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2014, ITI Edizioni, Milano

Collana

SAGGI

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Sei un genio

Autore: Pier Luigi Lattuada ©

Direzione scientifica: Pier Luigi LattuadaProgetto grafico, impaginazione: Ilaria CislaghiRedazione e curatela: Ilaria Cislaghi, Patrizia Rita Pinoli

Immagini nel testo: Pier Luigi Lattuada © Disegno in copertina: Claudia Castiglioni - www.claudiacastiglioni.blogspot.com

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altro senza l’autorizzazione dell’Editore.

© ITI Edizioni, Milano, 2014c/o Integral Transpersonal Institute Via Villapizzone, 26 - 20156 Milano tel.: 028393306email: [email protected] www.itiedizioni.com

Prima edizione Saggi: febbraio 2014

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Sei un genio

Pier Luigi Lattuada

Rilassati e goditi la vita

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Capitolo I 1. Voce 10 Capitolo II 2. InterruzIone 12

Capitolo III 3. GIudIzIo 15 Capitolo IV 4. dIaloGo 27

Capitolo V 5. alba 46 Capitolo VI 6. Monte 55 Capitolo VII 7. desIderIo 70 Capitolo VIII 8. aMore 78 Capitolo IX 9. specchIo 85

Capitolo X 10. paura 87

INDICE

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Capitolo XI 11. scIenza e coscIenza 102

Capitolo XII 12. seconda attenzIone 124

Capitolo XIII 13. IncantesIMo 136

Capitolo XIV 14. MonoMIto 147

Capitolo XV 15. Modo ulterIore 153

Capitolo XVI 16. seGreto 157

Capitolo XVII 17. rIsVeGlIo? 164

Capitolo XVIII 18. potere 177

Capitolo XIX 19. GIardIno dorato 185

Capitolo XX 20. psychè 254

Capitolo XXI 21. caMpo e Intento 263

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Capitolo XXII 22. uroboro 274

Capitolo XXIII 23. sorGente 288

Capitolo XXIV 24. dIfferenze 300

Capitolo XXV 25. oltre Il Velo 305

Capitolo XXVII 26. non due 318

Capitolo XXVIII 27. serMone dell’assenza 324

Capitolo XXIX 28. Io sono quI 330

Capitolo XXX 29. rItMo 341

Capitolo XXXI 30. Il MetaloGo della MontaGna 358

Capitolo XXVI 31. arMonIa 368 bIblIoGrafIa 384

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Capitolo I

1. Voce

Monte Carmel è un bel posto, ma non a tutti piace. C’è chi lo trova troppo selvaggio, cacciato là in fondo alla vallata ai margini del bosco, sulla riva settentrionale del torrente che scende dal Gottero.Il torrente, appunto: un greto sparso, abitato a iosa da massi di tutte le misure, disposti nelle guise più strane che si spingono fin dentro il verde. Un verde massiccio, invasivo, padrone dei pendii scoscesi dei monti che si rincorrono dapprima tondi, per poi farsi più aguzzi oltre la vista, lassù in direzione sud-est, oppure accovacciarsi a ovest verso il mare.Tra il greto e il verde, le acque. Bianche e sane, quasi fossero la Ganga poco dopo Gangotri o a Rishikesh o Haridwar. Acque racconto mai quieto di storia, acque Jacuzzi per i corpi coraggiosi di alcuni avventori della fattoria, acque di maggio dilagate a pozza per ospitare il guizzo di giovani, guardinghe trote, acque bianche riflesse in cielo, cielo cobalto e bizzarre nubi e la notte manto di mille splendidi soli.La notte, appunto. La notte sullo Stora a giugno riverbera il folle incanto di sussurri ignoti, ti prende alla gola con un silenzio così zitto di sorrisi da farti pregare il tuo Dio perché ti aiuti a non dimenticare.A volte se ti siedi al limitare del bosco, sull’ultima pietra prima delle acque e ti lasci scrosciare dallo sciabordio dei giusti, ti sembra di sentire una voce; per la verità ti sembra anche di scorgere una sagoma tra il fogliame di ontani, salici e lauri. Una sagoma scura per via del buio, che assume le più svariate forme, ma che splende di un chiarore tutto speciale, difficile da descrivere, come brillasse di luce propria. Una luce che sgorga dal buio, compare e scompare secondo tempi scanditi da un ritmo imprevedibile; una luce che, quando scompare, a volte svanisce in mucchi di fosforescenti palline

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Capitolo I

colorate, anch’esse così splendenti da risultare ineffabili. Alcune di queste palline, per esempio, possiedono un contorno rosa fucsia e un nucleo verde pisello, altre brillano di un arancione vivido, avvolte da un blu elettrico, altre, grigio metallico e rosso barbera. Se le guardi, sembrano dialogare con te, mediante traiettorie variabili, a volte ti si avvicinano, altre, senza che tu capisca bene a quale misterioso segnale stiano rispondendo, si dirigono verso i rami degli alberi più vicini e iniziano a seguirne le linee, per poi di nuovo staccarsi e venirti incontro in una danza lieve.Quando ti riprendi, è giunta l’alba, il chiarore del primo sole inghiotte le luci, il cinguettio degli uccelli sovrasta la voce; la voce in compagnia della quale hai passato la notte, a tratti ascoltando con rispetto, altri ribattendo con arroganza, annuendo con meraviglia o titubando con timore. La voce, in verità, ti parla dentro, usando la tua mente per produrre pensieri e intuizioni, e lo fa con incessante precisione tanto da non lasciare spazio, nella tua anima, che a silenzi ricolmi di pace. Da quei silenzi, a volte, visioni.

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Capitolo II

2. Interruzione

Volendo ordinare gli eventi secondo un corso lineare, dovremmo cominciare a rilevare che quel giorno allo Stora, così si chiamava il torrente, la notte cadde su Luis quasi di sorpresa. Dopo aver saltellato sui massi e rovistato il cielo in cerca dell’alito ricurvo dei falchi, Luis si acquattò tra sabbia e pietra in attesa della prima stella. Stella da attendere distesi, tanto il presuntuoso baratro della sua luce avrebbe stupefatto il tempo.Senza che egli avesse una precisa intenzione, tutto incominciò ad accadergli dentro e intorno: le luci, le ombre, le voci, il viaggio che non c’è. Tralasciando i dettagli, potremmo occuparci direttamente del momento in cui il suo sguardo interiore fu condotto a ritroso da una forza occulta, schiudendogli scenari riconducibili alla sua vita trascorsa, indietro, fino all’utero e forse oltre, in rotta verso le praterie sconfinate della coscienza transpersonale. Immerso nella notte della coscienza, e suo malgrado, si ritrovò ad assistere a eventi che gli accadevano lasciandolo in balia di stupore, malcelato stupore.Assistette a quello che parve configurarsi ai suoi occhi come il momento del suo concepimento; ebbe esperienza dell’ovulo, dello spermatozoo, di una sagoma bianca in discesa da un imprecisato altrove, del suo entrare nella vita, di una scomparsa e di un nuovo inizio.Si vide nella Francia dell’Ottocento, lui ragazzo, vestito da signore, il suo castello, il salone, il camino, una donna, la sua sorellastra (sua attuale madre?) il suo assassinio per strangolamento.Ed ecco la Voce. Così ebbe inizio il dialogo che Luis intraprese con non si sa chi, il quale veniva da non si sa dove.«Forse che tu sia alla ricerca dell’inizio? Forse che l’illusione di te possa beffarti al punto da farti credere che tutto possa avere avuto

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Capitolo II

inizio con la nascita? Con tutta quella fatica per venire al mondo, con il sangue, il sudore, il dolore, la paura? Forse che l’utero possa definirsi la casa dalla quale provieni, la fucina dei tuoi drammi, per via dei messaggi contradditori in arrivo dalla madre sotto forma di emozioni intense, battiti irregolari, contrazioni muscolari, mediatori chimici?».Presa dall’incanto di quella forza, a un tempo bruta e soave, che insieme lo nutriva e lo imprigionava al suo cospetto, la mente reattiva di Luis non poté astenersi dal considerare la questione: «Già, per alcuni, molti in verità – e pensava ai popoli orientali – l’errore verrebbe da un passato lontano, quando, per esempio, in altre vite furono trafitti da una freccia, sbranati da una belva o bruciati sul rogo. Per altri, pochi in verità – si riferiva a una certa scuola psicologica – anche se forse sono quelli che parlano più forte nel nostro contesto culturale di riferimento, l’errore, cioè il trauma originario, andrebbe ricercato nei primi anni di vita, nel rapporto reale e simbolico, con il seno della madre, con il pene del padre». Per la religione cristiana non poteva che finire lì la sua divagazione psicodinamica, l’inizio andava ricercato nella mela di Eva e nella conseguente cacciata dall’Eden. «Comunque sia, – concluse – sembrano tutti d’accordo nel ritenere che a un certo momento, il brutto giorno delle fiabe, sia successo qualcosa. Qualcosa che conferisce un motivo alla sofferenza, che giustifica l’incapacità o impossibilità di vivere felici». La Voce, che tra le sue qualità possedeva quella di sapersi fare da parte, persistere nel silenzio e onorare con ascolto, rispettoso, paziente, amorevole ascolto, i pensieri e le parole del suo interlocutore, riprese:«Tutti sembrano molto più interessati a trovare una giustificazione alla propria sofferenza che a trovare il modo di vivere felice, impiegano molto più tempo ed energia a cercare dei colpevoli per la propria situazione che ad assumersi la responsabilità per le proprie scelte».«Sì è vero, la gente non si assume le proprie responsabilità, la gente

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Capitolo II

è inaffidabile, ciascuno pensa solo a se stesso». Luis si ritrovò ad annuire tra sé e sé.

“Sei abilissimo, sei un genio. La tua abilità nel trovare pretesti per continuare a essere come sei, a cercare colpevoli, cause e spiegazioni per la tua condizione è assolutamente notevole.

E se provassi a invertire il flusso?”.

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Capitolo III

3. Giudizio

C’era il fatto che Luis sentiva dentro una voce che non sapeva a chi attribuire e c’era il fatto, per di più, che quella voce lo provocava, lui, notoriamente insofferente alle provocazioni. Ce n’era abbastanza insomma, nonostante la componente nutriente della forza si facesse sentire disegnandogli per le cellule percorsi zeppi di una calma mai vista, per replicare stizzito:«Sì, ma tu chi ti credi di essere?». «Dobbiamo stare attenti alle domande che facciamo perché poi riceviamo le risposte che meritiamo. Ti propongo di trascurare la questione di chi io sia e di chi tu sia, ti propongo di farti da parte. L’Io Sono ti parla, direttamente, tu ascolti in religioso silenzio. Poi si vedrà».Era chiedere troppo al fanciulletto spigoloso che, mai domo, si agitava tra le sub-personalità di Luis reclamando spesso spazi di dominanza.«Questo è solo un trucco per manipolarmi, tu vuoi che ti ascolti e ti dia ragione e allora cerchi di farmi fesso con la storiella del santone illuminato».«Dammi ragione, dammi torto, fa come credi. La mia proposta è di ascoltare questa voce che parla come se non ci fosse nessuno che parla a te. Facciamo questo gioco, c’è una voce che parla e che non appartiene a nessuno. Chiunque lo desideri può ascoltarla».Figuriamoci!«Questo è un gioco truccato in partenza, non è vero che la voce non appartiene a nessuno, sei tu che stai parlando, appartiene a te».«Va bene, allora facciamo così, la voce parla, tu fai quello che vuoi. Se vuoi restare, resti; se vuoi ascoltare, ascolti; se vuoi andartene, vai; se non riesci a fare a meno di giudicare, continua a farlo».«Sei proprio furbo, stai cercando di portarmi dove vuoi tu».Primi segni di cedimento?

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Capitolo III

«Non giudicare e non sarai giudicato, ci ricordano le sacre scritture, ma tu, imperterrito, continui a menare fendenti a destra e a manca con la spada del giudizio, come se fossi l’Arcangelo Michele in persona. Ti sei mai chiesto come cambierebbe la tua vita se la smettessi una buona volta di giudicare te stesso e il tuo prossimo? Il giudizio ti riempie la testa, ti appanna lo sguardo, ti appesantisce il cuore, a cosa ti serve, in realtà? Te lo sei mai chiesto? A cosa ti serve quella diffidenza verso l’altro, quel costante senso di minaccia, quell’impellente necessità a controllare tutto e tutti, quella testa piena che rimugina in continuazione, che cerca di mettere a posto le cose come vorrebbe che fossero? Che cosa cambierebbe se le cose andassero come vuoi tu invece di come vogliono loro? Pensi di saperne di più della vita, o se ci credi, pensi di saperne più di Dio? Non ti ricorda qualcosa la frase: “Sia fatta la tua volontà”?».Timido, estremo tentativo di resistere al fascino della saggezza.«Sì, ma quella è una preghiera».«Già, è una preghiera. Cos’è per te la preghiera? Quelle parole che reciti automaticamente nel dormiveglia prima di sprofondare nel sonno dei giusti o la parola, quella che cerchi di rinnovare in ogni istante nelle tue azioni quotidiane? E quando ti atteggi a chi non crede, e ti aggrappi all’etica dei laici, al sacro lume dell’intelletto, la ragione; forse che la tua dea profana non preveda l’accettazione dell’altro, l’accoglienza del diverso, la solidarietà con i deboli? Forse che non siano deboli gli ignoranti, gli arroganti, i violenti, i presuntuosi, i potenti, persi nella loro importanza personale?». Ecco l’agenda segreta, ecco la chiave di volta:

la paura della fiducia.

«Secondo te dovrei bere acriticamente tutto quanto mi viene propinato dal primo imbonitore che incontro sul mio cammino?».«Non hai ancora risposto alla mia domanda. A cosa ti serve quell’ostinata difesa delle tue posizioni? Quell’intransigente attaccamento alle tue ragioni? Quel compulsivo bisogno di controllo?».

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Capitolo III

Siamo ormai ai luoghi comuni…«A pensare con la mia testa, a credere in me stesso, a far valere i miei sani principi».«Già. Pensi che Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot, Saddam Hussein, Ceausescu, Amin Dada, Gheddafi avrebbero risposto diversamente? Sei a buon punto sulla strada del potere, per arrivare più in alto, ma veramente in alto, devi ostinarti, controllare e attaccarti ancora di più, molto di più, sei solo un dilettante. Dimmi un po’, ma tu veramente credi che l’autostima possa nascere dall’ostinazione, dal controllo, dal giudizio o dall’attaccamento?».«Io non sono ostinato, semplicemente credo in alcuni valori ai quali non sono disposto a rinunciare».«Come per esempio la fiducia o la tolleranza? Come per esempio la responsabilità e il coraggio di decidere della tua vita invece che lamentarti costantemente della tua condizione? Come la virtù della speranza? Un giorno cambierà, quando vincerò alla lotteria, quando andrò in pensione, quando incontrerò l’amore, quando finalmente verrà riconosciuto il mio valore. Quando arriverà Godot».«Fai in fretta a parlare, tu che non devi passare i tuoi giorni nella quotidiana lotta alla sopravvivenza. Che ce ne facciamo della tua filosofia per pagare le bollette o fare la spesa? Che ce ne facciamo della tua filosofia, noi che entriamo col buio e col buio usciamo dai posti di lavoro? Noi, che nel migliore dei casi passiamo, e preghiamo per averne l’opportunità, otto ore chini su di uno schermo in un locale con le luci al neon e il collega che non vede l’ora di farci le scarpe? Certo che speriamo che arrivi Godot! E lo speriamo a voce alta, forte e chiara».Godot aveva l’allure dell’eterno presente, stava fuori dal tempo, ritto e composto come un maggiordomo di corte, bianco il volto nell’incompiuto sotterfugio di una maschera neutra. La sua voce era atonale, algida ma possente, esattamente così come avrebbe potuto immaginarsela Beckett. Pianse amaramente al cospetto di quel silenzioso assillo prodottosi, come sotto scorta blindata, dall’assenza

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Capitolo III

di tempo, della quale peraltro nessuno si sarebbe accorto. Raccolse le sue lacrime in petali di Ibisco e profumò la stagione nuova di un Luis attonito.Luis che apriva e chiudeva gli occhi, sbattendoli in modo forsennato, nella speranza di assistere a un cambiamento. Non importava quale, ciò che importava era che qualcosa succedesse. Sì, perché era sparita la differenza, era sparito il confine tra dentro e fuori, a occhi aperti, a occhi chiusi, il panorama era lo stesso: imperturbabile, sul palcoscenico del suo campo visivo troneggiava Godot. Lo spettacolo avrebbe anche avuto il suo fascino, ma come poteva goderselo dal momento che, avendo perduto la differenza tra dentro e fuori, aveva perso ogni punto di riferimento che gli diceva dove finiva lui e incominciava il mondo?Vista da fuori, la situazione poteva certamente apparire bizzarra e dotata di un certo humour, ma potete stare certi che vissuta sulla propria pelle la faccenda si complicava. E non poco.Luis era semplicemente terrorizzato, la situazione sembrava senza via d’uscita e la sensazione era che il peggio dovesse ancora arrivare.La mente, infatti, era partita alla grande, prodigandosi con una creatività strabiliante, a partorire ogni sorta di strategia per venirne fuori, a prefigurarsi ogni scenario prossimo venturo.Niente! Palude, baratro, gabbia, buco nero, erano le metafore che più si avvicinavano alla corretta descrizione della situazione.E Godot, fuori dal tempo, sorseggiava le sue lacrime, qual nettare d’ambrosia dal calice degli Ibiscus.L’apocalisse stendeva ormai i suoi tentacoli inesorabili sull’anima di Luis, il quale avvertiva tutto il peso del mondo sul suo petto e una morsa in gola che ad ogni istante gli rendeva, come il pesce fuor d’acqua, sempre più impossibile la respirazione.L’Oscura Signora aveva ormai steso il suo manto gelido su quel corpo inerme, quando Godot, distillò una goccia delle sue lacrime sulle labbra di Luis e lui, pur senza riprendere a respirare, si sentì leggero come

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Capitolo III

la Madre della Libertà, si vide volteggiare oltre la notte, combaciando il suo battito con quello degli Angeli, sorseggiando stelle e la totale assenza di confini. Aveva varcato la soglia dell’ultimo confine e si trovava ora immerso nella sconfinata prateria dell’essenza. Tutto era chiaro, non c’era bisogno di pensiero, di giudizio, di memoria, nell’essenza tutto era com’era, tutto era sempre stato, tutto sarebbe sempre stato. Quello era il luogo oltre il divenire, oltre il dualismo, quello era il luogo, dove non c’è luogo, dove tutto si compie senza compiersi, dove ogni cosa e il suo complementare coesistono allo stesso tempo, il tempo presente, qui e ora.E la Voce:«L’occhio dietro al quale non vi è occhio alcuno coglie il non interrotto, il non percepito, il non distrutto, il non attaccato, il non respirato, il non due, la non paura».E Luis respirava senza respirare, pensava senza pensare e si vedeva, laggiù tra i sassi e la boscaglia, alle prese col suo respiro che non voleva più saperne di passargli attraverso. E la Voce:«L’unica forma della pace non si esprime se non per negazioni. La liberazione dalla schiavitù passa attraverso la scomparsa. Alla Verità ci si avvicina rischiando la morte o non si tratta di Verità».E un sussurro indicò Godot, il quale con perfetta sincronicità si trasfigurò in Gotama nell’esatto istante nel quale Brahmã gli indusse la comprensione della realtà ultima e ne comprese l’incomunicabilità tanto da rinunciare, da quel momento in poi, a volerla comunicare. E Luis, presente alla scomparsa di sé, come per osmosi avvertiva trasudare da quell’immagine ieratica, oltre ogni ritegno, stille di Verità:“La realtà ultima, per il solo fatto di essere ultima, non necessita né della nostra conoscenza, né della nostra cura, né che ci preoccupiamo di essa”1.

1 Caecilius, Dans l’Octavius (13.1.) Citato in Panikkar R. (1970), Il silenzio di Dio, Borla, Roma.

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Capitolo III

E ancora…

«“Trattarla come qualcosa che in un certo modo dipende dalla nostra conoscenza, dalla nostra preoccupazione per essa, dalla nostra affermazione o negazione, dal nostro apprendimento, esperienza o altro, è considerarla ancora come qualcosa d’intramondano, come una cosa di più tra gli esseri, per quanto ci impegniamo a proclamare con le labbra e anche con il cuore la sua sublimità, trascendenza e ineffabilità… egli», non riuscì a sentire di chi parlasse, ma presunse il maestro, l’illuminato, il Buddha, «mostrerà il cammino, ma non dirà nulla della meta perché sarebbe sfigurarla e cadere nel pericolo di indirizzare gli uomini verso ciò che pensano, vogliono, sentono, credendo che sia la meta e non verso quel fine in-definibile e in-esistente, che nessuno ha visto2, dove nessuno è penetrato senza morire3, e di fronte al quale ogni parola deve ritirarsi e volgersi altrove”4».

E Luis si ritrasse a tal punto che nulla rimase se non l’asat, l’immanifesto, il luogo dove all’inizio l’energia brucia, ivi per Lui e in Lui (Luis) l’ardore di soffio s’accese. E dal soffio i sette soffi e da questi l’origine del desiderio, l’azione che si fece persona, colei che trova ciò che si è perso ma che è anche la prima a perdersi, Ka, il signore delle creature, il Progenitore ma anche l’irriducibile ignoto, il garante dell’incertezza.Singolare coincidenza se consideriamo il fatto che Calasso, citando i Veda, così si esprime: “Se Ka non esistesse, il mondo sarebbe una sequenza di domande e di risposte alla fine della quale tutto potrebbe essere fissato una volta per sempre – e dalla vita potrebbe essere espunto l’ignoto”5.E Luis sentì su di sé tutto il terrificante peso della solitudine e,

2 Gv. 1, 18 ; I Gv. 4, 12, cit. in Panikkar R. (1970). 3 Es. 33, 20, cit. in Panikkar R. (1970).4 TU II, 4,1 (II, 9), cit. in Panikkar R. (1970).5 Calasso R. (2010), Ardore, Adelphi, Milano p. 95.

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Capitolo III

peggio, della responsabilità. In quanto essere solitario, fondatore dal quale tutto poteva sorgere e sarebbe sorto, avvertì subito la minaccia di essere fatale, anche per se stesso.La prima minaccia venne da ciò che la sua bocca generò, perché “da ciò che genera la tua bocca sarai divorato”, recita il copione del primo dramma senza spettatori.«Offri» gridò imperiosa la Voce, «offri il tuo latte al fuoco», ma Luis non aveva latte poiché non vi era materia. «Offri», ripeté con foga la Voce dell’insondabile, e Luis offrì la voce: «svāhā». Svāhā? Sentiamo un po’ che ne dice Calasso:“Nel momento in cui Prajāpati ha dato forma per la prima volta alla parola svāhā, è nata l’autoriflessione. Svāhā, ciò che è suo ha parlato, implica la formazione di due soggetti, di una prima e di una terza persona, all’interno della stessa mente…”6 “accanto a un Io ci sarà sempre un Sé, e accanto al Sé ci sarà sempre un Io. Quello fu il momento in cui si divisero e si riconobbero”7.Qual Prajāpati dell’Alta Val di Vara, Luis, al fuoco che voleva il potere del soffio, lo splendore dell’apparenza, rispose: «Ecco prendi» e si spogliò di Sé, disse sì.Visse così, a sua insaputa, il mito del Progenitore, colui che rinunciando alle certezze rinuncia al potere, poiché esso di certezze si nutre; visse l’immersione nell’insondabile ignoto e seppe che “l’onniscienza divina non si estende a se stessa”8. E Luis senza soffio visse la minaccia originaria, la minaccia del Progenitore, prima ancora di quella degli uomini e si salvò da essa con l’unico mezzo possibile: l’offerta di Sé. E Luis risalì la storia, fino a quella non raccontata e oltre, quando l’uomo prima che cacciatore era cacciato; comprese la matrice

6 Calasso R. (2010), p. 105.7 Calasso R. (2010), p. 105.8 Calasso R. (2010), p. 96.

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Capitolo III

originaria dell’attacco e della fuga, del mangiare ed essere mangiati, della ferita e della colpa. Seppe che il sacrificio, emblema della rinuncia al potere, ha più potere di ogni potere e ne comprese la vera natura.Una natura ambivalente insita nell’atto stesso in cui la Realtà si manifesta, prima degli uomini e prima ancora degli dei, insita nella Verità stessa, in quel sovramondo oltre il mondo e prima del mondo che attraverso la Realtà si svela, ma che con essa non si confonderà mai. Il sacrificio di Sé scandisce la struttura stessa del Reale e del Vero, attraverso il sacrificio, il cacciatore diventa cacciato, il sacrificante sacrificato, il due si fa uno, il Modo Ulteriore si compie e con esso l’agguato del Reale è svelato.Il sacrificio dunque contiene in sé la dirompente potenza del tutto, l’ambivalenza del Reale: “la ferita e il tentativo di guarire una ferita”9, “la colpa e il tentativo di sanarla”10.In quanto sacrificio di Sé realizza la trascendenza e l’inclusione di sacrificante e sacrificato nell’unità.Fu allora che Luis si rivide, si accorse di sé e riconobbe Godot, si prostrò alla sua presenza in segno di rispetto. Godot sotto le sembianze di Socrate l’invitò ad alzarsi, si prodigò in una solenne riverenza e gli dischiuse le porte del Tempo al suono silente di un latino improbabile: “Quod supra nos, nihil ad nos”11.“Come conoscere l’inconoscibile? Come vedere il non visto, udire il non udito, pensare il non pensato? Scomparendo a se stessi e diventando l’altro: l’unico che vede, l’unico che ode, l’unico che pensa, l’unico che conosce”12. E Luis ricadde nel divenire, esausto, ma con il suo fiato, benedetto fiato, nel petto. La brutta notizia fu che vi ricadde immemore. Non

9 Calasso R. (2010).10 Calasso R. (2010).11 Senofonte, lib. 1, f. 710, cit. in Panikkar R. (1970).12 Byhadaranyaka Upanishad, 3, 8, 11, cit. in Calasso R. (2010).

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ricordava nulla di quanto aveva vissuto, sentiva una strana agitazione e un fastidiosissimo bruciore al petto. L’agitazione ben presto si trasformò in insofferenza, l’insofferenza in giudizio:«E poi chi ti credi di essere tu per pontificare passaggi in paradiso con quell’aria da imbonitore da quattro soldi. Che cosa pensi di sapere tu della mia vita e della vita di quelli come me, gli eroi dell’ordinario che lottano quotidianamente la loro dignitosa battaglia per una giornata normale?».«È per questo che giudichi?».Quel benedetto uomo, se avesse conservato anche un solo barlume di sé, al benevolo richiamo della Voce si sarebbe ripreso. A volte è difficile comprendere, e soprattutto accettare, la perseveranza nell’ignoranza. Luis aveva appena smesso di vivere un’esperienza vetta, come direbbe Maslow, una di quelle esperienze transpersonali che possono cambiarti la vita, eppure niente. Eccolo di nuovo, imperterrito, ostaggio del piccolo uomo che lo inchiodava, inconsapevole, alla paura e, di conseguenza, alle parti più reattive di sé. Al lettore attento non sarà sfuggito, infatti, che Luis aveva appena toccato con mano, attraverso l’esperienza diretta sulle sue cellule, che il respiro inizia dove in realtà finisce. La sua anima aveva iniziato a respirare la leggerezza dell’eternità nel momento esatto in cui il respiro nel suo corpo era venuto a mancare; nella prigionia più totale aveva trovato la libertà più estrema, nel sacrificio il potere, nella rinuncia la gloria, nella morte aveva trovato la vita.Nella più totale naturalezza, senza mediazioni, senza induzioni o complesse tecnologie aveva vissuto ciò che vissero gli dei, aveva gettato un occhio al mondo prima del mondo, alla storia prima che fosse raccontata; aveva, per la prima volta, sentito vibrare sulla sua pelle la melodia inequivocabile della Legge. Va qui ricordato che quando parliamo di Legge intendiamo la Legge delle leggi, quella matrice comune che, come abbiamo visto indagando la vera natura del sacrificio, sembra abitare ogni struttura d’esperienza; matrice che, se rispettata, accompagna ogni processo vivente verso un’armonica

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trasformazione. Stiamo parlando di quella matrice ternaria per la quale, attraverso la scomparsa a se stessi, il due si fa uno, per la quale la vita può pulsare nella molteplicità delle sue forme ed evolvere in complessità. È noto come la Legge sia assolutamente evidente in ogni manifestazione, ma proprio per questo difficilmente venga colta se non grazie a episodi di discontinuità. Nel nostro caso, Luis aveva potuto avvertire l’evidenza della Legge esasperata dalla discontinuità nella funzione respiratoria, grazie al fatto che il suo respiro si era bloccato; l’imminenza non cercata della morte gli aveva mostrato la necessità, attimo dopo attimo, di morire a se stessi per rinascere, di lasciare per trovare, di affidarsi per padroneggiare, di arrendersi per trionfare, in definitiva, di fare senza fare.Il messaggio era assolutamente chiaro: la Realtà presenta sempre un aspetto duplice, l’uno manifesto, l’altro nascosto; coglierne la sua vera natura significa coglierne entrambi gli aspetti, e non solo, come spesso accade nella vita ordinaria, quello manifesto. Questo processo richiede però il coraggio di non fermarsi alle apparenze e la fiducia di inoltrarsi nell’ignoto. Coraggio e fiducia ai quali Luis, proiettato oltre se stesso da un respiro che non voleva saperne di fluire, venne tradotto gratis, e dai quali dedusse l’uno, foriero dello sguardo unico che gli svelò della Legge il segreto:

l’essenza di ogni cosa risiede oltre la cosa stessa, l’apparenza la nasconde ma allo stesso modo la rivela. La chiave risiede nel modo di guardare, oltre il giudizio.

Ma invano, eccolo di nuovo alle unghie sul vetro…«Io non giudico nessuno, dico semplicemente che i fortunati sono pochi, i giusti meno ancora e che la maggior parte delle persone pensa solo a se stessa».«E che tu fai eccezione!».A queste parole una scintilla di luce violetta con un nucleo interno azzurro metallico, esternamente parve esplodere, ma in realtà non scomparve, bensì prese a moltiplicarsi, multipla di se stessa,

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all’infinito, con moto costante. Sopraffatto da uno stupefacente bagliore, Luis socchiuse gli occhi e la seguì, ritrovandosi in una radura tra gli alberi appena oltre il greto del torrente. Si distese tra le frasche e continuò a fissare la luce rievocandola agli occhi della mente.Fu così che allo specchio della sua mente comparve la seguente visione.Vide due stanze, una spaziosa, luminosa, ben arredata, piena di colore e un’altra grigia, angusta, sporca, disadorna. Nella stanza luminosa vide un vecchio seduto, appoggiato al suo bastone, con un bimbo luminoso che gli saltellava nel cuore. In quella oscura vide un grande cervello con un cappello in testa, che si trasformava in mille serpenti attorcigliati, i quali, a loro volta, si disperdevano in tutte le direzioni. E la Voce:«Quando giudichi, lasci la tua stanza luminosa e finisci in quella dell’altro, sporca e angusta. In una parola, il giudizio ti aliena da te stesso imprigionandoti in un mondo che non ti appartiene. Ci siamo?».«Vuoi dire che se io giudico qualcuno divento come lui?».«Prova!».Di nuovo la visione:Il cervello col cappello ora stava alla guida di un’auto sfrecciando su di una strada con molto traffico mentre un altro veicolo ancora più veloce gli tagliava la strada sorpassandolo sulla destra. Si senti il cervello inveire:«Guarda quel deficiente che mi ha sorpassato sulla destra, il solito prepotente. Dovrebbero togliergli la patente per il resto dei suoi giorni».Di nuovo la Voce:«Fermati e ascolta dove sei. Hai lasciato la tua tranquillità, hai interrotto il tuo respiro, hai contratto le tue spalle, sei uscito dalla tua stanza per entrare nella sua.

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Sei diventato un cervello arrabbiato che, a sua volta, arrabbiandosi è diventato l’automobilista indisciplinato. Questa si chiama identificazione, la Madre della Realtà».Rigurgito di orgoglio…«Madre della Realtà? Di cosa blateri?! Chi vuoi che ti capisca?!» inveì Luis. «A chi credi possa interessare il tuo sproloquio, mi chiedo se quando cammini per strada o vai al supermercato ti sia mai guardato intorno? Tu pensi realmente che ciò di cui vai cianciando possa essere utile alla gente comune? Smetti di prenderci in giro e torna da dove sei venuto, visto che nemmeno si sa da dove accidenti spunti fuori!». «Ogni linguaggio ha i suoi codici, ciò che rende incomprensibile un linguaggio è l’ignoranza, non i suoi contenuti. Sono qui per insegnare; se vorrai imparare, avrai tutta la mia disponibilità. Sto cercando di farti comprendere la differenza tra osservazione e giudizio, tra fiducia e paura, disidentificazione e identificazione». «Chi ti ha chiesto nulla? Hai la pretesa di insegnare e ignori le regole basilari dell’etica! Nessuno ti ha insegnato che non s’inducono bisogni? Che non si danno risposte se non ci sono domande? Torna da dove sei venuto, non ho intenzione di imparare nulla da te».

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4. Dialogo

«Ci son più cose sotto il cielo, figlio mio... un cielo abitato da cento miliardi di stelle, per limitarci alla nostra galassia, la quale a sua volta appartiene a un universo di cento miliardi di galassie, per limitarci a quest’universo, il quale a sua volta…».«Basta! Tieni per te la tua scienza, non voglio saperne».«Chi non vuole saperne? Tu forse credi di sapere chi stia parlando quando parli?».«Sto parlando io e questo ti basti!».«Tu forse credi che la tua arroganza costituisca garanzia sufficiente per conferire Verità alla tua Realtà? Tu forse credi di sapere chi stia parlando quando parli, per il solo fatto di riempirti la bocca con termini quali “Io”, il “Dottore”, o altre scempiaggini del genere? Non solo fuori, ma anche dentro di noi si estendono gli universi, confine dopo confine. Non solo i mondi esteriori, ma anche i nostri mondi interiori sono abitati».«Abitato sarai tu, abitato da lucida follia. Non credo a una parola di ciò che dici!».«Il fatto che tu non comprenda non toglie nulla alla Verità che le mie parole hanno semplicemente tradotto in Realtà. Ricorda, figlio, la Verità è incorruttibile, la Realtà, se non coincide con la Verità, è illusione».«Chi l’ha detto che la Verità sia la tua?».Crepe strutturali nell’impalcatura ormai vacillante delle sue difese?«La Verità non appartiene, di conseguenza non mi appartiene, essa abita il luogo dell’indistruttibile, inconosciuto e inconoscibile, da dove viene alla luce e chi ha occhi la vede». Circospette aperture?«Quale sarebbe il suo rapporto con la Realtà?».

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«Quando guardi le onde di un oceano, vedi la mutevolezza delle acque animata dai venti, dalle maree, dalla rotazione terrestre, questa è la Realtà. Quando entri nelle acque e in esse nuoti o t’immergi, questa è Realtà. Quando, grazie all’esperienza del vento tra i capelli, dell’acqua sulla pelle, delle onde che ti cullano o ti sommergono, ti accorgi della vera natura dell’oceano, eterna e fuori dal tempo, questa è Verità».«Non mi convinci: vera natura? Chi vuoi che ti capisca?».«Immagina ombre proiettate sul muro che rappresentino, per esempio, un drago. Credere di essere di fronte a un drago è Realtà, anche riconoscere il gioco tra la luce e le mani è Realtà. Verità è l’esperienza dell’esserci che coglie la non Realtà».Luis ne era ormai convinto, si trovava certamente di fronte a un pazzo furioso: la non Realtà?Successe però un fatto strano, da un lato la sua mente criticava, dall’altro una melodia silente gli tamburellava nell’anima suggestioni del seguente tenore:«Piani di Realtà, sprazzi di Verità, sprazzi di Verità, piani di Realtà».Sempre più confuso, scelse la via più economica, quella dell’abitudine. «Mi spieghi a cosa mi serve questa tua Verità, perché mai dovrei avere bisogno di conoscere la Verità sul mare quando mi tuffo nelle acque azzurre del Golfo di Portofino? A me basta la sua Realtà fatta di colori e profumi, di sensazioni ed emozioni». «Ti racconterò una storia. C’era una volta Regina Verità. Ella dimorava nel Palazzo che non c’è, il Palazzo della Realtà Vera, un palazzo fatto di cristallo e cielo, ricamato di luce a cascata e acqua di stelle. Ella indossava abiti intessuti di vento e profumo d’estate. La Sua purezza era tale, la Sua trasparenza così perfetta che ovunque regnavano leggerezza e splendore.Ogni suo gesto creava il Regno, ogni gesto nel Regno celebrava la sua grazia.Ogni suddito nel Regno era scomparso a se stesso, qual perfetta

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presenza di mente vuota, cuore piuma, occhi diamante.L’attimo eterno si compiva nel punto inesteso, tutto scorreva immoto nello sconfinato nulla dal quale Ella dettava lo sguardo unico, non visto, non sentito, non pensato, dell’essere molteplice.Forse per caso, forse per necessità, per noia, o forse per gioco, avvenne l’accorgersi di sé e con esso la corruzione della presenza nell’assenza.Le cose furono messe al loro posto, nulla sarebbe mai stato più come prima.Come l’acque dello stagno intorbidite dalla mano che ne scuote la sabbia del fondale, così le menti si confusero; qual penne d’uccello martoriate da catrame versato in mare, così i cuori s’immolarono alla pesantezza; qual dinamite che frantuma la roccia, così il giudizio infranse il diamante della non dualità gettandone i frammenti in pasto alla Realtà.Venne così l’era del Signore della Realtà, il quale confuso, appesantito e infranto decadde nell’apparenza, smarrendo il diamante nell’acceso fuoco del desiderio, precluso allo sguardo richiesto dal Vero.Sguardo impervio stinto da nebbia e aguzzo cielo, scritto dal pretesto sostenibile del raziocinio, ingessato nell’abito formale della logica lineare, servo di una notte sontuosa, allestita a giorno dalla versione ragionevole dei fatti.Versione che decretò il bando di Regina Verità sguinzagliando il Paradosso della Vana Ricerca, forte dell’agguerrito esercito dei Tracciatori di Confini, nel maldestro tentativo di vestirla di Reale e assoggettarla così alla Legge del Dato Apparente.Legge che avrebbe consentito la messa in produzione nello Stabilimento degli Eventi Misurabili del Mattone della Cosa Certa.Si trattava del mattone più versatile mai concepito, forgiato col fuoco dell’importanza personale, informato dalla forma molteplice dell’apparenza; con esso, forse presentendo la vanità della sua ricerca, avrebbe costruito un vero palazzo, il palazzo più sontuoso mai costruito. Avrebbe chiamato a raccolta i migliori architetti del

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Regno perché concepissero le più ardite soluzioni architettoniche; avrebbe incaricato gli orafi più raffinati perché decorassero le facciate e gli interni con i metalli e le pietre più preziose che mai occhio umano avesse visto prima d’allora; avrebbe ordinato ai suoi tecnici e ingegneri di elaborare le tecnologie domotiche e informatiche più avanzate; avrebbe istruito i suoi letterati, intellettuali e creativi, i suoi psicologi e neuro scienziati al fine di predisporre i contesti culturali, i contenuti teorici, le strategie di comunicazione, le basi scientifiche e le metodologie necessarie perché tutto potesse sembrare a tutti assolutamente Vero.Avrebbe chiamato il suo palazzo, Palazzo della Verità Reale.E vissero tutti felici e dormienti».«Fu così che si consumò il divorzio tra Realtà e Verità?» si lasciò sfuggire Luis tradendo il suo lato bambino incantato dalla smania di credere alle favole.«Tu lo hai detto».«Vuoi dire che avevo compreso bene? La differenza tra Verità e Realtà risiede negli occhi di chi guarda?».«Guarda». La Voce incitò un sopruso velato alla volontà di Luis che d’acchito si trovò, come quando la brusca accelerazione di un veicolo inchioda il passeggero al sedile, indotto a smorfie intrise di subita tensione.Dalla tensione la visione: agli occhi della mente di Luis si ripresentarono le due stanze. Una luminosa, l’altra oscura. In una si vide di spalle, nell’altra si vide di fronte. In una si rivide vecchio seduto, appoggiato al suo bastone, con il bimbo luminoso che gli saltellava nel cuore, nell’altra si rivide qual grande cervello con il cappello in testa, che si trasformava in mille serpenti attorcigliati, che si disperdevano in tutte le direzioni.E la Voce:«Lascia ogni pretesto, ogni giustificazione, semplicemente siedi, rimani e sorridi. Lascia i serpenti della mente disperdersi per mille rivoli, resta nel cuore e sorridi, al tuo bimbo di luce si schiuderanno

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le porte del Regno».Rigurgito d’orgoglio.«Sì, ma non si può sempre sorridere a tutto; mentre tu gli sorridi, l’altro sta cercando il modo migliore per fregarti».«Tu veramente pensi che qualcuno al di fuori di te possa fregarti?».Ripensò alla storia della Regina della Verità, ripensò alla visione delle due stanze.Comprese: mai il Signore della Realtà avrebbe potuto afferrare la Regina Verità, se non rinunciando all’illusione di sé, al potere perverso della Cosa Certa. Per quanta intelligenza avesse quel grande cervello non avrebbe mai visto la luce se non fosse passato nell’altra stanza, quella dell’umiltà e dell’innocenza.S’interrogò: avrebbe allora dovuto lasciare ogni potere e ogni forma d’intelligenza? La Verità stava confondendolo.Avrebbe allora dovuto rinunciare ad assegnare un nome alle cose, una spiegazione ai fatti, una validità ai dati di Realtà?Avrebbe allora dovuto rinunciare a tracciare i confini delle cose, a riconoscere le differenze? Si capisce che queste ripetizioni sono volute, ma forse sarebbe più bello, in questo punto del testo, differenziare le due frasi.E riecco la Voce:«Non la Verità, non la Realtà potranno confonderti, ma il Giudizio. Lo hai visto: ogni cosa ha due facce e questo non dipende da me o da te, non dal potere, non dall’intelligenza, ma da come guardi il mondo. Oltre ogni apparenza e ogni ragionevole dubbio: nessun potere al servizio di occhi che non vedono.Oltre ogni apparenza e ogni ragionevole dubbio: tutto il potere al servizio di occhi che vedono».Secondo tentativo di contrattare una resa onorevole.(L’esperienza vetta che aveva vissuto sub-liminalmente stava facendo il suo dovere?)

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«Possiamo affermare che il potere di occhi che vedono sia il Potere della Verità? Un potere che non appartiene a nessuno, che non può essere posseduto, ma che come il lampo nella notte rischiara la Realtà mostrandola com’è e non come appare».«“Il mio Regno non è di questo Mondo”13».Si ricordò di aver letto che desiderio deriva da de-sidera, che in qualche modo stava a significare “via dalle stelle”. Pensò a Lacan, e al suo concetto di desiderio contrapposto alla Legge: «Possiamo affermare che sia il desiderio ad allontanare dalla Legge e di conseguenza a corrompere il potere?» pensò a voce alta allontanando, con un gesto deciso e moderatamente stizzito della mano, il nugolo di moscerini che volando sopra la sua testa gli procuravano quel fastidioso prurito.«Dal desiderio di Realtà l’ignoranza della Verità, dall’ignoranza della Verità l’identificazione con la Realtà».«Non eri tu a suggerire l’umiltà della semplicità e l’innocenza di un sorriso?».«Non c’è semplicità nell’ignoranza della Verità. Dall’ignoranza l’identificazione, dall’identificazione il giudizio. Nel giudizio ogni confusione, nel giudizio ogni complicazione».«Che cosa intendi per “identificazione”?».«Dicasi identificazione quel processo per il quale un soggetto giudica senza accorgersene e scambia, così facendo, la Realtà per Verità».«Non capisco! Torni a essere complicato!». Queste le parole che pronunciò mentre la direzione che prese il suo pensiero tracciò nel suo spazio interiore configurazioni tutt’altro che coerenti. «Ci sono diversi piani di Realtà. La Verità dimora sopra di essi, quando riconosciuta, al di sotto se non vista, in questo caso è chiamata Necessità. Trallalallà!».«Ricorda il cervello e l’automobilista. Quando succede che qualcuno ha un comportamento che ti pregiudica e tu ti arrabbi, ti stai identificando, stai decadendo nella sua Realtà anziché restare

13 Nuovo Testamento, Vangelo secondo Giovanni, 18 : 36, in La Sacra Bibbia, Ed. CEI 1974.

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nella tua Verità, diventi preda del desiderio e trasgredisci la Legge. Ricorda il Signore della Realtà, quando vuoi tenere per te la Verità, ti stai identificando col desiderio. Ricorda i tuoi luoghi comuni, i tuoi vani tentativi di resistenza alla Verità, quando cerchi pretesti, quando fornisci giustificazioni per i tuoi comportamenti, quando credi nei perché, ti stai identificando con i tuoi pensieri, quando ti difendi, quando reagisci, quando cerchi certezze, ti stai identificando con la paura…».«Beh?! Allora tutto è identificazione, viviamo in un mondo d’identificati».«Il mio Regno non è di questo Mondo».«Stammi a sentire, si può sapere di che mondi stai parlando? Questo è il mondo, quello della gente che ha dei valori e ci va fiero, delle paure e se le tiene, delle certezze e ci crede, dei desideri e ne è felice. Questo è il mondo, quello della gente che sogna una vita migliore, spera di vincere al superenalotto, ha paura di ammalarsi e di perdere il posto, desidera l’amore e la felicità ma non s’illude più di tanto. Se vuoi veramente sapere come stanno le cose, scendi per strada, incontra la gente, parla con loro e allora scoprirai cosa conta davvero per le persone comuni. Prendi il coraggio di lasciare il tuo mondo ovattato delle idee e confrontati con la realtà, quella vera, allora sì che potrai scoprire cosa significa felicità per la gente.E se non lo sai te lo dico io: felicità è camminare a piedi nudi sulla sabbia mentre il sole sta tramontando, scattare fotografie ai fiori e ai sorrisi delle amiche, capirsi al volo senza parlare, correre di notte soli sotto la pioggia, ascoltare d’amore di morte e di altre sciocchezze di Guccini, svegliarsi la mattina, aprire gli occhi e scoprire che la donna che ami è lì che ti sta guardando, fare la lista delle cose da fare e scoprire di essere riusciti a farle tutte, un paio di scarpe comode, un giro in bicicletta con la famiglia, zaini, panini e tanta voglia di stare insieme, la prima volta che tieni tuo figlio in braccio, iniziare e finire un libro di Tolstoj, dividere la pizzata con gli amici al Bukowski di Varese Ligure, uscire le sere d’inverno per mettere l’auto in garage e

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meravigliarsi per lo splendore del cielo stellato, scendere a valle dal Diavolezza di St. Moritz con tuo figlio e all’arrivo dargli il cinque, assistere ai colori dello specchiarsi del Catenaccio nel lago di Carezza con un amico brasiliano che piange dalla commozione, tuffarsi nel mare blu di Vulcano o Stromboli, ascoltare Bruce Springsteen cantare Born in USA mentre stai tornando a casa in auto da solo la notte e cantare anche tu a squarciagola, leggere il tuo nome su di una rivista prestigiosa o tra i titoli di coda di un film, fare l’amore un pomeriggio d’estate con la donna che ami e poi alzarsi a preparare un caffè e poi tornare a letto e stare lì, mano nella mano.Ecco il mondo che io conosco. Di che mondo vai cianciando tu? Un mondo deserto abitato solo dalle tue deliranti fantasie di onnipotenza?».Oh! Quando ci vuole, ci vuole. Luis era esasperato da quella continua tensione alla perfezione, siamo o non siamo esseri umani, in fondo? Piccoli, piccoli esseri umani con le nostre miserie, le nostre debolezze, la nostra unicità. «Quando guardi e ti vedi, allora scompari a te stesso ed entri nel Regno. Quando vedi la vera natura del giudizio, riconosci ogni identificazione e varchi la soglia del Regno.La Verità dimora oltre la soglia dell’identificazione con la Realtà».«Di che soglia vai blaterando, ma quale Regno?! L’unica soglia che meriti di varcare è quella del manicomio, l’unico Regno degno di quel tuo bacato mondo di fantasie salvifiche…».Inveì mentre, invero, il suo cuore (cuore?) lo conduceva altrove. «Ovunque è la soglia che Dio lo voglia». A dire il vero stava cominciando a preoccuparsi. Da dove spuntavano quelle bizzarre filastrocche?La Voce parve ignorare quel suo grottesco disagio.«Una soglia che dimora qui e ora, in ogni paura, in ogni desiderio, in ogni sguardo, in ogni oggetto che tu possa pensare, in ogni cosa di cui tu possa fare esperienza. Ricorda, non due, nulla è molteplice se non il tuo sguardo, non esiste contraddizione se non nella tua

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mente: la Realtà è la dimora della Verità, la Verità è la dimora della Realtà».«E così adesso è proprio a posto, tutto è il contrario di tutto, tutto è vero, tutto è falso, tutti hanno ragione, vogliamoci bene».«La Verità vera è vera, quindi non è reale, la Realtà reale è reale, quindi non è vera. La Verità reale è reale, quindi non è vera, la Realtà vera è vera, quindi non è reale». «Hai proprio ragione, comincio a capire. Qui l’unico stupido sono io che resta ancora a perdere il suo tempo con te e i tuoi contraddittori giochi di equilibrismo. Mi parli di lasciare i serpenti della mente e poi non fai altro che sottopormi la contorsione dei tuoi pensieri, pontifichi sulla necessità di non dare spiegazioni e poi vaneggi esercizi di logica aristotelica!». «Le parole, i pensieri, i ragionamenti, la logica, come qualsiasi altra cosa, come ogni altro confine tracciato dalla nominazione appartengono al Mondo della Realtà, in quanto tali non sono vere, ma possono esprimere il Vero o il Falso, possono indicare o precludere la Verità».La contaminazione raggiunse livelli parossistici, in momenti come questo nessuno avrebbe mai potuto dire chi stesse parlando a chi.«Credere che le cose siano la Verità è l’errore, identificare la Realtà con la Verità, qui sta il Giudizio, madre di ogni Giudizio. La nostra vita di tutti i giorni si svolge nella Realtà che è contraddistinta dal nostro lavoro, dai nostri sentimenti, dalla nostra salute, dalla nostra vita di relazione, dalle idee che abbiamo su noi stessi, dai nostri desideri e dalle nostre paure, dalle nostre aspirazioni e dai nostri problemi. Quel che sto cercando di dirti è che questa nostra vita è come l’agitarsi delle onde dell’oceano o il formarsi e dissolversi delle nuvole nel cielo o la proiezione delle immagini su di uno schermo, o il riflesso di figure in uno specchio. Esiste un luogo dal quale queste manifestazioni provengono, un luogo che noi dobbiamo imparare a riconoscere e nel quale dobbiamo saper operare se vogliamo padroneggiare la nostra vita, poiché quello è il luogo delle cause,

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il luogo dell’origine di ogni manifestazione della nostra esistenza, di ogni contenuto della nostra coscienza. Verità è il nome che proponiamo per questo luogo, caratterizzato da assenza di Giudizio e identificazione, da presenza di Osservazione consapevole e disidentificazione. Si tratta di un luogo che, nel corso dei millenni, ha ricevuto diverse denominazioni da parte delle svariate tradizioni che l’hanno studiato: Nirvana, Akasha, Coscienza Suprema, Regno dei Cieli, Nagual, vuoto quantico, campo, ordine implicato, l’indistruttibile».A Luis che non capiva, montava una rabbia sorda che gli chiudeva la gola, gli appesantiva il petto, gli spezzava il respiro all’altezza dello stomaco.«Adesso basta!» riuscì a biascicare, soffocando l’urlo che gli montava dentro, serrando le mani sulle orecchie, chinando il capo tra le ginocchia, nel vano tentativo di liberarsi di quella voce che sembrava pervadere ogni dove, togliendoli ogni residua illusione di libertà. «Torna da dove sei venuto, che non so nemmeno da dove poi…».Non finì la frase. Un rigurgito più ruggente del fuoco incantò la notte di latrati a ritroso, ritti in ventre alla parsimoniosa madre. Luis si sentì sprofondare così in alto da scorgersi in volo, sopra il monte, in groppa alla luna, in rotta alle stelle più lucenti, nelle viscere di un baratro così perverso da sorridergli dentro la litania della paura più cupa. Quando raggiunse il Ponte Dei Perduti o Salvati era ormai notte fonda.Altrove, il sole brillava incorrotto ardore, ivi la notte ruminava un sorso amaro che ne succhiava via persino il ricordo.Il ponte era di Luce pura, algida come ghigno di strega. Di qua stava Luis immerso nel suo regime notturno, di là l’ordito dei cieli, intessuto dall’armonia di sfere colme dalla presenza di Lui, Nostro Signore Gesù Cristo, Suprema Coscienza, Luogo della Coincidenza tra Verità e Realtà, Viaggio e Meta, Rifugio e Destino, Morte e Rinascita. Colui che È stava là, radiando l’incanto invisibile del sublime,

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disperso ovunque nell’Eterna Presenza a Se Stesso. Così Reale e così Vero, afferrato dall’impossibile sguardo dell’umana coscienza che nel paradosso dell’incanto vedeva l’invisibile, pensava l’impensabile, narrava l’indicibile.Sopra ogni cosa, a Luis colpiva la necessità di immaginare l’inimmaginabile. Sì, perché di necessità si trattava. L’occhio della sua mente non poteva fare a meno di venire invaso da intuizioni non ricordabili, comprensioni non riferibili, visioni non descrivibili, immagini non immaginabili, appunto.Stava al cospetto della coincidenza tra Realtà e Verità, rapito da un’esperienza così totale da non poter essere esperita per il semplice fatto che mancavano i nomi per nominarlo, i pensieri per pensarlo, le immagini per immaginarlo. In una parola, mancavano i confini per definirlo. Si trovava alla superficie del contatto tra confine e non confine, al cospetto del confine ultimo. Di qua, il mondo con-fine, la Realtà; di là il mondo senza fine, la Verità.Trovandosi ancora di qua dal ponte, vale a dire nella Realtà, gli era concesso fare esperienza della Verità solo realmente, non veramente. Il risultato fu che stava per impazzire. La nuca era ritta all’indietro inchiodata da una rigidità che, implacabile, gli saliva dalla base della spina dorsale, come se l’asse del mondo avesse deciso di piazzarsi esattamente in corrispondenza della sua colonna e da lì ospitare su di sé la rotazione dell’universo intero. La catastrofe era dietro l’angolo, lo braccava stretto, lo attendeva al prossimo respiro. Le gambe erano appendici inerti, assolutamente inutili alla bisogna, tanto che si sentiva volteggiare a mezz’aria rapito nel resto del corpo da un tremore grottesco, in totale contrasto con la monolitica indecenza della sua parte postero-superiore. Gli occhi, solo, non schizzavano dalle orbite grazie alla tenace resistenza del nervo ottico che, radicato con pervicacia al chiasma e da lì indietro fini alla corteccia calcarina, insisteva – qual milite eroico sulle barricate di una battaglia che appariva ormai perduta – a voler restare al suo posto, costasse quello

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che sarebbe dovuto costare. Le braccia semplicemente penzolavano, come il mento inebetito, assolutamente incapaci di ogni benché minimo gesto.Non c’era più nulla da fare, non c’era più nulla da non fare.Alla soglia della sconfinata potenzialità non restava che la confinata impotenza.Perduto o Salvato?Lasciate ogni speranza voi che qui sostate, questo è il luogo dove depositare ogni bagaglio, dalla Realtà si esce lasciando ogni illusione, nella Verità si entra perdendosi, portando con sé null’altro che Sé.Cosa mai poteva essere questo Sé? Se tutto andava lasciato, se era necessario scomparire a se stessi come poteva portare se stesso oltre il ponte?Il paradosso lo atterriva.Atterriva nel vero senso della parola, tanto da farlo oscillare vorticosamente verso terra qual fuscello d’ortica selvatica alla brise dell’altipiano.L’oscillazione si fece insostenibile, il precipizio che gli si parava davanti ormai stava per inghiottirlo, tanto che il deliquio urgeva una presa mortale sulla sua coscienza annebbiata. Mancò meno di nulla perché non si sfracellasse laggiù nel versante oscuro, la salvezza giunse improvvisa, come la grazia, si presentò sotto forma di anelito e recitò dalle profondità della sua anima avvolta nel sonno le seguenti inconsapevoli, salvifiche parole: «Io sono te».Immediato si recitò l’incanto, non attesa si schiuse l’estasi di abbeverarsi al sole, stupito si compì il senso di afflati più lievi di polvere di stelle, privo di qualsiasi forma o sostanza, essenza nell’essenza, luce nella luce. Come la notte quando Morfeo rapisce la Coscienza nel sonno per sottoporla al privilegio del Sogno, così dalla Luce Luis, senza sapere se c’era, venne sottratto a ogni confine e privato a un tempo delle parole per dirlo.Senza concetti per concepire, l’esperienza dell’inconcepibile ricompose così l’ultimo paradosso, decretando la salvezza nel

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sacrificio di sé.Senza nome per definirsi, l’esperienza di colui che non c’è, coincise ogni cosa nel suo modo, imponendo alla libertà la prigionia del tutto. Una totalità inaccessibile agli occhi della Realtà, che, decadendo dal Vero, avrebbe chiamato l’Inconoscibile, ovvero, Dio. Quando inavvertitamente si accorse di sé, Luis ricadde nel tempo.Poté così concepire il primo atto di Realtà, la ricomparsa a se stessi che si compie al cospetto del Primo Confine: la Coscienza dell’Inconoscibile.Oltre il primo confine Luis incontrò solo Verità, luogo virtuale del quale nulla si può dire, luogo dell’assenza di sé. Quando la Coscienza di sé lo introdusse nel circuito dell’esperienza ecco, tramite separazione, nascere dalla Verità la Realtà, a sua immagine e somiglianza. Ebbe così inizio l’eterno ritorno, il viaggio evolutivo della coscienza nel suo percorso verso casa, nel luogo della Verità inconoscibile, alla riconquista della polarità perduta. Poiché l’emergenza della Coscienza di sé alla Realtà è stata caratterizzata da separazione e comparsa, il ritorno alla Verità dovrà caratterizzarsi dalla restituzione di unificazione e scomparsa. Colui che scompare a se stesso, sacrificando il Giudizio all’Osservazione, l’identificazione alla disidentificazione, l’importanza personale all’azzeramento di sé, saprà riconoscere Realtà e Verità come due facce della stessa medaglia. Lambite le soglie del mistero, Luis ricadde nel profondo sonno del Reale, si percepì nella Luce del Signore, benedetto dalla sua Grazia celebrò la melodia delle sfere e senza più nulla da fare ritrovò la memoria. La memoria degli attimi precedenti, il momento nel quale recitò l’intento: «Io sono te».Rivide il ponte di Luce, il baratro, l’altrove radioso, dove lo attendeva il suo Signore e, particolare che gli era completamente sfuggito, le anime dei perduti.«Costoro» precisò bella bella la Voce che riprese il suo eloquio come se nulla fosse successo dall’ultima volta che si era fatta sentire, «sono

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quelli che non hanno osato a sufficienza».Qual commilitone che la notte ti svegli bruscamente scuotendoti la branda e urlandoti nelle orecchie l’Inno di Mameli, qual poliziotto che ti scopra abusivo sui carri bestiame dell’espresso di mezzanotte e ti punti la torcia sul muso blaterando insulti in uno slang da bassifondi, qual contadino dell’era preindustriale che dalla cima del fienile getti in stalla le balle di foraggio per le sue bestie, così la Voce sradicò Luis dall’empireo riconducendolo alla dura Realtà di massi sotto il sedere e umida notte in riva allo Stora.«Osato cosa?» biascicò con l’inerzia meccanica degli assonnati.«L’esistenza individuale è una richiesta della quale molto spesso non siamo consapevoli. A muoverci è l’intenzione, quando ce ne dimentichiamo, la vita ci viene in soccorso aiutandoci a ricordare».Qualcosa era cambiato nell’animo di Luis e di conseguenza nel suo atteggiamento nei confronti della Voce. Ancora continuava a trovare astruse e provocatorie, a lui che aveva fatto il sessantotto, quelle frasi incomprensibili sul sesso degli angeli e dintorni, ancora sentiva nelle viscere ribollire un’arroganza dissacrante al cospetto di quelle sentenze da Guru gettate lì, come perle ai porci, ma ora si sentiva di rispondervi in modo diverso.Le onde della ribellione si stemperavano nell’oceano della compassione, gli sprazzi reattivi s’accendevano in un cielo interiore, già rischiarato dal chiarore diffuso della pace interiore, le parole che gli uscivano veicolavano una disposizione al dialogo tra pari:«Stai dicendo che la chiave risieda nell’intenzione?».«Sto dicendo che faresti bene a riconoscere come nella contemplazione dell’esperienza risieda la teoria di ogni vissuto».La tentazione all’impazienza fu tenuta a bada, ma a stento.«Mi chiedo cosa ci stia facendo tu. Non è forse prerogativa dei maestri quella di arrivare dove i discepoli non arrivano? Invadi la mia vita senza nemmeno chiedere il permesso, spari sentenze sui massimi sistemi, scompigli la mia coscienza con comandamenti definitivi e poi, beffardo, ti sottrai al tuo compito di indicare la via?».

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«Come vedi, stai chiedendo. La domanda di Verità è stata pronunciata in origine nelle profondità della tua anima, ora stai semplicemente riconoscendola, tra le nebbie dell’arroganza, della ribellione, delle resistenze».«Questo è un trucco perverso! Questa è manipolazione! Seguendo il tuo discorso potremmo arrivare a giustificare qualsiasi invasione nella vita privata delle persone. Loro non sanno ciò di cui hanno bisogno, tu lo sai e questo ti autorizza a dire loro cosa devono fare. Non ci sto cara signora Voce. Torna da dove sei venuta».«La manipolazione appartiene alla Realtà, si caratterizza come una strategia che voglia ottenere un risultato. Le mie parole appartengono alla Verità, si esauriscono in Sé, non possono essere né inficiate né confermate dal Giudizio degli uomini, voglia il cielo che tu sappia riconoscere la differenza».«In questo modo tu hai sempre ragione. Fosti tu a citare Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot, Saddam Hussein, Ceausescu, Amin Dada, Gheddafi. Pensi forse che questi soggetti non fossero convinti di agire in nome della Verità?».«Già, ti dissi, la Verità non può essere inficiata da chi la dissimula o la brandisce a sproposito, così come non cerca garanzie di convalida in chi la compie secondo giustizia. La Verità è colta da chi da questa è colto, entrando così nel Regno, non può essere colta da chi ne è al di fuori».«E quelli come te decidono chi sta dentro e chi sta fuori!».«Non offuscare la tua mente con i fumi del ragionamento: la Verità afferma, non giudica. Non appesantire il tuo cuore col vento gelido della paura, sei appena reduce dal tuo incontro con la Verità, accettalo. Non accecare i tuoi occhi col veleno del conosciuto, hai visto chiaro, riconoscilo e agisci di conseguenza».«Il problema di voi arroganti, che credete di sapere ogni cosa e avete la pretesa di insegnarlo agli altri, è che avete perso il senso della realtà. E con realtà, con l’erre minuscola, voglio significare quella cosa che tutti riconoscono come tale, vale a dire, l’uscire di

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casa, l’andare al lavoro, il fare all’amore, l’arrabbiarsi nel traffico, il desiderare che arrivi presto il fine settimana, fare il tifo per la squadra del cuore, guardare la televisione e cose del genere. Voi, presuntuosi signori della conoscenza, non avete ancora capito dall’alto della vostra saccenza che parole come “vedere chiaro, riconoscerlo e agire di conseguenza”, per la stragrande maggioranza di noi comuni mortali non hanno assolutamente nessun senso. Che cosa dovrei mai vedere, che cosa dovrei mai riconoscere? E cosa significa agire di conseguenza? Ancora non avete capito che, come dice la saggezza popolare, si estende il mare tra il dire e il fare? Se volete insegnarci qualcosa, insegnateci a solcare il mare e smettetela con le vostre teorie sulla verità assoluta e la felicità eterna!».«Allora ti racconterò una storia.In un villaggio lontano, sperduto tra le montagne, arrivò un giorno un anziano saggio.Ben presto gli abitanti si accorsero della sua saggezza e cominciarono a fare la fila alla sua porta per avere da lui consigli e conforto. Il giovane figlio del capo villaggio, orgoglioso e pieno di sé, si sentì in questo modo depauperato della sua autorità e non si dette pace fino a che non trovò un modo per trarre in inganno il vecchio saggio.Lo avrebbe invitato nella pubblica piazza e gli avrebbe teso un tranello. Avrebbe preso tra la sua mano chiusa a pugno una farfalla e avrebbe chiesto al vecchio di indovinare, dall’alto dei suoi poteri, cosa tenesse in mano. Se il vecchio avesse sbagliato, il suo onore di giovane capo sarebbe stato salvo, ma se come immaginava il vecchio avesse indovinato, gli avrebbe chiesto se la farfalla fosse viva o morta. Se egli avesse risposto viva, l’avrebbe schiacciata e fatta morire, se avesse risposto morta, avrebbe aperto il pugno e l’avrebbe lasciata volare via libera. Qualsiasi risposta il vecchio avesse dato, avrebbe fatto una figuraccia.Venne dunque il grande giorno, il giovane invitò il vecchio in piazza, il vecchio accettò. La piazza era gremita, tutto il villaggio aveva voluto assistere alla disfida. Il giovane chiamò il vecchio nel mezzo,

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mostrò il suo pugno e gli chiese:“Se sei così potente come dicono, indovina cosa tengo in mano, vecchio?”.“Una farfalla” rispose il vecchio.“Questo era facile. Quello che voglio sapere ora è se la farfalla sia viva o morta”.“Questo dipende da te” rispose il vecchio e se ne andò, lasciando il giovane con il suo pugno all’aria e la farfalla tra le mani».«La farfalla tra le mani». Una nuova sensibilità, seppur ancora inconsapevole, sembrava stesse facendosi strada tra le rozze maniere di Luis e la sua reattiva compulsione al rifiuto.Rifletteva, il nostro toccato dalla Luce: «Stringo il pugno, la farfalla muore, apro il pugno, la farfalla vive!».Forse per la prima volta comprese, finalmente e definitivamente, così credeva, il senso di liberarsi dal Giudizio. Oltre il Giudizio si accedeva al regno dell’abilità a rispondere, oltre il Giudizio si stendevano i territori della possibilità e della scelta, le praterie della libertà e della responsabilità.Nel Giudizio i dualismi, sì/no, aprire/chiudere, lasciare/tenere, vita/morte.Oltre il Giudizio, la Giusta Azione, l’unica possibile. Nella farfalla si realizza l’unità, nel pugno il dualismo. O meglio, è nel padrone del pugno, nella sua mente, che risiede il dualismo.Oltre la mente, oltre il pugno, oltre il dualismo, si accede al regno della scelta libera e responsabile.Folgorazione: la Scelta non è molteplice, ma unica.

La Scelta non è un processo di selezione tra diverse possibilità, la Scelta è l’atto di volontà, il compimento dell’uno, il luogo, dove pensiero e azione coincidono.

Così come l’errore risiede nel pugno (nella mente del suo padrone) e non nella farfalla, allo stesso modo nell’Atto di Volontà non esiste

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errore, esso risiede nel Giudizio.Ancora la diade: Verità/Realtà, Osservazione/Giudizio, Dio/Io.La novità questa volta era costituita dalla comprensione della vera natura dell’Atto di Volontà: la chiave di volta.La prima cosa da dire era che andava fatta una distinzione tra una piccola e una Grande Volontà. La piccola volontà, per continuare con i riferimenti già noti, può essere riconosciuta come la volontà della mente, quella operante attraverso il Giudizio, il pensiero, quella della Realtà, nella quale le scelte sono compiute secondo il modo esclusivo dell’o/o, quella del pugno per intenderci. La Grande Volontà indica la Volontà del Sé, quella operante attraverso l’Osservazione, quella della Verità, nella quale le scelte sono compiute secondo il modo inclusivo, che trascende ogni dualismo nell’e/e, quella della farfalla.La seconda cosa era che Luis, come spesso succede, stava ora tragicamente e inconsapevolmente scivolando dalla padella alla brace. Ora che si stava squarciando il velo dell’intuizione si accingeva ad abbracciare il partito dell’unità e a scendere in campo contro la ragione, il pensiero ordinario, quello, per intenderci, che ci consente di muoverci nella Realtà, quella di tutti i giorni, sapendo chi siamo (o chi crediamo di essere), dove siamo (o dove crediamo di essere) e cosa stiamo facendo (o cosa crediamo di stare facendo).Stava insomma per compiere l’Errore Madre di tutti gli errori, giudicare credendo di non farlo.Stava per infrangere il sottile diaframma teso tra Giudizio e Osservazione, tra pensiero e discernimento, tra mente e consapevolezza, tra identificazione e disidentificazione. Era così preso dall’euforia della differenziazione da non accorgersi di avere trascurato la Madre di tutte le Differenze. Pur avendo raggiunto e varcato le soglie dell’abisso che separa la Realtà dalla Verità, ancora Luis, imperterrito continuava a scordarne la sua vera natura. Ancora, ostinatamente, persisteva nell’abitudine di vedere nel confine solo il limite e non la soglia, di scorgere delle cose solo le apparenze e non l’Essenza.

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Essenza che inesorabilmente mostrava il suo lato paradossale.Ancora, disperatamente, si aggrappava alla logica della Realtà apparente, terrorizzato dal paradosso della Verità dell’Essenza.Ecco una chiave, se solo l’avesse saputa cogliere!

La logica descrive la Realtà, il paradosso mostra la Verità. Il pensiero indaga la Realtà, l’Osservazione coglie la Verità.

In fondo è così semplice, non c’è alcun bisogno dl Giudizio, ogni cosa è al suo posto, basta riconoscerlo.La Realtà, la mente, il pensiero, la logica, il Giudizio, la piccola volontà hanno il loro posto, svolgono la loro funzione, preziosa, imprescindibile. La Verità, la consapevolezza, l’Osservazione, il paradosso, l’intuizione, la Grande Volontà, hanno il loro posto, svolgono la loro funzione, preziosa, imprescindibile. La Realtà è illusoria, è apparenza, ma solo attraverso di essa si può manifestare la Verità. La Verità è l’essenza delle cose, la Vera Realtà, ma non può manifestarsi senza la Realtà.Certo qui ci vorrebbe la Voce, potrebbe far notare l’osservatore attento, ma la Voce sarebbe rimasta in silenzio, costringendo noi, umile narratore (non vi sfugga il paradosso), a colmare il vuoto con le nostre riflessioni senza pretese.Incrementare il flusso delle intuizioni con parole di saggezza e/o metafore rivelatrici in questo preciso momento avrebbe facilmente ottenuto il risultato di distrarre Luis da quel filone aureo di riflessioni che stava per condurlo, volesse il cielo, alla comprensione del Principio dei Principi.Il Principio di Buridano, come scherzosamente lo avrebbe chiamato il nostro eroe una volta afferratolo.Buridano, come forse non tutti sanno, rettore dell’Università di Parigi nella prima metà del quattordicesimo secolo, compose la nota favola dell’asino, divenuto poi famoso come l’asino di Buridano, che affamato e assetato, messo di fronte all’avena e all’acqua, non seppe cosa scegliere e morì.