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Scritti offerti dal

Centro Europeo di Studi Normanni a

Mario Troso !

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a cura di Giuseppe Mastrominico !

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GIOVANNI AMATUCCIO

La battaglia del Sarno

(24 Luglio 1132) !

1. Introduzione

La battaglia del fiume Sarno, nota anche come battaglia di Nocera, è

forse poco conosciuta ai più. Non è certo famosa come altre del nostro

Medioevo: Cortenuova, Legnano o Montaperti, tuttavia essa

rappresenta un momento emblematico di una fase storica

importantissima per la storia d'Italia. Essa infatti s'inserisce nelle

vicende che portarono alla costituzione del Regnum Siciliae,

formazione statale che, da quei giorni, per circa sette secoli,

caratterizzò profondamente la storia d'Italia e d’Europa. La battaglia -

svoltasi il 24 luglio del 1132 tra le truppe del novello re di Sicilia

Ruggero II, da una parte, ed il principe di Capua e il conte Rainulfo di

Alife dall’altra - fu combattuta nella piana dell’Agro nocerino-sarnese,

nei pressi del vecchio ponte sul fiume Sarno, ricadente oggidì

nell’abitato di Scafati. Essa trasse origine dal tentativo delle truppe

ribelli di spezzare l’assedio del castello di Nocera intrapreso da

Ruggero. L’avvenimento riveste una particolare importanza nella

ricostruzione delle tattiche e delle vicende militari del medioevo

normanno meridionale, e più in generale del XII secolo europeo, e qui

cercherò di analizzare sistematicamente le evidenze documentali e

fornire una ricostruzione il più possibile completa delle cause, dello

svolgimento e delle conseguenze1.

La conquista normanna del Sud Italia si era conclusa nel 1071 con la

presa della Sicilia e aveva dato vita, a tre grandi compagini statali: la

Contea di Sicilia, con a capo Ruggero I; il ducato di Puglia e Calabria

con Roberto il Guiscardo e il principato di Capua con Riccardo I. Con

la morte dei due fratelli Altavilla (Ruggero e Roberto) la contea di

Sicilia passò al figlio di Ruggero, Ruggero II, mentre il Ducato di

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Puglia fu sconvolto da varie vicende legate alla successione, finché,

negli anni 20 del XII sec., Ruggero II riesce a far valere i suoi diritti

ereditari annettendo l'intero Ducato alla contea di Sicilia. Nel 1129

anche il principato di Capua, nella persona di Roberto, riconosce

l'autorità del conte Ruggero II. Per la prima volta tutti i possedimenti

normanni sorti dalla conquista del Mezzogiorno si trovano riuniti sotto

la sovranità di un solo uomo.

Nel 1130, finalmente il gran conte viene investito della corona reale,

nasce così il nuovo Regno di Sicilia, che rappresenterà una nuova

grande forza politica nello scenario dell'Europa cristiana. Tutto ciò era

stato reso possibile dalla grave crisi che attanagliava il papato, il

quale, in condizioni normali non avrebbe mai acconsentito che a sud

dei suoi possedimenti si costituisse una sì forte compagine statale. In

effetti, il gran conte aveva approfittato della presenza contemporanea

di due papi sul soglio pontificio: Innocenzo II e Anacleto II, e

appoggiando il secondo contro lo stesso imperatore Lotario, era

risuscito a farsi incoronare2.

2. La guerra civile

Ma il nuovo regno era ancora di là da essere saldamente nelle mani del

re, una lunga guerra impegnerà il nuovo sovrano nello sforzo di

riaffermare la sua autorità su tutti i baroni della parte continentale del

regno. Molti di costoro mal sopportavano l'idea di dover sottostare ad

un unico sovrano. Essi erano i discendenti dei fieri guerrieri che

avevano conquistato il sud alla testa di bande delle quali ognuno era

signore: si erano sempre considerati tra loro dei pari, anche se a volte

affidavano il comando a un singolo capo. Ciò valeva soprattutto per i

Normanni del continente, mentre alquanto differente era la situazione

siciliana, date le diverse circostanze della conquista dell'isola. Essa,

infatti, era avvenuta sotto la guida ferrea di due capi: i fratelli

Altavilla, e al termine, dopo che il Guiscardo si era ritirato sul

continente, la guida dell'isola era rimasta nelle mani esclusive di

Ruggero I, che aveva dato alla contea un'impronta strettamente

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monocratica. Sul continente, invece, i singoli duchi e baroni si erano

spartiti i territori a macchia di leopardo, a stento tollerando

comandanti superiori, considerati, nella migliore delle ipotesi, quali

primi inter pares.

Dunque, il processo di controllo del continente da parte della nuova

monarchia siciliana fu caratterizzato da una lunga guerra, che

qualcuno ha definito una guerra civile, mentre altri l’hanno vista come

conquista del Mezzogiorno continentale da parte della Sicilia. La

battaglia del Sarno è solo un episodio, seppure emblematico, di questo

lungo conflitto che continuerà fino al 1144. Ma, come già accennato,

la lotta tutta interna alle casate normanne si intreccia con motivi più

generali, diremmo “internazionali”, che vedono la lotta tra i due papi,

Anacleto II e Innocenzo II, la quale, a sua volta si salda con le mire

imperiali dell’imperatore Lotario sull’Italia. Durante questo periodo le

maggiori potenze del Mediterraneo si coalizzano attorno

all'imperatore Lotario e al Papa Innocenzo II, tutte timorose della

crescente potenza del regno normanno.

Ricordiamo, per sommi capi, le fasi salienti del conflitto che

seguirono la battaglia del Sarno. Il previsto attacco di Lotario a

Ruggero aveva guadagnato l'appoggio di Pisa, Genova e

dell'Imperatore d'Oriente Giovanni II di Bisanzio. Nel febbraio del

1137 Lotario cominciò a spostarsi verso il Sud e fu raggiunto da

Rainulfo d'Alife e dagli altri ribelli. A giugno assalì e prese Bari.

Innocenzo II e Lotario concentrarono nel maggio del 1137 le proprie

armate accanto al castello di Lagopesole e assediarono la città di Melfi

costringendo Ruggero II alla fuga, quindi riescono a conquistare la sua

ex capitale, Melfi, il 29 giugno. Qui, nel luglio successivo, il pontefice

tenne il Concilio, nel quale viene decisa la deposizione dell’antipapa

Anacleto II. Il 4 luglio Innocenzo II, insieme all’Imperatore Lotario II,

delegittimò Ruggero II, in favore di Rainulfo di Alife nuovo Duca di

Puglia. L'Imperatore rientrò in Germania e Ruggero, liberato dal

pericolo incombente, riprese terreno, saccheggiò Capua e costrinse

Sergio VII ad accettarlo come Signore di Napoli. A Rignano

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Garganico, Rainulfo di nuovo sconfisse il Re, ma nell'aprile del 1139

morì e Ruggero sottomise gli ultimi ribelli. A questo punto Ruggero

volle avere la conferma del titolo da Innocenzo II (Anacleto era morto

nel gennaio1138). Invece il Papa, ancora restio a tale riconoscimento,

dopo aver scomunicato Ruggero (8 luglio), invase il Regno con un

grande esercito, ma cadde in un'imboscata a Galluccio (22 luglio

1139). Dopo la vittoria del Re, il Papa lo investì del titolo di Re

di Sicilia, del ducato di Puglia e del principato di Capua (Rex Siciliae

ducatus Apuliae et principatus Capuae). Le frontiere del Regno

furono alla fine fissate da una tregua col Papa Lucio II nell'ottobre

1144.

3. I protagonisti

Ma torniamo al 1132 e agli inizi del conflitto. I protagonisti degli

avvenimenti sono - oltre al re Ruggero - il principe di Capua, Roberto

II, appartenente all’antica famiglia normanna dei Drengot-Quarrel, la

prima famiglia dei conquistatori normanni calati in Italia, e il duca

d’Alife, Rainulfo, marito della sorella del re, Matilde, e quindi suo

cognato, anch'esso discendente della stessa potente famiglia.

L’antefatto vede agli inizi del 1132, uno dei due papi, Innocenzo II, in

marcia verso l’Italia; questi, forte dell'appoggio di Lotario, contava di

scacciare Anacleto II dal soglio romano per insediarsi in sua vece.

Quest’ultimo chiede aiuto a Ruggero, il quale decide di inviare truppe

a Roma in sua difesa. Il re incarica proprio il principe di Capua e

Rainulfo d’Alife di dirigersi verso Roma con 200 cavalieri.

Approfittando della lontananza del cognato Rainulfo, Ruggero chiede

a Riccardo, fratello di Rainulfo, di rimettergli il riconoscimento della

sua sovranità sui propri possedimenti di Avellino e Mercogliano.

Riccardo per tutta risposta fa cavare gli occhi e tagliare il naso agli

inviati del re, il quale immediatamente marcia con le truppe

occupando le due località rivendicate. A questo punto la sorella

Matilde, moglie di Rainulfo, coglie l’occasione per abbandonare il

tetto coniugale e rifugiarsi a Salerno presso il re suo fratello

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sfuggendo così ai maltrattamenti a cui era sottoposta dal marito. Il re

la accoglie e richiede al cognato la restituzione della dote, consistente

in molti possedimenti della Valle Caudina, oltre ad alcuni castelli.

Rainulfo rientra da Roma e chiede al re di restituirgli la moglie, i figli

e i possedimenti occupati di Avellino e Mercogliano. Ruggero

naturalmente rifiuta e gli propone un incontro a Salerno. Rainulfo,

temendo una trappola, rifiuta l’incontro e si prepara alla guerra.

Il re parte per la Sicilia portando con sé la sorella con i figli, ma a

maggio è di nuovo sul continente per soffocare la rivolta dei baroni

pugliesi. Rainulfo vorrebbe accorrere in difesa dei ribelli pugliesi, ma

il principe di Capua, suo signore, non glielo concede poiché spera

ancora in una riconciliazione con Ruggero. Il principe manda legati al

re chiedendogli di restituire i domini del suo vassallo, Avellino e

Mercogliano, altrimenti non avrebbe più riconosciuto i propri obblighi

vassallatici nei suoi confronti. Il re, riservandosi di rispondere, gli

ordina di recarsi nuovamente a Roma per difendere Anacleto contro la

calata dell’imperatore Lotario, ma Roberto si rifiuta di obbedire

fintanto che non sarà resa giustizia al suo vassallo. La rottura è a

questo punto definitiva, e il principe e il conte d’Alife si preparano a

resistere alle truppe reali fortificandosi nella valle Caudina,

rivendicata dal re quale dote della sorella. Ruggero cerca di far

recedere Roberto dall’aperta ribellione chiedendogli il passaggio

attraverso le sue terre per recarsi a Roma invitandolo ad

accompagnarlo. Roberto rimane inamovibile sulle sue posizioni:

prima restituire i beni sottratti a Rainulfo. Le trattative vanno avanti

per molto tempo, in quanto il re non vuole ritrovarsi contro il principe

proprio nel momento pericoloso della ventilata invasione imperiale.

4. Preludio

La città di Benevento diventa il centro della contesa. I due eserciti

muovono da opposte direzioni verso la città, entrambi con l’obiettivo

di assicurarsi la sua fedeltà. Ruggero riesce in un primo momento ad

ottenere l'appoggio dei maggiorenti, tra i quali l’arcivescovo Landolfo

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e il rettore Crescenzio; ma il popolo, istigato dal partito filo-capuano,

costringe i realisti alla fuga e intavola trattative con Roberto. Il re

muove dalla Puglia e si accampa, in un primo momento, nel castello di

Crepacore, presso l’attuale Montecalvo Irpino; il 13 luglio si avvicina

ancora più alla città accampandosi in una località tra Paduli e il ponte

di San Valentino sul fiume Calore, a due km a nord-est dal centro

cittadino e intima ai due ribelli, Rainulfo e Roberto, di presentarsi lì al

cospetto della sua corte, ma i due si rifiutano3.

Nel frattempo il principe - ponendosi come ultimo baluardo della

dignità comitale normanna contro le pretese del re - era riuscito a

raccogliere attorno a se un gran numero di seguaci, tra i quali

Rainulfo, Raone di Fragneto e Ugo l’Infante, e, con circa 3.000

cavalieri e 4.000 fanti, si attesta a difesa del passo della Valle Caudina

presso Montesarchio. Saputo, però, dell’approssimarsi dell’esercito

regio, si avvicina ancor più alla città andandosi ad accampare presso

un non meglio precisato castello di Pocone sul Sabbato, presso il

Ponte Maggiore, presumibilmente dal lato opposto al campo del re, in

una zona oggi detta contrada Tressanta (Falcone dice Cressanta).

I due eserciti sono quindi accampati uno di fronte all’altro con in

mezzo la città, tanto che, dice Alessandro di Telese, si scorgevano uno

con l’altro. Ruggero aveva schierato il suo esercito in formazione di

battaglia, pronto a ricevere un eventuale attacco da parte dei ribelli,

ma in realtà si rende presto conto che la situazione è sfavorevole, in

quanto la città è ormai passata ai ribelli le cui forze dovevano essere

nettamente superiori. Quindi, dopo essere rimasto accampato per otto

giorni, decide di togliere le tende nottetempo, in modo da non essere

scorto dal nemico. Il racconto di Alessandro di Telese, molto

stringato, vuole che i capi ribelli non si siano resi conto della partenza

del re fino all’arrivo della notizia che egli stava assediando il castello

di Nocera. Il cronista Beneventano sembra, invece, molto più

informato e da esso ricaviamo una cronologia più certa: gli otto giorni

trascorsi a San Valentino, la partenza dell'esercito di Ruggero e i

successivi avvenimenti, in particolare il fatto che l’indomani si

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accampò ad Atripalda a una cinquantina di km di distanza. Non sappiamo l’itinerario che seguì, ma probabilmente dovette marciare in direzione di Montemilletto, tenendosi a debita distanza da Benevento per evitare il contatto con l’esercito ribelle che presidiava la direzione di Altavilla Irpina. A questo punto si pone, a mio parere, la svolta decisiva degli avvenimenti. Come ci informa il cronista beneventano, infatti, è vero che i ribelli non si accorsero subito della partenza dell'esercito regio, avvenuta nottetempo, ma in realtà ebbero il tempo di accorgersene l’indomani, prima che esso fosse giunto a Nocera, contrariamente a quanto afferma il Telesino. L’operazione di sganciamento dell’esercito reale riuscì solo parzialmente. Infatti, dice Falcone, Raone di Fragneto accortosi della partenza, presumibilmente all’alba, si pose all’inseguimento, fino a raggiungere la retroguardia reale costituita dai fidi Saraceni siciliani, facendone strage e catturando molti prigionieri che mandò a Capua, e facendo decapitarne uno, probabilmente il capo. L'attacco di Raone avvenne, molto probabilmente, quando il grosso dell’esercito con il re era già giunto ad Atripalda, ma mentre la retroguardia saracena era ancora in marcia. Verosimilmente Raone, muovendo dalla piana di Tressante, dove era accampato l’esercito ribelle, aveva tagliato attraverso la via per Altavilla Irpina riuscendo a intercettare le colonne regie alla retroguardia, quando il grosso era ormai passato. Il re seppe dell’imboscata quando era già accampato ad Atripalda, ed infatti da lì tolse le tende quando decise di muovere su Nocera. È evidente che lo scopo del re, in origine, non era di carattere offensivo, la constatazione della superiorità numerica nemica gli aveva fatto assumere la decisione di ritirarsi su Salerno, la sua fidata base di operazioni sul continente. Infatti, il cronista dice che, all’indomani della precipitosa partenza notturna da San Valentino: “Mane autem facto, circa Salernitanos fines applicuit ibique fatigatus, et aliquantisper deposito cordis timore, circa fluenta montis Atrupaldi quievit”4. Quindi egli non aveva alcuna intenzione di attaccare

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Nocera, Atripalda rappresentava, infatti, solo una tappa per il

cammino verso Salerno: è solo la notizia dell’attacco alla retroguardia

saracena che lo manda su tutte le furie e gli fa perdere le sue

proverbiali doti di prudenza militare. In quel momento egli decide di

attuare un’immediata rappresaglia contro i ribelli, deviando così il

tragitto della sua ritirata strategica: “Rex autem Sarracenorum suorum

stragem et captivitatem audiens satis abundeque condoluit; minabatur

insuper dolore commotus ut, tempore ultionis accepto, vicem rederet

pro acceptis”5. Quindi, tolto il campo da Atripalda continuò,

probabilmente, ancora sulla via per Salerno fino al castello di Rota

(attuale Mercato Sanseverino) e lì deviò puntando su Nocera. Qui il 19

luglio, pose l'assedio al munitissimo castello appartenente al principe

di Capua.

5. Lo scenario

E veniamo, dunque, alla vigilia della battaglia, ma sarà a questo punto

opportuno spendere qualche rigo circa la località dello scontro. Lo

scenario geografico delineato, che coinvolgeva varie località, ha fatto

sì che le fonti e la successiva storiografia non abbiano adottato una

comune denominazione per questo importate avvenimento bellico;

infatti, esso è stato registrato e tramandato di volta in volta con i nomi

di battaglia di: “Nocera”, “Scafati” o “del fiume Sarno”. Dalla tarda

antichità fino all’età contemporanea, il fiume Sarno è stato teatro

privilegiato di importanti fatti d’arme. Il primo, e il più importante di

essi, fu la battaglia cosiddetta dei Monti Lattari o del Vesuvio,

combattuta nel 533 dalle truppe imperiali bizantine guidate da Narsete

contro i Goti di Teia. Battaglia decisiva per il definitivo

annientamento del dominio ostrogoto in Italia, a dispetto della

denominazione accordatale, la sua prima fase fu combattuta proprio

sul fiume Sarno presso la sua foce6. Nel 1132 vi fu lo scontro di cui

andiamo raccontando, che ebbe come epicentro il ponte sul fiume, nei

pressi dell’odierna Scafati. Nel 1460 di nuovo il fiume vede

l’affrontarsi delle truppe aragonesi guidate dal re Ferdinando I con

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quelle angioine capeggiate da Giovanni I: questa volta lo scontro

avviene a monte, verso le sorgenti del fiume, nei pressi dell’abitato

omonimo di Sarno7. Infine, un altro avvenimento bellico, certo di

minore importanza, ma pur significativo, si registra durante la

Seconda Guerra Mondiale, durante l’avanzata Alleata del 1943, da

Salerno verso Napoli. Il 28 settembre di quell’anno, infatti, truppe

inglesi del Queen’s Royal Regiment combatterono per il controllo del

ponte di Scafati, unico rimasto in piedi dopo che i Tedeschi avevano

fatto saltare tutti gli altri ponti sul fiume dalle sorgenti alla foce8. Lo

scenario, come vedremo, fu identico a quello della battaglia di circa

otto secoli prima.

Perché, dunque, il succedersi, nel corso dei secoli, di tali avvenimenti

bellici intorno al fiume? Il motivo è semplice, il Sarno rappresentava

un’importante barriera di confine naturale per gli eserciti che

volessero percorrere la direttrice nord-sud o, viceversa, sul versante

tirrenico, in particolare tra le città di Napoli e Salerno. Il corso del

fiume, infatti, si sviluppa dalle sorgenti poste alle pendici dei monti di

Lauro e il golfo di Castellammare, dividendo la pianura Sarnese-

Nocerina da quella Vesuviana. Le due pianure, costituenti in effetti un

unicum geografico, sono delimitate solo dal corso del fiume, che a sua

volta si inserisce tra le difficilmente valicabili barriere orografiche dei

monti di Lauro, ad est, e dei monti Lattari a ovest. Era naturale,

dunque, che gli sforzi dei difensori di turno si concentrassero sulle

sponde del fiume - tra l’altro descritto dalle cronache antiche come

difficilmente guadabile - e, in particolare, sul controllo dei ponti che

lo attraversavano.

6. Gli eserciti

Ma quali erano le forze in campo? La battaglia vede contrapposti due

eserciti sostanzialmente simili, composti entrambi da “normanni”,

intesi come prodotto dell'evoluzione del modello militare importato

dai conquistatori a partire dall'XI secolo, adattatosi poi alle esigenze

belliche del territorio attraverso la mescolanza con elementi

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longobardi e bizantini. A circa metà del XII secolo, l'armamento di

questi eserciti non differisce di molto da quello del secolo precedente

ampiamente testimoniato dall'arazzo di Bayeux. Siamo, tuttavia, in

una fase di transizione nella quale cominciano ad inserirsi elementi

nuovi provenienti sopratutto dall'esperienza delle guerre crociate nel

Vicino Oriente. Alcuni elementi iconografici, quali pulvini, mosaici

ecc., ci permettono di fotografare la situazione dell'armamento in

questa fase, mentre un importante documento iconografico,

rappresentato dal Liber ad Honorem Augusti, ci permette di cogliere la

situazione alla fine del secolo, dunque circa 50 anni dopo i fatti da noi

presi in esame. Dall'analisi delle miniature in oggetto, si evince che

ormai il processo evolutivo è maturato appieno. Notiamo infatti, la

comparsa dei primi elementi araldici sugli scudi, l'uso delle

sovrasberghe, il classico scudo a mandorla divenuto più piccolo ecc.9

Tutto ciò per quanto concerne gli armamenti, che dovevano essere

sostanzialmente simili nei due eserciti che si scontrarono sulla piana

del Sarno. Abbastanza simile doveva essere anche la loro

composizione: cavalleria pesante reclutata su base feudale e attraverso

il pagamento in moneta, fanteria costituita soprattutto da sergenti

armati alla leggera. Ma al di là di queste similitudini, si riscontrano

differenze abbastanza marcate se si prende in considerazione la

composizione etnica e geografica della provenienza delle truppe.

L'esercito regio, infatti, era costituito in maggior parte dalla leva

siciliana, mentre quello dei ribelli si basava sulle forze derivanti dai

legami vassallatici del principato di Capua. L'esercito siciliano

costituiva già un modello che prefigurava la futura organizzazione

centralizzata del nuovo regno, basata su di un servizio militare

dipendente direttamente dal sovrano e incombente, a diversi gradi di

coinvolgimento, su tutti i sudditi. Abbiamo già ricordato come la

Sicilia avesse avuto una storia diversa di conquista da parte dei

Normanni rispetto al continente; questa diversità, concretizzatasi nella

formazione della contea isolana, aveva dato vita ad un sistema militare

profondamente diverso da quello che aveva caratterizzato la fase della

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conquista continentale. La costituzione di un forte esercito

centralizzato - la cui formazione andava al di là del semplice servitium

feudale, come ci dimostrerà successivamente il famoso Catalogus

Baronum10

- assieme alla disponibilità di ricche risorse economiche,

umane e di materia prima che l'isola forniva al re, saranno i fattori

decisivi che daranno al re il vantaggio necessario a prevalere nella

lunga guerra civile.

7. I Saraceni

Uno dei caratteri distintivi dell'esercito siciliano fu sicuramente quello

della massiccia presenza al suo interno di forze musulmane costituite

dagli abitati di origine arabo-berbera che avevano dominato l'isola per

circa tre secoli. Furono proprio le vicende a loro legate a portare allo

scontro campale di Scafati, e più in generale la loro presenza costituì

un forte elemento di vantaggio nell'esito finale dell'intera guerra11

.

L’episodio dell’attacco alla retroguardia saracena, cui si è accennato

in precedenza e sul quale torneremo, rappresenta il fattore

determinante per comprendere le dinamiche che portarono alla

sconfitta dell’esercito reale.

Per il periodo normanno sappiamo poco, eppure le fonti letterarie ci

tramandano quanto basta per capire che l'impiego di truppe

musulmane non fu, come genericamente si crede, una prerogativa di

Federico II. Infatti, subito dopo la prime fasi di conquista dell'isola, i

Normanni avevano cominciato a servirsi di truppe saracene reclutate

in Sicilia. Tuttavia, se le fonti sono eloquenti nel fornirci indicazioni

circa la partecipazione delle truppe saracene alle varie campagne,

nulla ci dicono a proposito del sistema di reclutamento nonché

dell’organizzazione. Per avere qualche elemento più preciso dobbiamo

andare ai tempi di Federico II o degli Angioini, quando la

documentazione si fa più circostanziata grazie ai documenti delle

cancellerie reali. Evidentemente, il reclutamento, che come detto

cominciò subito dopo la conquista della Sicilia o addirittura quando

essa non era ancora stata ultimata, avveniva - come nel caso del fyrd

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anglosassone - utilizzando strutture ed usi consolidati durante la

dominazione musulmana dell’Isola. Quali fossero queste strutture

purtroppo non ci è dato sapere con esattezza. Amari ha in parte

ipotizzato l’esistenza del sistema dello giund (o jund) come servizio

militare presso i saraceni di Sicilia. Di certo, i Normanni conservarono

la divisione in distretti militari degli Arabi: gli iklim, e probabilmente

su di essi si basava il reclutamento musulmano servendosi dei registri

di terre (defatar) e delle platee (jarida)12

.

Ai soldati musulmani che servivano sotto il conte Ruggero non era

apparentemente permesso di convertirsi al cristianesimo. Secondo il

biografo di Anselmo, Edamero, molti soldati musulmani avrebbero

liberamente rinunziato alla propria fede e, sottomessisi al

cristianesimo, non avevano temuto la rude crudeltà di Ruggero verso

di loro nella rappresaglia13

. Questa testimonianza rivela come fosse

interesse della nascente potenza siciliana del Gran Conte avere a

disposizione truppe che esulavano dal sistema del reclutamento basato

sul servitium feudale o sul semplice pagamento in moneta.

Evidentemente, mantenere i Musulmani legati alla propria fede,

significava mantenerli legati alle loro tradizioni etniche e politiche, e

quindi anche a quelle militari. Essi venivano così a costituire un

serbatoio di reclutamento dal quale attingere a piene mani, senza

dover sottostare ai rigidi schemi del servitium feudale, spesso limitato

da vincoli di tempo e di prestazioni. E qui si può identificare lo stesso

meccanismo che aveva spinto i regnanti anglo-normanni a mantenere

in piedi il sistema del fyrd anglo-sassone: l’elemento comune nelle

due esperienze può essere rintracciato nel legame tra territorio e leva

militare.

Non sappiamo se e quanto i Saraceni che militavano nell’esercito

venissero retribuiti, ma è certo che se pure retribuzione vi fosse, non

era riconducibile alla figura dei mercenari. I Saraceni, infatti, erano

sudditi del Gran Conte prima e del re poi, in quanto tali essi

prestavano il servizio militare, fosse o no pagato in moneta. Dalle

fonti normanne non possiamo dedurre quale fosse l’esatta consistenza

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numerica, l’armamento e l’impiego tattico di tali reparti. Ragionando

per analogia con i periodi successivi (svevo e angioino) possiamo

desumere che essi fossero equipaggiati alla leggera e si trattasse

prevalentemente di arcieri. Di certo sappiamo che essi erano

inquadrati in reparti autonomi guidati da propri comandanti: un

documento siciliano, redatto in greco e in arabo, ci informa che

esistevano dei quwwad ar-rumat (capi degli arcieri), che dovevano

essere i comandanti di tali reparti14

. Sappiamo inoltre che essi

venivano impiegati come addetti alle macchine d'assedio o alla

costruzione delle fortificazioni. Insomma, essi erano in grado di

assicurare alle armate feudali normanne, costituite prevalentemente da

cavalieri, il necessario apporto logistico e una numerosa fanteria

leggera15

(! Fig. 1).

8. La battaglia

Ma veniamo, finalmente, alle fasi della battaglia. Le truppe del

principe e del conte erano giunte, quindi, sulla sponda destra del

Sarno, provenienti, probabilmente dal vallo di Nola. Il fatto che

apparvero sulla riva destra del fiume, cioè dall’altro versante rispetto a

Nocera, dimostra che esse non avevano seguito lo stesso percorso

delle armate regie, cioè per la serra di Montoro, ma avevano aggirato a

nord il massiccio di Lauro sbucando poi per il vallo di Nola, mentre il

re era intento ad assediare il castello di Nocera. L'assedio del castello

era iniziato, come ricordato, il 19 luglio e l'intervento delle forze

ribelli era sopravvenuto dopo che l'assedio durava da cinque giorni,

quindi la data esatta della battaglia è la domenica del 24 e non il 25

come spesso si afferma16

. Ruggero, previdentemente, aveva fatto

distruggere il ponte principale sul fiume proprio per impedire il loro

passaggio; ma i ribelli, in fretta e furia, ricostruiscono alla meglio il

ponte e al quinto giorno dall'inizio dell'assedio passano il fiume e si

schierano in formazione di battaglia. Il ponte in questione doveva

sorgere proprio in corrispondenza dell’attuale ponte sito nel centro

cittadino di Scafati, nei pressi del municipio. Da Nocera muovono le

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truppe regie e così i due eserciti si trovano schierati uno di fronte

all’altro nella vasta pianura alla sinistra del fiume. Entrambi gli

schieramenti si dispongono su più file e in tre ali. Il Principe divide i

suoi 1.000 milites in due “coorti”, e similmente il conte Rainulfo

dispone i suoi 1.500 equites in 5 “caterve”, ognuna di 250 uomini;

mentre 250 cavalieri vengono inviati in soccorso degli assediati di

Nocera17

. In totale, quindi, le forze dei ribelli dovevano ammontare a

circa 2.750 cavalieri, almeno stando ai numeri particolareggiati

attestati dalla cronaca di Falcone. A tale proposito va però precisato

che la definizione di equites per tali truppe sia la più appropriata in

quanto doveva designare sia i milites veri e propri - cioè coloro che

erano insigniti del cingulum militiae e armati alla pesante - sia i

servientes a cavallo, armati alla leggera e privi dello status di cavalieri.

Così considerata la cifra appare alquanto realistica, ma come si

riscontra spesso nelle cronache del tempo, non tiene conto dei fanti.

Questi, considerato un rapporto approssimativo cavalieri-fanti di 1:3,

dovevano essere almeno 8.000, il che farebbe ammontare l’intero

esercito dei nobili a qualcosa di più di 10.000 uomini. Purtroppo

Falcone non è altrettanto eloquente circa i numeri dell’esercito regio e

solo si limita a ricordare che il re dispose i suoi uomini in otto “acie”.

Si può ipotizzare che ognuna di queste unità fosse composta, come

quelle avversarie, di 250 cavalieri; in tal modo si avrà un totale di

2.000 cavalieri, quindi una forza di poco inferiore a quella nemica, che

- con lo stesso rapporto calcolato precedentemente - doveva

ammontare a un totale di 8.000 tra fanti e cavalieri (! Fig. 2).

Lo svolgimento dello scontro può essere, per ragioni analitiche, diviso

in tre fasi. La prima fase vede iniziarsi lo scontro con la prima linea

del re che carica con le lance abbassate, travolgendo il centro tenuto

dalle truppe capuane. La prima linea del principe - che doveva essere

costituita da una delle due “coorti” precedentemente ricordate, quindi

500 uomini - cede all’irruenta carica regia; il panico coglie l’intero

settore centrale dell’esercito: i cavalieri trascinano nella ritirata anche

la propria fanteria schierata alle loro spalle, tutti si accalcano verso il

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ponte per cercare di riguadagnare l’altra sponda del fiume; ma il ponte

non riesce a contenere tutti e molti si gettano nelle acque, dove 1.000

fanti trovano la morte.

La seconda fase vede l’accorrere, in soccorso dei fuggitivi, della

seconda “coorte” del principe, quindi di altri 500 cavalieri, che

presumibilmente dovevano costituire l'ala sinistra dello schieramento.

Ma la seconda linea dell'esercito regio entra in azione volgendo in

fuga anche questa nuova ondata. Le truppe capuane sono messe,

quindi fuori gioco, ma a quel punto c'è il ribaltamento dello scenario,

quando Rainulfo, dall'ala destra, accorre con la sua cavalleria, che

lancia in tre ondate successive contro i regi, finché essi sono

definitivamente travolti..

Il re stesso si salva a stento fuggendo con pochi uomini, inseguito dal

nemico e riesce a mettersi in salvo tra le fidate mura di Salerno.

Enrico vescovo di Sant'Agata, testimone oculare, stilò una lettera nella

quale informava Innocenzo II della vittoria sull’esercito regio. La

relazione, chiaramente encomiastica nei confronti dei ribelli, riferisce

cifre poco credibili sulle loro perdite arrivando ad affermare che

nessuno di loro cadde in battaglia se non quelli che avevano cercato,

all'inizio, scampo nel fiume. Per contro sembrano invece realistiche le

cifre fornite sulle perdite regie: furono circa mille i cavalieri del re

fatti prigionieri, tra i quali trenta baroni, dei quali ci riferisce il nome

solo di Ruggero d’Ariano e del conte di Civitate. Il bottino fu, inoltre,

enorme, la stessa tenda del re cadde nelle mani dei ribelli con tutto ciò

che conteneva: oro, argento, armi e armature ecc., e addirittura la

stessa bolla dell'antipapa Anacleto che investiva Ruggero della corona

del regno18

.

9. Tattica e strategia

Dalle cronache della battaglia è possibile trarre alcune interessanti

riflessioni di carattere tattico e strategico, valide in generale per lo

studio e la conoscenza del modo di condurre la guerra nel XII secolo.

Innanzitutto, dal punto di vista tattico, possiamo osservare come

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questa battaglia rappresenti un tipico svolgimento del periodo, con la

prevalenza assoluta della cavalleria che combatteva su un terreno

completamente pianeggiante, adatto quindi alle manovre e alle

cariche: i fanti, invece, appaiono in una posizione del tutto

complementare. I cronisti li citano solo per la parte dei ribelli,

mostrandoceli in fuga rovinosa, gettarsi nel fiume sotto l'impeto della

cavalleria regia. Da parte dello schieramento di Ruggero, anche se uno

dei cronisti ci informa della loro presenza, non ci dice quale fu il loro

ruolo né il loro numero. Lo schieramento della cavalleria appare,

invece, abbastanza ben descritto, con formazioni di 250-500 uomini,

disposte a cuneo. Altra caratteristica rilevante, tipica del tempo,

rivelataci dalle fonti, è quella del procedimento di battaglia. La

cavalleria regia si muove inizialmente “moroso gressu”, cioè a passo

lento, verso il nemico per poi lanciarsi al galoppo; la carica iniziale

viene condotta con le lance abbassate, e qui abbiamo un'altra preziosa

testimonianza circa l'uso ormai affermato al tempo della carica con la

lancia in resta, contrariamente a quanto avveniva ancora fino al secolo

precedente, quando la lancia veniva perlopiù brandita dall'alto; in un

secondo momento, invece, i cavalieri, rotte le aste nello scontro,

passano alle spade.

L'analisi complessiva dello svolgimento dello scontro vede la vittoria

dei ribelli dovuta soprattutto all'intervento decisivo delle truppe di

Rainulfo. Questo aspetto lascia in un certo senso perplessi: perché

Ruggero, dopo aver travolto con una certa facilità le truppe capuane,

si lasciò poi sorprendere così banalmente dall'attacco sul fianco di

Rainulfo? Le possibili risposte a questo interrogativo sono due. La

prima è di carattere tattico e potrebbe trovare motivo in una manovra

consapevole dei capuani, vale a dire una fuga simulata, tattica

ampiamente usata al tempo, che prevedeva una finta ritirata atta a

trascinare il nemico in un inseguimento disordinato durante il quale i

ranghi si sfilacciavano facendogli perdere così la coesione necessaria;

a quel punto una controcarica di truppe fresche e ben salde avrebbe

avuto facile gioco. La seconda, invece, ci riporta a considerazioni di

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carattere più strategico e si basa sulla superiore abilità di comandante

di Rainulfo di Alife rispetto a Ruggero, circostanza che trova riscontro

dal contesto generale della “guerra civile”. Innanzitutto è da segnalare

il fatto che nei circa 15 anni di guerra per la conquista del regno il re

fu impegnato solo in due grossi scontri campali, questo del Sarno,

appunto, e un altro a Rignano in Puglia, 5 anni dopo, nel 1137, ed è

interessante notare che in entrambi fu sconfitto. Anche nel caso di

Rignano, probabilmente fu la superiore abilità tattica e di comandante

di Rainulfo di Alife a fare la differenza19

.

Tuttavia, sappiamo che pur sconfitto due volte in campo aperto,

Ruggero vinse la guerra; ciò poiché egli si rivelò dal punto di vista

strategico molto più abile nella guerra d'assedio, che fu la vera

protagonista del conflitto, così come lo era in generale nella guerra del

Medioevo.

Il re, forte del retroterra economico e umano della Sicilia, seppe ben

sfruttare quelle risorse: decine di assedi contro castelli e città furono

condotti dalle truppe regie, che condussero alla capitolazione, una alla

volta, delle maggiori piazzeforti del continente. La sua superiorità

strategica si rivelò nell'uso sapiente ed accorto delle macchine

d'assedio e, più in generale, degli accorgimenti tattici tesi

all'espugnazione delle fortezze. Consapevole forse della sua inferiorità

in campo aperto, il re seppe evitare quando possibile gli scontri

campali, rivolgendo la sua attenzione verso la conquista delle città e

delle fortezze. E in questo senso appare centrale un elemento che

abbiamo in parte delineato in precedenza: il ruolo delle truppe

musulmane. Queste ebbero un ruolo di primo piano non solo come

fanteria leggera, sopratutto di arcieri, ma soprattutto nel fornire la

manodopera atta alla costruzione e all'uso degli ordigni d'assedio dei

quali essi si erano rilevati abili costruttori.

L'uso massiccio del “fyrd” musulmano fece forse la differenza con gli

eserciti nemici reclutati esclusivamente su base mercenaria o feudale.

Ed è a questo proposito che l'episodio che prelude alla battaglia qui

analizzata, quello dell'attacco alla retroguardia saracena, diventa

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importante per capire le principali dinamiche dell'intero svolgimento

della guerra. Infatti, abbiamo visto come il re fu spinto a portare

l'assedio al castello di Nocera sull'onda di una reazione impulsiva alla

strage fatta delle sue preziose truppe saracene: senza quell'attacco egli

avrebbe di sicuro evitato, come aveva fatto altre volte, consapevole

dell'inferiorità numerica, lo scontro in campo aperto e si sarebbe

tranquillamente ritirato in Salerno in attesa di occasioni migliori.

!

Note

1 Le principali fonti della battaglia e degli avvenimenti collegati sono le cronache di

Falcone di Benevento, Chronicon Beneventanum: città e feudi nell'Italia dei

Normanni, a cura di E. D’Angelo, Firenze, 1998 e Alessandro di Telese, Alexandri

Telesini abbatis Ystoria Rogerii regis Sicilie Calabria atque Apulia, a cura di L. De

Nava-D. Clementi, Roma, 1991 (FSI 112). 2 Per una recente sintesi storiografica di tali avvenimenti, e più in generale sul regno

di Ruggero II, si v. H. Houben, Ruggero II di Sicilia: un sovrano tra oriente e

occidente, Bari, 1999. 3 Per i preliminari e le fasi della battaglia i riferimenti sono tratti dalle due cronache

prima citate; onde evitare ripetute citazioni, mi limito a segnalare i relativi capitoli

che riguardano la battaglia salvo citazioni più dettagliate laddove riporto brani

testuali: Falcone di Benevento, Chronicon, cit., pp. 122-138; Alessandro di Telese,

Alexandri, cit., pp. 32-38. 4 Falcone di Benevento, Chronicon, cit., p. 132.

5 Ibidem.

6 Procopio di Cesarea, Opera Omnia, ed. J. Haury-G. Wirth, 3 vv., Lipsia, 2001, II,

Libro VIII, 35. 7 M. Buchicchio, La guerra tra Aragonesi e Angioini nel Regno di Napoli. La

Battaglia di Sarno, Cava de' Tirreni, 2009. 8 A. Pesce, 28 settembre 1943. La battaglia di Scafati e il col. Michael Forrester,

Scafati, 2008. 9 E. Cuozzo, Quei maledetti Normanni: cavalieri e organizzazione militare nel

Mezzogiorno normanno, Napoli, 1989; G. Amatuccio, "Fino alle mura di

Babilonia". Aspetti militari della conquista normanna del Sud, in «Rassegna Storica

Salernitana», n. 30 (1998); Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis: Codex

120 II der Burgerbibliothek Bern - Eine Bilderchronik der Stauferzeit, ed. Theo

Kölzer, Marlis Stähli, Gereon Becht-Jordens, Sigmaringen, 1994.

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31

!10

Catalogus Baronum, 3 vv., a cura di E. Jamison-E. Cuozzo, Roma, 1972-1984. 11

Già Chalandon osservava come il contributo delle forze musulmane alla nascente

potenza di Ruggero I dopo la conquista della Sicilia fosse stato determinante nel suo

prevalere sui baroni del continente (F. Chalandon, Histoire de la domination

normande en Italie et en Sicile, 2 vv., Parigi, 1907, I, p. 348). 12

M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, 3 vv., Firenze, 1868, II, p. 25ss., III,

pp. 309-310. Si v. anche H. Takayama, The Administration of the Norman Kingdom

of Sicily, Leiden, 1993, p. 38. Secondo il viaggiatore persiano Ibn Hawqal, il

servizio militare era dovuto a tutti. Alcuni per sfuggirvi diventavano maestri oppure

si arruolavano nella guardia del corpo del sovrano la rabi!a (Gli Arabi in Italia,

cultura, contatti e tradizioni, a cura di F. Gabrieli-P. Balog-U. Scerrato, Milano,

1993, p. 735). Questa rabita (nel senso di schiera eletta, stessa etimologia di ribat)

potrebbe essere quella di cui parla Ibn-Jubayr quando riferisce di una compagnia di

neri musulmani, comandata da un musulmano, al diretto servizio di Guglielmo II

(M. Amari, Extrait d’un voyage en orient de Mohammed ebn-Djobair, texte arabe,

accompagné d’une traduction francaise et de notes, in «Journale Asiatique», Ser. 4,

t. VI, p. 539 e pp. 507-545; t. VII, pp. 73-92 e pp. 201-241). 13

The Life of Saint Anselm, Archbishop of Canterbury, by Eadmer, ed. & trans. R.

W. Southern (London, 1962), II, 23, pp. 110-12 (Alex Metcalf, Muslims and

Christian in Norman Sicily, London-NewYork, 2003, p. 33). 14

A. De Simone, I diplomi arabi di Sicilia, in Testimonianza degli Arabi in Italia,

«Atti delle giornata di studio, Roma 10 dicembre 1987», Accademia Nazionale dei

Lincei, Roma, 1988, pp. 57-75 e p. 72. 15

Per un approfondimento sulle truppe saracene al servizio dei Normanni, degli

Svevi e degli Angioini, si v. G. Amatuccio, Arcieri e balestrieri nella storia militare

del Mezzogiorno medievale, in «Rassegna Storica Salernitana», 24 (1995), pp. 55-

96; Id., Gli arcieri e la guerra nel Medioevo: Bisanzio, Islam, Europa, Bologna,

2010. 16

«Comes milites cunctos armatos et peditum suorum copiosam multitudinem

transire die dominico, qui aderat, mandavit: quinto videlicet die postquam castrum

illud obsessum fuerat», Falcone di Benevento, Chronicon, cit., p. 134. 17

Ibidem. 18

Udalrici Codex, ed. Ph. Jaffé, in «Bibliotheca Rerum Germanicarum», v. 5,

Weidmann, 1869, pp. 442-443. 19

Sulla figura di Rainulfo d'Alife e sulla sua abilità di condottiere, si v. D. Marocco,

Ruggero II e Rainulfo d'Alife, Piedimonte d'Alife, 1951 e la voce del «Dizionario

Biografico degli Italiani», v. 41 (1992), Drengot, Rainulfo, a cura di E. Cuozzo.

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32

!

Figure

Fig. 1 - Movimenti delle truppe preliminari alla battaglia

Fig. 2 - Schieramento prima della battaglia

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Indice

GIOVANNI AMATUCCIO 13

La battaglia del Sarno (24 Luglio 1132)

ROSANNA ALAGGIO 33

Cosenza 1184. Morfologia urbana e terremoti

GEMMA TERESA COLESANTI 57

Caterina Lull I Sabastida: una mercantessa del Mediterraneo Medievale

ERRICO CUOZZO 89

La concezione della falconeria di Federico II di Svevia.

In margine alla monografia di Wolfgang Stürner

LAURA ESPOSITO 99

La diffusione della falconeria araba nel Mediterraneo

MARIO IADANZA 123

L’edizione beneventana dell’opera Del primato morale e civile degli Italiani

di Vincenzo Gioberti (1844)

GIUSEPPE MASTROMINICO 137

Sul disarmo del diritto: prospettive storico-giuridiche

SIMONA PALLADINO 149

L’incastellamento: un processo di trasformazione del sistema insediativo

GIUSEPPE PERTA 173

L’inventario di casa Filangieri

DANIELA ROMANO 190

Un mercante di Ragusa del 1300. Per la storia del pellegrinaggio per procura

LUIGI RUSSO 206

L’espansione normanna contro Bisanzio (secoli XI-XII)

MARIO ROSSI 231

Il baselardo, arme italica o transalpina? Studi e ricerche di oplologia medievale

ANNA SPIEZIA 259

La foresta del re in Inghilterra (1066-1217).

Cervi, daini, cinghiali e falconi ‘di corte’ tra caccia e itinerari di fede

ORTENSIO ZECCHINO 302

Spade e Vangelo