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dello stesso autore

La lanterna del viandante Giorno dopo giorno con i Magi verso Betlemme

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Il deserto fiorisceGiorno dopo giorno

con Gesù verso Gerusalemme

Lorenzo Piva

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© 2012 S.r.l.

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ISBN 978-88-514-0955-5

Per i testi biblici:© 2008 Fondazione di Religione

Santi Francesco d’Assisi e caterina da Siena

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Premessa

Il viaggio con Gesù continua lungo le strade della Pale-stina. Procede tra deserti e vallate, tra terre riarse ed oasi riposanti fino a raggiungere una Pasqua nuova ed eterna. Il Maestro di Nazaret invita tutti a seguirlo mettendo nel-la bisaccia un po’ di leggerezza ed essenzialità, di silenzio e di stupore, di robustezza e di amore.

La Quaresima e la Pasqua sono una nuova tappa dell’u-nico itinerario della fede, una vera opportunità per di-ventare discepoli di un Maestro dalla parola suadente e persuasiva, delicata ed autorevole, che non lascia spazio ad alcuna indecisione. Il quotidiano ascolto della Parola aiuta a smussare le spigolosità del carattere, a potare i ra-mi secchi dell’esistenza e a vedere fiorire una vita nuova.

Scorrendo i racconti evangelici che ritmano i passi di Gesù verso la Città Santa, l’autore del volume, ana-logamente a quanto ha fatto con il precedente dedicato all’Avvento (La lanterna del viandante, Àncora 2011), sollecita a porsi in ascolto del silenzio del deserto, che len-tamente fa rifiorire il cuore umano ed avverare il sogno di Gesù: i cuori induriti si sciolgono e si riaprono al sole della Pasqua. Da vero trainer Gesù trae fuori il meglio da ciascuno: trasforma Zaccheo in uomo di misericordia, la Maddalena in donna di coraggio, i due discepoli di

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Emmaus in autentici missionari. Utilizza gli strumenti della contemplazione e della conversione per trasformare il pensare e l’agire del cuore umano.

Il volume accompagna il lettore dentro il deserto e lo conduce oltre, fino a fargli scoprire che l’attento ascolto della Parola dona energia nuova ed offre la carica giusta per superare gli ostacoli e gli egoismi del quotidiano.

Nei brevi commenti riportati al termine di ogni brano del Vangelo si percepisce un amore che viene dall’Alto e che libera dall’angoscia e dalla solitudine. con uno stile fresco e una speciale attenzione al quotidiano l’autore aiuta a dialogare con la ricerca del senso della vita sulle orme dell’unico Messia.

Non sono casuali le citazioni riportate in coda ad ogni commento. costituiscono anzi un ulteriore input per smuovere dal torpore che fa perdere di vista il punto di arrivo. Attraverso di esse l’autore lascia trasparire che la forza di dio è l’Amore che fa scaturire l’acqua anche dalla roccia. Sono poche righe per aprirsi ad orizzonti sconfinati e celebrare con gioia la Pasqua, primavera di ogni vita.

Antonella Prenna

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Introduzione

«L’uomo dell’era digitale, come quello delle caverne, porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità che lo spingono verso l’Assoluto» (Be-nedetto XVI, 11 maggio 2011). La Bibbia lo racconta nella storia di alcuni straordinari camminatori dello spirito: da Abramo a Mosè, da Giosuè a Tobia, da Elia a Gesù di Nazaret, dagli apostoli a Paolo di Tarso, da Israele alla chiesa, popoli dell’antica e della nuova alleanza. Uomini e donne di ogni tempo e latitudine si sono inoltrati nel deserto dell’esistenza e ne sono usciti trasfigurati perché è proprio dell’essere umano andare oltre se stesso alla ricerca di ragioni di senso.

Il deserto fiorisce è indirizzato a quanti intendono superare i confini della soglia umana per darsi traguardi altri. «Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte» (Mt 14, 13). dopo di lui e grazie a lui, discepoli e gente comune si incamminano leggeri e determinati tra le dune del deserto.

Il primo luogo di sosta è il cuore, dove si agitano sentimenti e risentimenti. Superate le prime curve, dei rumori della città rimane soltanto un leggero brusio. Subito dopo le voci si attenuano. Si entra in confidenza

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con l’essenzialità, con il vento e il silenzio. Si impara in fretta a riconoscere che di molte cose si può fare a meno. I venti, poi, che riportano affievoliti gli schia-mazzi, aiutano a valutare ciò che merita attenzione e ciò che va lasciato cadere. Alla fine, il silenzio rimane signore unico e incontrastato. dapprima mette paura perché è stato estromesso dal convivere sociale, ma nel deserto diventa familiare ed insostituibile. come prende confidenza con colui che lo accoglie, il silenzio cambia pelle e diventa loquace. «Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvi, per ricevere la grazia di dio; è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è dio e che si svuota completamente questa piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto a dio solo» (beato charles de Foucauld, 1858-1916).

Questo volumetto intende bucare il soffitto basso e asfittico delle umane aspettative per mirare alle vette della trascendenza. Il silenzio prepara all’ascolto della Parola. Essa scenderà su Maria di Nazaret che diverrà tabernacolo dell’Altissimo e madre del Salvatore, entrerà nel cuore del Battista perché ha messo casa nel deserto, ma, soprattutto, perché ha fatto deserto dentro di sé e attorno a sé. Giovanni, uomo tutto di un pezzo, pren-derà alla lettera la Parola e giocherà la propria storia su di essa. Analogamente avviene nella vita del credente: la Parola bussa, chiede di liberare il cuore da ogni forma di falsità e ipocrisia, e di darle ospitalità piena e duratura. Infine, quella medesima Parola chiede di essere procla-mata con la vita.

Essa è, dunque, lo spazio dentro il quale maturano le grandi decisioni. Il deserto è attraversato da chiunque

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voglia portare frutto. Servono i suoi silenzi, le sue bufere, le sue notti stellate, i suoi raccoglimenti, la purificazione degli affetti per consentire a dio di ricostruire l’unità del cuore. da un tale viaggio sboccerà una vita nuova e un impegno fecondo a servizio dell’umanità.

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Tempo di Quaresima

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TEMPO DI QUARESIMAMercoledì delle Ceneri

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (6, 1-6. 16-18)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e nelle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiu-nano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

TORNARE A CASA

Tornare dopo aver vagabondato lontano da dio richie-de più coraggio di quando ci si è allontanati. Per rientrare serve nostalgia di casa, umiltà, voglia di ricominciare, semplicità, disponibilità a farsi aiutare. «Quaresima è andare controcorrente, dove la corrente è lo stile di vita

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superficiale, incoerente e illusorio, che rende prigionieri della mediocrità morale. con la conversione, invece, ci si affida al Vangelo vivo, che è cristo Gesù» (Benedetto XVI, 17 febbraio 2010). Sono tre i pilastri della Quare-sima: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. dicono la relazione con gli altri, con dio e con le cose.

«Quando fai l’elemosina». L’elemosina è un atto di giustizia prima che un gesto di bontà. Tutti i beni della terra sono destinati al bene comune. da Gesù ad oggi gli «ipocriti», letteralmente «attori» che indossano una maschera, non sono scomparsi e nelle loro opere, anche se camuffate di perbenismo, c’è l’intento di primeggiare e apparire. Gesù invita a vivere l’elemosina nel segreto, nella parte più intima del cuore.

«Quando preghi». come l’elemosina, pure la preghiera va fatta senza farsi notare. La preghiera autentica è stare davanti a dio, non davanti agli uomini. Si può essere ipocriti anche nella preghiera. Ma dio resiste ai superbi e si apre agli umili.

«Quando digiuni». Il digiuno fa capire che non si vive di solo pane. Nel presente tempo di consumismo, il digiuno riacquista senso se lo si vive come medicina per guarire dalla frenesia del possesso, come metodo per giungere alla virtù della sobrietà, come antidoto al veleno dell’e-donismo.

Interrogato su come si debba pregare, l’abate Macario disse: «Non è necessario parlare molto nella preghiera. È meglio tendere spesso le mani e dire: “Signore, abbi pietà di noi”» (dai Padri del deserto).

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TEMPO DI QUARESIMAGiovedì dopo le Ceneri

✠ Dal Vangelo secondo Luca (9, 22-25)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sa-cerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».

LACRIME D’AMORE

chi asciugherà le lacrime di un piccolo che muore di fame? chi darà risposta alle loro madri impazzite dal dolore? chi farà giustizia all’oppresso? Non certo le chiac-chiere dei potenti. Soltanto sotto la croce di Gesù trovano senso ed acquistano valore i drammi e le inquietudini umane. Quella croce è il vero snodo stradale della storia. Lì sostano il cielo e la terra. Uomini e donne di ieri, di oggi e di domani aprono ai piedi della croce cuore e bi-sacce. Affidano a quel condannato muto la loro vita. Lì avviene la purificazione del dolore e la sua trasformazione in amore. Per cogliere il senso del sacrificio di Gesù oc-corre sostituire la parola-croce con la parola-amore: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda su di sé tutto l’amore di cui è capace e mi segua».

Le croci del discepolo del Vangelo non sono le con-trarietà quotidiane, le fatiche o le malattie, insomma le

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cose da sopportare. La croce, dice Gesù, è da prendere e abbracciare, non da sopportare; da scegliere e preferire, non da subire. Vivere la vita cercando di bypassare il dolore è solo un lento morire. Il vero dramma dell’uomo non è perdere la vita, ma non incontrare una persona più preziosa della propria esistenza, non avere nessuno per il quale valga la pena di regalare la vita. È normale avere paura del dolore, ma non dell’amore. Segreto di una vita intensa ed appagante è fissare lo sguardo sull’amore.

Portare la croce non è sinonimo di sopportazione e di pazienza. Significa, invece, perdere la faccia. La croce era l’umiliazione più avvilente che si potesse anche solo im-maginare, sia per i Romani che per gli Ebrei. Il discepolo di Gesù che abbraccia la croce, dice addio agli idoli del mondo, e ha un unico sogno: come piacere al suo Signore. Portare la croce significa: «Amami fino al punto che non ti importa di perdere la faccia per me». con la Quaresima Gesù invita a riscoprire l’assoluto di dio, la sua unicità, il suo amore. Aiuta a comprendere che in un mondo in cui si respira come decisiva la parola auto-realizzazione l’unica cosa che conta è perdere la propria vita per amore, come ha fatto lui. Non è un tempo di mortificazione e di sterile penitenza, ma di vivificazione e di appagamento.

«Richiedere la rimozione dei simboli religiosi dagli spa-zi pubblici non dimostra la neutralità dello Stato, né assicura il vero pluralismo. Una richiesta come questa semplicemente mostra che la priorità viene data ad una visione atea e ad un’ideologia laicista» (Sigitas Tamkevi-cius, presidente dei vescovi cattolici lituani).

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TEMPO DI QUARESIMAVenerdì dopo le Ceneri

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (9, 14-15)In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli in-vitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verran-no giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

LA GIOIA PER LO SPOSO

Il digiuno è una pratica religiosa antica. Tende, con ragioni e forme diverse, a contenere gli abituali impulsi del cuore umano per allenarlo alle più elevate vette dello spirito. Poco propenso alla rinuncia e al sacrificio, parte dell’occidente guarda con diffidenza a questa pratica. Non ne coglie la finalità immediata. Eppure il digiuno rimanda all’essenzialità e all’esigenza di condivisione. Le religioni orientali lo intendono anche come forma di pu-rificazione del corpo e di alleggerimento della mente. Era praticato dai farisei e dai discepoli di Giovanni Battista. Non facevano altrettanto quelli di cristo, ma solo perché Gesù, ragione di festa, era con loro.

Il senso autentico del digiuno cristiano è di ordine escatologico. Riguarda l’attesa ultima dello «sposo», fa emergere la visione nuziale della Quaresima, come ten-sione interiore in vista del ritorno del Signore Risorto nella gloria.

Nell’invito a digiunare c’è lo scopo di scuotere dal torpore che mille proposte allettanti possono causare.

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Un digiuno bene impostato rimette in forma lo spirito e permette di inoltrarsi nel deserto, luogo biblico degli appuntamenti di dio. «Non di solo pane vive l’uomo» (Mt 4, 4). Il digiuno aiuta a riscoprire quella fame di dio che ogni creatura umana porta con sé e che nulla può tacitare. È strettamente associato alla conversione, intesa come la precisa volontà di volgere lo sguardo verso dio. Allontana il peccato e fa sbocciare l’amore. dio torna al centro e il peccato perde l’antica presa. Un vero scossone interiore che fa rifiorire la gioia.

La prossimità di altre fedi, soprattutto del Ramadàn musulmano, richiama al primato di dio e alla gioia della condivisione. Il digiuno cristiano assume oggi forme di-verse, non tutte e necessariamente legate al cibo. «Sant’A-fraate, vescovo in Siria nel IV secolo, parla del digiuno dal cibo come di pratica necessaria per essere caritatevoli e vergini, del digiuno della continenza in vista della santità, del digiuno dalle parole vane o detestabili, del digiuno dalla collera, del digiuno dalla proprietà di beni in vista del ministero, del digiuno dal sonno per attendere alla preghiera» (Benedetto XVI, 21 novembre 2007).

«Vedi cosa fa il digiuno! Guarisce le malattie, libera il corpo dal superfluo, scaccia gli spiriti maligni. Grande forza è il digiuno, e porta a grandi vittorie» (sant’Atanasio, patriarca d’Alessandria d’Egitto, 295-373).

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TEMPO DI QUARESIMASabato dopo le Ceneri

✠ Dal Vangelo secondo Luca (5, 27-32)In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormo-ravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non so-no i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».

MENO CALCOLI, PIù GRATUITà

Marco lo chiama Levi. Fa l’esattore delle tasse. È guar-dato con disprezzo perché è amico dei Romani, pagani invasori. Ma un giorno qualcuno posa lo sguardo su di lui senza emettere giudizi, né condanne. Gli offre un’op-portunità: «Segui me», dice Gesù. La posta in gioco è alta: tenersi stretto il denaro, frutto di attività ambigue, o seguire Gesù, vivere il presente o legarsi al futuro, in-collarsi al certo o scegliere l’incerto? In un baleno entra in discussione la sua intera esistenza di speculatore e di trafficante privo di scrupoli. d’improvviso e come per incanto crolla il castello difensivo che si era costruito e dietro a cui si era barricato. Gesù manda all’aria ogni copertura con il binomio «sguardo-parola», sinonimo di amore e intelligenza. Si ridesta il cuore dell’esattore Matteo. Muore il pubblicano, nasce l’apostolo.

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Il neo-convertito non si accontenta di mettere in salvo la propria vita. coinvolge i vecchi soci, invitandoli a pranzo con Gesù. Si invertono le parti: ora non è più Matteo a dover saltare la barricata. ha già convertito la vita. Tocca a Gesù decidere da che parte stare: se con i presunti giusti o con i peccatori bisognosi di conversione. E il maestro di Nazaret si pone senza esitazione dalla parte dei malati da guarire.

La salvezza è dono esclusivo di dio. Non richiede an-ticamere. La chiesa non è fatta di puri, ma di peccatori. I suoi seguaci sono «accolti» che accolgono, «perdonati» che perdonano. La cattolicità della chiesa si spiega a par-tire dal basso, a cominciare dagli «ultimi», memori che Gesù ha offerto la prima eucaristia a Giuda Iscariota che lo tradisce, a Simon Pietro che lo rinnega, e agli altri del gruppo che di lì a poco lo abbandoneranno. Non si deve mai dimenticare che anche quelli che si dicono «prossi-mi» di Gesù hanno dimora stabile tra i peccatori.

A Messa si incontrano discepoli e peccatori, giusti e farisei. Questi ultimi sanno porre solo obiezioni. come trattare con i peccatori? Se si pentono, come Matteo, si possono riammettere in comunità. Se perseverano nel male sono da allontanare definitivamente. La commen-salità con i cattivi rimane un problema. Eppure Gesù sta con noi senza provare vergogna di chiamarsi fratello: «Non si vergogna di chiamarli fratelli» (Eb 2, 11). odia il peccato, ma ama il peccatore.

«Fra l’ultimo nostro respiro e il timore dell’inferno c’è tutto l’oceano della misericordia di Dio» (sant’Agostino di Ippona, vescovo, 354-430).

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PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMADomenica

✠ Dal Vangelo secondo Marco (1, 12-15)In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arre-stato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

IL DESERTO, TERRA DI PROGETTI

Gesù è il nuovo Adamo che rinnova con l’umanità il viaggio della «lontananza» da dio. Il Figlio viene cata-pultato nel deserto, cuore della prova. Pure i discepoli di Gesù sono chiamati ad entrarvi e a soggiornarvi.

Nel deserto si entra in ascolto del silenzio, che alla gente chiassosa mette paura perché fa più rumore di un martello pneumatico. Il silenzio del deserto aiuta a vincere l’effimero e permette di tuffarsi nell’eterno pre-sente di dio. Nel deserto dio creatore rinnova il cuore dell’uomo; le tribù di Israele, uscite dall’Egitto, diventano popolo; il profeta Elia, deluso e fallito, ritrova slancio per la missione.

Il deserto è scuola di monoteismo. Lì Gesù indica qua-le volto di dio annuncerà all’umanità: se quello facile di un dio-padrone, quello difficile di un dio-servo, o quello folle di un dio-crocifisso. In questa terra inospi-tale concepirà la buona Novella. L’evangelista Marco non si sofferma sul contenuto delle tentazioni di Gesù, ma

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ricorda che le tentazioni non si evitano, si attraversano e si superano. «Sopprimete le tentazioni e più nessuno si salverà» (sant’Antonio abate, 251-356). Senza le tentazioni non c’è salvezza perché non esiste libertà di scelta.

Per fare deserto basta non-fare. Nel silenzio dio co-mincia a parlare, aggiusta la rotta e mantiene desta la fede. Raramente dio parla nel frastuono. La creazione nasce dal silenzio, ed ogni nuova creazione comincia dal silenzioso incontro con dio. Il rumore dà un benessere epidermico, ma miete vittime. come Maria, il povero in silenzio davanti al proprio Signore fa la storia. Porta a dio il mistero del proprio io, e quello non meno decisivo dell’umanità tutta.

Il silenzio è lo spazio dentro il quale maturano le deci-sioni. da ogni deserto si esce trasformati. Scrive Marco: «dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di dio» (Mc 1, 14). dopo quaranta giorni Gesù esce dal deserto. L’attesa è finita e le promesse si realizzano. comincia la fase finale del pro-getto di dio. Il tempo presente, anche se c’è chi afferma il contrario, è pieno fino all’orlo della presenza salvifica di dio perché Gesù riempie di senso infinito i non sensi della condizione umana.

«Bisogna passare attraverso il deserto e rimanervi per ricevere la grazia di Dio. È là che ci si svuota e si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio, si libera completamente la piccola casa della nostra anima per lasciar posto solo a Dio» (beato Charles de Foucauld, 1858-1916).

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PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMALunedì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (25, 31-40)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Ve-nite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”».

DIO VISTO DAL bASSO

Qualche mese prima della sua morte charles de Fou-cauld scriveva: «credo che non ci sia stata nessun’altra pa-rola del Vangelo che abbia talmente colpito e trasformato la mia vita, come questa: “Qualsiasi cosa avrete fatto ad uno di questi piccoli l’avrete fatta a me”. Se si pensa che queste parole sono uscite dalla bocca che ha detto “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, con quale forza

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si dovrà cercare di amare Gesù nei piccoli, nei peccatori e nei poveri».

dio non giudicherà scorrendo l’elenco delle umane debolezze e fragilità, ma quello degli atti di bontà. Non indagherà le ombre, ma annoterà i semi di luce sparsi nel corso della vita. Tema del giudizio finale non sarà il peccato, ma il bene donato ai tanti Lazzaro della Terra che viaggiano ai limiti della sopravvivenza. Se ci si sofferma ad osservarli ci si sente naufragare. I poveri sono metafora di fallimento e di morte, ma sono pure maestri di fede che affidano all’Alto la sorte della propria vita.

Matteo presenta sei opere, vaste quanto gli spazi del dolore umano. Prendersi cura dell’altro è così importan-te che dio lega la vita eterna ad un pezzo di pane dato a chi vive nel bisogno. Il Vangelo si rivolge ad ogni uomo: cristiano, ebreo, musulmano, buddista perché alla fine dell’esistenza rimarrà soltanto la capacità di amare. ogni altro è sempre l’Altro. Nel giudizio ultimo dio porrà al centro i calpestati dalla vita. Egli non dimenticherà i di-ritti dei poveri. Il futuro non si attende, si genera. Il cielo promesso sarà annodato al bene che si è cercato di donare.

«Quando la tua mano tocca un povero, le tue dita sfiora-no il cielo di Dio, dove entreremo solo se saremo prima entrati nella vita di chi soffre, perché Gesù sta nel posto dove noi non vorremmo mai essere, all’ultimo posto» (David Maria Turoldo, religioso e poeta, 1916-1992).

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PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMAMartedì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (6, 7-15)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non spre-cate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

«PAPà»

«Il “Padre nostro” è la sintesi di tutto il Vangelo» (Ter-tulliano, 155-230). Nella preghiera che Gesù rivolge al Padre si avverte una vera e propria rivoluzione religiosa rispetto alla tradizione ebraica che chiedeva, invece, di non nominare neppure il nome santo di dio. Gesù uti-lizza la parola «papà» trascinando il discepolo nella sua stessa familiarità e confidenza. Gesù non abbassa dio, ma eleva il fedele orante al piano stesso di dio. così, il «totalmente altro» entra in comunione con l’umanità, e diventa il «totalmente prossimo».

Le preghiere di Gesù riportate dai Vangeli sono oltre un centinaio, ed iniziano tutte con la parola: «Padre». Esclusiva di Gesù, però, è l’utilizzo del termine aramaico

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abbà che significa «papà, babbo». Una delle primissime parole usate dai bambini, il loro iniziale balbettio. Parola che sa di casa, non di sinagoga; di pane, non di tempio.

Nel linguaggio comune la parola «pregare» equivale a domandare. Non è così per Gesù. Nella sua preghiera l’uomo presta interesse alla causa di dio: il nome, il re-gno, la volontà. dio, in risposta, prende a cuore la causa dell’uomo: il pane, il perdono, il male. ognuno vive in funzione dell’altro. Inoltre, il «Padre nostro» è una pre-ghiera al plurale. Non vi si troverà mai la parola io, né mio, ma sempre Tu e nostro. Il «Padre nostro» vieta di chiedere unicamente per se stessi.

da oltre duemila anni la comunità cristiana recita il «Padre nostro». Eppure, la fraternità non è ancora un dato di fatto, e il pane continua a mancare. ci si chiede: ma dio esaudisce le preghiere? «dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste, bensì le sue promesse» (dietrich Bonhoeffer, 1906-1945). dio, che ha promesso di rimanere accanto ai discepoli fino alla fine dei tempi, mescola le sue lacrime alle lacrime umane. Non si riceve ciò che si chie-de, ma ciò che è davvero utile per rimanere sintonizzati con lui. Pregare è come voler bene. Se si ama qualcuno, lo si ama sempre. Pregare sempre si può perché la pre-ghiera è come l’acqua della sorgente che mai si esaurisce.

«I fanciulli non mi lasciano né dire l’Ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro inse-gnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei cieli» (san Francesco Saverio, patrono delle Missioni, 1506-1552).

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PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMAMercoledì

✠ Dal Vangelo secondo Luca (11, 29-32)In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estre-mi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si conver-tirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

INSODDISFATTI

c’è chi prova invidia per i contemporanei di Gesù per-ché poterono ascoltare le parole del maestro di Nazaret ed essere testimoni oculari dei suoi miracoli. ciò nonostante, Gesù assegna l’appellativo di «malvagia» alla generazione che condivise il breve segmento della sua vita pubblica, un popolo sempre pronto a chiedere segni grandiosi e mirabolanti, ma per niente disposto a convertire la vita. Gesù si dimostrò più che generoso con i suoi compaesani sciorinando occasioni a non finire per aiutarli a fidarsi di dio. Ma pure la gente di allora rivelò una memoria corta.

L’insufficienza di fede induce a chiedere segni sempre nuovi. Si vorrebbe un dio pronto a dare spettacolo di

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onnipotenza e, al medesimo tempo, capace di esaudire le più differenti preghiere quotidiane. Ma dio non è un parafulmine, né, meno che meno, un jolly. È un Padre il cui cuore batte forte per ogni sua creatura.

Incalzato dalla gente, Gesù regalerà un segno estremo di credibilità, quel «segno di Giona» che per i ben disposti diverrà icona della sua missione. Ma neppure quel segno estremo sarà sufficiente ad invogliare gli insoddisfatti alla conversione. L’assenza di fede produce pretesa e ostinazio-ne. Ma la fede non si compra. È un dono da implorare e alimentare. L’apostolo Paolo mette in guardia il discepolo Timoteo: «combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione davanti a molti testimoni» (1 Tim 6, 11).

Non sono i segni a ripetizione che possono convincere dell’esistenza di dio e delle verità ultime, ma l’umile ac-coglienza della sua Parola nella persona di cristo Gesù, segno definitivo dell’amore del Padre. Fede, dunque, è aderire a dio. Il suo contrario è la pretesa di piegarlo alla terra degli uomini e alle proprie convinzioni. Un atteg-giamento, però, che si può trasformare in ricatto. A tali condizioni, tuttavia, il dio della storia dice «no grazie».

«La fede è meglio per te che una nave sul mare. Questa infatti è retta dai remi, tuttavia i flutti la possono far af-fondare; ma la tua fede non affonda mai se la tua volontà non lo vuole» (sant’Efrem il Siro, dottore della Chiesa, 306-373).

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PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMAGiovedì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (7, 7-12)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chie-de un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

COSA DOMANDARE

«chiedete», dice Gesù. L’evangelista utilizza la forma verbale dell’imperativo per invitare a chiedere con te-nacia, senza stancarsi, non perché dio sia indaffarato o svogliato, ma perché del suo dono illimitato ognuno riceverà in proporzione al desiderio. «Se non otteniamo è perché chiediamo con cuore cattivo, senza fiducia e umiltà, o perché chiediamo cose non buone» (sant’Ago-stino, 354-430).

Il credente che coltiva il dubbio nel proprio cuore in-grossa di nuvole nere il proprio cielo. Egli crede che, non esaudendo i suoi piccoli sogni quotidiani, dio sia lontano o assente. In realtà, dio dona sempre una risposta, anche se non in linea con le aspettative. Quando le risposte dell’Alto sono diverse dalle attese del cuore umano, ci si sente scossi fin dalle fondamenta e si subiscono lacera-

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zioni profonde. Eppure, tali terremoti sono talvolta più benefici delle attese perché mettono a nudo l’immaturità della propria vita di fede, liberano da visioni feticiste e rimettono sulla strada di dio.

Le delusioni umane si trasformano in «benedizioni» perché risintonizzano su dio e sul senso autentico della preghiera. come ricorda l’Apostolo delle Genti, «nemme-no sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di dio» (Rom 8, 26-27). Saggezza è im-parare a chiedere ciò che veramente serve, e cioè le cose che durano per sempre.

«E vi sarà dato». La preghiera è uno dei pilastri della Quaresima. È comunione con dio, ma è pure pedagogia dello Spirito perché trasforma la percezione delle vicende umane. Esiste una preghiera stonata, finta, superficiale, che spesso si trasforma in apparenza ed esteriorità. Esiste un’altra preghiera, interiore e silenziosa, capace soltanto di balbettare l’amore di dio. È quella dei piccoli, la più amata dal dio della storia.

«La Quaresima è un viaggio che va dalla testa ai piedi. Non bastano a percorrerla i giorni che vanno dal mer-coledì delle ceneri al giovedì santo. Ci vuole tutta una vita. Pentimento e servizio: sono i binari obbligati su cui si gioca la crescita e il ritorno a casa» (Tonino Bello, ve-scovo di Molfetta, 1935-1993).

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PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMAVenerdì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (5, 20-26)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geenna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

FANGO E LIMPIDEzzA

c’era da farsi venire il mal di testa. oltre 600 prescrizio-ni, puntuali e cavillose, incrementate nel corso dei secoli, regolavano la vita religiosa del popolo ebraico. In realtà, quelle direttive, che dovevano dare attuazione a norme bellissime, ma generiche, avevano finito per insabbiare le norme stesse, appiattendole o stravolgendole. Al tempo di Gesù, poi, quelle disposizioni si erano trasformate in un vero e proprio rompicapo per i farisei che le osservavano tutte, ma senza gioia.

Gesù aveva alzato l’asticella. Aveva presentato le «Beati-tudini» come i «nuovi comandamenti» di Israele, dando

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a capire che c’è un nuovo modo di rapportarsi a dio. Gesù non smonta il valore della Legge, ma la riporta all’essen-ziale, ricordando che l’origine di ogni norma è l’amore. Quel «ma io vi dico» esprime la straordinaria diversità dei suoi ritocchi, un vero e proprio colpo d’ala per puntare dritto al cuore di dio. Gesù offre un’interpretazione alta ed interiore della Parola. Passa dalle parole allo spirito e riporta alle origini. La Legge, ridotta ad alcune cose da osservare, ritrova un respiro. Non c’era più spazio per coloro i quali si sentivano a posto davanti a dio. La «misericordia» vale più del «sacrificio»; il culto, come relazione con dio, non può prescindere da un rapporto d’amore con gli esseri umani.

«Non ucciderai». Non si uccide soltanto con le armi, ma con la lingua, con la menzogna, con la sottolineatura delle negatività. odiare qualcuno è togliergli vita, non amare è un lento morire. Gesù ricorda la necessità di guarire il cuore per guarire la vita. Egli risale alla radice prima, a ciò che genera la morte o la vita. San Giovanni lo esprimerà in un’affermazione colossale: «chi non ama suo fratello è omicida» (1 Gv 3, 15). chi non ama uccide. E se peccare è ridurre ad oggetto le persone, non si pecca contro la Legge, ma contro la profondità e la dignità della persona, icona di dio.

«Chi si adira con il fratello, chi lo oltraggia, o calunnia in pubblico non può rimanere al cospetto di Dio. Se-parandosi dal fratello si è separato da Dio. Il disprezzo del fratello rende falso il culto a Dio e gli toglie ogni promessa divina» (Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano, 1906-1945).

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PRIMA SETTIMANA DI QUARESIMASabato

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (5, 43-48)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fan-no così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

UNA GIUSTIzIA SUPERIORE

Amare è un’impresa, ma diventa un’opera pressoché impossibile quando la persona da accogliere e favorire non è l’anima gemella, ma un nemico o, peggio ancora, un persecutore. L’esempio di Gesù che, morente sulla croce, grida ai quattro venti di voler perdonare i suoi crocifis-sori, provoca stupore e incredulità. Non sono sufficienti i buoni sentimenti per rimuovere vecchie ruggini, per cicatrizzare ferite o demolire muretti d’orgoglio innalzati giorno dopo giorno grazie a quel pensare comune che esige punizioni esemplari o, quanto meno, il totale oblio di quanti hanno procurato gravi danni alla propria vita.

Il perdono ha ben poco di umano. Anzi, nessun per-dono è possibile se la grazia di dio non entra prepotente-mente in scena e trasforma il corretto ragionamento con

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un pensare altrimenti. L’amore proposto da Gesù è una vetta che si arriva a conquistare solo ed esclusivamente grazie ad un intervento esterno.

«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5, 20). Gesù offre ai propri uditori una giustizia superiore, non fondata su un egualitarismo imprecisato, ma sull’amore senza limiti di dio. Gesù sembra dire: esser buoni come i farisei vale quanto non esserlo. Gesù non propone una nuova casistica, ma un nuovo modo di intendere le rela-zioni umane. Per lui l’amore è il traguardo ultimo della Legge.

Violenza produce violenza. Gesù spezza una simile catena dicendo: «Amate i vostri nemici». chiede di non replicare ai torti subiti. Soltanto così ci si libera. Tutto il Vangelo abita lì: amarsi o distruggersi. Gesù non dà or-dini, non si ama per decreto, ma invita a tenere le porte spalancate al modo di amare di dio. Amare è lasciare il passato per entrare nel presente di dio. Gesù sollecita a vivere da figli di un Padre che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. oltre ad un’eredità di beni, c’è un’eredità di valori e di comportamenti. Proprio perché figli di un Padre straordinario, i discepoli di Gesù possono amare alla stessa maniera di dio.

«Chi non amerà i nemici non potrà mai conoscere vera-mente il Signore e la dolcezza del suo Spirito. Lo Spirito Santo insegna ad amare i nemici come se fossero fratelli e figli» (Silvano del Monte Athos, monaco, 1866-1938).

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SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMADomenica

✠ Dal Vangelo secondo Marco (9, 2-10)In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li con-dusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavan-daio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua om-bra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascol-tatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

TRA CIELO E TERRA

Il passaggio è brusco: dal deserto alla trasfigurazione, dalle tentazioni alla voce rassicurante del Padre. L’espe-rienza singolare del Tabor è legata ad un tratto decisivo della vita di Gesù: calano gli ascolti, le folle si assottiglia-no, nubi minacciose si addensano sul gruppo dei dodici. L’uragano arriva puntuale e violento di ritorno da cesa-rea di Filippo. Per rincuorare il gruppo, Gesù prende gli apostoli più influenti e regala loro un’estasi incancella-bile. Pietro rimane stordito, ma pure gli occhi degli altri due fortunati testimoni si riempiono di luce. Fino ad allora si pensava che vedere dio comportasse la morte.

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Loro, invece, contemplano il Figlio di dio e rimangono in vita. In cristo dio ha risanato la vista dell’umanità.

ogni uomo è come un’opera incompiuta, ma progettata dalla mano del creatore, fonte di luce. Una fede senza esperienza del Tabor non è fede. ci può stare, nel corso della vita, la stagione della prova e del deserto, ma la fede è preceduta e termina davanti al volto del cristo Risorto. In caso contrario, si ridurrebbe a puri precetti morali. Per Pietro, Giacomo e Giovanni la luce del Tabor non rimar-rà un evento esteriore. Provocherà in loro un’attrazione fatale. Il volto dell’uomo diventa ciò che guarda con gli occhi del cuore, si trasforma in ciò che prega ed ama. Ma non si trova la luce vera se, prima, non si aprono gli occhi sulle proprie tenebre. La luce può subire un’eclissi a causa del peccato, ma, purificato il cuore, essa torna a splendere sovrana.

«Ascoltatelo!» chi ascolta Gesù, diventa come lui. La Parola fa coabitare con lui. La fede in Gesù non è una religione della visione, ma dell’ascolto. Si sale sul monte per vedere, ma si viene rimandati all’ascolto.

Quel volto pieno di luce è lo stesso che si riempirà di sangue nell’ultima notte della vita. La luce e il sangue sono inseparabili in Gesù. Non si arriva alla gloria della trasfigurazione pasquale se non si transita attraverso la croce.

«La croce senza la trasfigurazione è cieca; la trasfigura-zione senza la croce è vuota» (Olivier Clément, teologo ortodosso, 1921-2009).

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SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMALunedì

✠ Dal Vangelo secondo Luca (6, 36-38)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

SENzA MISURA

dio ama esagerare. Il come e il quanto del suo amo-re non hanno né limitazioni, né anagrafe. Allo stesso modo sono chiamati a comportarsi i suoi figli. Quante volte dovranno scusare il vicino? oltre ogni misura. In quale grado dovranno donare? Eccedendo. La medesima quantità che essi utilizzeranno verso il prossimo, sarà adoperata verso di loro.

dalla tradizione ebraica dio è ritenuto un padre mise-ricordioso e tenerissimo. Uno scrittore cristiano del III se-colo ne rivela, invece, il volto materno: «Per la sua miste-riosa divinità dio è Padre. Ma la tenerezza che egli ha nei nostri riguardi lo fa diventare madre. Amando, il Padre diventa Madre» (clemente di Alessandria, 150-215). ciò nonostante, la prima immagine che l’essere umano tende a formarsi di dio è quella di un giudice esigente, pronto a punire in modo severo e inflessibile i comportamenti malvagi. Gesù, il Figlio di dio, riuscirà a rimuovere dal cuore dei discepoli un tale approccio negativo. Egli si sa-

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rebbe caricato sulle spalle il pesante fardello dell’umanità peccatrice ed avrebbe pagato in toto ogni debito. Anche per tale ragione, Gesù verrà chiamato «l’Agnello di dio che toglie i peccati del mondo» (Gv 1, 29).

La sua croce sarà l’unico giudizio di misericordia di dio sul mondo. chiunque giudicherà, sbaglierà. L’errore non starà nel fatto che il giudizio dell’uomo è inganne-vole, ma nel fatto stesso di giudicare perché è usurpare il potere a dio e, soprattutto, perché dio non giudica, ma giustifica; non condanna, ma condona.

Il giudizio finale di salvezza o di perdizione su ogni uo-mo non viene da dio, ma dall’uomo stesso. Non avviene in un momento speciale, ma nel rapporto quotidiano con le persone. dio lascia ad ognuno il giudizio su se stessi. Se non si giudicheranno gli altri, dio non giudicherà. Se si perdoneranno gli altri, dio perdonerà. Nella misura in cui si dà al fratello, si riceve da dio. L’unico metro di misura è la capacità di donare. dio rinuncia a misurare, come rinuncia a giudicare. Si verrà misurati e giudicati da se stessi, in base all’amore donato agli altri.

«Mendicavo qua e là quando da lontano vidi il tuo aureo cocchio. Sceso dal cocchio, Tu stendesti la mano dicen-domi: “Cosa puoi darmi?”. Tu chiedevi l’elemosina a un povero. Esitante e confuso, trassi dalla bisaccia un granel-lino e Te lo porsi. Ma quale non fu la mia sorpresa quan-do, sul finire del giorno, svuotai la bisaccia e trovai tra le mie poche cose un granellino d’oro. Piansi amaramente per non aver avuto cuore di darTi tutto quello che posse-devo» (Rabindranath Tagore, poeta indiano, 1861-1941).

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SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMAMartedì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (23, 1-12)In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro ope-re, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

CIARLATANI E TESTIMONI

Bizzarro questo tempo. Tutti sembrano allergici all’au-torità e alle imposizioni. ci si irrita se qualcuno fa pesare il proprio status o il proprio ruolo. Nondimeno, ci si affida ai «guru» di turno per ottenere qualche parere o rassicura-zione. Si vive in una stagione piena di maestri, di tuttolo-gi, di opinionisti, eppure aumenta il senso di insicurezza.

In un simile clima arriva sorprendente il sentire di Gesù, un maestro che non coltiva la propria immagine, ma che ha a cuore la vita dei discepoli. Non si lascia tra-volgere dalla popolarità. Al contrario, scoraggia fanatismi

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e atteggiamenti immaturi da parte degli ammiratori. Vive una stagione nella quale l’autorità religiosa era un dato ac-quisito. La storia di Israele era colma di rabbini e di saggi che avevano fondato le più disparate scuole di pensiero. Gesù ridicolizza la loro tracotanza e prosopopea, smonta il loro stile di comunicazione basato più sull’apparenza che sulla sostanza, sulle parole più che sulla realtà. Rivol-gendosi ai suoi, Gesù raccomanda di non fregiarsi di titoli altisonanti e, soprattutto, di non arrogarsi prerogative che spettano alla sapienza infinita di dio.

«E voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 10). c’è un denomina-tore comune della fede che avvicina ed associa i credenti: essere fratelli e sorelle. La fraternità sviluppa il respiro di chiesa e ridimensiona il significato delle funzioni ecclesiali. Il riconoscimento altrui non avviene tramite l’ufficio esercitato, ma attraverso l’amore. L’amore fra-terno evidenzia le peculiarità del discepolato, l’incarico sottolinea, invece, la diversità; il primo mette in relazione, il secondo allontana. La comunità cristiana vive perenne-mente la tentazione di ricadere in una visione piramidale e pagana, di oppressione del prossimo, di delega dalle responsabilità. Gesù vuole, invece, una comunità di fra-telli dove la fede funga da collante. Non esiste maestro peggiore di colui che insegna un comportamento con le parole, e lo contraddice palesemente con le azioni.

«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi 41).

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SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMAMercoledì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (20, 17-28)In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in di-sparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo con-segneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schia-vo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

SERVIRE, UN PRIVILEGIO

Il brano di Matteo si apre con una domanda che ca-povolge il rapporto uomo-dio. due discepoli chiedono, come tante persone «religiose», che dio realizzi i loro sogni. In realtà, il grande miracolo di Gesù è di convertire il desiderio, fino a trasformarlo in capacità di accoglienza della volontà di dio: «Sia fatta la Tua volontà».

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contenuto della richiesta è essere i primi. domanda fuori luogo perché dio non risponde ad un’identità altra. «Tra voi non sia così». Essere al di sopra crea distanza. Il padrone mette paura, il servo no. Il Vangelo mette fine alla paura di dio. Il padrone si serve degli altri, dio fa sua la causa dell’uomo. Il padrone castiga, il servo soccorre.

dio, dunque, si fa vicino, anzi si china sulle persone. La ricerca del primo posto è una passione forte. Penetra e avvolge il cuore umano pericolosamente: «Non sapete quello che chiedete», cioè, non avete capito a cosa andate incontro, che cosa scatenate con la fame di potere. Per il Vangelo essere alla destra e alla sinistra di Gesù vuol dire occupare due posti sul Golgota, amare in perdita, senza alcun calcolo.

«Sono venuto per essere servo» è la più spiazzante di tutte le descrizioni di dio. Parole da vertigine. dio, mio servitore! dio non tiene il mondo ai suoi piedi, si mette in ginocchio lui stesso ai piedi delle creature. dal basso cura le ferite. I grandi della storia erigono troni al proprio io smisurato. dio non ha troni. Preferisce un grembiule. Se dio si fa servitore, «servizio» è il nome nuovo della storia, il nome segreto della civiltà.

«L’ultimo posto non è un castigo: è il posto di Dio, infatti lì troviamo il Signore Gesù, venuto non per essere servito, ma per servire. Quando venne tra noi, non trovò posto se non nel legno di una mangiatoia. Quando se ne andò, trovò posto solo sul legno della croce» (Ermes Ronchi, religioso).

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SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMAGiovedì

✠ Dal Vangelo secondo Luca (16, 19-31)In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai rice-vuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si conver-tiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

UN RICCO SENzA NOME

Un ricco senza nome e un povero di nome Lazzaro fotografano il dipanarsi della storia umana. Il ricco non ha un nome perché si lascia identificare con le ricchezze.

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Il denaro, infatti, assume spesso le caratteristiche di una seconda natura, una seconda pelle. Il povero, invece, ha un nome perché è amico di dio.

Peccato del ricco non sono gli eccessi, ma l’indifferen-za. Per il ricco l’altro non esiste. Lazzaro muore di stenti e il ricco neppure se ne accorge. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma il disinteresse. Il male più grande che si può fare è di non compiere il bene. Nella parabola dio non è mai nominato, eppure è presente, pronto a curare e fasciare ogni piaga di Lazzaro.

«Ti prego, manda Lazzaro a casa di mio padre ad av-visare i miei cinque fratelli». La risposta è agghiacciante: «Neanche se vedono un morto tornare si convertiranno». Il ricco vede il povero in funzione di se stesso e dei pro-pri interessi. In realtà, non è la morte che converte, ma la quotidianità. chi non si pone il problema di dio e dei fratelli davanti alla vita non se lo porrà nemmeno davanti al mistero della morte. Non sono i miracoli o le visioni a cambiare il cuore, ma il grido lacerante dei poveri. Essi sono «parola di dio» e «carne di Gesù cristo»: «Qualsiasi cosa avrete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli l’avrete fatta a me». La terra è piena di Lazzari. E se Gesù dà al povero il nome del suo amico Lazzaro, ogni povero dovrebbe avere un nome familiare.

«Il pane in eccesso che tu tieni per te è dell’affamato, il mantello che tu custodisci nel guardaroba è dell’ignudo, le scarpe che marciscono in casa tua sono dello scalzo, il denaro che conservi nel cassetto è del bisognoso» (san Basilio, vescovo di Cesarea, 329-379).

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SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMAVenerdì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (21, 33-43)In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in af-fitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei conta-dini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una me-raviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

LE DELUSIONI DI DIO

Matteo racconta la passione del padrone di un latifondo che ha progettato la costruzione di un vigneto, cingendolo con una siepe a mo’ di abbraccio, scavandovi un tino, e mettendovi a custodia una torre fortificata. Realizzata

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l’opera, eccolo pronto a metterla in mani altrui. L’evan-gelista presenta la storia di un amore di tenerezza e del suo tradimento.

Affiora, da un lato, la nobiltà d’animo di un signore che realizza un progetto pensando pure ad eventuali benefi-ciari; dall’altro, si fa strada il cinismo di alcuni operai che pianificano in modo malvagio e a proprio uso e consumo. Si può cadere facilmente nel loro errore: appropriarsi di quanto una vigna può regalare. La vigna della parabola può essere simbolo dello Stato, della chiesa, del gruppo, della famiglia, della comunità, del lavoro stesso. Anziché occuparsi del compito loro assegnato, si arrogano diritti non pattuiti, ammantandosi da fruitori del vigneto an-ziché da semplice manovalanza. che delusione! Ma il tradimento dell’uomo non è in grado di fermare la bontà del progetto di dio. La sua vigna rimarrà una delizia per tante creature alla tenace ricerca del vino della gioia.

Nel suo amore smisurato dio gioca sull’altare dell’uo-mo il proprio Figlio. dio affiderà la vigna ad un popolo nuovo, capace di produrre frutto, ma userà misericordia anche all’antico popolo dell’Alleanza, quando prenderà consapevolezza della propria infedeltà.

Senza pentimento e disponibilità autentica al cambia-mento non ci si apre al perdono.

«Le opere di Dio nascono e crescono ai piedi della croce» (san Daniele Comboni, vescovo missionario, 1831-1881).

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SECONDA SETTIMANA DI QUARESIMASabato

✠ Dal Vangelo secondo Luca (15, 1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciaro-no a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose:

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“Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello gras-so, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

DICHIARAzIONE D’AMORE

Perfino le dimore più esclusive possono apparire gelide gabbie dorate a coloro che non hanno ancora sperimenta-to in profondità la tenerezza del Padre. La parabola evan-gelica dice che, catturato dai propri miraggi di felicità, il piccolo di casa prova una sete irresistibile di avventura e decide di emigrare. È prima mattina, il cielo è limpido e promette una giornata radiosa. Le chimere pare di toc-carle con mano, tanto sono accattivanti. ha inizio la fuga, che segna l’apparente sconfitta dell’amore del padre.

Nessuna pagina al mondo lascia intravedere la genero-sità del cuore di dio come quella del Padre misericordio-so, raccontata dall’evangelista Luca.

Si è perduto un figlio, e sembra una sconfitta di dio. E dio che cosa fa? Vince perdendosi dietro a colui che si è smarrito. Il figlio sprecone e festaiolo ha tutti i nomi del mondo perché la stagione del ribelle appartiene a tutti, premessa di una dichiarazione d’amore.

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Arriva il giorno in cui il ragazzo ribelle si ritrova man-driano di porci. Servo e affamato, potrebbe «rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi di ghiande» (don Primo Mazzolari, 1890-1959). L’uomo nasce con una voglia di mondi lontani. Quando, però, prende coscienza del pane di casa si mette in moto verso il padre. A dio non importa il motivo per cui si torna, se per il pane o per il padre.

A lui basta che ci si decida di rientrare. Non guarda indietro, né chiede pentimenti. A lui non interessa né giudicare, né assolvere, ma aprire un futuro altro. Vuole salvare il figlio fallito da se stesso, dal suo cuore di servo, restituendogli un cuore di figlio.

Il fratello maggiore entra in crisi. Virtuoso e infelice, misura tutto sulle opere, sul dare e il ricevere: «Io ti ho sempre ubbidito, e tu non mi hai dato neanche un ca-pretto». Sono le parole di chi ha osservato le regole, ma come un salariato. È la confessione di un fallito, che ha fatto il bene sognando in cuor suo tutt’altra vita. onesto ma infelice, perché il suo cuore è assente. Il padre vuole salvare anche lui dal suo cuore di servo.

«Quel figlio, che riceve dal padre la porzione di patrimo-nio che gli spetta e lascia la casa per sperperarla in un paese lontano, “vivendo da dissoluto”, è in un certo sen-so l’uomo di tutti i tempi, cominciando da colui che per primo perdette l’eredità della grazia e della giustizia ori-ginaria» (beato Giovanni Paolo II, Dives in misericordia 5).

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IntervIsta a DIo

Ho sognato di intervistare Dio.«Vorrei intervistarti,» dissi a Dio «se hai del tempo».Dio sorrise, e disse:«Il mio tempo è l’eternità. Quali domandemi vuoi fare?».«Vorrei chiederti, anzitutto,che cosa ti sorprende maggiormente dell’umanità».Dio rispose:«Mi meraviglia che si annoia nell’infanzia,cresce in fretta e, poi, vuole tornare bambina;perde la salute per far soldi e, poi, perde i soldi per recuperarla;pensa con ansia al futuro,finendo per non vivere né presente né futuro;vive come se dovesse morire,muore come se non fosse vissuta».Rimanemmo in silenzio per un po’.Poi, chiesi a Dio:«Come Padre, quali lezioni di vita vorresti che i tuoi figli imparassero?».«Non possono costringere nessuno ad amarli,non è utile fare confronti,devono imparare a perdonare perché l’odioapre profonde ferite in coloro che amiamo,e occorrono anni per risanarle;ricco non è colui che possiede tante cose,ma chi non ne avverte la necessità;infine, occorre perdonare non solo gli altri, ma anche se stessi».«Grazie per il tuo tempo» gli dissi. «C’è qualcos’altro che vorresti dire ai tuoi figli?».Dio sorrise e disse: «Soltanto che io sono qui, sempre».

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TERZA SETTIMANA DI QUARESIMADomenica

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (2, 13-25)Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalem-me. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in qua-rantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

INESTIMAbILE

come un terremoto. Gesù compie un gesto che ogni ebreo osservante avrebbe sognato di fare, ma che il timore di ritorsioni sconsigliava, quello di dare una scrollata ai tavoli di coloro che, in proprio o per conto terzi, facevano affari sulla fede dei piccoli. Era amaro constatare il de-grado della casa di dio.

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Teatro dell’episodio è l’atrio esterno del Tempio che in occasione delle grandi feste assumeva l’aspetto di un mercato. Vi si trovava tutto ciò che serviva per i sacrifici votivi. Ai banchi dei cambiavalute veniva convertito il denaro «impuro» degli Ebrei della diaspora. I pellegrini venivano depredati da affaristi senza scrupoli.

Quella di Gesù fu una provocazione simbolica che venne ritenuta un’offesa. Gesù rompe un giocattolo van-taggioso, ma ignobile, che mortifica la fede, rapina il pros-simo, ed ingrassa i «furbi». Egli punta il dito contro coloro che fanno della religione un affare. Si possono truffare gli uomini, ma mai il Signore. Non si può essere cerimoniosi con dio dopo aver rubato, screditato e sfruttato. dio non gradisce le genuflessioni di chi calpesta il povero.

occorre liberare il cuore dall’ipocrisia di credere di poter sistemare le proprie infedeltà pagando moneta sonante al Signore, avendo in cambio un certificato di buona coscienza.

Gesù propone un rapporto nuovo con dio. dà a capire che dio vuol essere adorato «in spirito e verità». Vitti-ma contro ogni sfruttamento interessato della religione, chiede di impegnarsi a distruggere i templi eretti in onore degli idoli di ogni tempo: avidità, erotismo e potere. Nella persona di Gesù – tempio del Padre – è possibile una nuo-va esistenza, una nuova preghiera, un sacrificio autentico, una profonda relazione col Padre.

«Non colui che denigra se stesso è umile, ma colui che riceve con gioia le ingiurie, gli affronti e le critiche del prossimo» (dai Padri del deserto).

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TERZA SETTIMANA DI QUARESIMALunedì

✠ Dal Vangelo secondo Luca (4, 24-30)In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga a Nazaret: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande ca-restia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempi-rono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo con-dussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

PRIVI DI STUPORE

Borgo di Nazaret, malato di campanilismo, come se il mondo iniziasse e finisse in quel fazzoletto di terra che aveva visto crescere un giovane messia. In realtà, più che dio la gente vuole miracoli. Vuole il cielo a portata di mano per garantirsi salute e benessere. Gesù ha affron-tato la tentazione dei miracoli: «Bùttati, un volo di angeli ti salverà». Ma egli sa che con il pane e i miracoli non si liberano le persone. Piuttosto ci si appropria di loro. dio, invece, non si impadronisce di nessuno. Non invade. dio si propone. E così, non farà miracoli a Nazaret. La storia racconterà che il mondo è pieno di miracoli che non ba-stano mai. Essi non portano alla fede. Gesù risusciterà perfino Lazzaro, ma proprio in quell’occasione i farisei prenderanno la decisione di ucciderlo.

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Il nodo della questione è questo: si arriva ad accettare che un profeta sia una persona eccezionale, ma appare impossibile che abiti nella casa del falegname, che non sia uno scriba, che abbia le mani segnate dalla fatica. Eppure, lo Spirito soffia all’angolo di ogni strada.

A Nazaret come altrove, l’abitudine ha spento lo stu-pore. Basterebbero gli occhiali della fede, osservare come se fosse la prima volta ciò che si crede di conoscere bene, il quotidiano ritorno della luce, le parole della preghiera che si ripetono distratti, i riti dell’amicizia e dell’amore. I miracoli accadono davvero.

Il mondo è testimone di genitori risorti dopo il dram-ma atroce di un figlio morto, di famiglie capaci di per-dono dopo una violenza subìta, di donne violate e tradite che riprendono a sorridere e ad amare, di persone capaci di dare tutto per un familiare o per uno sconosciuto. I miracoli sono perfino troppi, per chi ha l’occhio puro. Lo stupore è l’inizio della sapienza.

Nazaret passa in fretta dalla fierezza per quel figlio straordinario che torna, ad una sorta di furia omicida. Un atteggiamento che rivela nei compaesani di Gesù l’errore più drammatico che poteva loro capitare: si sono sbagliati su dio. Anche oggi, come ai tempi di Nazaret, si rischia di sperperare i propri profeti, di dissipare il miracolo di pro-fezia che lo Spirito Santo accende dentro e fuori la chiesa.

«La Chiesa che preferisce i miracoli alla parola di Dio, che non dà spazio alla parola, a volte scomoda, dei profeti, diventa, prima o poi, vuota di Gesù, come la sinagoga di Nazaret» (don Angelo Casati, poeta e scrittore).

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TERZA SETTIMANA DI QUARESIMAMartedì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (18, 21-35)In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva die-cimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto di-spiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

LA MAGNANIMITà DEL CUORE

Perdonare quante volte? «Fino a settanta volte sette». E perché? Perché così fa dio.

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dio ha soltanto figli e chiede loro di vivere da fratelli. L’unica misura del perdono è perdonare senza misura. Gesù lo spiega narrando la parabola dei due debitori.

c’è un modo regale di stare nel mondo. Esso consiste nella magnanimità del cuore. deve saper perdonare chi è più grande e più forte. In opposizione al cuore regale c’è il cuore servile, esemplificabile in quel servo malvagio che, appena uscito, incontra un altro sfortunato pari a lui che gli doveva qualche spicciolo. Vive ancora immerso nella gioia inattesa del condono, e che fa? Prende per il collo il compagno di sventura e sta quasi per strangolarlo. Urla e sbraita per avere indietro i suoi quattro soldi, lui appena perdonato di una cifra iperbolica.

Il servo perdonato non agisce contro il diritto o la giustizia. È corretto, ma spietato. È onesto, ma al tempo stesso cattivo. È possibile essere talvolta giusti ed insieme spietati, onesti e cattivi. Non è sufficiente essere giusti per essere veri uomini, tanto meno per essere figli di dio. Il perdono e la pietà aiutano ad acquisire il cuore stesso di dio, permettono di immettere il suo «divino scompiglio» dentro l’equilibrio apparente del mondo. Niente vale, in-fatti, quanto una vita. occorre, dunque, una dismisura, un eccesso di pietà, e cioè il perdono fino a settanta volte sette.

«La cultura moderna non fa molto per valorizzare il per-dono, anzi il più delle volte legittima il rancore e la ven-detta. Ma sarà continuando su questa via che il male diminuirà nel mondo?» (Jacques Philippe, teologo).

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TERZA SETTIMANA DI QUARESIMAMercoledì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (5, 17-19)In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare al-trettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

LA PAROLA CHIAVE

Primo o nuovo Testamento? Antica o eterna Alleanza? Quando si viene a contatto con la novità del Vangelo si corre il rischio di contrapporre «nuovo» ad «antico» vei-colando con ciò una qualche esplicita disistima della tra-dizione rabbinica. I passi che maggiormente si prestano a questo malinteso sono quelli detti poco felicemente delle «antitesi» (cf. Mt 5, 20 ss.) perché inducono a formarsi un pregiudizio antiebraico.

Gesù non intende entrare in rotta di collisione con il passato, né inscena una contrapposizione tra un dio dalla faccia corrucciata «dei Padri», ed uno totalmente altro, «il Padre che sta nei cieli», colmo di tenerezza verso i suoi figli. Gesù desidera far capire che c’è una pedagogia divina che attraversa l’intera storia umana, e che la con-duce con interventi graduali e mirati ad un crocevia di provvidenza: l’incontro di ogni uomo e di tutti i popoli con il Messia. I suoi connazionali avranno confronti pro-

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blematici con lui. Tuttavia, non fu più agevole per quanti li precedettero, né sarà meno complicato per quanti si affacceranno negli anni a seguire.

Gesù non è venuto ad eliminare la Legge e i moniti dei Profeti. Il comando di non rubare, non uccidere, non dire il falso, non essere avidi delle cose e dei sentimenti degli altri, rimane fermo ed immutabile. Se la Legge e i Profeti hanno insegnato ad uscire da quelle insidie che imprigionano l’esistenza nel non-amore, Gesù, con la sua morte e risurrezione, ha introdotto a vivere secondo un amore più grande: il perdono, la misericordia, il dare la vita per il nemico.

La Legge di Israele era composta da tanti precetti, tutti da osservare fedelmente. L’amore verso dio era giudicato in base all’osservanza di quelle norme. Gesù riassumerà la Legge data a Israele in un unico comandamento: «Amate-vi come io vi ho amato» (Gv 13, 34). Fissa, dunque, tutto il suo Vangelo sull’amore. Non c’è relazione più importante, più vera, più luminosa di quella fondata sull’amore. E quando si ama, anche i particolari diventano determinan-ti e, pertanto, come tali sono accolti e abbracciati. Le cose minime, anzi, sono quasi in qualche modo da anteporre a quelle basilari. La beata Teresa di calcutta diceva: «Sa-remo giudicati sull’amore». La parola chiave, dunque, per essere praticanti credibili è una sola: Amore.

«Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto, mio Dio, sei tu che me lo hai dato. Nel cuore della Chie-sa, mia madre, io sarò l’amore» (santa Teresa di Gesù Bambino, dottore della Chiesa, 1873-1897).

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TERZA SETTIMANA DI QUARESIMAGiovedì

✠ Dal Vangelo secondo Luca (11, 14-23)In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beel-zebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde».

I TANTI VOLTI DEL MALE

Equiparato a Satana, il nome Beelzebùl deriva dall’a-ramaico Baal Zeboul, il dio arameo delle messi e della fertilità, una divinità dalla quale gli Ebrei dovevano te-nersi lontani. Si racconta che la sua statua fosse alta una trentina di metri e che ad essa si sacrificassero i nemici vinti in battaglia. Era il dio simbolo della discordia.

Il Maligno è l’avversario antico che perennemente si mimetizza e si camuffa. Imbonitore e calcolatore, è un persuasore occulto che opera in modo lucido e smaliziato.

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È invidioso e astioso, un illusionista ineguagliabile che non demorde mai. I discepoli di Gesù ne sperimentano la presenza nella propria vita e nella realtà circostante come una realtà tenebrosa, malvagia e dissociante. Gesù suggerisce loro di affrontare la tentazione mediante un eccesso di vigilanza, di preghiera e di fedeltà al Vangelo. Il demonio agisce in continuazione all’interno della storia umana: la morte, il peccato e la menzogna sono i segni della sua azione nel mondo. Approccio decisivo, però, per la sua opera nefasta è la superbia umana.

Il diavolo agisce nell’ombra. In una celebre intervista, uno scrittore francese aveva fatto dire a Satana: «Io sono quello che non esiste». Il principe del male opera di nasco-sto. Se si manifestasse apertamente sarebbe spaventoso, ma, almeno, sarebbe chiara la sua presenza. Egli, però, non può niente da solo. La sua opera distruttiva diventa vincen-te quando è supportata dal consenso della volontà umana. Il grande seduttore tenta di far dialogare i figli di dio con il peccato presentando il male come il bene. Ma non tutte le tentazioni passano attraverso il demonio. San Giovanni della croce, infatti, dice che la tentazione più pericolosa viene da se stessi. E continua dicendo: «Il peggior nemico dell’uomo è se stesso». Pertanto, occorre vigilare sul pro-prio pensare e agire. Nel proprio cuore si ritrovano ombre e miserie, ma anche umiltà e discernimento che preservano dalla superbia e dalla presunzione di bastare a se stessi.

«Il diavolo è un teologo straordinario. Conosce ogni pas-so della Scrittura e la cita a memoria per raggiungere i propri scopi» (William Shakespeare, poeta, 1564-1616).

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TERZA SETTIMANA DI QUARESIMAVenerdì

✠ Dal Vangelo secondo Marco (12, 28b-34)In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascol-ta, Israele! Il Signore nostro dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo veri-tà, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

LE DUE STRADE

«Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Insomma, cosa conta di più nella vita? Ad uno scriba, pronto a la-sciarsi raggiungere dal dono della grazia, Gesù dirà: «Non sei lontano dal regno di dio».

La domanda di quel viandante dello spirito racconta la storia di ogni pellegrino del cuore che si impegna a mettersi in moto in una società di sedentari. Lo scriba avverte il bisogno di sfoltire la giungla di prescrizioni e di tradizioni dentro la quale i custodi dell’Alleanza ave-vano avvolto e sepolto la Legge mosaica. Le regole erano diventate più importanti dell’amore. Era quasi impossi-bile districarsi in quella babele di norme, alcune di poca

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rilevanza, altre di notevole valore. Ancora una volta la religione rischiava di esiliare l’amore.

Gesù risponde allacciando l’amore di dio all’amore al prossimo. L’amore a dio non esaurisce l’amore, ma lo moltiplica. I due comandamenti dell’amore sono in realtà uno solo. I discepoli di Gesù non possono separare dio e l’uomo, come non si possono staccare le radici dai rami dell’albero. I due amori sono vincolati: «chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare dio che non vede» (1 Gv 4, 20). Non ci si può limitare ad amare dio. Lo facevano anche i farisei.

Tuttavia, non si ama l’altro se non si è imparato ad accogliere e a voler bene a se stessi. L’amore a se stessi è una sorta di terzo comandamento dimenticato. Se non si accoglie gioiosamente la propria esistenza non si è capaci di amare nessuno. Si cercherà solo di prendere e posse-dere, di fare violenza e fuggire, senza gioia e gratitudine. L’amore verso se stessi inaugura, così, una vera sinfonia.

c’è spazio per dio, per se stessi, e per il prossimo. Talvolta, la direzione del cammino è più importante della meta stessa. Amare dio con tutto il cuore, con tut-ta la mente e con tutte le forze sradica dal narcisismo, e dall’illusione di potersi accontentare. Non si finirà mai di amare dio, e non si finirà di trovare nuove strade di amore per i fratelli.

«Signore, accordami di servirti come ho servito Satana, e di amarti come ho amato il peccato» (dai Padri del deserto).

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TERZA SETTIMANA DI QUARESIMASabato

✠ Dal Vangelo secondo Luca (18, 9-14)In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pub-blicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti rin-grazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, per-ché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

LODARE DIO O IL PROPRIO IO

I farisei erano un gruppo religioso importante all’e-poca di Gesù. Il termine significava «separati», e tali si consideravano, rispetto agli altri Ebrei, perché osserva-vano scrupolosamente tutti i precetti della Legge. Più che l’amore, era una visione inflessibile della religione a guidarne il comportamento. Erano presuntuosi e narcisi-sti, non ammettevano errori e tenevano il dito puntato in continuazione. I farisei si consideravano dei puri. Erano attenti a non entrare in contatto con alcuno che potesse contaminarli. Fosse successo, sia pure in modo casuale, di essere sfiorati da pubblici peccatori, al mercato o in una piazza, rientrati a casa avrebbero dovuto purificarsi accuratamente con bagni rituali.

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I pubblicani, invece, erano gli esattori delle tasse per conto dei Romani. Erano dei privati che ottenevano in appalto, o in subappalto da altri pubblicani più ricchi, il recupero delle tasse. consegnavano al procuratore roma-no una somma pattuita, ma al momento della riscossione, potevano esigere dalla gente una percentuale per il loro guadagno, una somma che spesso andava al di là del giu-sto. Perciò, venivano considerati ladri e truffatori. Anzi, il loro mestiere era considerato maledetto e il capo della loro corporazione era solitamente scomunicato. Erano messi al bando dai Giudei puri perché si arricchivano con traffici illeciti, e perché collaboravano con Roma.

Il testo di Luca esprime chiaramente il modo diverso con cui i due uomini, rappresentanti delle due categorie, pregavano. Il fariseo stava in piedi vicino all’altare ed elencava a dio i propri meriti. Il pubblicano se ne stava a distanza. chino e umile riconosceva la propria condi-zione di peccatore ed implorava la misericordia di dio.

Entrambi dicevano il vero: il primo era un giusto se-condo la mentalità farisaica; il secondo si dichiarava di fronte a dio per quello che era in realtà: un pubblico pec-catore. Gesù afferma che soltanto il secondo se ne andò perdonato. Una vera e propria bocciatura del modello farisaico di fede. Il pubblicano mostra l’atteggiamento richiesto al credente: l’umiltà, il riconoscimento del pro-prio peccato e la richiesta del perdono di dio.

«Se desideri che la gente pensi bene di te, non parlare mai troppo bene di te stesso» (Blaise Pascal, filosofo, 1623-1662).

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QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMADomenica

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (3, 14-21)In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il ser-pente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è que-sto: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue ope-re non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

MENDICANTI DI LUCE

«Sono un mendicante di cielo» (Jacques Maritain, 1882-1973). Nella notte oscura del dubbio, Nicodemo bus-sa alla porta di Gesù, e gli svela i tormentati percorsi della sua ricerca. In un mondo che tende ad emarginare dio, Nicodemo è il portabandiera dei non-credenti pensosi, e dei credenti diligenti, perché ha il pregio di dissodare il terreno della propria vita nelle stagioni dell’aridità. Quanto più scaverà, tanto più nel suo cuore attecchiranno i semi del bello e del vero.

cristiani si diventa per attrazione. dall’alto della croce Gesù attira a sé tutta la storia umana e, soprattutto, il

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dolore innocente, restituendo ad esso senso compiuto. credere è lasciarsi attrarre da lui, mantenendo le braccia aperte.

Gesù non censura la vita di Nicodemo. Sa che non è un eroe, ne rispetta le paure, ed attende pazientemente il suo ritorno. Nicodemo finirà per diventare il più coraggioso dei discepoli. Guarito, sarà proprio lui a presentarsi a Pilato e a chiedere la restituzione del corpo di Gesù. do-po aver rovesciato davanti al Messia la bisaccia delle sue grettezze e mediocrità, farà esplodere, incontenibile, la gioia. Nicodemo ha sperimentato per anni nella propria carne che «chi fa il male odia la luce» (Gv 3, 20). ora, co-mincia ad assaporare che «chiunque opera la verità viene alla luce» (v. 21).

È in atto nel mondo una lotta senza quartiere tra la menzogna e la verità. Il male incontra complicità ed attenuanti. La verità, invece, pare balbettare diritto di asilo, soffocata da pudore e soggezione. I molti operatori di verità, che si ostinano a rimanere fedeli al Vangelo, non compaiono sulle pagine dei quotidiani. Sul mercato del mondo il bene è sospettato, deriso e censurato. Il male, per contro, trova spazio, viene promosso e osannato. Ma la falsità non paga.

«Il pellegrino aperto alla ricerca di Dio sa che non è la conoscenza che illumina il mistero, ma il mistero che illumina la coscienza» (Pavel Evdokimov, teologo orto-dosso, 1901-1970).

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QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMALunedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (4, 43-54)In quel tempo, Gesù partì dalla Samaria per la Galilea. Gesù stes-so infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Geru-salemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

UNA FEDE A DISTANzA

Nel suo viaggio di ritorno dalla città santa Gesù fa sosta a cana, una cittadina della Galilea nota per il miracolo dell’acqua cambiata in vino nel corso di un banchetto nuziale. Ad attendere il giovane messia di Nazaret c’è un funzionario del re, angosciato per il figlio morente. Quel padre aveva deciso di giocarsi su Gesù le residue speranze

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di guarigione, ma un brivido gli corre lungo la schiena al primo impatto con il Maestro perché proprio da lui gli arriva una risposta quasi infastidita, una doccia gelata: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (Gv 4, 48).

In realtà, Gesù si è proposto un obiettivo ancora più grande della guarigione, una sorta di doppio miracolo: accendere in quell’uomo la fede, fuoco indispensabile ad ottenere la grazia che riconosce Gesù come il Figlio di dio, pietoso e onnipotente. A quel padre capace soltanto di balbettare la fede, Gesù offrirà una «guarigione a di-stanza», e gli chiederà in cambio una «fede a distanza».

In quel «va’, tuo figlio vive», c’è l’invito a tornare a casa con la certezza interiore del miracolo. Quel padre accetta la sfida, si fida e parte. Sarà sufficiente la parola del Messia a risanare il ragazzo. La reazione del funzio-nario, «credette lui con tutta la sua famiglia» (v. 53), dice come Gesù abbia ottenuto tutto ciò che cercava: la fede di quell’uomo. La salvezza non è la salute del corpo, un bene già tanto prezioso, ma l’adesione a colui che è la pienezza della vita. La fede viene dall’ascolto, si fonda sulla Parola che, raccontando la salvezza, la dona e la conferma a chi l’ascolta ancora. Nella vita di ciascuno si rinnova il me-desimo percorso del funzionario del re: cercare dio per le cose del tempo, e ritrovarlo comunque benefattore, anche quando la sua volontà non è in linea con le attese umane.

«Sento aridità, oscurità e solitudine. Vivo silenzio e vuoto intenso. Soffro per il cercare e non trovare Cristo, per ascoltare senza udire. Il sorriso è una maschera che copre ogni cosa» (beata Teresa di Calcutta, religiosa, 1910-1997).

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QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMAMartedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (5, 1-16)Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chia-mata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

VUOI GUARIRE?

Betzatà, detta «la casa della misericordia», era un luogo di ritrovo per ammalati. Al suo interno c’era una piscina che un’usanza popolare credeva di acqua miracolosa. Tra quei disgraziati c’era il paralitico del Vangelo. La sua vita

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trasudava impotenza e rassegnazione. Aveva esaurito pre-ghiere e richieste. Non conosceva Gesù, che gli chiederà: «Vuoi guarire?». A quella domanda il malato rispose: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita». A lui, privo di amici e di appoggi, Gesù dirà: «Alzati, prendi la barella e torna a casa».

A quanti incontra, il messia di Nazaret ripete la stessa domanda, che non riguarda in realtà la salute fisica. «Vuoi guarire?» è un invito a prendersi sul serio, imparando a discernere le cose decisive da quelle precarie. A quanti lo seguono, egli si propone come l’unico Signore e Salvatore.

«Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse» (Gv 5, 13). Succede talvolta che colui che dà senso alla vita rimanga «sconosciuto» anche per i discepoli. Passa il tempo senza che la vita sperimenti la liberazione dell’in-telligenza, della responsabilità, dell’amore. Talvolta Gesù rimane un nome importante, ma confuso tra altri. Se è così vince l’immaturità della fede, un vivere a metà del guado che impedisce lo scatto della fede e la gioia conse-guente. Senza di Lui, poi, non solo non si va da nessuna parte, ma si rimane pure sconosciuti a se stessi, ricattati dall’umore e dalle circostanze. Si è paralitici ogni qual-volta non si vuole vedere il passaggio di dio.

«Chi è nella luce non è certo lui ad illuminare la luce e farla risplendere. È la luce che lo rischiara e lo rende luminoso» (sant’Ireneo di Lione, vescovo, 130-202).

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QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMAMercoledì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (5, 17-30)In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato».

NON SIAMO ORFANI

Nell’acceso dibattito con Gesù, seguito alla guarigione del paralitico in giorno di sabato, Giovanni annota che i

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farisei accusavano Gesù non solo di violare il sabato, ma anche di chiamare dio suo padre, facendosi uguale a dio. In realtà Gesù è stato ucciso proprio a causa di questa pretesa: di farsi uguale a dio. Tante persone si fermano a riconoscere unicamente l’umanità di Gesù, ne esaltano la forza interiore, ne ammirano la coerenza, la serenità, rimangono toccati dalla predicazione, ma considerano un’invenzione della chiesa averne mitizzato la figura.

Leggendo i Vangeli, invece, Gesù in più di un’occasio-ne ha agito e parlato identificandosi con dio, un fatto tanto più sconcertante perché avvenuto all’interno di un popolo che faceva dell’unicità e dell’alterità di dio la propria gelosa peculiarità. Gesù ha fatto la rivelazione più straordinaria di tutti i tempi, dicendo che l’umanità non è orfana, ma ha un Padre misericordioso.

L’amore fra il Padre e il Figlio fa sì che la volontà dell’u-no diventa una sola con quella dell’altro. Non è infatti nel prevalere, nell’imporsi che si manifesta la grandezza del Signore, ma nel suo entrare nel cuore di ogni creatura attraverso la persuasione di un amore profondo e con-creto. «Il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» dice Gesù, indicando il criterio con cui giudicare, imparando da quello largo e generoso della misericordia di dio e non da quello angusto e modesto dell’agire umano.

«Quando un padre dona ad un figlio, entrambi ridono. Quando un figlio dona ad un padre, entrambi piangono» (William Shakespeare, poeta, 1564-1616).

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QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMAGiovedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (5, 31-47)In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato te-stimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, in cui riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti come potrete credere alle mie parole?».

LA VOCE DEL PADRE

Gesù sperimenta chiusure irrazionali e preconcetti ideologici da parte dei capi religiosi di Israele, gli stessi,

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del resto, che gli increduli di ogni tempo manifestano. La domanda degli avversari di Gesù suona più o meno così: «Tu fai affermazioni di grande rilevanza, ma chi è il tuo garante? Quali le tue referenze? da chi sei introdotto?». Sono persone dal cuore indurito, refrattarie al messaggio di Gesù perché malate di presunzione, bloccate dall’ipo-crisia, avide di gloria umana. E la Parola di dio si sente soffocata in cuori chiusi al Mistero.

A propria difesa Gesù presenta quattro testimoni: il Padre, Giovanni Battista, le Scritture, le stesse opere com-piute: quattro lampade che brillano nel buio dell’umanità e che consentono di seguire e abbracciare il bene. Quella del Padre, comunque, è la testimonianza più limpida. Po-co oltre, sempre nel Vangelo di Giovanni, Gesù affermerà: «Anche il Padre testimonia per me» (Gv 8, 16). Il Padre è il primo e vero referente di Gesù. da lui ha preso avvio il progetto di salvezza, lui ne è il regista, a lui fa costante riferimento il Figlio. Passa notti intere in dialogo intenso con lui. Non può farne a meno.

Non ci sono altre strade. occorre passare attraverso Gesù, il mediatore tra dio e l’umanità.

«Il vero amore deve sempre fare male. Deve essere dolo-roso amare qualcuno, doloroso lasciare qualcuno. Solo allora si ama sinceramente. L’amore non vive di parole, né può essere spiegato a parole» (beata Teresa di Calcutta, religiosa, 1910-1997).

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QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMAVenerdì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (7, 1-2.10.25-30)In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvici-nava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto. Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quan-do verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veri-tiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora.

bRUTTE ARIE PER GESù

Tirano brutte arie in Giudea per il giovane messia di Nazaret. Gerusalemme non ha riconosciuto il suo segno, né ha accolto il «profeta». Pertanto, Gesù si muove con prudenza, e sale alla città santa per la festa delle capanne senza farsi riconoscere, anche se un ennesimo dibattito al tempio lo porterà quasi alla rissa.

La veemenza verbale usata nei riguardi di Gesù non viene risparmiata ai discepoli di ogni tempo. oggi, ad esempio, l’occidente, pur facendo professione di acco-glienza e tolleranza, non si comporta in maniera tanto diversa. Esterna la propria ostilità verso i cristiani non

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appena percepisce che qualcuno si è schierato in modo palese per il Vangelo. Il metodo è consolidato. Il malcapi-tato viene marchiato pur in forma «garbata» e silenziosa. Lo si fa passare addirittura per una persona depressa o affaticata. Non mancano battute salaci nei riguardi di chi si sforza di essere praticante, da coloro che, magari, neppure provano a stare moralmente in piedi. Le accuse nei riguardi della chiesa si sprecano. Talvolta sono mo-tivate, ma il più delle volte sono gratuite, frutto di una informazione scorretta e superficiale.

La presente è stagione di basso profilo, non perché manchi il coraggio, ma perché in questo segmento della storia l’esemplarità comunica più della verbosità. chi pensa alla chiesa unicamente come ad un’immensa strut-tura piramidale che emana direttive per un «gregge» muto ed ossequioso, non ha sperimentato la bellezza della chiesa-comunione. La chiesa di oggi è formata spesso da piccole comunità chiamate a tenere in piedi strutture appesantite. Si danno meno servizi di ieri, ma si dà spazio alla relazione interpersonale, si esercitano la prudenza e la tolleranza, ci si comporta con semplicità senza ostentare la fede, si rende ragione della speranza, testimoni, con l’amore e il perdono, di un dio che ci ha salvato regalando la propria vita sulla croce.

«Non ho paura, e anche questa è una cosa che non mi so-no data. Sono stata in pericolo di vita, mi hanno sparato, sono stata picchiata, imprigionata, ma non ho mai avuto paura» (Annalena Tonelli, missionaria laica, 1943-2003).

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QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMASabato

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (7, 40-53)In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Ga-lilea? Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati in-gannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Gali-lea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.

EFFETTO bOOMERANG

Gesù esce dai modelli di carte d’identità prescritti dai codici umani. La sua persona non corrisponde né alle aspettative politiche, né ai criteri prestabiliti dal suo tempo. crea scompiglio tra i farisei e mette in agitazione il popolo. Nei suoi riguardi il potere umano si rivela fra-gile e nel contempo arrogante. Non sa come affrontare il fenomeno Gesù di Nazaret. Alcuni capi religiosi tentano perfino la via banale dell’arresto. Ma l’escamotage si rivela

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perdente. La testimonianza entusiasta dei soldati, infatti, è un boomerang per quei notabili religiosi che erano decisi a tutto pur di emarginare quel personaggio.

Il non riconoscimento della persona di Gesù produce una profonda divisione tra gli uomini di fede: ognuno di loro si arroccherà sulle proprie posizioni, e tornerà a casa stizzito e irrigidito. cresce la tensione. Alla doman-da legata al non sequestro di Gesù, i soldati se ne escono con un commento imprevisto, quasi esilarante: «Mai un uomo ha parlato così». dunque, un manipolo di guardie si trova in difficoltà ad applicare la richiesta dei capi re-ligiosi. A prendere le difese di Gesù sarà quel Nicodemo che era andato da lui di notte per fare luce nel suo cuore in confusione.

chi è Gesù? È un maestro che non segue le regole uma-ne, né si attiene alle aspettative, non fa suoi gli schemi pre-vedibili, né può essere ricondotto a percorsi consolidati. Il potere politico non ha nessuna forza su di lui e mette a soqquadro i percorsi delle fedi collaudate.

come entrare in relazione con lui? Egli è il totalmente altro. Non si può entrarne in possesso. Semmai si viene soggiogati e affascinati. Se la cosa si fa seria, se ne diventa discepoli e testimoni.

«A quel tempo visse Gesù, un uomo santo, se pure uo-mo può essere chiamato, perché egli fece cose mera-vigliose; fu seguito da molti Ebrei e da molti Greci. Egli era il Messia» (Giuseppe Flavio, storico giudeo-romano, 37-103).

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QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMADomenica

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (12, 20-33)In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filip-po andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

I GRECI

Quando il cuore comincia a battere per Gesù, se il Fi-lippo di turno sa fare da ponte al Vangelo, l’incantesimo si compie. Greci di ogni latitudine, condizione ed epoca giungono con la medesima richiesta. La fede parte dal vedere, poi diventa conoscere e credere. E la vita cristiana, o è epifania del volto di dio, o è vuota esibizione.

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I discepoli della prima ora, affascinati da quel maestro, sono chiamati a non deludere coloro che di volta in volta bussano alla porta della fede. Non si tratta di dimostrare dio, ma di esibirlo con la vita. I nuovi discepoli non si aspettano discorsi brillanti su dio, ma lo vogliono «tocca-re». chiedono esperienze vissute da credenti che all’oltre ci sono già stati.

Non è dato di sapere se Gesù abbia incontrato quei Greci. Pochi giorni dopo, sarebbe stato crocifisso. Tanti altri Greci continuano a salire al Tempio per la festa. Alla Pasqua cristiana si rivolge l’attenzione di molte persone, apparentemente estranee alla fede. Sono simpatizzanti del dio di Gesù cristo, che vivono sulla soglia. Magari cercano nella Pasqua una parola di pace da contrapporre alle tante parole di guerra che segnano la loro esistenza.

Ma i Greci rappresentano, per altri aspetti, gli stessi discepoli di poca solidità, spinti talvolta dalla curiosità di «vedere» Gesù più che dalla volontà di rispondere alla sua chiamata, desiderosi di ricaricare le batterie del futuro più che di giocarsi la vita per lui. davanti a Gesù non basta un generico desiderio di bene suggerito dal cuore. È necessa-rio decidersi, riconoscendo la novità della sua promessa. Serve fissare lo sguardo, e non solo, su quel crocifisso che diventa ragione e sorgente di ogni bene duraturo.

«Pensavo che per arrivare a Dio fosse necessario salire, salire e salire. Invece, leggendo il Vangelo, ho capito che per arrivare a Dio bisogna scendere, scendere e scende-re, come Gesù» (beato Charles de Foucauld, 1858-1916).

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QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMALunedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (8, 1-11)In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli se-dette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Ma-estro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, china-tosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nes-suno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

IL DITO PUNTATO

Il Tempio, luogo di preghiera, diventa anche luogo di processi. Al centro di quel bizzarro collegio giudicante imputata non è la donna, ma Gesù. Lei è soltanto un’esca per mettere in difficoltà il messia di Nazaret. Il brano, riportato solo da Giovanni, è ampiamente menzionato da diversi Padri latini. Per la legge ebraica il peccato di adulterio era considerato alla stregua di un omicidio, perché mediante l’adulterio veniva ucciso il partner nella sua relazione d’amore. La pena della lapidazione, poi, è una sorta di crimine collettivo, in cui nessuno è diretta-

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mente responsabile. I farisei ritengono grave il reato di quella donna. Ma un conto è la gravità del male, un conto è la pena. La sfida a Gesù è stata lanciata: se la sentirà di andare contro la legge di dio? Gesù tace, ma il suo silen-zio è assordante. Anche la donna tace. Sa che la sua vita è appesa a un filo. Solo gli accusatori schiamazzano.

dopo un po’ Gesù afferma: «chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8, 7). Gesù non rinnega la legge, chiede solo che chi si erge a difensore della giustizia per condannare gli altri sia il primo a pra-ticarla. Se ne andarono tutti, cominciando dai più vecchi. conclusione: nessuno ha il diritto di condannare.

Nel cortile del Tempio si è fatto il vuoto. Sulla scena so-no rimasti in due: Gesù e la donna. Gesù la rassicura, ma aggiunge: «Non peccare più» (v. 11). È davanti a lei pronto a ricostruirla dall’interno. La peccatrice non c’è più, c’è una donna, fragile, ma pronta a vivere e ad amare. Perdo-nata, ella non appartiene più al suo passato, ma al suo fu-turo. dio è più grande della debolezza del cuore umano. A quanti si lasciano guardare dentro egli ripete che ciò che conta è di rimettersi in piedi e riprendere a camminare.

Ma l’adultera è pure segno di Israele che ha tradito il suo Signore. I farisei e gli scribi infatti tenderebbero a condannare e a tenere sprangata la porta della salvezza ai peccatori. In realtà, l’adultera è Israele cosciente di avere rotto l’alleanza, la vergine di Sion che si coglie colpevole, peccatrice davanti al proprio dio.

«La carità comincia dallo sguardo perché ciò che salva è lo sguardo» (Simone Weil, filosofa, 1909-1943).

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QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMAMartedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (8, 21-30)In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete veni-re». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: «Dove vado io, voi non potete venire»?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri pec-cati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.

IL PUzzLE DELLA FEDE

La domanda non è nuova. A cesarea di Filippo era stato Gesù a porla ai dodici: «Ma voi chi dite che io sia?» (Mt 18, 3; Mc 8, 29; Lc 9, 20). La risposta di Pietro, a detta dello stesso Gesù, non fu frutto di intelligenza umana, ma di rivelazione divina. certo, la domanda dei farisei era di sfida. Nel loro cuore avevano già catalogato e bocciato Gesù, per nulla disponibili a rivedere le loro posizioni.

La risposta di Gesù è emblematica, e serve per la gente di ieri e di ogni tempo: «Voi siete di quaggiù, io sono di

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lassù» (Gv 8, 23). È un invito a rimettere ordine nel puzzle della fede. oggi non ci sono difficoltà a riconoscere la grandezza morale di Gesù, ma, come al tempo dei farisei suoi contemporanei, non si riesce a fare il salto. ci si li-mita alla sua dimensione umana perché non è obbligante.

Gesù, poi, aggiunge che una conoscenza completa di lui la si avrà soltanto quando egli sarà innalzato da terra: «Allora conoscerete che io sono» (v. 28). La croce, dun-que, dà la pienezza dell’identità di Gesù cristo, un dio crocifisso, «perdente» per amore. Sottratto alla patina dell’abitudine, quel corpo insanguinato mette a disagio, ma dà modo di sperimentare un amore sconfinato, ca-pace di giocarsi l’esistenza del proprio Figlio per avere in cambio il riscatto di ogni umana creatura.

Gesù non si aspettava, forse, di essere così pesantemen-te rifiutato da coloro che, fino a qualche attimo prima, avevano rimproverato a dio una così prolungata assenza. È buffo: ci si lamenta che dio se ne stia lontano e, quando si rende presente, lo si rifiuta. Gesù ha davanti a sé due scelte: di andarsene e gettare la spugna, o di andare fino in fondo e farsi crocifiggere. dio ha accettato il dramma. davanti alla verità del suo gesto ogni ostinazione si do-vrebbe sciogliere, ed aprire una crepa nel muro alto delle umane certezze.

«Non il cielo fu creato a immagine di Dio; non la luna, non il sole, non la bellezza delle stelle. Tu solo sei stato creato a immagine di Lui, a somiglianza di quella bellezza nella quale non v’è difetto» (san Gregorio di Nissa, vescovo, 335-395).

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QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMAMercoledì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (8, 31-42)In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discen-denti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abra-mo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato».

LIbERI DENTRO

Vivere in libertà è un’intima aspirazione del cuore uma-no. La libertà precede ed accompagna, infatti, ogni altro di-ritto: all’esistenza, all’autodeterminazione, ad una vita di-gnitosa, alla scelta del partner, alla pratica di una fede. Esiste, tuttavia, una libertà fondante, che consente l’esercizio dei diritti. Essa trova radicamento in Gesù cristo che afferma: «Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (Gv 8, 36).

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L’uomo occidentale, in particolare, così geloso della salvaguardia della propria libertà, rischia ogni giorno di svenderla a padroni sempre più aggressivi: l’orgoglio, la vanità, la corporeità, la moda, il denaro, il potere. Quan-do la libertà non si lascia ispirare dal Vangelo sconfina nella prevaricazione, nell’assenza di limiti. Fa passare dal cosiddetto giogo della morale cattolica all’egemonia di altre dipendenze.

Gesù associa il tema della libertà a quello della verità. Non esiste autentica libertà senza verità. chi non conosce la verità vive di una libertà parziale. La libertà, infatti, sradicata dall’obiettività, genera il caos. Invece colui che si fa discepolo della verità si avvicinerà gradualmente ad essa. E più ne diventerà familiare, più respirerà libertà. Non si possono operare scelte senza conoscenza. Verità e libertà, dunque, sono strettamente dipendenti.

Altro ostacolo alla libertà è la lusinga. Essa tende all’e-spropriazione della libertà e all’asservimento della crea-tura umana. Le seduzioni annebbiano, sia pur solo per un momento, il pensare. La spontaneità di una pulsione non basta a farne un atto di libertà. Un atto libero non è un atto spontaneo istintivo, ma è un frutto dell’essere razionale. Pertanto solo l’incontro tra volere e ragione genera libertà. Nella vittoria sulle tentazioni del deserto Gesù fa vedere come l’uomo possa essere libero davvero.

«L’uomo combatte sempre per la propria libertà, e subito scopre di essere schiavo» (Fëdor Dostoevskij, scrittore, 1821-1881).

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QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMAGiovedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (8, 51-59)In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

«IO SONO»

Gesù parla ad alcuni Giudei diventati a parole suoi discepoli. Ma dopo l’iniziale entusiasmo la loro adesione comincia a traballare, la loro reazione si fa critica e sde-gnata, soprattutto quando Gesù fa luce sul mistero della sua vera identità. Ritengono che le affermazioni di Gesù siano fuori luogo perché anche i personaggi più grandi della storia della salvezza hanno conosciuto la morte. Ma Gesù insiste. La Parola, accolta e vissuta, è la chiave che

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apre le porte del cielo e fa entrare nel cuore di dio. Una promessa tanto inconsueta dipende da un «se», una con-giunzione umile e fragile, ma potente. Gesù propone, non costringe. Si potrà accogliere o rigettare la sua offerta.

Quei Giudei suoi contemporanei sono discepoli a tem-po. In realtà, non accoglieranno mai il progetto di Gesù. Troppo suscettibili, incollati oltremisura alle proprie radici e abitudini. E quando, dopo tante prove, egli sve-lerà la sua identità profonda di Figlio di dio, quei suoi ex-discepoli saranno pronti a lapidarlo.

Se ne incontrano di discepoli così, persone che credono di credere, ma che, in realtà, sono legate alle proprie abitu-dini. Guai se la fede si lega in modo decisivo alle «proprie devozioni». È stato detto che non c’è nulla di più difficile da convertire di una «persona devota» perché alla fin fine crede solo a se stessa. La fede chiede di essere rivisitata e ri-battezzata ogni giorno. La conversione parte dal cuore. È un totale capovolgimento del modo di pensare, di sen-tire, di percepire. È una semplificazione della mente che, da contorta, diventa genuina, trasparente, chiara.

«Nessun uomo è lontano dal Signore. Il Signore ama la libertà, non impone il suo amore. Non forza il cuore di nessuno di noi. Ogni cuore ha i suoi tempi. Lui bussa e sta alla porta. Quando il cuore è pronto si aprirà» (don Pino Puglisi, parroco di Brancaccio [PA], 1937-1993).

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QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMAVenerdì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (10, 31-42)In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Pa-dre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.

L’ULTIMA CHANCE

Gesù si gioca l’ultima chance. dopo miracoli strabi-lianti eccolo pronto a mettere sul tavolo la propria carta d’identità di Figlio di dio. La tensione sale. Quest’ultima iniziativa ha per i farisei sapore di vera provocazione. La loro ostilità cresce e i segni che egli ha compiuto sono scordati. Anzi, gli ritornano addosso. I Giudei non ci pensano due volte a raccattare i primi sassi per lapidare

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un Gesù che dice cose stonate e sgradevoli. La ragione di tanta aggressività? La pretesa di Gesù di proclamarsi Fi-glio di dio. Una dichiarazione scomoda, ma rispondente al vero. Gesù ha coscienza di essere inviato «in missione» dal Padre. E dimostra di essere il Figlio di dio mediante una duplice argomentazione: quella delle Scritture, e quella delle opere che ha compiuto nel nome del Padre. Infine reagisce con pacatezza ai tentativi di violenza. Quei Giudei sarebbero senza colpa se Gesù non avesse compiuto opere che nessun altro al mondo ha mai fatto. «credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io sono nel Padre» (Gv 10, 38).

Gesù esce di scena e decide di ritirarsi a Betania. Non è il villaggio di Lazzaro, ma una località sulla sinistra del Giordano dove il Battista aveva svolto il suo ministero. Una sorta di ultima sosta, prima del grande balzo.

La situazione si ripropone oggi come allora, anche se con modalità diverse. Gesù non viene lapidato. Anzi, vie-ne definito un personaggio straordinario. In compenso vengono lapidati i suoi discepoli. da qualche anno subi-scono violenza tanti cristiani in India, in Egitto, in Irak, in Turchia, in Indonesia, in Afghanistan. Il Vangelo è un libro che scotta, difficile da accettare.

«Sto cercando di imparare il turco, una lingua molto diffi-cile, e io sono l’ultimo della classe. Non so come andrà a finire, ma essere l’ultimo è comunque utile: aiuta a sentirsi davvero ultimi, con un’umiltà reale e quotidiana» (don An-drea Santoro, missionario ucciso in Turchia, 1954-2006).

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QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMASabato

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (11, 45-56)In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

LA SENTENzA

La decisione è stata presa. Su Gesù di Nazaret viene pro-nunziata una condanna a morte. I miracoli e la fede vanno in secondo ordine. Vincerà la ragion di Stato. caifa, il capo di turno del sinedrio, si conferma uomo avido e cinico. Porta un nome che diverrà simbolo di guerre planetarie per difendere il proprio potere e l’autonomia della Palestina.

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Roma aveva già concesso molto: la presenza di un re locale, il culto, la custodia del Tempio, il tribunale del sinedrio sia pure esautorato, una moneta priva dell’immagine di ce-sare imperatore. ottenere di più non era possibile. Ponzio Pilato avrebbe potuto perdere le staffe e reagire in modo imprevedibile. E di questo caifa era consapevole. Meglio evitare contrarietà. Una rivolta popolare sarebbe stata un incidente insanabile. La morte di un solo uomo avrebbe impedito una vera e propria strage delle legioni romane. Guarda caso, due diverse strategie si incontreranno con-centrate nello stesso «agnello» pronto per il sacrificio. Ad essere sgozzato sarà Gesù che morirà per tutto il popolo. caifa è il prototipo degli innumerevoli tatticismi e compro-messi che la storia ha raccontato sulla vita politica, soprat-tutto di quella che serve all’autoconservazione. Pagherà pegno ancora una volta il rispetto della verità.

Il disegno d’amore del Padre si attua lasciandosi impa-stare negli intrighi umani. «dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rom 5, 20). Sarà la croce a rivelare in pienezza l’amore di un dio che trasformerà il patibolo in un trono glorioso, lo strumento di morte nell’evento imprevedibile della Risurrezione. Il dolore va evitato o soppresso laddove è possibile. Ma laddove non è possibile ne va colto il senso che associa all’amore salvifico di Gesù.

«Uno non deve mai volersi bene al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già perso la propria vita» (Oscar Romero, vescovo, 1917-1980).

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Settimana Santa

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SETTIMANA SANTADomenica delle Palme

✠ Passione del Signore secondo Marco (14, 1 – 15, 47)Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sa-cerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo». Gesù si trovava a Betania, nella casa di Simone il lebbroso. Men-tre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto». Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacer-doti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno. Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua. Seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mo-strerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta;

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lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavo-la e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Pren-dete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri. Giunsero a un podere chiamato Getsemani ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi?

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Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino». E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anzia-ni. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!». Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo. Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Ma nemmeno così la loro

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testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mez-zo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo». Allora il sommo sacer-dote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il pro-feta!». E i servi lo schiaffeggiavano. Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto. E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli do-mandò: «Tu sei il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti ac-cusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava

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in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimet-tesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrec-ciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginoc-chia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per croci-figgerlo. Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Golgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra. Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche

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i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dice-vano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!». Vi erano anche alcune donne, che osserva-vano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giu-seppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.

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IL MISTERO DELLA CROCE

dagli «osanna» lungo le vie di Gerusalemme all’ultima cena, dal processo alla croce, dal sepolcro alla risurrezio-ne. Tutto in otto giorni. La Settimana Santa svela la verità su dio e sull’uomo mediante la croce.

All’interrogativo «chi è dio?» san Bernardo (1090-1153) risponde: «cerca la risposta nel crocifisso». «Non voglio sapere altro se non Gesù cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2, 2). dio si è preso cura dell’uomo non dall’alto, ma dal di dentro, condividendone esistenza e condizione. dio ha fatto proprio tutto quello che il messia di Nazaret ha sofferto sulla croce. La croce è, dunque, il limite estremo dell’umiliazione di dio e la massima rivelazione del suo amore.

Gesù non è venuto solo a condividere, ma a redimere l’umanità. Non ha condiviso la morte per rimanervi im-pigliato, ma, attraverso di essa, ha aperto «l’alta via» del ritorno a dio. Egli ha affrancato tutti dalla morte eterna assolvendo totalmente il debito del peccato.

Il mistero della croce di Gesù illumina anche il mistero dell’umana sofferenza. da una sorta di balcone aperto sul mondo Ponzio Pilato mostra Gesù e dice: «Ecco l’uomo» (Gv 19, 5). Gesù fa suo il dolore di ogni creatura umana, di quelle vissute prima di lui e delle altre che lo seguiranno.

Tutti gli orrori dell’umanità confluiscono sul calva-rio. Lì, testimoni della morte di Gesù, ci saranno alcune mamme-coraggio, primo nucleo di chiesa. Guarderan-no a Gesù con lo stesso sguardo di passione con cui dio guarda all’uomo. Lì nasce la chiesa.

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La passione di cristo continua tra le pieghe della storia umana. «chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno» (Mc 8, 34). La visione edonistica della vita, la civiltà dello «star bene», le abitudini appaganti sono infastidite dalla evocazione della croce e del cristo cro-cifisso. Invece, un amore vero per cristo, che ha regalato la sua vita per tutti, trasforma l’esistenza. Le sofferenze inenarrabili di tanti crocifissi nella carne e nello spirito, il cumulo di odio e di ingiustizie, di egoismi e sopraffazioni, di violenze ed iniquità, interpellano il Vangelo, cui si è promessa testimonianza.

«Veramente questo uomo era Figlio di dio» (Mc 15, 39). Parole di un soldato di Roma, esperto in condanne a mor-te. Nell’agonia di Gesù morente, quell’uomo d’armi ha riconosciuto il Figlio di dio. Il suo è stato il primo atto di fede di un cristiano. ha visto dio al momento della mor-te, non all’atto della sua risurrezione. Gesù è morto da dio. c’era chi gridava «scendi dalla croce» (Mt 27, 40), ma egli non poteva scendere perché la sua morte era il prezzo del riscatto dell’uomo. La croce rivela il volto di dio. Sul calvario passa il vero tornante della storia umana.

«Se ci sarà pace a Gerusalemme, ci sarà pace in tutto il mondo» (Carlo Maria Martini, cardinale).

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SETTIMANA SANTALunedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (12, 1-11)Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

ODORI E PROFUMI

Gesù è ospite in casa di Lazzaro, Marta e Maria. Tra i presenti emergono due figure: Maria e Giuda. Maria compie un silenzioso gesto di amore nei confronti di Ge-sù. Pura gratuità. Non c’è calcolo, né misura nel suo fare. Il profumo che versa sui piedi di Gesù è di inestimabile valore. Giuda non comprende quel gesto. Anzi, lo ritiene uno spreco, limitandosi a stimare il valore del prezioso un-guento in trecento denari, il salario annuo di un manovale.

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Affiorano due opposte modalità di sequela: quella di Maria, nella quale l’amore dilata il cuore, e quella di Giu-da Iscariota, un apostolo, il cui mero calcolo e meschinità chiudono per sempre a dio, sorgente dell’amore. dunque, non è sufficiente fare strada con il Signore per essere suoi discepoli. In realtà, allora come oggi, tanti «andavano dietro» a Gesù, ma pochi lo «seguivano». Maria insegna come farsi discepoli di Gesù e, grazie a lui, come farsi prossimi degli ultimi. La strada che ella ha percorso, e che l’ha portata a baciare i piedi del Maestro, è la via della salvezza.

I poveri tendono la mano per ricevere un unguento di amore e di giustizia. Gesù insegna a «sprecare» come Ma-ria la propria tenerezza e il proprio amore. Il povero non ha solo necessità materiali come Giuda stava pensando. Non ha neppure solo necessità di affetto, o di comunica-zione. ha, prima di tutto, reali capacità di dono, di tessere relazioni, di regalare semplicità e leggerezza.

Betania è, poi, il luogo delle «confidenze». Lì Gesù non è un ospite di riguardo, ma un amico. Non ha biso-gno di seguire speciali norme di comportamento. È «a casa». Per il credente Betania è sosta con l’Eucaristia, è respiro di dio, è occasione di riprendere in mano il progetto di vita.

«Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Tu eri con me e io non ero con Te. Tu mi hai chiamato e hai vinto la mia cecità; hai diffuso il tuo profumo e io l’ho respirato e ora anelo a te» (sant’Agosti-no di Ippona, vescovo, 354-430).

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SETTIMANA SANTAMartedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (13, 21-33.36-38)In quel tempo, mentre era a mensa con i suoi discepoli Gesù fu pro-fondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro gli disse: «Signo-re, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».

DALLA FAMILIARITà AL TRADIMENTO

dopo le aspre polemiche con i farisei, ci si sarebbe aspettati che il tradimento giungesse da uno di loro. Inve-

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ce, a tradirlo sarà uno dei fedelissimi, un apostolo seduto a mensa con Gesù, pronto a condividere un’intimità già dissacrata con il pensiero, a fingere una fedeltà già tradita nel profondo del cuore. Una cena agitata, una notte buia quella di Giuda. Sarà angosciante per lui uscire dalla luce per immergersi nelle tenebre.

Giovanni, il discepolo che Gesù ama, si china sul Ma-estro per conoscere il destinatario dell’accusa di tradi-mento. Gli apostoli, invece di scandagliare gli abissi del proprio cuore, cominciamo a guardarsi l’un l’altro. Pietro, poi, presume di se stesso. Promette e giura ignaro dei pro-pri limiti. dovrà fare l’esperienza bruciante del fallimento per convertire il cuore.

Quell’ultima cena è memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore, rivissuto spesso distrattamente nelle chiese, un rito consumato in fretta, senza cuore e senza stupore. dio continua a consegnarsi all’indifferen-za dei discepoli nella speranza che avvenga il miracolo, fioriscano cioè la meraviglia e la conversione. due eccessi: il tradimento di Giuda e la presunzione di Pietro. Giuda lo tradisce, pur ricevendo il «boccone» dell’amico e ma-estro. Pietro esagera, vuole salvare dio, è abitato da un fervore che già in altri momenti lo ha portato a gesti di presunzione. da solo Gesù affronterà l’ultima decisiva prova d’amore.

«Il bacio del traditore è il compimento dell’itinerario di Giuda, l’espressione più misteriosa della grande familia-rità e della separazione abissale compiutesi tra Giuda e Gesù» (Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano, 1906-1945).

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SETTIMANA SANTAMercoledì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (26, 14-25)In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo conse-gni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momen-to cercava l’occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profonda-mente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

GIUDA è VIVO

Nel testo di Matteo per ben due volte compare l’e-spressione: «Sono forse io, Signore?». Gesù rivelerà che a tradirlo saranno quelli che si cibano dal suo stesso piatto, i vicini, quelli che condividono il dono della Parola, che mangiano lo stesso pane eucaristico. Intingere nello stes-so piatto significa essere di casa, «consanguinei».

«Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?» (Mt 26, 14). «consegnare», il verbo usato da Matteo, ha un

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duplice significato: per Giuda significa mettere Gesù nelle mani degli oppositori; per Gesù significa mettere se stesso nelle mani dei nemici per realizzare in toto la volontà del Padre. consegnandosi egli cancella ogni fermento di odio e di morte. La sua debolezza mortale diventa sorgente di vita.

Giuda cova nel suo cuore il tradimento da molto prima del suo metterlo in atto. c’è una lontananza dal Signore che diventa il terreno sul quale mettono radici il tradi-mento e la diffidenza. Una volta presa dimora la pianta maligna si sviluppa mascherando i suoi rami con ragio-namenti di sano realismo. È possibile sentirsi nel giusto e, intanto, fare spazio al male e cooperare con esso. Giuda non è un mostro, è uno dei dodici, ha vissuto con Gesù. Eppure ha fatto del suo cuore la casa del risentimento.

Gesù ha trattato Giuda da amico. Però nei suoi inviti a seguirlo ne rispettava la libertà. Alla fine il discepolo, an-che se pare pentirsi, cade nella disperazione, a differenza di Pietro che tradisce, si pente e torna alla fiducia in dio.

Giuda non muore mai. capita spesso ai più vicini di rinnegare l’amore, di vendere cristo per poche briciole. E il tradimento dei prediletti è sempre il più doloroso.

«La più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa. La Chiesa, quindi, ha un profondo bisogno di re-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, e dall’altra la necessità della giustizia» (papa Benedetto XVI, 11 maggio 2010).

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SETTIMANA SANTAGiovedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (13, 1-15)Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Isca-riota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

IL GREMbIULE

Giovedì santo. ha inizio il triduo pasquale. Mentre Giuda sta per tradirlo, Gesù compie un gesto che riassu-me tutta la sua vita: laverà i piedi agli apostoli. Porsi al

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servizio degli altri significa metterli su un gradino più alto delle proprie priorità.

Si alzò da tavola. Troppe Eucaristie nascono scialbe e spente. La Messa non prevede la sonnolenza, né il torpore del cuore. Quanto avviene fuori di chiesa deve entrare, prendere il cuore. ogni violenza, ogni ingiustizia e pre-potenza sono coltellate inferte a Gesù. La Messa non è «valida» se non spinge oltre se stessi. In caso contrario rimane un’incompiuta.

Depose le vesti. Quelle del guadagno, dell’interesse personale, del calcolo. Tali obiettivi non consentono di volare. occorre spogliarsi delle vesti del potere, della su-perbia, della vanità. Non si può corteggiare il potere, né si possono coltivare intese che offendono la giustizia. Per prima la chiesa è chiamata ad alleggerirsi.

Si cinse l’asciugatoio. L’asciugatoio è il grembiule, quel-lo del servo di casa. È un segno decisivo nella vita delle comunità cristiane. Solo dopo aver servito si è in grado di essere creduti. Le parole non sorrette da una esem-plarità perdono di efficacia. In ogni tempo le povertà si presentano senza annunciarsi. dicono in qualche modo le disattenzioni del cuore. Accogliere e servire fa entrare nella logica dell’Eucaristia che lava i piedi a chiunque essi appartengano.

«La Chiesa deve perdere i segni del potere e conservare, invece, il potere dei segni: il potere di porre dei segni che siano scrupolo, spina nel fianco del mondo» (Tonino Bello, vescovo di Molfetta, 1935-1993).

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SETTIMANA SANTAVenerdì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (18, 1 – 19, 42)Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Naza-reno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Ge-sù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orec-chio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?». Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, cat-turarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo». Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori,

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parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uo-mo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Ap-pena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote. Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e do-mandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo?

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La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante. Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e diceva-no: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». Come lo videro, i capi dei sa-cerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in cro-ce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

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Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacer-doti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto». I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. E i soldati fecero così. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua ma-dre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, af-finché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso

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pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non ri-manessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

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SI ODE UN PIANTO

La croce, così familiare pur nel suo essere un richia-mo di violenza e umiliazione, corre il pericolo di svuo-tarsi di significato. Interpella credenti e non credenti. I primi perché offre un innocente perseguitato. I secondi perché accoglie tra le braccia il Figlio di dio vittima per amore. La si incontra ovunque: nelle chiese, in casa, sui sentieri di montagna, al collo per devozione o per moda, alle pareti delle stanze da letto, negli ospedali, nelle scuole, nei tribunali. Presenza ignorata, soppor-tata o amata, è stata lo strumento di riscatto da una condanna capitale.

Venerdì di Passione. dio muore. La chiesa, muta e smarrita, si raccoglie per alzare lo sguardo verso un uomo appeso ad una croce. Non è folklore, né pietismo. È «memoriale» del dramma che Gesù ha vissuto e vive. Non gli sono bastate belle parole e miracoli. Serviva un gesto drammatico.

Il Venerdì di Passione è intriso di sobrietà e silenzio. Si ode un pianto. È quello di dio che singhiozza: «Popolo mio, che cosa ti ho fatto perché tu mi mettessi in croce?» (Mi 6, 3). Un pianto inascoltato. Preso da se stesso, l’uomo non ascolta più dio, intento a versare le proprie lacrime, chino sui propri guai. Allora come oggi Gesù reclina il capo e muore.

In quei giorni a Gerusalemme non si parlava d’altro: dell’arresto, del processo sommario, della crocifissione e della morte di quel singolare profeta, ma presso la sua croce erano arrivati solo pochi intimi. Gran parte della gente lo malediceva, se ne disinteressava, o si limitava a

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scuotere la testa. Lui moriva e pochissimi gli erano accan-to a dirgli parole di gratitudine.

Sono passati duemila anni. dal suo fianco squarciato è nata la chiesa. certe situazioni di abbandono si ripresen-tano, e ci si chiede la ragione di tanto abbandono. dove sono le cinquemila persone che egli ha sfamato, o quei malati che ha guarito, o i tanti lebbrosi? E i suoi discepoli dove sono?

Venerdì santo, l’unico giorno in cui non si celebra la Messa: il grande Sacerdote, il mediatore fra il cielo e la terra, ha le mani inchiodate, sospeso fra cielo e terra. crocifisso è dio, spogliato e umiliato, un dio che si re-gala per tutti: per gli atei, per i credenti della domenica, per i distratti, per quanti sono inchiodati alle proprie debolezze, per quanti crocifiggono i fratelli grazie al loro egoismo.

Il dramma? dio, che ha dato la sua vita, non riceve il tributo di gratitudine che gli è dovuto. Gesù chiede pure solidarietà. Non l’avrà da nessuno dei suoi interlocutori. Per portare la croce di Gesù, costrinsero un cireneo. Nessuno, né della folla, né dei discepoli, si era offerto per Gesù. Le mani di tutti erano rimaste ferme, come rattrappite. Sono spesso gli «estranei» a portare la croce.

Nel corso della sua vita terrena Gesù ha insegnato che il seme, solo se marcisce e muore, dà origine ad una nuo-va pianta. Egli versa il sangue per amore e accompagna i passi della chiesa nel suo viaggio verso il cielo. Una lunga schiera di martiri fa da ala al passaggio di Gesù, a partire dai primi giorni dopo la sua morte fino ad oggi. Tutti morti violentemente: dilaniati da belve feroci; bru-ciati vivi sui roghi; fatti a pezzi dai primitivi in terra di

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Missione, scorticati, decapitati, fucilati. Pagine di martiri di ogni tempo.

oggi è in atto una sorta di «Atti degli apostoli parte seconda». Non mancano pagine insanguinate nella vita quotidiana della chiesa. E ci sono fatti concreti che par-lano da soli: libertà religiosa negata, minacce, incendi di edifici di culto, divieti di accesso alle scuole pubbliche, censure e condanne senza causa, atti di intimidazione, impedimenti alla libera professione della fede cristiana. Ad oggi oltre il settanta per cento dei perseguitati nel mondo per ragioni religiose sono cristiani.

«Sono contento di poter fare qualcosa per i poveri del Rwanda. Non mi lascerò scoraggiare dalle lentezze e dal-le incomprensioni; né mi faccio intimidire dalle minacce e dalla violenza di alcune teste calde. Se un giorno sparge-rò il mio sangue sulla rossa terra africana, germoglierà» (Giuliano Berizzi, laico missionario martire, 1941-2001).

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SETTIMANA SANTASabato

✠ Dal Vangelo secondo Luca (24, 1-12)Il primo giorno della settimana, al mattino presto le donne si reca-rono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: «Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepol-cro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non crede-vano ad esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto.

LE DONNE DELLA RISURREzIONE

Ultime a lasciare il Golgota insanguinato, le donne sono anche le prime a ricevere e a trasmettere l’annuncio della Risurrezione del loro Maestro e Signore. La missio-ne evangelizzatrice della chiesa, al suo albore, è tutta al femminile. Maria di Màgdala è tra le donne mirofore che si recano al sepolcro del Signore. Esse portano olio profu-mato (myron) per ungere il corpo del Signore. Nel cantico dei cantici Myron è anche il nome dello sposo. Gesù è

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lo sposo della chiesa che lo invoca come suo «myron». E Maria è «mirofora», portatrice del figlio di dio, sposo dei salvati. La stessa tradizione orientale chiama le donne del sepolcro «apostole degli apostoli» perché, dopo essere state testimoni della morte e della sepoltura di cristo, sono coloro che hanno cercato lo sposo assente e, dopo tre giorni, lo incontrano risorto.

Solo le donne non hanno tradito, né abbandonato il Signore. Anzi lo hanno accompagnato e servito dalla Ga-lilea a Gerusalemme, fino a diventarne familiari. Pur non avendo un posto riconosciuto nella struttura gerarchica e sacramentale della chiesa, proprio il mattino di Pasqua, in virtù della loro fede, appartengono alla nuova famiglia di dio, nata dalla Risurrezione.

È così forte questa convinzione per la chiesa bizantina che la festa delle «mirofore» si protrae per un’intera setti-mana. È chiamata «la Settimana delle mirofore evangeli-ste». La Liturgia così le saluta: «Le donne di divina sapien-za correvano con aromi, e ti cercarono con lacrime quasi tu fossi un mortale. Ma esultanti di gioia, ti adorarono dio vivo, e te annunciarono ai discepoli tuoi, o cristo».

«Le donne sono le prime testimoni presso la tomba. Sono le prime a trovarla vuota. Sono le prime ad udire: “Non è qui. È risorto”. Sono le prime a stringergli i piedi. Sono anche chiamate per prime ad annunciare questa verità agli apostoli» (beato Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem 16).

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Giorni diPasqua

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GIORNI DI PASQUADomenica di Risurrezione

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (20, 1-9)Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

PIETRE SIGILLATE E PIETRE DISCHIUSE

Finisce il sabato ebraico e con esso il primo Testamento perché «nel giorno dopo il sabato» (Gv 20, 1) una notizia ferma gli orologi della storia: Gesù di Nazaret, crocifisso e sepolto, esce vivo dalla «valle dei morti».

La sua morte e risurrezione inaugurano una nuova creazione. Il segno concreto dell’inversione di marcia è un’imponente pietra sepolcrale ribaltata, che qualcuno, lungo i secoli, tenterà costantemente di riportare dov’era per impedire che la Risurrezione dia origine ad un’uma-nità nuova.

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In quella mattina di Pasqua si registra una gara podi-stica tra i sepolcri. ci sono atleti diversi: Maria di Màg-dala, Giovanna e Maria di Giacomo, Pietro e Giovanni, i due discepoli di Emmaus, altri seguaci del Maestro. Prima testimone del Risorto è Maria Maddalena, il cui affetto per Gesù precede l’aurora. È quasi l’alba, ma nel suo cuore è buio. Maddalena raffigura la chiesa, nata sul calvario, che cerca a tentoni le orme del Messia. In loro c’è nostalgia del Gesù della storia. Non hanno an-cora assimilato la morte del Maestro. Quella corsa verso il sepolcro racconta in modo palese la condizione della loro fede. Giovanni arriva per primo perché è l’icona del contemplativo le cui antenne percepiscono la novità che sta per raggiungerlo. Pietro rappresenta la comunità in lutto che continua a piangere il cristo morto. La pietra è ancora sigillata all’imboccatura del loro cuore. Tutto nasce dai sepolcri. La fede di tutti i tempi proviene da quei testimoni oculari.

Gesù sarà presente tra i suoi mediante lo Spirito Pa-ràclito, quello stesso Spirito che ha prodotto il suo ride-starsi dalla morte, che è donato agli apostoli la sera di Pasqua, lo Spirito che abbatterà steccati confessionali, che farà sorgere i concili, e che consentirà dolorose divisioni, in vista di più profonde conversioni all’unico Signore.

«Vuoi essere grande? Comincia con l’essere piccolo. Vuoi erigere una casa che arrivi al cielo? Costruisci pri-ma le fondamenta dell’umiltà» (sant’Agostino di Ippona, vescovo, 354-430).

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GIORNI DI PASQUALunedì

✠ Dal Vangelo secondo Matteo (28, 8-15)In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fra-telli che vadano in Galilea: là mi vedranno». Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dor-mivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi.

UN NUOVO VIAGGIO

Pasqua diventa fin dalle prime ore una sfida: la testi-monianza di donne, la cui scarsa stima e considerazione non permetteva loro neppure di deporre in tribunale, contro quella ritenuta più attendibile delle guardie, cor-rotte dai capi dei sacerdoti per affermare il falso sulla misteriosa sparizione del corpo del Maestro di Nazaret.

da allora, chiunque annuncerà la Risurrezione potrà esser trascinato davanti ai giudici e subire una condanna. Il mondo pare preferire le tombe sigillate alla festa della vita.

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Lungo i secoli la minaccia e la corruzione cercheranno di far tacere il Vangelo. Le autorità ebraiche non sono riuscite a far tacere il Signore Gesù e lo hanno ucciso. Vogliono zittire anche i suoi discepoli. Eppure – ecco il miracolo – basteranno poche donne a vincere gli intrighi dei capi. dopo le lacrime di dolore versate sul cristo mor-to, versano lacrime di gioia per la sua Risurrezione. ora portano la notizia agli apostoli, unendo una promessa scandita dallo stesso Gesù: «Vadano in Galilea e là mi vedranno».

Gesù si mostrerà loro come aveva promesso, e lo farà ri-petutamente. Attraverso le sue apparizioni li confermerà nella fede della Risurrezione. dovranno essere loro stessi a dare conferma agli altri e a portare ovunque quell’an-nuncio. Risultano meschini i subdoli raggiri di coloro che, allora come oggi, tenderanno a negare l’evidenza. Il metodo è conosciuto: la corruzione dei testimoni. È la via di chi teme di perdere il potere, di chi si sente minacciato dall’amore, di chi ha immiserito la vita, riducendola a dimensione umana e temporale. Non mancherà mai chi alla Risurrezione cercherà di contrapporre i sepolcri, alla vita la morte, alla verità la menzogna.

«Quando penso che Gesù ha sacrificato tutto, mi chie-do come posso io seguire il cammino del Calvario» (dal testamento di Shahbaz Bhatti, ministro cattolico ucciso in Pakistan, 1968-2001).

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GIORNI DI PASQUAMartedì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (20, 11-18)In quel tempo, Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e pian-geva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Don-na, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annun-ciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

qUEL NOME

La perdita dell’Amico che l’aveva capita come nessun altro ha scosso e turbato il cuore di Maria di Màgdala. ora dentro di lei si mescolano lacrime e trepidazione, sogni ed incubi. Eppure, il dramma della Passione, cui ha preso parte da vicino, non riesce a spegnere le ragioni di una speranza che l’esperienza straordinaria vissuta con il Signore Gesù ha suscitato nel suo animo.

Eccola, la mattina dopo il sabato, chiedere notizie di Gesù a quanti incontra sulla strada che porta ai sepolcri: a due angeli, e ad un tale che ella ritiene il giardiniere.

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Vuole ritrovare la «ragione» della sua vita. Nient’altro e nessun altro le interessa. Maria di Màgdala è il modello del credente che passa la vita cercando senza posa il suo Signore. La scomparsa del corpo del Maestro è l’ultimo oltraggio al suo dolore. È troppo per lei non avere neppure un corpo sul quale piangere il suo Maestro.

dopo una ricerca tanto affannosa, Gesù risorto in per-sona le regala nuove ragioni di vita. Non si impone con la potenza dei segni, ma con la semplicità della relazione. Alla Maddalena basta sentirsi chiamare per nome per «ve-dere». «Maria», le dice Gesù. Quel nome, pronunciato con intensità, non è un semplice dato anagrafico, ma la sintesi di una vita, come ogni nome di persona per un ebreo.

Gesù fa breccia nel suo cuore. Maria non stenta a cre-dere. ci sperava. ora, però, in lei prevale la fede che rag-giunge ogni angolo della sua esistenza. Niente le rimane estraneo. così, lo sguardo, non più offuscato dal dolore, riprende luminosità e profondità. La sua corsa, prima rallentata dall’angoscia, riprende, e Maria vola verso il cenacolo a portare una notizia impossibile, eppure certa. Lei, prima testimone del Risorto.

Ad ogni discepolo del Vangelo accadrà come a Maria. Riconoscerà il Signore Gesù non appena si sentirà chiama-re per nome. Quel nome pronunciato con dolcezza farà ca-dere le barriere. Ascoltarlo una sola volta sarà sufficiente.

«La creazione nasce dal silenzio ed ogni nuova creazione comincia dal silenzioso incontro con Dio. Il rumore dà un benessere epidermico, ma miete vittime» (Arturo Paoli, religioso e missionario).

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GIORNI DI PASQUAMercoledì

✠ Dal Vangelo secondo Luca (24, 13-35)Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammi-no per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con

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loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la bene-dizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scrittu-re?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

UNA MESSA PER STRADA

«due di loro» si allontanano da Gerusalemme dopo la morte violenta del loro «eroe». Sono persone stordite e amareggiate perché hanno il cuore a pezzi. hanno le antenne abbassate. Infatti, mentre se ne tornano verso casa non si accorgono che Gesù li ha raggiunti per farsi compagno di viaggio nel loro imbrunire.

Non pochi suoi seguaci continuano a prendere a mo-dello i due discepoli di Emmaus. Fermi al Venerdì santo, ingessati dentro le proprie paure, sono diventati familiari con la croce, ed incapaci di accogliere la gioia traboccante della Pasqua. c’è troppa gente disposta a credere nel dio del dolore piuttosto che nel dio della gioia. dio ha subito il dolore, non lo genera, né, meno che meno, lo distribui-sce. Se la fede si ferma alla croce, si vive infelici, angosciati ed illusi. Se Gesù non è risorto, non è che uno dei tanti personaggi della storia che, pur avendoci provato, non è riuscito ad imprimere un’accelerazione al corso della vicenda umana.

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È difficile condividere la sofferenza, ma non meno la gioia, e Gesù lo sa. cleopa e il suo compagno sono quasi disturbati da quello sconosciuto che li affianca e pone domande che riaprono ferite. Gesù scuote i due discepoli assonnati e stanchi, e li sollecita con la Parola. Non hanno letto con attenzione le Scritture. Lo sconosciuto ha il pote-re di rimettere in moto un cuore quasi spento. Finalmente una locanda e l’invito a restare. Gomito a gomito con lui il cuore riprende vigore.

Quello straniero ha illuminato e riscaldato la loro notte buia e fredda. Lo osservano mentre cena con loro e gli vedono compiere gesti semplici e familiari. Quel compagno di viaggio spezza il pane e scompare. I due finalmente capiscono, toccano con mano ciò che l’in-durimento del cuore aveva loro impedito di percepire: è proprio lui, è Gesù risorto. Appena si nutrono di quel pane cessa l’opacità dei loro occhi e avvertono la pre-senza del Maestro.

Gesù aiuta ad aprire gli occhi del cuore, rimette in mo-to le energie dello spirito e regala nuova consapevolezza di fede.

«Emmaus è la strada di ognuno perché Lui è la strada. Una strada che continua anche quando io tendo a seder-mi lungo la via» (don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo [MN], 1890-1959).

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La storIa DI aBDaraMan

Abdaraman è un ragazzo musulmano che mi accompagna anche stasera al mio eremo. Ha sempre conversato volentieri con me, ma stasera è muto e triste.«Parla, Abdaraman,» insisto «apri il cuore al tuo amico fratel Carlo».Abdaraman scoppia in pianto. Gli chiedo: «Amico, che succede?».«Fratel Carlo, piango perché non ti fai musulmano!».«Oh,» esclamo io «e perché dovrei farmi musulmano?».Abdaraman grida: «Se non ti fai musulmano, vai all’inferno come tutti i cristiani».«Oh, questa è bella, chi ha detto che andrò all’inferno se non mi farò musulmano?».«Il maestro della scuola coranica mi ha detto che tutti i cristiani vanno all’inferno, e io non voglio che tu vada all’inferno».Arriviamo all’eremo e Abdaraman si ferma. Non vi entrerebbe per tutto l’oro del mondo.Gli dico: «Abdaraman, Dio è buono e ci salverà tutti e due. Sta’ tranquillo, va’ a casa, recita la tua preghiera, mentre io reciterò la mia. Le nostre preghiere vanno nello stesso cielo, perché Dio è uno solo. È il mio Dio ed è anche il tuo. Se osserveremo i suoi comandamenti, andremo nello stesso paradiso. Non piangere più».Entro triste nel mio eremo. Stasera mi sarà difficile pregare.Povero Abdaraman, anche lui vittima degli eccessi di zelo dei cosiddetti “uomini di Dio”, che manderebbero all’inferno metà del genere umano, solo perché “non sono dei loro”.(beato Charles de Foucauld)

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GIORNI DI PASQUAGiovedì

✠ Dal Vangelo secondo Luca (24, 35-48)In quel tempo, i due discepoli che erano ritornati da Emmaus nar-ravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano ricono-sciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Scon-volti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toc-catemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poi-ché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saran-no predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

UNA NOTTE DI LUNA PIENA

Una corsa in una notte di luna piena. Undici chilometri percorsi d’un fiato. La gioia dell’evento sconvolgente ed esaltante scalda il cuore di due discepoli fino a qualche momento prima depressi e spenti. Non li paralizza più la paura. Volano. Avvertono la gioia, prima ancora che la responsabilità, di passare la notizia. Lui stesso li ha rag-

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giunti lungo la strada, e li riporta ora al cuore della storia. Quella attuale è una stagione di appannamento e di

languore. È calato il vento e la barca della chiesa non riesce a far gonfiare le vele. Banchi di nebbia sempre più fastidiosi impediscono di vedere lontano e di pianificare l’opera missionaria.

c’è necessità di incontrare nuovamente il Risorto e di essere elettrizzati dalla sua energia e potenza. occorre porsi in ascolto di chi parla del Risorto, cercare le tracce della sua presenza nel cuore di quanti affermano di aver-ne fatto esperienza. Il Signore è venuto a portare pace interiore grazie ad una profonda riconciliazione con se stessi e con gli altri. continua a ripetere: «Sono proprio io!». È un Risorto determinato a ribadire la consistenza e la tangibilità della sua Risurrezione: «Guardate! Toccate! Avete qui qualcosa da mangiare? Sono proprio io».

Non esiste radicale diversità tra il Gesù storico e il Gesù della fede, tra il figlio di Maria, morto sulla croce e il Signore, annunciato dai profeti. Entrato nella gloria, Gesù è altro ed è lo stesso. Il passaggio dalla precarietà della vita terrena alla libertà dei figli di dio, dalle tenebre alla gloria, avviene nello stesso Figlio dell’uomo.

La comunità cristiana vive alla costante presenza di un Signore crocifisso e risorto.

«Per essere pietre vive, che edificano la Chiesa, occorre innamorarsi della Parola, ascoltare e pregare la Parola, coscienti che l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (san Girolamo, dottore della Chiesa, 347-429).

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GIORNI DI PASQUAVenerdì

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (21, 1-14)In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangia-re?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Por-tate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

è IL SIGNORE!

Pietro, il pescatore per antonomasia, pare aver perduto la mano. La nottata risulta improduttiva. Un mare piatto e una notte di fatica sprecata. Non è possibile avere successo

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quando vince ancora il buio e quando il Signore è altrove. «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5), dice Gesù. Se non si rimane illuminati dalla luce del Risorto ogni impresa umana è condannata al fallimento. Il salmista ribadisce: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Sal 126, 1).

Pietro e compagni pensano almeno per una notte di far conto sulle proprie risorse, ma senza Gesù sperimentano inefficienza e delusione. È deprimente faticare invano, spendere energie senza raccogliere frutto. È l’esperienza amara di quanti pretendono di gestire da soli l’esistenza e di condurla al meglio.

L’intervento prodigioso di Gesù ha un duplice scopo: convincere dell’efficacia della sua presenza e condividere il pasto con i discepoli per rivivere con loro il dono della comunione pasquale. Latente, e pure attuale, il senso della missione che lo stesso Signore aveva già additato a Pietro e agli altri apostoli, di diventare «pescatori di uomini».

L’espressione «io vado a pescare» utilizzata da Pietro equivale ad una sorta di fine delle illusioni. Gli altri lo seguono. Solo la presenza del Signore consente di alzare lo sguardo e di riossigenarsi. Giovanni, in perenne comunio-ne con Gesù, avverte immediata la presenza del Risorto, e comunica a Pietro l’evento. c’è sempre un fratello che vede e pre-vede con il compito di orientare e rimettere in piedi.

«Chi non impone mai la propria volontà a Dio, può essere sicuro di compiere sempre la sua volontà» (Hans Urs von Balthasar, teologo, 1905-1988).

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GIORNI DI PASQUASabato

✠ Dal Vangelo secondo Marco (16, 9-15)Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli Un-dici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

IN MISSIONE

Gli esegeti ricordano che questa parte finale del Van-gelo di Marco è una sorta di appendice apportata dalla prima comunità cristiana di Roma. Marco, infatti, aveva concluso il suo Vangelo con il racconto delle donne in fu-ga dal sepolcro, mute e vinte dalla paura. Evidentemente si devono essere ricredute poco dopo dal momento che oggi la chiesa è qui a parlare di Gesù risorto.

Il finale a sorpresa del Vangelo di Marco può avere due spiegazioni: la prima è che la Risurrezione di Gesù era il dato di partenza del racconto, e quanti lo ascoltavano sa-pevano benissimo che Gesù era risorto; la seconda è legata alla necessità della fede per avvicinarsi alla Risurrezione. Gesù risorto è un dato di fede, non un’acquisizione stori-

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ca. Non è un evento dimostrabile, ma un atto di fiducia verso coloro che lo hanno incontrato dopo la sua passione e morte. Abituati a vivere legati all’evidenza, sembra dire Marco, occorre cambiare registro quando ci si avvicina al Signore Gesù: lo si può incontrare solo in una dimensione di fiducia, in un gesto di abbandono totale. I discepoli e i cercatori di dio di ogni tempo si fidano delle parole dei testimoni del Risorto.

Il testo evangelico, con uno stile stringato, riassume diverse tappe delle apparizioni di Gesù dopo la Risurre-zione. Pone l’accento su diverse testimonianze, in parti-colare su quella di Maria di Màgdala e dei due discepoli di Emmaus. Egli dà rilievo all’incredulità e alle titubanze degli apostoli. Gli Undici cederanno a stento soltanto di fronte al manifestarsi di Gesù quando siederà a mensa con loro, e li rimprovererà per la loro durezza di cuore, che genera una sorta di ottusità dello spirito. Uno degli ostacoli più ricorrenti all’accoglienza della fede.

con le sue ripetute apparizioni Gesù regala conferme alla fede traballante dei discepoli, e moltiplica i segni di certezza della sua Risurrezione. di un evento tanto scon-volgente essi si dovranno fare testimoni e annunciatori.

«A Giovanni è bastato vedere, appena entrato nel sepol-cro, mentre a Simone sarà necessaria una speciale ini-ziativa del Risorto per ammorbidire il suo cuore indurito» (Vittorio Messori, scrittore).

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GIORNI DI PASQUADomenica “in albis”

✠ Dal Vangelo secondo Giovanni (20, 19-31)La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signo-re. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Ge-sù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’e-ra con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mez-zo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

IL RITARDATARIO

Era dura per tutti in quei giorni. Troppe emozioni tutte insieme: dall’ingresso trionfale di Gesù nella città santa al dramma della croce. Nell’infuriare della bufera i dodici avevano sbandato paurosamente. Si erano chiuse tutte le

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porte, compresa quella del cuore. Ma la sera di Pasqua Gesù decide di incontrarli: mostra le piaghe, dona la pace, perdona i peccati, rassicura i discepoli e li colma di gioia.

Tommaso non c’è. Non aveva retto alla disfatta ed ave-va ceduto allo sconforto. ci aveva creduto «troppo». Gli apostoli gli diranno: «Abbiamo visto il Signore!» (Gv 20, 23), ma Tommaso farà l’offeso. «Ma come? Proprio voi venite a raccontarmi che Gesù è vivo, voi che siete fuggi-ti? No, non credo». Tommaso è il simbolo dei sognatori sconfitti, il patrono dei disillusi, di coloro che nutrono l’esistenza di ideali irraggiungibili, ma che la vita quoti-diana smonta e rimpicciolisce.

Gesù dà tempo anche a Tommaso. Lo mette in pau-sa per otto giorni, dopodiché gli si rivela. Lo richiama amorevolmente, gli mostra le piaghe per ricordargli: «Tommaso, non solo tu, anch’io ho sofferto. Tocca qui e verifica». Tommaso vive un mix di confusione e di gioia, piange e ride. Il passato è lontano, l’amico è tornato. ora il suo cuore torna a battere forte.

Anche una vita sconfitta può incontrare la gloria del Risorto. Gesù invita ad osare pure quando sembra inutile, a guardare a lui nonostante il peso del peccato che trasci-na a terra. Ripete ad ognuno: «Stendi la mano, tocca, non stancarti di contemplare la passione di dio». Grazie a Ge-sù risorto il tempo dell’angoscia ha fine e fiorisce la pace.

«È necessario mettere le mani nei tanti corpi feriti, malati e indeboliti che incontriamo se si vuole incontrare il Si-gnore risorto» (Vincenzo Paglia, vescovo di Terni).

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Indice

Premessa (Antonella Prenna) Pag. 5Introduzione » 7

GIoRNI dELLE cENERI

Mercoledì delle Ceneri. Tornare a casa » 12Giovedì dopo le Ceneri. Lacrime d’amore » 14Venerdì dopo le Ceneri. La gioia per lo sposo » 16Sabato dopo le Ceneri. Meno calcoli, più gratuità » 18

PRIMA SETTIMANA dI QUARESIMA

Domenica. Il deserto, terra di progetti » 20Lunedì. dio visto dal basso » 22Martedì. «Papà» » 24Mercoledì. Insoddisfatti » 26Giovedì. cosa domandare » 28Venerdì. Fango e limpidezza » 30Sabato. Una giustizia superiore » 32

SEcoNdA SETTIMANA dI QUARESIMA

Domenica. Tra cielo e terra » 34Lunedì. Senza misura » 36Martedì. ciarlatani e testimoni » 38

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Mercoledì. Servire, un privilegio Pag. 40Giovedì. Un ricco senza nome » 42Venerdì. Le delusioni di dio » 44Sabato. dichiarazione d’amore » 46

Intervista a Dio » 49

TERZA SETTIMANA dI QUARESIMA

Domenica. Inestimabile » 50Lunedì. Privi di stupore » 52Martedì. La magnanimità del cuore » 54Mercoledì. La parola chiave » 56Giovedì. I tanti volti del male » 58Venerdì. Le due strade » 60Sabato. Lodare dio o il proprio io » 62

QUARTA SETTIMANA dI QUARESIMA

Domenica. Mendicanti di luce » 64Lunedì. Una fede a distanza » 66Martedì. Vuoi guarire? » 68Mercoledì. Non siamo orfani » 70Giovedì. La voce del Padre » 72Venerdì. Brutte arie per Gesù » 74Sabato. Effetto boomerang » 76

QUINTA SETTIMANA dI QUARESIMA

Domenica. I Greci » 78Lunedì. Il dito puntato » 80

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Martedì. Il puzzle della fede Pag. 82Mercoledì. Liberi dentro » 84Giovedì. «Io sono» » 86Venerdì. L’ultima chance » 88Sabato. La sentenza » 90

SETTIMANA SANTA

Domenica delle Palme. Il mistero della croce » 94Lunedì. odori e profumi » 102Martedì. dalla familiarità al tradimento » 104Mercoledì. Giuda è vivo » 106Giovedì. Il grembiule » 108Venerdì. Si ode un pianto » 110Sabato. Le donne della Risurrezione » 118

GIoRNI dI PASQUA

Domenica di Risurrezione. Pietre sigillate e pietre dischiuse » 122Lunedì. Un nuovo viaggio » 124Martedì. Quel nome » 126Mercoledì. Una Messa per strada » 128La storia di Abdaraman » 131Giovedì. Una notte di luna piena » 132Venerdì. È il Signore! » 134Sabato. In missione » 136Domenica «in albis». Il ritardatario » 138

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