Colloqui di Architettura 1

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Colloqui di Architettura 1Sui fondamenti della composizionea cura di Raffaele Pugliese e Cristina Bergo

Questo primo volume della collana raccoglie la rielaborazione dei contributi al dibattito sviluppato negli incontri dei Colloqui di Architettura dei mesi di maggio e giugno 2012 nell’ambito delle attività del Dottorato di Progettazione Architettonica e Urbana.

In copertina: Particolare del Municipio di Hilversum di Willem Marinus Dudok, Hilversum, 1923-1931 (fotografia di Raffaele Pugliese).

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2014da DigitalPrint Service s.r.l. – Segrate (Milano)

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ISBN 978-88-916-0906-9

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C o l l o q u i d i A r c h i t e t t u r aCollana del Dottorato di Progettazione Architettonica Urbana e degli Interni coordinata da Raffaele Pugliese

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Coordinatore Luca Basso Peressut PhD Advisory Board Luca Ortelli, Christoph Grafe, Mark Pimlott, Hilde Heynen, Anne Marie Fisker, Carmen Diez Medina, Grahame Shane, Ed Wall Kingston, Nathalie Roseau PhD Board of Professors Luca Basso Peressut, Guya Bertelli, Marco Biraghi, Simona Chiodo, Andrea Di Franco, Immacolata C. Forino, Pierfranco Galliani, Carlos Garcia Vázquez, Luca Molinari, Laura Montedoro, Orsina Simona Pierini, Gennaro Postiglione, Raffaele Pugliese, Pierluigi Salvadeo, Giovanni Scudo, Roberto Spagnolo, Marco Vaudetti, Daniele Vitale, Fabrizio Zanni, Cino Zucchi Board of experts accredited to partecipate in teaching and

research activities Alberta Cazzani, Antonella Contin, Claudio Fazzini, Carlotta Fontana, Andrea Gritti, Marco Lucchini, Marina Molon, Gianni Ottolini, Santiago Quesada, Roberto Rizzi, Alessandro Rocca, Alessandro Rogora, Luigi Spinelli, Graziella Tonon, Michele Ugolini, Ilaria Valente

l presente testo è stato sottoposto alla procedura di valutazione e accettazione del doppio referaggio anonimo (double-blind peer review), in conformità con i procedimenti e i criteri definiti per la pubblicazione nella Collana.

Dottorato di Progettazione Architettonica Urbana e degli InterniColloqui di ArchitetturaCollegio Docenti

Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano20133 Milano, via Bonardi 3.

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a cura diRaffaele PuglieseCristina Bergo

Colloqui di ArchitetturaSui fondamenti della composizione

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Indice

9 Dei fondamenti della composizione architettonicaRaffaele Pugliese

19 Arte, Tecnica e Tecnica dell’Arte Domenico Chizzoniti

30 Ripensare l’architettura secondo certe esperienze artistiche? O, più radicalmente, riconoscere che anche l’architettura è una forma d’arte?

Pier Carlo Palermo

33 La città delle Muse. Urbanità/Convivialità della Net-City. La struttura dello spazio per i diversi e nuovi comportamenti contemporanei

Antonella Contin

51 Mettere in scena la città: il progetto urbano come metafora teatrale Pierluigi Salvadeo

57 Architettura e scena urbanaAndrea Branzi

61 Rogers Vs. Ponti. Ponti Vs. Rogers. Il retaggio della nostra Scuola Decio Guardigli

91 Architettura: arte del costruireMartina Landsberger

99 Architettura e tradizioneElio Franzini

103 Forme del paesaggio e forme dell’architettura: Il Palazzo di Diocleziano a SpalatoAngelo Lorenzi

113 Iconic Paysage, linee per una ricerca Matteo Poli

119 Il Palazzo di Diocleziano: archetipo architettonico tra storia, ermeneutica e nuovo realismoPierluigi Panza

129 Lo spazio degli interniCristina Bergo

137 Note biografiche

139 Fonti iconografiche

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Milano, Ca’ Granda. OggiUniversitàdegliStudidiMilano (AntonioAverlinodetto ilFilarete,FrancescoMariaRichini,PietroCastelli).

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Dei fondamenti della composizione architettonicaRaffaele Pugliese

L’architettura contemporanea in molte delle sue manifestazioni rispecchia il rifiuto di ogni regola in nome di una malintesa “libertà creativa” che, sostenuta dallo sviluppo della tecnica, riesce a fare a meno di ordinamenti stabili e a sfidare equilibrio e misura, rendendo spesso non vera la ricerca del “come” un’emozione possa essere rappresentata e condivisa. L’arbitrarietà delle forme oggi sembra inconsa-pevole del ruolo che alcune contaminazioni della pratica artistica hanno avuto nel conferire all’architettura autentici valori universali e trascura il fatto che la creazione umana (l’atto umano di realizzare quanto prima non c’era), nella scienza (ogni innovazione scientifica ha all’origine un atto creativo) (1) come nell’arte (ogni fare artistico è tale solo se sottoposto a disciplina scientifica) (2), è “un sogno fatto in presenza della ragione” (3). Complessità, pluralità, labirinto, de-costruzione, ibridazione, terreni vaghi, non luoghi, ecc., termini esibiti nelle narrazioni della cultura architettonica contemporanea, che, in assonanza con l’idea del “pensiero debole”, aprono a comportamenti informati al criterio della precarietà e accarezzano la pratica della rinuncia, invece di provare a governare il “labirinto” frutto delle azioni umane. Tutto ciò rende complesso il riconoscimento del senso e del ruolo dell’architettura nei processi di composizione dello spazio dell’abitare, confinando ad un ruolo marginale la teoria e le concezioni del mondo che hanno sempre orientato l’attività di progettazione dell’architettura. Lo stesso ruolo del progettista, in questi tempi confusi, si è modificato e frammentato a tal

punto da avere perso molte relazioni con la tradizione del costruire, della prassi e dei metodi progettuali. L’evoluzione del fare e gli sviluppi più recenti della tecnica sembrano aver reso inutile perfino l’apparato disciplinare dell’architettura, mentre al contrario la formazione degli architetti evidenzia la necessità di riscoprire l’importanza della teoria per ridare valore al progetto delle forme in rapporto alla loro capacità di interagire con i modi d’essere e di vivere, con le relazioni sociali, i costumi, le tecniche e i sistemi economici.La difficoltà di riferire le opere di architettura a teorie e modi d’essere testimonia di una specie di esplosione dell’arbitrarietà, erroneamente vista come assenza di razionalità intrinseca al fare degli architetti, alla quale danno un contributo decisivo le architetture “griffate” che risolvono il principio di coerenza nell’autorità mediatica dell’archistar, che impone come un dogma la propria “creazione” alla società. Tutto ciò si intreccia con gli indirizzi dell’economia occidentale che da tempo ha assunto l’innovazione e la crescita come condizione e come fine: una crescita della produzione illimitata, in un pianeta limitato (4).Sostenuta dalla potenza della tecnica anche l’architettura sembra avere fatta propria la finalità di realizzare opere sempre più condizionate dall’esigenza di risultare nuove e uniche, capaci di stupire e di fare spettacolo, sotto i riflettori della globalizzazione. L’architettura, nella sua attività di trasformazione della terra per l’abitare umano, ha sempre coltivato l’idea di competere con la natura, proponendosi come artefatto capace di destare

1. E=mc2 L’equazione che mette in relazione l’energia contenuta o emessa da un corpo, con la massa corrispondente e con la velocità della luce è il risultato, supportato da infiniti calcoli matematici, di un atto creativo che ha permesso ad Albert Einstein di dare senso compiuto alla sua ricerca.

2. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie è l’estrema sintesi dell’elaborazione poetica di Giuseppe Ungaretti che con esattezza assoluta di linguaggio, frutto di rigorosa ricerca, esprime l’incertezza e la precarietà del soldato al fronte e il senso profondo di quell’esperienza.

3. La definizione è del gesuita Tommaso Ceva ed è stata

riproposta da Giovanni Raboni per tentare di rispondere alla domanda “Cos’è la poesia?” nel saggio I sogni della ragione dove nasce la poesia, pubblicato in Corriere della Sera Cultura, 14 Dicembre 2003. Vedi più avanti testo e nota 26.

4. “Se è ormai riconosciuto che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, le conseguenze (produrre meno e consumare meno) sono invece ben lungi dall’essere accettate”. Latouche S. (2008), Breve trattato sulla decrescita felice, Bollati Boringhieri, Torino.

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meraviglia. Mai come adesso però essa è stata condizionata dall’obiettivo di conseguire il successo. Un fine destinato ad entrare subito in conflitto con “l’abitudine”, che rende invisibile ciò che dura, e la necessità di superare se stessi in uno spasmodico delirio di innovazione in cui l’architettura, veicolata dalla pubblicità, consuma con rapidità inaudita le nuove immagini, ormai quasi ad “obsolescenza programmata”.Per fare fronte al diffondersi di un’arbitrarietà che alimenta il piacere ultimo della trasgressione non autentica e fine a sé stessa, espressione di un mondo che ha mescolato a tal punto i meccanismi del desiderio da renderli inutilizzabili, è necessario riflettere di nuovo sui fondamenti disciplinari per ritrovare i valori di “sacralità” proprie della tradizione dell’architettura. Nel momento in cui la precarietà sembra imporsi come condizione, è necessario provare a delineare percorsi che aiutino a recuperare sicurezza e a non dimenticare che Dedalo sa come uscire dal labirinto che ha costruito. In questa direzione mi propongo di orientare nuove riflessioni sulla disciplina, sui suoi apparati e sul mestiere.

1. I geni del contestoLa complessità dell’architettura richiede di assumere le novità del nostro tempo con spirito critico, ma anche attento a cogliere ciò che caratterizza gli attuali processi di globalizzazione. Si tratta innanzitutto di tenere conto del fatto che le figurazioni stravaganti dell’architettura “spettacolo” rispondono e interpretano criteri di natura propriamente economica e ci ricordano che oggi l’architettura rappresenta il campo privilegiato in cui trovano modo di “pietrificarsi”, consolidandosi, i risultati economici delle attività finanziarie di rischio. La diffusione, nella gran parte delle regioni del mondo, degli investimenti in grandi manufatti obbedisce alla regola della frammentazione del rischio. Il prevalere del potere finanziario sul potere degli stati-nazione non lascia molto spazio alla possibilità di frenare la realizzazione di programmi di edificazione elaborati al di fuori delle necessità locali. È in questo contesto che dobbiamo cercare di

definire i temi e gli oggetti propri della disciplina, consapevoli della necessità di dover convivere con le contaminazioni che stanno uniformando a scala planetaria la nuova architettura.Le derive dell’architettura contemporanea sembrano confermare una specie di smarrimento delle ancestrali competenze umane di edificare lo spazio dell’abitare. Per questo si pone il problema di riconoscere come di appropriata pertinenza dell’architetto quei campi del suo lavoro che sono strettamente legati alla costruzione dello spazio della vita umana.Tutto ciò non per escludere quello che negli anni più recenti è diventato campo di azione dell’architettura - che spazia dal progetto di paesaggio a quello territoriale e urbano; dal progetto di costruzione a quello degli interni e dell’allestimento; dal design del prodotto industriale, a quello della moda e della comunicazione ‒ ma per provare a ridefinire il ruolo dell’architettura e degli architetti nella società contemporanea. È necessario domandarsi se il progetto dello spazio dell’abitare debba tradursi in problemi di allestimento della scena della vita umana in ogni più recondito ambito privato. Oppure se, come evidenzia Valéry (5), il procedere nell’edificazione di sé stessi che gli architetti esercitano costruendo, nel caso dell’abitazione debba lasciare spazio (6) alla libertà di edificarsi degli “altri”, facendo i conti con le necessità del “quotidiano”. Ciò eviterebbe quel confronto diretto con le questioni dell’abitare più strettamente legate ai modi d’essere, che accentuano l’opinabilità delle decisioni e la perdita di ruolo dell’architettura. Tale rinuncia dovrebbe orientare verso il recupero della specificità delle competenze costruttive e del modo di operare specifico dell’architetto che, mediante il progetto, può farsi interprete delle ragioni più generali dei luoghi e del tempo. I temi e gli oggetti di peculiare pertinenza dell’architettura investono direttamente gran parte delle azioni con cui l’umanità organizza lo spazio per abitare la terra e privilegiano l’abitare urbano, cioè stanziale (quello che adatta lo spazio e la natura alle proprie necessità), verso

5. “Fedro – diceva (Eupalino) – più medito sull’arte mia e più l’esercito: tanto più soffro e godo d’essere un architetto, […] mi accosto a così fedele rispondenza tra aspirazioni e facoltà mie da credere d’aver trasformato l’esistenza che mi fu data in una specie d’edifizio umano. Tanto costrussi – fece sorridendo – da credere d’essermi anch’io costrutto”.

Valéry, P. (1921), Eupalino o l’architettura, Parigi - Edizioni Biblioteca dell’immagine, Pordenone 1997.

6. Su questi temi vedi anche Pugliese R. (2012), La casa: ideologia o architettura? in Aa. Vv., QA 24 Casa e Città, pp. 198-205.

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cui tende la popolazione mondiale. L’architettura deve così perseguire gli obiettivi di contenere e governare la prepotenza delle trasformazioni urbane; bloccare l’urbanizzazione del territorio agricolo; costruire edifici in grado di massimizzare l’impiego di risorse energetiche rinnovabili con materiali riciclabili; riutilizzare il patrimonio abbandonato; costruire nuovi “patrimoni”. Rispetto alle incursioni del capitale internazionale, l’architettura deve aprire e controllare quel campo di simulazione che permetta di perseguire il difficile adattamento degli interessi contrapposti che si coagulano intorno ai processi di trasformazione dello spazio fisico. Cioè deve essere in grado di indicare come le decisioni pubbliche potranno comporre insieme – con ricadute positive sul mercato ‒ i vantaggi dell’investimento immobiliare con i benefici per la collettività (in termini di case e spazio pubblico) e con la capacità di attrazione degli insediamenti. È necessario che l’architettura si impegni a riassorbire in sé il controllo della valutazione economica degli investimenti immobiliari nel complesso bilancio costi, benefici sociali, plusvalenze. In questi bilanci dovrebbero trovare nuovi spazi la tutela e la valorizzazione degli interessi più generali della società, della città e del territorio, che da sempre costituiscono un campo a cui contribuisce il sapere del progetto di architettura, nella sua complessità di senso e di composizione dei diversi apporti disciplinari coinvolti.La declinazione prevalente dello sviluppo sostenibile è oggi fortemente condizionata dalla matrice ecologico ambientale che ha orientato verso un’interpretazione della sostenibilità interamente finalizzata alla conservazione delle potenzialità eco-sistemiche del pianeta. Accanto all’impegno etico di non compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni, penso che l’architettura debba porre anche il problema del contributo che, con la loro attività, le generazioni attuali possono, ed eticamente debbono, cercare di mettere a disposizione delle generazioni future. Se il progetto delle trasformazioni, muovendosi in coerenza con i principi di equità (geografica e tra le generazioni), deve perseguire bassi consumi, energetici e di materiali, con procedimenti ecologici legati alla rigenerazione dei processi, deve anche dare luogo ad adattamenti, dello spazio costruito e della natura, funzionali alla creazione di valori e di “patrimoni” di cui potranno beneficiare le generazioni future. La

sostenibilità deve cioè farsi carico anche della realizzazione di opere appartenenti a quel tipo di investimenti a “fecondità differita”. Il recupero dei “ritmi lenti”, per darsi di nuovo il tempo di riflettere e ricordare e per godere il rapporto con i luoghi in cui si svolge la nostra esistenza, deve cioè operare in sintonia con la consapevolezza che il risultato delle nostre azioni sarà necessariamente un nuovo adattamento, coerente con le dinamiche della contemporaneità e instabile, come lo è da sempre il rapporto uomo/natura. Si tratta cioè di progettare nuovi adattamenti attenti alla costruzione di nuovi patrimoni portatori di quella sobrietà nella quale possano trovare composizione razionale i molteplici apporti del progetto di trasformazione, fra cui in particolare quelli di natura estetica e formale attraverso i quali si esprime la convivenza civile.Il tema della sobrietà, peraltro, impone di met-tere in campo nuovi paradigmi per governare il progetto con l’obiettivo di conseguire la maggiore efficacia nell’uso di risorse che sono scarse. Non si tratta di perseguire risultati “interessanti” mediante la manipolazione di materie e tecniche molto semplici che incidono solo su aspetti superficiali, ma si tratta di perseguire effetti adatti a incidere sugli aspetti strutturali, con grande sobrietà di mezzi. Per l’architettura ciò può determinare un cambiamento radicale che potrebbe orientarla ad operare sull’appropriatezza delle forme, verso la quale porta la pratica rigorosa della selezione delle decisioni in base alla loro efficacia.Questi indirizzi comportano la necessità di superare la conflittualità lacerante che ha sempre caratterizzato la cultura architettonica per aprire al confronto nella diversità e per ricostruire un ruolo dell’architettura nella società. Si tratta di lavorare per ridare autorevolezza ai fondamenti disciplinari da ricostruire su una solida base di conoscenza, necessaria per dare all’azione progettuale un respiro ampio e ricco di cultura. Cioè di riprendere quella tradizione che rivendica al fare architettura le capacità tecniche di soluzione dei problemi progettuali e costruttivi e il controllo, colto e responsabile, dei risultati dal punto di vista del loro rapporto con il patrimonio, con la vita e con la cultura dell’abitare del nostro tempo. Questo impegno potrebbe dare spazio a nuovi quadri di intervento e di responsabilità volti alla ricomposizione e alla cura dei territori antropizzati, alimentando la ricerca di nuove urbanità dello spazio dell’abitare contemporaneo.

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2. Progetto e conoscenzaL’architettura si caratterizza come disciplina che in modo privilegiato studia e progetta i manufatti e lo spazio con i quali l’uomo abita la terra. Manipola tecniche di saperi diversi (tra cui quelli propri del mondo delle forme), con procedimenti, verificabili e controllabili, che mettono in atto, secondo processi di tipo evolutivo basati sul principio di coerenza, le azioni necessarie a realizzare nuove forme di adattamento dei manufatti e dello spazio alle necessità umane. Basa il suo campo di conoscenza sulle realizzazioni operate dall’uomo nel corso della storia ed è specchio della civiltà e dei suoi valori perché, come opera poetica, può inverare le ragioni più profonde del proprio tempo e i modi d’essere e le emozioni dell’animo umano. Nonostante gli sviluppi della tecnica l’architettura continua ad essere costituita da manufatti che sono pesanti, vincolati al suolo, su cui sono stati costruiti, e durevoli. Essa è prodotto di risorse limitate (lavoro umano e materiali) e pertanto è un bene scarso e quindi è un bene economico. Come ogni bene economico prodotto dalle attività umane anche l’architettura è sottoposta al principio della razionalità economica (7), inteso in senso abbastanza ampio da comprendere anche le operazioni sulla forma. Il progetto, alle diverse scale, ha origine nella presa di coscienza di una situazione di necessità e consiste nell’elaborazione di una risposta razionale e coerente ad essa, impiegando risorse scarse. In questa accezione possiamo intendere il progetto come il programma delle azioni che tentano di raggiungere obiettivi dati impiegando risorse di cui si ha una disponibilità limitata (8), mettendo in atto le azioni più efficaci. La carenza di risorse è alla base dell’attività progettuale che, paradossalmente, non sussiste anche in presenza di una disponibilità illimitata di risorse (“senza vincoli non si progetta” diceva Franco Albini) o in mancanza di obiettivi. Per

questo i momenti di definizione degli obiettivi e di identificazione delle risorse e dei vincoli sono essenziali nel processo progettuale.Obiettivi e risorse si presentano al progettista banalizzati e oggettivati sotto forma di commessa. La ricerca critica a monte della commessa è fondamentale per conoscere le ragioni che ne hanno determinato l’insorgere e per mettere in coerenza gli obiettivi, fra di loro e in rapporto ai vincoli e alle reali risorse disponibili.Ogni progetto di architettura, alle diverse scale, comporta decisioni sui modi di intervento che vanno dalla tutela della realtà, così come essa ci si propone, alla sua trasformazione. Le decisioni sulle azioni del progetto hanno inizio quando cominciamo a prendere coscienza dello stato di inadeguatezza (bisogno) di una determinata realtà, costituita da cose, edifici, manufatti e paesaggi. Questi non ci si propongono integralmente al primo sguardo, anche se fin dal primo momento si realizza un “afferramento sensibile” (9) che coinvolge la globalità dei sensi: la percezione infatti non avviene solo attraverso gli occhi perché l’intero corpo usa manufatti e paesaggi, ascolta i suoi suoni e avverte i suoi odori; poggia sui loro piani e si muove nei loro spazi percorrendo ambienti e seguendo itinerari (10). Non ci limitiamo a ciò che appare (l’immagine) ma cogliamo nella realtà un al di là che non tollera una fruizione distratta, ma richiede un legame con le metodologie del pensiero. Guardare e osservare, infatti, non è solo ricevere ma è soprattutto ordinare il visibile, organizzare l’esperienza, comprendere ciò che l’immagine nasconde. Conoscere è progetto proprio perché la conoscenza è intenzionale e direzionata: ciò che sto vedendo attraverso la mia mente lo sto vedendo soltanto io. La conoscenza infatti è connessa ai saperi stratificati, cioè alla biografia, di chi osserva/conosce. Ogni verità è individuale, parziale (nessuna parte della cosa si mostra se non nascondendo attivamente le altre) e, per

7. Cfr. Lange O. (1970), Economia Politica, Editori Riuniti, Roma. “Nell’enunciazione che ne dà 0. Lange esso si presenta in due versioni: secondo la prima il comportamento economico razionale consiste nei perseguire, con una data erogazione di mezzi, il grado massimo di realizzazione del fine (massimo risultato); per la seconda invece, nel perseguire con la minima erogazione di mezzi la realizzazione di un dato fine (massimo risparmio)”. Biagio Garzena, Lezione del 10 giugno 1970. Ciclostilato.

8. Biagio Garzena aveva delineato questo modo di intendere il progetto di architettura nella lezione Progetto forma tipo, schema di proposta di lavoro nell’ambito della

tipologia architettonica, lezione del 14/1/1966, ciclostilato, pubblicato in Baffa M., Rossari A. (1966, a cura di), Problemi didattici in un corso di Progettazione: Riflessioni sull’esperienza del Corso di Composizione Architettonica I e II 1964-65, 1965-66, Facoltà di Architettura di Milano, Prof. Franco Albini, Istituto di Composizione della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, 1966.

9. Cfr. Franzini E. (2001), Fenomenologia dell’invisibile: al di là dell’immagine, Raffaello Cortina, Milano.

10. Cfr. Ugo V. (2008), Architettura e temporalità, Edizioni Unicopli, Milano.

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certi aspetti, “faziosa”, perché, nel processo di appropriazione della realtà, è indispensabile un’ipotesi che guidi l’attività mentale.La conoscenza è dunque condizionata dal nostro modo d’essere e per questo non si esaurisce nell’intuizione. Essa ha caratteri di congettura in relazione alla storia di chi osserva/conosce che, coinvolto in un’intensa relazione estetica ed empatica con la realtà, ne condiziona il senso in base al proprio modo d’essere. Il percorso progettuale ‒ risultato del processo di conoscenza della realtà per la quale siamo chiamati a programmare le trasformazioni necessarie per adeguarla ai modi di abitare del nostro tempo (11) ‒ assume caratteri di simmetria

speculare rispetto al percorso di conoscenza, come rappresentato in estrema sintesi dallo schema che segue e che indica il percorso che dalla conoscenza dell’adattamento inadeguato porta al progetto del nuovo adattamento:

(R1) - (T1) – (O1) <> (O1/O2) – (T1/T2) – (R2)

Lo studio della realtà (R1) permette di identificare in certe forme visibili, le strutture formali che la costituiscono e che riconosciamo perché appartenenti ad un determinato tipo (T1) a noi già noto. Esse ci dicono come problemi e programmi sono stati tradotti in soluzioni formali che testimoniano di principi, atteggiamenti e tendenze di un popolo, di una civiltà e di una personalità, in breve delle ragioni e degli obiettivi (O1) a cui risponde quel determinato assetto della realtà. L’attività progettuale, in relazione ai nuovi obbiettivi (O2) assunti e alle risorse disponibili, elabora una serie di prove facendo ricorso alle soluzioni tipologiche conosciute (T1), perché sono state già sperimentate e permettono di avvinarsi alla soluzione del problema, o che la ricerca tipologica (T2) potrà elaborare e mettere a punto in relazione ai nuovi obiettivi. Fra le soluzioni tipologiche messe in campo, che sono in relazione causale e non biunivoca

con gli obiettivi, saranno selezionate quelle che rispondono con maggiore efficacia agli obiettivi assunti. La loro struttura formale si porrà come base delle specificazioni di forma del manufatto in rapporto al contesto fisico e culturale in cui trova realizzazione la configurazione della nuova realtà (R2).Lo schema evidenzia come tale simmetria sia supportata dal comune patrimonio tipologico a cui attinge la nostra mente sia per comprendere la realtà portatrice di un adattamento, inteso in senso darwiniano, inadeguato (coscienza di un problema), sia per approntare soluzioni congruenti con gli obiettivi assunti a base del progetto di trasformazione teso a conseguire il nuovo adattamento (elaborazione di una risposta coerente).Nella formulazione qui usata la parola tipo (12) identifica una struttura formale comune a un insieme di manufatti distinguibili dagli altri proprio perché in essi è presente una comune struttura formale. Tipo dunque esprime la permanenza e il carattere invariante di strutture formali che, se presenti, ci permettono di classificare il manufatto come “di quel tipo”. Esso è un’invariante della forma, nodo del simultaneo, dell’antecedente e del succedaneo; non è vago e indeterminato e non appartiene al mondo delle idee e degli enunciati logici, ma è precisamente determinato e definito, come sono determinate e definite le strutture formali (13). Sono invece diverse e variabili le loro combinazioni fino alla determinazione fisica dei manufatti, come in modo esatto chiarisce Victor Hugo riflettendo sull’ordine e l’unità che stanno al fondo della prodigiosa varietà di tutti gli edifici nei quali è permanente la disposizione logica delle parti presente nella cattedrale di Notre-Dame. “Il tronco dell’albero è immutabile, la vegetazione è capricciosa” (14). Emblematica a questo proposito la permanenza del tipo dell’impianto a crociera, definito dal progetto del Filarete, che caratterizza l’ex Ospedale Maggiore di Milano

11. Per un approfondimento di questi temi che coinvolgono il rapporto con il patrimonio vedi Pugliese R. (2011), Patrimonio e progetto di architettura, in Atti del convegno internazionale “Il progetto di architettura fra didattica e ricerca”, Bari 2- 6/5/2011, p. 191-201.

12. Per quanto riguarda le tematiche connesse alla tipologia esse sono state oggetto di tanto impegno da parte della cultura architettonica dalle prime annotazioni di Quatremere de Quincy nel suo Dizionario storico, alle ricerche di Saverio Muratori, Aldo Rossi e Carlo Aymonino che sono state alla base dell’insegnamento di Analisi della tipologia edilizia e della morfologia urbana e alle

riflessioni coagulate infine da Vittorio Gregotti in Casabella n. 509-10 del 1986 che sembrava proporsi di chiudere ogni prospettiva. Per il punto di vista qui proposto, oltre ai testi già citati di Biagio Garzena segnalo: Argan G.C. (1965), Progetto e destino, Il Saggiatore, Milano; Martì Aris C. (1990), Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura, Edizioni Clup di CittàStudi, Milano.

13. Cfr. Pugliese R. (1994), L’architettura dello spazio urbano, in QA (Quaderni del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura), n. 17, pp. 142-157.

14. Hugo V., Notre Dame de Paris, Gruppo editoriale L’Espresso SpA, Roma 2003, pp. 133-135.

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(Ca’ Granda), oggi sede dell’Università degli Studi di Milano. Il grande edificio di impianto tipologico unitario, fu realizzato in diverse fasi a partire dal 1456 e oggi restituisce un fronte in cui convivono giustapposti tre differenti modi d’essere espressione dei tre principali momenti storici della sua costruzione: il Quattrocento (Filarete), il Barocco (Francesco Maria Richini) e il Neoclassico (Pietro Castelli). “La nuova arte prende il monumento dove lo trova, vi s’incrosta, se lo assimila, lo sviluppa a suo piacimento e lo termina, se riesce” (15).Il concetto di tipo che propongo è esattamente definito, opera alle diverse scale del progetto di architettura, da quella più generale (tipologia insediativa) a quella dell’edificio (tipologia edilizia) e del dettaglio costruttivo ed è abbastanza generale da coinvolgere gran parte delle operazioni sulla forma. Esso entra in gioco ogni volta che la struttura profonda della forma che stiamo conoscendo/elaborando viene da noi riconosciuta come partecipe di filoni tipologici già noti. Se lo studio delle preesistenze è indispensabile per l’identificazione delle ragioni delle trasformazioni, lo studio del patrimonio tipologico, cioè delle risposte che la disciplina ha dato nel corso della storia al tema di progetto, è un’importante supporto all’interpretazione critica e alla presa di posizione che danno consistenza formale all’atto creativo.La ricerca progettuale, infatti, apre a un lavoro sistematico di correzione, precisazione e messa a punto delle soluzioni tipologiche fino alla progressiva determinazione della forma che meglio interpreta la realtà così come noi la vediamo e che, pertanto, risponde a verità: perché il progetto è per noi l’interpretazione vera della realtà, cioè quella che con maggiore coerenza risponde all’idea che noi abbiamo di quella realtà.Nell’accezione qui usata la progettazione si propone dunque come attività di ricerca tipologica che permette di legare criticamente la definizione di un’architettura nuova con l’esperienza, con la memoria, con il patrimonio di conoscenze dell’architettura del passato. Il processo di interpretazione critica della realtà, cosi come il processo progettuale possono

essere giustificati, non in quanto oggettivi e quindi neutrali, ma in quanto rispondenti in modo coerente ai vincoli e alle regole - di natura estetica e formale su cui si basa la dignità e il decoro della costruzione – che abbiamo assunto e praticato sulla base dei paradigmi che guidano la nostra attività mentale. Paradigmi che definiscono ciò che è problema e ciò che è soluzione di un problema e che hanno un radicamento non soltanto nel nostro modo d’essere, ma anche nei luoghi e nel tempo della nostra vita.

3. Composizione L’architettura, per estendere le possibilità della natura (grazie agli architetti la creazione non è mai finita) e aprire nuovi orizzonti, ha la responsabilità di riaprire il passato sull’avvenire, coltivando la memoria con la volontà di arricchirla, per non lasciarla scivolare nell’oblio, ma anche per evitare che essa sia ossessivamente presente; perché in entrambi i casi vorrebbe dire rinunciare in partenza al progetto (16). Si tratta di comprendere come oggi sia possibile perseguire la bellezza nei processi di conformazione dei luoghi dell’abitare in relazione alle ragioni del presente, nella piena consapevolezza delle ragioni del passato. Cioè di fare in modo che la storia dei luoghi possa dare il suo contributo al processo di progettazione e costruzione dell’ambiente adatto all’abitare del nostro tempo. Il confronto con il passato non preclude la possibilità di configurare opere nuove e originali. Nuovo infatti più che rottura, cancellazione e assenza del passato, comporta l’inizio della partecipazione dell’opera all’esistenza, il suo cominciare ad avere vita autonoma in rapporto all’ambiente in cui trova collocazione. Ogni edificio è infatti parte di un insieme di cui accetta e a cui dà regole che non derivano da sue particolari esigenze, ma dal complesso di cui l’edificio è parte, dunque da esigenze estetiche e formali proprie della sfera sociale, in cui permangono i principi originali di estetica (17). Guardiamo la realtà preoccupati della sua non rispondenza alle necessità del nostro tempo e del fatto che la libera creatività non basta

15. Hugo V., .ibid16. Cfr. Ugo V. (2007), Architettura e temporalità,

Edizioni Unicopli Milano.17. “L’individuo solo, isolato in mezzo alla natura, non

ha alcun problema di forma. L’uomo solo, anche se è

solo nella natura è libero. Il problema della forma sorge insieme a quello di unione di più individui, anzi la forma è la condizione che rende possibile la convivenza. La forma è un fatto eminentemente societario.” Behne A. (1968), L’architettura funzionale, Vallecchi, Firenze.

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per dare soluzione ai problemi del’abitare. Per trovare “come” esprimere il pensiero, l’emozione che è all’origine dell’atto creativo, si avvia un lavoro artigianale (sento di dover dire “una cosa” mediante il progetto, ma non so “come” dirla) alla ricerca di una forma in grado di rappresentare il senso di quel pensiero. “Nel ‘come’ sta tutta la differenza” (Mies Van Der Rohe).Il progetto dell’architettura si manifesta come atto creativo: comporta una interpretazione della realtà (che è arbitraria, cioè legata al proprio modo di vedere le cose) ed esige una presa di posizione (che, a causa dell’opinabilità delle scelte deve essere necessariamente legata al principio di coerenza). Per questo esso può dare risposte diverse allo stesso problema. Come diceva Fernando Tavora “In architettura anche il contrario può essere vero” (18).Nonostante ciò l’architettura appartiene al campo del commensurabile e partecipa dell’universo della precisione. Perché ciò sia vero, visto che la conoscenza e il progetto sono radicati nella propria visione del mondo, è necessaria la piena consapevolezza di come la propria mente conosce e riconosce le cose. L’architetto cioè deve conoscere se stesso (γνῶθι σεαυτόν) per dare forma al progetto di architettura in modo consapevole, cioè controllando gli scambi tra arbitrarietà e necessità con le tecniche e i saperi della composizione architettonica. L’arbitrarietà dipende dalla volontà e dall’arbitrio dell’individuo senza riferimento a norme

esteriori e consiste nella facoltà di valutare secondo la propria volontà, di assecondare il proprio modo d’essere. Di essa fa parte il trasgredire, come piacere ultimo di mettere in discussione i gusti acquisiti (19), che trova limiti nelle tecniche del fare.La necessità dipende da ciò che non può essere altrimenti da come è, per cui si traduce in condizionamenti dei modi di fare. Di esso fanno parte il linguaggio, le tradizioni, i mezzi (20) e le possibilità di produzione (21), l’economia, le nostre abitudini di vita, il nostro stesso modo d’essere.Proponendosi di riflettere sull’arbitrarietà della forma in architettura Rafael Moneo (22) individua nel passo di Vitruvio sull’invenzione del capitello corinzio (23) una lampante conferma circa “il valore del gesto arbitrario che trasformò un canestro decorato dall’acanto in un imprescindibile elemento costruttivo”. Da qui deduce e, attraverso l’esame analitico di diverse opere, dimostra che, in coerenza con l’ipotesi generale assunta a base delle sue considerazioni, “buona parte della storia dell’architettura si può riassumere nell’ardimentoso sforzo che gli architetti compiono perché si dimentichi il peccato originale che il ricorso all’arbitrarietà comporta. L’arbitrarietà introdotta nel passato remoto reclama l’oblio e qualsiasi teoria architettonica pretende di giustificare la forma su basi razionali”. Penso invece che l’arbitrario in architettura non sia un peccato d’origine del progetto, ma

18. Per come ricordo in una conferenza tenuta alcuni anni fa alla Facoltà di Architettura di Milano.

19. Federico Fellini riflettendo sul film Prova d’orchestra in una intervista della fine degli anni Settanta aveva evidenziato la necessità di un rigoroso stato di cerimonia per rendere efficace e rilevante un atto di trasgressione.

20. Si pensi ai condizionamenti del tecnigrafo sulle forme dell’architettura moderna e al ruolo della tecniche di modellazione 3D sulle realizzazioni di molte architetture contemporanee.

21. Preciso il ragionamento di James Ackerman intorno all’architettura indiana e sul ruolo che in essa svolgevano le decorazioni. La loro presenza era radicata nel ruolo svolto nelle costruzioni dalla casta degli scalpellini, ben più potente di quella degli architetti al punto che obbligava gli architetti a prevedere una grande quantità di volumi che poi non avrebbero avuto spazialità interne ma che servivano esclusivamente a dare spazio all’attività degli scalpellini.

22. Cfr. Moneo R., “Sul concetto di arbitrarietà in architettura”, Casabella, n. 736, Luglio-Agosto 2005.

23. “Ma il terzo genere, che Corinthio si chiama, è preso dalla imitazione della sveltezza virginale, impero che le vergini per la tenerezza dell’età, essendo di più svelte membra formate, receveno più leggiadri, & gratiosi effetti.

Ma la invenzione del capitello Corinthio si narra che in questo modo sia stata ritrovata. Una vergine cittadina di Corinto già da marito, essendo inferma venne a morte. La notrice di quella havendo raccolto tutti quei vasi, dei quali la vergine vivendo si dilettava, & posti quelli in un cestello, dapoi, che fu sepelita, gli fece portare al monumento, & porli da capo, & accioche più lungamente restassero allo scoperto aere, vi pose sopra una tegola. Il cestello per caso era stato posto sopra una radice di Acanto, in quel mezo la radice nel mezo dal peso oppressa, mandò fuori da primavera i ritorti cauli, & le foglie crescendo i cauli lungo i lati del cestello, & dagli anguli della tegola per la necessità spinti in fuori, furono costretti nelle ultime parti delle volute piegarsi. Alhora Callimaco, il quale per la eleganza, & sottigliezza dell’arte, fu dagli ateniesi cachizotecnos nominato, passando appresso quel monumento, avvertendo vide quel cestello, & d’intorno la tenerezza nascente delle foglie, & dilettandosi della maniera, & della novità della forma fece a quella somiglianza appresso i Corinthij le colonne, & pose le convenevoli ragioni di quelle, & dapoi nelle perfettioni delle opere, fece la distribuzione della maniera Corinthia”. Vitruvio, I dieci libri dell’architettura, tradotti e commentati da Daniele Barbaro, 1567. Edizioni Il Polifilo, Milano 1997.

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piuttosto che esso sia insito nel fare umano, in quanto conseguenza del ruolo che il proprio modo d’essere svolge nel manifestarsi dell’atto creativo. Non è un inconveniente, ma una condizione fondamentale del processo cognitivo (24) che testimonia del ruolo che il proprio modo d’essere svolge nella conoscenza e nel manifestarsi dell’atto creativo.Il progetto infatti si situa nell’ambito dell’esperienza personale, faziosa ed arbitraria. Fra le tante verità del nostro personale modo di vedere le cose (arbitrario) il progetto mette a punto quella necessaria (cioè la più efficace e più appropriata) capace di rendere riconoscibile e quindi condivisibile la bellezza. Il problema del progetto di architettura è infatti quello della definizione della forma che con maggiore efficacia possa permettere all’opera di partecipare, di assumere un ruolo nel processo di composizione dello spazio dell’abitare. Attraverso la forma (condizione della convivenza civile) lo spazio e i corpi architettonici che lo definiscono o che in esso si collocano, costruiscono i “luoghi” e le “urbanità” delle relazioni umane. La forma, che può essere intesa come il diagramma delle forze che agiscono o che hanno agito su di essa (25), porta in sé la memoria genetica del suo prodursi, i segni del contesto (26).L’azione del comporre in architettura non è soltanto il mettere ordinatamente e organicamente insieme le parti (questa è semmai una conseguenza delle regole adottate), ma impegna direttamente il conflitto-dialogo e gli scambi fra apparato fantasmatico (desideri, immaginazione) e quadri di necessità, di natura molteplice (lingua, tecniche, cultura) che l’architetto può controllare con i modi e i criteri della composizione. Comporre l’architettura significa possedere intimamente, cioè disciplinare, gli scambi fra arbitrario e necessario. Tale possesso può assumere anche le posizioni estreme della totale subordinazione alla necessità, con derive interamente sotto il segno del funzionalismo, oppure della totale subordinazione all’arbitrarietà, con derive interamente sotto il segno del piacere della trasgressione (27).

In genere richiede di combinare insieme elementi diversi e contraddittori mediante decisioni costrette in ambiti analoghi a quelli del compromesso. Il compromesso non deve essere visto come un cedimento, un ripiego fra esigenze in contrasto, o come la ricerca di una via di mezzo fra elementi eterogenei. Esso, per molti aspetti, è la sostanza stessa dell’architettura come risultato della manipolazione, sulla base del principio di coerenza, di tecniche e di saperi diversi, necessari per adattare i manufatti e lo spazio alla vita umana. In quest’ottica, come diceva Brecht nel Me-ti, “I compromessi sono spesso necessari. Molti intendono per compromesso il versar acqua nel proprio vino. Pensano che il vino non tagliato sia indigesto. Oppure che il vino a disposizione non basti a soddisfare la sete. Io sui compromessi ho un’opinione diversa. Bevo l’acqua e il vino da due bicchieri. Perché altrimenti è troppo difficile ritirar fuori il vino dall’acqua” (28).Fuor di metafora per controllare con rigore e responsabilità l’origine e le rinunce che entrano in gioco nel dosare le parti in modo appropriato è necessario operare secondo percorsi logici in grado di ordinare e distinguere le diverse matrici di determinazione della forma che abbiamo messo in campo nel processo di composizione. L’idea di architettura soprintende e guida la composizione delle ragioni: del dimensionamento generale del manufatto e del suo rapporto con le immediate adiacenze; della configurazione dello spazio in rapporto al programma funzionale; dei condizionamenti del sistema strutturale, degli impianti e costruttivo; dei caratteri della cultura della città e dei luoghi.Davanti a un problema si possono intraprendere strade diverse rispetto alle quali il desiderio (che non è un capriccio, ma la vocazione che incarna lo stesso modo d’essere della persona) soprintende le scelte, impegnando la totalità dell’essere, nel senso anche biologico del termine. Ma perché esso possa tradursi in artefatto costruito è indispensabile il contributo della ragione che rende realmente efficaci le forze della fantasia, dell’immaginazione e del gioco. Ciò si realizza mediante la ricerca paziente e l’assunzione di regole che, con l’esercizio del

24. Cfr. Gadamer H.G. (1990), Verità e Metodo, Bompiani Milano.

25. Wentworth Thompson D. (1969), Crescita e forma, Boringhieri, Torino.

26. Gadamer H.G. (1990), Verità e Metodo, op.cit.27. Cfr., fra gli altri, Tschumi B. (1996), Architecture and

disjunction, The MIT Press, Cambridge (MA); Id. (2005)Architettura e disgiunzione, Pendragon, Bologna.

28. Brecht B.(1970), “Dei compromessi ovvero del bere acqua e vino da due bicchieri”, in Id. Me-ti Libro delle svolte, Einaudi, Torino, p. 18.

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principio di coerenza, orientano le decisioni del progetto verso la prefigurazione di un mondo realmente fruibile da tutti, perché composto dalla voluta, quindi finalizzata e perciò libera (29), costrizione all’ordine. Si tratta di regole che non sono esterne al percorso progettuale, ma ne sono parte sostanziale e, come i sistemi costruttivi, sono il risultato della ricerca progettuale. Esse sono il risultato di scelte e decisioni assunte autonomamente e sono analoghe ai vincoli, che è necessario mettere in evidenza e controllare per poter distinguere l’origine e le ragioni della forma risultato della ricerca paziente. Le regole non impediscono la varietà che anzi può essere

perseguita con rigore riconoscendo il ruolo di ogni manufatto, come con straordinaria efficacia dice Paul Valéry con le parole di Eupalino “[…] non hai osservato, camminando nella città, come tra gli edifici che la popolano taluni siano muti, ed altri parlino, mentre altri ancora, che son più rari, cantano?” (30).Come tutte le creazioni umane comporre l’architettura significa dunque disciplinare con il metodo compositivo gli scambi che intercorrono fra arbitrario e necessario. Significa organizzare le forme in rapporti capaci di risvegliare emozioni, tali da darci la misura di ordinamenti universali, nei quali è possibile “riconoscere” e “condividere” la bellezza.

29. Illuminante la riflessione del poeta Giovanni Raboni sulla poesia: “Ed ecco imporsi come insuperabilmente perfetta la definizione di poesia data tre secoli fa da un trattatista italiano, il gesuita Tommaso Ceva: «un sogno fatto in presenza della ragione». Un sogno, si, ma controllato e sanzionato dall’intelligenza; uno spazio concesso al pensiero notturno ma garantito, sorvegliato, reso frequentabile dal rigore del pensiero diurno”. Il fondersi dei due pensieri avviene in primo luogo grazie alla lingua e ai microeventi linguistici “[…] che oltre a convogliare le incursioni del pensiero notturno […] contribuiscono ad assicurare alla superficie testuale compattezza, coerenza, continuità sonora, insomma «bellezza». Secondo: essenziale è la funzione della forma o, per essere più precisi, dal sistema di regole che danno evidenza sensibile alla forma ideale

del testo. […] è proprio grazie alla ricerca di un suono che combini con un altro suono, di una parola che abbia quella durata e quell’accento, è proprio grazie a questo sforzo dell’intelligenza, e perché no? del mestiere che scattano «automaticamente» associazioni, collegamenti, richiami altrimenti inattivi o irraggiungibili. Se è vero che il pensiero notturno non diventa esteticamente credibile se non passa attraverso il filtro della ragione è altrettanto vero che in poesia la massima libertà si ottiene, spesso, attraverso un massimo controllo e di rigore se non addirittura (la parola non sembri eccessiva) di repressione formale”. Raboni G. (2003), “I sogni della ragione dove nasce la poesia”, Corriere della Sera Cultura, Domenica 14 dicembre 2003.

30. Valéry P., Eupalino o l’architettura, Parigi 1921 - Edizioni Biblioteca dell’immagine, Pordenone 1997.

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Fonti iconografiche

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Pag. 34fig. 2 Giedion S. (1941), Spazio, Tempo Architettura, U. Hoepli, ed. it. 1981, Milano.

Pag. 36fig. 3 La Ville art et architecture en Europe 1870-1993, (1994), Catalogo della mostra, Edizioni Centre Pompidou, Parigi.fig. 4 fotografia di Lorenzo Mussi

Pag. 38fig. 7 Carroll L. (1876), The Hunting of the Snark (An Agony in 8 Fits).fig. 8 Bruno G. (2002), Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, Bruno Mondadori, Milano.

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Pag. 40fig. 10 Ungers O. M. (1977), The City in the City – Berlin: A Green Archipelago.

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Pagg. 52-56 figg. 1-5 fotografie di Pierluigi Salvadeo

Pag. 60Brevini F. (2004), Grattacielo Pirelli: un capolavoro di Gio Ponti per la Lombardia, Touring Editore srl, Milano, p.26(fotografia Gio Ponti Archives, Salvatore Licitra, Milano).

Pagg. 61-90Le immagini provengono dall’archivio personale dell’autore.

Pagg. 92-93figg. 1,2,3,4 Choisy A. (1929), Histoire de l’Architecture, Barnger, Paris.

Pag. 95fig. 5 Archivio Perret, conservato presso Les Archives d’Architecture du XXe siècle, Cité de l’Architecture, IFA Paris.

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Pag. 96fig. 6,7 fotografie di Marco Introini.

Pag. 97fig 8 fotografia di Martina Landsberger.fig. 9 disegno di Carlo Gandolfi.

Pag. 98fig. 10 modello di Carlo Gandolfi.fig. 11 Fondazione Piano.

Pag. 102Vercelloni V. (1988), La storia del paesaggio urbano di Milano, Lucini, Milano.

Pag. 103-104figg. 1, 2, 3 Le rappresentazioni delle differenti soglie storiche dello sviluppo urbano di Spalato sono rielaborazioni, a cura di Angelo Lorenzi, disegni di Jerko Marasović.

Pag. 104fig. 4 La Pianta tipologica dei piani terreni del nucleo antico di Spalato è una rielaborazione aggiornata al 1999 ca., a cura di Angelo Lorenzi, di un disegno dell’Institute for the Protection of Cultural Monuments, Split, 1966-75.

Pagg. 104, 107figg. 5, 6, 7 Adam R. (1764), Ruins of the Palace of the Emperor Diocletian at Spalatro in Dalmatia, stampato per conto dell’autore, London, rist. anast. Logos, Split, 1996, riediz. a cura di Navarra M. (2001), Biblioteca del Cenide, Cannitello (RC).

Pagg. 108, 109 figg. 8, 9, 10 Le immagini di Hernest Hébrard, sono tratte da: Hébrard E., Zeiller J. (1912), Spalato. Le Palais de Dioclétien. relevés et restaurations par Ernest Hébrard arch.; texte par Jacques Zeiller prof., préface de Charles Dièhl, appendice de Gustave Jéquier, in folio, Librairie Général de l’Architecture et des Arts décoratifs, Ch. Masson éditeur, ancienne maison Charles Schmid, Paris.

Pag. 110figg. 11, 12, 13 Le immagini di George Niemann sono tratte da: Niemann G., Der Palast Diokletians in Spalato, a cura di K.K. Österreichisches Archäologisches Institut, Holder, A. (1910), Vienna; rist. anastatica Cambi N. (2005, a cura di) Knjizevni Krug Split, Split.

Pag. 111figg. 14, 15 Le immagini di Vicko Andrić sono pubblicate in Kečkemet D. (1993), Vicko Andrić, Arhitekt i Konzervator 1793-1866, Regionalni Zavod za Zaštitu Spomenika kulture, Književni Krug Split, Split.

Pag. 112figg. 16, 17, 18 Le fotografie di Nenad Gattin, provengono dall’archivio di Nenad Gattin, Zagreb, è sono state pubblicate per la prima volta in: Marasović J., MARASOVIĆ T. (1968), Diocletian Palace, Photographs Nenad Gattin, Publisher Zora, Zagreb.

Pag.114fi. 1 Ebstorf mappa mundi (copia anastatica).

Pag. 115, 117figg. 2, 3, 4 fotografie di Matteo Poli.

Pag.120 fig.1 Adam R., Bartolozzi F., Il Palazzo di Diocleziano a Spalato, in Adam R. (1764), “Ruins of the Emperor Diocletian at Spalato”, Londra. Pag.121fig. 2 Piranesi G.B., “Veduta di una parte del fondamento del Teatro Marcello”, in Piranesi G.B. (1756), Le antichità Romane, Roma.fig. 3 Piranesi G.B., Pianta del Campo Marzio, in Piranesi G.B. (1762), Il Campo Marzio dell’antica Roma, Roma.

Pag.126fig. 4 Eisenman P., Zoizumi Sangyo Office Buiding, Tokyo, (dal sito dell’autore).fig. 5 Tschumi B., Derrida J., Una delle Folies del Pac de la Villette a Parigi, (fotografie di Pierluigi Panza).

Pag.127fig. 6 Libleskind D., Ampliamento del Museo Ebraico di Berlino, (fotografie di Pierluigi Panza).

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Il problema del progetto di architettura sta tutto nella definizione della forma che con maggiore efficacia possa permettere all’opera di partecipare, di assumere un ruolo nel processo di composizione dello spazio dell’abitare. Nel momento in cui si va diffondendo un’arbitrarietà che alimenta il piacere ultimo della trasgressione non autentica, espressione di un mondo che ha mescolato a tal punto i meccanismi del desiderio da renderli inutilizzabili, i contributi di questo libro, riflettendo sui fondamenti disciplinari dell’architettura, provano a delineare percorsi che, in risposta alla precarietà come condizione, si misurano con la necessità di recuperare sicurezza, nella convinzione di essere capaci, come Dedalo, di controllare il labirinto della complessità contemporanea.

Il volume contiene scritti di: Raffaele Pugliese, Cristina Bergo, Andrea Branzi, Domenico Chizzoniti, Antonella Contin, Elio Franzini, Decio Guardigli, Martina Lansberger, Angelo Lorenzi, Pier Carlo Palermo, Pierluigi Panza, Matteo Poli, Pierluigi Salvadeo.