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    Aldo Capitini

    Elementidi unesperienzareligiosa

    Vi sono forze potentida fronteggiare, e solounopposizione dal profondoe appassionata pu vincerle:

    unopposizione che maturacome un capolavoro di poesia.

    Liri Press

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    Elementidi unesperienza

    religiosa

    Aldo Capitini

    Liri Press

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    ubblicati nel 1937 presso leditore Laterza per in-teressamento di Benedetto Croce, gli Elementi diunesperienza religiosa di Capitini sfuggirono alla

    censura fascista per un fatto assai signicativo: essendoper il regime la religione naturalmente conservatrice ecerto tale era la religione cattolica , nulla vera da teme-re da un libro che parlasse di religione. Il libro di Capitiniesprimeva, invece, una visione del mondo radicalmenteantifascista. Partendo da unapersuasioneliberamente re-ligiosa, n cattolica n cristiana, Capitini affernava i val-ori della nonviolenza, della nonmenzogna, della respon-sabilit, del farsi centro in un momento storico chevedeva il trionfo della violenza e dellassenza di scrupoli.Gli Elementi, prima opera losoca di Capitini, sono ilpunto di partenza ideale per studiare la complessa loso-

    a di uno dei teorici pi rigorosi e profondi della nonvio-lenza.La presente edizione riproduce la seconda edizionedellopera, pubblicata da Laterza nel 1947.

    Liri Press. Ofcina di controeditoria | 2012

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    Indice

    5 Introduzione

    20 Prima parteAl centro dellumanit, 20 La scelta dei mezzi, 21 I prob-lemi economici, 22 La crisi dellindividualismo, 24 Lib-ert sociale e liberazione religiosa, 27 La crisi delle religionitradizionali, 28

    31 Seconda parteReligione, 31 La nostra nitezza e le soluzioni religiose,33 Ges Cristo, 39 Vicinanza di Dio, 42 La preghiera,49 Premio e pena, 52

    55 Terza parteLa morte e lunit amore, 55 Nonmenzogna e nonuccisione,

    58 La forza della verit, liniziativa religiosa, 69 Lartereligiosa e la forma, 72

    86 Quarta parteLa fondazione del mondo moderno, 86 Testimonianze peruna nuova aristocrazia, 89 Capitalismo, collettivismi eliberazione interiore, 92 Collaborazione e noncollabora-

    zione, 99 Trasformazioni e contributo religioso, 106 Lapersuasione religiosa, 117

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    Introduzione

    Mentre si stampavano i miei Elementi di un' esperienza re-ligiosa (sulla ne dell'anno 1936), la situazione in Italia,se si guarda dentro i fatti e non alla supercie, era in unmomento critico. Nell'apparenza, tutto andava bene, eMussolini, con l'appoggio del generale Badoglio e dellegerarchie ecclesiastiche, era il vincitore. Si pu immagi-nare la soddisfazione e il vanto di Mussolini, quando la

    sera del 9 maggio 1936 annunci, tra i giochi di luce elet-trica e il rombo della moltitudine romana, che l'Impe-ro italiano" era stato fondato. Ritirandosi dal balcone diPalazzo Venezia egli trovava nella grande sala una folladi alte personalit che lo congratulavano, vibranti e de-vote. Era una vittoria per Mussolini anche perch la festa

    dell'Impero prendeva ufcialmente il posto della festadello Statuto, di quella vecchia festa che celebrava l'ac-cordo avvenuto nel Risorgimento italiano dell'Ottocentotra il re e il popolo perch fossero stabiliti e mantenuti idiritti di tutti i cittadini italiani agli uf ci pubblici, alleelezioni, alle libert di stampa e di associazione. L'Impero

    era un'altra cosa dallo Statuto costituzionale.Quello era invece il momento critico. L'Italia con l'impre-sa d'Etiopia era uscita dall'essere una forza importantein Europa, un elemento di equilibrio tra la Germania e laFrancia-Inghilterra, e una potenza di notevole inuen-za politica, economica e culturale nei Balcani. Cessava ilcontrollo efcace sulla Germania; e questa, l'uno dopo

    l'altro, cominciava i suoi atti di ripresa politica e militare,sostenendo l'Italia e nello stesso tempo prendendo il suoposto nei Balcani, in Austria. La Societ delle Nazioni era

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    indebolita; e di ci dovevano non rallegrarsi pi i deboliche i forti, perch i codici ( stato detto da molto tempo)sono una garanzia per i deboli: si annunciava un'epocatragica per le piccole nazioni europee, che sarebbero sta-te poi divorate, torturate; e l'Italia non era anch'essa unapiccola nazione? Che cos'era in confronto degli Stati Uni-ti d'America, dell'Impero inglese, della Russia, della Ger-mania stessa? Non aveva l'Italia formato la sua strutturaeconomica e la sua attrezzatura di strade, scuole, citt,

    entro la convivenza europea? E l'Etiopia che cos'era perl'Italia? Un territorio lontano e dalle ricchezze incerte,un logorio militare, una spesa immensa e crescente.La moltitudine e l'Italia ufciale, quella che scriveva igiornali e quelli che imparavano da l le idee, applaudiva-no; i giovani migliori cominciarono allora a staccarsi dal

    fascismo. Negli anni precedenti Mussolini aveva sedot-to i giovani; ed aveva gli elementi adatti per far ci. Unagenialit tutta esteriore, una individualit prepotente,ostentata in mille modi pittoreschi, sportivi, pseudocul-turali; un fare da giovanottone spregiudicato, avventuro-so, attivissimo; un vistoso sorriso (che noi sapevamo ci-

    nico, e gli adolescenti credevano paterno), avevano datoai ragazzi italiani il primo fremito politico, anzi direi, re-ligioso. Gi sulla copertina dei libri delle scuole elemen-tari stava la grossa faccia di Mussolini; chi non aspiravaad andare a Roma, vederlo, esser vistoda lui? Questi ra-gazzi cresciuti tra inni festosi, esercizi sportivi e militari,e lezioni e componimenti di omaggio al "duce", si tese-

    ro con entusiasmo alla guerra etiopica. Lo stesso fatto diavere tanti nemici solleticava il senso di sda, di avven-tura. Quella era la guerra dei "giovani" formati da Musso-

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    lini: erano loro che attraversavano cantando il Canale diSuez, erano loro che l, nelle terre d'Etiopia, scrivevanodiari e consumavano lo spirito fascista e coloniale, ritro-vando un fondo pi autentico: no, la vera storia era unacosa diversa, l'Italia doveva fare un'altra politica, il fa-scismo era un errore morale e sociale. L'esercito italianoschiacciava con la sua superiorit di mezzi il popolo piintrepido del mondo: era questa l'avventura? Era giustoche dei giovani, per risolvere i loro impeti psicologici o le

    loro ambizioni letterarie, andassero ad uccidere dei pa-dri di famiglia, ad aprire con cannonate il ventre a queisoldati che avanzavano n sotto la bocca del cannone?E il problema sociale? era l'Etiopia in grado di risolvereil problema economico italiano, di attuare il corporativi-smo a favore del popolo? Tutt'altro: l'Etiopia giov prin-

    cipalmente a grandi imprenditori e a funzionari, ciosoddisfece l'alta borghesia. Cos l'ebbrezza fascista neimigliori giovani, stati in Etiopia o rimasti in Italia, venivadileguando. Non tutto era chiaro; ma essisentivano, que-sto era l'importante, la ne dell'ebbrezza, della mistica,del sentimento religioso. Io ho visto questi giovani (non

    erano molti, ma crescevano via via) pensierosi come chi rimasto deluso in un amore; assorti come cercassero divincere nelle bre del proprio corpo una tentazione, unatendenza sensuale. Badate, questo lo sforzo pi grande.Rinunciare al fascismo era perdere un insieme di soddi-sfazioni sentimentali, che sono quelle a cui si rimane piattaccati. Che cosa c'era che potesse compensare questi

    giovani di ci che perdevano staccandosi dal fascismo,dalle manifestazioni pubbliche, dal culto di Mussolini,dai posti e dagli stipendi promessi ai fedeli?

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    Un libro conta per ci che esso produce inuendo suglialtri, e per ci che esso esprime; cio l'autore pu esserevisto come educatore e come espressione lui stesso delsuo tempo. Io qui dovr dire brevemente dell'un fatto edell'altro riguardo a questo mio libro. Esso era compostodi fogli dattilografati che portai ad amici di Firenze; gierano stati letti a Perugia, mia citt.Non pensavo alla pubblicazione: in molte cose della miavita mi accaduto cos, di andare verso la decisione sen-

    za saperlo affatto, e poi sorge improvvisa quella decisio-ne che sarebbe stato cos naturale pensar prima. Ma quic'era un fatto speciale: eravamo cos abituati a lavorar dinascosto contro il fascismo che non credevamo pi di po-ter fare alcuna manifestazione pubblica; la clandestinitci aveva abituati a s stessa. Il dattiloscritto fu letto dal

    Croce, che si trovava a Firenze, e portato alla pubblica-zione. Egli sapeva del lavoro che compivamo tra i giovaniper staccarli dal fascismo; e volle (come ho saputo pitardi) stampare questo libro per aiutare la mia opera. Ecos avvenne.I giovani si staccavano dal fascismo, ma non sapevano

    bene perch: cercavano avidamente ci che consonavacol loro animo, ci che dicesse loro perch il fascismonon era la verit, la dignit, la civilt, la mistica. Sono i li-bri che indicano i titoli di merito e i mezzi di orientamen-to nei momenti difcili di un popolo. Quando voi vedeteun'istituzione trionfante e, di contro, un libro che portaun'umanit pi alta di quella difesa dall'istituzione, siate

    sicuri: il libro, nella civilt, il segno di una causa chevincer. I Cantidel Leopardi, i Promessi Sposidel Manzo-ni sono battaglie perdute per i tiranni del Risorgimento

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    italiano.Io non ho formato un piano appositamente costituito perfronteggiare il fascismo, mettendo insieme gli elementiideali perfettamente contrari in modo da creare l'antitesiassoluta: ho scritto secondo la mia ispirazione, secondo lamia esperienza, applicando contemporaneamente nellamia pratica quello che scrivevo. Perch muovo da questadirettiva: che se io risolvo un problema che tormenta me,questa soluzione potr essere utile anche ad altri. L'im-

    portante dunque che io vinca la mia angoscia con unpensiero e un'azione veramente efcaci: certamente, seriesco per me, lo stesso fatto si ripeter per altri. Quindi aproposito di propaganda, di esercitare un'inuenza suglialtri, sia anche la pi disinteressata, la pi doverosa, essanon pu venire che dopo che si siapersuasidentro di noi,

    noi stessi. Quel libro portava una persuasione interioreche era l'antitesi del fascismo; anzi era pi: non solo eradiverso dal fascismo come regime politico, ma era diver-so da un insieme di mentalit e modi di agire che conti-nuano dopo il fascismo. Fu pi che un'opera polemica:fu questo ed altro, e appunto perch poteva valere fuo-

    ri della lotta antifascista, e portava l'animo su un pianotutto diverso, poteva meritare pi facilmente la duciadi chi lo leggeva e parlargli pi intimamente, come unapoesia prima che come un'esortazione.Questo libro, n dal titolo, fu l'espressione di una espe-rienza concreta, vissuta; non un programma di partitoo di associazione, sceso da chiss dove per raggruppare

    persone. Organizzare quelli che vivevano un'esperienzasimile era un compito appena appena affacciato, e af-dato ai fatti: non era l'attoda compiere, l'atto principale,

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    centrale, superatore del passato. L'atto era l'iniziativa diapertura innita dell'anima. Non si trattava di fondareuna "nuova religione" con un capo, un dogma, i credenti,le riunioni, le cerimonie, e la distinzione netta tra asso-ciati e non associati. Aprite a caso, mentre leggete que-sta introduzione, il libro, e troverete che in ogni periodoc' la volont di liberare, di dare iniziativa alla sincerit,all'affetto, al pensiero che svolge nel suo travaglio con-tinuo la verit. Era questa la mia esperienza che sorgeva

    dal concreto; e il mio libro era per tutti, proprio per tut-ti, appunto perch era dell'intimo mio; a me piaceva cheuno qualsiasi, leggendo queste pagine sentisse qualchecosa aprirsi nel silenzio del suo animo, piuttosto che fos-se corso da me a dirmi :"La penso come te". Vi dir ancheche io stesso, dal momento in cui usc il libro (gennaio

    1937) non l'ho pi riletto - e debbo rileggerlo ora per mo-tivi editoriali -; non l'ho riletto, perch non volevo di-ventare il seguace di me stesso, il primo ripetitore: avevoespresso la mia esperienza, avevo aperto me stesso perun atto appassionato di sincerit e di amore; e avendoun pudore a ristudiarlo, preferii continuare a risolvere i

    miei problemi, a scrivere altro secondo le mie esperien-ze concrete. Mentre il fascismo aveva un ministero perla stampa e propaganda, iosentivo(e capisco ora sempremeglio la ragione di questa ispirazione) riluttanza an-che a scrivere dediche di questo libro per qualche amico,come pure ero sollecitato a fare e come avviene tra amici.In quello che avevo scritto, dunque, dentro questo libro

    e nel mio modo di sentirlo e praticarlo, viveva uno spiri-to che era l'opposto di quello dominante fascista. Di quidoveva poi derivare anche una tattica opposta a quella

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    fascista: contro l'ordine chiuso, l'ordine sparso, controil totalitarismo, lo stato uido e la guerriglia, contro ildogma della infallibilit mussoliniana, la libera ricerca,il libero contributo, l'ascoltaree parlare. Fu la tattica delnostro incontrarci, del mio percorrere molto l'Italia.Un'altra caratteristica del libro risultava evidente: la lar-ghezza di interessi, la sensibilit al fatto sociale, econo-mico, politico, letterario, losoco, religioso, morale. Eraun altro aspetto di aperturache io mi trovavo ad avere

    per la singolarit del mio sviluppo e per la insopprimibilesfaccettatura del mio animo. Il libro non era una tratta-zione; era una situazione dell'anima, un fascio di esigen-ze, di problemi, di impeti, di ammonizioni; ma anche, suun piano pi calmo, di spunti losoci, di momenti lirici,di tensioni religiose. Era quindi, implicitamente, una spe-

    cie di raccolta della cultura e della spiritualit pi essen-ziale e una specie di allineamento di tutte le testimonian-ze in favore di un atteggiamento estraneo al fascismo,costruttivo in senso nuovo, ribelle solo apparentementeperch, invece, in ogni istante innamorato delle leggi pialte che si possano dare. E difatti leggete a caso un perio-

    do qualsiasi nel libro e vedrete che non c' affatto il gu-sto di ribellarsi, di stare all'opposizione, di contraddire;ma sempre la tensione a servire un principio, una legge,quella che paia la pi vera, la pi seria, la pi autentica.E una conseguenza dei vari interessi, spirituali e cultu-rali raccolti in questo libro come in un crogiuolo, pote-va essere una spinta a vivere la vita spirituale nella sua

    complessit e non soltanto in una direzione di arte, o dilosoa, o di politica, o di religione, ecc. Veniva fuori unsenso moderno della vita e non pi medioevale, per il

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    quale il piano morale-religioso era assolutamente supe-riore a tutto il resto e quasi esclusivo. Qui, invece, nullaveniva messo in disparte; e il pensiero doveva svolgere sestesso con tutta libert, critica del vecchio, costruzionedel nuovo; la tendenza sociale era assecondata verso lacostituzione di organismi adeguati alle esigenze dei la-voratori; l'ispirazione artistica era sollecitata, lo spiritoreligioso chiamato a collocarsi al centro della vita inte-riore. In questo libro non posto un ostacolo, un nodo,

    un impedimento, allo sviluppo della vita umana nella suacomplessit: soltanto viene ristabilita una prospettiva,viene messo in evidenza il meglio, il valore, a cui noi dob-biamo tendere e che l'intima struttura divina della re-alt. La quale, sentita cos, come una sublime orchestra.La direttiva, dunque, di questo libro era accettare di vi-

    vere nel mondo, ma non farsi prendere da ci che c' diesteriore, informe nel mondo: andare oltre la mentalitmoderna, e non tornare indietro; oltre l'attivismo delfare per il fare senza servire un valore spirituale, oltre ilpiacere per il piacere, verso una gioia, una letizia supe-riore.

    Perch chiamai "religiosa" la mia esperienza? Io non vo-glio in questa introduzione esporre il mio pensiero reli-gioso come posto nelle pagine di questo libro, o in altrilibri che vengono dopo: dal libro si vede che cosa intendoper religione. Dir soltanto questo. In Italia, pi che inogni altro paese del mondo, quando si dice "religione"si pensa a quella tradizionale e all'istituzione che la pro-

    pugna e insegna. Se si dice: quel tale religioso, si vuoldire che va in chiesa. Un "religioso" per eccellenza chiveste da sacerdote della Chiesa romana. Il romanticismo

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    che fu uno stimolo alla religiosit in generale e con gliaspetti pi vari, ebbe in Italia il suo capo in un cattolico,il Manzoni. Il mio libro si trova, invece, su un'altra linea; estraneo all'istituzione, e di contro alla tradizione, rac-coglie tutto il suo sforzo in elementi eterni e attuali, inuna rivelazione che la pi interiore possibile, e scissada ogni riferimento obbligato a un capo, a un dogma, aun fatto storico.L'orizzonte allargato. Se si dovessero cercare i prece-

    denti storici e culturali, potrei indicare questi. Anzituttola losoa moderna europea che ha dato un valore cen-trale al soggetto, all'atto dello spirito, che, qui nel con-creto della vita storica, opera la sua manifestazione, ilsuo sviluppo, la sua celebrazione; quindi ho cercato di vi-vere il cristianesimo su questo piano, di portare qui quei

    principi che il cristianesimo teneva entro il Vangelo edentro le chiese.Un altro precedente l'eco che nel mio animo ha avutol'azione di Gandhi. L'interesse per san Francesco, la cuicitt io saluto tutte le mattine dalla nestra della came-ra nella mia abitazione, stato sempre vivo; ma ho visto

    Gandhi portare i principi della nonviolenza e della non-menzogna nella vita politica, e questo mi ha attratto per-ch mi sento non soltanto italiano di san Francesco, maanche italiano di Mazzini, il grande democratico dell'Ot-tocento. Gandhi mi mostrava con i fatti e con le sue pa-role limpidissime che la mia tendenza alla politica (leggoi giornali da quando avevo otto anni) non era discorde

    dall'esperienza intima religiosa, di servire il meglio, ciche buono assolutamente.E c' un altro fatto. Durante la prima guerra mondiale

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    (1914-18) io ero un adolescente, ma seguii la tragediadell'umanit e mi venni spogliando del nazionalismo. Perdi pi, ebbi un lungo periodo di dolore sico personale edi impossibilit di lavorare. Perci compresi esentiinellebre del mio corpo stesso il limite della mia civilt atti-vistica, che dava tutto il valore al fare, alla violenza, algodimento; e sentii un interesse e una solidariet intimacol problema di chi soffre, di chi non pu agire, di chi sopraffatto. Bisognava che trovassi un piano di valore

    dove questi "sofferenti" fossero invece perfettamente aposto, e non buttati ai margini della civilt ad attenderela morte il nulla. Allora cominciata veramente la miaesigenza religiosa (a parte la fanciullezza vissuta entrola religione tradizionale), a diciotto e venti anni io guar-davo il mondo e la vita degli altri da un distacco e da un

    bisogno di salvarmi dal mondanismo e dalla insincerit.Era questa "religione"? Lo divenuta nello svolgimen-to lento e progressivo della mia esperienza? Nel 1932 hosentito che era proprio un'esperienza di Dio che io fa-cevo; e forse anche per questo ebbi la forza, in quel mo-mento decisivo quando mi fu posto il dilemma o prende-

    re la tessera del partito fascista o perdere il mio stipendiomensile, di contrastare al trionfante fascismo, e mi parvecosa su cui non potessero esserci esitazioni. Ma la parola"religiosa" l'ho poi conservata, anche per svegliare neimiei compatrioti il senso che fosse possibile un'esperien-za religiosa fuori dell'ossequio e del culto tradizionali.La polizia, la censura alla parola "religiosa" sbadigliava

    e credeva il libro ben innocuo; e di ci potevo qualchevolta sorridere, sebbene dovessi anche dolermi del disin-teresse degl'italiani per quella parola e per ci che essa

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    suggerisce, disinteresse che segno di decadenza.In questo mio libro ci sono due movimenti principali.Uno di raccogliere tutto nell'intimo, nell'anima, nellacoscienza; di affermare questa "centralit" a tutto il mon-do, a tutto e a tutti. Basta, per cogliere questa direzioneinterna, aprire una qualsiasi pagina, e subito ci si accorgeche ad ogni cosa, ad ogni fatto, ad ogni essere, viene det-to: tu sei certamente importante, ma ci che vien primae pi di tutto l'intimo perch qui Dio. Parlare di Dio ha

    appunto questo valore, di fare dell'intimo il vero centrodi tutto e di tutti. Altrimenti questo "intimo" potrebbeessere scambiato con l'intimo di un individuo staccato,un intimo psicologico e non un intimo assoluto. In questocentro non c' mistero, perch Dio presenza, coscienza,luce, vicinanza, aiuto; e qui non sentito affatto come

    una cosa che oscura, misteriosa, una potenza che non sisa che cosa di tremendo voglia e voglia fare: qui Dio diuna illimitata mansuetudine e di un'innita vicinanza. un Dio che non comanda perch potente, perch Lui: un Dio che persuade. Non sta per suo conto; il suo in-nito non di essere trascendente, di sopra a tutto e tutti,

    ma di poter stabilire una vicinanza profondissima, eter-na, senza limiti. In questa "centralit" avviene il drammacontinuo dell'anima di salvarsi, di essere con Dio e nondentro i limiti individuali. Il sofo di letizia per la cer-tezza che Dio nell'intimo non perde affatto di vista ildolore della vita umana. C' un sentimento ottimisticoperch intimamente persuaso che il dolore, il peccato, la

    morte, limiti individuali, non sono tutto, c' un sentimentopessimistico che sa che i limiti ci sono e risorgono sem-pre e debbono essere continuamente vinti.

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    L'altro movimento, oltre questo di affermare il "centro", di aprire questo centro a tutti gli esseri, a tutti gli indi-vidui, alle cose anche. Vive in ogni pagina una cura affet-tuosa e rispettosa per ogni essere, e anche per ogni cosa,e, direi, per ogni parola; una delicatezza che per esserecos costante e vigilante in tutte le direzioni, non pu es-sere una debolezza. In quegli anni non c'era nel mio cuo-re un affetto per una persona determinata che spiccassesulle altre; ma un entusiasmo deciso e cosciente per ogni

    essere, un interesse per tutti, un non dire e un non pen-sar "raca" (secondo il Vangelo) di nessuno. Questo miolibro non scritto, come avviene spesso, pensando a unapersona, ma pensando a tutti; tutti sono cittadini qui en-tro; l'ultimo che arriva e che conosco come quello checonosco da molto tempo. E la cultura non sta qui a cre-

    are un mondo superiore agli individui stessi, ma tuttafusa nel fuoco di questo affetto che non si esaurisce, e lorende pi consapevole di essere il centro; l'ignorante pusospettare che sopra il suo essere affettuoso ci siano altrivalori, diversi e pi importanti; io dalla coscienza dellacultura, assicuro che non c' contraddizione, e che anzi

    la cultura mi rende pi "nonviolento".La ducia nell'azione bene ispirata dalla coscienza non arbitraria e egocentrica, perch circondata da un in-sieme di direttive che la tolgono continuamente da unisolamento e da una decisione orgogliosa in cui potrebbemettersi. Nonviolenza, nonmenzogna, sforzo di aprirsi,entusiasmo per la libert, continua tessitura di socialit,

    ecc. sono parecchi stimoli perch la coscienza si indiriz-zi ad una decisione di carattere universale e non indivi-dualistico. E allora l'atto di collaborare o non collaborare

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    acquista una seriet straordinaria. Si pensi all'Italia sottoil fascismo come essa aveva perso via via ogni scrupoloe per faciloneria di coscienza o perla spinta del bisognofaceva continue quotidiane concessioni alla pressione fa-scista. Ma ci sono stati italiani che per venti anni si sonoposti ogni giorno il proposito di non collaborare col fa-scismo e mille erano le imposizioni grandi e piccole, cru-deli e fatue; e perci mille volte bisognava esser padronidi se stessi, controllare la situazione e riutare. Passava

    un gagliardetto nero con le lettere in oro o in rosso "mene frego"; bisognava far di tutto per non salutarlo, arri-schiando di essere assalito o malmenato. Un insegnantericeveva l'ordine di esaltare davanti agli scolari il 23 mar-zo (data di fondazione dei fasci), il 28 ottobre (data del-la marcia su Roma) e perno il 3 gennaio (anniversario

    dell'inizio della dittatura, cio della soppressione della li-bert), ed egli doveva commemorare, cio "collaborare".Finch, come avviene che le cose vanno al loro culmine,la "collaborazione" divent tragica con le guerre d'Etio-pia, di Spagna e del 1940-44. Chi ha vissuto con passionel'antifascismo, sa che il dolore pi grande glie l'ha dato,

    pi forse che la prigione o il conno, o il logorio dellalotta, assistere alla leggerezza degli italiani nel collabo-rare col fascismo. E non pu astenersi dal fare quel sognoastratto, ma ugualmente amaro: oh, se i professori uni-versitari non avessero giurato fedelt, oh, se i ferrovieri,se.... Come avrebbe potuto il fascismo impiantare millecose se non avesse avuto l'aiuto degli italiani?

    Io sapevo che gli italiani non sarebbero arrivati ad unanoncollaborazione in massa. un proposito difcile, ri-chiede nervi saldi; e poi astenersi pi duro talvolta che

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    lanciarsi e morire. Eppure si dovr arrivare a creare uninsegnamento speciale dei modi di noncollaborazione,ad esempio, col nemico (esiste un ministero della Guerra,potrebbe esistere un ramo per questa "opera"). Sapevoche il fascismo sarebbe caduto ormai in una guerra, vi-sto che le due forze che avrebbero potuto impedirglielo(la Monarchia con un colpo dell'esercito, la Chiesa conl'astensione delle moltitudini dei credenti) avevano fat-to tutto il contrario. La terza forza sarebbe stata la non

    collaborazione del popolo italiano; non l'avremmo permessa in moto noi, pochi intellettuali e politici (tra l'al-tro anche privi di mezzi). Ma io pensavo a quei giovani,parlando dei quali ho cominciato questo discorso: quellii quali, non tanto per il periodo fascista, ma per tutta laloro vita, dovevano imparare la seriet, l'importanza del

    decidere; reagire all'arrendevolezza per leggerezza o vil-t; scendere nel profondo di se stessi, della situazione, delcambiamento da fare. Lo stesso scartare la violenza con-tribuiva a questo appello tutto alla forza della coscienza.L'impeto che avrei messo nella violenza, lo avevo messonella tensione di non collaborare.

    Questo per ci che riguarda me stesso, me come vocedella situazione storica. Se poi si volesse considerarel'inuenza sugli altri (come si pu fare di ogni atteggia-mento e di ogni parola o libro), ricordo che essa vi fu. Lepagine di questo libro trascrivono in buona parte conver-sazioni tenute in un gruppo di amici a Perugia, riferitepoi a Firenze e altrove. Se non si collabora, bisogna essere

    molto attivi, perch anche non collaborare (ricordiamo-celo) atto di amore, di appassionamento. Che l'appas-sionamento fosse pieno di ragioni, di consapevolezza (si

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    volgesse poi alla noncollaborazione o al combattimentoarmato), quello era il fatto principale. E quello mi anim,mi tenne su, mi rese ardente, ed eloquente (me abitual-

    mente timido): lo ricordo con gratitudine nel concluderequeste parole.

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    Prima parte

    Al centro dellumanit

    In questo secolo si fa evidente, pi ancora che in altritempi, la lotta di mentalit, di modi di concepire la vita,che vanno oltre il governo degli stati, il regolamentoeconomico, lordinaria amministrazione; ogni afferma-zione anche politica si presenta ispirata da un proprio

    punto di vista religioso, che deve investire tutto e su-scitare una decisione assoluta nellimpiego della vita edella morte. Tutti sono concordi nel dire che bisognaprepararsi a tempi duri, abituarsi a vivere di poco, mache si avranno nondimeno potenti affermazioni ideali.Si sente che ogni atto deve essere illuminato da un pro-

    posito, da una direttiva, da una responsabilit. Il tirarea campare sta cedendo il campo al vivere pericolosa-mente.Oggi pi che mai non possibile, per la folla di solle-citazioni e di pressioni anche esteriori, riutarsi diprendere un atteggiamento, di impegnarsi per unidea.

    perci pi vivo il dovere di rendersi consapevoli delproprio tempo. Luomo non deve evitare tra dissipazio-ni, perifrasi e inerzie, di porsi al centro dellumanit:egli deve soffrire dentro di s il bisogno dellumanitche sollecita in ogni istante della vita unaffermazioneresponsabile. E capire quello che il bisogno del tempoe quale deve essere limpiego di se stessi, non opera di

    uomo dintuito eccezionale che dispensi ogni altro dalcercare serissimamente. Non privilegio n specialecondanna di nessuno.

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    La scelta dei mezzi

    Non solo lidea, ma acquista maggior rilievo oggi ancheil mezzo che viene adoperato per affermarla, il modo in-tero in cui essa vive. I mezzi sono azioni vere e proprie;si avverte che chi usa certi modi nellaffermarsi, fa suoiquei modi, li approva, li propugna, li diffonde. Unideasinsinua anche in questo punto: non vero che basticalcolare il mezzo pi adatto, pi politico per ottenere

    lintento; si vuol prendere in esame questo mezzo in s,vederlo se accettabile o se sostituibile con un altro chesoddis di pi la coscienza: si mette un ideale pur nelloscegliere i mezzi.Luso della violenza si molto diffuso oggi anche per so-stenere intenzioni che altre volte si affermavano altri-

    menti; i vecchi scrupoli si vanno perdendo. In ci con-uisce limpazienza di ottenere e la non considerazionedegli altri che sembrano del tutto estranei a noi. Lusodella violenza sollecitato dal successo che essa procuraa pi breve scadenza che non gli altri mezzi: se uno lapensa diversamente da me, eliminandolo non avr pi

    quel fastidio; resta da vedere a che cosa si riduce la miavita dopo, e se non sorgeranno prima o poi cinquanta alposto di quello che ho ucciso. Questi successi hanno ilpotere di inebriare, come sempre, le persone grossolane,tutte volte allesterno, e pronte a vantare il valore dellaforza nch non trovano altri pi forti. Tanto dilaghe-ranno violenza e materialismo, che ne verr stanchezza

    e disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppidella decapitazione salir lansia appassionata di sottrar-re lanima ad ogni collaborazione con quellerrore, e di

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    instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che ilprimo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sen-timento che il mondo ci estraneo se ci si deve stare senzaamore, senza unapertura innita delluno verso laltro, sen-za una unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire.Questo il varco attuale della storia.La violenza dilagata perch si visto che avere pochi stru-menti per difendersi o imporsi, come non averne nessuno.Si sostiene che la migliore difesa loffesa preventiva, e il

    deprimere via via tutti quelli che domani o pi tardi ci po-trebbero nuocere. E si resta tutti assorbiti da questa cura; epiuttosto che migliorare se stessi, si cerca di spiantare glialtri, dedicando tutte le energie alla preparazione di unamentalit offensiva. E allora? Continuare sino al massimosu questa via? Che cosa diverr la vita? E se invece di mol-

    tiplicare i congegni micidiali, di estendere su larghissimascala la pena di morte, si cercasse e si diffondesse una per-suasione religiosa elementare, atta a vivere energicamentenellanimo, non si darebbe un altro impulso alla civilt?Si va perci verso una difcile, ma inevitabile riaffermazio-ne religiosa nel mondo. Sar una conquista, potente come

    non mai, dellinteriorit: si acquister, stimolato dalla reli-gione, il senso che pi che lottenere, vale il modo in cui siottiene, lispirazione che vive in quel momento, lanima: lecase, i beni, possono esser disfatti e ricostruiti; ma pi im-portante di ogni cosa il senso della vita, il modo intimo incui la viviamo : questo il vero pane quotidiano.

    I problemi economici

    La storia presenza di coscienze, lotta di anime, sormon-

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    tare di problemi morali, religiosi. Luomo spesse voltegetta via oggetti, benessere, se stesso, per afferrare unaverit che lo soddis meglio. il problema della vita, delvalore della nostra attivit, dello spenderla nel modo mi-gliore, che ci interessa profondamente e che muove lin-timo della storia. Abbiamo bisogno di una visione dellavita, di una passione intima, per muoverci e andare oltrelacquisto di un pezzo di pane. I problemi economici nonsono che una parte, ed essi stessi si ampliano per opera

    di forze di altro genere. Lo stesso problema di una mi-gliore distribuzione della ricchezza sorge per un impul-so di umanit, di una migliore vita non soltanto propria.Altrimenti si potrebbe dubitare se lindividuo come in-dividuo non riuscisse a procacciarsi una prosperit ma-teriale maggiore trattando invece gli altri come cose.

    stato dimostrato pi volte e in modo indiscutibile, chesviluppi economici sono sorti da esigenze morali e reli-giose. Lutilitarista pu osservare mille follie nel corsodella storia, e proprio nei momenti culminanti : millevolte luomo ha cercato di promuovere il bene dellani-ma, contro il suo interesse economico di quel momento.

    E se soltanto questo interesse fosse stato la molla dellastoria, si troverebbe che gli uomini occupati soltanto daci, si sarebbero dovuti procacciare un benessere moltomaggiore dellattuale. Provate le insufcienze dellasso-lutismo materialistico, si sente sempre pi che anche ilmondo economico deve essere mosso da un interesse piprofondo, giusticarsi da un punto di vista meno limitato

    e che realmente spieghi tutta la vita e tutto luomo: al-meno luomo, ma intero. E perci, per sottrarsi al predo-minio della mentalit economica, si viene suscitando un

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    complesso di interessi di altro ordine; cos, anche quellieconomici saranno visti, e risolti (come pur si deve) conanimo diverso.

    La crisi dellindividualismo

    In questi ultimi decenni si osserva sempre pi la crisidellindividualismo. Carlo Michelstaedter, alla ne delprimo decennio di questo secolo, dopo aver sentito come

    forse nessun altro la romantica riduzione di tutto a sestesso, si uccise per possedersi, per consistere, per sot-trarsi ad ogni dominio e realizzarsi perfettamente. Egliscont cos con la sua vita serissima tutta una civilt. Dicontro allindividuo isolato, che sotto il peso di tante coseda risolvere con le sue sole forze, ha perduto la ducia

    ed divenuto decadentista o si eretto, per soffocare lacoscienza dei propri limiti, con straordinaria sovraec-citazione; la vita attuale cerca un principio dominatoredellindividuo, che lo superi elevandolo, e stabilisca in-somma un nuovo equilibrio fra autorit e libert. Raf-forzare nelluomo la persuasione che egli nellatto pu

    realizzare un valore che lo salvi dallisolamento, dal so-lipsismo e dal relativismo, il compito dellattuale civiltdel mondo. questa unispirazione veramente religiosa,perch lindividuo sa la sua insufcienza e cerca sincera-mente un qualche cosa che valga pi di lui e che posse-duto nellintimo con persuasione possa rafforzarlo nellafatica della vita e rasserenarlo. Luomo ha sete di questo,

    specialmente dopo che ha visto linterpretazione moder-na del liberalismo degenerare da tolleranza in indiffe-renza, da sviluppo nel meglio in acquisto della prosperit

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    materiale e ricerca di una rendita e del godimento.Si preso allora un oggetto che la storia porge cospicuo,interessante e in aumento di anno in anno: lo Stato poli-tico. Lo si sublima e lo si onora di una corona di attributisplendenti strappati alle vecchie Chiese. Si tenta di ogget-tivare la morale nello Stato, appunto per la tendenza aduna pi precisa consapevolezza di operare attraverso unalegge, di superare in un modo pi consistente latomismodegli individui naturali, sici. Allo Stato si d come fon-

    damento la razza e la tradizione, e si pone laccento sul-la prima o sulla seconda. Nel primo caso si fa afdamen-to sulla capacit inventiva latente nelle bre stesse dellaconformazione sica, nei viventi atomi del sangue e tuttoviene romanticamente afdato al gettarsi nella vita e nel-la lotta; nella seconda concezione si meno primitivi, e

    si rivendica una storia come propria in particolare e sin-daga (sempre con forzature e unilateralit) il passato, pertrarne pretesti ad operare sul presente. Ma n la razza nil blocco del passato di un popolo possono dare le interenalit della vita, che ha nuovi problemi e, pur poggiandosul contributo del passato, libera di proporsi il meglio.

    In quel modo lindividualismo non viene redento dalla ra-dice, ma proseguito e ingigantito in un superindividuo, ilquale non fa che ripetere in forma pi voluminosa e grossalaffermazione nietzschiana.Questo superindividuo non riesce a risolvere interamenteil problema. Se io debbo vincere le mie tendenze partico-laristiche, non per creare un particolarismo un po pi

    grande e quindi pi violento; tanto vero che non reggera lungo a ci; e il particolarismo dellorganismo pi grandedi cui faccio parte, far scuola di particolarismo al me pi

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    piccolo, e il mio egoismo si trover confermato. Bisognamutare la cosa alla radice; e solo cosi vi sar unefcaceliberazione e risoluzione in atto. Bisogna vivere la pro-pria individuazione ed ogni altra individuazione, classe osociet, di cui si faccia parte storicamente, come mezzi aservizio della verit, della ricerca del meglio. Rinunciarealla ricerca della verit, del meglio, di un dovere pi alto,di un amore pi profondo e pi vero in che consiste lanostra vita pi persuasa; come possibile, fosse pur utile

    al vivere comodo?Noi non siamo obbligati a sostenere come assolute le ideedei morti solo perch nostri padri e nostri nonni; e lope-ra, la ricerca nostra? Che cosa fecero essi se non modi-care continuamente la tradizione? La tradizione non undato, ma un risultato: un dato per gli accademici, un

    risultato sempre pi ricco e complesso per i popoli chehanno libert e persone ispirate. San Francesco non haarricchito la tradizione italiana? Ges Cristo era un tra-ditore? Ben pu, in questi momenti specialmente, essereaffermato il valore di tutta lumanit, il principio di vol-gere i nostri organismi particolari ad affermare qualche

    cosa di comune, e a sentire questa unit pi vivamente diquanto non accada allorquando si pensa di essere supe-riori agli altri. La vera superiorit in chi vive con tuttose stesso unidea pi alta. Uneducazione pi alta, eccoil primato. E oggi che per il materialismo dominante intante forme, si d valore massimo allorganismo chiusoe lo si vuole vivere come un bene supremo, la religione

    deve intervenire per aprire lanima, per favorire accordie comprensione, per aprire, mediante lamore, tutti gliorizzonti.

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    Libert sociale e liberazione religiosa

    Le organizzazioni umane pi sono vaste, e pi corrono ilpericolo di appesantirsi; non per questo bisogna disper-derle e tornare allindividuo isolato. Associazione laparola specialmente di oggi e di domani; il mito dellin-dividuo atomistico va dileguando; un senso di ampiezza,di compenetrazione, di scambio, apre lindividuo chiuso.Non si lieti soltanto di leggere il libro, ma che anche

    altri lo leggano. La vera unit non schiaccia le singole in-dividualit, ma le alimenta; e perci dentro le organizza-zioni bisogna suscitare continuamente il senso della veraunit intima, donde vengono tutte le altre forme: i vastiorganismi debbono tendere non a irrigidirsi e chiudersi,ma ad aprirsi a nuovi fermenti, a nuove esigenze, debbo-

    no favorire la libert.Le correnti politiche hanno piuttosto guardato alla li-bert esteriore di spostamento, e muovevano, il pi dellevolte, dallindividuo concepito come un essere che ha pernatura diritto allespansione in mezzo agli altri quandonon li urti nelleguale loro diritto. Linglese sente che

    questa la sua casa e il suo giardino, e quella la casa e ilgiardino di chiunque sia. Io qui, lui l: c la separazio-ne, il rispetto. Ma dal punto di vista religioso questo insufciente. Io voglio interiorizzare a me anche laltro,gli altri: voglio vivere un principio che gi, in me, supe-riore a me stesso e mi fa sentire vivamente la vicinanza,la presenza degli altri. Ecco luniversalismo di oggi, il ri-

    corso religioso. Allora il massimo valore lacquista que-sto intimo religioso di ogni atto, e affermarlo aprirsi,liberarsi dallindividualismo, sottoporsi a qualche cosa di

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    superiore, a una disciplina intima. Da questa liberazioneintima sorge lesigenza della libert sociale, non come undiritto (come se qualcuno ce la dovesse dare), ma comeun dovere: come dovere lesercitarla in s cercandostrenuamente il meglio, cos in mezzo agli altri, parlandoe ascoltando; chi vuol fare solamente una di queste cose,parlare, o ascoltare, tenta cosa folle.Lesigenza della libert , dunque, la diretta conseguen-za dello sforzo di liberazione intima: chi vuol soffocare

    quella, ecco che si d a distogliere da questa, dicendo cheil pi al mondo stato gi fatto, che pensare non crea chedolori, che il mondo quello che ; quando non aggiungaa queste ingannevoli teorie la sollecitazione degli istintipi bassi che, come noto da tanto tempo, sono tra gliostacoli pi notevoli della liberazione intima, chiedente

    limpidezza e attivissima buona volont. Qualsiasi indivi-duo, gruppo o societ anche vastissima, che non attiva ins la libert, che il suo respiro, si cristallizza e si avviaalla morte. Non c istituto che possa sigillare in s persempre lanima. Il ritenere che possa avvenire ci ripe-tere in altra forma il concetto che la natura sia un bloc-

    co assoluto; e ci ha dato origine alle Chiese ed agli Statiassoluti che hanno fatto sforzi enormi per nullicare adoltranza lanima, quasi che i morti possano rapire i vivi.

    La crisi delle religioni tradizionali

    Le religioni tradizionali non vengono pi sentite profon-

    damente; e le ragioni principali sono queste:1) In pi secoli di riessioni e di nuove esigenze, sono ap-parsi leggendari o inesatti quei fatti che di esse religioni

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    costituiscono i fondamenti storici.2) I principi e i dogmi, legati a certe posizioni losoche,si sono dimostrati insostenibili, appunto per il mutarsidelle concezioni losoche; le quali, pur nel loro varia-re, hanno seguito una linea di sviluppo che rende insuf-cienti le vecchie impostazioni e ne sollecita di nuove.Scriveva tempo fa un losofo italiano che dallUmanesi-mo si formato il dissidio tra religione e losoa, per-ch la prima afferma come essenziale la trascendenza di

    Dio, in quanto Spirito assoluto, dalla concretezza in cuiluomo vive. Ora la losofa moderna non deve ritenereessenziale alla religione la trascendenza; il dissidio vacomposto. La religione pu e deve rinunziare alla tra-scendenza nel senso realistico ed assoluto tradizionale:solo cos, anzi, sar possibile una rinascita religiosa. La

    rivelazione religiosa che salver la religione e riforme-r (o distrugger per rinnovarla ab imis) la Chiesa, verr(Carabellese).3)Anche nel campo particolarmente religioso si senteche il culto e i sacramenti, e la loro amministrazione daparte di istituzioni a ci deputate, non costituiscono les-

    senza della religione; che questa soprattutto spirito diverit e di amore in atto: si diffuso un certo fastidio peri privilegi, le investiture lontane, e si vuole vedere nellarealt delle azioni che cosa si fa e cosa non si fa.4)Le religioni tradizionali hanno preso un carattere pre-valentemente conservatore, e si sono appoggiate ai po-tenti; in tal modo si sono rese esteriori alle anime umili,

    alle ispirazioni religiose pi intime e pi disadorne, cheerano state proprio quelle che avevano suscitato le re-ligioni e spinto anche al martirio dinanzi ai potenti e ai

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    reazionari.Scossa perci la ducia assoluta nelle religioni tradizio-nali, si vuole tuttavia conservare e moltiplicare lessenza

    della religione: lintimit e lamore innito. Molti, e dei mi-gliori, si raccolgono, invece, in un modo di sentire che puchiamarsi etico politico: la realizzazione sociale cui ten-dono lordine e la giustizia, lintonazione stoicizzante.Vi molta civilt, vera coscienza della responsabilit; masi avverte che non basta. Lo Slataper scriveva prima della

    guerra mondiale: Tutta let nostra deve, contro sua vo-glia, ritornare a un valore religioso (amore) pi alto cheletico (volont), dalla cui assoluta affermazione era par-tita. Leticit pi assoluta guadagna dallaccendersi di unsofo religioso: lonest va portata al calore di fusione; lalegge morale, non perdendo nulla del suo comando, devesuscitare amore e farsi slancio limpido; dobbiamo esseremusica e non statua. Questo sembra un sogno, un qualchecosa di poetico; e credo invece che sia prova di lealismo. Visono forze potenti da fronteggiare, e solo unopposizionedal profondo e appassionata pu vincerle: unopposizioneche matura come un capolavoro di poesia. Oggi c bisognodi molto. E come la sensualit si domina meglio sostituendo

    allamore del piacere un amore superiore ma egualmenuteradicale, e sorreggente la razionalit; cos bisogna fronteg-giare tante tentazioni individualistiche o materialistichecon qualche cosa di potente; e porre perci alluniversaleetico un centro religioso, animare il disegnogeo-metricocon il disegno ornato, vivente. N a ci basta un tipo direligiosit generica, cosmopolitica, diffusa, atta soltantoa superare la mitologia e i dogmatismi: la religiosit lastoffa, la religione il vestito.

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    Seconda parte

    Religione

    Il dolore, il rimorso, il pensiero della morte sono sem-pre veri; ed qui che sorge la religione. I pessimisti sonopreparatori di religione: essi si portano allavanguardiadella coscienza umana, vivono profondamente il dolore,i limiti, e li segnalano agli altri rimasti indietro, stordi-

    ti dallattivit, inebriati dal primo momento del piacereo nel sonno opaco della sanit, come diceva il Boine.C sempre qualche cosa di tragico in noi; e la domanda:Perch mi hai abbandonato?, il necessario riacquistodel senso della presenza di Dio. Quanto pi io sento ladifcolt, tanto pi si annulla questo mio io nito che

    qui. E la religione difcilissima, quasi impossibile;perch troppa lamarezza, la possibilit di errare, e tan-ta la dispersione. La religione, invece, mi fa vedere chec ununit. Non c soltanto il dolore, ma anche un va-lore in questo essere presenti al dolore; non c soltantoil rimorso ma proprio questo rimorso lintravedere il

    bene e cominciarlo a vivere; non c soltanto il pensierodella morte, ma unesistenza immortale dentro questastessa esistenza in pericolo. E Dio non il dolore, il pec-cato, la morte, ma questa presenza reale, concreta, cheposso sperimentare in mezzo a quei limiti.Lucrezio sente la miseria degli uomini, e colloca gli deiassolutamente lontani e noncuranti; ma dov il centro

    della realt? In quei freddissimi dei, 0 nel suo animo cheha tanta ansia per la nitezza umana? Per liberare la ni-tezza bisogna esserle vicini; per guarire il male, bisogna

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    studiarlo, curarlo, quasi direi amarlo, non come male, maper il bene che nello studiare ed amare il male, cominciaa muoversi, a confortare, a svolgersi sopra il male. Quan-do la propria patria malata, non fuggirete lontani comegli dei di Epicuro, ma le starete vicini perch le vostremani e la vostra anima tutta si stendano sul male. Vivereun innito tutto innito, un bene tutto bene, una per-fezione tutta perfezione, un eterno tutto eterno, non desiderabile; e forse dei sensi e non di tutta la persona:

    un innito che viva costantemente oggetti, un bene ope-roso che aggiunga bene a bene, un amore per le singoleconcrete individualit, mi sembra veramente di pi, misembra che Dio raddoppi cos e moltiplichi il suo valore.Tutti i sommi attributi di Dio vanno avvicinati alle ni-tezze, attributi che spendono se stessi; c tutta una vita

    religiosa, piena di elementi che nella tradizione teologi-ca pi accademica venivano respinti o tenuti a marginecome accusati di terrenit in confronto di quegli attributiimmobili. Intimit e vicinanza sono cose ben pi impor-tanti di quanto si intende comunemente, una cosa vicinoad unaltra cosa, uno sorare, una tangenza di nito ad

    altro nito, e le cose restano due: intimit e vicinanza Dio innitamente aperto, Dio che si d. Se Dio nella suaessenza fosse scevro di intimit e di vicinanza, ancheluomo aspirerebbe a non fare i conti con il tutto e contutti. Posso dire che Dio sia grandissimo, come blocco ins immenso, come quantit; ma Dio che si d veramentepi grande, veramente innito.

    Perci lazione si pu intendere molto pi profondamen-te. Il suo valore fu intravisto quando essa volle reagirealle concezioni di un assoluto immobile come un blocco,

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    oggetto a cui non si potesse salire che con lestasi. Lazio-ne fu lestasi moderna, a riferimento soggettivistico. Mase lazione si sgancia dal suo motivo generatore, che lacoscienza e il superamento della nitezza, diviene spintain avanti, espansione materiale, azione per lazione, feb-bre patologica o meccanismo. E allora andr a sbatterecontro la coscienza risorgente di quei limiti, del dolo-re, del peccato, della morte. La religione ravviva questadualit insopprimibile che nellintimo, richiama ad una

    consapevolezza pi profonda, non toglie nulla, ma ag-giunge. I sommi attributi non vengono contemplati in s,cercando di vederli; ma si cerca di viverli, avvicinandoliin ogni azione intimamente a tutto e a tutti.

    La nostra fnitezza e le soluzioni religiose

    Noi sentiamo e pensiamo i nostri limiti (il dolore, gli erro-ri, la morte) e operiamo per varcarli; tutte le attivit sonodispiegate per non lasciarci spegnere. Quando la nostranitezza e il vincerla sono considerati come problema as, si hanno soluzioni religiose; e le principali possono

    essere raccolte in questi gruppi.Se le mie forze sono limitate, debbono esistere altri esseriche posseggano forze superiori, in grado di respingere lemie dentro i limiti; e poich io so che le mie forze sonosorrette da unanimazione che la mia in atto, anchequelle tali forze superiori mettono capo a intenzioni, bi-sogni, sfoghi, esigenze, a qualche cosa insomma di ana-

    logo a me vivente. Siano questi esseri animati dentro ifenomeni sici e atmosferici, ne siano pi staccati, sianoassociati ai morti non morti e trasferiti presso le forze

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    dominatrici della nostra nitezza; se vi sono questi es-seri, essi vanno interrogati e accattivati: si ha in tutte lesue forme lidolatria. Ma in tali concezioni la molteplici-t degli esseri divini trascende quella singolare intimitdellindividuo con se stesso, rispetto alla quale tutti queipotenti esseri hanno qualche cosa di estraneo, siano purevalidi nella realt complessiva della vita, nel Tutto: infondo si tratta di entrare con loro in un rapporto politico,giuridico, di prudenza, di abilit.

    Se la mia nitezza, ed ogni altra, continuamente mobi-le, e messa in pericolo in quello stesso positivo che par-rebbe avere, ed sommersa, come possibile constatareper tante altre nitezze allingiro, questa sar la sortedi tutte, perch non sono che apparenze fatte di nulla,e pronte a sfaldarsi nella loro essenza e verit che il

    nulla. Collocare in questo mare del nulla altri individuianche se pi potenti, non signica risolvere il proble-ma dalla radice, perch anche quegli individui sarannoin qualche modo limitati, si troveranno di fronte ad unacosa pi grande e pi vera di loro, il nulla. Lindividuo cos un elemento negativo, ed il suo annichilimento, lat-

    tenuazione di ogni moto, viene condotta con una grandemansuetudine quasi ad imitare la penetrante blandiziadel nulla. Ma pure un atto viene compiuto, sia pure dipiet, e questa piet qualche cosa, sia pure la sola cosa.E allora c soltanto il nulla se si guarda dal di fuori; ma sesi vive dal di dentro questa piet, essa ben reale.Vi un terzo gruppo di soluzioni: che laltro da me sia

    uno, il cui essere provenga da una profondit illimitatae ignota, ma che vicino a me si raccolga e prenda guradi persona. Egli maggiore di tutto. Io posso disperde-

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    re la tua vita, io solo. Questo monoteismo, ponendo Diodinanzi allindividuo in ogni suo istante, deve portaretutto al problema morale, visto che di ogni azione, nes-suna esclusa o distinta, lindividuo deve rendere ragio-ne a questa persona assoluta, onnipresente e scrutatri-ce. Pertanto, dal moralismo assoluto proviene il valoredellagire di ogni istante. Ci allena allazione, che diven-ta il punto dincontro delluomo e del Dio monoteistico.Ma se in ogni azione avviene questo, una considerazione

    speciale della persona di Dio in s e per s, un culto so-praeminente allaltro agire, si fa svogliato, inopportuno,superuo. Giunti a questo punto, del valore dellazione,il monoteismo tradizionale scosso per quei suoi ele-menti che impediscono di risolvere interamente lintimodellindividuo. Infatti, se oltre la vita mortale c un re-

    gno metasico, che del vero essere, luomo qui non pusperimentare il vero essere, e deve attendere; e nellat-tendere si raccoglie in s, ricerca se con le proprie forzepu acquistare quei beni. La liberazione che gli rimossatemporalmente e spazialmente, egli la vuole qui : il dua-lismo tra la nitezza e Dio nellintimo, non tra due vite.

    Portare tutto in questa vita, la rivendicazione operatadal naturalismo e dallo storicismo.Inoltre, nel moltiplicarsi della conoscenza di genti diver-se, e nel radicarsi di una stima generale per tutte le atti-vit umane, ci si convince sempre pi che quelle lotte asangue tra religione e religione, ciascuna difendendo unarivelazione e un complesso di fatti che la attestano, la

    interpretano e svolgono, sono qualche cosa di esteriorerispetto ad una pi reale unit, che va cercata non in unpunto della storia o dello spazio: il che non realizza las-

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    soluta intimit di Dio agli animi di tutti i climi e di tutti itempi, la vicinanza a tutti gli uomini, qualunque preghie-ra sussurrino e in qualunque parola si perdano, vicinanzae intimit alla buona fede di tutti. E pi di tutto il resto,mostra la sua crisi quellimmenso lavoro di descrizionee di denizione della suprema realt. Sopraggiunge lin-soddisfazione del descrittivismo teologico, se ne vedonole insufcienze, si polemizza (caratteristiche a questoproposito le controversie sullInferno e sul numero dei

    dannati o sugli angeli), si tentano altre descrizioni; nchquesto lavorio si ripiega su se stesso, indaga la propria le-gittimit; e si muta limpostazione: questa realt che noisperimentiamo azione per azione ha, s, continue insuf-cienze, e tuttavia realt che ci si trova sempre dinanzi:il superamento delle insufcienze sta nel trovare, senza

    evadere materialmente da questa realt, un modo di farei conti con essa, di fronteggiarla, di viverla, che ci facciavivere lassoluto, linnito, subito qui, senza infrangere ilcorpo o spazzare via la molteplicit con cui attuiamo lavicinanza. In tal modo lintimo nostro valorizzato tutto,e la nitezza pu essere superata.

    inevitabile, una volta rimosse le scappatoie metasichee costretti ad avere dinanzi il nito, questo dover prende-re un atteggiamento ad ogni istante in rapporto al nitoe vedere che in ci consiste il sogno di una vita superiore.Posta questa situazione come essenziale ed unica, vienefatta una constatazione che ha un valore notevolissimo:pur amando il tutto nel valore (bellezza, verit, utilit,

    ecc.) che continuamente unisce noi e le cose; si scoprequale rilievo straordinario acquisti laltro, che un esseresimile a noi, lessere umano, dietro la cui fronte si forma

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    un pensiero simile al nostro, forza e sofo eguale: quel-lo lessere della nostra coscienza, del nostro intimo; uninnito vive l unito alla vita che sperimentiamo in noi.Amare queste persone innitamente, vederle come cen-tri, compiacersi di ci, chiamarle dalla parte nostra, dinoi che viviamo, rispettarle e adorarle cos vita altissi-ma, un dovere. Ecco, dunque, come viene a rivivere innuova forma la tendenza alladorazione di molti esseri.Intesi quegli esseri, dei o demoni, come pi veri di noi, e

    potenti e capricciosi, il rapporto diveniva, come abbiamvisto, piuttosto politico, giuridico, utilitario, e latto ado-rativo, momentaneo. Messici, invece, dinanzi la realt,cose e uomini, apertici innitamente ad essa, ladorazio-ne si moltiplica. Non che si debba scomparire nellogget-to; ma latto presenza, vicinanza innita alloggetto,

    allalbero, al cielo, alla piccola cosa, agli esseri viventi.Linteriorit trionfa, si muove, e quando avviene profon-damente questo, la vita migliore, la pi persuasa. Nonsi pu eliminare la tendenza alladorazione di cose, di es-seri precisi; essa un segno del bisogno di concretare e didare interamente se stessi, di infondere nella razionalit

    con cui si pensa la realt, lamore per dei singoli oggetti.Soltanto che, in una persuasione religiosa come viene quipropugnata, loggetto non ha un potere irrazionale, ma-gico, superstizioso; loggetto termine innito di amo-re, di attenzione, di dedizione, di unit. Non solo verso ilsanto o luomo-Dio, ma per ogni essere umano, perch inogni essere umano lunit amore fa vedere qualche cosa

    di innito e qualche cosa di nito, un limite: ci sono deilimiti anche in Ges Cristo, in Buddha, in san Francesco;ma pur quei limiti non impediscono un amore innito

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    per loro, amore di qualit non diversa da quello che siprova per un mendicante ed anche, essenzialmente, perun tristo. Questa unit amore la forma attuale dellado-razione per le persone concrete, dinanzi a noi, lontane,morte, ma sempre concrete. Prima di ogni parola, primadi ogni altro fatto, io sono legato a loro; nel sentirle sem-pre presenti, vivo e svolgo concretamente questa unitamore, questa adorazione che lintimo del mio atto.Ma in tal modo sperimento una vita che qualche cosa

    di pi della mia nitezza: aprendomi a tutto e a tutti, vi-vendo lintima unit amore come sostegno della realte dellavvenire, questa unit monoteistica non la sto adescrivere e teorizzare, ma la vivo concretamente: la te-ologia teogonia in atto, da vivere. Viene cos scansato ilpericolo che sopraggiunge quando scade la fede in un es-

    sere della storia presentato come assoluto, di sopra a noitutti, o in unistituzione di questo genere. Subentra allo-ra lindividualismo: lindividuo non sente che se stesso;lentamente, attraverso crisi, dovr trovare in unintimitmaggiore di prima, Dio. Ma a questo punto bisogna arri-vare, non fermarsi allindividualismo. Compreso che lo

    spazio e il tempo non sono qualche cosa di assoluto, masono sottoposti allo spirito in atto; che nellintimo dellacoscienza pu esserci qualche cosa di superiore ai nostrierrori e ai nostri limiti; che il dolore non tutto dolore,ma presenza di Dio; e compreso quale sforzo possiamofare per portarci a ununit amore che la persuasionereligiosa; si vede chiaramente che il signicato essenzia-

    le del monoteismo permane: quella tensione di ogni attoda sentire come centrale della realt innita.Ed il senso del nulla si mostra meglio in tutto il suo valore

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    religioso. di l che bisogna passare: quel senso del nulla la coscienza della nitezza di tutto, di unombra, di unlimite che si insinua in ogni punto; e non esiste innitointangibile che non debba continuamente spezzarsi, sof-frire, amare, sentire che ci sono dei limiti, e vivere questilimiti nella profondit pi viva. Certo, non possibile at-tuare un assoluto nulla immobilmente, che un termi-ne di immaginazione; ma questo confrontare ogni cosacon il nulla, questa operazione instancabile nellimpedi-

    re il gonarsi ad assoluto di una nitezza, atto religio-so perch recide ci che vorrebbe prendere una radiceesteriore, naturalistica, di orgoglio, di incosciente prete-sa ed assolutezza; e come atto religioso riconduce tuttoallunica sorgente che il sofo intimo, da cui non si pufuggire e che, puricandolo instancabilmente, si rida a

    noi come presenza di Dio, dopo il dolore, rasserenatrice.Perci questa morticazione da compiere ad ogni istanterende pi facile ladorazione della molteplicit dinanzi anoi, apertura della nostra vita, e fa meglio avvertire lapresenza di Dio al centro, monoteismo concreto.

    Ges Cristo

    Che Ges Cristo sia vissuto e abbia fondato qualche cosadi nuovo, che la sua profonda passione per i limiti moralie religiosi della sua gente abbia avuto la forza universale,assoluta di trascenderli, demolendo la vecchia religione,instaurandone una di maggiore ampiezza e di pi pro-

    fonda intimit, che con lui venga in prima linea il valoredellintenzione e del dolore, e che perci egli affermi ilvalore della coscienza e dellamore e della volont crea-

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    trice oltre il mondo della natura, vero e verissimo. Cheper di pi, egli vada concepito come uno che queste cosele ha vissute, sofferte e incise per sempre nellumanit, altrettanto vero; sebbene a qualcuno sfugga questa se-conda cosa che , invece, importantissima. Egli ha reden-to realmente, perch quello che diceva lo viveva, ne erapersuaso innitamente, lo sentiva come una realt edattuava perci quella realt. Non bisogna lasciarsi sfug-gire questo punto e crederlo esclusivo della concezione

    cattolica: ci si troverebbe in una posizione precristiana.Ges Cristo con latto suo intimo, con la sua persuasio-ne, ha realizzato la liberazione di tutti; perch lo Spirito uno, e quello che fa uno vale per tutti, attuazione.San Francesco che sentiva profondamente (e cio inni-tamente, come la persuasione o la fede che non ha una

    riserva che la distruggerebbe) lunit delle creature nelladipendenza da Dio, era leffettiva unit di Dio con essecreature, e la redenzione in atto dalla loro molteplicited esteriorit luna di contro allaltra. Latto persuaso at-tua il valore universalmente. Che esso poi sia conosciutoe diffuso, ci non conta nellessenza: in ogni punto vive

    tutta luniversalit. Il male, vinto in un punto, ha perso lasua assolutezza: quando giunge lora, quellora , anchese gli orologi tardano a suonare. Non viene perci tol-to essenzialmente nulla a Ges Cristo, se questo valoreuniversale e redentivo e superindividuale viene ricono-sciuto ad ogni atto, e moltiplicato per ogni coscienza, che appunto presenza di Dio nel mondo, e come apertura

    per cui Dio parla ed opera. Ges, che visse in quegli annie in quei luoghi, non viene risospinto tra la folla grigiaprereligiosa, che non sa dove va, che non sperimenta Dio;

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    ma si compie invece unoperazione contraria: viene mol-tiplicato per tutti quello che la religione tradizionale hafondato per lui soltanto. Ci conserva lessenza e salvadallidolatria. Poich viene riconosciuto che anche GesCristo ha i suoi limiti umani, il suo essere uomo, comesan Francesco, Buddha, Beethoven; che vi son cose chenon ha detto o non ha fatto o fatto in modo diverso dacome noi ci convinciamo oggi di dover fare (pur aven-do per lui il massimo rispetto e rinnovando uninnita

    gratitudine); insomma fu anche lui, come tutti, un esserecon certi limiti; ma daltra parte fu in lui, come in ognialtro essere, la qualitdella coscienza che va oltre i limiti,e che in lui come in un mendicante. E possiamo amarelui innitamente, come ogni altro; attuare la vicinanzaa lui, sentirlo compresente al nostro atto, e trarre bene

    da ci. Egli immortale come ogni altro, e vicino; e lareverenza per lui non ci impedisce daltra parte di stu-diare, esaminare la sua storicit, di chiarirla liberamen-te, senza prendere tutto per oro o fare sforzi di apologiaper trovare in lui tutto unito e perfetto e assolutamen-te superiore. La difcolt di scegliere uno od altro nella

    storia esclusivamente come Dio, produce quella idolatriadogmatica che non vantaggiosa per lapertura innitae lelevazione dellanima religiosa: il buono dellidolatriaviene conservato nelladorazione delle anime e nel rico-noscimento del valore redentivo di ogni atto; e si evita lasuperstizione e il miracolismo.Noi vediamo che cos si viene preparando una base ben

    pi larga alla religione, rinunciando alle innumerevolilotte su tante prerogative e al misconoscimento del valo-re della responsabilit e della ricerca operata dai singoli

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    dovunque si trovino. Riconoscendo la centralit dellat-to, le rivelazioni religiose sono interne ad esso e lo hannoalimentato, come sempre avvenuto ed avverr. Vieneconservata la responsabilit centrale e lunit; anzi nonsono mai conuite in uno con tanta purezza, sgombran-do ogni altro elemento esterno.

    Vicinanza di Dio

    Si suole porre in antitesi Dio e il mondo; appunto perchquando diciamo mondo, intendiamo cosa limitata, nita,un particolare a cui manca qualche cosa. Al mondo real-mente manca sempre qualche cosa; che la vicinanza diDio, lintervento attuale, non derivato e dipendente dallecose, ma innitamente libero, imprevedibile. Tutto ci

    che noi consideriamo come reale, un sasso, la vita, le stes-se formulazioni intellettuali, le stesse riessioni religio-se, lo spazio, il tempo, le cause, la causa delle cause, og-getto, ed cosa incompleta, senza la vicinanza di Dio chegli si ponga attualmente, e noi siamo presi fra leterno eil tempo; e se tendiamo ad abbandonare uno dei termini,

    accade che ci stringiamo al mondo e alla vita individua-listica, obliando di dominarla con un principio che valgaper tutti, e perci lasciando la guida al piacere e allutile;oppure ci stringiamo a Dio, togliendoci di dosso il mondo,gli altri, come se in quel ssare luno si possa fare a menodi spezzarci quotidianamente in azioni determinate e re-sponsabili. Se penso Dio a s rispetto al mondo, anche il

    mio ideale diverr questo; se Dio vicinanza al mondo,io rester al mio posto di azione, e la vita religiosa consi-ster nel portarmi continuamente dalla mia individualit

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    naturale -che una fra tante - a quel centro, a quella per-sona, che non persona tra le persone, ma persona per lepersone. Il mondo non tutto, ma non nemmeno nulla; una molteplicit di cose nite alle quali Dio vicinanzaassoluta. Io che sono qui a risolvere il problema della miavita, non posso accontentarmi di dire che le cose sono, didire del passato :ei fu; e fermarmi assolutamente a ci.Scende lassoluta vicinanza nel momento attuale: sentoche anche pensare un fare, un parlare in silenzio, un

    aprire il mio animo, un avvicinarmi anche agli astri, an-che ai morti. Nella religione sento consapevolmente chequesta vicinanza la stessa presenza di Dio; e il passatosenza questo intervento, sarebbe cosa morta e oscura; ed da questa vicinanza e intimit che io posso trarre ideali,direttive per agire, che non trovo scritte nel passato.

    Cos intendo che la relazione tra Dio e il mondo non unarelazione di forza, come pu concepire il primitivo cheidoleggia la forza sica, e pensa che per scrollare con iterremoti la terra o per vibrare un fulmine che solchi glispazi sia necessaria una forza superiore; ma il centro del-la relazione tra Dio e il mondo vicinanza, cosa che sem-

    bra la pi piccola di tutte, la meno dimensionale, ma co-scienza. Certo, da un punto di vista storico, quel parlaredi straordinaria potenza, di quantit sovrumana, se agliocchi nostri sembra una specie di gara tra linnito e il -nito, ha alimentato nellanimo del credente un sentimen-to importantissimo, lumilt del nito. Noi pur possiamosperimentarla (e tale la religione), constatando ad ogni

    momento limperfezione della nostra vicinanza al nito,lavvicinarlo da nito a nito, che toccarlo in un punto,non interiorizzarlo, non viverlo con persuasione: cono-

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    sciamo una cosa, una persona, credendo di trovarla, che la nostra impressione sentendoci esseri niti; se invecela cosa, la persona, io lamo, la studio, la interiorizzo, per-do il senso dellurto, di averla trovata, e cos mi porto dal-la mia nitezza a qualche cosa di pi intimo e pi largo;se cos non avviene, difetto di amore, di universalizza-zione, insufcienza nel riportarmi a quel centro, a quellaforma in cui tutto contenuto nei suoi singoli e concretie niti aspetti. Debbo trasformarmi in persuasione, cio

    portare tutto il contenuto nella mia anima, che mostracos la sua innitezza: vicino anche a tutto luniverso, vi-cino al lo derba, il vero innito da porgli accanto non un altro universo, ma la coscienza appassionata, che siatutta vicinanza. Questa persuasione di ogni contenuto, eanzitutto dei miei limiti come essere sofferente e pecca-

    tore, , purtroppo, saltuaria, debole; ma quando c, non pi uno sguardo che sia come un urto, di cosa controcosa, una conoscenza fredda, quasi un misurare con lemani tese e gli occhi chiusi. Ho il rimorso, ma con la co-scienza attuale del bene visto come liberazione e gioia;e la coscienza pi libera, pi innita, quanto pi prova

    dolore per il peccato, per il male dovunque sia: libertspirituale che sta, dunque, allopposto dellinsensibilit opigrizia: libert di provare il dolore, di conoscere lerro-re, ecco la vicinanza, la redenzione di Dio.La dualit tra Dio e il nito interna: non posso coglierlache nella coscienza, che si pone dinanzi tutte le nitez-ze che si moltiplicheranno; e tutto rientrer fra esse, un

    nuovo continente, un nuovo essere. Ogni atto scopertadi nitezze, e vedendole come tali, si capisce sempre me-glio che c la vicinanza di Dio, poich la nitezza da s

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    sarebbe insufciente. Dio il miracolo continuo. Si dir:se continuo, non si sente pi il miracolo, lo stacco; ma vi lo stacco, e quindi il miracolo: soltanto che, non in unfatto pi grandioso o eccezionale rispetto allordine deifatti consueti; il miracolo sta in questo, che senza di lui lecose nite, i limiti, si disperdono e muoiono astratti; conlui vivono nella coscienza, in una relazione consapevo-le. Questa la costruzione intima della realt, non quellache vedono o vorrebbero i materialisti in un attivismo

    che ha scarsa coscienza della relazione religiosa intima.Che tutto ebbe la sua ragione, e che ciascun individuo inogni situazione esplic un compito che va oltre quel mo-mento passato e quelle pretese e si inquadra, invece, inuna ragione sempre pi profonda, come una sola cosasu cui scende lattuale vicinanza di Dio. Nel passato tutte

    le cose appaiono a un proprio posto, tutte nitezze, sen-za lassoluto che non pu esser l, poich gli manchereb-be lanima concreta, in atto, che si pone un dovere, unideale. Tutto ci che passato, senza il centro presente astratto; perci limportanza dellatto, del dover essere;fummo peccatori, ma possiamo ora redimerci: il passa-

    to, anche preso tutto insieme, non ha la capacit di pro-durre tuttoil presente, compreso lanimo nostro: ad unatentazione Dio presente pu sostituire unispirazione.Limportanza fondamentale dellintimo ci libera dal con-cepire uno svolgimento come unevoluzione naturale,come un divenire. Lo Spirito non una cosa che si svolgedavanti ai nostri occhi, come fosse un ume: questa una

    concezione naturalistica dello Spirito; perch fa a menodel centro che lintimo, latto, per cui passa il tutto, e incui nel dover essere viene idealizzata tutta la realt. Se

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    il tutto si svolgesse da s, non avrebbe luogo parlare didovere, di coscienza. Ma Dio non essere, Dio scegliere:di Dio non si fa storia, perch lo si vive solo nel presentee nellatto che dallintimo.Che Dio sia nel passato (senza il presente) come direche sia in un oggetto preso dinanzi a noi nello spazioe nel tempo; e allora resta fuori, come non necessario,lintimo della nostra coscienza, il centro. proprio qui alcentro che c il dualismo. Dio coscienza inesauribile del-

    la nitezza, presenza assoluta al dolore, proprio al lettodel sofferente, proprio nellintimo della presenza a quelfatto, Dio che rinunzia allestensione per farsi puro darese stesso, amare innitamente, redimendo rasserenando,ecco Dio che dallintimo si apre, ed ecco che io vedo an-zitutto i miei limiti (e li vedo anche nella gioia) e i limiti

    di tutto: amando, interiorizzando, mi porto (ad ogni attoe come dover essere strenuo) a vivere in Dio, appuntoperch egli gi mi si pone accanto; e sento che essenzial-mente mi porto a vivere non come quantit, a masse diconoscenze e di azioni, ma come qualit, come interioriz-zazione di tutto e di tutti, come vicinanza che , nella sua

    essenza, priva assolutamente di dimensioni.Come Achille piuttosto che re dei morti vorrebbe esseremisero, ma in vita; cos pi che la grandezza, voglio chelanima sia umilmente con Dio, si porti al centro, vivendouna molteplicit di doveri e di individui, cogliendo le coseal loro sorgere, non accettandole come uenti da unori-gine ignota o giacenti in eterno, ma vivendole nellinti-

    mit e nella vicinanza: mediante lintimit e la vicinanzaaffermo il centro della realt. Tutto il lavoro della storiaprima di me, mi dice che questo possibile; un tempo si

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    diceva che non era possibile, che bisognava aspettare lamorte. Oggi, io morr ad ogni istante per risorgere conDio, al centro della realt. Ebbene, anche la losoa ci hapreparato a questa ducia, a questa rinascita religiosa.E poggiando sulla coscienza, sullo spirito, sullatto inti-mo e fondamentale, che si pu intendere quanto siamoriusciti a rendere intimo a noi il senso di Dio. Noi, nellanostra coscienza, conosciamo i nostri errori, la nostra in-sufcienza, e vogliamo instancabilmente il meglio, una

    legge pi alta, unespressione in cui possiamo megliomettere noi stessi: lespressione di ieri ci sembra oggiincompleta, limitata, e ne tentiamo oggi unaltra che cisembra completa, in cui cerchiamo di mettere tutto delnoi stessi di oggi. Dunque solo dalla parte della coscienzache pu avvenire il superamento del limite. S, talvolta

    noi disperiamo: ci sentiamo disgustati e stanchi di noistessi, diciamo del nostro io quello che Natanaele disse aproposito di Ges (Da Nazareth pu venire qualche cosadi buono?); e allora muoviamo intorno a cercare, e lalbaci sembra migliore del nostro animo tentato, e un qualsia-si essere o cosa o libro o altro che sia, ci rinfranca, ci aiuta

    a superare il dolore. Ma tutto ci si lega in uno con la no-stra coscienza, con la presenza di Dio. Senza la coscienza,senza questa centralit, ci non avverrebbe. Tuttavia, iocome individuo non sono mai assolutamente persuaso dicollocarmi effettivamente al centro della realt. Dio inme, ma debbo cercarlo, e non sar mai un oggetto, ma alcentro degli oggetti, dalla parte dellintimo.

    La vita morale ricerca del bene, di quello che si devefare, e che si trova pensando, appassionandoci nellaspi-razione a realizzare un valore. Questa ricerca alimenta

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    la coscienza del nito, perch in tale opera incontria-mo continuamente i limiti. Perci al centro delleticit la religione, lumilt assoluta del singolo individuo chevede scendere in lui la luce del bene, sente la persona diDio che lo trae innanzi, lo salva, malgrado tanti limiti.Lattuarsi della vicinanza di Dio ha il suo centro, non ilsuo cerchio chiuso, nella religione, perch dappertutto sisente il limite di qualche cosa, si ama qualche cosa, si su-pera lerrore, si cerca di fare meglio. Tutta la vita che non

    chiamata esplicitamente religione, come arte, scienza,politica, ecc. necessaria alla religione, perch proprioil terreno che somministra il contenuto, le occasioni, av-viva lamore per il meglio; la coscienza del nito si fa picomplessa, e lumilt, la gratitudine, si moltiplicano. Ap-punto perch Dio non un quidassolutamente a s, ma

    centro concreto, forma formante nella vita. dalla parte dellintimo che Dio si fa persona, e svolgelinnito miglioramento, linnito valore in mezzo allarealt. Quelli che concepiscono Dio come somma bont,bellezza, perfezione, potenza, ecc. non debbono sentirdiminuita la loro concezione: non si tratta di sperar di

    vedere, di cogliere con un atto, di abbracciare tutta quel-la unit di attributi, come un serbatoio; ma di sentire cheessi attributi si svolgono, operano nella realt, si spezza-no in azioni, in amore. Bellezza che si spezza in atti ar-tistici, bont che opera in innita misericordia nei casiconcreti. E ci dallintimo della coscienza; dunque Dionon da contemplare, ma da vivere in atti, da agire. Nel

    meglio, nel valore intrinseco di ogni azione, Dio scende,si particolarizza, ci sorregge; e oda tutto, ma dalla partedellintimo, non dalla parte dellesterno. Non ci d il do-

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    lore come dolore, ma lanimo con cui lo dobbiamo vivere;il dolore come ogni altra cosa, come un sasso, contenu-to: Dio ci d laforma, cio quella serenit, quella purica-zione, quella presenza di s che come ci che avvolge evive il dolore. Cos, proprio nellaccorgerci dellerrore, cla consolazione di cominciare a scorgere e vivere il bene;e v un certo sollievo, per lo meno, intimo, tutto nostro;anche se fuori, e pu essere nel corpo, continuano leconseguenze storiche dellerrore. Quando sentiamo che

    viene la nostra morte, anche quella non lassoluto, maun contenuto; e noi in quel momento non compiamo cheun atto, come facciamo sempre: latto la forma, il mododi affrontare la morte, che una delle testimonianze deilimiti come sono stati prima gli errori, le sofferenze, etante impossibilit. La forma con cui viviamo concreta-

    mente la morte, atto, presenza reale di Dio. Se nella no-stra vita ci siamo abituati in religione a trascendere inti-mamente la nostra individualit particolare, a portarcinel centro della nostra stessa anima e di tutta la realt, ditutto e di tutti; e possediamo meglio, persuasivamente, ilvalore universale e superatore dellatto, sgombri da ogni

    idolatria oggettivistica; ci riuscir pi sereno quellatto- davanti alla morte - perch ci sentiremo gi trasferitidi qua dal considerare i nostri limiti come qualche cosadi terribile, insuperabile e assoluto; assoluto sar invecelintimo dellatto, la celebrazione della presenza di Dio

    La preghiera

    Lessenza della religione la coscienza appassionata del-la nitezza. Ci si riporta alla religione ogni volta che ci si

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    riporta a questa coscienza; e perci sempre latente laconfessione di una nitezza, di un limite. Quando pian-giamo, sentiamo un limite, e il pianto sorge perch nonpossiamo amare pienamente; e tutta la mia vita un pian-to nascosto: quando esso si fa espresso, sento che non che una continuazione, che un riassumersi pi evidente.Dal dolore alla religione: qui invoco di poter vedere tuttoalla presenza di Dio, che cio il dolore sia il contenuto,soltanto loccasione, ma la forma vivente nel mio animo

    sia Dio, persona di Dio fatta persona mia; che pur piangaper i limiti, per gli errori, per le occasioni dolorose, manel pianto schiuda un rasserenamento, nellumiliazioneuna certa gratitudine per una presenza di bene. Questoinsieme di umilt e di amore la preghiera: con essa vie-ne messa a fuoco, ssata nei suoi elementi, la posizione

    religiosa. La preghiera la discriminazione dei due ele-menti fondamentali della nostra vita: la nitezza e qual-che cosa che sopraggiunge a redimere la nitezza. Pi viva questa coscienza, e pi la preghiera viene assorbi-ta nella vita di ogni atto: pi la perdiamo, e pi abbia-mo bisogno di ritrovarla attraverso un atto esplicito. Le

    religioni tradizionali che culminano nella posizione tra-scendente di Dio, culminano, appunto, nel culto e nellapreghiera, per varcare il pi possibile nel trascendente,oltre le azioni, oltre la molteplice esperienza. Ma se Dio in capo allagire, se Dio del fare, in cima al vedere e nonallesser visto, Dio volto alla molteplicit, latto religioso appunto questo, di esser volti alla molteplicit, con la

    massima consapevolezza, apertura innita dellanima,amore religioso. Ma esso trova limiti, sperimenta insuf-cienze, ostacoli; e perci si viene concretando di umilt.

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    Noi siamo insufcienti; il mondo pieno di dolore; dietroad ogni cosa e ad ogni giornata c una sofferenza: chi che sentendo questo, non attesta la propria umilt? Mapi questa appassionata, e pi c entro una vicinanzasuperiore; in modo che, quanto pi prendiamo su di noiil dolore, tanto pi si desta in noi un amore che non at-taccamento, ma puro, un rasserenamento persuaso, po-sitivo, un innito in un atto di sentimento, pur tra lama-rezza e le lacrime: non v cosa pi alta di questa, persona

    di Dio, che appare nellintimo umano, in chi sperimentail pi profondo dolore, com nella madre disgiunta dalglio, abbandonata dallo sposo.Nella preghiera ci riportiamo da un momento tragico allacoscienza della presenza di Dio: se il domani, se il mo-mento successivo non una meccanica conseguenza di

    questo attuale, se c limprevisto, se qualche cosa scendein noi, e dallanimo pu farci vivere diversamente tutto;chiediamo dalla novit, dallabbondanza, dalliniziativaassoluta di Dio, che nel momento successivo ci traggameglio dallerrore, ci faccia capire ed amar meglio tuttonella sua presenza, che egli si faccia persona nostra; poi-

    ch nel dolore, nel peccato, nella disperazione, temiamoche cos non sia. Realmente ben lui che mi d anchelispirazione della preghiera, dello scorgere i miei errori,del provare lumilt; e perci nella preghiera, pi o menoesplicitamente, ringrazio sempre, perch riconosco chequel bene che mi vien dato (e pur mostrandomelo lonta-no da me, mi viene in certo modo dato, presentato, fatto

    intravedere), se non altro la possibilit di vedere lerrore,se non altro lumilt, presenza di Dio. Ma poich egliispirandomi la vita religiosa, dandomi la forza della ve-

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    rit, indirizzandomi ad ogni amore del meglio, ad ognicosa particolare, nel lavoro, nellatto della correzionedi una parola, nel chiarire un pensiero, nel vincere unvizio, mi conduce innitamente allazione; restare nellapreghiera (se fosse pure possibile) sarebbe un errore re-ligioso; e forse celerebbe il gusto di soffermarmi sulla miaindividualit, di palparla anche se dolente. La preghierapu esser fatta di passaggio, per riportarci ad agire conuna pi chiara consapevolezza che alla vicinanza di Dio

    va attribuito il bene. E appunto perch Dio sta a capodellagire, non supplico un perdermi in lui come quantitimmensa, ma che la sua vicinanza sia leffettiva direttricedi ogni mia azione anche modesta, superatrice della mianitezza che tende a chiudersi. Nella preghiera non par-lo realmente di Dio, ma parlo di me da un punto di vista

    sincero, appassionato: nella intimit, che dualit, sonoudito.

    Premio e pena

    Il valore dellintimit mi rende consapevole di una testi-

    monianza sempre presente a me stesso, al mio soffrirenascosto, ai miei errori, al mio buon volere che ispiraazioni misconosciute. Tutta la nitezza a mano a manoche si dimostra, presente alla verit che in me. Io so lamia nobilt e le mie vilt; e per quello che non so, non po-trei da nessuno essere accusato legittimamente. E questaconsapevolezza del mio vivere, quale non lha esplicita-

    mente riguardo a me nessun altro essere, non muove dame come atomo, ma da quella intimit innita di cui hodiscorso nora. Questo mi basta. Nello svolgersi del mio

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    vivere avr una pi profonda consapevolezza sia dallin-timo vero e proprio, sia attraverso nuovi avvenimenti ealtrui critiche e risultati ed altro insomma, ma tutto do-vr metter capo ad un atto per cui consapevolmente faril bilancio, il giudizio, e in buona fede, cio senza mentirea me stesso. Questo giudizio che continua ricerca (chedeve avere un qualche valore, altrimenti le manchereb-be il punto di appoggio nascosto, ma necessario), allostesso tempo sapere di s e speranza di migliorare. Cer-

    care un premio, temere una punizione, sono elementiestranei: debbo nellintimo stesso trovare la liberazionedal dolore. Anche per le religioni che promettono la fe-licit, non si diventa meritevoli di questa felicit in ri-compensa del dolore, se non si fa un atto di fede, se nonci si appoggia non pi al dolore come assoluto, ma a Dio,

    ad altro insomma che non sia il dolore. Cos per la virt,la consapevolezza interiore di averla vista praticare dame stesso, consapevolezza sempre fondata su qualchecosa di pi dellindividuo, come si suole dire premio ase stessa, non immediatamente, ma attraverso Dio chenella persuasione religiosa apprendo vivere vicino a me.

    Il riconoscimento non pi trascendente, ma presentee attuale. Posso fare la dichiarazione dolente dei mieierrori, posso chiederne perdono a tutti; ma quando nonavvenga questa esuberanza che laspetto psicologicodel darsi religioso, o quando ci non possa avvenire, lavicinanza dellintimit innita e perci non pi atomicaal nostro agire liberazione effettiva, premio e pena: il

    monoteismo concreto operando, rafforzando questa per-suasione, unattuazione efcace e calda di quello cheera stato enunciato dai moralisti, che la virt ha il premio

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    in se stessa; non, dunque, per una compiacenza indivi-dualistica, ma per opera di Dio vivente vicino e intera-mente vicino ai nostri limiti. questa persuasione che vaposseduta.Nella religione approfondisco la consapevolezza che lat-to opera centralmente nella realt: come sento che cunesistenza pi profonda che lunit amore su cui pog-giano tutte le singole individualit, cos sento che parlaredellattivit del tale o del tal altro, non tutto: possibile

    toccare un punto pi profondo, e allora lattivit mia vaa tutti. Un premio personale speciale una tentazioneindividualistica, che nei momenti di persuasione inni-ta non pu essermi presente. E dovunque vedo il male,provo il dolore per colui che lo compie, perch so il dolo-re che provo io per la coscienza degli errori commessi edella mia continua possibilit di errare: quella degli altrimi rattrista come la mia. Cerco di migliorare laltro, ini-ziando in me la liberazione, spendendo anzitutto me nelbene, vincendo laltrui male col bene che posso operareio.

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    Terza parte

    La morte e lunit amore

    In religione vinco continuamente la tentazione di chiu-dermi nel gusto della mia esistenza particolare indivi-dualistica; e mi porto a sentire diversamente lesistenzastessa come anima, amore per ogni altra esistenza uma-na, vivendo ci che ci unisce, lunit di esistenza. Se io

    compio ci in tutta la direzione degli esseri umani, nonfacendo nessuna eccezione, la mia esistenza lesistenzaumana: quella vita che io credevo cos stretta a me, lavedo estesa illimitatamente e sostegno di ogni altro es-sere umano: vivo proprio in atto, qui, sostanza della miasostanza, il centro della loro vita. Gli esseri che io penso,

    che io mi p