Salvatore Satta - Soliloqui e Colloqui Di Un Giurista

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  • BIBLIOTHECA SARDA GRANDI OPERE

  • SOLILOQUI E COLLOQUI

    DI UN GIURISTAprefazione di Ferdinando Mazzarella

    SALVATORE SATTA

  • Indice

    9 Prefazione

    15 Nota biografica

    17 Nota bibliografica

    25 Avvertenze redazionali

    SOLILOQUI E COLLOQUI DI UN GIURISTA

    29 Dedica

    31 Introduzione

    I - SOLILOQUI

    39 Il mistero del processo

    51 La vita della legge e la sentenza del giudice

    61 La tutela del diritto nel processo

    70 Il formalismo nel processo

    84 Il diritto, questo sconosciuto

    92 Limiti naturali del legislatore

    95 Poesia e verit nella vita del notaio

    104 I soggetti del fallimento

    115 Dalla procedura civile al diritto processuale civile

    127 Il processo nellunit dellordinamento

    II - IL LIBRO DELLE PREFAZIONI

    135 Prefazione al volume sullEsecuzione forzata (1937)

    139 Prefazione alla prima edizione del Manuale di diritto processuale (1948)

    144 Prefazione alla quinta edizione del Manuale di diritto processuale (1956)

    Riedizione dellopera:

    Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova, Cedam, 1968.

    Copyright 2004ILISSO EDIZIONI - Nuorowww.ilisso.it - e-mail [email protected]

    ISBN 88-89188-25-1

  • V - COLLOQUI

    353 Giuseppe Capograssi

    363 Il giurista Capograssi

    376 Giuseppe Chiovenda nel venticinquesimo anniversario della morte

    383 Marco Tullio Zanzucchi

    386 Enrico Redenti

    388 Attualit di Lodovico Mortara

    401 Interpretazione di Calamandrei

    412 Il professor Lorenzo Mossa

    415 Lapporto di Ascarelli alla scienza del processo

    420 Carlo Maria de Marini

    423 Alberto Musatti

    VI - RES GESTAE

    427 LUniversit di Trieste nella luce delle libert democratiche (con premessa)

    436 Filippo Vassalli

    438 Mattia Moresco

    440 Il primo premio Carlo Maria de Marini

    442 Alberto Asquini

    444 Il caso Bettermann

    APPENDICE

    449 Spirito religioso dei Sardi

    455 Indice dei nomi e degli argomenti

    151 Prefazione alla settima edizione del Manuale di diritto processuale (1967)

    155 Prefazione al primo volume del Commentario al c.p.c. (1959)

    160 Prefazione al secondo volume del Commentario al c.p.c. (1960)

    164 Testimonianza di Benco

    168 Presentazione degli scritti giuridici di Antonio Segni

    III - CONFESSIONI E BATTAGLIE

    173 Gli orientamenti pubblicistici della scienza del processo (con postilla)

    187 Orientamenti e disorientamenti nella scienza del processo

    199 Storia e pubblicizzazione nel processo (con postilla)

    208 Ultime tendenze della teoria dellazione

    223 Svolgimenti critici di una dottrina dellesecuzione forzata

    231 La successione nel diritto controverso (a proposito di una recensione)

    235 In margine a una questione di metodo

    239 A proposito dellaccertamento preventivo

    245 I progetti di riforma del Consiglio Superiore della Magistratura

    255 Un giudizio di conciliazione ovvero La giustizia di Evaristo

    258 Separazione dei coniugi ed educazione della prole (con postilla)

    264 Responsabilit dello scienziato (a proposito del caso Oppenheimer)

    267 Sottofondo di una polemica sul titolo esecutivo (con postilla)

    275 Considerazioni sullo stato presente della scienza e della scuola giuridica in

    Italia (con postilla)

    IV - SAGGI CRITICI

    287 Spunti per una teoria della domanda

    302 Cose e beni nellesecuzione forzata

    314 La legge regolatrice della prova

    318 Tendenze liberali e illiberali nella interpretazione della legge fallimentare

    329 La responsabilit per lesione di interessi legittimi (con nota)

    336 Provvedimenti di urgenza e urgenza di provvedimenti

    339 Nuovi orizzonti in tema di condizioni dellazione

    342 Variazioni sulla legittimazione ad causam

    347 Un preteso caso di intervento coatto ad istanza di parte

  • 9Prefazione

    Tutti sanno che Salvatore Satta fu uno studioso del processo; e la scienza delprocesso per sua natura intranquilla, come egli stesso riconobbe, intenden-do alludere al fatto che, per la sua centralit nellesperienza giuridica, essa esposta a tutte le intemperie della storia e della vita (p. 169). Ed altrettantonoto che Satta, il quale di quella centralit stato fautore, fu contemporanea-mente un grande letterato del nostro tempo; del che era in un certo senso con-sapevole se egli, grandissimo giurista, nel 1969 doveva scrivere che i veri grandiprosatori italiani sono stati in questi ultimi anni i giuristi (p. 151). Di scrittigiuridici, ognuno dei quali un componimento letterario, quasi interamentecomposto il volume che viene qui riedito e al quale imprudentemente facciamoprecedere queste poche e inadeguate parole.

    Se Chiovenda si era obiettivato in un libro e Carnelutti nella parola, comeegli scrisse nella commemorazione di un altro grande giurista-letterato, suocontemporaneo, Calamandrei (p. 402), Satta si obbiettivato nello scrivere;tutta lopera sua difatti unavvincente prosa che ne Il giorno del giudizio limpegno suo letterario maggiore, drammaticamente interrotto dalla morte trover la sua conclamata conferma.

    La raccolta di scritti, che viene qui sapientemente riproposta, i cui pezzi sonotutti mirabili per luso della lingua (e non solo), rivelatrice perch fatta da luimedesimo. per il futuro storico del suo pensiero come una spia di quel che egliriteneva importante; da dovere, appunto, raccogliere, quasi a proteggere da unadiaspora incombente. Il contrario degli atti mancati, rivelatori di una intenzio-ne nascosta, questatto compiuto con cui consegna ai posteri quel che voleva nonsi disperdesse, svela la profonda unit tra lo scienziato e luomo che egli dovevanotare per altri (p. 169), ma che vale certamente per lui. Di s voleva che restassetraccia di quella vita intranquilla che condusse in nome di una costante opposi-zione, e Confessioni e battaglie intitolata una delle sezioni del libro.

    Giurista colui che dice sempre di no, scrisse; ed egli disse sempre di no a unpensiero ripiegato su se stesso, che la grande tentazione dei giuristi quando essiscambiano le parole oggetto della loro scienza con la realt di cui quella soltantoparla. Di qui il suo rifiuto di un universo fatto di concetti in cui gli uomini sonosostituiti da enti di ragione, veri e propri oggetti di culto. Della sua lotta al fetici-smo di quelle vere e proprie merci, cio oggetti di scambio, che sono, a volte, iconcetti, voleva che restasse memoria; come Bartleby, a costo di isolarsi, preferdire di no al mondo di costruzioni mentali che costituiva la scienza in auge alsuo tempo, ma, a differenza dello scrivano doltreoceano, scrisse e spieg perch.

  • ruolo di paladino del soggetto privato. Certo che il soggetto, lindividuo, stret-to, anche mentalmente, in invadenti corporazioni, non poteva che stentare a farvalere il proprio punto di vista, il solo scriveva Satta nella prolusione padova-na del 1936 (che tanto doveva indignare Carnelutti, ma non solo lui) dal qua-le lo scienziato che studia il processo deve porsi, se vuole intenderne la funzionee la ragion dessere (p. 176). Magari esagerava nel fervore della polemica, comedoveva riconoscere pi tardi, ma non sar certo un caso se non verr chiamato acollaborare al nuovo codice di procedura.

    Gli scritti, si diceva, sono ora opportunamente riediti, ma loro mal si attagliaqualsiasi prefazione. Non solo, perch le prefazioni bene che le facciano gli au-tori, correndo per propria scelta il rischio che ci si fermi ad esse, ma anche per-ch, come dice lo stesso Satta (p. 135), le scrivono generalmente dopo aver scrit-to il libro, in preda al dubbio e, forse anche, al rimorso, cio a sentimentipersonalissimi. E qui unaltra difficolt si presenta. Unintera sezione del volume dedicata alle prefazioni che Satta stesso premise alle edizioni della sua operapi nota (il manuale di Diritto processuale civile, un classico per generazioni distudiosi, che ebbe in vita dellautore otto edizioni) e in una di esse dice che laprefazione non ha per scopo di giustificare il libro, ma di dire tutto ci che il li-bro non dice (p. 135). Se vero che sarebbe empio pensare di poter giustificarelopera di Satta, sarebbe pura profanazione pensare di far dire a Satta quel chenelle sue toccanti prefazioni non ha ritenuto di dovere aggiungere.

    La prima delle sue prefazioni del 1937, lultima del 1967. Forse quel chenello spazio di tempo che lo separa dalla morte, avvenuta nel 1975, non aggiun-se al libro trov altri posti per farlo. Nei Quaderni, per esempio, che sono giannunciati nellultima delle sue prefazioni al manuale (p. 154). Il lettore di que-sto volume dovr tenerli presenti, visto il loro dichiarato carattere di postfazionee, dunque, di ideale appartenenza al Libro delle prefazioni, cio alla parte cen-trale della presente raccolta: una sorta di aggiunta dellultimora alle aggiunte.

    Che Satta fu un iconoclasta convinzione comune. Iconoclasta per coluiche ce lha non con limmagine in s, ma col fatto che questa pretenda di dupli-care, come direbbe Borges, lirriproducibile immagine delluomo. Di qui con-cetti vestiti da uomini, che vivono di una vita tutta propria in un mondo co-struito per loro. Gli esempi per Satta sono infiniti: lo Stato, la Norma, la stessaAzione e, perch no, il Processo medesimo (p. 162). Larticolo determinativo la nostra eredit greca (losservazione di Orestano, col quale Satta fu negli an-ni genovesi in stretto rapporto) ci porta verso la entificazione dei concetti.Contro di essa Satta condusse la sua battaglia sempre permeata di venatureumoristiche. il caso della animazione del diritto, con cui se la prende neiQuaderni, in forza della quale la norma, non diversamente che per altri augusticoncetti, non ultimo quello stesso di diritto, diventano autentiche personeche si muovono, fanno qualcosa, nella specie, agitano la frusta o, pi prosai-camente, comandano qualcosa a qualcuno, cos distraendo dalla realt del rap-porto umano che per Satta gi di per s giuridico. Gi lidea che il diritto altro

    In tutti gli scritti qui raccolti, come, in genere, in tutta lopera sua, dominante lidea che il diritto questo sconosciuto (p. 84) non va ricercato nellempireodi venerande astrazioni, ma vive nel concreto il cui centro il giudizio.

    A stare ad Abbagnano, concreto ha due significati. Uno, quello derivantedalluso che ne fanno i filosofi, i quali con esso designano abitualmente con in-tenzione elogiativa ci che si adegua al loro criterio di realt; laltro, quello diuso comune denotante lindividuale, il singolo, lessere esistente. Il richiamo co-stante di Satta al concreto in realt richiamo allindividuo, al soggetto, allesse-re concreto che veramente esiste e che chiede ad un altro, il giudice, di esseregiudicato nel fatto (p. 53) per quello che , e cos tratto fuori dallindistinzioneche il contrario della vita. Per questo per vivere (ma un pleonasmo) la vitapropria il soggetto chiede di essere individuato attraverso i predicati che a luisolo appartengono (proprietario di quel fondo, creditore di quella somma, lavo-ratore in quellimpresa, figlio di quel padre, e cos via, con tutto quel che neconsegue sul piano della rilevanza sociale). Ed costretto a chiederlo perch cchi quei predicati ha negato o ha rivendicato per s, sicch, intanto, nella nebbiadi una generale indifferenziazione, nessuno sa per chi (e con chi) si debba stare.

    Cos, quel che si celebra nel giorno del giudizio, cio nel processo che inrealt di giorni ne occupa parecchi, sicuramente, ma, forse, inevitabilmente,troppi non la maest dello Stato o del Comando (Legge o Norma che sia),cio, di potenti astrazioni; piuttosto lumilt del soggetto insidiato che chiededi essere riconosciuto con lattribuzione del suo, di ci che gli compete. A cia-scuno il suo attribuzione di identit, non di possesso, e, del resto, lavere ap-partiene allessere del soggetto, come egli dir in seguito in Cose e beni nellese-cuzione forzata (p. 302 ss.).

    Il processo, cio, ancora, i molti giorni del giudizio, appartengono al sog-getto, anzi, ai soggetti, visto che, come diceva lantico sapiente e come Satta adogni pi sospinto ci ricorda, il giudizio sempre actus trium personarum; nonappartengono, quei giorni, allo Stato, n ad una astratta Volont di legge, comeimponeva la disciplina del tempo in cui Satta oper, ben consapevole di andarecontro corrente e lideologia dominante. Anzi, lo Stato e la Legge, se le astra-zioni vivessero di vita autonoma, sarebbero in quei giorni perplessi perch nonsanno in chi effettivamente incarnarsi; per questo richiedono anche loro il giu-dizio (creandosi per questo apposite competenze organizzative) e non potreb-bero certo dare ci che essi stessi sono costretti a chiedere.

    Del resto, basta leggere. Linvito difatti semplicemente a scorrere la mirabi-le prosa degli scritti qui raccolti facendo attenzione alle date e alla loro temperie.Per molti di essi gli anni sono quelli di un autoritarismo almeno nelle dichiara-zioni onnipresente, e la polemica tra lorientamento pubblicistico e privatisticodel processo aveva una valenza politica che sarebbe ingenuo negare; essa, in veri-t, era ben presente in Satta1 quando si vide assegnare lallora per nulla comodo

    1. V., ad es., lo scritto Storia e pubblicizzazione nel processo del 1939 (p. 199 ss.).

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    Prefazione

  • Ecco perch, tornando al nostro volume, non c una giurisdizione dono diun legislatore o di uno Stato previdenti, ma anche improbabilmente preesi-stenti, che, con una autorit che nessuno ha dato loro, proibiscano agli uominidi venire alle armi, dando come corrispettivo un giudice. Il dicere ius il desti-no delluomo; ed egli lo fa sempre anche senza saperlo. Lo fa non solo legi-ferando, amministrando, financo nella propria casa quando compie la c.d. giu-risdizione domestica, ma anche concludendo i suoi negozi, per le vie, nei fori,nei mercati, nelle prigioni, negli stessi giornali, ovunque in qualche modo siviva (p. 157). E si vive, ci ricorda Satta, sempre giuridicamente, cio, congli altri; con la consapevolezza, quindi, che questi ci sono e ci condizionanoin conseguenza.

    Il giudizio degli altri dunque pi che importante, costitutivo del nostroessere, almeno in tempo di pace nel quale ci auguriamo di vivere. Sono, difatti,gli altri a dirci se siamo nel giusto; anzi, se siamo tra i giusti. E ci non soltantoin occasione dei processi c.d. politici, di cui parla nellinquietante scritto, Ilmistero del processo che apre la raccolta (ma anche idealmente la chiude);quando, essendo spesso in giuoco la testa di qualcuno, si fronteggiano duegiusti (nel senso di due giustizie). L quel che importa che ci sia un giudi-zio in s, a prescindere dal possibile contenuto: Quel che importa insommanon che cada la testa, ma soltanto che se cade io sono nel giusto: quindi quelche importa il giudizio (p. 46).

    Senonch, limportanza del giudizio c sempre, per noi un fatto quotidia-no anche se non in giuoco alcuna testa, ma laccoglimento o il rigetto delledomande di Tizio o di Caio, importando poco chi vinca o chi perda purch ungiudizio ci sia. Satta, nel ricordato scritto, ha veramente toccato il cuore delproblema quando ha compreso che non questione delle regole del giudizio,che possono essere le pi varie e, come nel caso dellarbitro, pu essere lo stessodecidente a porle. Il problema chi deve giudicare e, nella ricerca di questochi, di una cosa, lui e noi, siamo certi: non deve essere parte, perch se giudicenon parte e se parte non giudice (p. 48).

    S, ma nellinfinito intreccio degli interessi chi non parte? Qui forse Satta,nella sua generosit, si lascia sviare da Carnelutti, suo avversario di sempre,quando esclude che sia non-parte il pubblico che ha diritto di assistere al pro-cesso, ma gli vietato di manifestare opinioni e sentimenti. Il che senzaltrovero; e, del resto, tra il pubblico, ma meglio sarebbe dire, tra gli spettatori, nullaimpedisce che vi siano parenti e sodali di una delle parti, prolungamento di que-sta essi stessi. Solo che, come spesso accade, sono le parole a fuorviare. Pubbli-co pu, s, denotare il concreto uditorio o linsieme di chi ha diritto di parteci-pare ad uno spettacolo, appunto, pubblico in ragione di quel concorso anchesolo possibile. Ma denota anche lopposto di ci che privato, che accade oappartiene al singolo, allindividuo, al soggetto. Pu, in altri termini, indicareci che accade o appartiene a tutti, non ad alcuni; e in questo senso pubbli-co, per definizione propria, non parte di niente.

    non sia che lessere del rapporto umano trova, in pi di uno degli scritti qui rac-colti, il suo preannuncio. Ascoltiamo: a me pare indubbio che lanalisi giu-ridica sia analisi dellumano rapporto (che nasce giuridico, non riceve cio dal-lesterno, se non in via secondaria e mediata, la sua giuridicit), vale a dire indefinitiva, analisi dellazione (p. 223 ed anche 53).

    No, quindi, ai concetti fosse pure quello del diritto soggettivo al postodegli uomini e dei loro concreti rapporti; ma anche no alluomo al posto del con-cetto. la diffidenza che pronto a manifestare anche per il giudice, una voltache questi sia tratto fuori da quella unit dellordinamento di cui, com noto,fu tenace sostenitore. il giudice che fa la norma assai pi di quanto la normanon faccia il giudice (p. 148), scrive, vincolandolo alla responsabilit del giudica-re della quale non pu liberarsi attribuendola ad altri. Al Legislatore, per anticatradizione, complice il concetto di funzione in una visione frammentata di quel-limmaginario chiamato Stato che offusca la profonda unit dellordinamento.

    Il rischio non tanto quello del giudice funzionario di voleri altrui, quantodel Giudice Faraone, come lo chiam (p. 153) nella sua lotta contro il formali-smo, frutto della paura di dover giudicare fra i due concreti interessi in contra-sto secondo la vera legge di ogni giudizio; che, essendo necessariamente il giu-dizio sempre sul fatto (p. 53), non pu non essere che lex veritatis (p. 147). Ilgiudice sovrumano, ma in realt disumanizzato, indifferente alla vita, chealiena se stesso nel culto delle forme cui non corrisponde nessuna sostanza, cosbene e drammaticamente descritto nello scritto qui raccolto Il formalismo nelprocesso (p. 70 ss.).

    Unit dellordinamento. Non con liniziale maiuscola (lOrdinamento), al-tro esempio di aborrita entificazione (p. 147), ma la conseguenza del fatto cheil diritto, il processo tutto nella esperienza, sicch, insomma, non sono al-tro che la gente che ha vissuto e che vive (p. 157). Si sente la presenza di Ca-pograssi, grande amico-maestro (anche lui commemorato due volte nella sezio-ne Colloqui del volume), ma bisogna andare alle aggiunte dei Quaderni permeglio capire. L esplicitamente dir che il diritto lungi dallidentificarsi coldover essere (cio, con qualcosa che non ancora e che anzi non importa sesar mai), altro non che essere e quindi anche ci che stato, cio, n pine meno che storia.

    Non c, dunque, differenza tra diritto e vita, quale si incanala nei quotidia-ni rapporti; e, anzi, questa, la vita (umana), nasce gi ordinata, sicch vano postulare entit mitiche che dallesterno intervengono a regolarla. Tutto si svol-ge in questo eterno e, al tempo stesso, cangiante ordine mondano che il dirit-to. Viene in mente Agostino e la sua stupenda frase leggermente corretta: in in-teriore hominum habitat veritas. Perch per Satta lessere delluomo , s, ildiritto, ma in quanto in rapporto con gli altri; cio essenzialmente pluralit.Cosicch, come con stupefacente senso dei tempi dovr poi dire nei ricordatiQuaderni, la giuridicit in non altro consiste che nel riconoscere la pluralitumana, rifiutando cos la guerra che a quella naturalmente avversa.

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    Prefazione

  • Nota biografica

    Giovanni Salvatore Satta nasce a Nuoro il 2 agosto 1902, ultimogenito delnotaio Salvatore Satta e Valentina Galfr. Compie gli studi superiori a Sassaripresso il liceo Azuni. Nel 1922 si iscrive alla Regia Universit di Pavia ove fre-quenta i corsi della facolt di giurisprudenza. Lanno seguente si trasferisce a Pisae successivamente a Sassari: qui, l11 ottobre del 1924, si laurea con il massimodei voti e lode discutendo una tesi sul Sistema revocatorio fallimentare. Nel 1925,dopo una breve e non felice esperienza del tribunale nuorese, lascia nuovamentela Sardegna per esercitare il tirocinio di avvocato nello studio milanese del giuri-sta Marco Tullio Zanzucchi; tuttavia, ammalatosi, per ben due anni costrettoal ricovero presso il sanatorio di Merano, esperienza di cui La veranda del 1928costituisce una drammatica testimonianza. Chiusa presto la parentesi letteraria aseguito della delusione causata dalla scarsa attenzione con cui accolto il ro-manzo in occasione del Premio Viareggio, si dedica totalmente agli studi giu-ridici. Nel 1932 il conseguimento della libera docenza apre le porte allinsegna-mento universitario che, tra il 1935 e il 1939, si risolve con lassegnazione dellecattedre di Camerino, Macerata e Padova. E proprio in ambito accademico co-nosce la slavista Laura Boschian sposata il 3 maggio del 1939 a Trieste. Un annopi tardi si trasferisce a Genova; nascono i figli Filippo e Gino. Linfuriare dellaguerra obbliga la famiglia Satta ad abbandonare la capitale ligure ormai distruttadai bombardamenti, riparando in Emilia prima e in Friuli poi. La tragedia chesi abbatte sullItalia e lEuropa tutta non pu lasciarlo insensibile: scritto neglianni 1944 e 1945, De profundis offre lo spunto per una sofferta meditazionestorico-filosofica su una delle pi drammatiche fasi della vita nazionale. Sullastessa linea si colloca limpegno accademico che culmina con il celebre discorsoinaugurale pronunciato il 25 novembre in qualit di neonominato prorettoredellUniversit di Trieste per lanno accademico 1945-46. In seguito, di nuovo aGenova, occupa per ben due lustri la cattedra dellAteneo giuridico, del quale,seppure per un breve periodo, esercita altres la carica di preside. Nel 1948 il fi-glio Filippo si ammala tanto gravemente da disperare della sua salvezza; al dram-ma familiare si somma lamarezza che linsignificante successo, tributato allacontemporanea pubblicazione del De Profundis, suscita. Nondimeno, lusingatoda giudizi quantomai incoraggianti, intraprende un fitto rapporto epistolare conquel Marino Moretti, illustre membro dellallora giuria di Viareggio, che, fin dalsuo primo appararire, aveva accolto con entusiasmo unaltrimenti ignorata Ve-randa. Nel 1958, risolte felicemente le difficolt familiari, dopo un intenso viag-giare in Europa e finanche nella lontana Israele, conferitagli la cattedra di diritto

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    Ecco che, dunque, Satta aveva ragione nel ravvisare il mistero del processonella imparzialit del giudice, nel suo non essere parte, n poter esserlo. Ma ilpasso ulteriore che egli ci addita sta nel chiederci la ragione di questa impossibili-t e nel ravvisarla nellessere il giudice il contrario di ci che solo parte di untutto. Nellessere, cio, egli tutti noi, che siamo effettivamente disinteressati allesorti di Tizio e di Caio, ma che tuttavia vogliamo, con essi, il loro giudizio. Il per-ch chiaro: siamo noi tutti che abbiamo scelto di non vivere nellindistinzioneche il contrario della vita ordinata, ma tanto vale dire, su suggerimento di Satta,della vita umana tout court. Solo cos il giudice e il processo possono apparirciespressione di quella unit dellordinamento che tanto gli stava a cuore (p. 127);tanto da potervisi pronunciare sentenze in nome del popolo, se ancora le paroledellarticolo della Costituzione indicano un accordo fondamentale che voglia ilcielo non sia rattrappito in una vuota formula.

    Ma anche qui non si pu essere mai sicuri di avere adoperato le parole nelmodo giusto. Nello scritto che apre la raccolta, e dal quale prendiamo le mosseper qui concludere, Satta ci mette infatti in guardia contro gli appelli al popo-lo, quando popolo, nazione intiera non sono che il pubblico dei rostri,non sono, cio, che la parte (p. 49). Ma significativo il fatto che lappello cuisi riferisce messo in bocca a Fouquier-Tinville, che fu attore non secondariodella rivoluzione; quando, cio, il popolo, per essere ancora diviso in parti con-trapposte, non ha ancora trovato lunit del proprio ordinamento, sicch nonci si pu meravigliare se fino ad allora non ha trovato i suoi giudici.

    Ferdinando Mazzarella

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  • Nota bibliografica

    SCRITTI DI SALVATORE SATTA

    Contributo alla dottrina dellarbitrato, Milano, Soc. Ed. Vita e pensiero, 1931.

    La rivendita forzata, Milano, Giuffr, 1933.

    Lesecuzione forzata, Milano, Giuffr, 1937; poi in Trattato di diritto civile ita-liano, XV.1, fasc. 2, Torino, Utet, 1950, 1952, 1954, 1963.

    Orientamenti e disorientamenti nella scienza del processo, in Il Foro italiano,1937, IV, c. 276-287.

    Orientamenti pubblicistici della scienza del processo, in Rivista di diritto pro-cessuale civile, 1937, I, pp. 32-49; poi in Teoria e pratica del processo. (Saggi didiritto processuale), Roma, Soc. Ed. del Foro Italiano, 1940.

    Storia e pubblicizzazione del processo, in Rivista del diritto commerciale,1939, I, pp. 43-51; poi in Teoria e pratica del processo. (Saggi di diritto processua-le), Roma, Soc. Ed. del Foro Italiano, 1940.

    Teoria e pratica del processo. (Saggi di diritto processuale), Roma, Soc. Ed. delForo Italiano, 1940.

    Ultime tendenze nella teoria dellazione, in Rivista internazionale di filosofiadel diritto, 1940, pp. 1-21; poi in Teoria e pratica del processo. (Saggi di dirittoprocessuale), Roma, Soc. Ed. del Foro Italiano, 1940.

    Guida pratica per il nuovo processo civile italiano, Padova, Cedam, 1941, 1942.

    Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, Soc. Ed. del Foro italiano, 1943,1946, 1948, 1952, 1957, 1964.

    Luniversit di Trieste nella luce delle libert democratiche, Relazione inaugurale,25 novembre 1945, a.a. 1945-46, Trieste, Tip. Moderna, 1945.

    De profundis, Padova, Cedam, 1948; Milano, Adelphi, 1980, 1995; Nuoro,Ilisso, 2003.

    Diritto processuale civile, Padova, Cedam, 1948, 1950, 1953, 1954, 1956,1957, 1959, 1967, 1973, 1981, 1987.

    Marco Tullio Zanzucchi, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 1948, p.411.

    Il mistero del processo, in Rivista di diritto processuale, 1949, I, pp. 237-288.

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    processuale dellUniversit di Roma, si trasferisce nella Capitale ove, due annidopo, viene raggiunto dalla famiglia. Tra il 1959 e il 1971 redige il monumen-tale Commentario al codice di procedura civile. Luscita di Soliloqui e colloqui diun giurista, nel 1968, segna il testamento spirituale di una vita spesa per e neldiritto. Fedele agli impegni della scienza giuridica, nel 1969 intreprende la ste-sura dei Quaderni del diritto e del processo civile. Il 25 luglio del 1970 inizia ascrivere il Giorno del giudizio; quattro anni pi tardi, il testo acquisisce verosi-milmente la forma attuale e tuttavia non verr mai portato a compimento. Il 19aprile del 1975, Salvatore Satta, colpito da malattia incurabile, muore a Roma.

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  • A proposito dellaccertamento preventivo, in Rivista trimestrale di diritto eprocedura civile, 1960, pp. 1396-1403; poi in Studi in onore di Emilio Betti, V,Milano, Giuffr, 1962, pp. 571-580.

    Commentario al codice di procedura civile, Libro secondo: Processo di cognizione.Parte prima, Milano, Vallardi, 1960.

    I soggetti del fallimento, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1960,pp. 116-129.

    Il giurista Capograssi, in Iustitia, 1960, pp. 193-207; poi in Rivista trimestraledi diritto e procedura civile, 1960, pp. 785-800; poi in Raccolta di scritti in onoredi Arturo Carlo Jemolo, IV, Milano, Giuffr, 1963, pp. 589-607.

    In margine a una questione di metodo, in Rivista trimestrale di diritto e proce-dura civile, 1960, pp. 1601-1604.

    Nuovi orizzonti in tema di condizione dellazione, in Giustizia Civile, 1961,I, pp. 499-500.

    Presentazione, in A. Segni, Scritti giuridici, Torino, Utet, 1961, pp. VII-IX.

    Commentario al codice di procedura civile, Libro secondo: Processo di cognizione.Parte seconda, Milano, Vallardi, 1962.

    Provvedimenti di urgenza e urgenza di provvedimenti (fumus del diritto mo-ra debendi del datore di lavoro processo del lavoro), in Massimario di giuri-sprudenza del lavoro, 1962, pp. 49-50.

    Enrico Redenti, in Giustizia civile, 1963, IV, pp. 3-4; poi in Rivista del dirittocommerciale, 1963, I, pp. 60-61.

    Giuseppe Chiovenda nel venticinquesimo anniversario della morte, in Dirittoe giurisprudenza, 1963, pp. 1-9; poi in Rivista trimestrale di diritto e procedura ci-vile, 1963, pp. 1-9.

    Il processo nellunit dellordinamento, in Rivista trimestrale di diritto e proce-dura civile, 1963, pp. 845-852; poi in Temi romana, 1964, pp. 277-281.

    La responsabilit per lesione di interessi legittimi, in Rivista del diritto commer-ciale, 1963, I, pp. 325-331; poi Intervento, in Centro italiano di studi ammi-nistrativi. Sezione Campania, Atti del convegno nazionale sullammissibilit del ri-sarcimento del danno patrimoniale derivante da lesione di interessi legittimi. Napoli27-28-29 ottobre 1963, Milano, Giuffr, 1965, pp. 421-428.

    Recensione a A. Musatti, Scritti giuridici, Padova, Cedam, 1963, in Rivista deldiritto commerciale, 1963, I, pp. 319-320.

    Tendenze liberali e illiberali nella interpretazione della legge fallimentare, in Ri-vista del diritto commerciale, 1963, I, pp. 34-44.

    Un giudizio di conciliazione ovvero la giustizia di Evaristo, in Rivista del dirit-to commerciale, 1963, I, pp. 228-230.

    19

    Nota bibliografica

    Laffidamento della prole nei poteri e nei doveri del giudice, in Il Foro italiano,1949, IV, c. 52-56.

    La tutela del diritto nel processo, in Rivista di diritto processuale, 1951, I, pp. 20-31; poi in Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Atti del congressointernazionale di diritto processuale civile, [Firenze] 30 settembre-3 ottobre 1950, Pa-dova, Cedam, 1953, pp. 79-89.

    Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, Cedam, 1951.

    Spirito religioso dei sardi, in Il ponte, 1951, pp. 1332-1335.

    Svolgimenti critici su una dottrina dellesecuzione forzata, in Studi in onoredi Antonio Cicu, II, Milano, Giuffr, 1951, pp. 613-624.

    Introduzione, in S. Benco, Trieste e il suo diritto allItalia, Bologna, Cappelli,1952, pp. 5-11.

    La vita della legge e la sentenza del giudice, in Relazioni in riunioni promossedal Comitato cattolico docenti universitari nella.a. 1951-52, II, Roma, EditriceStudium, 1953, pp. 69-84.

    Limiti naturali del legislatore, in Il Foro italiano, 1953, IV, c. 121-122.

    Il diritto, questo sconosciuto, in Annuario dellUniversit di Genova, 1953/54e 1954/55, pp. 45-53; poi in Il Foro italiano, 1955, IV, c. 1-7.

    La successione nel diritto controverso (a proposito di una recensione), in Il Fo-ro italiano, 1954, IV, c. 126-128.

    Responsabilit dello scienziato (a proposito del caso Oppenheimer), in Il pon-te, 1954, pp. 993-995.

    Poesia e verit nella vita del notaio, in Rivista di diritto processuale, 1955, I, pp.264-273; poi E cos il notaio porta il peso della verit, in LOra, 11 aprile 1979.

    Giuseppe Capograssi, Roma, Ministero della Pubblica Istruzione Consiglio Su-periore, 1956; poi in Il Foro italiano, 1957, IV, c. 1-9.

    Parole introduttive, in G. Bo, Filippo Vassalli. Discorso detto il 23 gennaio 1956nellAula Magna dellUniversit [di Genova], Genova, Tip. A. Pesce, 1956, pp. 3-6.

    Carlo Maria De Marini, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1957,pp. 1517-1520.

    Il professor Lorenzo Mossa, in Nuova Rivista del diritto commerciale, 1957,pp. XXIV-XXV.

    Il formalismo nel processo, in Rivista di diritto e procedura civile, 1958, pp.1141-1158.

    Commentario al codice di procedura civile, Libro primo: Disposizioni generali, Mila-no, Vallardi, 1959.

    18

  • Fabbri-Bompiani-Sonzogno-Etas, 1982; Firenze, La Nuova Italia, 1996; Nuoro,Ilisso, 1999; Sassari, La Nuova Sardegna, 2003; Lautografo de Il Giorno del giudi-zio, a cura di G. Marci, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi-CUEC, 2003.

    La veranda, Milano, Adelphi, 1981; Milano, Euroclub, 1982; Nuoro, Ilisso,2002; Cagliari, LUnione Sarda, 2003.

    Per la biliografia completa di Salvatore Satta si rimanda a: E. Pilia, Opere diSalvatore Satta (1902-1975), in Salvatore Satta giuristascrittore. Atti del Conve-gno Internazionale di studi, Nuoro 6-9 aprile 1989, premessa e cura di U. Collu,Nuoro, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta, 1990, pp. 517-543.

    SCRITTI SU SALVATORE SATTA

    A. de Cupis, Leggendo i Soliloqui e colloqui di Salvatore Satta, Padova, Cedam,1969.

    Il giorno del giudizio di Salvatore Satta. Dibattito tenuto a Nuoro il 18 maggio1979, relazioni di L. Sole, M. Giacobbe, G. Marchesi, Consorzio per la pubblicalettura S. Satta, Sassari, Chiarella, 1979 (Quaderni 1).

    G. Bettiol, Luomo Satta, in Studi in memoria di Salvatore Satta, Padova, Ce-dam, 1982.

    N. de Giovanni, La scrittura sommersa: itinerari su Salvatore Satta, Cagliari, Gia,1984.

    Salvatore Satta e Il giorno del giudizio, a cura di U. Collu, 2a ed. riv. e ampl.,Nuoro, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta, 1989 (Quaderni 1) [alle rela-zioni del 79 vengono aggiunti gli interventi dello stesso U. Collu, di M. Demuru-Zidda, di N. Piras ed uno ulteriore di L. Sole, e con due saggi dello stesso Satta].

    Salvatore Satta. Rassegnastampa, Nuoro, Consorzio per la pubblica lettura S. Sat-ta, 1989 [riproduce in fotocopia, pubblicati tra il 1950 e l11 gennaio 1989, uncentinaio di recensioni ed articoli su Satta di: F. Martinazzoli, E. Fazzalari, G. Lu-garesi, M. Pira, M. Massaiu, S. Gallisai, E. Espa, M. Ciusa Romagna, G. Mar-chesi, R.G. Aloisio, F. Mei, S. Quinzio, E. Siciliano, A. de Benedetti, G. Massari,G. Conso, G. Raboni, C. Sgorlon, G. Mameli, M. Corti, M. Serri, P. Milano, D.Porzio, L. Mondo, A. Cattabiani, P. Francioli, F. Mercadante, V. Spinazzola, M.Cappelletti, F. Escolfier, I. Prandin, I. Murgia, S. Atzeni, A. Mundula, F. Mazza-rella, D. del Bo, C. Bo, G. Pititu, G. de Rienzo, S. del Pozzo, L. Satta, A. Her-met, S. Malatesta, A. Giuliani, R. Minore, C. Casoli, G. Marci, G. Pirodda, G.Cerina, O. Guerrieri, T. Capitanio, A. Virgilio, L. Sole, F. Petroni, J.-P. Alaux, A.Todisco, E. Pera Genzone, A. Rinaldi, P. Combescot, R. Calasso, P.-J. Franceschi-ni, M. Bauer, A. Bosquet, J.-B. Para, D. Durand, P. Lepade, P. Volta, A. Murgia,

    21

    Nota bibliografica

    Cose e beni nellesecuzione forzata, in Rivista del diritto commerciale, 1964, I,pp. 350-363.

    Dalla procedura civile al diritto processuale civile, in Rivista trimestrale di di-ritto e procedura civile, 1964, pp. 28-43.

    Domanda giudiziale (Diritto processuale civile), in Enciclopedia del diritto,XIII, Milano, Giuffr, 1964, pp. 816-826.

    Commentario al codice di procedura civile, Libro terzo: Processo di esecuzione, Mi-lano, Vallardi, 1965.

    I progetti di riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, in Rassegnadei magistrati, 1965, pp. 51-65; poi Intervento, in Le proposte di legge per la ri-forma del Consiglio Superiore della Magistratura. Dibattito svoltosi a Bologna il 31ottobre 1964, Milano, Giuffr, 1965, pp. 45-58.

    Interpretazione di Calamandrei, in Rivista trimestrale di diritto e procedura ci-vile, 1967, pp. 397-410.

    Sottofondo di una polemica sul titolo esecutivo, in Rivista trimestrale di dirit-to e procedura civile, 1967, pp. 310-317.

    Un preteso caso di intervento coatto ad istanza di parte, in Giurisprudenzaitaliana, 1967, IV, pp. 35-36.

    Variazioni sulla legittimazione ad causam, in Rivista trimestrale di diritto eprocedura civile, 1967, pp. 638-643.

    Attualit di Lodovico Mortara, in Eloquenza, 1968, pp. 410-423; poi in Giu-risprudenza italiana, 1968, IV, pp. 65-76 e Temi romana, 1968, pp. 1-14.

    Commentario al codice di procedura civile, Libro quarto: Procedimenti speciali.Parte prima, Milano, Vallardi, 1968.

    Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova Cedam, 1968.

    Intervento, in Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Atti delcongresso internazionale di diritto processuale civile. Venezia 12-15 aprile 1962,Milano, Giuffr, 1969, pp. 201-204.

    Lapporto di Ascarelli alla scienza del processo, in Studi in memoria di TullioAscarelli, IV, Milano, Giuffr, 1969, pp. 1995-2002.

    Quaderni del diritto e del processo civile, Padova, Cedam, 1969-73, 6 voll.

    Commentario al codice di procedura civile, Libro quarto: Procedimenti speciali.Parte seconda, Milano, Vallardi, 1971.

    Diritto fallimentare, Padova, Cedam, 1974.

    Il giorno del giudizio, Padova, Cedam, 1977, 1978; Milano, Adelphi, 1979, 1987,1990, 1991, 1993, 1996; Milano, Euroclub, 1979; Milano, Gruppo Editoriale

    20

  • Per uno studio approfondito su S. Satta, oltre agli articoli e recensioni comparsinel gi citato Salvatore Satta. Rassegnastampa, nonch i testi degli interventi delConvegno internazionale di studi (Nuoro, 6-9 aprile 1989), si segnalano inparticolare:

    M. Moretti, Corriere dinformazione, 19-20 gennaio 1948.

    C. Tumiati, Recensione a S. Satta, De Profundis, in Il ponte, IV, n. 7, 1948.

    U. Nicolini, Leggendo il De profundis di Salvatore Satta, in Humanitas, IV(1949).

    S. Lener, Il De profundis di Salvatore Satta, in Civilt cattolica, CI, vol. I,gennaio 1950.

    D. Pigliaru, De profundis, opera sulla disfatta, in La Nuova Sardegna, 4 gen-naio 1951.

    G. Spagnoletti, Riflettendo sugli italiani. De profundis. Seconda prova lette-raria di Salvatore Satta, in Il tempo, 4 aprile 1980.

    F. Mercadante, Tre libri, un solo Satta in bilico tra diritto e umanit, in Pro-spettive libri, giugno-luglio 1981.

    L. Madeo, Satta: il romanzo perduto spuntato tra i fascicoli legali, in La Stam-pa, 4 luglio 1981.

    P. Milano, La terrazza incantata, in LEspresso, 5 luglio 1981.

    G. Pampaloni, Satta o del moralismo, in Il Giornale nuovo, 5 luglio 1981.

    F. Mercadante, Il romanzo nascosto del grande rifiutato, in Il Popolo, 8 luglio1981.

    A. Andreoli, Fra i poveri di un sanatorio, in Paese sera, 19 luglio 1981.

    L. Barbera, Rischiamo di trovarci tutti malati in una stessa veranda, in LaGazzetta del Sud, 21 luglio 1981.

    C. Marabini, Quando la vita un sanatorio, in Il Resto del Carlino, 25 luglio1981

    L. Sole, Un fluttuare di gente tra la morte e la vita, in La Nuova Sardegna, 25luglio 1981.

    A. Giuliani, Ma quello un manichino di carne, in La Repubblica, 26 luglio1981.

    C. Toscani, Un caso nel caso Satta, in Bergamo oggi, 29 luglio 1981.

    R. Minore, Quello scrittore senza carriera, in Il Messaggero, 9 agosto 1981.

    M. Santagostini, Un mondo dangoscia dietro la Veranda di Satta, in LUnit,17 settembre 1981.

    23

    Nota bibliografica

    F.-O. Rousseau, G. Contini, S. Maxia, S. Chisu, C. Becatelli, N. de Giovanni, F.Bonanni, S. Mannironi, N. Piras, J. Barnes, G. Steiner, L. Muoni].

    M.G. Longhi, Elogio de II giorno del giudizio. Saggio di analisi testuale, s.l.,Ed. Mare, 1990.

    Salvatore Satta giuristascrittore. Atti del Convegno internazionale di studi, Nuoro,6-9 aprile 1989, premessa e cura di U. Collu, prefazione di C. Bo, Nuoro, Con-sorzio per la pubblica lettura S. Satta, 1990 [il volume comprende le sezioniLo scrittore (interventi di: M. Pompilio, G. Cerina, V. Spinazzola, N. de Giovan-ni, L. Sole, L. Muoni, B. Rombi, M. Massaiu, G. Contini, M. Guglielminetti,S. Maxia, G. Marchesi, M. Casu, N. Piras, G. Mannironi Lubrano, A. Altea, L.Soru, E. de Felice, N. Tanda, G. Angioni, P. Maninchedda, E. Espa, G. Mameli,A. Romagnino, G. Marci, M. Pittau, C. Lavinio, F. Cocco, G.M. Cherchi, G.Pititu, G. Petrocchi), Il giurista (interventi di: C.A. Nicoletti, F. Iannelli, A. De-logu, C. Glendi, L. Serra, A. Soro, G. Cualbu, S. Buffoni, M. Corda, C. Punzi)e La memoria (interventi di: M. Melis, M. Segni, F. Tommaseo, F. Avonzo deMarini, M. Giacobbe, G. Vassalli); conclude lopera unappendice biografica diU. Collu e bibliografica di E. Pilia].

    V. Spinazzola, Lofferta letteraria. Narratori italiani del secondo Novecento, Napo-li, Morano Editore, 1990.

    G. Marci, Romanzieri sardi contemporanei, Cagliari, Cuec, 1991.

    L. Cattanei, Salvatore Satta: un giurista narratore, Genova, 1992.

    B. Bigi, Lautorit della lingua. Per una nuova lettura dellopera di SalvatoreSatta, Ravenna, Longo, 1994.

    G. Pititu, Nuoro nella Belle Epoque, Cagliari, AM&D, 1998.

    Salvatore Satta. Testimonianze. Atti del Convegno di studi, Nuoro, 30 giugno 1997,a cura di P. Casu, Nuoro, Lions club, 1998 [comprende brevi interventi di F.G.Satta, C. Forteleoni, U. Collu, F. Loi, G. Conso e testimonianze di L. BoschianSatta e di M. Adolfi].

    A. Carrera, Il principe e il giurista: Giuseppe Tomasi di Lampedusa e SalvatoreSatta, prefazione di A. Mandelbaum, Roma, Pieraldo, 2001.

    M. Corda, Elogio del microcosmo, Milano, Mondadori, 2001.

    V. Spinazzola, Al cimitero di Nuoro, in Itaca addio, Milano, Il Saggiatore, 2001.

    U. Collu, La scrittura come riscatto, Cagliari, Della Torre, 2002.

    V. Gazzola Stacchini, Come in un giudizio. Vita di Salvatore Satta, Roma, Donzel-li, 2002.

    M. Corda, La filosofia della vita in dimensione esistenzialista. Salvatore Satta filo-sofo, Roma, Armando Editore, 2004.

    22

  • Avvertenze redazionali

    La presente pubblicazione differisce minimamente rispetto alla prima edi-zione del 1968.

    Evidenti difformit, relative alla titolazione degli articoli e opponenti indicee testo, sono state risolte con rari e circostanziati interventi.

    In particolare, quanto agli articoli: Tendenze liberali e illiberali nella inter-pretazione della legge fallimentare; Provvedimenti di urgenza e urgenza diprovvedimenti; Giuseppe Chiovenda nel venticinquesimo anniversario dellamorte; Il primo premio Carlo Maria de Marini, le difformit esistenti e co-munque non sostanziali sono state risolte uniformando le didascalie ai titolioriginali degli scritti.

    Diversamente, nella seconda sezione del volume, Il libro delle prefazioni,ai primi cinque scritti, indicati in indice con i titoli: Prefazione al volume sul-lEsecuzione forzata (1937); Prefazione alla prima edizione del Manuale di di-ritto processuale (1948); Prefazione alla quinta edizione del Manuale di dirittoprocessuale (1956); Prefazione alla settima edizione del Manuale di diritto pro-cessuale (1967); Prefazione al primo volume del Commentario al c.p.c. (1959),corrisponde ancora in testo una generica numerazione progressiva espressa in ci-fre romane. Poich in nota sono associate diciture pressoch corrispondenti, si rivelata inopportuna leventualit di sostituire la sequenza numerica originariacon la corrispondente titolazione dellindice. Anche lo scritto, annunciato nel-lelenco iniziale con la formula Prefazione al secondo volume del Commentarioal c.p.c. (1960), compare in testo contrassegnato dalla diversa e pi sinteticaindicazione Discorso sul metodo. Analoga difformit e trattamento riguardagli scritti: Svolgimenti critici di una dottrina dellesecuzione forzata (in testo:Svolgimenti critici di una dottrina sullesecuzione forzata); Separazione deiconiugi ed educazione della prole (in testo: Separazione dei coniugi e educa-zione dei figli. Laffidamento della prole nei poteri e nei doveri del giudice);La legge regolatrice della prova (in testo: La legge regolatrice delle prove);Un preteso caso di intervento coatto ad istanza di parte (in testo: Un pretesocaso di intervento coatto di istanza di parte): la scelta di preservare la strutturaoriginaria supportata dal riscontro di unalternanza di analoga specie in corpoagli stessi articoli.

    Infine, in relazione ai rimandi interni, le disuguaglianze talvolta riscontrate,relativamente alla titolazione, tra i riferimenti bibliografici attinenti agli scrittidi cui consta la presente pubblicazione e gli stessi scritti oggetto di citazione,sono state risolte adeguando il riferimento alla fonte di derivazione.

    25

    F. Grisi, Dalla veranda di Salvatore Satta, in Il Corriere di Roma, 15 novembre1981.

    F. Mercadante, La guerra tessuta dal peccato originale, in Il convegno, gen-naio-febbraio 1982.

    G. Steiner, Un millennio di solitudine, in S. Satta, Il giorno del giudizio, Nuo-ro, Ilisso, 1999, pp. 7-14.

    A.M. Morace, Prefazione, in S. Satta, La veranda, Nuoro, Ilisso, 2002, pp. 7-22.

    R. Bodei, Prefazione, in S. Satta, De profundis, Nuoro, Ilisso, 2003, pp. 7-32.

    24

  • Le virgolette, originariamente uniformi nellaspetto grafico, sono state diver-samente impiegate in base al contenuto di testo da esse racchiuso; in particolaresono state adottate le virgolette alte per contrassegnare il significato o luso parti-colare di una specifica espressione; le virgolette basse per definire tratti di dialo-go o citazioni letterarie.

    Quanto alle forme alternanti e comunque corrette: dogmatico/dommatico;intravedere/intravvedere; medievale/medioevale; obiettare/obbiettare; obietti-vo/obbiettivo e der.; obiezione/obbiezione; sennonch/senonch; subiettivo/sub-biettivo; subietto/subbietto e simili, sono state mantenute poich dipendenti dafattori, oltre che di natura stilistica, strettamente connessi alla struttura del testo(raccolta di scritti afferenti a periodi diversi).

    Le citazioni estrapolate da un dato contesto letterario, frequentemente perti-nente allo stesso autore del presente volume, e riportate con minime e comun-que non sostanziali differenze rispetto alloriginale sono state mantenute nellaforma in cui esse compaiono.

    26

    SOLILOQUI E COLLOQUI DI UN GIURISTA

  • A Laura, a Filippo, a Gino

    Questa mia vita travagliata io scrivoper ringraziare lo Dio della natura,

    che mi di lalma e poi ne ha huto cura:alte diverse imprese ho fatto e vivo.

    Benvenuto Cellino

  • Introduzione

    Bench sia un po arbitrario introdurre divisioni nette nella continuit delleevoluzioni storiche, tuttavia possibile distinguere nella storia di una scienza perio-di pi o meno lunghi durante i quali, nonostante i progressi incessanti ottenuti daquella scienza, le tendenze generali che lanimano, le concezioni teoriche sulle quali basata, restano pressoch le stesse. Questi periodi di stabilit relativa sono separatida altri brevi periodi di crisi, durante i quali gli scienziati, stimolati da fatti finoallora sconosciuti o non ben noti, sono costretti a porre nuovamente in discussionetutti quei principi che sembravano inattaccabili e a muoversi in pochi anni in dire-zioni del tutto nuove. E questi rivolgimenti improvvisi segnano sempre tappe decisi-ve per il progresso delle nostre conoscenze.

    Queste parole sono state scritte dal duca Louis de Broglie (che, tra parentesi, e colpermesso di De Gaulle, di origine italiana, e se i suoi avi fossero rimasti in Italia sisarebbe bonariamente chiamato Broglio, ma forse non avrebbe scritto quelle parole), esebbene pensate per la fisica, e per quel grande fisico che fu Lorentz, io le pongo qui,come esordio di questo volume, perch mi sembra che rappresentino la storia e le vi-cende del diritto processuale civile nella prima met del secolo e nel momento presente.

    Come a tutti noto, questa nostra scienza nata gi adulta con lopera di Chio-venda. La generazione non stata spontanea: a considerarla anzi nella prospettivastorica, essa si concretata nella inevitabile estensione alla procedura della grande si-stematica civilistica, dalla quale sono stati presi a mutuo i calchi concettuali, nellapi assoluta indifferenza per la materia che doveva riempirli. quello che dovevaavvenire molti anni dopo per la procedura penale, che ha preso gli stessi calchi di se-conda mano, dal diritto processuale civile. Il diritto soggettivo stato cos applicatoallazione, il rapporto giuridico al processo, si creata la figura e la teoria dellattoprocessuale, del negozio processuale parallelamente allatto e al negozio giuridico ingenerale: e prima di tutto questo si risolto il problema del rapporto tra diritto so-stanziale e processo, lunico vero problema della teoria generale del diritto, dal qualetutti gli altri dipendono, in termini di autonomia, con ricerche e assegnazioni di fi-ni che per il processo avevano come punto di riferimento un diritto obbiettivato ouno Stato subbiettivato, esasperante lautonomia fino allisolamento.

    Nonostante questa derivazione o forse appunto per questo, la fondazione del di-ritto processuale si pu considerare il fatto pi importante nella moderna scienza deldiritto. Il sistema di Chiovenda non stato soltanto una costruzione logica perfetta:esso ha costituito una specie di piattaforma dalla quale si lanciato il pensiero giuri-dico verso le sue rinnovate speculazioni. Si potrebbe dire, senza tema di errare, cheha offerto agli studiosi quelle certezze fondamentali di cui il pensiero ha bisogno; che

    31

  • reazione del povero e tanto valoroso Cristofolini, e la mia replica Orientamenti edisorientamenti nella scienza del processo, anche questa qui riprodotta solo per me-moria, come si scrive nei bilanci.

    E poi venne la guerra.

    Non c nulla di pi stimolante della guerra per la revisione delle concezioni teoriche:e infatti il culmine e la fine della guerra mi trov intento alla revisione pi radicale,quella delluomo, al lume delle piccole e grandi esperienze che sotto i miei occhi e primaancora in me stesso si andavano maturando. Mi trovai cos fra le mani un manoscritto,al quale diedi il titolo di De profundis, e che pubblicai qualche anno dopo nella comi-ca convinzione che luomo desideri ascoltare il severo ammonimento di Socrate.

    Questo libretto non ha nulla di giuridico (almeno per chi ha una concezione set-toriale, come oggi si dice, del pensiero) ma costituisce lintroduzione alla rinnovataspeculazione giuridica del dopoguerra. Dal profondo delluomo erano scaturite nelconflitto forze spaventose, ma forze ancor pi spaventose erano scaturite dalla pace.

    Se lo Stato aveva materialmente annullato lindividuo, lindividuo si apprestavaa far le sue vendette annullando idealmente lo Stato: le due posizioni erano solo ap-parentemente opposte, e comunque portavano allo stesso risultato di svuotare di ognisignificato i termini pi comuni del linguaggio politico-giuridico, che erano poi i pi-lastri della scienza e di ogni scienza. Il punto sul quale maggiormente si esercit lacorrosione della storia, fu, come facile comprendere, ma difficile spiegare, il proces-so: e da questa osservazione nacque Il mistero del processo il primo dei soliloquiraccolti in questo libro, che ha dato motivo a gente ben pi capace di me di ripren-dere ab ovo il discorso sul diritto.

    Dal fallimento totale del diritto pubblico, cio dalla progressiva strumentalizza-zione dello Stato e del diritto che caratterizza la vita associata e asociale dopo la fi-ne della guerra fino ai giorni presenti, sono nati gli altri soliloqui, che poi sono ingenerale discorsi tenuti qua e l in varie occasioni.

    Sono tappe molto significative nello sviluppo del pensiero di quegli anni, vere eproprie testimonianze. Ma intanto lautore sentiva che la scienza giuridica e in par-ticolare quella del processo doveva, nella tragica abdicazione delluomo e dello Stato,riaffermare se stessa, e questo non poteva fare se non rivedendo le proprie posizioniconcettuali, che erano diventate, al lume degli eventi, semplicemente ridicole. La sto-ria andava dimostrando giorno per giorno che la sola realt della vita lazione, chelazione ha un valore soltanto nella volont obbiettiva che la regge, ma daltra partequesta volont obbiettiva anchessa senza valore se lazione non si adegua, vale adire nellazione che la volont obbiettiva vive e si riconosce. Il fiat voluntas tua la preghiera che lazione recita quotidianamente, e in questa preghiera laccento cadesul fiat, che rende indistinguibili o indissociabili la mia e la tua volont. Di qui ilgiudizio, che istituito per celebrare quella volont nellazione, ma sempre nello spi-rito di quel fiat, cio come atto di creazione di quella volont.

    In termini formalmente giuridici tutto questo si esprimeva nel riconoscere lessenzia-le unit dellordinamento, dinamicamente concepito, unit nella quale si riassorbivano

    Chiovenda non ha pensato solo per s, ma per tutti quelli che in ogni campo sarebbe-ro venuti dopo di lui. Astri di prima grandezza sono sorti in trenta e quaranta annidopo la prolusione bolognese, e taluno, perch no?, anche pi brillante del maestro: egli sforzi comuni hanno portato ad allungare il fascio di luce a territori prima ine-splorati o convenzionalmente descritti, con progressi che neppure i laudatores tem-poris acti potevano negare. Ma ognuno, grande o piccolo, stato, se lecito sforzareil verbo, lumen de lumine, e le basi del pensiero nonostante gli ardimenti e talora lescosse telluriche, sono rimaste immutate.

    Il periodo di crisi di cui parla De Broglie reca una data iniziale, almeno apparen-te: ed il 1937, quando lautore di questo libro, e purtroppo di tanti altri, succedendoa Carnelutti nella cattedra di Padova, lesse la sua prolusione Gli orientamenti pub-blicistici della scienza del processo. Per la verit il fatto che stimolava a porre nuo-vamente in discussione tutti quei principi che sembravano inattaccabili era accadutoda molto tempo, anzi volgeva insospettatamente alla fine, per cedere ad altri fatti benpi tragicamente stimolanti. Si trattava del rivolgimento politico avvenuto quindicianni prima, che, per quel che ora interessa, dissolveva ideologicamente la libert inautorit, e quindi lindividuo nello Stato, e in uno Stato che riceveva la sua carica se-mantica proprio e soltanto dalla sua feroce opposizione allindividuo.

    Lenfant terrible che succedeva al vieux terrible nel seggio patavino cap subitola rilevanza che lordine o il disordine nuovo aveva nelle concezioni teoriche sullequali la scienza del processo si era fondata e sviluppata: perch esse si inserivano na-turalmente in quel fatto politico, certo contro lintenzione dellautore, che anzi, comesi sa, espiava con amarezza la sua opposizione al regime, ma comunque si inseriva-no, e dallinserzione ricevevano la critica pi dolorosa. Parve al giovane professore,che daltra parte gi cominciava a sentire il tedio delle proprie e delle altrui logo-machie pseudo-pubblicistiche, che fosse dovere della scienza accogliere la lezione del-lesperienza, e procedere a quella che molti anni dopo e in relazione ad altri fattipolitici si sarebbe detta autocritica: e la sede pi opportuna gli parve quella che for-se era la pi inopportuna, cio la prolusione di cui si detto.

    Lessenza di quella prolusione (che ripubblico in questo volume solo per ragioni distoria o di cronaca) consisteva nella riaffermazione del fine privatistico del processo enel riagganciamento dellazione al diritto soggettivo, il che implicava, e questo eralimportante, la messa al bando dello Stato, o pi esattamente del Signor Stato che siveniva profilando. Nel rileggerla ora mi sono accorto che il ragionamento o il lin-guaggio era sempre in chiave tradizionale, e condito di ingenuit: eppure fu come loscoppio di una bomba. I giovani di oggi, in questa specie di civilt del benessere acca-demico che si determinata, non possono immaginare i crucci e le ire di quel mo-mento. Si giunse al punto che Carnelutti si pu ormai dirlo perch siamo tutti tra-passati propose a Chiovenda di rifiutare alla prolusione accoglienza nella Rivista didiritto processuale (quella di allora): ma il Maestro, che forse aveva inteso, con lin-tuito di chi soffre, il profondo senso del ripensamento delle sue idee, neg il veto. Vi fuper la furiosa recensione di Carnelutti all Esecuzione forzata, allora apparsa, la

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    Introduzione

  • il concetto in s e per s, cosa da pazzi, evidentemente, in senso attivo e passivo. Eraben chiaro, mi pare, che la lotta era diretta non contro il concetto, ma contro la con-cettualizzazione della realt, come a dire, e come ho sempre detto, la sostituzione diuna catena di concetti alla realt vivente. Che lazione debba essere concepita evidente; ma quando si dice che un diritto la si concepisce stortamente; peggioquando si aggiungono gli attributi di astratto o di concreto; peggio quando la si ren-de autonoma, un diritto autonomo, di fronte a un altro diritto che sarebbe sostan-ziale, non so se oggettivo o soggettivo, dotato di vita assoluta e autosufficiente. Questinon sono il concetto, sono concetti e concettini che non comprendono (per ripren-dere la lezione etimologica di Carnelutti nel suo scritto Il metodo del non so come,in Riv. dir. proc., 1960, p. 1 e ss.) proprio nulla, come non comprendono proprionulla le fatali derivazioni che hanno dato vita a istituti che non esistono, quali la le-gittimazione, linteresse, la sostituzione processuale, i destinatari delle norme giuridi-che, la duplice fonte dei rapporti, la sentenza ingiusta, e prima di tutto la dichiara-tivit delle sentenze. (A questo proposito, se almeno gli scandalizzati avessero letto illoro Kelsen che a p. 268 della Teoria pura del diritto dice le stesse cose che dico io!)La vera ragione della polemica qui, non nella logica e nei suoi eterni strumenti.

    Per togliere di mezzo ogni tralaticio equivoco ho creduto opportuno inserire nellibro, accanto ai discorsi e agli scritti di carattere generale, alcuni studi di carattere,come suol dirsi, positivo, che mi sono sembrati i pi adatti a manifestare linfluenzache il metodo esercita sul modo di pensare e perfino di scrivere. Il lettore vedr che sela revisione dei principi inattaccabili scomoda per chi la subisce, assai pi scomo-da per chi si sente spinto a farla. Essa costringe appunto a una permanente polemi-ca, in fondo alla quale c lo spettro della solitudine. Forse sotto questa spinta ho fat-to, in straordinarie circostanze di tempo e di luogo, quelle considerazioni sullo statopresente della scienza e della scuola in Italia che appaiono, forzatamente inedite, inquesto volume.

    La verit che la scienza giuridica una scienza morale, non soltanto nel sensodella pi o meno arbitraria classificazione scolastica, ma perch essa pi che qualun-que altra scienza richiede un impegno morale in chi la professa. Disgraziatamente ilcontradittorio ordinamento italiano, che si inspira allaugusto modello delluniversitmedioevale, e nello stesso tempo, statizzando la scuola, riduce i giuristi a impiegati,senza neppure gli umili doveri che sostanziano il rapporto di impiego, rende difficilenon che osservare, sentire quellimpegno. Eppure cos. A differenza di ogni altro uo-mo di studi, che pu ben isolarsi nei suoi libri ed eccellere, acquistando una fama chea noi in generale negata, il giurista deve vivere intensissimamente la vita che si sro-tola e rotola sotto i suoi occhi, osservare i fenomeni sociali o pseudosociali che agitanoil mondo, penetrare le istanze che ad ogni momento gli esseri umani propongono innome della politica, dellarte, della religione, della libert e via dicendo, deve insom-ma leggere il giornale. E il suo modo di vivere la vita il pi singolare che si possaimmaginare: perch egli non deve agire (non potrebbe, anche se volesse), ma deve par-tecipare allazione col giudizio, cio con qualche cosa che appare come la negazione

    latto espressivo della volont obbiettiva (quando c), il fatto, lazione giudiziaria, ilprocesso, il giudizio, i vari momenti della creazione di quellordine che noi chiamia-mo diritto. Non erano cose nuove, anzi erano vecchie ed eterne, ma avevano ricevutola riconsacrazione della storia, e questo le rendeva nuovissime. Su questa base mi an-dai apprestando a scrivere prima il Manuale e poi lambizioso Commentario, inquattro volumi. Naturalmente un proposito di questo genere, lungi dal presupporreun pensiero gi formato in partenza, non poteva essere che un programma di pensie-ro a lunga scadenza, anzi senza alcuna scadenza possibile. Questo spiega la varietnelle edizioni del Manuale, fino alla settima che di ieri, e nella stessa successionedei volumi del Commentario, che non ancora finito.

    Disgraziatamente, la rinnovata impostazione che la storia esigeva dal pensierogiuridico comportava la vanificazione di buona parte dei problemi senza i qualipareva che non si potesse far scienza, e prima ancora dei concetti che scambiati conla realt avevano fatto sorgere quei problemi; e pi disgraziatamente lesponente diquel rinnovamento ebbe la sciagurata idea di dirlo nelle prefazioni che a ogni libroo a ogni riedizione di libro si divertiva a dettare. Le prefazioni sono una cosa moltoseria, prima di tutto perch vengono dopo il libro, e poi perch sono le sole cose cheuno legge: una persona prudente non dovrebbe quindi mai scriverne. Ma io avevocominciato con unimprudenza (la prolusione del 1937) e fui non una, ma settevolte recidivo. Lo sono, incorreggibilmente, anche in questo momento.

    Limportanza di queste prefazioni (se mai qualche cosa ha importanza) sta piche altro nella riproposizione del problema del metodo. Se debbo oggi dire la verit,io non ho mai amato, fin da quando ho posato gli occhi sui libri di diritto, il lin-guaggio dei miei futuri colleghi. Quel parlare in termini di Stato, di diritto oggettivo,di diritto soggettivo, di atto giuridico, di fatto giuridico, di rapporto, e poi di dirittodi azione, astratto o concreto che sia, di rapporto processuale, di legittimazione, di in-teresse ad agire, di natura processuale o sostanziale del giudicato e via dicendo, mi hasempre lasciato freddo, e la freddezza diventata ostilit quando ho rilevato che nellapratica non vi mai bisogno di ricorrere a queste parole, che i migliori avvocati igno-rano, e quando vi si ricorre, specie da giudici troppo colti, succedono in generale deiguai. Nessuno pu onestamente negare (magari in cuor suo: non pretendo una confes-sione aperta) che tra la scienza e lesperienza del diritto si costituita una cortina dicarta pi impenetrabile di quella di ferro. Ma dove lostilit diventata ripugnanza quando ho visto sulle ruine del mondo, cio delluomo, il giurista continuare imper-territo a giocare ai dadi dei suoi concetti. Allora ho perso la pazienza, perch il fattoscientifico diventava un fatto morale, e ho cominciato a scrivere: a scrivere le prefa-zioni che sono qui riprodotte, nelle quali ho denunciato i mali, ho cercato di rompereil cerchio magico della scienza concettualistica, ho indicato i rimedi, che purtroppo ioper primo non so usare. Mal me ne incolse, perch le ire furono tali che mi costrinseroa diventare quello che per natura non sono, e cio un polemista.

    La reazione del mondo accademico esplosiva in Carnelutti, taciturna in moltialtri fu curiosissima: perch laccusa che mi venne fatta fu quella di voler bandire

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    Introduzione

  • dellazione, ed comunque in perenne contrasto con essa. Per questo il giurista di-pinto spesso come un reazionario (non si detto che le leggi sono sempre in ritardo ri-spetto alla vita?), e in effetti lo : perch egli custodisce nel suo animo valori eterni chela vita non sopporta o mal sopporta, perch alla vita interessa semplicemente vivere.Per questo le posizioni concettuali del giurista non hanno solo un valore tecnico, comesuole impropriamente dirsi, non sono costruzioni o teorizzazioni pi o meno fungibi-li, ma sono la vita stessa colta nella concretezza del suo essere, e hanno quindi unaforza di penetrazione e di formazione spirituale che nessuna ideologia pu avere.

    Giurista colui che dice sempre di no. Questo il suo impegno morale, grave im-pegno perch nulla pi difficile che dire di no. Per sostenerlo non basta studiare econoscere le leggi (con questo si diventa al massimo professori, e sia pure buoni profes-sori), occorre stabilire una comunicazione, attraverso gli studi che un tempo si chia-mavano umani, coi grandi spiriti che ci hanno preceduto, occorre vivere lesperienzadel passato, ma sopra tutto acquistare nella meditazione, e quasi in una perpetuaconfessione, esperienza di s.

    Sono mai esistiti di questi giuristi? Una parte del volume dedicata ai grandimorti che, giovani o vecchi, ho commemorato con discorsi o con scritti nel mio lun-go cammino. Rileggendo ora le meste pagine mi sembrato che essi mi ispirasseroquesti pensieri. Perci le ho riprodotte, come colloqui, accanto ai soliloqui che insie-me danno il titolo al libro.

    ISOLILOQUI

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  • Il mistero del processo*

    Narrano le storie che il 2 settembre 1792, mentre il Tribunale rivoluziona-rio, da pochi giorni costituito (aveva al suo attivo soltanto tre teste), giudicavail maggiore Bachmann, della guardia svizzera del Re, un rumore sordo e lonta-no invase la grande sala delle udienze, che prendeva il nome da San Luigi.

    Chiamata a raccolta da radi colpi di cannone quel cannone che nella fanta-sia del poeta doveva un secolo dopo diventare ammonitore una folla immen-sa, la folla di tutte le rivoluzioni, emergeva dai bassifondi e si riversava sulle rive esui ponti della Senna. Erano le tre del pomeriggio, e la giornata era limpida e cal-da. Impassibili, i giudici si apprestano a interrogare alcuni soldati svizzeri, arresta-ti anchessi del 10 agosto, che dalle carceri rigurgitanti sono stati condotti perrendere testimonianza contro il loro capo. Verso le quattro e mezza, il rumore sifa pi vicino e insistente, sembra quasi salire dallo stesso Palazzo. Un usciere delTribunale le cronache ne hanno conservato il nome si affaccia ad una fine-stra, sul cortile degli uomini delle carceri sottostanti, ed una spaventosa visione sioffre ai suoi sguardi. Unorda di sanculotti, eccitati da qualche mestatore, avevaforzato i cancelli, e armata di scuri, di pugnali, di picche, trascinava quanti pri-gionieri trovava in mezzo al cortile, davanti ad un improvvisato tribunale del po-polo, e l ne faceva orribile scempio. Come i disgraziati, in preda al terrore, sierano rifugiati dentro le celle, e l si erano barricati, rompono le porte, e colpen-do ciecamente e furiosamente li abbattono luno sullaltro, misero ammasso dicarni sanguinolente. N le lotte, n gli urli, n i singhiozzi, n gli appelli dispera-ti, n il rumore dei colpi e delle porte divelte, le teste schiacciate, i petti squarcia-ti, il sangue che scorre a rivi, lorrore, che da questa arena di massacro monta,con lodore della carneficina, verso le finestre, nulla interrompe o ritarda ludien-za che si svolge davanti al Tribunale, nella sala denominata da San Luigi.

    Dimprovviso, tra la folla imbestialita corre la voce che gli svizzeri del re sononella sala delle udienze. Con urla immani balzano su per le scale, attraversanostanze e vestiboli, venerabili per antichi ricordi, e appaiono sulla soglia, i cenci ele armi grondanti di sangue. Lo spavento tale, che gli svizzeri si gettano a terra,strisciando sotto le panche per sfuggire alla caccia.

    Laccusato Bachmann, solo, poich sicuro di morire, che sia per fatto deigiudici o per fatto di questi assassini, discende dalla poltrona ove da trentaseiore seduto, e si presenta alla sbarra come per dire: uccidetemi. Avvenne un

    * il testo di una conferenza tenuta nellUniversit di Catania il 4 aprile 1949.

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  • fatto mirabile. Il presidente Lavau ferma dun gesto gli invasori: con poche ener-giche parole intima di rispettare la legge e laccusato che sotto la sua spada.Si vedono allora i massacratori, in silenzio, ripiegare docilmente verso la porta.Essi hanno compreso commenta Lenotre, Le tribunal rvolutionnaire, Paris1947, p. 52, dal quale raccogliamo lepisodio che lopera che essi compiono lin basso, le maniche rivoltate e la picca tra le mani, questi borghesi in mantellonero e cappello a piuma la perfezionano (la parachvent) sui loro seggi.

    La triste vicenda si offre come un mistero doloroso alla contemplazione delgiurista. vicenda di ieri; ma anche la vicenda di oggi, e sar la vicenda di do-mani, poich certo non ci si pu illudere che il fragile articolo della nuova costi-tuzione che vieta di istituire tribunali o giudici straordinari impegni la storia evalga a mutarne il corso sanguinoso. Queste promesse che gli uomini, paurosiluno dellaltro, si scambiano in una carta pi o meno solenne sono come le pro-messe di eterna fedelt nellamore: valgono finch valgono, rebus sic stantibus,finch la natura, la passione, la follia non prendono il sopravvento. Ma nellepi-sodio che abbiamo narrato, e nelle parole con le quali lo storico lo commenta, ildramma ha quasi la fissit di una favola, lazione come fermata nel cerchio diuna lanterna magica, o, se vogliamo mantenere il senso religioso di orrore, nelquadro di una via crucis.

    Due gruppi di uomini stanno luno di fronte allaltro, nella sala San Luigi. Diuno di essi, quello sulla soglia, non si pu nutrire alcun dubbio: sono degli assas-sini. Hanno le mani arrossate di sangue, i cenci lordi di sangue, sangue chiedonoancora con gli occhi fissi sui poveri prigionieri di l dalle sbarre. Ma laltro, gli al-tri uomini? Se si interroga luomo della strada non esiter a dire che anchessi so-no degli assassini: e del resto come tali li indica lo spirito popolare, quando mutail nome di Palais de justice in quello di Palais o lon condamne. E sono degli as-sassini perch sono le stesse persone, distinte appena da un mantello nero e daun cappello piumato: e se dicono laccusato sotto la spada della giustizia essivogliono dire soltanto, e sono subito intesi, lasciatelo stare, ci pensiamo noi adammazzarlo. Sulla sostanza delle cose, che non poi se non la valutazione mo-rale, sarebbe vano discutere. Eppure il giurista, che contempli con puro occhio digiurista, lorribile scena, sente che la valutazione morale non basta a penetrarnelessenza, e una folla di domande preme contro il suo spirito riluttante, quasi di-rei contro la sua stessa coscienza.

    Se gli uni e gli altri sono degli assassini, perch questi, che potrebbero impu-nemente uccidere con lazione diretta, uccidono attraverso un processo? Ma que-sto veramente un processo? E se un processo, che cosa allora laltro processo,quello al quale pensiamo quando parliamo di giustizia e di diritto? E, in definiti-va, che cosa il processo? Domande alle quali forse impossibile rispondere, maalle quali una risposta bisogna pur dare, se non vogliamo concludere la nostra vi-ta di studiosi con lamara impressione di aver perduto il nostro tempo intorno adun vano fantasma, a unombra che abbiamo trattato come una cosa salda.

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    I - SOLILOQUI

    Difficile rispondere: difficile persino tracciarsi una linea logica per giungerealla risposta.

    Ma vediamo. Questa gente vuole uccidere attraverso un processo. Quale siail motivo contingente e occasionale per cui preferisca alluccisione diretta il pro-cesso ci possiamo dispensare dallintendere: lesperienza moderna di siffatto ge-nere di cose ci avverte che linteresse che determina latroce opzione non ricon-ducibile a principi o categorie: manet alta mente repostum. Ma quel che importa che vuole uccidere attraverso un processo: dunque vuole un processo, vuole ilprocesso.

    Ora, questo fatto mi pare di una importanza capitale, che naturalmentesfugge a coloro che vogliono uccidere attraverso il processo: e limportanza sta inci, che il processo un atto essenzialmente e per definizione antirivoluzionario, un momento eterno dello spirito, e chi fa la rivoluzione non pu volerlo senzain qualche modo negare se stesso. Danton, forse, lo sentiva e lo esprimeva in ter-mini brutali, quando, nel processo del re, per trascinare i dubbiosi, i non rivolu-zionari, e aggiogarli al carro sanguinoso della rivoluzione, gridava dalla tribuna:noi non vogliamo giudicare il re, vogliamo ammazzarlo.1

    Fermiamo questo primo dato: vedremo in seguito come la contraddizione sicomponga nel pensiero e nellatto rivoluzionario. Prima per bisogna presentarsidue obiezioni quasi antitetiche luna allaltra, che, se riconosciute valide, ne in-firmerebbero la consistenza.

    Si potrebbe infatti osservare che il carattere antirivoluzionario, il momentoeterno, come sopra abbiamo detto, non specifico del processo, ma si ritrova ginella legge che precede il processo. E in realt, vi qui un aspetto di vero, perchla legge, in s e per s considerata, non compatibile con latto rivoluzionario;anche chi vuole una legge, nega la rivoluzione. Ma se si penetra a fondo lo sguar-do non si stenta a vedere che la verit pi apparente che reale o almeno pi for-male che sostanziale: perch essa si riferisce non gi alla legge come contenuto,ma alla legge come forma, come strumento. Il contenuto della legge sempre uncomando: e il comando per definizione un atto arbitrario, un atto di onnipo-tenza e come tale non pu non essere rivoluzionario rispetto a un atto anteriore,a un ordine anteriore. Come tale anche si sottrae ad ogni critica che non sia quel-la politica o morale, perch la critica sotto il profilo giuridico appartiene, se delcaso, ad un momento precedente, a quello dellusurpazione del potere, del sov-vertimento delle forme imposte da un dato ordinamento per costituire la legge.

    Si dir e cos si passa alla seconda obiezione che il contenuto della legge,il comando rivoluzionario, sia di natura tale che il processo non possa che porta-re allattuazione del comando medesimo, cio alluccisione. Il giudice uccidereb-be perch la legge gli impone di uccidere: il momento dellassassinio legale nonsarebbe nel processo ma nella legge; per dirlo in termini moderni, si tratterebbe

    1. Gaxotte, Le rvolution franaise, p. 284.

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    Il mistero del processo

  • di una questione di diritto sostanziale, non processuale. Se questo fosse vero, ilproblema da noi posto non esisterebbe neppure. E che un elemento di vero ci sia,non si pu certo negare, perch la legge indubbiamente un dato che si imponeal giudice, e del quale egli non pu non tenere conto: ma non pi che un ele-mento, perch la falsit del sillogismo giudiziale non ha pi bisogno di essere di-mostrata, perch se fosse pi che un elemento il legislatore non avrebbe bisognodi istituire i tribunali rivoluzionari, dopo aver dettato la legge rivoluzionaria. Larealt che chi uccide non il legislatore ma il giudice, non il provvedimentolegislativo, ma il provvedimento giurisdizionale. Onde il processo si pone conuna sua totale autonomia di fronte alla legge e al comando, unautonomia nellaquale e per la quale il comando, come atto arbitrario di imperio, si dissolve, e im-ponendosi tanto al comandato quanto a colui che ha formulato il comando tro-va, al di fuori di ogni contenuto rivoluzionario, il suo momento eterno.

    Di questa autonomia, che sembra poggiare, ed effettivamente poggia su basimetagiuridiche, lesperienza ci mostra la indistruttibile verit, e proprio lespe-rienza del tribunale rivoluzionario, di quel tribunale creato apposta per distrug-gerla e per negarla. Coloro che il 17 agosto 1792 avevano votato la legge istituti-va di quel tribunale non avevano certo coscienza che quella legge comportavadue volont, non una sola: la volont del processo, cio che il comando rivolu-zionario venisse attuato mediante un processo, e la volont della forma rivolu-zionaria di quel processo. Questultima era certo la sola volont, che li animava,o di cui avessero coscienza, poich in sostanza essi non volevano il processo, ovolevano un non-processo: ma il processo, una volta istituito, vive di vita pro-pria, o almeno tende a vivere, e si ritorce come una serpe contro colui che lhaallevata. Non dovevano infatti passare molti mesi, e i risultati del tribunale del1792 gi apparivano derisori a coloro che lavevano istituito (vero che linsur-rezione del 4 settembre lo aveva privato della materia prima, perch quasi tuttele teste disponibili erano state tagliate con lazione diretta); ed ecco profilarsilesigenza di un nuovo tribunale, che sar quello del marzo 1793, e di cui si di-r esplicitamente, per bocca di Danton, che avr per unico scopo di prevenire ilrinnovarsi dei massacri del settembre, cio, come ben commenta uno storico,di sostituirli legalmente. In questo nuovo tribunale, che comporter dei giuratinominati dalla Convenzione, il processo sembra definitivamente sopraffatto, eridotto ad una pura farsa, a una mera parodia di giustizia: ma il processo duroda morire, non si pu volerlo e non volerlo nello stesso tempo, e non passeran-no molti mesi durante i quali tante teste cadranno, e una di queste, tanto per ri-cordare lepisodio pi grottesco, per lassassinio di una persona che era venuta adeporre personalmente alludienza, non passeranno molti mesi, dico, che il tene-broso Fouquier-Tinville, dopo il quinto giorno dallinizio del processo dei Gi-rondini, scriver alla Convenzione: Noi siamo arrestati dalle forme che prescri-ve la legge Questo processo sar dunque interminabile. Daltra parte ci sichiede che bisogno c di testimoni (pourquoi des tmoins?). La Convenzione, laFrancia intera accusa gli imputati; ciascuno ha nella sua anima la convinzione

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    I - SOLILOQUI

    che essi sono colpevoli; il tribunale non pu nulla fare per se stesso, egli obbli-gato a seguire la legge; spetta alla Convenzione far sparire tutte le difficolt cheinceppano il suo cammino. E la Convenzione, su proposta di Robespierre, dun giro di vite, come si direbbe nel linguaggio del cinismo moderno, e vota subi-to un decreto per cui se un processo si prolunga per tre giorni, il presidente apri-r la seduta successiva chiedendo ai giurati se la loro coscienza sufficentementerischiarata (suffisamment claire). Se i giudici rispondono di s, si proceder allasentenza. Esiste ancora il processo? Si direbbe che qui del processo veramentenon rimanga pi nulla, che qui veramente la legge uccida e non il giudice. Eppu-re non sar cos. Gli dei hanno sete, ma il processo pur sempre uno schermo,sottile quanto si vuole, che impedisce di raggiungere il liquido sanguinoso. Certonon si sentir questo schermo quando si tratter di far cadere alla rinfusa le oscu-re teste degli infelici che sono rimasti impigliati nellingranaggio: ma gi viene ilgiorno in cui, seguendo il moto necessario di tutte le rivoluzioni, gli stessi dei,uno dopo laltro, si avvicenderanno sui fatali gradini del Tribunale. E sar la voltadi Danton e dei suoi complici. I piccoli uomini, ai quali affidato il compito diammazzare il tribuno, vedono allora con terrore lo schermo rizzarsi davanti a lo-ro. Invano Fouquier-Tinville ricorre al misero espediente di far ritardare lapertu-ra delle udienze, perch i tre giorni del famigerato decreto si riducano a pocheore: i giurati possono sempre rispondere e tutto lascia prevedere che sar cos di non essere suffisamment clairs. Un rischio immenso che comporta forse latesta degli accusati e dei giudici. Ed ecco ancora Fouquier che scrive alla Conven-zione la cupa lettera: Cittadini rappresentanti, una terribile tempesta romba daquando la seduta cominciata. Gli accusati, come forsennati, reclamano laudi-zione di testimoni a discarico Noi vi invitiamo a tracciarci definitivamente lanostra condotta su questo reclamo, poich lordine giudiziario non ci offre alcunmezzo di motivare un rifiuto. La risposta sar un decreto della Convenzione chemetter gli accusati fuori processo (hors des dbats): il primo annuncio di quellache sar la legge del 22 pratile, per cui interrogatorio, testimonianza, difesa, tuttosar tolto di mezzo, ma soprattutto saranno tolti di mezzo i giudici deboli, faibles(laccusatore pubblico li aveva segnati con una piccola f dopo lesecuzione diDanton) che impedivano al processo di morire.

    Chiuso nella sua cella, in quelle poche ore che dovevano trascorrere fra lacondanna e lesecuzione, Danton si accusa di aver fatto istituire il Tribunale ri-voluzionario, e ne chiede perdono a Dio e agli uomini. Egli non ha certo il tem-po di pensare queste povere cose che noi pensiamo e di rendersi conto che peruccidere lui era stato necessario uccidere prima anche quella larva di processoche egli aveva creato. Sotto il profilo morale, che nel momento supremo solo ri-leva, il decreto della Convenzione rientrava nella logica di quel processo, e Diocertamente avrebbe respinto la distinzione come un cavillo. Pi tardi per,quando suoner lora dellespiazione e Fouquier-Tinville sar a sua volta trasci-nato davanti ai giudici, il vecchio uomo di legge trover, quasi per fiuto, che inquella distinzione sta la sua salvezza, e cercher di coprire col processo, col valore

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    Il mistero del processo

  • eterno del processo, le sue malefatte. Voi mi rendete responsabile dei giudizi,egli grida. Se si attaccano i processi, io non posso pi rispondere. Ma pro-prio il processo quel processo che si rivoltava contro di lui nelle ore pi tragi-che del terrore che oggi risorge dalle sue ceneri, che reclama, di fronte a Dio eagli uomini, la sua condanna.

    Vogliono il processo, e lo vogliono, si badi, veramente, con tutte le implica-zioni che esso comporta. Si direbbe anzi paradossalmente che lunica cosa cheveramente vogliono, perch lunica che possono non volere: luccisione, lastrage ben potrebbero essi consumarla e giustificarla e cos gli spiriti menospregiudicati la giustificano come una immensa misura di sicurezza, che nonha bisogno di appellarsi alla giustizia per distinguersi dallassassinio. Capograssi,in una di quelle private conversazioni che impegnano sempre, anche sul piumile oggetto, le cose supreme, osservava che il processo rivoluzionario non che un delitto il quale si svolge tutto nelle tenebre, meno un piccolo tratto, untratto scoperto. Ma in questo piccolo tratto scoperto, in questa piccola zonadi luce che si affisa la mente del giurista, cercando di penetrarne il mistero, ol-tre la chiara, troppo chiara apparenza delle cose.

    Negli anni della mia primavera poich anche i giuristi hanno una prima-vera mi accadde di dover ragionare intorno al problema del cosidetto scopodel processo. un problema fondamentale, un problema centrale, in cui dueconcezioni e due mondi si oppongono e si urtano, lattuazione della volontdella legge, da un lato, e dallaltro la difesa del diritto soggettivo, la concezionepubblicistica e la concezione privatistica del processo, con imponenti riflessianche sul terreno della pratica. E ragionando con la temerit propria dei giova-ni anni, io dissi allora che il problema era mal posto, addirittura non esisteva,perch semplicemente il processo come tale non aveva scopo, se anche uno na-turalmente potevano e dovevano averne le persone che agivano nel processo egli atti nei quali la loro azione si concretava. Ho chiesto molte volte, comeDanton, perdono a Dio e agli uomini di tanto coraggio; ma oggi fissando quelpiccolo tratto scoperto lintuizione giovanile riaffiora e si impone alla maturaesperienza, se pur non lesperienza, come spesso accade, che si risolve nellagiovanile intuizione. In realt, lo scopo di un atto, mi sembra si debba conve-nirne, qualcosa che sta necessariamente fuori dellatto, rappresenta linserirsidellatto nella vita pratica, e come tale indispensabile allatto, che privo delloscopo non sarebbe neppure un atto: la stessa legge riflette questa verit quandoprofila linidoneit dellatto a raggiungere il suo scopo. Ma il processo? Ha ilprocesso uno scopo? Non si dica, per carit, che lo scopo lattuazione dellalegge, o la difesa del diritto soggettivo, o la punizione del reo, e nemmeno lagiustizia o la ricerca della verit: se ci fosse vero sarebbe assolutamente incom-prensibile la sentenza ingiusta, e la stessa forza del giudicato, che copre, assaipi che la terra, gli errori dei giudici. Tutti questi possono essere e sono gli sco-pi del legislatore che organizza il processo, della parte o del pubblico ministero

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    I - SOLILOQUI

    che in concreto lo promuove, non lo scopo del processo. Se uno scopo al pro-cesso si vuole assegnare questo non pu essere che il giudizio; e processus iudiciiinfatti era lantica formula, contrattasi poi, quasi per antonomasia, in processo.Ma il giudizio non uno scopo esterno al processo, perch il processo non al-tro che giudizio e formazione di giudizio: esso dunque se ha uno scopo, lo hain se stesso, il che come dire che non ne ha alcuno. Veramente processo e giu-dizio sono atti senza scopo, i soli atti della vita che non hanno uno scopo.

    Paradosso? No, non un paradosso; un mistero, il mistero del processo, ilmistero della vita. Se noi contempliamo il corso della nostra esistenza il brevecorso della nostra vita individuale, il lungo corso della vita dellumanit esso ciappare come un susseguirsi, un intrecciarsi, un accavallarsi di azioni, belle obrutte, buone o cattive, sante o diaboliche: la vita stessa anzi non altro chelimmenso fiume dellazione umana, che sembra procedere e svolgersi senza unasosta. Ed ecco, a un dato punto, questo fiume si arresta; anzi ad ogni istante, adogni momento del suo corso si arresta, deve arrestarsi se non vuole diventare untorrente folle che tutto travolga e sommerga: lazione si ripiega su se stessa, e do-cilmente, rassegnatamente si sottopone al giudizio. Perch questa battuta di arre-sto proprio il giudizio: un atto dunque contrario alleconomia della vita, che tutta movimento, tutta volont e tutta azione, un atto antiumano, inumano, unatto veramente se lo si considera, bene inteso, nella sua essenza che non hascopo. Di questatto senza scopo gli uomini hanno intuito la natura divina, e glihanno dato in balia tutta la loro esistenza. Di pi: tutta la loro esistenza hannocostruito su questunico atto. Secondo il nostro credo, quando la vita sar finita,quando lazione sar conclusa, verr Uno, non per punire, non per premiare, maper giudicare: qui venturus est iudicare vivos et mortuos.

    Giudicare, non punire. Punire pu chiunque, perch il punire non cheazione, brutale azione. Punisce Minosse, avvinghiando la coda: ma il giudizio,quando lanima si presenta di fronte a lui, gi compiuto, in una sfera nellaquale egli, demonio, non pu penetrare.

    Il principio nulla poena sine iudicio non esprime soltanto una esigenza prati-ca, di giustizia, ma una necessit ontologica. A questo punto per, e quasi peruna inversione della sua natura divina, il giudizio ci presenta un altro volto, chenon meno misterioso del primo, e forse pi tenebroso. Il principio nulla poenasine iudicio sembra capovolgersi: se il giudizio necessario alla pena la pena ap-pare necessaria al giudizio: nullum iudicium sine poena. Si direbbe anzi che tuttala pena nel giudizio, che la pena azione il carcere, il carnefice interessinosoltanto in quanto sono, per cos dire, prosecuzione di giudizio (si pensi al ter-mine giustiziare). Chiovenda ha parlato del processo come fonte autonoma dibeni: si potrebbe con pi realismo parlare del processo come fonte autonoma dimali: e Carnelutti mi pare che nella sua possente intuizione lo abbia visto quan-do ha parlato di risoluzione della pena nel processo, fino a trarne la sconcertanteconseguenza che la sentenza di assoluzione la confessione di un errore giudizia-rio. Comunque, tutti abbiamo lesperienza che nulla sta a cuore degli uomini

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    Il mistero del processo

  • come la vita del criminale o del supposto criminale che essi vogliono sopprimereattraverso il giudizio, nulla pi li delude come il giustiziando che previene il giu-dizio col suicidio, e la storia piena, ahim, di esempi antichi e forse recentissi-mi di suicidi giustiziati.

    La ragione immediata di questo singolare fenomeno, la ragione deteriore, di-rei, e quella della quale solo forse gli uomini sono coscienti, sta nelloriginario etuttavia permanente nucleo di vendetta dal quale si svolta la giustizia. Ma la ra-gione vera, la ragione essenziale, ben pi profonda; ed che nulla gli uominiabborriscono come il giudizio, questatto senza scopo che hanno messo al centrodella loro esistenza. Ciascuno intimamente innocente: e il vero innocente non colui che viene assolto, bens colui che passa nella vita senza giudizio. Ma neabborriscono per la stessa ragione per la quale a loro volta vogliono giudicare:perch giudicare significa postulare lingiustizia di unazione, invocare quindi ilgiusto contro di essa. Ci non avvertito di solito nei comuni processi, ma ge-nuinamente si rivela nei processi cos detti politici, in cui sembra che due giustisi contrappongano, che distinguere il giusto dallingiusto non si possa talora senon sulla linea della forza, in cui non si sa pi chi sia laccusato e chi laccusatore,e lassoluzione dellaccusato si risolve in una condanna, spesso non solo morale,dellaccusatore. Quel che importa insomma non che cada la testa, ma soltantoche se cade io sono nel giusto: quindi quel che importa il giudizio. Per questo,per la istanza di giustizia, e diciamo pure di divina giustizia, che nel giudizio, fudetto: non giudicate. Ma per questo anche il giudizio (il domandar ragione aquesto giusto, come ben sent Dante) una pena, la sola vera pena. Il genio diBiagio Pascal ha fissato per sempre questa verit in un sublime pensiero: GesCristo non ha voluto essere ucciso senza le forme di giustizia, perch ben piignominioso morire attraverso un giudizio che per una sedizione ingiusta.

    Vogliono giudicare perch senza giudizio non c pena, perch vogliono esse-re giusti, in una parola, perch riconoscono nel giudizio un momento eterno, difronte al quale si arresta il loro moto convul