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Collana di psicologia, pedagogia, didattica a cura dell’Università di Enna “Kore” Comitato scientifico: prof. Giombattista Amenta prof. Valeria Schimmenti prof. Ignazio Volpicelli prof. Giuseppe Zanniello

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Collana di psicologia, pedagogia, didatticaa cura dell’Università di Enna “Kore”

Comitato scientifico:

prof. Giombattista Amentaprof. Valeria Schimmentiprof. Ignazio Volpicelliprof. Giuseppe Zanniello

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Stefano Salmeri

Manuale di pedagogia della differenza

Come costruire il dialogo e l’integrazione nella relazione educativa

Euno Edizioni

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Finito di stampare nel settembre 2013da Universalbook - rende (CS)

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Sommario

Premessa La pedagogia della differenza tra criticismo e nuova paideia 7

Prima parte 41

I sentieri della pedagogiadella differenza tra inclusione ed eticità 43

La pedagogia come strategia euristicaper il riconoscimento e per l’inclusione 63

Dalla massificazione alla formazione del soggettocome singolo fruitore ed elaboratore di cultura 73

La differenza in educazione:tra apprendimento e accesso ai saperi 85

La pedagogia della differenzacome argine e come risorsa nel mercato globale 97

Educazione al confine:tra massificazione e potenziamento dei valori 111

Dalla pedagogia dell’impegno all’individualizzazione: percorsi per l’emancipazione 123

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Cornici ermeneutiche e pratiche educative per lalibertà, la democrazia e l’inclusione della differenza 135

Seconda parte 149

Ripensare l’intercultura come incontro con l’alterità 151

L’intercultura e gli sguardi sulle pluralità:le pratiche democratiche del riconoscimento 185

Formare per la democrazia e integrazione della differenza:la nuova paideia per una solidarietà come pratica educativa 219

Bibliografia 247

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PremessaLa pedagogia della differenzatra criticismo e nuova paideia

La democrazia non dà al popolo il governo piùabile, ma fa ciò che il governo più abile è spessoimpotente a fare: diffonde nel corpo socialeun’attività insonne, una forza esuberante, unaenergia che non può esistere senza di essa e che,per poco che le circostanze siano favorevoli, puòfare prodigi. Questi sono i suoi veri vantaggi.

Alexis de Toqueville

A differenza della libertà che può accontentarsidi una definizione negativa (essere liberi signifi-ca non essere costretti), l’uguaglianza esige unarisposta positiva a domande insistenti: uguale achi? Uguale a che cosa? Uguale in che cosa?

Mona Ozouf

Essenziale alla nostra ricerca è piuttosto il fattoche con essa non vogliamo apprendere nulla dinuovo. Vogliamo comprendere qualcosa che stagià davanti ai nostri occhi. Perché proprio questoci sembra, in qualche senso, di non comprendere.

Ludwig Wittgenstein

La riproposta (almeno in parte) di un lavoro già pub-blicato non nasce da un impulso narcisistico, rafforzatoda un istinto inconfessato e inconfessabile di coazionea ripetere, ma da un’esigenza di non ridurre la differen-za alla mera negatività.1 La differenza, nelle sue molte-plici e policrome declinazioni e configurazioni, è realtànon asettica, non neutrale e non assimilabile. La peda-gogia criticamente emancipatrice, in quanto sapere mi-

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1 Deleuze G., Differenza e ripetizione, trad. it., Raffaello Cortina, Mi-lano 2010.

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litante e partigiano, ha l’obbligo di guardare all’alteritàcome principio fondativo di un dialogo e di un incon-tro, che non sono mai e per nessuna ragione sempliceesercizio retorico e/o asserzione di principio, ma sonoineludibilmente pratica ed impegno, responsabilità e ri-conoscimento, cura e riscatto, specialmente per i sog-getti più deboli, marginalizzati e discriminati da una so-cietà che fa dell’efficientismo, dell’economia e dellaproduttività (per lo più determinata da uno sfrutta-mento vergognoso, come accade nei Paesi più poveri) isuoi pilastri portanti. La nuova paideia, allora, come di-sciplina e sapere non neutrale, non può tacere o farsicomplice di atteggiamenti e comportamenti violentie/o addirittura criminali nei confronti dei meno fortu-nati, né può limitarsi a semplici condanne verbali. Nel-la sua accezione di pedagogia della differenza e dellamarginalità, la nuova paideia diventa itinerario in vistadella coscientizzazione e della promozione di una cul-tura democratica e di una effettiva e consapevole at-tenzione agli ultimi, ai loro bisogni formativi e alle loroesigenze culturali e materiali in funzione di un riscattoautenticamente compiuto, attraverso una concezioneeducativa che non si fondi su e non offra modelli adat-tivi, ma stimoli concretamente il cambiamento.2La nuova paideia è fondamentalmente sapere che si

determina e che si compie come possibilità, come aper-tura3 e come utopia. In tale prospettiva la pedagogia è

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2 Per questo spunto di riflessione ringrazio l’amico gesuita Padre Fe-lice Scalia che (nel suo intervento/seminario, tenuto presso l’Universitàdi Enna Kore in data 10 Aprile 2013 su La Teologia della Liberazionecome pratica per l’emancipazione) ha operato una distinzione tra unapedagogia adattiva (servile e prona nei confronti del potere e dei poten-ti) e una pedagogia sovversiva (promotrice del cambiamento, in formanaturalmente nonviolenta e democratica e attenta ai bisogni dei più de-boli, dei marginali e degli ultimi della società).

3 Salmeri S., Lezioni di pace. Ripensare la criticità dialogica attraverso ilcontributo pedagogico di Aldo Capitini, Euno Edizioni, Leonforte (En) 2011.

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relazione asimmetrica, che presuppone e richiede l’in-dividuazione di un punto archimedeo mobile, a partiredal quale dare avvio alla presa in cura dell’altro in dif-ficoltà, del differente e/o marginale, deviante, straniero,disabile, omosessuale, bambino, donna, anziano. Il fo-cus di orientamento, per molti versi, rimane ancora og-gi il deweyano transazionale,4 che conserva tutta la suapositività, dal momento che non implica, anzi, scongiu-ra ogni eventuale azzeramento e anestetizzazione delledifferenze. L’unico autentico pericolo, per la nuova pai-deia, consiste nel caricare la relazione educativa di uneccesso di emotività e/o di affettività/coinvolgimen-to, perché l’educatore ha l’obbligo, anche etico, di man-tenere una distanza di sicurezza, che permetta sempree in ogni momento il controllo razionale sulla relazio-ne e scongiuri ogni possibile soffocamento e iperprote-zione, che impedirebbero al soggetto educando di di-ventare artefice e protagonista del proprio apprendi-mento. La transazione, in altri termini, consente di ge-stire l’asimmetria con equilibrio e con un grado di par-tecipazione sufficientemente e ragionevolmente con-trollati e controllabili. Una gestione caotica delle emo-zioni da parte dell’educatore risulta infatti inevitabil-mente dannosa per il soggetto più debole, in quanto puòdiventare fattore che ne soffoca ulteriormente l’auto-nomia e, di conseguenza, ne frena la crescita. L’educa-zione, definita secondo tali criteri, si presenta come pro-messa, annuncio, riscatto ed emancipazione,5 che ha co-me paradigma il se (mezzo) e l’allora (fine), che ha comeago della bussola la possibilità, l’utopia, il cambiamento eil compimento del meglio per tutti e per ciascuno.

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4 Spadafora G., Rileggere la pedagogia di Dewey, Edizioni Periferia,Cosenza 1984.

5 Salmeri S., Il maestro e la Bildung chassidica: ebraismo ed educazio-ne, Euno Edizioni, Leonforte (En) 2012.

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La guida lungo i sentieri che conducono all’utopia è ilmaestro, che deve porsi come esempio in grado di orien-tare attraverso il suo agire e il suo insegnare. In Ita-lia l’insidia maggiore, però, è stata posta e tesa dal pen-siero di Gentile, non tanto perché ha fatto confluire lapedagogia nella filosofia, ma soprattutto per aver consi-derato come un a priori la relazione maestro-allievo incui il soggetto educando risulta veramente libero soltan-to nella misura in cui riconosce l’autorità del maestro.Per la nuova paideia, invece, come per Dewey, l’educa-zione è un fatto naturale al pari della democrazia e lo èrealmente quando sa creare ponti tra scuola, società e fa-miglia. Il diritto all’istruzione, così, per lo spirito del-la vera democrazia si trasforma in reale beneficio perogni allievo. Se il consumismo della contemporaneitàproduce una sorta di dismissione del pensiero, dal mo-mento che il tutto e subito impedisce di usare la memoria,di attivare la riflessione e di mettere in movimento la ra-gione, la scuola, allora, ha la funzione e l’obbligo di man-tenere vivi il gusto e il piacere di rielaborare, di criticaree di indagare attraverso una co-formazione che si fondieffettivamente sull’organizzazione, sulla flessibilità e sul-la sussidiarietà, che hanno come meta una concezionesolidale, partecipata e partecipante dell’educazione. Per la nuova paideia, del resto, l’uomo è sempre e co-

munque totalità in fieri, che mai può diventare totalitàcompiuta. In effetti la storia umana inizia quando l’uo-mo introduce: il cambiamento laddove era dominantel’immutabilità, l’audacia laddove prevaleva la sotto-missione, la differenza laddove regnavano l’omogenei-tà e l’indistinta fusione.6 L’educazione allora è il fattoree l’incentivo più qualificante per attivare il cambia-mento, essendo fondamentale per tentare di trasforma-

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6 Righetti M., Imparare ad essere. Percorsi di educazione permanen-te, Pitagora Editrice, Bologna 2000.

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re radicalmente la società, anche nella sua struttura edimensione politica, promuovendo (nella sua declina-zione progressista e problematicista di nuova paideia)il superamento dell’autoritarismo e di qualsiasi formadi oppressione. Alla base di tutto questo vi è una con-cezione dell’uomo come struttura/principio/realtà plu-ridimensionale, essendo molteplice la sua esperienza eplastica la sua intelligenza, che sull’esperienza stessaindaga. In un mondo nel quale il soggetto (per i mecca-nismi di reificazione, feticizzazione, alienazione e mas-sificazione causati dalla globalizzazione) rischia, però,di smarrire e/o, quanto meno, di vedere depotenziata lapropria identità e personalità, individualità, l’educazio-ne democratica e la pedagogia della differenza si fannocarico di tutelare, di garantire e di salvaguardare unaconcezione educativa concepita e interpretata in sensolibertario ed impegnata in funzione di una riappropria-zione criticamente emancipatrice, capace di favorire ilriscatto attraverso la crescita nella consapevolezza. I margini e la differenza rappresentano i luoghi do-

tati di significato che danno senso, valore e maggioredignità alla nuova paideia, pratica teoreticamente fon-data e fondante per una trasformazione emancipatri-ce rivolta a tutti i singoli e alla collettività. Per fortu-na nel pensiero pedagogico democratico ed avanzatonon trovano più spazio teorie discriminatorie comequelle di fine Ottocento del ministro Baccelli, il qualesosteneva che bisogna istruire il popolo quanto basta ededucarlo quanto si può, dal momento che è indispen-sabile evitare che il popolo impari a pensare. Il rappor-to maestro-allievo è ulteriorità, creazione e, persino, ar-te. La relazione, allora, non va definita in astratto, main riferimento alle situazioni concrete. La nuova pai-deia è, quindi, democratica e creativa, una autentica fe-de laica che opera inderogabilmente nel rispetto dellanatura umana. La moralità, peraltro, può essere svilup-

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pata solo attraverso il vivere in società e l’organizzazio-ne coerente e problematicista dell’educazione. Per De-wey infatti l’educazione è vita e non semplice e banalepreparazione alla vita; l’educazione è il criterio teoreti-co e scientifico dell’operare nella collettività:

Lo scopo di Dewey è un miglioramento sociale, il perfeziona-mento costante della società e l’educazione è caricata dellaresponsabilità di determinare un tale miglioramento. L’edu-cazione è ricostruttiva della società, e l’insegnante deve rico-noscere come tale ricostruzione deve generarsi così che la so-cietà migliorerà costantemente.7

In democrazia, per la nuova paideia, efficienza socia-le vuol dire partecipare attivamente, consapevolmen-te e con determinazione alle esperienze condivise. Co-sì solo l’educazione alla differenza come rispetto sen-za se e senza ma permette di oltrepassare i confini del sé,del proprium e dell’autocentrazione attraverso un pen-siero transitivo, aperto e problematicamente emanci-pante e libertario. Compito dell’intelligenza non è, dun-que, copiare/riprodurre/ripresentare gli oggetti, ma con-siderare il modo in cui più efficacemente e correttamen-te in futuro diventerà possibile costruire e intrecciare re-lazioni nuove con essi. Tale intreccio, tuttavia, per la nuo-va paideia, non può essere dettato dai criteri dell’utile,dell’opportunismo e dello sfruttamento indiscriminato:

la dimensione etica è condizione imprescindibile per analiz-zare la condotta umana, nella quale s’innervano, si sviluppanoe si concretizzano il problema filosofico della soggettività del-l’individuo, il tema dell’educativo e la ricerca della conviven-za democratica tra gli individui.8

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7 Mulè P., I principi teorici dell’educazione progressiva e dell’attivi-smo. Il dibattito pedagogico negli anni 40, Rubbettino, Cosenza 2008.

8 Ivi, p. 23.

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L’utopia etica della nuova paideia è dare e restituirevoce ai dimenticati del presente e del futuro, ricordan-do come monito e come vigile segnale i troppi silenzidel passato. L’educazione liberatrice presuppone e im-pone come suoi fondamenti, quindi, la franchezza, l’a-pertura, la responsabilità e lo slancio/impeto. Se, an-che per Dewey, la conoscenza è significativa solo in quan-to consente di fare di più e di pensare meglio, va comun-que preliminarmente superato il dualismo tra cono-scenza ed esperienza, tra teoria e prassi, tra sapere in-tellettuale e sapere operativo; la conoscenza può deri-vare esclusivamente dal fare, il che spiega la centrali-tà dell’esperienza; ugualmente in Dewey, però, è massi-ma l’attenzione al momento speculativo-filosofico.Per Dewey infatti l’educazione è un fatto naturale conun moderato bisogno di una giustificazione filosofica,in quanto l’educazione è necessità della vita, funzio-ne sociale, orientamento e crescita:

La filosofia, per Dewey, non consiste di un corpo di proposi-zioni generali che devono essere accettate perché depositariedella verità, e che è perciò capace di essere la base e la san-zione per un sistema educativo; al contrario, essa è scienza,non filosofia, che deve essere consultata se noi volessimo af-fermare una fondazione scientifica dell’educazione. [...] la fi-losofia, secondo Dewey, è un metodo con cui si determinanoquali siano le azioni appropriate che noi dovremmo fare inuna data situazione, [...]. Dewey pensa che, dal momento cheil più efficace strumento per mettere in pratica le generaliz-zazioni filosofiche sia l’educazione, la filosofia può essereconsiderata come la teoria generale dell’educazione o unapratica deliberatamente condotta.9

La nuova paideia concepisce l’educare come impegnoe fatica, il che implica una ridefinizione della stessa con-cezione del tempo. Teoreticamente va recuperata la di-

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9 Ivi, pp. 102-103, pp. 70-71.

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mensione della lentezza, perché ci sono attività dell’a-gire umano (quali l’amore, il dialogo e proprio l’educa-re) che non possono essere consumate velocemente co-me una qualsiasi merce. L’individualità dell’istante, del-l’in tempo reale (digitare una parola avendo subito l’in-formazione da scaricare e da stampare), ha cancellatola fatica della sedimentazione e del lungo periodo, chedanno invece consistenza al linguaggio dell’apprendi-mento reale della scuola e/o dell’università, della cultu-ra e dell’autonomia, dell’emancipazione critica e deipercorsi di coscientizzazione. Filosoficamente ed etica-mente il tempo dell’investimento e dell’attesa si colle-ga al principio della responsabilità individuale, che ri-pudia il consumare qualsiasi cosa nell’hic et nunc e lamonotonia omogenea di un eterno presente indifferen-ziato di una società liquida e de-eticizzata. Merito, suc-cesso formativo e gusto/umiltà/piacere/fatica di impara-re non devono far dimenticare, perciò, i problemi mag-giori e amplificati che a scuola incontrano gli allievi dif-ferenti, che in quanto svantaggiati e meno fortunatihanno minori opportunità e rischiano di essere ulte-riormente penalizzati da una visione efficientistica, nel-la quale il tempo è necessariamente denaro. Se secondo Kafka il bene conosce il male, mentre il

male ignora totalmente e sconosce integralmente il be-ne, per Freire è la mutualità del reciproco riconosci-mento che da sola permette il riscatto attraverso la soli-darietà, la responsabilità e la presa di coscienza, perché:

nessuno educa nessuno, e nessuno se stesso: gli uomini si edu-cano in comunione, attraverso la mediazione del mondo.10

La nuova paideia, che tenta una riproposizione e unaripresentazione dell’intersoggettività, è in prima ed in ul-

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10 Freire P., La pedagogia degli oppressi, trad. it., EGA, Torino 2002, p. 69.

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tima istanza pedagogia dell’uomo. La differenza e l’op-pressione, infatti, si danno inevitabilmente nella misu-ra in cui si impedisce all’uomo di essere di più. La pe-dagogia della differenza per questo pretende di essererispetto della specificità e ricerca del dialogo, che, diper sé, non impone, non manovra, non addomestica,non si serve di slogan, non disprezza né umilia l’alteri-tà. L’obiettivo dell’azione dialogica è promuovere per-corsi grazie ai quali tutti i differenti, riconoscendo ilperché e il come della loro alterità, operino una pienapresa di coscienza per dare il via ad una prassi trasfor-matrice di una realtà/società ingiusta e marginalizzan-te. L’antidialogo, gli slogan, il verticismo e i comunicatiufficiali sono gli strumenti di una propaganda demago-gica, che tende soprattutto ad addestrare e/o ad addo-mesticare la differenza. Una liberazione priva del con-tributo della riflessione e non illuminata da una criticaragione trasforma l’alterità in cosa/oggetto/materia bru-ta, che va, nel migliore dei casi, protetta e/o conservataper essere più adeguatamente sfruttata. In tal modo ladifferenza cade, venendone fagocitata e ingoiata, nelleacque mobili del populismo,11 trasformata in massa:

Gli oppressi, che introiettano l’ombra degli oppressori e seguo-no i loro criteri, hanno paura della libertà, perché essa, com-portando l’espulsione di quest’ombra, esigerebbe che il vuotoda lei lasciato fosse riempito con un altro «contenuto», quellodella loro autonomia, o della loro responsabilità, senza la qualenon sarebbero liberi. La libertà, che è una conquista e non un’e-largizione, esige una ricerca permanente. Ricerca permanenteche solo esiste nell’atto responsabile di colui che la realizza.Nessuno possiede la libertà, come condizione per essere libero;al contrario, si lotta per la libertà perché non la si possiede.12

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11 Salmeri S. (a cura di), Democrazia, educazione e populismo, EunoEdizioni, Leonforte (En) 2012.

12 Freire P., La pedagogia degli oppressi, op. cit., p. 32.

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La liberazione degli oppressi, dei differenti e dei mar-ginali è comunque liberazione di uomini e non di co-se, per cui se non è autoliberazione, presa di coscienzae riscatto non è vera emancipazione, ma ci si libera sol-tanto grazie ad un itinerario condiviso nella consape-volezza. L’autentica liberazione, che è sempre processodi umanizzazione, non è mai un atto depositario, tra-smesso e/o indotto dall’esterno; libertà non è una paro-la pleonastica, vuota, evocatrice e/o creatrice di mitolo-gie fumose e/o di simboli astratti; è, invece, prassi cherichiede, evoca e impone azione e riflessione di sogget-ti concreti, i differenti, i dimenticati, i più deboli, perporre domande, per interrogare il mondo sulle sue con-traddizioni e per trasformarlo. In tal senso:

ogni ricerca tematica coscientizzatrice diviene pedagogica, eogni educazione autentica si fa indagine del pensiero. [...] Edu-cazione e ricerca tematica, nella concezione problematizzantedell’educazione, diventano momento di uno stesso processo. [...]L’importante, da un punto di vista di un’educazione liberatrice,è che gli uomini si sentano comunque soggetti del loro pensare,della loro visione del mondo, manifestata, implicitamente edesplicitamente, nei loro suggerimenti e in quelli dei compagni.13

La pedagogia criticamente emancipatrice muove dalpresupposto che la democrazia ha a suo fondamentoun principio sostanziale: per giungere a compimento eper realizzarsi essa comporta un ampliarsi della cerchiadei noi, fatto che prevede una ottimizzazione della con-divisione e della solidarietà in prospettiva dei comunidesideri e della legittima aspirazione ad una felicità ef-fettivamente partecipata. Secondo Heidegger l’esisten-za è progetto e quindi ogni pretesa di validità (non sicu-ramente di ontologica e/o metafisica verità) si regge sul-la condivisibilità del progetto scelto, individuato e pre-

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13 Ivi, p. 101, p. 120.

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sentato. La pedagogia (come la filosofia) nella sua de-clinazione ermeneutica è perciò un passare dalla ricer-ca dell’idea di verità alla pratica della dimensione del-la carità, perché il valore supremo non è più la veritàcome descrizione oggettiva, ma è la ricerca e la prati-ca dell’accordo solidale e condiviso con gli altri. Soltan-to l’accordo preventivo (solidale) permette di fissare edi stabilire i criteri di veridicità e/o di validità:

io non esisto se non nella relazione, [...] non è possibile pensarealla vita o al bene o al mondo senza utilizzare la categoria di re-lazione. [...] Il Soggetto-fondamento, che il postmoderno ha dis-solto nella relazionalità processuale e dinamica della complessi-tà, ora si definisce nella possibilità di autocreazione continua.14

Anche per la nuova paideia la scienza non è un sem-plice sistema/apparato, che dispensa benefici e/o ri-schi, ma è interpretazione, comprensione e approccioermeneutico in grado di attivare e/o di oscurare unavisione del mondo, e la verità scientifica è ineludibil-mente una verità storica, con caratteri relazionali e di-namici. La sovranità, allora, ricade e risiede nelle deci-sioni dei singoli soggetti e il suo valore e la sua validitàderivano dalla loro consapevolezza, dal loro grado dicomprensione e dal loro livello di assunzione di respon-sabilità. La nuova paideia, in quanto sapere vigile, demi-tizzante, demistificante e criticamente orientato e con-notato, denuncia la pretesa asetticità e/o neutralità per-sino della scienza, che per nessuna ragione può essereutilizzata dalle élite dominanti per legittimarne gli stru-menti di potere e i meccanismi di dominio:

la scienza e la tecnologia sono ben lontane dall’essere neutra-li, perché introducono nel nostro quotidiano chiavi di lettu-ra del reale, principi di spiegazione, induzioni di valore; perché

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14 Gramigna A., Epistemologia della formazione nel presente tecnolo-gico, Unicopli, Milano 2012, p. 10, p. 63.

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ci tras-formano. Ovvero, esercitano una sottesa azione formati-va nella costruzione delle mentalità, dei comportamenti, delleidentità, sia a livello collettivo che a livello comunitario. Menta-lità, comportamenti ed identità si respirano nell’ambiente cheabitiamo e che ci abita, come ci suggerisce l’etimo della parolaetica, che indica, appunto, il luogo e la maniera in cui si vive.15

La marginalizzazione e il conseguente basso livellodi scolarizzazione spesso precludono l’accesso non soloalla cosiddetta cultura codificata, che trova il suo più di-retto riscontro e la sua espressione più evidente nel lin-guaggio tecnico-scientifico, ma anche a quel sapere taci-to, silente e sommerso che nasce in ambito locale e cheaccompagna la vita lavorativa di coloro che imparanoad operare assieme, scambiandosi conoscenze e abilità,e che esprimono forme significative di competenze le-gate all’interazione e promosse dalla concreta condivi-sione delle esperienze. L’attenzione alla marginalità, pe-rò, è spesso diventata, purtroppo, soltanto la cifra dimolte retoriche sociali di un declamatorio politicamentecorretto, sul versante tanto istituzionale quanto formati-vo. Si tratta di un paradigma abusato, in nome del qua-le la società contemporanea codifica e decodifica sestessa, e interpreta e reinterpreta l’universo simbolicoche costituisce e connota la marginalità stessa in basealle sue peculiarità culturali, economiche e burocrati-che. Oggi, tuttavia, dominano la pluralità e la comples-sità, e quindi sono da ricercare concretamente chiavidi lettura adeguate e approcci ermeneutici coerentiper governare l’incertezza, la caoticità e il disorienta-mento. La complessità infatti obbliga a ricercare sem-pre nuovi orizzonti di decifrazione e ad aver chiaro che:

La conoscenza non è solo prodotto di pratiche intenzionali, at-te a stimolarla e indirizzarla, e non è nemmeno riconducibile auno o più ambienti strutturati a tal fine. Essa è un dato fluido,

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15 Ivi, p. 29.

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connotato da esperienze multiformi, abilità acquisite in conte-sti vari, talvolta contraddittori, informazioni acquisite in formacoerente ma, in altri casi, casuali ed episodiche. In sostanzaspetta a noi organizzarla, darle un’impronta, connetterla a va-lori, porla al servizio di un’identità e di un’appartenenza. Ap-prendere è ormai considerato, in gran parte, il risultato diun’attività cognitiva che elabora informazioni, impiega strate-gie, mette alla prova ipotesi e non è più, perciò, riconducibilealla tradizionale ricezione e memorizzazione di contenuti.16

Le competenze, del resto, non sono strettamente con-nesse alla vastità del sapere, ma concernono invece il suouso sotto il profilo qualitativo, comportando un vero eproprio intervento non ripetitivo o schematico, in mo-do da reperire, interpretare e rielaborare le informa-zioni. Ed è proprio la pedagogia democratica che ha co-me mete la consapevolezza e la critica emancipazione,nella piena e lucida consapevolezza che la democrazianon è un puro a priori, un diritto umano naturale e/o undatum, essendo invece una costruzione e un processostorico progettuale, che nessuno può donare e/o conce-dere sulla base di un semplice e banale riconoscimentoformale o, ancora peggio, imporre con la forza delle ar-mi (anche quando si tratti delle cosiddette bombe intel-ligenti). La nuova paideia, allora, come pedagogia de-mocratica e della differenza, è denuncia contro il sapereufficiale e contro quella cultura accademica schieratastrategicamente e opportunisticamente dalla parte delpiù forte, del vincitore, del detentore del potere. Si trat-ta, ovviamente e nonostante tutto e tutti, di una culturasui generis, deliberatamente minore e minoritaria, cheintende occuparsi delle storie di vita dei senza storia,delle vicende degli ultimi, delle figlie e dei figli delladifferenza, delle istanze dei dimenticati, dei bisogni de-

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16 Righetti M., Organizzazione e progettazione formativa, Franco An-geli, Milano 2007, p. 30.

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gli invisibili e delle domande gridate nel silenzio da chinon ha voce. Lungo tale itinerario si può immaginare lacostruzione di una democrazia cognitiva che, nonostan-te gli strali e le sfide della complessità e della globaliz-zazione, si ricorda dei differenti con la consapevolezzache i loro singoli vissuti esprimono l’esigenza di unaspro confronto da giocarsi sul terreno impervio, ar-duo e accidentato del teatro dei diritti umani. La de-mocrazia, infatti, è mutuo riconoscimento e tutela deimeno fortunati e delle minoranze, che come tutti gliuomini hanno diritto alla gioia e alla serenità:

Gli uomini hanno bisogno di essere resi più felici, non di esse-re redenti, perché non sono esseri degradati, anime immate-riali imprigionate in corpi materiali, anime innocenti corrottedal peccato originale. Sono, come sosteneva Friedrich Nietz-sche, animali intelligenti. Intelligenti perché, a differenza dialtri animali, hanno appreso come collaborare gli uni con glialtri per poter realizzare al meglio i propri desideri.17

L’intelligenza permette di orientare le scelte, di indi-viduare criteri e di decifrare la complessità stessa, inter-pretando il labirinto di segni, di simboli e di dati dellacontemporaneità. La libertà, perciò, appare come la me-ta e lo strumento più adeguati per una educazione voltaalla coscientizzazione e al cambiamento. Così, secondoMusil,18 se l’essenza umana fosse l’ordine, la casa piùidonea per l’uomo sarebbe la caserma; il che ha sensoquando si parla di un ordine inteso come esoscheletro,come struttura esteriore e/o posticcia e coercitiva sovra-struttura, mentre se l’ordine è interpretato come princi-pio logico della ragione diventa fattore fondante e fon-dativo per la nostra mente e per l’accesso ai saperi. Sa-

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17 Rorty R., Un’etica per i laici, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino2008, p. 23.

18 Musil R., L’uomo senza qualità, trad. it., Einaudi, Torino 1972.

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pere, peraltro, significa sostanzialmente discernimentoe scelta. La scelta è di per sé presa di posizione, opzioneche esclude kierkegaardianamente tutte le altre possibi-lità, ma è anche ricerca di equilibrio in un divenire ap-parentemente privo di ordine, risultando ancora più in-decifrabile e caotico in un mondo complesso. La contemporaneità è, infatti, uno stato di emer-

genza permanente, nella quale si ritiene che deve esser-ci qualcuno che dà ordini, se non si vuole perdere tutto.In tal modo si concepisce l’esistenza come una sorta diprogettazione compulsiva e generatrice di dipenden-za. Dove si dà progettualità, si hanno residui/scarti/sco-rie. Anche secondo Michelangelo per scolpire una sta-tua è necessario prima scegliere il blocco di marmo epoi procedere eliminando il superfluo, cioè persinol’arte e la bellezza prevedono scorie e rifiuti:

I rifiuti sono al tempo stesso divini e satanici. Sono la leva-trice di ogni creazione, e il più temibile ostacolo ad essa. I ri-fiuti sono sublimi: una miscela impareggiabile di attrazionee repulsione, che suscita un misto altrettanto ineguagliabi-le di ammirazione e timore.19

Nessuna casa è ultimata prima che il cantiere vengaveramente liberato da tutti i residui/materiali di scartoindesiderati. Quando, però, si parla di progettualità in ri-ferimento alle pratiche e/o alle strutture di vita sociale ointellettuale della comunità umana, gli scarti tragicamen-te e drammaticamente sono persone. Si tratta di sogget-ti che o non sono in grado di o non possono adattarsi auno specifico progetto/modello/modus essendi. Sonosoggetti capaci di adulterarne la purezza e, perciò, di of-fuscarne la trasparenza, come accade ai mostri e mutan-ti di Kafka, da Gregor Samsa a Odradek, o all’incrociotra un gattino e un agnello: autentici ibridi, bizzarrie,

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19 Bauman Z., Vite di scarto, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2011, p. 29.

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mostri, che sanno, però, riconoscere l’inganno delle ca-tegorie apparentemente includenti e/o escludenti. La stessa fabbrica della conoscenza risulta incom-

pleta senza luoghi di smaltimento dei rifiuti, è propriograzie all’oscurità e alle tenebre che la luce della cono-scenza risplende e illumina: la conoscenza senza l’igno-ranza, la memoria senza l’oblio, la salute senza la ma-lattia, la ricchezza senza la povertà sono inimmaginabi-li. La conoscenza si ha solo nella misura in cui socrati-camente emergono le ombre dell’ignoranza, le macchievuote della mancanza e della privazione. La conoscen-za coglie l’esattezza, sviluppa l’interesse, definisce l’uti-lità pragmatica e concepisce la precisione e la corret-tezza in relazione alle carenze, ai vuoti e alle criticità. La produzione di rifiuti umani è un’attività seconda-

ria del sistema economico, per cui risulta un problemaimpersonale, squisitamente ed esclusivamente tecnico.Gli attori e gli artefici del dramma sono le condizioni discambio, la domanda di mercato, la concorrenza, i re-quisiti di produttività e/o di efficienza, ma soprattuttociò che nega ogni collegamento con le intenzioni, la vo-lontà, le decisioni e le iniziative riconducibili a soggetticoncreti e con reali bisogni e legittimi desideri. Le mo-tivazioni che producono e che determinano l’esclusionesono molteplici e non facilmente circoscrivibili, ma glieffetti su esclusi/emarginati/differenti sono gli stessi:

La produzione di «rifiuti umani» o, più precisamente, di esseriumani scartati (quelli in «esubero», «eccedenti», cioè la popo-lazione composta da coloro cui non si poteva, o non si voleva,dare il riconoscimento o il permesso di restare), è un risultatoinevitabile della modernizzazione e una compagna inseparabi-le della modernità. È un ineludibile effetto collaterale della co-struzione di ordine (ogni forma di ordine scarta alcune partidella popolazione esistente come «fuori posto», «inidonee»o «indesiderate»), e del progresso economico (che non può an-dare avanti senza degradare e svalutare i modi di «procurar-

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si da vivere» che in passato erano efficaci, e che quindi nonpuò che privare del sostentamento chi quei modi praticava).20

La trasformazione della contemporaneità ha avutoovviamente una ricaduta globale su tutto il sistema pla-netario, assumendo un carattere onnipervasivo e univer-sale. Il progresso trionfale e trionfante della modernizza-zione ha raggiunto le zone più remote della terra e, diconseguenza, la quasi totalità della produzione e dei con-sumi umani sono mediati dal denaro e dal mercato; i pro-cessi della mercificazione, della commercializzazione edella monetarizzazione dei mezzi di sussistenza umanahanno toccato ogni angolo, penetrato ogni crepa e conta-minato ogni recondita fessura del mondo, risultando cosìinadeguate, insufficienti e inopportune, il più delle volte,le risposte globali ai problemi posti localmente. Chiun-que (e più degli altri i differenti) è costretto a subire (an-che nelle zone a più elevata ricchezza) le tragiche conse-guenze di meccanismi globali, desoggettivanti e violenti:

La destinazione dei disoccupati, dell’«esercito di riserva del la-voro», era quella di venire richiamati in servizio attivo. La de-stinazione dei rifiuti è la discarica, l’immondezzaio. Molto spes-so, anzi di solito, le persone dichiarate «in esubero» sono vi-ste soprattutto come un problema finanziario. Occorre «prov-vedere a loro», vale a dire sfamarle, vestirle e dare loro un al-loggio. Da sole non sopravviverebbero. Gli mancano infatti i«mezzi di sopravvivenza» (intesa per lo più in senso biologi-co, l’opposto della morte per malnutrizione o esposizione al-le intemperie). La risposta all’esubero è finanziaria, tantoquanto la definizione del problema: sovvenzioni fornite dal-lo Stato, decretate per legge dallo Stato, avallate dallo Sta-to o promosse dallo Stato e soggette alla verifica delle condi-zioni economiche (sovvenzioni, variamente, ma sempre eu-femisticamente, denominate sussidi previdenziali, creditid’imposta, aiuti, sovvenzioni a fondo perduto, indennità).Chi non ha simpatia per questo genere di rimedi tende a con-

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20 Ivi, p. 8.

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testarli in termini anch’essi economici (sotto la voce «possia-mo permetterceli?»), per via dell’«onere finanziario» che tut-ti questi rimedi impongono ai contribuenti.21

La nuova paideia tenta di non soccombere e di nondichiarare la resa alle logiche desoggettivanti e perver-samente violente messe in atto nei confronti dei diffe-renti. La pedagogia, per la nuova paideia, è sapere cri-tico volto alla trasformazione e, quindi, emancipativo.In tale prospettiva viene declinata in modo diverso an-che la progettualità, che prevede una situazione suffi-cientemente e adeguatamente codificata in grado di pre-figurare un reale cambiamento in vista di una effettivaintegrazione e partecipazione. Rispetto alle realtà pro-blematiche da affrontare la nuova paideia propone nonsolo ipotesi esplicative, ma anche ipotesi trasformativeatte a favorirne la concreta soluzione. Il pensiero occi-dentale, tuttavia, è stato condizionato dalla convinzio-ne che la conoscenza sia semplice rispecchiamento del-la realtà e/o mera contemplazione (già per Aristotele lateoreticità era superiore alla pratica, alla techne). Cono-scere è, invece, un rappresentare correttamente e fedel-mente il reale per comprendere, interpretare e tras-for-mare il mondo. Per Dewey, allora, la visione contempla-tiva esprime una prospettiva settoriale e parziale che ri-flette e riproduce (sin dalle sue origini, nella speculazio-ne del mondo greco) la separazione tra chi è preposto apensare e chi è costretto a lavorare e a produrre mate-rialmente. Secondo Dewey le pratiche educative forni-scono i dati e gli strumenti che costituiscono i problemidell’indagine e dell’intervento, e che rappresentano l’u-nica legittima fonte dei problemi fondamentali, a parti-re da cui devono avere origine la ricerca e l’indagine.22

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21 Ivi, p. 17.22 Dewey J., Le fonti di una scienza dell’educazione, trad. it., La Nuo-

va Italia, Firenze 2004.

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Per i Greci soltanto il filosofo è autorizzato ad acce-dere alla vera conoscenza, mentre il lavoratore è ingrado di acquisire esclusivamente un sapere operati -vo/pratico. Per pervenire ad una concezione autentica-mente umana del conoscere, che sia effettivamente ca-pace di collegarlo e di connetterlo alla vita, non facen-done più un territorio a parte e separato, Dewey invi-ta a superare nella conoscenza la posizione dello spet-tatore e a diventare, invece, attore concretamente impe-gnato a confrontarsi con il mondo e con i suoi proble-mi. Per tale ragione l’esperienza non è più una sempli-ce e passiva registrazione di dati sensibili, ma è intera-zione tra l’organismo e l’ambiente, che prevede e com-porta una relazione tra il fare e il subire. Da questa in-terazione hanno origine i nuovi apprendimenti, chedanno alla cultura la possibilità di svilupparsi:

La cultura – che nel senso ampio del termine è fatta di cono-scenze, costumi, valori – è prodotta dall’uomo nella propria esi-stenza sociale, ma parallelamente è la cultura che fa l’uomo.Cioè a dire, la crescita dell’uomo in quanto essere umano, la suaumanizzazione, si compie solo in un ambiente sociale e cultura-le. La cultura, perciò, è un fenomeno relazionale: si realizza,si riproduce e s’innova entro un processo di trasmissione cultu-rale che implica la comunicazione e l’apprendimento sociale(l’imparare dagli altri). In questo modo, l’uomo fa l’uomo.23

Per la nuova paideia il problema non è offrire agli al-lievi soluzioni e/o risposte preconfezionate e precosti-tuite, ma liberare la loro intelligenza, la loro ansia di ri-scatto e il desiderio di consapevolezza per farne abitimentali, in modo che gli allievi diventino realmenteprotagonisti del proprio apprendimento e capaci di af-frontare e di dirimere autonomamente le vicende e le

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23 Baldacci M., Trattato di pedagogia generale, Carocci, Roma 2012,pp. 17-18.

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questioni che si presenteranno in futuro nella loro vitasociale. L’uomo, del resto, elabora apprendimenti nonsolo secondo modalità esecutive, ma anche secondostrategie procedurali; in altri termini l’uomo è capacedi metacognizione e per questo motivo, sostiene BrunoCiari,24 il problema è avere non tanto ragazzi che san-no quanto ragazzi che nutrano il desiderio di sapere eche, perciò, sviluppino il gusto e il piacere del riflettere. In campo educativo si è passati da una pratica peda-

gogica silenziosa, ma comunque efficace e precisa per-ché capace di imporsi con la forza dell’esempio, a pro-cessi mirati di apprendimento che hanno distinto (comeprimo elemento) l’area di influenza maschile (più orien-tata verso la cultura, più aperta ai saperi e alle relazionicon il pubblico, più volta al prestigio e al potere) da quel-la femminile (più ristretta, più legata all’emotività e/o al-l’istinto, chiusa nel privato, soggetta alla dipendenza): 25

Tutte le riflessioni della donna [...] devono tendere allo studiodegli uomini, oppure alle cognizioni piacevoli [...] perché, inquanto alle opere di genio, queste sorpassano la loro portata.[...] Non biasimerei che una donna fosse lasciata ai soli lavoridel suo sesso, e fosse lasciata in una profonda ignoranza sututto il resto [...] la donna è fatta specialmente per piacere al-l’uomo [...] e per essere soggiogata. [...] In tal modo tutta l’e-ducazione della donna deve essere relativa agli uomini. Piacerloro, essere loro utili, farsi amare e onorare da essi, allevarligiovani, curarli grandi, consigliarli, consolarli, rendere loro lavita piacevole e dolce, ecco i doveri delle donne in tutti i tem-pi, e quello che si deve insegnare loro fin dall’infanzia.26

Per la nuova paideia la questione della differenza digenere costituisce una delle tematiche centrali, perchéancora oggi la condizione della donna in molte parti del

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24 Ciari B., Le nuove tendenze didattiche, Editori Riuniti, Roma 1971.25 Ulivieri S., Educare al femminile, ETS, Pisa 1995.26 Rousseau J.-J., Emilio, trad. it., Armando, Roma 1962, p. 241.

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mondo non è molto diversa da come la concepiva Rous-seau nel XVIII secolo; la donna, come tutti i soggetti piùdeboli, nei Paesi con culture più arretrate, meno aperteal cambiamento e con un basso livello di scolarizzazionedi massa, è più esposta a discriminazioni e a violenza,fermo restando che anche nei Paesi cosiddetti a demo-crazia avanzata la condizione femminile è difficile e ilpiù delle volte francamente dura. Non va dimenticato,infatti, che una visione fondamentalmente maschilista emisogina si cela spesso anche dietro il paravento del per-benismo della cultura occidentale, che considera la don-na ancora sostanzialmente un oggetto di piacere (si pen-si alla pubblicità, a certi programmi televisivi, a certe af-fermazioni di alcuni politici e alle loro feste), vittima didiscriminazioni esplicite/evidenti/patenti (le donne sonomeno presenti e accedono con maggiore difficoltà allecarriere dirigenziali e a quelle più elevate in politica):

Le agenzie educative, dalla famiglia alla scuola, alla chiesa, al-le varie associazioni culturali o sportive, ai massmedia, in pra-tica tutto il sistema educativo ha trasmesso e ancora oggi con-tinua a trasmettere alle piccole e ai piccoli messaggi diversifi-cati a seconda del loro sesso, dalla scelta del colore dei primiabitini (rosa o azzurro), a una diversa gamma di giochi e gio-cattoli, dalle mansioni da svolgere in ambito domestico, ai li-bri da leggere, al tipo di studi da affrontare, allo sport da pra-ticare, alle scelte lavorative da compiere.27

La nuova paideia per suo statuto epistemico e persua struttura ontologica ripudia qualsiasi forma di di -scriminazione, considerando l’educazione un valore as-soluto e, come Dewey, ritiene che l’educazione non hauno scopo, ma è di per sé uno scopo, in quanto è proie-zione in avanti, emancipazione e crescita, anche e so-prattutto per i differenti: se avesse un obiettivo fuori di

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27 Ulivieri S., Educare al femminile, op. cit., p. 90.

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sé, cioè se fosse teleologicamente orientata, diventereb-be metafisica. L’educazione implica, invece, tre aspet-ti/componenti: direzionalità, sistematicità e selettività;perché è diretta a soggetti concreti, non è fatto occasio-nale/episodico e richiede, inoltre, l’elaborazione di stra-tegie e una chiara presa di posizione, specialmente e conmaggiore attenzione quando opera con i differenti. L’ap-prendimento per l’uomo, infatti, a differenza degli altrianimali, non dipende dalla sola emulazione, ma per lopiù dall’insegnamento e dal fatto che l’uomo è in pos-sesso della teoria della mente, della metacognizione, cioèegli è in grado di prevedere i comportamenti altrui, di ca-pire le intenzioni degli interlocutori, di operare un’attri-buzione di pensiero, ma anche di monitorare le proprieconoscenze e le proprie emozioni, la propria memoriae le proprie passioni, la propria ragione e i propri istin-ti. Per tale ragione l’intervento educativo deve avere asuo fondamento la relazione e lo scambio:

la formazione riposa sul principio di continuità dell’esperien-za: ogni esperienza è condizionata da quelle precedenti e con-diziona quelle successive, portando alla strutturazione di abitimentali e caratteriali. In questo quadro l’esperienza è concepi-ta come il rapporto io/mondo e la relazione educativa educa-tore/educando rappresenta la mediazione di tale rapporto(secondo il triangolo referenziale educatore/educando/mon-do). [...] nella relazione educatore/educando non si tratta dipassare dall’autoritarismo alla retorica delle buone intenzioni,che potrebbe scivolare nel lassismo. In entrambi i casi l’edu-cando rischierebbe infatti di rimanere imprigionato in unacornice di tipo strategico, sperimentando semplicemente uncambiamento di ruolo (da dominato a dominatore), senza cre-scere sotto il profilo etico-sociale. Si tratta, invece, di costruirele condizioni che rendono possibile e stimolano il suo passag-gio alla cornice dell’agire comunicativo, e dunque a un livellomorale convenzionale e, in prospettiva, postconvenzionale.28

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28 Baldacci M., Trattato di pedagogia generale, op. cit., p. 260, p. 365.

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Secondo la pedagogia della differenza va promossauna Bildung intesa come concezione dinamica, che sap-pia concretamente interagire e confrontarsi con la com-plessità delle contaminazioni dei saperi, con il dilatarsidelle conoscenze e con la necessità di avere un atteggia-mento attivo e consapevole dinanzi all’evolversi dellacultura nelle sue diverse e plurali declinazioni. Qualsia-si offerta formativa vincolata e legata al contingente o alparticolare bisogno del momento della produzione è con-dannata ad una rapida obsolescenza e a fallire. La forma-zione non può dipendere da fattori occasionali, altri-menti diventa addestramento/addomesticazione e maisarà autentica educazione e/o apertura culturale, per-ché la cultura scaturisce da e si consolida solo attraver-so la criticità e la coscientizzazione. La nuova paideia, al-lora, promuove l’integrazione, le buone pratiche dellanonviolenza e il riconoscimento dell’alterità, cercando diporre degli argini e opponendo una coerente e critica re-sistenza a tutte le forme di marginalizzazione e/o di di -scriminazione e/o di inferiorizzazione verso donne, bam-bini, omosessuali, anziani, disabili, stranieri, marginali,malati, poveri, tossicodipendenti, detenuti, clochard:

La storia politica dei «grandi uomini» considera tutti gli altriavvenimenti umani aneddotici, noiosi, ripetitivi, in definitivainutili. La storia che emerge dal basso, che sorge anche dasolitari percorsi biografici, materiali ed intellettuali, al con-trario valorizza le vicende individuali, le storie dei margina-li, dei dimenticati, perché anch’esse rappresentano, in unapluralità di voci e di punti di vista, una storia corale, che nonsi identifica mai con la storia dei potenti, ma spesso ha mol-to in comune con quella dei «vinti».29

Per ridotare di senso e di dignità la differenza e la mar-ginalità, la nuova paideia, con un approccio ermeneutico,cerca di ridefinire in termini pedagogici la stessa ragio-

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29 Ulivieri S., Educare al femminile, op. cit., pp. 65-66.

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ne, trascendentalmente considerata un principio storica-mente determinato in grado di fungere da cornice perl’inclusione, la mutualità, la reciprocità e l’intreccio pere della intersoggettività. E se per Weber razionalizza-zione significa anche disincanto, in realtà razionalizza-zione non vuol dire né apatia, né, tanto meno, abban-dono dei sogni e di un meglio possibile. La nuova pai-deia, rigettando ogni dogmatismo, potrebbe fare proprieancora una volta le parole di Weber, secondo il quale chivuole una visione del mondo deve andare al cinemato-grafo, mentre chi vuole una predica deve andare in chie-sa. Per la pedagogia della differenza, allora, la ragioneè ineludibilmente e trascendentalmente pratica (nel-l’accezione filosofica ed etimologica): caratteristica cheè un suo contrassegno e sigillo inconfutabile, essendoviun nesso indissolubile tra pedagogia e dimensione eti-ca. Per la nuova paideia educare è contaminazione, spor-carsi le mani, immersione, cura, relazione e mutua dipen-denza, il che impedisce di elaborare una qualsiasi asetticae/o incontaminata razionalità. Si danno limiti, resistenze,obiezioni con cui ineludibilmente mettersi costante-mente in gioco: kantianamente nella relazione educati-va va sempre ricordato che l’altro è fine e mai mezzo.30Ogni educatore prende su di sé, per la pedagogia del-

la differenza, l’onere e l’impegno della responsabilità,della cura e di una reciprocità fondata su una totale gra-tuità, che presuppone l’etica del dono che non chiederestituzione, ma anche una attenta interpretazione deibisogni dell’altro. L’ermeneutica, infatti, è fondamen-talmente dialogo e in termini pedagogici si determinae si presenta come cura di sé, dell’alterità e del mondonella sua totalità, in quanto confronto a diversi livellidell’Io/Tu, relazione nella reciprocità e riconoscimen-

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30 Deiana S., «Pedagogia critica e criticità dell’ermeneutica: intersezio-ni, affinità, differenze», in Colicchi E. (a cura di), Per una pedagogia critica.Dimensioni teoriche e prospettive pratiche, Carocci, Roma 2009, pp. 105-145.

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to di qualsiasi differenza. La pratica e l’approccio er-meneutico, anche in ambito pedagogico, prevedono lacostruzione di ponti e di reti di senso e di dialogo, perattivare e incentivare contatti e comunicazioni tra tut-ti i soggetti attraverso una adeguata comprensione euna più approfondita interpretazione:

Se andiamo alla radice del termine interpretazione, dobbia-mo attribuire il dovuto risalto al prefisso inter, «tra», e tratta-re l’interpretazione come un’azione o come una pratica checonsiste in primo luogo nel porsi in posizione mediana tradue elementi o soggetti, tra un testo e un’opera e il mondo oi tu che sono destinatari possibili di quella produzione uma-na: la posizione mediana tra i protagonisti di un’esperienzaestetica o di comprensione storica o linguistica. [...] Attraver-so l’approfondimento del significato, degli effetti e dei pro-blemi che scaturiscono da questa posizione mediana si giun-ge agli interrogativi focali della criticità di un approccio pe-dagogico, critico dell’ermeneutica filosofica.31

Compito della nuova paideia è reagire alla tendenzadilagante che vuole mortificare e neutralizzare la diffe-renza e la soggettività in nome di una scienza presuntuo-samente assertrice dell’oggettività, non più vista come unsemplice risultato e/o l’esito di una ricerca ma come unasorta di verità assoluta: si opera un evidente fraintendi-mento, scambiando una procedura metodologica (perquanto epistemicamente condotta) con un giudizio onto-logico. Andrebbe ricordato, come correttamente sostie-ne Rorty, che il mondo non parla, siamo noi che parlia-mo, e gli stessi principi sono tali nella misura in cui con-sentono di risolvere problemi, ma non quando vengonousati per introdurre e mettere nuove catene. Il senso del-la pedagogia della differenza, come sapere interpretati-vo, non risiede nelle risposte che è in grado di dare, quan-to nelle domande che è capace di stimolare e di porre:

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31 Ivi, pp. 127-128.

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Il linguaggio deve sempre essere rivelatore delle intenzioni dichi pone domande, deve saper essere illuminante, e deve es-sere, soprattutto, motivante. Le domande di senso sono sem-pre quelle maggiormente coinvolgenti; la risposta non può es-sere presupposta, ma sempre cercata insieme agli altri.32

Non casualmente, per la stessa concezione gestaltica,anche in ambito pedagogico i singoli elementi/soggettiassumono pienezza di significato e di senso prevalente-mente nella relazione, nell’insieme, nell’interazione e neldialogo, che diventano complessità solo in quanto inter-soggettività e coimplicarsi di singolarità. La nuova pai-deia, del resto, sa che l’enigma più profondo e indecifra-bile del destino e della condizione umana risiede nel-l’uomo stesso, nelle sue emozioni, nei suoi bisogni, nellesue conoscenze e nelle sue aspirazioni. Così, per l’uo-mo, persino il paradosso può diventare la chiave di voltaper un atteggiamento demistificatore capace di indagaree di smascherare gli interessi egoistici, perché, come di-ce Amleto, non vi è nulla di buono o di cattivo, se non inragione dei nostri giudizi. La stessa conoscenza, peraltro,è finzione, è l’anticipazione di un frammento di avvenire,è struttura in fieri, perché il conoscere non rappresenta ildiscorso del e sul mondo, bensì il mondo descritto/trac-ciato/letto/decriptato attraverso il discorso stesso:

Conoscere implica valutare, organizzare la realtà attraverso ivalori che ognuno di noi ritiene di dover esprimere, ma signi-fica, soprattutto, sia un assumere che un trasformare. L’uo-mo sarà veramente tale quando si sentirà non più un ammini-stratore, ma un legislatore, colui che costruisce la storia su ba-si sempre nuove, inventa forme di esistenza alternative, valoridiversi, libera la vita stessa e ci libera da un modo di essere gri-gio, permettendoci di costruire una qualità della vita che sia at-tiva, non più passiva e subalterna. È necessario, allora, ci di-

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32 Vittone G., Immaginazione e metafora. Lo sforzo della vita verso lalibertà, Villaggio Maori Editore, Catania 2011, p. 13.

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ce Nietzsche con una efficace immagine, saper «mordere la te-sta del serpente», ovvero cercare e volere la libertà, esercita-re in pieno la funzione, prettamente umana, di spirito libero.33

Persino ciò che comunemente viene definito comesenso della realtà, ermeneuticamente è sempre fruttodi una dimensione progettuale e di un’attività intenzio-nale, che non si dà in seguito all’esercizio/affermazio-ne di un puro dominio, ma grazie all’opera lenta, siste-matica e continua di una comune crescita. Se nel mon-do contemporaneo, tecnologico e industriale, si pensaesclusivamente a dividere e a separare, ma anche a ca-talogare e a omogeneizzare, perché non si è più in gra-do di comprendere, allora, l’homo faber deve tornaread essere, con la massima urgenza, homo sapiens, evi-tando di trasformarsi (come pericolosamente sembrasempre più incline a fare) in homo insipiens, vittima in-consapevolmente passiva e prona di un fagocitante edesoggettivante pensiero unico. La pedagogia della dif-ferenza rifiuta qualsiasi forma di categorizzazione e/odi etichettatura, data la sua natura democratica e pro-blematicista, antidogmatica e critica:

È il miracolo dell’etichetta: produce l’impressione che l’es-senza dell’altro sia visibile. A quel punto, l’altro non è più unamolteplicità contraddittoria che esiste in un gioco di luci e diombre, di velato e svelato, ma diventa immediatamente visibi-le e riconoscibile. Si è convinti, grazie all’etichetta, di saperetutto sull’altro, chi è, cosa desidera e come va strutturata lasua vita, perché l’etichetta non si limita a classificare, ma sta-bilisce un senso, una sorta di ordine nella vita di chi la porta.34

Ciò che caratterizza maggiormente la pedagogia del-la differenza è un atteggiamento costantemente aperto,

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33 Ivi, p. 80. 34 Benasayag M., Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, trad. it., Fel-

trinelli, Milano 2005, p. 75.

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uno stato permanente di interrogazione, come doman-da intenzionata in vista di una risposta, che non è mai laVerità, ma più semplicemente e più problematicamen-te una tappa e un momento lungo il sentiero che con-duce al vero (come interpretazione condivisa e solidal-mente partecipata), perché ogni risposta è aperta aduna possibile replica e perché i termini, le parole e i con-cetti del domandare possiedono un orizzonte illimitatoed infinito di senso, e costituiscono un territorio in-sondabile ed inesplorabile nella sua totalità. La peda-gogia della differenza assume l’habitus di sapere critica-mente emancipativo, nella misura in cui si configura co-me domanda che non cerca risposte chiuse e/o dogmati-camente vincolanti e costringenti, condannate a farsistereotipo/stigma/etichetta. In quanto problema, la ri-sposta è anche ritorno su di sé per stimolare ulterioridomande, perché la verità criticamente ed ermeneutica-mente intesa mai diventa possesso, acquisizione defini-tiva, compiutezza, acquiescenza e complice silenzio, es-sendo aspirazione, tensione, desiderio, continua ricerca.La pedagogia della differenza, dunque, è criticamenteesercizio della libertà, non in quanto pura assenza divincoli e/o arbitrium indifferentiae o indipendenza asso-luta, ma come responsabilità, obbligo morale di prende-re coscienza rispetto alle singole scelte, ad ogni azione epersino ad ogni intenzione. La consapevolezza pone sial’educatore che l’educando nella condizione di deciderequali condizionamenti accogliere e/o respingere in vistadel raggiungimento di specifici obiettivi. In tal senso lapedagogia democratica è anche rischio, che nel suo far-si diventa educare; tale rischio, per la nuova paideia, nonpuò però essere affidato alla casualità, ma deve essereapertura e ricerca in funzione della crescita di ogni sin-golo soggetto e della collettività nel suo insieme. La pedagogia della differenza, auspicando un più al-

to livello di assunzione di responsabilità, prevede un su-

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peramento della condizione attuale della società attra-verso la «fatica del concetto», l’abitudine al pensiero au-tonomo e il gusto per la riflessione, che permettono al-l’uomo di riconquistare la sua più propria natura, di in-centivare la motivazione e di sviluppare una più consa-pevole coscienza di sé e dell’alterità. Atrofia dei senti-menti e perdita di fiducia rappresentano, invece, le con-seguenze più evidenti della mancanza di proiezione ver-so il futuro e di una tensione utopica verso il meglio con-diviso, avendo come esito inevitabile il ripiegamento suse stessi, la solitudine e l’incremento delle tendenze au-toreferenziali e autocentrate. Per la nuova paideia unreale ed effettivo progresso si ha non quando una deter-minata teoria prevale, mettendo sotto scacco le altre e di-ventando così dominante, ma quando l’intera comunitàsa, desidera e vuole trovare un reale accordo nonostantela molteplicità e il pluralismo dei punti di vista. Un’au-tentica condotta etica, per la pedagogia della differenza,dipende dall’accordo concreto tra coloro che esprimonodiversi valori, apparentemente inconciliabili tra loro: lacondivisione, la solidarietà e il mutuo riconoscimentocostituiscono le parole chiave della nuova paideia.Se la conoscenza, pedagogicamente, si realizza attra-

verso l’interazione dialogica e l’attiva collaborazione,l’altro, allora, non può essere ridotto ad oggetto/varia-bile/elemento pleonastico e indesiderato, perché in talmodo si cancellerebbe quell’aspetto dinamico che staalla base di ogni conoscere, di tutte le relazioni educati-ve e/o di qualsiasi tensione etica. Per la nuova paideia lafunzione dell’educatore non è scoprire il mondo reale,ma, attraverso l’esercizio della libertà, costruire e in-ventare un mondo possibile. La libertà, peraltro, non sifonda su un’etica della verità, ma sull’etica creativa del-la responsabilità e dell’incontro con l’alterità. Immagi-nazione e creatività, inoltre, aiutano a sconfiggere la su-perstizione e l’ignoranza, nemiche dichiarate della li-

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bertà e amiche manifeste del potere che vuole suddi-tanza, sottomissione e pronazione, fonti naturali dipaura e di terrore dinanzi al cambiamento:

George Santayana affermò che la superstizione è la confusionedi un ideale con il potere, è credere che qualunque ideale debbaessere in qualche modo fondato su qualcosa di già esistente,qualcosa di trascendente che pone questo ideale di fronte a noi.35

L’atrofizzazione dell’immaginazione e della creativi-tà produce un mondo condizionato esclusivamente dastrategie razionali capaci di elaborare e di imporre teo-rie, ipotesi, risultati, verità e certezze, ma non in gradodi capire i reali bisogni, le peculiarità e le specificitàdei singoli, dei differenti e dei più deboli. La nostra ci-viltà probabilmente ha come sua maggiore esigenzaavere uomini sovraccarichi di incertezze e di problemi,ma dormienti, per cui chi propone «insani risvegli» sitrasforma nell’eretico, nel mostro, nel diverso da perse-guitare. Progredire secondo la pedagogia della differen-za vuol dire avere il coraggio di modificare realmente lecondizioni di vita in cui siamo immersi e di cui siamoparte e, ad un tempo, di trovare un accordo condivi-so sulle cose da fare. Il cambiamento in vista del meglioper ogni singolo soggetto e per la collettività costituisceil principio guida e la forza propulsiva, che muove lanuova paideia, che è disciplina e pensiero schierato:

Il dissenso è sempre [...] una fondamentale risorsa che aiutal’uomo ad inventare sempre più produttive metafore, ad usci-re da situazioni apparentemente irrisolvibili; ma in questo ca-so, però, ci si trova di fronte ad atteggiamenti di netta emargi-nazione, di rifiuto e di mancato riconoscimento di legittimità.36

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35 Rorty R., Un’etica per i laici, op. cit., p. 14.36 Vittone G., Immaginazione e metafora. Lo sforzo della vita verso la

libertà, op. cit., p. 113.

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Compito di una pedagogia criticamente emancipatri-ce, come la nuova paideia, è scommettere ancora, sem-pre e comunque, sull’uomo, sulla possibilità che egli con-tinui ad essere il luogo e l’origine del senso: è aspirazio-ne, desiderio, impulso e scommessa, ad un tempo, che sifanno utopia produttiva, guardando al possibile, comeprospettiva per continuare a coltivare l’umano, recupe-rando e riprendendo il controllo sulla propria esistenzaper averne cura, ma anche per imparare a rispettare conpiù consapevolezza l’alterità e il mondo nella loro globa-lità. Lévinasianamente si viene convocati e chiamati dal-la differenza. Si tratta di una chiamata alla cura e alla re-sponsabilità, che diventa sfida alla contemporaneità, do-minata e governata dall’indifferenza, parossisticamentedall’anaffettività, dall’egoismo e dalla violenza, dal mitonarcisistico dell’identità che rigetta e sconfessa tutto ciòche rappresenta il diverso, tentando di anestetizzarlo,narcotizzarlo e neutralizzarlo, perché ne è spaventata. Criticare in educazione vuol dire fondamentalmen-

te domandare, interrogare e indagare, e non avere pre-tese di esaustività, ponendo la massima attenzione sul-la risposta che dischiude la via alla replica secondo unainfinita circolarità, dal momento che le parole e i con-cetti del rispondere racchiudono uno spazio di sensoaperto in direzione anch’esso dell’infinito. È necessario, quindi, diventare audaci per interro-

gare e per selezionare le risposte, che non sono mai cer-te, avendo sempre un margine di polivalenza e di poli-semia racchiuse in ogni singola parola e in ogni concet-to. La staticità appartiene, al più, a ciò che dà origine alsenso, che però ermeneuticamente è sempre espostoall’interpretazione. Per la pedagogia della differenzala verità, dunque, non può che essere problema aper-to: la critica, infatti, è di per sé desiderio e ricerca, e maipossesso, di verità, ma aspirazione ad essa; la critica, inpedagogia, è prassi e mai compimento:

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Non si dà un a priori della critica e, pertanto, non si dà una cri-tica a priori, ma resta il problema che la critica non può esse-re mera empiria. La critica prende corpo solo quando siamodi fronte ad un oggetto da esplorare ed essa consiste in pri-mo luogo in un’operazione negativa, che è quella di toglierel’apparenza, senza di cui non c’è dato coglierlo oltre la sua im-mediata datità. La critica non può stare laddove c’è un ogget-to che si presenta come immediatamente noto, concluso.37

Una pedagogia critica non è, pertanto, dogmatica,scontata e/o superficiale, o improvvisata, ma è capacedi immersione nel dramma dell’incertezza, dell’inco-gnita e dell’enigma dell’esistenza umana. In quanto sa-pere aperto, militante e non neutrale, l’approccio criti-co è esposto al sospetto che le sue parole, le sue scoper-te, le sue domande e le sue denunce non siano vere e sia-no dettate, piuttosto, da una indomita acrimonia e da unmalsano livore: nonostante ciò, in quanto sguardo altrosul e delmondo, sa di cogliere e di indagare più profon-de verità. La nuova paideia, peraltro, in quanto presa diposizione, ritiene ineludibile la scelta, perché ogni sape-re critico non può eludere il confronto e/o sottrarsi alprendere posizione, per denunciare, per smascheraree per demistificare qualsiasi forma di violenza (materia-le o simbolica) del potere e dei suoi complici nella pro-duzione di discriminazione e di inferiorizzazione. Criti-care, del resto, è un andare oltre ciò che appare comeimmediatamente evidente e/o come un dato di fatto in-controvertibile; non è né una semplice constatazione,né una banale riproposizione del reale, ma è discerni-mento e sguardo decifratore per cogliere i dettagli eper restituire un senso e un significato alle tessere di unmosaico manipolato. Una pedagogia che si riduca a ri-

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37 Fadda R., «Un modello italiano di pedagogia critica. Presuppo-sti, sviluppi, problemi aperti», in Colicchi E. (a cura di), Per una pedago-gia critica. Dimensioni teoriche e prospettive pratiche, op. cit., p. 19.

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produrre un modello astratto o universale di uomo si fa-rà complice del processo di cancellazione dell’unicitàdel soggetto e della sua irripetibilità, inviolabilità, irri-ducibilità, differenza. Una pedagogia riproduttiva, squi-sitamente adattiva rispetto alla realtà, alla società, allacultura, alla morale dominante e alle logiche dei poten-ti della politica e dell’economia, non potrà mai esserecritica, emancipatrice e aperta alla differenza, agli ulti-mi, ai dannati della terra. La critica impone domande sulmondo per cercare di cambiarlo attraverso un pensieroplurale e non più unico, produttivo e non acquiescente,utopico e non statico, attivo e non passivo, libertario/li-beratore e non assoggettante. Per la nuova paideia, datiil suo slancio utopico, il suo spirito democratico, la suaattenzione ai più deboli/differenti, è evidente che:

proprio la dimensione della formazione del soggetto costitui-sca, per molti versi, un luogo, non solo possibile ma addirittu-ra privilegiato, del dispiegarsi e inverarsi delle più importan-ti categorie dell’ermeneutica e insieme un modo di radicaliz-zarla e di mostrarne tutta la crucialità, tutta la portata critica,nel momento in cui in gioco non è l’interpretazione di un te-sto o di un’opera d’arte, ma di un soggetto umano nella suarelazione con un altro soggetto a cui è stato affidato e da cuidipende il suo destino formativo; una relazione che deve pas-sare necessariamente attraverso la comunicazione e l’inter-pretazione, la capacità di saper cogliere, fin da quando sonoancora in nuce, i tratti distintivi, le propensioni, gli elemen-ti che determinano la singolarità e l’unicità di ogni indivi-duo e il riconoscimento della sua irriducibilità.38

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Il volume contiene nella prima parte le pagine da mecurate in Salmeri S., Maiorca E., Orizzonti, regioni e cor-nici della diversità. Manuale di pedagogia della differen-

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38 Ivi, p. 31.

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za (Città Aperta Edizioni 2009); nella seconda parte,invece, sono raccolti alcuni interventi, nella loro stesu-ra completa, da me tenuti in convegni internazionali enazionali sulle tematiche della differenza e dell’inter-cultura. Il paradigma dell’educativo richiede inequivo-cabilmente processi di negoziazione tra teoria e prassi,tra strategie di riferimento e specificità del singolo edu-cando, perché deweyanamente l’esperienza, da cui in-confutabilmente bisogna partire, si dota di senso e di si-gnificato se letta all’interno di un modello e il modellostesso si trasforma concretamente in strategia operati-va soltanto quando assume a suo fondamento la cen-tralità dell’esperienza. La differenza pone domande edesige risposte che non possono essere confinate nel-l’empireo di un teoreticismo accademico, né nell’empi-ria di una pratica alla buona, magari sorretta e suppor-tata da una vacua e declamatoria retorica dei buoni sen-timenti. La differenza e l’educazione nella sua generali-tà hanno bisogno di professionalità, di assunzione di re-sponsabilità, della capacità reale di prendere in cura l’e-ducando e di avviare interventi strutturati e strategica-mente orientati. Educare è freireianamente un che farepermanente, che non può essere affidato al caso, né tan-to meno ai facili e banali didatticismi, ma è ermeneuti-camente lettura, interpretazione e decifrazione dellarealtà dei bisogni per meglio precisare e definire le ri-sposte e gli interventi da adottare, da scegliere e da pre-cisare inizialmente e in itinere, anche attraverso strate-gie/strumenti compensativi e/o scelte/modalità indivi-dualizzate, nel rispetto del singolo e della collettività,della specificità del deficit, delle peculiarità culturali al-tre degli educandi stranieri, delle emergenze socio-am-bientali di chi, per le più svariate ragioni, è condannatoa vivere ai margini, perché la nuova paideia non riducemai i minus habentes in minus essentes.