che tu abbia improvvisamente questa sensazione di tristezza, di malinconia…PP Allora intervengo accarezzandolo e parlando con dolcezza e solo dopo averlo accarezzato posso “sentire” se l’atmosfera intorno è cambiata.EC: Siamo – se ho capito bene – al solito tema, “solito” tra virgolette; nel senso che è il TEMA DELL’AMORE, ancora una volta, mi sembra di capire… che se ho l’angoscia, o tristezza, o mi vien da piangere – ma prima di entrare in stanza non avevo questo stato d’animo – allora capisco che ha a che fare col paziente…PP: …Due possibilità:o è lui che risveglia in me questi sentimenti, o ha da fare con lo stato d’animo del paziente, perciò verifico con cosa ho a che fare.EC: Non è sempre semplice questa cosa ! PP: Devi abituarti ad inserire queste possibilità nel tuo bagaglio d’assistenza! Devi farti delle domande: la persona mi sta a cuore? Assomiglia a qualcuno che conosco? È così!? Allora il morente ha risvegliato delle situazioni del mio vissuto?EC: Diciamo che questo è un punto nodale: serve un’esperienza di autosservazione, di autoanalisi e direi anche di guida nel riconoscere e discriminare questi aspetti. Esiste questo meccanismo che può essere di introspezione? E’ materiale del paziente o è materiale mio ? Però, mettiamo che uno entri con buono spirito…

12 Si cerca di assumere lo stesso ritmo respiratorio del paziente, per avvicinarsi il più possibile al suo modo di essere, al suo modo di vivere in quel preciso momento.

PP: Può anche essere il modo in cui uno muore a cambiare il mio stato d’animo, o una morte che non vorrei accettare che mi mette in difficoltà, allora ha a che fare con la mia vita. EC: Tu vuoi dire che uno può entrare nella stanza e aver uno stato d’animo normale – diciamo – e dopo un po’ che è dentro cambia e allora questo cambiare…PP: …può darsi sia qualcosa che è stato svegliato/toccato, che può aver a che fare con la sua vita, col suo vissuto; perciò questo è da verificare…EC: L’esempio che tu hai fatto prima , quando dicevi – non so se parlavi dell’accarezzare o altro – se cambia il respiro del paziente o cambia l’atmosfera…è il tema dell’Amore, ancora una volta, cioè…PP: Amare il prossimo come se stessi, è la formula magica.EC: Se funziona, è il TEMA DELL’AMORE – al di là di che domanda fare, che azione fare …PP: L’’amore ha la capacita’ di lasciare maturare la situazione finché si è pronti a lasciar andare (morire)la persona. Percio’ per me una buona morte e’ dolorosa, perché c’e’ l’amore per la persona che ci lascia ! ! !EC: E’ dolorosa per chi sta vicino?PP:Se tu ami, quando ti lascia una persona cara e’ sempre doloroso.E: Se uno avesse il pensiero “NON CE LA FACCIO PIU’…SPERIAMO CHE MUOIA ! ! ”...Lo trasmette in qualche maniera non-verbale ? PP: Allora devo verificare cosa mi preoccupa. Poiché il moribondo può sentire questa mia difficoltà e sicuramente deciderà di morire in attimo, quando non sarò presente, dato che sarebbe troppo doloroso per tutti due.EC: Mettiamo che ci siano familiari che da tanti anni hanno in casa un paziente…Probabilmente non ce la fanno più fisicamente, psicologicamente, non hanno più una vita propria…PP: Allora, in questo caso si deve trovare una soluzione che vada bene per tutti. Prima che una persona scelga la morte come fuga, meglio trovare un'altra sistemazione. Potrebbe esserci un altro ambiente? Comunque devo verificare il problema e vedere se e come posso risolverlo.EC: Senti…chiudiamo qui, per oggi? Magari se sei d’accordo possiamo lasciarci un altro incontro…PP: SìEC: Magari per toccare le tematiche sie dell’Operatore sia del punto di vista del paziente.PP: Sì, sì, va bene!EC: Va bene. Intanto GRAZIE.

Colloquio/Intervista

Con

PATER PETER GRUBER

Merano, 29/06/2006

2° PARTE

Intervista a cura di Elio Cocciardi

INTERVISTA A PADRE PETER del 29/06/2006

(continuazione dell’intervista del 28/11/2005)

…in fase di preparazione dell’intervista: telecamera, carte,ecc….il discorso ricomincia in modo non dettagliato, come se non fosse mai stato interrotto…

EC: Precedentemente dicevi che le cose importanti da fare quando si entra in una stanza sono: salutare, dire chi sono, quello che voglio fare e salutare tutti i presenti.Possiamo ora riprendere il filo del discorso per poi andare a trattare la parte che riguarda gli studenti e gli operatori: cioè sul modo di approcciarsi al paziente e su come il paziente può vivere la relazione.Allora possiamo riprendere dal punto in cui tu avevi detto: “Io so quello che c’è da fare”.Gli studenti ne sanno poco quando si parla di queste cose, a meno che qualcuno non ne abbia avuto esperienza diretta. Il tema è molto grosso, per cui…PP Prima di entrare nella stanza devo conoscere il lavoro che devo svolgere. Ma, soprattutto devo saperlo fare…e bene.EC: Ad esempio, se tu vai per la prima volta in una stanza in cui ti hanno detto che c’è una data situazione, ma non meglio definita…PP Entro ed osservo la situazione.EC: Prova a fare un esempio, se ti viene in mente…PP Per esempio, se io non ho nessun’informazione, ma devo entrare per forza, allora uso un rituale: il rituale del nome. Non posso intervenire, se non riesco a dare un nome alla situazione, cioè a definirla. Ad esempio “lui ha sete”: se io non riesco a capirlo, non gli darò mai da bere; se io entro e vedo che lui sta allungando il braccio per prendere un bicchiere e non ce la fa, dare il nome alla situazione che mi si presenta significa individuare precisamente la necessità presente in quel momento, ovvero che questa persona ha sete e vuol bere e non riesce ad allungare il braccio per prendere il bicchiere…Allora il mio compito viene definito proprio dal rituale del nome ”Questa persona ha sete e vuole bere”. Quindi individuato il nome della situazione posso dare una

risposta adeguata. Nel passo successivo, io devo dirmi “E’ mio compito?”…Se la risposta che mi do è “sì”, allora io vado li e lo aiuto affinché lui possa bere.EC: tu definisci “Rituale” il fatto che…PP: Dare il nome alla situazione mi permette di sapere se questo è il mio compito o se devo chiamare qualcun altro. La persona respira male... io entro e osservo... io non sono un’infermiera, non sono un medico. “Vedo respirare male la persona” è la mia definizione, ma io non posso intervenire, perciò devo uscire e chiamare un’infermiera o un medico affinché intervengano loro.EC: Io facevo un po’ fatica a capire quando tu parlavi di “rituale”. In quanto in genere lo si usa nelle “cose” della Chiesa o di tipo religioso, in cui c’è una sequenza di cose da fare…PP Noi usiamo infatti nella vita quotidiana tanti “rituali”: quando ti alzi la mattina, quando ti lavi, quando lavori, tu usi rituali. Vedili come un percorso standard. Stiamo male se nelle nostra giornata saltiamo qualche nostro rituale quotidiano.EC: Quindi in riferimento a quando tu entri nella stanza e trovi il paziente che ha sete oppure no, lo percepisci, e se ho capito bene, quella situazione ti obbliga ad una serie di azioni in una data sequenza?PP: Solo un’azione: dare un nome alla situazione. In quel momento, quando sei riuscito a dare un nome, sai già, se devi intervenire tu o devi chiamare un'altra persona. Cioè hai individuato chiaramente la natura del problema.EC: Il concetto di “Ruolo”.PP Questo è molto importante per conoscere i limiti in cui devo operare. Entrando ti rendi conto della situazione, per es. la persona vuol bere... io lo vedo. Prima di agire però devo controllare, se c’è un biglietto di divieto di bere. Sbaglierei dandogli dell’acqua leggendo il divieto, esulerebbe dai miei compiti. EC: Ma, ad esempio, se il paziente muove la mano oppure ha le labbra screpolate è un conto, ma se il paziente è immobile (avendoti visto, come dire, all’opera) sei tu che compi, diciamo così, l’osservazione e stabilisci il nome e il rituale da seguire.PP: La prima cosa che devo fare è osservare…EC: Facciamo un esempio: io ti ho visto fare, in un momento di fase terminale di un malato, che tu avevi preso la persona, ti eri messo da un lato ed io dall’altro e lo avevi preso sotto i polpacci, poi sotto le cosce…è questo che chiami un rituale ?PP: In quel momento abbiamo usato il rituale della tecnica di Healing Touch. Un rituale mi aiuta ad affrontare meglio una situazione. È come una guida, un sostegno.EC: Quindi, un esempio è quello della “sete”.PP: Soltanto devo osservare se c’è il divieto di bere, ovvero esistono dei limiti nell’esplicare il rituale previsto dal nome della situazione.EC: E un altro “rituale” quale potrebbe essere?PP: Ad esempio se il paziente“respira male”. Il rituale del nome (ovvero della definizione del bisogno) mi dice che sta respirando male. Controllo, se ha l’ossigeno o non l’ha. Posso mettere l’ossigeno, se la cannuccia si è spostata, ma devo comunicarlo al responsabile, se vedo che il respiro affannoso continua. EC: Quindi questo è un intervento di qualcun altro…PP Si, un conto è se entro perché devo svolgere un’attività prevista: ad esempio, devo fare il letto o devo cambiare la cannuccia o devo portare da bere o dare da mangiare, allora svolgo un compito atteso. Diverso è se entro per accompagnare o stare insieme ad una persona. Devo prima sapere che necessità ha il paziente e per sapere questo mi avvicino con calma e cautela. Rispetto la parte intima del paziente, che si trova dall’anca fino al capo. Mi fermo prima all’altezza dell’anca e saluto la persona, se è possibile dando la mano… Osserva gli infermieri, quando entrano nella stanza per controllare la situazione, si fermano sempre all’altezza dell’anca.EC: Quindi più ci si avvicina alla testa, più…PP: Lì si trova la zona intima di una persona. Ci vuole più tempo affinché mi accetti. Osservare il paziente, io lo faccio sempre quando sono all’altezza dell’anca. Aspetto con calma il momento…

riflettendo e osservando la situazione. Lascio il tempo alla persona di accettare la mia presenza. Solo dopo, posso avvicinarmi di più. EC: Adesso sul concetto di “sentire quello di cui ha bisogno una persona”, qui ci sarebbe da…PP: Io per “sentire” uso il Metodo degli Innamorati…EC: …Cioè quello del “Respiro?PP:…Si, “respirando allo stesso ritmo, riesco a capire il suo stato d’animo”; posso capire se lui vuole essere lasciato in pace, se è arrabbiato, se ha paura, o se è depresso. Lo posso capire dal suo atteggiamento, respirando assieme e come lui, con il suo ritmo.EC: In genere noi ci accorgiamo si e no del nostro respiro, ma non è che stiamo sempre attenti a quello degli altri e se ci diciamo “adesso sono in sintonia” o meno, lo facciamo senza rendersi conto di come sono i nostri respiri. Quello però che tu mi stai dicendo è “Stare in Sintonia col respiro del Paziente”, per sentire ciò che sente il Paziente, una forma di empatia…PP: Sì.EC: Se io stessi male significherebbe che non sono solo io che sto male…Se sento che vuol essere lasciato in pace, non è dunque una fantasia mia, perché in realtà è come se facessimo parte di un unico sistema?PP: Io ricevo delle informazioni dal respiro, che mi dà la possibilità di osservare meglio la situazione. Se vedo che lui chiude gli occhi quando io mi avvicino, allora significa che vuole essere lasciato in pace, o se si sposta nel letto o il viso diventa più severo. Ho, in definitiva, una possibilità di osservazione in più.Osservando e respirando insieme ricevo delle informazioni in uno stato molto prossimo al suo. Queste informazioni però devono essere interpretate: devo vedere se sono coerenti tra loro, così mi aiutano ad osservare meglio la situazione.EC: Prova a fare un esempio, se ti viene in mente!PP: Ad esempio, entro in stanza e vedo che la persona ha un respiro che scende soltanto fino al chakra sacrale. Questo significa: “Io voglio essere lasciato in pace”. Questa è un’informazione che ho ricevuto dal respiro e ora posso osservare, avvicinandomi, se lui mi dà altre informazioni con il corpo. Per esempio, lui chiude gli occhi, il suo viso diventa severo, o lui con le mani cerca di respingermi o lui vuole spostarsi quando mi avvicino, queste informazioni coerenti tra loro, mi assicurano che l’informazione di “ vuole essere lasciato in pace” è giusta. Ora ho la possibilità di chiedere, nel caso che la persona sia in grado di rispondere, se gli do fastidio, se vuole essere lasciato in pace, o se vuole riposare. EC: Se il paziente parla siamo d’accordo, ma se non parlasse?PP: Allora devo osservare le comunicazioni del corpo, il viso, gli occhi.EC: Torniamo all’esempio di prima. Ciò di cui stai parlando è tutto legato al Non Verbale. Potrebbe essere anche che tu ti avvicini o che l’Operatore si avvicini e veda la respirazione fino all’ombelico (sacrale) e che possa essere interpretata come dicevi tu prima, come un rifiuto, di quel momento.PP: Proprio così. Osservo la situazione e se mi accorgo che il paziente diventa aggressivo, significa che sono troppo vicino. Può significare che vuole essere lasciato in pace o che non gradisce la mia presenza.EC: Potrebbe anche essere che tu ti fermi, per dire…PP: Potrebbe succedere che certi pazienti facciano fatica accettare certe persone “inadeguate”. Con personale ospedaliero ho potuto sperimentare “La dimensione dimenticata degli infermieri”. In quella particolare occasione dovevamo dire una preghiera e leggere un racconto ad una paziente immobile, muta e cieca. Un’infermiera tutta agitata e aggressiva si era avvicinata troppo. Non vedendola sentiva lo stesso la sua presenza e non la sopportava così vicina.EC: Era immobile, però percepiva…PP: Lei non poteva muoversi e ed era muta, ma percepiva.EC: Ma era una simulazione?PP: No, fu un’esperienza viva e vera. Non era una recita.EC: Ok

PP: …ed anche un’altra volta, ricordo, a Pesaro, una paziente si faceva avvicinare solo da due persone del gruppo: gli altri non li sopportava.Evidentemente dipende anche da chi si avvicina. Qui ci vuole infatti tanto “Esercizio”.EC: Siamo ad un tema interessante…qui più parlo con te…e più il campo si allarga…Stò pensando anche agli studenti…L’Esercizio…PP: Anche nella vita quotidiana succede questo. Ti avvicini troppo e l’altro si ritira. Prova con i bambini e ti accorgerai di questo meccanismo.EC: C’e un tema che mi stà a cuore. Visto che si parla spesso sugli Stati di Coma e sugli Stati di Coma prolungato. Cito una parte di un articolo tratto da un’inchiesta del giornale “Il Manifesto” del 22 aprile 2006 dal titolo “Tra vita e morte, affidati a nessuno” dove dice: “…i casi di coma persistente che degenerano fino allo stato vegetativo sono pochissimi in percentuale rispetto al numero dei ricoveri (da 3 a 5 per 100.000 abitanti - ? -) eppure sono in crescita. Sia perché migliorano le tecniche di rianimazione, sia perché la popolazione invecchia. Infatti sono proprio i malati vascolari (40%), gli anziani, oltre ai traumatici (21.9%), per lo più giovani, ad ingrossarne le fila….50% sono ricoverati per trauma da incidenti stradali, che colpiscono per lo più giovanissimi, il 25% da incidenti domestici, il 10% nel corso di attività sportive e l’8% sul lavoro.”Dice inoltre che mancano le strutture intermedie. “In Italia abbiamo almeno 2500 casi Therry Schiavo all’anno” annuncia il Sottosegretario alla Salute Domenico Di Virgilio. Sono tantissimi. Poi c’è il tema delle famiglie. “I veri problemi le famiglie devono affrontarli dopo il coma…Le statistiche ci dicono che su dieci (10) pazienti che si risvegliano, solo due (2) hanno problemi lievi. Gli altri restano gravemente dipendenti da persone o macchine.”“Una delle novità consiste in speciali unità di accoglienza permanente (SUAP) per soggetti in stato vegetativo o in stato di minima coscienza cronica. Circa 5 posti per 100.000 abitanti. E per il 30% di loro si conta sull’assistenza domiciliare.Riflettevo a cosa succede quando si parla degli Stati di Coma: ci sono diversi tipi di Coma ed inoltre, come dicevano in una trasmissione televisiva qualche tempo fa dei medici rianimatori, i protocolli italiani per definire il Coma sono diversi dai protocolli austriaci, ecc. Nei Convegni internazionali risulta inoltre che il confronto tra specialisti non porta assolutamente a risultati univoci sulla definizione di Coma e sugli esiti riguardanti i diversi tipi di coma.Il tema è questo: il paziente quando non è immobile, quindi quando dà dei risultati visibili, come quando ad esempio prendi la sua mano e lui te la stringe: vuol dire che una qualche forma di consapevolezza ce l’ha, tra l’altro proprio su questo non tutti i medici sono d’accordo e ciò la dice lunga sulla necessità di approfondire in modo rigoroso le tematiche attinenti quest’aspetto, quali la Comunicazione non-verbale (CNV) e gli Stati di Coscienza, tanto per cominciare.La domanda è: “Come si fa a capire se e quanto il paziente percepisce ciò che gli stà attorno?”Quando tu, qualche tempo fa proprio qui a Merano, chiedevi al capezzale di un paziente se avesse campagna: cosa vuol dire, che tu ti eri messo in sintonia col respiro ed hai avuto...non so come si possa definire…?PP:…Io percepisco delle immagini.EC: e allora tu dimmi se così ti va bene, “Non sono io, non è la mia vita. Sono io che tra virgolette entro in un “Campo Morfico” altrui… Però come si fa a capire se io faccio così (batto con le nocche delle dita delle mani sul tavolo, facendo un rumore abbastanza forte), se il paziente sente, se gli dà fastidio oppure se lui è in un altro territorio o stato di coscienza che dir si voglia?PP: Lo senti subito se tu ti prendi il tempo necessario. Per esempio una signora, che fece un mese di pratica in ospedale come assistente spirituale, dovette stare venti minuti da un paziente in coma. La prima volta dissi di avvicinarsi alla persona e lei si avvicinò subito, rapidamente.Però nella stanza sentivo una situazione molto tesa. In quel momento ero insicuro su chi fosse la causa, cioè se questa tensione venisse dal paziente in coma che stava nel letto o dalla mia collega

che si era messa accanto. Non potendo chiedere al paziente (in coma) chiesi alla mia collega: “Come stai”? Lei si sentiva male: Feci allontanare l’assistente dal paziente per poi, successivamente, avvicinarsi di nuovo, ma piano piano. L’atmosfera ora era di nuovo tornata accogliente.EC: Ma non potrebbe essere stato che lei si sentiva a disagio perché il paziente si sentiva male?PP No, la paziente si sarebbe sentito di nuovo male nel momento che l’assistente si avvicinò di nuovo. Invece la paziente rimase tranquilla. Importante è avvicinarsi sempre piano piano ad un paziente in coma.Sento, se sono sensibile, sento subito quando entro, se devo fermarmi o se posso andare avanti: questo lo sento e per questo sono convinto che quando non abbiamo più i mezzi di comunicazione normali che noi usiamo: parola, linguaggio non verbale, allora finiamo per usare il “Linguaggio del Sentimento”, quello che abbiamo imparato nel seno materno. E’ questo che usa il paziente in coma.EC: Tu non lo definisci né Verbale e neanche Non-Verbale, ma in altro modo ancora?PP: Sì, quello del Sentimento.EC: Però, io faccio un esempio: se io sono arrabbiato e faccio così (gesto con la mano a pugno): questo è linguaggio Non-Verbale.PP: Sì, ma si può anche percepire…in altro modo.EC: Sì, però è non verbale.PP: Sì, già il pensiero però può cambiare l’atmosfera.EC: Tu dici, anche al di là del movimento…PP: Sì, solo il pensiero può cambiare l’atmosfera…EC: Facciamo così. Se tu non vedi i miei occhi che si muovono, e non vedi nient’ altro, tu lo stesso puoi percepire…PP: Tu basta che pensi ora ad una cosa brutta…EC: Anche se ci fosse un pannello qui e tu non mi vedessi…Tu potresti sentire?PP: Se tu pensassi una cosa brutta “si restringerebbe” il campo energetico e questo si può “sentire” anche dietro il pannello.EC: Anche se fosse una cosa bella?PP: Allora il campo aumenterebbe. L’abbiamo provato facendo Healing Touch: io ero seduto sul lettino e dovevo prima pensare ad una cosa normale, il campo energetico era largo di qualche metro, tra i due e tre metri, allontanandosi lo si poteva percepire. Dopo dovevo pensare ad una cosa brutta, così abbiamo potuto verificare che il campo energetico si era effettivamente ristretto. EC: Si è ristretto cosa?PP: Il CAMPO ENERGETICO. Si sentiva anche la presenza di una certa “Disarmonia” e dopo, pensando ad una cosa gioiosa, si allargò fina a 8m.EC: Proviamo tra me e te, adesso, per esempio: tu dici che “si restringe” o “si allarga”. Come si può definire meglio tutto questo? Se uno ci ascolta a cosa deve pensare?PP: Metti le tue mani nelle mie mani. Ora pensiamo che ci vogliamo bene….(passa del tempo)….Adesso tu continui a volermi bene e io dico: “Io non ti voglio più, ti odio… EC: Io prima sentivo le mani molto morbide e quindi era molto piacevole…PP: E adesso?EC: Adesso le sento un po’ più dure…PP: Io non ti voglio ! ! ! Mi dai fastidio ! ! ! … Tu senti questo?EC: Ehh ! ! !PP: Ora cambio di nuovo il mio atteggiamento e dico: ti voglio bene ! ! EC: Anche emotivamente mi cambiano le “EMOZIONI”…ehhh. PP: Andarle a raccontare troppo in giro sembrerebbero cose un po’ strane.EC: …Sì, siamo su livelli molto sottili e quindi per un operatore non è facile “IMPARARE”ciò che uno impara nella propria vita e dalle proprie esperienze…PP: Sì, ma se tu fai questo: mi prende la mano e poi prende una pallina…(una specie di pallina da ping-pong che ha una piccola striscia di stagnola della larghezza di circa 1 centimetro circa che

passa per la circonferenza e che s’incrocia con un’altra fascetta, sempre della stessa larghezza, ma perpendicolare alla prima.) …Adesso tienimi la mano…e tocca questa parte qua, cioè la pallina… e mi dà in mano la pallina, che comincia subito ad emettere un suono continuo… EC: Cos’è sta roba…? ? ?PP: L’energia passa attraverso di noi …e viene rivelata dalla pallina sonora…EC: Dove l’hai comprata…alla Standa?

Si ride…

PP: Se c’è un gruppo, anche di venti persone, il fenomeno è analogo… basta che una persona si stacchi e il flusso s’interrompe…EC: Scusa, adesso è tra me e te, ma funziona anche viceversa?PP: Sì, io ti tocco o ci tocchiamo l’energia fluisce.EC: Queste cose qua (la pallina) dove si trovano?

Si ride ancora…

EC: Io so che agli studenti rimangono impresse anche queste cose così, non dico da Luna Park, ma… …dove l’hai trovata…?PP: Quando viene la nostra Insegnante dall’America te ne posso procurare una…EC: Al di là di tante parole io, ogni tanto, a Scuola prendo il nostro manuale e la lancio nel corridoio, con tutti i fogli che volano via, dicendo che questa, manuale, non serve a niente, perché “sento, percepisco” che loro pensano solo al voto, pensano all’esame: sento che hanno i pensieri sulla verifica, oppure sono stanchi o altro ancora…Insomma non sono lì con le loro energie psichiche, ma sono lontani, assenti…Perciò qual è il modo per gestire le proprie energie interiori…?PP: quando entri in una classe già senti se loro pensano male di te, perciò se non riesci ad raccoglierli, interessarli, l’energia non può fluire…EC: E’ quello che dico ! ...Però quando parlo di PERCEZIONI SOTTILI tutti capiscono che c’è qualcosa… Non si può barare nelle relazioni col paziente ! ! !PP: Ero a Laces dieci giorni fa. Una delle partecipanti al corso andò nei servizi. Uscita dalla stanza invitai le altre persone a pensare una cosa negativa! Rientrata le chiesi: “Come stai”? Ha sentito subito che qualcosa non andava. Già col pensiero riusciamo a cambiare un campo energetico. È importante con quale pensiero entro in una la stanza. Avvicinarmi ad una persona in coma che mi dà fastidio è sbagliato, perchè questa persona può percepire il mio sentimento.EC: Hanno fatto degli esperimenti in Giappone: hanno preso dell’acqua dal rubinetto; l’hanno congelata e poi hanno fatto delle foto, allora, se l’acqua era pulita venivano delle foto di cristalli, come i cristalli di neve; se era inquinata il cristallo era strano, deformato. Hanno preso dell’acqua inquinata, le hanno fatto ascoltare della musica di Bach, l’hanno congelata e quindi fotografata, bene, i cristalli erano come quelli della neve. Io non so quanto tutto ciò corrisponda al vero, o meno, però rimanda…tutto alle tue tesi.PP: Con la parola “Benedire” se detta con buon cuore diventa una vera e propria Benedizione, cioè apportatrice di bene; con la parola “Maledire”, invece, se detta con odio, diventa una vera Maledizione, cioè apportatrice di male. Noi non pensiamo mai quale potenza ha il pensiero nelle espressioni come “benedire” o “maledire” ! ! !EC: E’ tutto molto interessante, stavo pensando a ciò che c’è scritto su questi fogli (appunti per l’intervista, con alcune frasi/parole chiave inerenti i temi della Relazione d’aiuto), sull’ AUTOESPLORAZIONE, dove la persona guarda dentro di sé e cerca di capirsi e poi sull’AZIONE COSTRUTTIVA, stavo pensando anche al “benedire”: chiaramente queste cose richiedono un percorso ed un’attenzione, un’auto-osservazione sui propri sentimenti e su quelli altrui…PP: dobbiamo veramente stare attenti a queste cose, se vogliamo accompagnare una persona. È diverso se io entro solo per cambiare la flebo o la padella: allora sono solo delle azioni dove non

entro così in profondità nell’intimo con la persona; ma il paziente già sente, se io lo faccio con una certa gioia o se mi dà fastidio.EC: Perché si dice “Condivido”? “Con-divido”! Come Gesù che aveva diviso il pane.Senti, il tema iniziale, alla fine cos’è? Se non una condivisione? Il rapporto tra l’operatore, (non solo l’operatore chiaramente, ma i parenti, il familiare, l’ amico), ed il paziente, il moribondo? In fondo stiamo parlando della qualità di questo rapporto. In genere all’operatore viene detto “Spiega sempre al paziente quello che fai”; anche tu quando dici “saluto l’ambiente”, “vedo gli oggetti”, “saluto tutte le persone”, ecc. Si tratta di condividere tutto. Quello che dico spesso a Scuola è: “Comportatevi come se il paziente percepisse sempre tutto “ ! E’ quello che anche tu dici in fondo, comportarsi con una certa “Nobiltà d’animo”, cioè “Avere il cuore puro”…Quando tu percepivi che il paziente “Andava nei campi”, viceversa il paziente percepiva quello che gli avveniva attorno… o no? Non so se è una domanda troppo estrema?PP: Sono sicuro. Coloro che noi dichiariamo in “COMA IRREVERSIBILE” possono percepire! Un bambino di 11 mesi – in coma irreversibile –è venuto da Padova. Era mezzanotte. Non avevo nessun contatto con i genitori, non sapevo niente; e questo bambino mi fa “sentire” che vorrebbe che i genitori tornassero insieme e vengo a saper il giorno dopo che questi si erano separati.EC: Cioè tu percepisci…Ma come si era presentata questa…percezione?PP: Mi sono messo in contatto…emotivo.EC: E’ una specie di immagine visiva o…PP: Questa è venuta dopo; prima è stato il pensiero che sollecitava… Mi sono aperto…e…EC: Si tratta di “Altri stati di Coscienza”, di Percezioni che si possono avere solo in particolari momenti, o sotto l’effetto di droghe oppure possono essere presenti anche nei mistici. Possono essere immagini visive, emozioni molto forti…o cos’altro?PP: Di solito sono immagini visive, ma lo Psicologo, con cui ho lavorato, dice che possono essere anche CONCETTI.Potrei sentire solo delle frasi. Però in questo caso stò più attento, non sono più così sicuro, mentre nel caso dal bambino il primo pensiero chiaro era stato questo: “Vorrei che i genitori vivessero insieme”.EC: Cioè una specie di Pensiero e Immagine?PP: Questo però era Pensiero !EC: Sai perché lo dico? Perché altrimenti l’operatore potrebbe pensare: ”No, no, questa cosa è mia, non centra, è solo una mia impressione l’allontano e la butto via…”PP: Sì, capisco, ma dopo c’è stato un seguito: nel secondo pensiero il bambino si è come scusato…dicendo che non può realizzare il sogno della mamma (fermare la morte?); ma che vorrebbe però che il papà lo accarezzasse…EC: …A undici mesi???PP: Sì ! Perché aveva bisogno…tutti abbiamo bisogno di entrare in sintonia con le persone vicine e particolarmente care! L’interessante è stato che, quando io sono entrato nella stanza, con i genitori presenti, sono sempre andato prima dalla mamma, mentre la mamma mi ha sempre poi mandato da suo marito…EC: Cioè?PP: Io, entrando nella stanza sapevo che loro si erano divisi, ma per tutto quel periodo erano rimasti insieme, perciò il bambino è morto nelle loro braccia. La mamma era preparata (alla morte del figlio), perciò mi mandava sempre da suo marito, perché sentiva che lui non era ancora in grado di lasciarlo andare…EC: Ti mandava dicendo: “Vai ! ”, proprio a parole o…PP: Si, a parole …Cosicché ci sono voluti ancora tre giorni in più affinché anche il marito entrasse in sintonia con loro ed il bambino potesse morire nelle loro braccia ! ! ! Un altro caso di un ragazzo di dodici anni con Coma Irreversibile. L’ho visto sempre in una roccia, in una caverna dove c’era dell’acqua.

Dove c’è acqua, significa che c’è energia ancora. C’era un tubo troppo stretto dove il bambino non poteva passare. Interpretando l’immagine significava che lui non aveva alcuna possibilità di sopravvivere, ma neanche di morire. Questo era il suo messaggio. Abbiamo mandati via i tre fratelli per poterlo cambiare e mentre lo stavamo cambiando si vedeva che era venuta subito l’ora di “andare” , così sono andato in cerca dei fratelli, ma non li ho trovati, mentre i genitori erano ancora in viaggio per venire…Perciò lui ha scelto di morire tra le nostre braccia, perché il bambino sapeva che per i genitori ed i fratelli sarebbe stato troppo doloroso…essere lì presenti. Lui perciò ha aspettato…Tornando al caso precedente, il papà dall’angolo della stanza diceva: “Se Dio vuole prenderselo, perché non me lo prende subito? EC: Non ho capito!PP: Cioè, quando sono entrato, c’era il papà nell’angolo della stanza, la mamma accanto al letto e lui mi accusa subito dicendo: “Perché Dio non me lo ha preso subito ?”Il bambino invece ha aspettato finché ha ritenuto la situazione appropriata: il papà si era staccato dall’angolo ed è arrivato accanto a sua moglie. Ha aspettato finchè erano insieme, poi se ne andato! Non se n’è andato prima ! ! !Abbiamo pazienti in coma, dove si dice che non sentano niente, ma vediamo che se i parenti sono disposti a lasciarli andare, cioè se li amano e non li vogliono trattenere, allora saranno presenti anche quando loro moriranno. Invece aspetteranno finché sono via se sentono che i parenti fanno fatica ad accettare il passaggio! Oppure aspettano una certa persona… e tutto questo anche quando sono in coma ! Questo significa per me che loro possono sentire… in qualche modo. C’è un “Campo Energetico” o altro, comunque possono sentire tante cose ! ! !EC: Stavo pensando a quei casi di “Coma”, – citati dalla Kuebler-Ross – in cui dicono che sul lettino operatorio il paziente operato, dichiarato clinicamente morto, mentre i chirurghi hanno terminato e sono in corso le operazioni terminali, gli apparecchi di rilevazione dei dati del paziente (ECG, EEG,ecc.) ricominciano a rilevare nuovi dati…Poi, nei casi in cui il paziente sopravviva spesso succede che riferisce fatti e/o parole pronunciate dal personale durante l’assenza di rilevazione dei dati clinici oggettivi rilevabili con i macchinari. PP: Queste sensazioni si hanno quando escono dal corpo: “Questa è una tecnica che si può insegnare ! ! ! Questo non significa che uno è già morto. tante persona scambiano questo fenomeno con il morire. EC: Diciamo così: clinicamente è stato dichiarato morto, però a tuo avviso non lo è… Giusto? Cioè sono sensazioni/esperienze che possono far parte della vita quotidiana: io so, ho conosciuto anni fa un ipnotista che riusciva a far provare sensazioni e percezioni di visioni di se stessi dall’alto.PP: Può succedere alle donne con una forte emorragia, di essere catapultate fuori dal corpo.Oppure quando ci sono degli incidenti: quando con l’impatto al suolo della strada vengono catapultati fuori dal corpo, lì abbiamo queste sensazioni…I moribondi possono già entrare e uscire. State molto attenti quando hanno un viso – diciamo – doloroso e da un momento all’altro il viso doloroso sparisce può darsi che loro siano usciti dal loro corpo. Devono rientrare nel medesimo istante se io li tocco. Basta chiedere se hanno mal di testa, se si allora erano effettivamante usciti. EC: Interessante ! ! !PP: Quando faccio “seminari sul morire” può darsi che succeda …(sorriso…) che ogni tanto qualcuno esca dal corpo: e allora basta che io chieda se ha mal di testa, se è si, è uscito veramente.EC: Per me è facile…(sorriso)…per questo ho sempre le pillole per il mal di testa in tasca !

Risate

EC: Mi viene in mente un corso/seminario che ho fatto l’anno scorso a Bressanone sui “Campi Morfici”13, vi sono dei riferimenti interessanti con il nostro argomento: però è meglio lasciare questo ad altro momento.PP: Questo è un “Campo”, poco conosciuto. Si dovrebbe stare molto attenti quando si vuole accompagnare un moribondo. Si entra in una visione tutta differente, dove ci vuole tanta e tanta sensibilità…EC: Secondo me, credo, tu abbia una grande esperienza diretta oltre che ragionata su queste tematiche.A me quello che preme è che prima di andare su territori nuovi, uno, come dire, deve capire dove finisce il vecchio, per esempio, queste sensazioni di “Uscire” o di avere “Altre Percezioni” da noi vengono definite anche Psichiatriche, secondo canoni e modelli interpretativi di tipo psichiatrico. Se io dovessi dire che mi vedo dall’alto mi rispondono che sono “Fuori”. Invece queste sensazioni di cui parlavi tu, di percepire anche immagini altrui, possono far parte di noi stessi. Facciamo un esempio: se tu percepisci il campo di grano dov’è la persona morente, non è soltanto un’immagine che io prendo e butto via, tout court, ma la tengo e ci lavoro sopra.PP: Sì, io verifico sempre, metto, senza eccezioni, un’immagine mia sopra l’immagine percepita, per vedere se questa immagine va via…EC: Cioè,...nel caso del campo di grano?PP: Allora, io metto sopra l’immagine della mia stube, della mia stanza. Se appare di nuovo, significa che è un reale “Messaggio scritto ad Immagine”. Attento può essere che con te quella persona comunichi con la “Musica”. Io recepisco meglio un linguaggio ad Immagini, perciò a me viene sviluppata una comunicazione ad “Immagini”: solo che questa è un informazione in più. Non devo mai “fissarmi” soltanto su questo. Perché nel momento in cui io mi “fisso” sono “fregato”, perché perdo di vista la Persona.EC: E’ curioso come adesso si mischino questi discorsi con “Creativ Power” (vedi il riferimento ai “Campi Morfici”) con gli studi del Dr. F. Minister, che parla proprio di una cosa simile: cioè di come io, in uno Stato di consapevolezza, possa fidarmi di un’immagine, solo se quest’ultima è “Originale”, cioè se essa non appartiene all’elenco delle immagini della mia vita e della mia mente che io già conosco. Se so che l’Immagine è originale, allora sono in un “Campo Morfico”. PP Mi spiego meglio: quando in un Gruppo di Formazione e quindi di allievi, qualcuno compone un immagine, io “dialogo” solo con l’Immagine che mi ha disegnato e che poi ha presentato al resto del gruppo... EC: Fammi capire!PP: Allora… quando nel gruppo disegnano, nessuno è costretto a parlare della sua esperienza, ma io parlo solo di quella Immagine che viene presentata, perché Io Vedo l’Immagine, sento il Significato e percepisco se “Corrisponde”14. In sostanza l’allievo mi dà anche una chiave di percezione. ma se io mi fisso…e ogni tanto può succedere che “Ti Fissi”, allora trascini la percezione nella direzione “fissata”, invece che nella direzione corretta.EC: Come dice la Kuebler-Ross a proposito del Linguaggio Simbolico del Moribondo…PP: Io posso solo iniziare a lavorare con quelle cose che “il moribondo” mi dà in mano e non prima…EC:Faccio una domanda impegnativa, ma…stasera il discorso è molto interessante…Allora, se un allievo dicesse: “Io voglio imparare a diventare un bravo operatore e a relazionarmi meglio con il Paziente. Quali sono LE RICETTE o i PUNTI di PARTENZA, in particolare con queste tematiche?PP: I Punti di partenza…EC:Si, per fare un “Buon Minestrone”, come dici tu.

13 . Di “Campi Morfici” si parla, ad esempio, nei Corsi “Creativ Power”, studiati in modo approfondito dal Dr. F: Minister . I corsi intensivi si tengono a Bressanone, con Walter Sebastiani ed altri.14 . Carkhuff dove parla di Rispondere al Contenuto, al Sentimento, al Significato. In “L’arte di aiutare”, Erickson, Trento.

PP: IL PUNTO DI PARTENZA è che lui deve imparare ad ESSERE UMILE e SPIRITUALE. “Spirituale” significa che lui deve sapere entrare nel mondo della Spiritualità dell’altra persona; questo non significa diventare Cattolico o comunque molto Religioso, ma sapere che solo nel mondo spirituale un Uomo può incontrare un altro Uomo.EC: Però la Spiritualità è sempre una parola…difficile da spiegare; mentre per quanto riguarda l’UMILTA’…PP: La Spiritualità riguarda “in primis” la conoscenza della propria Anima, in profondità, attraverso la meditazione, attraverso la riflessione sui propri pensieri, attraverso il proprio percorso di vita, arrivando a percepire il senso della nostra essenza.Certo si deve leggere dei libri adatti per migliorare la propria conoscenza, ma non sono sufficenti i mezzi tecnici, è indispensabile il sentimento dell’Amore che unisce tutti gli Uomini per il solo fatto che sono Uomini. Se non c’è l’Amore, non c’è quella Forza che ci unisce! Si affronterebbe il moribondo con i mezzi tecnici, con una fredda tecnologia.. Sarà veramente difficile riuscire ad accompagnare Qualcuno, se non lo ami.…EC: Infatti mi viene in mente, di quando si parlava della Kuebler-Ross e di come a Scuola, parlando di questi argomenti, gli allievi mi chiedessero dei titoli dei suoi libri: con che interesse leggevano questi libri, questo vuol dire che anche in certe letture si può trovare il tema che ci può interessare, di come a scuola non si può imparare tutto. Quando uno ha voglia si mette anche extra scuola…PP Nel Seminario “Il Gruppo e il Moribondo”, io stò davanti ad un Moribondo per due giorni. Lo devo curare e devo far di tutto perché stia bene; e loro stessi possono vedere nel mio atteggiamento se quello che io dico è valido!EC: Non si può barare, insomma ! ! ! Chi è insegnante non bara, cioè può farlo, ma ne paga le conseguenze ! ! ! Subito !PP: Per me è come se io stessi in Ospedale davanti ad un Moribondo. se esco devo dire che vado nei servizi. se esco senza dire niente il Gruppo sta male, non capisce. Il Moribondo non sa cosa succede devo dire: “Guardate io esco per questo motivo, vengo subito! Devo informarli. Anche se loro possono uscire ed entrare, io no,io sono la Guida, io devo dire il perché.E questo è una delle tante cose, piccole o grandi, che possono accadere, e di esperienze ne faccio sempre, e sempre di nuove. Io so che ho sempre davanti a me un professore, cioè il moribondo… e lì imparo…e questo è il punto fondamentale; se io non ho voglia di imparare, non accompagnerò mai bene un moribondo, perché non starò attento a quello che lui mi “dice”.EC: C’è un concetto imperfetto di Formazione: come se ad un certo punto fosse finita, come se fosse qualcosa da riempire, invece non è così…Vale anche per me, e cioè man mano che insegno imparo qualcosa… non è mai finita. PP: Verissimo… quando scrivi una cosa ti mettono in croce e ti dicono “Lei l’ultimo anno ha scritto questo”. Si, è vero, “Ma questa era la polenta dell’ultimo anno, intanto io sono cresciuto e vi presento la nuova polenta”.EC: Diciamo che abbiamo messo un po’ di carne al fuoco questa sera, oltre al minestrone c’è pure la grigliata ! Senti, cosa facciamo, andiamo a berci qualcosa?...PP:…Io dovrei andare…EC: …devi proprio andare?PP: Ti va bene chiacchierare così?EC: Sì.PP: Perché parlando così si riesce a vedere diverse punti…EC: Sì, a me va bene così ! ! !PP: …Anche se dovesse rimanere solo tra di noi è già tanto…è stato interessante…almeno spero.

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