CLIMA - Sito ufficiale della Regione Piemonte · CLIMA Per proteggere la Terra si devono conoscere...

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172 PARCHI L’arte sacra delle Marittime COLOMBACCI Goffi in terra, divini in cielo FIORI DI BACH Per la psiche, per l’anima CLIMA Un caldo da impazzire MONDI VICINI SGUARDI LONTANI Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, - CNS/Torino n. 1 anno XXIII ISSN 1124-044 X Gennaio/Febbraio 2008

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PARCHIL’arte sacra delle Marittime

COLOMBACCIGoffi in terra, divini in cielo

FIORI DI BACHPer la psiche, per l’anima

CLIMAUn caldo da impazzire

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Gennaio/Febbraio 2008

Piemonte Parchi cambia la veste graficasenza cambiare la propria anima. E si ar-ricchisce di una nuova direzione edito-riale per rispondere a due esigenze dicomunicazione: quella di informare,propria dell’Amministrazione regionale,ma soprattutto quella di continuare aoffrire un’informazione di qualità ai pro-pri lettori. Continueremo a utilizzare l’eccezionalelaboratorio dei parchi piemontesi perspaziare con lo sguardo – possibilmentecritico, preferibilmente costruttivo – sul“mondo di fuori”, nella consapevolezzache in natura non esistono ecosistemichiusi e autosufficienti, ma tutto “si tie-ne”, tutto sta insieme nella buona e nel-la cattiva sorte.Ogni numero della rivista, che anchequest’anno proporrà dodici uscite(compresa una guida primaverile e unnumero speciale autunnale), si avvarràdi un’apertura su un tema di urgente at-tualità, per leggere e capire il nostrotempo. Ogni mese sceglieremo uno diquei tasselli comportamentali che con-dizionano il delicato rapporto tra gliambienti naturali e gli esseri viventi –vegetali e animali –, con particolare at-

tenzione alla specie di gran lunga piùevoluta e problematica, geniale e di-struttiva, intelligente e perseverantenell’errore: la specie umana.Cominciamo dall’Anno internazionaledel Pianeta Terra, che invita noi abitan-ti a riflettere sui destini del clima, nonsolo atmosferico, e sulle conseguenzedi una cultura, ormai globale, fondatasul consumo illimitato delle risorse.Dunque un clima e una cultura dal futu-ro perlomeno incerto.Continueremo, poi, a raccontare i par-chi naturali (non solo piemontesi), laflora, la fauna, i protagonisti del mondodella natura e in ultima parte – come diconsueto – i temi delle nostre rubriche.Per paradosso, oggi che l’emergenzaambientale ha fatto breccia sui grandimezzi di comunicazione, si sente l’esi-genza di un’informazione scientifica-mente corretta e giornalisticamenteequilibrata, che non utilizzi la notiziaper colpire, vendere e dimenticare.Inoltre si sente il bisogno di lettori in-formati e appassionati come voi, gentiliabbonati, che comprendono la com-plessità della natura e credono in unmondo migliore.

Anno nuovo,rivista nuovaEditoriale di Enrico Camanni

COMINCIAMO DALL’ANNO INTERNAZIONALE DEL PIANETA TERRA, CHE INVITA NOI ABITANTI A RIFLETTERE SUI DESTINI DEL CLIMA, NON SOLOATMOSFERICO, E SULLE CONSEGUENZE DI UNACULTURA, ORMAI GLOBALE, FONDATA SULCONSUMO ILLIMITATO DELLE RISORSE

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Piera Luisolo si è diplomata in Pittura pressol'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino nel 1996,da allora espone in mostre personali e collettive inItalia e all'estero. Alla pittura affianca l'insegnamentoprivato e la ricerca grafica, avvalendosi di attrezzatured'epoca funzionanti come un torchio Albion di metà'800. Vive e lavora a Torino. www.pieraluisolo.it

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Aree protette in Piemonte 10

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EDITORIALEANNO NUOVO, RIVISTA NUOVA 1

CLIMALA MAPPA DEGLI ECOSISTEMI 4

DOMANI CHE TEMPO FA? 6

UN CALDO DA IMPAZZIRE 10

PER L’HOMO ERECTUS ERA TUTTA UN’ALTRA ARIA 13

SCI E CAMBIAMENTI CLIMATICI 17

AREE PROTETTEARTE NELLE ALPI MARITTIME 20

CON LE CIASPOLE A PALANFRÉ 24

NEL PARCO DEI MONTI PICENTINI 26

NATURA/UOMOI COLOMBACCI 28

FIORI DI BACH,PER LA PSICHE E PER L’ANIMA 31

LA FORESTA IN SERRA 34

LE ARPE DEL MONVISO 37

RUBRICHE 41

TORINO Bosco del Vaj, Collina di Superga Via Alessandria, 2 - 10090 Castagneto Po TO tel. e fax 011 912462 Collina di Rivoli, La Mandria, Madonna della Neve sul Monte Lera, Ponte del Diavolo,Stura di Lanzo Viale Carlo Emanuele II, 256 - 10078 Venaria Reale TO tel. 011 4993311 fax 011 4594352 Gran Bosco di Salbertrand Via Fransuàs Fontan, 1- 10050 Salbertrand TO tel. 0122 854720 fax 0122 854421 Laghi di Avigliana Via Monte Pirchiriano, 54 - 10051 Avigliana TO tel. 011 9313000 fax 011 9328055 Monti Pelati e Torre Cives, Sacro Montedi Belmonte, Vauda Corso Massimo d’Azeglio, 216 - 10081 Castellamonte TO tel. 0124 510605 fax 0124 514463 Orsiera Rocciavrè, Orrido di Chianocco, Orrido di Foresto Via S. Rocco, 2 - Fraz. Foresto - 10053 Bussoleno TO tel. 0122 47064 fax 0122 48383 Po (tratto torinese) Corso Trieste, 98 10024 - Moncalieri TO tel. 011 64880 fax 011 643218 Stupinigi c/o Ordine Mauriziano, Via Magellano, 1 - 10128 TOtel. e fax 011 5681650 Val Troncea Via della Pineta - La Rua - 10060 Pragelato TO tel. e fax 0122 78849

VERBANO-CUSIO-OSSOLA Alpe Veglia e Alpe Devero Viale Pieri, 27 - 28868 Varzo VB tel. 0324 72572 fax 0324 72790 Sacro Monte Calvario di Domodossola Borgata S. Monte Calvario, 5 - 28845 Domodossola VBtel. 0324 241976 fax 247749 Sacro Monte della SS. Trinità di Ghiffa Via SS. Trinità, 48 - 28823 Ghiffa VB tel. 0323 59870 fax 0323 590800

VERCELLI Alta Valsesia Corso Roma, 35 - 13019 Varallo VC tel. e fax 0163 54680 Bosco delle Sorti della Partecipanza Corso Vercelli, 3 - 13039 Trino VC tel. 0161 828642 fax 0161 805515 Garzaia di Carisio, Garzaia di Villarboit,Isolone di Oldenico, Lame del Sesia, Palude di Casalbeltrame Via XX Settembre, 12 - 13030 Albano Vercellese VC tel. 0161 73112 fax 73311 Monte Fenera Fraz. Fenera Annunziata - 13011 Borgosesia VC tel. e fax 0163 209356 Sacro Monte di Varallo Loc. Sacro Monte Piazza Basilica - 13019 Varallo VC tel. 0163 53938 fax 0163 54047

PARCHI NAZIONALI Gran Paradiso Via della Rocca, 47 - 10123 TO tel. 011 8606211 fax 011 8121305 Val Grande Villa S. Remigio - 28922 VB tel. 0323 557960 fax 0323 556397

AREE PROTETTE D’INTERESSE PROVINCIALE Lago di Candia, Monte Tre-Denti e Freidour,Monte San Giorgio, Conca Cialancia, Stagno diOulx, Colle del Lys c/o Provincia di Torino Via Bertola, 34 – 10123 TO tel. 011 8615254 Fax 011 8615477

REGIONE PIEMONTE ASSESSORATO AMBIENTE Assessore: Nicola de Ruggiero Via Principe Amedeo, 17 - 10123 Torino

DIREZIONE AMBIENTE Via Principe Amedeo, 17 - 10123 Torino

SETTORE PARCHI Via Nizza, 18 - 10125 Torino tel. 011 4322596/3524 fax 011 4324759/4793

AREE PROTETTE IN PIEMONTEALESSANDRIA Bosco delle Sorti La Communa c/o Comune, Piazza Vitt. Veneto - 1 15016 Cassine AL tel. e fax 0144 715151 Capanne di Marcarolo Via Umberto I, 32 A - 15060 Bosio AL tel. e fax 0143 684777 Po (tratto vercellese-alessandrino)Torrente Orba Piazza Giovanni XXIII, 6 - 15048 Valenza AL tel. 0131 927555 fax 0131 927721 Sacro Monte di Crea Cascina Valperone, 1 - 15020 Ponzano Monferrato AL tel. 0141 927120 fax 0141 927800

ASTI Rocchetta Tanaro, Valle Andona, Valle Botto e Val Grande, Val Sarmassa Via S. Martino, 5 - 14100 AT tel. 0141 592091 fax 0141 593777

BIELLA Baragge, Bessa Brich di Zumagliae Mont Prevé Via Crosa, 1 - 13882 Cerrione BI tel. 015 677276 fax 015 2587904 Burcina Cascina Emilia - 13814 Pollone BI tel. 015 2563007 fax 015 2563 914 Sacro Monte di Oropa c/o Comune, Via Battistero, 4 -13900 BI tel. 015 3507312 fax 015 3507508

CUNEO Alpi Marittime, Juniperus Phoenicea di Rocca,S. Giovanni-Saben Piazza Regina Elena, 30 - 12010 Valdieri CN tel. 0171 97397 fax 0171 97542 Alta Valle Pesio e Tanaro, AugustaBagiennorum, Ciciu del Villar, Oasi di CravaMorozzo, Sorgenti del Belbo Via S. Anna, 34 - 12013 Chiusa Pesio CN tel. 0171 734021 fax 0171 735166 Boschi e Rocche del Roero c/o Comune, Piazza Marconi 8 - 12040 SommarivaPerno CN tel. 0172 46021 fax 0172 46658 Gesso e Stura c/o Comune Piazza Torino, 1 - 12100 CN tel. 0171 444501 fax 0171 602669 Po (tratto cuneese) Rocca di Cavour Via Griselda, 8 - 12037 Saluzzo CN tel. 0175 46505 fax 0175 43710

NOVARA Bosco Solivo, Canneti di Dormelletto, FondoToce, Lagoni di Mercurago Via Gattico, 6 - 28040 Mercurago di Arona NO tel. 0322 240239 fax 0322 237916 Colle della Torre di Buccione, Monte Mesma,Sacro Monte di Orta Via Sacro Monte - 28016 Orta S. Giulio NO tel. 0322 911960 fax 0322 905654 Valle del Ticino Villa Picchetta - 28062 Cameri NO tel. 0321 517706 fax 0321 517707

PIEMONTE PARCHI Mondi vicini, sguardi lontaniAnno XXIII - N° 1

Editore REGIONEPIEMONTE - Piazza Castello, 165 - Torino

Direzione e Redazione Via Nizza, 18 - 10125 Torino tel. 011 4323566/5761 fax 011 4325919 www.piemonteparchiweb.it E-mail: [email protected];[email protected]

Direttore responsabile: Roberto Moisio Direttore editoriale: Enrico CamanniVice Direttore: Enrico Massone Caporedattore: Emanuela Celona Redazione: Simonetta Avigdor - Promozione, iniziative speciali e linee editoriali Emanuela Celona - Piemonte Parchi Web e News letter Toni Farina - Aree protette, montagna, fotografi a Enrico Massone - Ambiente, sacri monti, coordinamento rubriche Aldo Molino - Itinerari, territorio, cultura Segreteria amministrativa e di redazione:M. Grazia Bauducco Staff collaboratori: Eugenia Angela - gestione abbonamenti e spedizioni Mauro Beltramone - abstract on lineGiulio Caresio - rapporti con Federparchi e aree protette Loredana Matonti - revisione naturalistica dei testi territorio Susanna Pia - archivio fotograficoMauro Pianta - rapporti con i media Laura Ruffinatto - Piemonte Parchi Web JuniorIlaria Testa - cultura locale Hanno collaborato a questo numero:P. Bassi, G. Bernardi, C. Bordese, S. Camanni, D. Cat Berro, L. Cetara, D. Delleani, E. Giacobino, C. Gromis Di Trana, M. Salvatore, C. Solitos, C. Spadetti Fotografi:D. Åström, G. Bernardi, G. Bissattini, M.Campora/ CeDrap, E. Coppola/Panda Photo, V. Dell’Orto, T. Farina, M. Ghigliano, L. Ghiraldi, L. Giachino, C. Gromis di Trana, L. Longo, E. Manghi, L. Mercalli, A. Molino, L. Molteni, F. Chironi, Masterphoto/U.Isman/R.Meazza/L.Verduci, V. Dell’Orto, F. Pastorelli, D. Fracchia, M. Giannini/Realy Easy Star, S. Solavaggione, C. Solitos, arc. Salvi, arc. Museo Nazionale della Montagna Disegni: M. Battaglia, C. Girard, P. Luisolo, G. Torelli L’editore è a disposizione per gli eventuali aventi diritto per fontiiconografi che non individuate. Riproduzione anche parziale di testi, fotografi e disegni vietata salvo autorizzazione dell’editore. Manoscritti e fotografie non richiesti non si restituiscono e per gli stessi non è dovuto alcun compenso. Registrazione del Tribunale di Torino n 3624 del 10.2.1986Arretrati (se disponibili): euro 2 Stampa: Ilte S.p.A.Grafica e impaginazione: Satiz S.r.L. - www.satiz.itAbbonamento 2008 Conto Corrente Postale numero 20530200 intestato a: Staff Srl via Bodoni, 24 20090 Buccinasco (MI)Info abbonamenti: tel. 02 45702415 (ore 9 – 12; 14,30 - 17,30)

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Pinguino imperatore sulla banchisa, Mare di Weddell, Antartide (foto Desirée Åström)

E SE IL TEMPO PER VOIRAPPRESENTA QUALCOSAFARESTE MEGLIO AD INCOMINCIARE A NUOTAREO AFFONDERETE COME PIETREPERCHÉ I TEMPI STANNO CAMBIANDOTHE TIMES THEY ARE A-CHANGIN’BOB DYLAN

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CLIMA

Per proteggere la Terra si devonoconoscere gli ambienti in cui si svi-luppano gli ecosistemi. Oltre la metàdi tutte le specie della flora e dellafauna del Pianeta si trova nelle fore-ste tropicali; il resto è distribuito inaltri ambienti. Dai deserti alle mon-tagne, dai fondali marini alle baie me-no profonde del Continente antarti-co, la vita fiorisce ovunque. Ma no-nostante le spiccate capacità di adat-tamento, è minacciata in molte sueforme, e soprattutto da un’unicaspecie: l’Homo sapiens.Il biologo O. Wilson afferma: «Siamonel cuore di una delle più grandi estin-zioni della storia geologica. Sebbeneper alcuni luoghi sia già troppo tardi,se vogliamo salvare le specie dobbia-mo prima tutelare il loro habitat».

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L’ONU HA PROCLAMATOIL TRIENNIO 2007-2009 “ANNOINTERNAZIONALE DEL PIANETA TERRA”. SCOPODELL’INIZIATIVA È “DIMOSTRAREGLISTRAORDINARIRISULTATIOTTENUTINEGLI ULTIMIANNI DALLE SCIENZEDELLA TERRA ESPINGEREAMMINISTRATORI E POLITICIAD APPLICARE LECONOSCENZE ACQUISITEPER IL BENEFICIODELL’UMANITÀ E PERFAVORIRE LO SVILUPPOSOSTENIBILE”

Domani che tempo fa?2008, Anno Internazionale del Pianeta Terra

Enrico Camanni [email protected]

Proviamo a decifrare il messaggio.Primo punto: la Terra è malata.Secondo punto: i medici hanno fat-to la diagnosi e saprebbero comecurarla. Terzo punto: se muore laTerra ce ne andiamo anche noi, cheparadossalmente siamo i responsa-bili della malattia. Quarto punto: cipuò ancora essere sviluppo, purchésia sostenibile.Ora proviamo a essere sinceri. Chela Terra sia stressata, inquinata, sof-focata dallo sviluppo umano lo dice-va già Aurelio Peccei nei primi anniSettanta del Novecento, anche senessuno ascoltò le scomode profeziedel Club di Roma. Che sia necessa-rio cambiare rotta lo sappiamo daquei tempi là, o almeno da quando– verso la fine del secolo breve – gliscienziati hanno messo a punto stru-menti di analisi così raffinati da taci-

tare (quasi) tutti gli scettici.Che i gas prodotti dal siste-ma industriale siano iprincipali responsabilidella malattia terrestre loammettono ormai (qua-si) tutti, uomini di potere

e uomini di scienza,con l’eccezione di

qualche illuministacosì abbagliato

dal mito del pro-gresso, o diqualche fatali-sta così sordoal grido dellaragione, dacredere cheriusciremo asalvarci conun miracolo

della tecnolo-gia o che, al

contrario, la na-tura troverà gli anti-

corpi per difendersi da so-la. Due favole per rimuoverela responsabilità. Tutti gli al-tri, con in testa l’Onu e legrandi istituzioni scientifichemondiali, gridano che non

c’è altro tempo da perdere: osi cambia subito o saranno le

conseguenze dei nostri errori acambiare noi. Per sempre.

II tempi stanno cambiandoMostra al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino - apertura il 17 marzo 2008

Il clima, i cambiamenti climatici, le problematiche e le scelte in campoenergetico ed ecologico, in un viaggio affascinante tra ieri, oggi e domani.Sezione introduttiva. Il visitatore viene “immerso” in un flusso di notizie edi opinioni di attualità riferibili alle problematiche dei cambiamenti climati-ci: articoli di giornali, spezzoni televisivi e interviste. I filmati realizzati dallaBBC sottolineano la ricchezza del Pianeta Terra ma anche la sua fragilità.Sezione cambiamenti climatici. Le isole tematiche sviluppano temi e ap-profondimenti legati ai cambiamenti climatici di oggi e di ieri: l’aumentodella temperatura, la regione alpina, le regioni polari, la biodiversità, il cli-ma nel passato, il progetto EPICA, l’effetto Serra.Sezione scenari futuri e scelte. La terza sezione approfondisce i possibiliscenari futuri e le scelte energetiche che tutti noi possiamo e potremo fare perla conservazione del pianeta. Una sezione speciale è dedicata alla storia delClima di Torino, realizzata sulla base dei dati raccolti in quasi trecento anni. Responsabile scientifico. Claudio Cassardo, Dipartimento di Fisica Generale,Università di TorinoComitato scientifico. Guido Moffetta, Antonello Provenzale, DanieleOrmezzano, Franco AndreoneConcept e progetto divulgativo. Arnica Progettazione Ambientale sc(Stefano Camanni e Nicoletta Fedrighini)Progetto scientifico. Società Meteorologica Italiana (Luca Mercalli eDaniele Cat Berro)Progetto architettonico. Maurizio Buffa, Michele Calia Progetto grafico. Carlo Cantono

Sopra, pinguino di Adelia nella Petermann Island, Penisola Antartica (foto di Desirée Åström); a fianco foto di M. Ghigliano.

Resta il quarto punto, il cosidetto“sviluppo sostenibile”, e qui ci ac-corgiamo di quanto siamo confusi,divisi, lontani dalla soluzione. È tri-ste ammetterlo, ma vent’anni sem-brano essere passati invano dall’or-mai lontano 1987, quando laCommissione mondiale per l’am-biente e lo sviluppo delle NazioniUnite, pubblicando il RapportoBruntland sul futuro dell’umanità,portò il concetto di “sostenibilità”agli onori del mondo. Nel Rapportola definizione era la seguente:«Quello sviluppo che soddisfa le esi-genze delle generazioni di oggi, sen-za rischiare di impedire alle genera-zioni di domani di soddisfare le lo-ro». Poi venne il Vertice sull’ambien-te di Rio de Janeiro del 1992 a sug-gellare definitivamente il nuovo(teorico) indirizzo politico mondiale.L’Agenda 21 varò un piano operati-vo per realizzare uno sviluppo ingrado di condurre il pianeta nel ter-zo millennio, si intensificarono gliincontri internazionali, si giunse alProtocollo di Kyoto per la riduzion-de dei gas serra (1997) e ovunquenel mondo industrializzato, dallegrandi metropoli ai villaggi isolatisulle montagne, la formula magica

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mento culturale. Abitando quellaparte di mondo che spreca e inqui-na per dieci, e fonda il proprio pri-mato simbolico su un modello dicrescita illimitata, dunque “insosteni-bile”, sono ormai cinquant’anni checonsideriamo “moderno” chi produ-ce e consuma senza sosta, in un in-cremento bulimico di bisogni e sod-disfazioni materiali, e sono cinquan-t’anni che immaginiamo “vecchio” esorpassato chi risparmia (energia,tempo, risorse) e antepone all’accre-scimento dei beni una migliore con-dizione della vita.Scriveva Alexander Langer nel 1996:«Sinora si è agito all’insegna del mot-to olimpico “citius, altius, fortius”(più veloce, più alto, più forte), chemeglio di ogni altra sintesi rappre-senta la quintessenza dello spiritodella nostra civiltà, dove l’agonismoe la competizione non sono la nobi-litazione sportiva di occasioni di fe-sta, bensì la norma quotidiana e on-nipervadente. Se non si radica unaconcezione alternativa, che potrem-mo forse sintetizzare, al contrario, in“lentius, profundius, suavius” (piùlento, più profondo, più dolce), e senon si cerca in quella prospettiva il

nuovo benessere, nessun singoloprovvedimento, per quanto raziona-le, sarà al riparo dall’essere ostinata-mente osteggiato, eluso e semplice-mente disatteso. Ecco perché unapolitica ecologica potrà aversi solosulla base di nuove (forse antiche)convinzioni culturali e civili, elabo-rate – come è ovvio – in larga misu-ra al di fuori della politica, fondate

Fenomeno di desertificazione (Foto L. Giachino)

dello “sviluppo sostenibile” comin-ciò a colorare il lessico degli ammi-nistratori, dei giornalisti, delle perso-ne di mondo, come a dire: «Abbiamotrovato la ricetta, dunque il male èsconfitto per sempre».Purtroppo non era così, perché “so-stenibiltà” è solo una parola forbitache si presta a infinite interpretazio-ni, ed è un concetto così vago, am-biguo e sfuggente da entrare nel les-sico di tutti senza cambiare la vita dinessuno. Tutti siamo disponibili apiccole operazioni di maquillageecologico, abbiamo appreso l’im-portanza di riciclare i rifiuti (unaconquista culturale), abbiamo impa-rato a mangiare “lento” e “consape-vole” (un’altra conquista), i parchisono più puliti, la gente affolla lemostre e i musei, ma se ci chiedonodi rinunciare a qualche privilegio –l’auto in città o a duemila metri, ilquinto regalo di Natale, il cellularedi ultima generazione buttandoquello vecchio – allora ci sentiamoprofondamente offesi nella nostra li-bertà, e i propositi di “sostenibilità”sfumano come nebbia al vento. Come sempre, prima del cambia-mento economico serve un cambia-

Raffineria industriale di Porto Marghera, Veneto(foto D. Fracchia / RES)

piuttosto su basi religiose, etiche,sociali, estetiche, tradizionali, forsepersino etniche».Se l’Anno Internazionale del PianetaTerra servirà a dar voce anche a que-ste convinzioni, che necessariamenteabbracciano ogni sfera del sapere erovesciano vecchie scale di valori –morali, etiche – allora, potremo ralle-grarci, non sarà passato invano.

UL’adattamento intelligenteStefano Tibaldi, direttore del Servizio Idro-MeteorologicoARPA Emilia Romagna, è tra i “nomi” italiani di punta nella ricerca e nella divulgazione dei problemi relativi aicambiamenti climatici

Una domanda d’obbligo: come commenta la Conferenza delle NazioniUnite sui cambiamenti climatici di Bali?Credo che si possa parlare di un risultato “debole”. La Conferenza, che avreb-be dovuto portare alla condivisione di un obiettivo numerico sulla riduzionedelle emissioni globali di gas serra, non ha raggiunto un accordo in questi ter-mini, ma soltanto un’intesa sulla procedura da adottare per raggiungere dei ri-sultati non numerici. Fino all’ultimo si è temuto che non si raggiungesse nem-meno l’accordo sulla “road map”. Oserei dire: «Tanto rumore per nulla». Alla domanda «cosa stiamo facendo per limitare i danni derivati daicambiamenti climatici», lei propone l’adattamento al cambiamento co-me una soluzione più convincente di altre. Cosa significa?Si parla spesso di conseguenze del cambiamento climatico su ecosistemi natu-rali, artificiali o umani, conseguenze nella maggior parte dei casi problemati-che, quando non negative. Per cercare di ridurle ci sono due atteggiamenti:l’adattamento, che raggiunge risultati sul breve termine, e la mitigazione che,proprio a causa dei lunghi tempi di reazione del sistema climatico, produce isuoi effetti positivi sul lungo periodo, spesso troppo lungo per i tempi della po-litica. L’adattamento, invece, richiede una risposta immediata al cambiamentoclimatico. E poiché l’adattamento avverrà comunque, sta a noi viverlo in ma-niera guidata o meno. Un esempio paradossale? Se sappiamo che aumenterà illivello del Mare Adriatico sarebbe possibile minimizzare i costi pensando a unnuovo posizionamento dell’offerta turistica, a cominciare dalla dislocazione al-berghiera… Oppure si può aspettare che gli alberghi crollino nell’acqua… Inentrambi i casi si subirà un adattamento, ma le conseguenze dipenderanno dal-le modalità con cui lo si recepisce: preveggenti, o meno. In relazione al tipo di adattamento “intelligente”, quali sono le azioni suscala locale che potrebbero mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici?Sicuramente il comparto in cui questa teoria può avere più successo è l’edili-zia, o meglio l’urbanistica in senso lato. Gli attuali interventi urbanistici sonodisegnati sulla base di un clima più gentile, mentre noi andiamo verso un cli-ma diverso che avrà degli estremi marcati, soprattutto verso il caldo. Bisognerà,dunque, mettere in campo scelte differenti, come la bioarchitettura, scegliendodi investire di più nel costo iniziale degli edifici per permettere poi costi di ge-stione inferiori. Ma lo stesso vale nell’urbanistica: investire nella pianificazionedi un maggior numero di aree verdi nelle zone urbane, diminuendo la cemen-tificazione, significherà attenuare le ondate di calore, e lo loro conseguenze.È d’accordo con chi sostiene che l’eccesso d’informazione contribuiscea diffondere il panico e la confusione?Non sono d’accordo con chi sostiene che sia difficile “parlare” di clima. I cam-biamenti climatici sono un problema importante e l’informazione deve occu-parsene. Sarebbe preferibile, però, che i media trattassero il tema con più at-tenzione al rigore tecnico-scientifico, senza spettacolarità o toni catastrofici o,peggio, “strillati”… Ma è una considerazione generalizzabile a tutta l’informa-zione. Del resto chi è disposto a rinunciare a una percentuale del proprio pub-blico in cambio di un’informazione corretta, ma magari un po’ più “barbosa”?

Emanuela Celona

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Un caldo da impazzireCambiano le abitudini degli animali

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rate. Non potendo spostarsi poiché lezone a loro congeniali, nell’estremoNord europeo, sono improponibilmen-te distanti, si limitano a salire di quota,riducendo il loro habitat e la popola-zione, votati a una precoce estinzione. Come gli uccelli anche gli insetti sonosensibili indicatori delle condizioni am-bientali. Si sono spostate verso nord dioltre 200 km numerose specie di farfal-le italiane ed europee, disorientate dalritrovarsi prive delle specie vegetali sucui erano solite nutrirsi.Diverso è il discorso per le api.Consapevoli che un terzo dell’alimen-tazione umana è legata all’instancabileattività di questi insetti impollinatori,genera preoccupazione e pena osser-varne l’estremo disorientamento cau-sato degli attuali mutamenti climatici.Gli sciami si muovono frastornati suprati i cui fiori non corrispondono allatemperatura registrata o sono disidra-tati dalle estati troppo secche: le apisono totalmente disorientate da fioritu-re insolite e accavallate, e inoltre allamercè della varroa, loro temibile pa-rassita, reso più virulento e longevodalle miti temperature autunnali. Hanno problemi d’orientamento anchegli uccelli migratori. Quelli su lunghe

Migrare, adattarsi, estinguersi. Ognispecie animale affronta a suo modol’emergenza climatica. L’uomo, con losfruttamento del Pianeta, ha creatodanni enormi: ha permesso di liberarenell’atmosfera quantità sempre mag-giori di anidride carbonica e di rallen-tarne il naturale riassorbimento con ildissennato taglio delle foreste. Ciò hapotenziato l’effetto serra aumentandoin tempi troppo brevi la temperaturamedia della Terra. La natura ha i suoiritmi, e l’uomo li ha stravolti.L’emergenza attuale non è il cambia-mento climatico (la Terra ha affrontatoperiodi caldi e freddi), ma piuttosto larapidità di questi cambiamenti, tropporepentini perché le specie viventi rie-scano ad adattarsi. A causa del riscalda-mento globale e della conseguente ac-cresciuta frequenza di eventi meteoro-logici estremi, si assiste oggi a compor-tamenti anomali e stravaganti di moltianimali, che vedono stravolte le princi-pali tappe del loro ciclo vitale (migra-zione, accoppiamento, riproduzione,letargo…), nonché le interazioni conaltre specie e con l’ambiente. Nelle zone polari l’aumento della tem-peratura del mare e il conseguentescioglimento di parte della banchisa sta

gravemente minando una delle più im-portanti catene alimentari, quella chepoggia sul krill, le cui larve si sviluppa-no proprio sotto la banchisa: negli ulti-mi 30 anni è diminuito di quasi l’80%,riducendo il successo riproduttivo deigrandi cetacei e delle popolazioni di fo-che, pinguini e uccelli marini. Nei maritropicali la sopravvivenza dei coralli, edell’estesa rete alimentare che su di es-si si basa, è minata dall’eccesso di CO2nell’acqua che riduce la concentrazionedei carbonati, senza i quali i coralli nonpossono crescere. L’aumento della tem-peratura sta giocando un brutto scher-zo alla popolazione maschile delle tar-tarughe marine. In questi animali, comein molti altri rettili, il rapporto numericotra i sessi è fortemente influenzato dal-la temperatura dell’acqua di mare in cuisi tuffano i piccoli subito dopo la schiu-sa, e che privilegia lo sviluppo di fem-mine nel caso di un maggior grado dicalore. In Europa e in Italia l’anomaliapiù evidente è legata allo spostamentodei normali areali di distribuzione. NelMediterraneo hanno fatto la loro com-parsa diverse specie di pesci tropicali,dalla cernia bianca al pesce palla, chestanno spodestando quelle autoctonetanto da comparire ormai abitualmen-

Claudia BordeseBiologa e divulgatrice scientifica

In queste pagine dall’alto: Caretta caretta, piccoli appena nati entrano in mare, San Salvador de Baja,Brasile (foto E. Coppola/Panda Photo); scoiattolo rosso (foto L. Ghiraldi); pernice bianca (foto E. Manghi); gallo forcello (foto M. Campora/CeDrap); pettirosso (foto V. Dell’Orto).A sinistra, parrocchetto dal collare (foto L. Longo).

te: è il caso delle triglie del Mar Rosso,oramai sui banchi del mercato. Ancorapiù eclatante è la comparsa nel Centroe Sud Italia di uccelli esotici asiatici eafricani, come il merlo indiano e il par-rocchetto dal collare. Quest’ultimo, co-lorato di un bel verde smeraldo e deci-samente chiassoso, a causa dell’innal-zamento della temperatura e degli in-verni più miti ha trovato un habitatideale nei nostri parchi cittadini, dovenidifica nelle cavità degli alberi monu-mentali e si nutre di frutti e semi dipiante ornamentali (palme, aranci, ma-gnolie, cipressi): senza rivali né preda-tori, in alcune regioni pare inizi a mi-nacciare specie autoctone come il pic-chio e il pettirosso. Molti animali fuggono dal caldo spin-gendosi verso nord, ma per alcuni èuna fuga senza scampo. Lo storno ne-ro, il nibbio reale, la magnanina sardasono alcuni degli uccelli italiani che ri-schiano di scomparire se non troveran-no nuove aree adatte. Le pernici bian-che e i galli forcelli, relitti dell’ultimaetà glaciale che avevano trovato alle al-te quote alpine un habitat ideale, vedo-no diminuire di anno in anno la coper-tura nevosa, preziosa alleata per mime-tizzarsi e creare per la prole tane ripa-

A CAUSA DELRISCALDAMENTOGLOBALE E DI EVENTIMETEOROLOGICIESTREMI, GLI ANIMALIREAGISCONOASSUMENDOCOMPORTAMENTIANOMALI ESTRAVAGANTI,STRAVOLGENDO ILPROPRIO CICLOVITALE

Sopra, capra delle nevi. Sotto, orso polare (foto E. Manghi).

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CLIMA

SANIMALI “IN BIANCO” La livrea bianca è per molti animali ilprincipale strumento di sopravvivenza.La pernice bianca e la lepre variabile,animali alpini relitti dell’ultima glaciazio-ne, assistono impotenti alla riduzionedel manto nevoso e del loro habitat,impossibilitati a raggiungere l’unico al-tro ambiente loro adatto, le aree cir-cumpolari. Chi già le abita sta rapida-mente perdendo terreno nei confron-ti di specie simili ma adattate a climipiù temperati. E’ il caso della volpe ar-tica, presente nelle fascia circumpolaredell’emisfero boreale, che negli ultimianni ha visto i suoi territori invasi dallavolpe rossa che in Canada ha spinto ilsuo areale verso nord di oltre 900 km. Sulle Montagne Rocciose, dove la pri-mavera giunge ormai con trenta giornidi anticipo, la capra delle nevi, candidae solitaria scalatrice, si ritira sui picchipiù impervi, in un isolamento che ri-schia di separarla definitivamente daicospecifici, rendendo sempre più arduigli accoppiamenti. Con la neve si scio-glie anche il ghiaccio, e le possibilità disopravvivenza di foche e orsi polari ca-lano rapidamente. Già privati di molterisorse nutritive a causa dell’impoveri-mento della catena alimentare chepoggia sul krill, vedono scomparire iterritori ghiacciati indispensabili per lacaccia, l’accoppiamento e la riprodu-zione, gli adulti calano di peso e le cuc-ciolate diminuiscono in numero e fre-quenza. Per gli orsi, villaggi e discarichestanno diventando nuovi e tristi terri-tori di caccia.

distanze, ad esempio, che dall’Europasvernano nell’Africa sud-saheliana sonocostretti dalla crescente siccità e defore-stazione delle regioni di svernamento aritardare la partenza verso nord, poichéè divenuto più arduo reperire cibo eaccumulare grasso per il lungo viaggio,e così riducono le loro opportunità ri-produttive. Quelli che migrano su bre-vi distanze, tra i quali molti passerifor-mi, approfittano delle temperature piùelevate per giungere con ampio antici-po nelle nostre regioni, scegliere i terri-tori migliori e anticipare la riproduzio-ne. Molti ritardano la partenza autunna-le, allevando ulteriori nidiate, e alcuniaddirittura, grazie all’inverno particolar-mente mite, rinunciano del tutto a mi-

grare, come le garzette che svernanoormai nel Nord Italia. Anticipare il mo-mento della riproduzione non è co-munque sempre un vantaggio. Oltre amolti uccelli, anche i tritoni e lo scoiat-tolo rosso hanno anticipato in conse-guenza dell’aumento di temperatura ilperiodo riproduttivo, con il risultato pe-rò di non avere a disposizione suffi-cienti risorse alimentari per la prole, acausa del mancato sincronismo con lespecie su cui si alimentano. Anche il le-targo paga il suo pegno ai bruschi cam-biamenti climatici. L’aumento di tempe-ratura ha infatti portato molte specie arisvegli anticipati, anche di 35 giorni, eciò altera gli equilibri alimentari (c’è chisi sveglia quando le piante di cui si nu-tre non sono ancora fiorite) e interspe-cifici. Il ghiro, a causa del precoce ri-sveglio, si ritrova a cercare casa per lafutura prole nelle cavità dei tronchicontemporaneamente alla cinciallegra ealla cinciarella; inoltre, essendo inaspet-

tatamente sveglio alla schiusa delleuova della balia nera, rappresentaper questo uccello un nuovopredatore. In questo quadro disorientatoe disorientante, c’è una cer-tezza: a questa velocità nel

2050 il 25% delle specie attua-li sarà estinto. La Terra supe-rerà anche questo… ma l’uo-mo rischierà di ritrovarsi in

quel mucchio.

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Per l’Homo erectus era tutta un’altra ariaStefano Camanni Naturalista e giornalistaDaniele Cat Berro Ricercatore presso la Società Meteorologica Italiana

striale, raggiungendo una velocità di in-cremento che il nostro pianeta non ave-va mai visto in centinaia di migliaia dianni». Negli ultimi anni si fa un gran parlare diclima e cambiamenti climatici, alla tv esui giornali si sente di tutto, e il contra-rio di tutto. Forse bisognerebbe invece,come sta già facendo la comunitàscientifica mondiale, iniziare a confron-tarsi con i dati oggettivi che, purtroppo,non lasciano dubbi su quello che staaccadendo e chiedono risposte imme-diate e decise.

Segnali allarmantiTutti ricordiamo la torrida estate del2003: bagni nelle fontane, “migrazioni”dalle città verso campagne e montagne,e purtroppo anche la morte di circa35.000 persone in Europa. In quell’oc-casione un’ondata di calore record hainteressato gran parte d’Europa, spe-cialmente Francia, Germania e NordItalia, e la temperatura media estiva hasuperato di 3-6 °C la media registratanel trentennio 1960-90. Sulle Alpi ano-malie simili non erano mai state osser-vate negli ultimi 200 anni. Anche l’in-verno 2006-2007 è stato il più caldo a li-vello planetario, almeno da quando sihanno dati strumentali sufficientementerappresentativi dell’intero pianeta, valea dire da 150 anni. Per l’Europa e l’Asiacentrale si è parlato di “anno senza in-verno”, con alberi da frutto fioriti in di-

ni anche molto forti. Con il passare deltempo ci sono stati periodi molto fred-di con i ghiacciai che dalle Alpi scende-vano fino alle pianure, intervallati daperiodi interglaciali più caldi, comequello in cui stiamo vivendo. La con-centrazione attuale di anidride carboni-ca è di gran lunga superiore ai massimiregistrati nel corso di questi 650.000 an-ni e l’incremento si è verificato nell’ar-co di duecento anni soltanto. « Il livellodei gas serra primari – ha osservato EdBrook, uno degli studiosi che hannoelaborato i dati raccolti sul campo – ein particolare dell’anidride carbonica,sono aumentati drammaticamente in-sieme all’inizio della rivoluzione indu-

Sembrava “toccare” l’aria di 650.000 an-ni fa, la stessa aria che respirava il no-stro antenato Homo erectus mentrecamminava alla ricerca di cibo e acquatra terre e paesaggi profondamente di-versi da quelli che oggi conosciamo. Ilsogno è diventato realtà grazie al pro-gramma europeo EPICA, un progetto dicarotaggio del ghiaccio in Antartide cheha visto impegnati per una decina d’an-ni scienziati di dieci diversi paesi (tracui l’Italia) con l’estrazione di una caro-ta di ghiaccio di quasi 3.300 metri dilunghezza.Anno dopo anno, sui plateau pianeg-gianti, la neve si stratifica e si trasformain ghiaccio in una sequenza temporaleordinata, creando un diario naturale delclima terrestre lungo anche centinaia dimigliaia di anni. L’aria rimane via via in-trappolata in bollicine nel ghiaccio, iso-lata dall’atmosfera esterna per millenni.Analizzandola in laboratorio, si può ri-costruire la composizione chimica del-l’atmosfera nel passato.Il dato emerso dall’analisi delle bolled’aria intrappolate in questa carota dighiaccio, pubblicato sulla rivista Naturenel 2004, è veramente sorprendente. Laquantità di anidride carbonica presentenell’atmosfera, che tutti noi sappiamooggi regolare l’effetto serra e di conse-guenza, anche se non in modo così di-retto e lineare, la temperatura mediasulla Terra, ha avuto nel corso dei650.000 anni analizzati delle oscillazio-

Venite intorno gentedovunque voi vagateed ammettete che le acqueattorno a voi stanno crescendoed accettate che prestosarete inzuppati fino all’osso.E se il tempo per voirappresenta qualcosafareste meglio ad incominciare a nuotareo affonderete come pietreperché i tempi stanno cambiando.

The Times They Are A-Changin’Bob Dylan

È

cembre nel Nord Italia, Alpi senza ne-ve, punte di 26-29 °C in Piemonte agennaio.I singoli eventi estremi non si possonosempre attribuire al cambiamento cli-matico in atto, ma il fatto che questi siverifichino con sempre maggiore fre-quenza negli ultimi anni va tenuto inconsiderazione.Sulle Alpi, in 150 anni, è scomparso il50% della superficie glaciale. Nel 2005il 94% dei ghiacciai italiani arretravamentre il 6% era stazionario. Nessunghiacciaio avanzava. Il fenomeno è sot-to gli occhi di tutti se si provano a con-frontare immagini storiche dei ghiacciaialpini di alcune decine di anni fa confotografie attuali. La situazione è la stes-sa se si vanno a vedere gli altri ghiac-ciai del mondo. E il fenomeno non èsolo legato ai ghiacciai ma interessa inmodo più complesso la “stabilità” di in-tere montagne. È un fatto di cronaca,ormai tra tanti, che nel 2003 e nel 2006le vie alpinistiche del Cervino siano sta-te chiuse per pericolo di crolli, dimo-strando come le montagne siano unambiente delicato e sensibile, in rapidatrasformazione.E ai poli la situazione è ancora più al-larmante. Tra gennaio e marzo del 2002abbiamo assistito increduli in Antartide

al collasso di un’intera piattaforma(Larsen B): 3.250 chilometri quadrati dighiaccio, grande quanto la regioneValle d’Aosta, spesso 220 metri, si sonodisintegrati in 35 giorni. La calotta arti-ca, monitorata dai satelliti dal 1979, sirestringe di anno in anno. Sono quasisempre inascoltate le grida di allarmedel popolo Inuit, che da millenni vivein queste terre: «I cambiamenti climaticistanno distruggendo il nostro ambientenaturale e stanno erodendo la nostracultura. La nostra cultura di cacciatori èbasata sul freddo e noi vogliamo che ri-manga tale».A rischio è ovviamente anche la biodi-versità del Pianeta. Recenti studi hannomesso in luce che l’attuale aumentodella temperatura sta provocando effet-ti negativi su alcuni organismi chiave,che si ripercuotono poi sull’intera cate-na alimentare. Un esempio ci viene an-cora dall’Antartide: l’aumento dellatemperatura che fa fondere la banchi-sa polare (pack) sta minando grave-mente una delle principali catene ali-mentari, mettendo a rischio la sopravvi-venza di pesci, pinguini, foche e bale-ne. Alcune specie si sono addirittura giàestinte, e gli anfibi si sono dimostratiparticolarmente vulnerabili. Ben il 67%delle specie di rana arlecchino del ge-

nere Atelopus, endemiche delle forestetropicali d’America, si sono estinte percause indirette dovute ai cambiamenticlimatici in atto.

Gli scenari futuriL’inizio dello scorso anno è stato carat-terizzato da una grande attenzione deimedia al tema dei cambiamenti climati-ci. Causa scatenante è stata la pubblica-zione del 4° rapporto sullo stato delleconoscenze sul cambiamento climaticoda parte dell’IPCC (IntergovernmentalPanel on Climate Change), organismointernazionale vincitore insieme ad AlGore del Premio Nobel per la Pace.Sfogliando il rapporto non c’è da sta-re allegri in merito agli scenari futuri.La temperatura globale nei prossimi

100 anni è destinata a crescere tra 1.8e 4 °C, a seconda delle misure che sa-remo capaci di mettere in atto percontrastare l’emissione di gas serra, edelle possibili risposte del sistema cli-matico, sulla cui previsione non man-cano incertezze. Resta il fatto che latemperatura è comunque destinata asalire di circa 2 gradi, con conseguen-ze che comporteranno necessari adat-tamenti da parte dell’uomo. Il riscal-damento non sarà omogeneo nelmondo ma le regioni artiche subiran-no i maggiori aumenti termici, com-presi tra 3 e 7 °C entro fine secolo, aseconda degli scenari di emissione.Tra gli altri principali scenari riportatinel rapporto si prevedono maggioriprecipitazioni a livello globale, ma di-

Il cambiamento climatico e le aree protette alpineDaniela Delleani

È stato questo il tema dell’incontro or-ganizzato dalla R.E.T.E. degli Spazi al-pini protetti al Parco nazionale delloStelvio, alla fine dello scorso anno. Un tema importante, fonte di interes-santi riflessioni, a partire dalle varia-zioni subite dalla flora nivale, sia ri-spetto alla quota che alle specie, sud-divise tra “perdenti” e “vincenti”. Econtinuate con approfondimenti ap-portati da uno studio svizzero che hapreso in esame alcune specie senti-nella come il pino cembro, sul qualeesistono dati storici dal 1850 al 1900,e che si è concluso con i rischi colle-

considerano la rilevanza dello stratodi permafrost rispetto alla stabilitàdei versanti, segnalando la riduzionedel 50% di superficie a permafrostnegli ultimi 150 anni che, unita al-l’aumento della temperatura di 1-2 °C,avrebbe la conseguenza di variare ideflussi idrici e la distribuzione deglihabitat delle piante, con il rischioconseguente di valanghe. Per favori-re lo studio e lo scambio di tali datisi è costituito un gruppo di lavoro trale aree protette, in modo da compor-re un mosaico di informazioni so-prattutto su territorio alpino; in parti-colare, il settore Parchi della Regioneinsieme all’ARPA Piemonte sta av-viando con gli Enti di gestione dellearee protette un monitoraggio suflora e fauna piemontese in relazio-ne ai dati climatici, per aumentare laconoscenza dei fenomeni su scalaregionale.

gati alle variazioni della temperatura:incendi, proliferazione di parassiti edi specie invasive.Uno studio francese (CREA) ha valu-tato la fenologia di alcune specie ar-boreee (abete bianco, larice, betulla,frassino), arbustive (nocciolo, lillà, sor-bo), floristiche (primula) in 97 siti in-dagati a quote variabili tra i 250 e il2.000 m (10 siti sono in aree protette),correlando i dati alle variazioni plu-viometriche e delle temperature.Dal Parco degli Ecrins parte invecel’esame della variazione delle super-fici pascolive e della loro qualità nel-

la zona di Villar d’Arène, analizzan-do la biodiversità in relazione alletecniche di fertilizzazione; nellaRiserva di Leuvitel (Parco degliEcrins) sono stati indagati vari indi-catori dal 1998 al 2005 in relazionealle variazioni di temperatura: perma-frost, biodiversità, passeriformi di pra-teria, foreste, ghiacciai. E concentran-dosi sulle variazioni idrometriche diun torrente e i relativi accumuli disedimenti, si è richiamata l’attenzio-ne sui rischi d’inondabilità (aumenta-ta dal 4 al 30%). Altri studi condottiin Sud Tirolo e sui ghiacciai svizzeri

Sopra, ricostruzione della concentrazione atmosferica di CO2 sulla base dellecarote di ghiaccio antartico estratte con il progetto EPICA: prima dellaRivoluzione industriale, la soglia di 300 ppmv (parti per milione) non era maistata superata. Oggi si è giunti a 384 ppmv, un valore prima sconosciutonell'ultimo milione di anni. Sotto: grafico IPCC, la temperatura globale aumenterà nel 2100 tra 1.8 e 4 °C.Le previsioni sono basate su differenti scenari di emissione di gas serra.

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Sopra ghiacciaio di Indren nell’anno 1920, sotto nell’anno 2000 (foto L. Mercalli).

grazioni umane (in Bangladesh 10milioni di persone vivono a meno di1 metro sul livello del mare).

Che fare?«Nel dicembre 1997 - scrivevano Chris-topher Flavin e Seth Dunn delWorldwatch Institute - i rappresentantidi oltre 160 nazioni si sono riuniti aKyoto, in Giappone, per firmare unprotocollo destinato a fare epoca nellastoria della Convenzione quadro sulcambiamento climatico, siglata nel1992. In analogia con i monaci buddisti

che cercano di raggiungere l’armoniacon il cosmo nei templi di questa anti-ca città, i ministri dell’ambiente nutriva-no la speranza di contribuire al ristabi-limento dell’armonia fra l’umanità e l’at-mosfera del pianeta. Sono passati dieci anni e purtroppo lesperanze sono state in gran parte tradi-te, anche se il Protocollo di Kyoto harappresentato un passo avanti di fortevalore simbolico. Altre cose sono statefatte a livello internazionale, come l’ap-provazione della nuova politica ener-getica dell’Unione Europea che puntaalla riduzione del 20% delle emissionidi gas serra entro il 2020, ma certamen-te gli sforzi fatti finora sono insufficien-ti e troppo lenti, e soprattutto continua-no a non coinvolgere direttamente ipaesi emergenti economicamente co-me Cina e India. Ma forse la sfida mag-giore può e deve partire da ciascuno dinoi. Difficilmente ci si rende conto diquanto siano importanti i gesti di ognigiorno, che a volte possono sembrarebanali e scontati. Magari il lasciare a ca-sa l’auto una mattina per andare a pie-di è solo una goccia nell’oceano, ma sequesto gesto viene moltiplicato percentinaia di milioni di persone la goc-cia inizia a diventare un lago e poi unpiccolo mare».

Torino, Piazza Vittorio, gennaio 1987 (foto S. Solavaggione).

Per saperne di più• AA.VV., Sintesi dei lavori presentati agli eventi preparatori della Conferenza

Nazionale Cambiamenti Climatici 2007. APAT - Min. Ambiente e della Tuteladel Territorio e del Mare, 2007

• V. Ferrara – A. Farruggia, Clima: istruzioni per l’uso – I fenomeni, gli effetti, le strategie, ed. Ambiente, 2007

• T. Flannery, I Signori del clima – Come l’uomo sta alterando gli equilibri del Pianeta, ed. Corbaccio, 2006

• IPCC, Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Contribution of WorkingGroup I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel onClimate Change [Solomon, S., D. Qin, M. Manning, Z. Chen, M. Marquis, K.B.Averyt, M. Tignor and H.L. Miller (eds.)], Cambridge University Press,Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, 2007

• G. Monbiot, Calore!, ed. Longanesi, 2007• E. Ronchi (a cura di), Lo sviluppo sostenibile e la crisi climatica – Rapporto Issi

2007, ed. Ambiente

stribuite in modo irregolare con, adesempio, fenomeni di siccità nelMediterraneo con il calo delle pioggeestive tra il 20 e il 50% entro fine se-colo. Il livello medio del mare, a cau-sa della fusione dei ghiacciai conti-nentali, è destinato a salire tra i 18 e i59 centimetri nel 2100. In Italia saran-no esposte all’invasione del marespecialmente le coste dell’altoAdriatico e della Versilia. A livellomondiale si potrà assistere alla sali-nizzazione delle falde, all’erosionedelle coste e a conseguenti grandi mi-

Alte, ricche, programmateSci e cambiamenti climatici sulle Alpi italiane

Luca Cetara Ricercatore all’EURAC - Accademia Europea di Bolzano

NONOSTANTE LENEVICATE DIQUEST’ANNO, SEGNALISCORAGGIANTICONTINUANO ADARRIVARE DALLEPREVISONI DI ORGANISMIINTERNAZIONALI EPROGETTI DI RICERCA: ILFUTURO DEL CLIMANELLE ALPI SEMBRATUTT’ALTRO CHEFAVOREVOLE ALLO SCI

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L’OCSE (Organizzazione per laCooperazione e lo Sviluppo Eco-nomico, che comprende 30 diversi pae-si) ha pubblicato a febbraio 2007 un rap-porto dedicato all’impatto dei cambia-menti climatici sul turismo e sui rischi na-turali nelle Alpi europee. Il rapportoClimate Change in the European Alps:Adapting Winter Tourism and NaturalHazards Management prevede nei pros-simi decenni minori precipitazioni ne-vose, con possibili conseguenze negati-ve sul turismo. Nello stesso tempo, gliscienziati dell’IPCC (IntergovernmentalPanel on Climate Change) hanno evi-denziato nel Rapporto 2007 la delicata si-tuazione delle aree di montagna inEuropa, facendo riferimento al gradua-le ritiro dei ghiacciai e allo scioglimentodel permafrost nelle aree più elevate.Il Rapporto dell’autorevole organismoistituito dall’ONU e dalla WorldMetereological Organization (WMO)prevede, oltre a una generalizzata epreoccupante riduzione della biodiver-sità, una riduzione delle precipitazionicon pesanti conseguenze economichenel settore del turismo invernale, inparticolare alle quote meno elevate. Intempi recenti la regione alpina ha vistoun aumento della temperatura di circatre volte superiore rispetto alla mediaglobale. In particolare, gli anni 1994,2000, 2002 e soprattutto 2003 sono sta-ti i più caldi nella regione da quandoesistono le rilevazioni. Per il futuro imodelli climatici prevedono un’inten-sificazione di questa tendenza: di con-seguenza il turismo invernale nellearee sciistiche con quota inferiore ai1500 metri è considerato attività a ri-schio anche dall’Agenzia Europea perl’Ambiente.Una fotografia dello stato delle areesciistiche italiane era stata già presen-tata nel rapporto OCSE di febbraio2007, che tendeva però a concentrarsisulle grandi stazioni di alta quota, me-no sensibili a un eventuale aumento ditemperatura. Uno studio promosso dalMinistero dell’Ambiente e realizzato incollaborazione con EURAC ha poiconsentito di integrare il lavorodell’OCSE includendo nell’analisi an-che la realtà tipicamente italiana dellepiccole stazioni sciistiche, molte dellequali collocate nella fascia prealpina.

Queste stazioni, site in gran parte al disotto dei 1.500 metri e concentrateprincipalmente in regioni comePiemonte, Lombardia e Veneto, hannosvolto un ruolo importante nel garan-tire lo sviluppo economico e turisticodi tali aree e nel contenere i diffusi fe-nomeni di abbandono della monta-gna, in particolare tra la metà degli an-ni Sessanta del Novecento e i primi an-ni Novanta. Da un’analisi comparativa tra l’indagineOCSE e lo studio italiano è emerso co-me le stazioni sciistiche maggiori po-trebbero avvantaggiarsi della scarsità dineve sulle piste; la maggiore affidabili-tà di tali stazioni tende infatti a stimola-re la fiducia degli sciatori-consumatoriche si riversano là dove più elevata siala probabilità di trovare neve sciabile.In questo senso è prevedibile che il tu-rismo invernale si concentri in futuro in

un numero minore di aree sciistiche,poste ad alta quota. Il contributo italia-no al rapporto OCSE ha permesso diraccogliere dati relativi all’altitudinemassima, media e minima delle piste disci, alla dotazione di infrastrutture e agliimpianti per l’innevamento artificiale,tutto questo al fine di stimare, secondoun’unica metodologia, la capacità natu-rale di tali aree di assicurare una stagio-ne sciistica di almeno 100 giorni l’anno,ovvero la condizione ritenuta necessa-ria per una gestione redditizia degli im-pianti di risalita. Raccolta e armonizza-zione non sono state semplici ancheperché molte informazioni (special-mente i dati economici e quelli relativiall’efficienza dell’innevamento artificia-le) sono custodite da imprese che ope-rano in regime di concorrenza e devo-no quindi conservare i propri vantaggiconoscitivi.Alcuni dati: 251 le stazioni sciistichecensite per l’Italia, 1464 gli impianti(skilift, seggiovie, tappeti mobili, etc.).Da notare che, specialmente nelle pre-alpi, sono numerose le stazioni con treimpianti di risalita o meno.Indubbiamente, Piemonte e Alto Adigeospitano il maggior numero di stazionisciistiche: complessivamente 108 su251. A livello italiano, la quota mediadelle piste di sci si attesta a 1689 mmentre la differenza media tra la quotamassima e minima intorno ai 750 m.Sono Valle d’Aosta e Alto Adige a ospi-tare le stazioni a quote più elevate (inmedia oltre 1900 m) e quindi le più si-cure dal punto di vista dell’innevamen-to naturale. In generale, tanto più ele-vata è la quota minima di una stazionesciistica tanto più semplice le risulteràadattarsi a un aumento di temperaturao a una riduzione di copertura nevosa.Esiste il rischio di una riduzione del pe-riodo di innevamento: dall’analisi del-l’altitudine media è stato possibile cal-colare che circa il 34% delle stazioni sitrovano già oggi al di sotto dei 1500 m,ovvero la quota di affidabilità della ne-ve come calcolata per le Alpi italiane.Secondo le proiezioni, in caso di un au-mento di temperatura di 1°C, circa il52% delle stazioni censite risulterebbe-ro ancora naturalmente affidabili. Nel caso di un aumento di 1°C della tem-peratura media, le regioni maggiormente

Al di là dell’ormai diffuso ricorso all’in-nevamento artificiale, appare opportu-no che la montagna orienti in manierainnovativa le strategie di promozioneturistica. Lo sci non potrà più essereconsiderato l’opzione prioritaria.D’altronde le campagne promozionalisi stanno già adeguando: «Venite a ve-dere cosa c’è sotto…» La neve, si in-tende.

Per saperne di più• AA.VV, Climate Change 2007:

Impacts, Adaptation andVulnerability. Contribution ofWorking Group II to the FourthAssessment Report of theIntergovernmental Panel on ClimateChange, 2007.

• Agrawala S. et al, Climate Change in the European Alps: AdaptingWinter Tourism and NaturalHazards Management, OECD,2007.

• Angelini P., Cetara L., Data andelaboration on the Italian alpine andpre-alpine ski stations, ski facilitiesand artificial snowmaking, Bolzano-Roma, 2007 (è disponibile sul sitoweb dell’OCSE:http://www.oecd.org/dataoecd/29/24/38166847.pdf ).

• Cetara L., Data and elaboration onthe Italian alpine and pre-alpine skistations, ski facilities and artificialsnowmaking, Bolzano-Roma, 2007(disponibile sul sito dell’OCSE:http://www.oecd.org/dataoecd/29/24/38166847.pdf ).

• European Environment Agency,Vulnerabilità and adaptation toclimate change in Europe, EEATechnical Report n. 7/2005,Copenhagen, 2005.

Val d’Aosta 10%Friuli Venezia Giulia 2%

Alto Adige 22%

Trentino 14%

Veneto 18%

Piemonte 21%

Lombardia 13%

Distribuzione delle areesciistiche nelle Alpi italianeDati: ANEF (2005), RegionePiemonte (2003), ProvinciaAutonoma di Bolzano (2005)

Affidabilità delle stazionisciistiche delle Alpiitaliane, per regione.Elaborazione: EURAC sec.criteri OCSE. Dati: ANEF(2005), Regione Piemonte(2003), Provincia Autonoma diBolzano (2005)

In apertura: discesa in neve polverosa/ pgc Museo Nazionale della Montagna CAI – Torino.Sopra: innevamento artificiale a Limone Piemonte (foto F. Pastorelli).

interessate sarebbero Friuli Venezia-Giulia,Lombardia, Trentino e Piemonte, doverispettivamente 100, 33, 32 e 26% dellearee sciistiche ricadrebbero al di sottodella quota di affidabilità.Condividerebbero la stessa sorte circa il20% delle stazioni sciistiche alpine,mentre nel caso di aumento di 2°C sa-rebbero “non affidabili” il 40% delle sta-zioni. Infine, nel caso estremo di un au-mento medio di 4°C, solo il 18% dellestazioni sciistiche alpine registrate nel2006 risulterebbero naturalmente scia-bili. La più comune strategia di adatta-mento alla diminuzione della neve nel-le zone sciistiche è l’installazione di im-pianti di innevamento artificiale. Nonsono disponibili dati ufficiali circa il lo-ro numero e manca un’informazionepuntuale sulla loro efficienza economi-ca ed energetica, che può variare signi-ficativamente secondo la tipologia diimpianto e l’anno di costruzione. Inogni caso, secondo una stima pruden-ziale, quasi il 77% delle stazioni sciisti-che alpine in Italia dispone di tali im-pianti. È peraltro ancora incompleta lalegislazione relativa all’utilizzo dell’in-nevamento programmato, benché in li-nea generale siano richieste autorizza-zioni preliminari all’installazione degli

Grafico di Sara Chiantore

impianti e in alcune aree questi sianosottoposti a una valutazione di impatto.Solo la Provincia Autonoma di Bolzanorichiede con una specifica deliberal’analisi chimico-fisica della composi-zione dell’acqua utilizzata per produrreneve artificiale, proibisce l’uso di addi-tivi, richiede ai gestori una serie di con-trolli obbligatori legati a criteri di quali-tà e la costruzione di appositi serbatoi.

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l’attuale Borgo, nel V secolo fu costrui-ta una prima chiesa da cui si sviluppe-rà un centro religioso di primo pianocon decine di dipendenze.L’espansione si confronterà con le pre-tese del Marchese di Saluzzo e dell’ap-pena costituito comune di Cuneo. Percontrastare le loro ambizioni PapaInnocenzo IV accorderà nel 1246 laprotezione all’Abbazia di Pedona e atutte le sue dipendenze: seguendole èpossibile costruire l’itinerario ideale perrintracciare gli edifici più antichi. L’ex Abbazia ha una facciata seicente-sca nella quale è riconoscibile la strut-tura romanica. Si notano diversi ele-menti tra cui la spartizione delle lesenein cotto e la croce incassata sopra laporta d’ingresso con resti di affresco delXII secolo. La cripta e i locali attiguipermettono di osservare le fasi che nehanno segnato l’evoluzione. Nella crip-ta, i pilastri, alcuni finemente scolpiti (diepoca longobarda), sorreggono le vol-te a crociera. Nella cosiddetta “cappellaangioina” sono presenti affreschi, pro-babilmente dei fratelli Biazzaci di Buscae di Giovanni Baleison di Demonte (XVsec.). Ricchissime per gli stucchi, le de-corazioni e gli altari sono le cappelle la-terali barocche, frutto della riduzionedella chiesa da cinque a tre navate. Giovanna Galante Garrone, ex Soprintendenteal Patrimonio storico e artistico delPiemonte, definisce “ingegnosa e tea-

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PARCHI PIEMONTE

Parco delle Alpi Marittime Mistero, bellezza, arteTesto e foto di Giorgio BernardiGiornalista e addetto alla comunicazione per il parco

La chiesa di San Martino a Valdieri

Nella Valle delle Meraviglie, sul versan-te francese delle Alpi Marittime, e inparte anche nella Valle Gesso, si trova-no le prime forme espressive locali, mi-gliaia di incisioni rupestri che, inqua-drate da una cornice di rocce, alte cimee praterie, evocano dense emozioni.Forme d’arte arcaica, risalenti alla prei-storia: passeranno secoli prima chel’uomo lasci nuovamente segni rintrac-ciabili della sua presenza, tracce visibilidi quel desiderio profondo di comuni-care con il mistero. Per scoprirli, occor-re girovagare nei dintorni dei paesi, oaddentrarsi nei loro vicoli rurali: magni-fiche fontane, dipinti di artisti che coninfantile semplicità raffigurano la devo-zione per i santi popolari, come SanRocco o San Sebastiano. Oppure entra-re nelle chiese e nelle cappelle, dove èpossibile trovare affreschi, quadri e ar-redi di sorprendente qualità.

Tracce d’arte tra chiese e cappelle Per scoprire le “tracce” d’arte nel Parcodelle Marittime è bene partire da BorgoSan Dalmazzo. Sviluppata sul luogo diun municipium romano con il nome diPedona, la cittadina fu centro importan-te sul passaggio delle vie che attraver-savano le Alpi. Da una di queste, forseil Colle di Finestre, scese Dalmazzo perevangelizzare le Marittime (venne deca-pitato il 5 dicembre 254 nei pressi deltorrente Gesso); sulla sua tomba, nel-

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Sopra il coro della confraternita di Santa Croce a Entracque; in basso, particolare della fontana di San Martino a Valdieri.

La Parrocchiale di S. Antonio di Entracque

InformazioniPer la visita della chiesa di S. Dalmazzo a fianco della quale si trova anche

un interessante museo: www.sandalmazzo.com oppure tel. 0171 266133.Chiese e museo di arte sacra di Entracque: visite il sabato e la domenica,previa prenotazione al 348 4023424 o 0171 978202.La parrocchia di S. Martino di Valdieri è aperta tutti i giorni. Chiese di S. Giovanni e S. Croce, rivolgersi al comune di Valdieri, tel. 0171 97109.Cappella Madonna del Gerbetto di Andonno, rivolgersi in parrocchia,

tel. 0171 97100.Cappella S. Croce e chiesa Natività SS. di Aisone, tel. 3336708862.

Parco Alpi Marittime, tel. 0171 97397, www.parcoalpimarittime.itUfficio turistico di Entracque, tel. 0171 978616, www.entracque.org

trale” la Cappella superiore di SanDalmazzo, edificata per accogliere lereliquie del santo. Vi si accede dal cam-panile: all’ingresso si resta stupefattidalla vivacità di colori, dalla profusionedi stucchi e dall’intensità espressiva de-gli angeli. Dal monumento si sale adAndonno, all’umile chiesetta di Ma-donna del Gerbetto, (Sancta Mariae deAlteso nella Bolla), simbolo del legametra arte e natura. Nel solaio trovano ri-paro infatti una colonia di rinolofo mi-nore, pipistrello raro in Piemonte, e unaffresco dell’Annunciazione (XVI sec.),purtroppo non visibile per la sua posi-zione. Al suo interno si ammira unasoave Madonna con Bambino. Ancoradatata al ’500 è la Crocifissione di re-cente ritrovata nella chiesetta di Santa

Croce, ad Aisone, in Valle Stura.Altre pitture di stile gotico si trovano aValdieri. Nella cappella di San Giovanni,all’ingresso del paese, alcuni dipinti ri-producono la Madonna con il Bambinotra i santi Sebastiano, Giovanni Battista,Antonio Abate e Rocco, mentre all’usci-ta dell’abitato vi è la cappella di SantaCroce che custodisce un’altra Crocefissione.La Bolla del 1246 cita a Valdieri laChiesa di San Martino. Nessun elemen-to dell’originaria struttura è più leggibi-le, ma l’interno appare grandioso per ivolumi e la presenza di preziosi marmilocali e altari in stile barocco e neoclas-sico. Si segnala quello maggiore operadi Giovanni Spalla e la soprastante telacon i santo Martino e Lorenzo (XVI sec.).Nella chiesa si trovano dei gruppi lignei

processionali dell’800, di Gesù nell’Ortoe dell’Assunta di Antonio Roasio.Risalendo la valle, alle porte di Entracque,ci si imbatte nella cappella di SanGiovanni. Sotto il porticato vi sono af-freschi gotici dell’Annunciazione e del-la Danza di Salomè, mentre all’internosi riconoscono la Madonna in Tronocon il Bambino e S. Giovanni e fram-menti di dipinto che fanno supporrerappresentazioni del Pranzo di Erode edella decapitazione del Battista.Un’ultima testimonianza pittorica delperiodo la si trova nella parrocchiale diEntracque. Sopra l’ingresso laterale del-la “porta degli uomini”, si trova l’affre-sco della Madonna fra S. Antonio Abatee S. Anna Metterza. È un resto dell’anti-ca chiesa citata nella Bolla.

Il sacro specchio di una societàIl patrimonio artistico di Entracque ri-specchia le buone condizioni socio-economiche del comune. Secondouna relazione del 1752, delBrandizzo, Intendente della Provinciadi Cuneo, la comunità è “tra le piùricche della provincia di Cuneo per iredditi che ha”. Un benessere non dif-fuso ma concentrato nelle mani di po-che famiglie. La chiesa di Sant’Antonino, nel 1610,per rispondere al crescente numero diabitanti e per porsi in sintonia conquanto stabilito nel Concilio di Trento,viene ampliata e ruotata. L’edificio èa pianta basilicale con arredi princi-palmente barocchi che celebranola verità conciliare e la negazionedel protestantesimo. Tra le ope-re più notevoli vi sono gli al-tari della Madonna delRosario, con le statue di S.Domenico e S. Caterina daSiena, e quello del Suffragio.Quest’ultimo, realizzato daGiovanni Antonio Burgo(1630), ha una forte connota-zione simbolica. Teschi conil copricapo di re, vescovo,parroco, uomo e donna, ri-cordano che di fronte al-la morte siamo tuttiuguali. A fiancodella parrocchiac’è il museo di

arte sacra con oggetti e quadri dellechiese e cappelle dei dintorni tra cuispicca un ciclo dell’Apostolato. Alcunidi questi quadri sono forse opera diLorenzo Gastaldi di Triora (XVII sec.)che lavorò alla corte dei Grimaldi diMonaco e ad Entracque. La maggiorparte è però attribuita ad uno scono-sciuto, quando eccellente, pittore discuola caravaggesca. Le tele più bellesono quelle dei santi: Bartolomeo,Giacomo minore, Tommaso, Pietro edi Cristo. Al Gastaldi sono attribuitele grandi tele che illustrano episodi

della vita della Vergine dellaConfraternita di S. Croce. La chie-sa, restaurata nel 2004, ospitaanche un magnifico coro e del-le statue lignee.Nel santuario della Madonna delBealetto, all’ingresso del paese,

vi sono numerosi ex voto in buonaparte del XVII e XVIII secolo (alcunisono stati trasferiti nel museo). Le tavo-le ricordano i fatti quotidiani, guarigio-ni di uomini e animali che le rendonodocumenti insostituibili per ricostruireil tessuto sociale e culturale della co-munità. Gran parte dei quadri sonosemplici eseguiti da pittori popolari,ma altri sono affidati ad artisti di buonlivello. Una differenza che appare evi-dente e che non può che essere spie-gata come ostentazione del potere. Icommittenti di queste opere eranomargari, all’epoca una classe socialeforte in opposizione al nuovo ceto di-rigente che si stava imponendo: quellodei mercanti e dei tessitori. Un esempio di come attraverso le“tracce” d’arte si può rintracciare lastoria sociale di un paese.

PARCHI PIEMONTE

Nel parco informatiDirezione e promozione del territorio, piazza regina Elena 30;tel. 0171 97397; e-mail [email protected]; Internetwww.parcoalpimarittime.itCentri visita e informazione: Entracque, piazza Giustizia e Libertà 2, tel. 0171 978616; Vernante, via Umberto I° 115, tel. 0171 920220.

Come arrivarePalanfrè e Desertetto sono località non serviteda mezzi pubblici.Desertetto. Da Cuneo, con la SS 20 del Colle di Tenda si rag-giunge Borgo San Dalmazzo, dove si imbocca la Valle Gesso.Passato Valdieri si prosegue per le Terme fino a San Lorenzodi Valdieri dove si svolta a destra.Palanfrè. Si segue la Valle Vermenagna fino a Vernante dovesi imbocca a destra la Valle Grande.

Vitto e alloggioA Desertetto non esistono strutture ricettive. È comunque di-sponibile un bar-tavola calda presso il Centro di sci di fondo:tel. 0171 97175. Pernottamenti più vicini a Entracque, dove sono presenti

strutture aderenti all’Associazione Ecoturismo in Marittime:Albergo Trois Etoiles, corso Francia 23, tel. 0171978283; Hotel Miramonti, viale Kennedy 2,tel. 0171 978222; Rifugio-albergo del ParcoLocanda del Sorriso, Località Trinità di

Entracque, tel. 0171 978388.Palanfrè. Si può pernottare al rifugio-albergo del ParcoL’Arbergh, tel. 334 3052503.Vernante. Albergo ristorante Nazionale, via Cavour 60, tel.0171 920181.Ideale per merende o serate conviviali il Birrificio artigianalepub Troll, via Valle Grande 15, Vernante, tel. 0171 920052.

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Alpi Marittime e Alpi del Sud sono de-nominazioni che possono essere fuor-vianti, soprattutto d’inverno, quando lemontagne dal cuore cristallino delParco rendono al meglio la loro essen-za alpina severa e intransigente. Inver-no: le vertiginose pareti della Valle Ges-so gettano ombre lunghe e pesanti suifondovalle, rendendoquantomeno fret-tolosa la definizione di “Alpi del sole”.Queste montagne non si prestano dav-vero alla frequentazione invernale. Maogni regola ha la sua eccezione e ancheil Parco delle Alpi Marittime riserva aisuoi estremi geografici angoli di piùagevole accessibilità. Quasi a mantene-re integro il suo cuore rude e selvaggio,spinge la gran parte degli escursionisticon le racchette o con gli sci sulle val-late più esterne, di Palanfrè e di Deser-tetto. Ai limiti est e ovest dell’area pro-tetta, le due valli sono aperte e soleg-giate e si prestano ad accogliere sia i

neofiti dell’escursionismo invernale, siaquanti vantano una consolidata espe-rienza con le ciaspole o gli sci ai piedi. Desertetto è una valle sospesa sull’asseprincipale della Valle Gesso, cosparsadi piccole borgate, i Tèit, in parte ristrut-turate e abitate nelle vacanze. Poche fa-miglie abitano ancora la conca dove sicoltivava la segale con una paglia per lacopertura dei tetti che non aveva ugua-li. Nonostante la località sia oggi inbuona parte disabitata, l’ampiezza del-l’orizzonte compreso fra l’Asta e laRocca d’Abisso e il Frisson e la morbi-dezza dei pendii rendono il Vallone diDesertetto un luogo ridente. La presen-za di due skilift e delle piste del centrodi fondo che risalgono il Vallonedell’Arpione soddisfa inoltre quanti nondisdegnano la montagna attrezzata,seppur con discrezione. Una microsta-zione sciistica d’antan, che offre l’indi-spensabile a quanti si avvicinano allosci alpino e che dà soddisfazione agliestimatori dello sci nordico praticato inluoghi tranquilli, frequentati da capriolie camosci. Gli estimatori della monta-gna “guadagnata” con le racchette o congli sci da alpinismo hanno invece a dispo-sizione le salite al Colle dell’Arpione o al-la Cima Cialancia, sullo spartiacque conla Valle Stura. Posto in fondo alla Val Grande,

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Con le ciaspole dove il monte è dolceDesertetto e PalanfréTesto e foto di Giorgio [email protected]

LE PROPOSTE

Vallone di Desertetto: Colle dell’Ar-pione 1.746 m e Cima Cialancia 1.885 m.Da San Bernardo di Desertetto (1.066m) ci si incammina su una rotabile sgom-berata di neve sino al parcheggio degliimpianti di risalita. Si prosegue sul fondo-valle raggiungendo la frazione Tetto deiFrè. Seguendo il tracciato della carrarec-cia ci si eleva con un paio di svolte sulversante sinistro orografico e si raggiun-ge una diramazione. Lasciato a destra iltracciato per la cava di marmo cipollinodorato (da tempo abbandonata), si con-tinua seguendo l’indicazione per il Colledell’Arpione. A poca distanza dal bivio sigiunge al confine del parco. Si sale quin-di a destra per superare un gradino mo-renico oltre la quale si apre un lungo eampio ripiano che occorre attraversareper portarsi ai piedi del pendio finale.Con gli sci ai piedi, con neve sicura, èpossibile risalire un valloncello sulla de-stra che conduce direttamente sulla pa-noramica Cima Cialancia. Per il Colledell’Arpione si risale invece a zig zag sul-la sinistra di un fitto rimboschimento diconifere. Dal Colle, seguendo verso de-stra la cresta, è possibile raggiungere laCialancia.In sintesi. Dislivello in salita: 700 m –850 m (per la Cialancia); tempo di per-correnza in salita: 2 ore – 2,30 h; difficol-tà: media.

Conca di Palanfré: Monte Pianard2.306 mDal parcheggio a valle dell’abitato (1.370m), ci si dirige in direzione ovest-nord-ovest e si sale alle pendici del bosco difaggio. Si taglia un modesto ripiano e siprosegue sulla destra orografica a latodell’impluvio scavato dal torrente. Si pro-gredisce agevolmente fino al ripido pen-dio finale che si supera con alcune svol-te puntando alla depressione a sinistradella cima. Seguendo il panoramico filodi cresta verso destra si raggiunge in bre-ve facilmente la sommità. In sintesi. Dislivello in salita: 950 m;tempo di percorrenza in salita: 3 ore; dif-ficoltà: media. Nella storica faggeta di Palanfré corre ilSentiero natura predisposto del parco: 2ore di cammino, consigliate ai cammina-tori con le “ciastre” alle prime armi.

APPREZZATE DA VITTORIO EMANUELE II PER LE SUEBATTUTE DI CACCIA, QUESTE MONTAGNE OFFRONOOCCASIONI PER L’ESCURSIONISMO INVERNALE

Palanfré è una vera sorpresa. La salitada Vernante, in Valle Vermenagna, nonlascia infatti trapelare nulla dello spetta-colare circo di neve che si apre tra laRocca d’Orel e la Garbella. Appagato ildesiderio di orizzonti, gli occhi del visi-tatore vanno subito alle abitazioni dellaborgata: ben ristrutturate, rispettose deivolumi e delle linee tradizionali, costi-tuiscono il compendio ideale all’insie-me. Palanfrè è in effetti un caso non co-mune nelle nostre montagne. Gli abi-tanti dopo essersene andati sono torna-ti. La numerosa famiglia di GiovanniGiordano, detto “il let”, si è trasferita aipiedi del secolare bosco bandito di fag-gio, fondando l’azienda agricola“L’isola” dove si producono prelibatiformaggi, latticini e in più una speciali-tà unica: “la tuma choucca”, stagionatainnaffiandola con la birra prodotta dallaboratorio artigianale Troll, nella bassaValle Grande. Anche Alberto edEdoardo Giordano dopo una parentesiin pianura sono tornati a Palanfrè con illoro bestiame. Superate le difficoltà bu-rocratiche per costruire una nuova stal-la, hanno restaurato la vecchia casa difamiglia di fronte all’umile chiesetta diSan Giacomo. Infine, quest’estate hariaperto anche L’Arbergh. AlbertoDalmasso, un giovane di Vernante di-plomato all’alberghiero, e le sue sorellehanno preso in gestione il rifugio delParco che offre ospitalità nonché sfizio-se marende sinoire a base di prodottilocali.Palanfrè è meta degli sci alpinisti e dei“ciastristi” che hanno a loro disposizio-ne le salite al Moncolombo, all’impe-gnativa Cima Garbella o al facile MontePianard. L’esposizione della conca garantisceneve abbondante da inizio inverno aprimavera inoltrata: neve farinosa, lapiù apprezzata dai frequentatori dellamontagna invernale.

SCOPRIPARCO

Nella foto, la salita al Colle Arpione

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PARCHI ALTROVE

I PICENTINI SONO UNANGOLO NON TROPPOCONOSCIUTO DIAPPENNINO,LEGGERMENTEDECENTRATO VERSO ILTIRRENO RISPETTOALL’ASSE DELLA“CORDILLERA” ITALIANA

Quei montisfumantiNel parco campano dei Monti Picentini

testo e foto di Carlos SolitoFotogiornalista specializzato in temi paesaggistici

«Catene di monti sfumanti e ondeggian-ti quasi nuvole dall’estremo orizzonte,mi davano come una vaga sensazionedi quell’ignoto, di quell’interminabile,di quell’infinito che tanto affatica lamente…» Nei suoi scritti Giustino Fortunato ripor-tò la viscerale passione per i tesori dellanatura avellinese, della quale è partefondamentale il massiccio dei MontiPicentini. Un magnifico angolo diAppennino, con un valore naturalisticoconsiderevole e un paesaggio spettaco-lare. Le pareti rocciose dell’Accellica, delTerminio, dei Monti Mai e Pollaro. Le si-lenti faggete del Cervialto e delPolveracchio e i grandi castagneti diAcerno, Nusco, Volturara Irpina. I pano-rami sul Tirreno e sulle valli del Sele,dell’Ofanto e del Tusciano; gli altipianicarsici del Laceno, Dragone, Migliato,Piano d’Ischia. I canyon, le forre, le sor-genti, le trame di piccoli torrenti e casca-te, le tante grotte che come un gruvieraroccioso tarlano l’intero massiccio ren-

pareti strapiombanti si affollano tra ilVarco del Paradiso e la guglia delNenne, separando le vette nord e sud.Quattrocento metri più in basso, domi-nato dal verticale versante nord dellamontagna si trova il Vallone della Neve.A sud est invece – nel cosiddetto lato diAcerno – le giogaie saltano nelCalandone, a 1170 metri di quota. Asud ovest, verso Giffoni Valle Piana, lamontagna si congeda dalle coste roc-ciose in modo meno vorticoso con unpendio segnato dalle profonde incisio-ni del Vallone Vene Rosse e del Buttodel Laurenziello.

Monti in biancoChi ama l’inverno, quello bianco e in-nevato, trova nel cuore del Parco unluogo ideale: è qui che si incontra l’al-topiano più bello del Mezzogiorno. Perscoprirlo occorre raggiungere Avellinoe proseguire in direzione est conl’Ofantina bis per toccare l’Alta Irpinia equindi Bagnoli Irpino. Di qui una stra-

dendolo una delle realtà speleocarsichepiù note del Mezzogiorno. I Picentini sono un angolo non troppoconosciuto di Appennino leggermentedecentrato verso il Tirreno rispetto al-l’asse principale della cordillera italiana.Un angolo tutelato dall’omonimo Parconaturale regionale che si estende su cir-ca 65mila ettari e coinvolge due provin-ce e ben trentun comuni. Paesaggi sconfinati e cime severe.Tappeti di felci, carpino nero, abetebianco, pino nero e acero di monte cheaccompagnano i faggi nelle foreste mil-lenarie al di sopra della fascia dei casta-gni, dei cerri, degli ornielli e delle rove-relle. Qui sono di casa molti rapaci co-me l’allocco, il gufo comune, la poiana,il gheppio; diverse altre varietà di uccel-li tra cui i non comuni picchio nero,gracchio corallino e upupa. Le prateried’alta quota, ricche di endemismi vege-tali (in tutto il Parco la flora conta 1260specie), sono frequentate dalla coturni-ce e dagli eleganti voli dell’aquila reale.I mammiferi annoverano il lupo, il gat-to selvatico, la volpe e numerose spe-cie di roditori come il topo quercino, ilmoscardino e il ghiro.

Accellica: la regina dei PicentiniIl profilo delle dolomie triassiche dellamontagna, che culminano con unastrettissima cresta sommitale a 1660 me-tri, si scorge bene da valli e vette diogni angolo d’Irpinia. Quella dell’Accellica è una vetta aspra,severa, di aspetto dolomitico. Quinte di

da si arriccia da 650 a 1100 metri diquota fino a lambire il Laceno. Da di-cembre in poi, l’area compresa tra lebastionate rocciose del Cervialto, delMontagnone e della vetta Rajamagracostituisce una delle mete più ambiteper l’escursionismo invernale. Dai monti Terminio, Cervialto al Tuoro,dalla Valle dell’Ofanto a quelle del Selee dell’Ufita, sono molte le escursionipossibili, anche di discreto impegno.Classico è ad esempio il percorso chein sette ore di cammino dalla Madonnadi Fontigliano conduce al Piano delLaceno, da dove, con altre quattro oredi marcia, è possibile raggiungere lasommità del Monte Cervialto, tettodell’Irpinia a 1809 metri di quota. Altra classica invernale è l’escursione al-la Cappella dei Grienzi, architettura ma-riana tra le più importanti dell’Irpinia;tre ore e mezza di cammino sul versan-te orientale del massiccio, con possibi-lità di variante finale mediante l’ascesaal calcareo Monte Pollaro.

InformazioniLa sede dell’Ente parco naturaleregionale dei Monti Picentini sitrova presso il Palazzo di Città, in via Roma a Nusco (Av); tel. 0827 64413. Altre info utilipresso la Comunità MontanaTerminio Cervialto, via SanFrancesco a Folloni, Montella(Av), tel. 0827 69377; oppure laCAI di Avellino, via CristoforoColombo 16/h, Avellino, tel. 3389701983, [email protected]

In paese tra i falòNon solo natura nei Picentini. Daqueste parti vale la pena addentrarsinei borghi dai profili medievali, el’inizio di un itinerario ideale nonpuò che partire da Nusco che ospitala sede del Parco. Affacciato sullapiazza di Sant’Amato, si trova il mo-numento più importante della città:la cattedrale di Santo Stefano, della

Cittadina di Nusco innevata

seconda metà dell’XI secolo, quandoNusco venne elevata a sede vescovi-le. Un pretesto per la visita al borgoè la festa della Notte dei Falò diSant’Antonio, ogni 17 gennaio. Unevento che ogni anno attira curiosidalla Campania e non solo per assi-stere al rituale dei fuochi in ogni an-golo dell’abitato: ovunque ci sia unoslargo che possa ospitare una banca-rella e una catasta di legna da ardereecco “rru fuocu”. E dopo Nusco, si farotta verso il vicino orgo di CassanoIrpino con un centro storico dalla fit-ta ragnatela di vicoli e piazzette im-pregnate da un’atmosfera che sembraappartenere ad altri tempi. In pienavalle del Calore, Montella, già notaper la produzione della “palummi-na”, la varietà della castagna tipicadella zona, riserva interessanti sosteartistiche a partire dal convento diSan Francesco a Folloni, secondo latradizione fondato dal Santo di Assisinel 1222.

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AVIFAUNA

I colombacciGoffi in terra, divini nel cielo

di Caterina Gromis di TranaBiologa e giornalista

Sono così numerosi che a volte fan-no pensare agli uccelli di Hitchcock,quasi sinistri, pronti a diventare pa-droni del mondo. Invece sono inno-cui colombi, di una specie selvatica,Columba palumbus, gli italiani co-lombacci, in piemontese “favè”, perricordare che sono ghiotti di fave, ol-tre che di ghiande, piselli e altre gra-naglie.Sono columbidi di grandi dimensioni,che si muovono al suolo senza gran-de scioltezza, tozzi, sempre legger-mente impacciati per quanto sianoimpettiti e imponenti. Quando spicca-no il volo però, ecco-li controbilanciarsi inmaniera inattesa,perdendo l’incederegoffo che hannoper terra. Dopo unattimo di sbalordi-mento di fronte allapartenza repentina eal forte rumore del frullo, si resta in-cantati a guardare quei giganteschidrappelli invernali che fendono l’ariaveloci con le loro ali potenti. La traiet-toria rettilinea da crociera può diventa-re un rocambolesco volo acrobatico incaso di pericolo. L’aria è il loro elemen-to, teatro nella bella stagione delle pa-rate d’amore in cui sono capaci di gua-dagnare rapidamente quota per esibir-si in una spettacolare planata in disce-sa, ad ali orizzontali e coda spiegata.In primavera e in estate sono mono-gami e territoriali, tutti dediti alla cu-ra del nido, alle uova e alla prole. Ininverno diventano gregari e si radu-nano a frotte: di giorno in pastura abecchettare granaglie, ogni tanto unvolo spettacolare in stormi che riem-pono il cielo; di sera a dormire ap-pollaiati sui rami degli alberi spogli,facendoli sembrare carichi di fogliecarnose.Ci stiamo abituando alla loro presenzainvernale nella Pianura Padana quasicome se fosse cosa di sempre.Invece non è da moltissimo tem-po che i colombacci hannoscelto le nostre latitudi-ni per passare l’inver-no. Che cosa è successotra le impercettibili leggi con cui lanatura decide di cambiare le cose?

Una persona che conoscela storia è Gio-vanni Boano, os-servatore di riconosciutaesperienza nel mondo degli or-nitologi. A domanda risponde, capa-ce di individuare i tempi e i motivi diquesta presenza che ravviva l’in-verno con frulli e trastulli. Boano controlla i suoi appunti,quelli che ogni naturalista compe-tente conserva per consolidata abitu-dine, e risale a quando il fenomenoebbe inizio: le prime sue annotazioniche parlano di voli di cinquecento edi mille nella zona di Carmagnola,dove abita, sono degli anni Novanta.Gli appunti entrano in un puzzle incui certe abitudini che cambiano siintrecciano al trascorrere del tempo,

inventando altre abitudini: icolombacci sono un

tassello inserito tramolteplici circo-stanze, che aiuta a

capire come la vita siadatti alle trasformazioni

del mondo. Si tratta di una specie sociale

in inverno, e molto sensibile al distur-bo venatorio. La logica conseguenza èstata che l’incremento dei colombaccisvernanti è collegato all’au-mento delle zone protette:fenomeno incominciato inPiemonte, a partire dalParco del Ticino e dalParco del Po. Per capire le loro mosse ènecessario inquadrarne leabitudini e i movimenti.L’ornitologo consulta unatlante dove le rotte di mi-grazione, conosciute grazie atenaci lavori di inanellamenti e ricattu-re, sono indicate da linee colorate, co-me su una carta stradale. Seguendoquelle linee è facile inquadrare l’arealedella specie. I colombacci che nidifica-no nell’Europa centro-settentrionale

sono per la maggior parte mi-gratori, e la loro principale

zona di svernamentoè la Spagna, dove lesugherete, delle cui

ghiande sono ghiotti, sonofonte di grande attrazione.

Il passo autunnale attraverso l’Italia èstato abbondantissimo nel

tempo, tanto da entrare nel-la storia delle più notetradizioni venatorie, del-

le cacce con i volan-tini sul litorale roma-no, in Toscana, inLiguria. Quei colom-bacci andavano per lopiù in Spagna, attra-versando i Pirenei.

Era ed è rimasto famoso un luogo, ilColle di Orgambidesca, tra la Franciae la Spagna, dove da molti anni li cat-turano con le reti, per contarli e ina-nellarli. A partire dagli anni Novanta le osser-vazioni coordinate degli ornitologihanno indicato un aumento dei con-tingenti svernanti nell’Italia del Nord.Le cause? Una: gli inverni meno rigi-di. Un’altra: l’espansione delle zoneadatte al riposo, conl’aumento dei parchi.Una terza: la maggior di-sponibilità di cibo sottoforma di semi oleosi ne-gli anni in cui nellaPianura Padana al grano eal mais si sono affiancate altre colti-vazioni come la soia. Contemporaneamente sono diminui-

te le linee di migrazione dell’Italiacentrale, si è notata una ridu-zione del numero di colom-bacci che transitano sui collidelle Alpi Marittime (che purrimangono nell’ordine di alcu-ne migliaia) e anche minor pas-saggio a Orgambidesca. In un

primo tempo il fatto erastato interpretato come

diminuzione vera e pro-pria della specie, e invece più proba-bilmente è da mettersi in relazionecol fatto che i colombaccidell’Europa centrale sono diventatipiù sedentari, e anche con la loro re-cente sosta nella pianura Padana. Giovanni Boano segnala un altro tas-sello nelle questioni comportamenta-li dei colombacci, legato al mutaredelle loro abitudini: un aumento net-tissimo dei nidificanti in città.L’inurbamento della specie è un fe-nomeno parallelo, che negli anni

ORMAI È UNAPPUNTAMENTOCONSUETO: QUANDOAVANZA L’INVERNO E TUTTO SEMBRAASSOPITO, IL TORPOREDELLE BREVI GIORNATEDI GENNAIO È INTERROTTO DA IMPROVVISIBAGLIORI DI VITA CHERIEMPIONO IL CIELO. IN CERTI MOMENTI DEL GIORNO ENORMISTORMI DI UCCELLI SIMUOVONO COME INUNA DANZA, INMIGLIAIA, ALL’UNISONO

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AVIFAUNA

motivi per cui più spesso iterapeuti, tra cui medi-ci e psicologi, con-sigliano tali rimedisono le crisi d’an-sia, la depressionedi grado lieve-mo-derato, alcune for-me di fobia, l’inson-nia e i disturbi psicoso-matici in genere. Lamaggior parte di que-sti fiori sono specieselvatiche ritrovabilinei nostri climi e habi-tat, passeggiando tra isentieri di montagna: peresempio Wild Rose (Rosa canina)rosa selvatica, per l’apatia e la ras-segnazione profonde, Star ofBethlehem (Ornithogalum umbella-tum) latte di gallina, per i traumi psi-chici, Pine (Pinus silvestris) pino sil-vestre, per il senso di colpa e rimor-so, Larch (Larix decidua) il larice,per il senso di inadeguatezza e infe-riorità. In tale sistema troviamo an-che specie solitamente coltivate, co-me Vine (Vitis vinifera) la vite eOlive (Olea europea) l’olivo.Ma perché Bach scelse proprio i fio-ri? Forse perché simbolicamente la

vita della piantasi concentra nelfiore dove si svi-luppa il semeche poi ritornaalla terra e dinuovo si rigenera...La Floriterapia, di cui i Fiori di Bachsono i primi esponenti, rappresentauna branca emergente delle medici-ne non convenzionali, ponendosi,secondo i suoi fautori, come un uti-le strumento d’integrazione dellamedicina accademica, soprattuttoper l’assoluta mancanza di effetti

Spesso il viandante, stressato o afflit-to, alla ricerca di se stesso o sempli-cemente di risposte che il suo intel-letto non riesce a soddisfare, ricorrea una passeggiata in Natura, magaritra verdi prati fioriti, dove lo sguardopossa posarsi su orizzonti sconfinati,liberi da quelle catene del viverequotidiano che spesso attanaglianocome in una morsa il suo essere, in-stillandogli il dubbio sul senso stessodi un’esistenza in cui, sovente, nontrova la realizzazione a cui anela...Forse è stato l’ascolto di questo istin-to a portare il medico gallese Bach,scopritore degli omonimi fiori, a in-dividuare cure e rimedi. Lo studio delle proprietà curativedei fiori è patrimonio di antiche tra-dizioni medicinali di diverse partidel Mondo, ma fu curato in chiavemoderna dal medico gallese EdwardBach, fra gli anni 1926 e 1934. Eglidistinse 38 “tipi comportamentali” dibase, ai quali corrisponderebbero 37fiori di piante e uno ricavato inveceda un’acqua di fonte (Rock water).Ciascuno interessa un particolarestato mentale o emotivo archetipico,per correggere un particolare disa-gio emotivo e promuovere lo svilup-po della qualità o virtù opposta. I

Fiori di Bach per la psichee per l’animaLoredana [email protected] di Mario Giannini Realy Easy Star

Settanta sembrava un fatto insolito aParigi, e che in Italia, eccetto la cittàdi Milano dove è stato osservatofin dagli anni Trenta, è iniziato re-lativamente da poco. Inserendo iltassello nell’incastro checomprende altre specieanimali, è possibile mettere in rela-zione questo fatto dei colombaccidiventati cittadini con l’aumentodella tortora dal collare orientale,che a partire dalla metà del secolo

scorso si è stabilita alle nostre lati-tudini, diventando una specie

“di casa”. La tortora dalcollare è un columbideconfidente, ideale

specchietto da allodoleper i timidi congeneri. Gli altri co-lumbidi nostrani, i piccioni di città,problematici Columba livia domesti-ca, non hanno questo effetto di ri-chiamo perché non nidificano suglialberi ma nel centro urbano, con tut-

te le conseguenze negative del caso.La tortora costruisce il nido sugli al-beri, intrecciando rametti tra i rami,

come fanno i colombacci,e lo fa senza timore.

Può essere questauna delle chiavi di

lettura del prender piededi un’abitudine: imitare

chi, facendo una cosa consuccesso, infonde sicurezza ai

suoi simili un po’ incerti.Durante la migrazione, i colombaccisi aggregano accogliendo tra le lorofila anche alcuni esemplari di co-lombella, Columba oenas, la lorocugina più esile condannata allararefazione dalle sue prefe-renze poco moderne nellascelta del nido. La colom-bella ricerca le cavità di vecchitronchi per deporre le uova, e iboschi maturi sono oggi una tale ra-rità che la poveretta senza più casa,

soprattutto per questo siritrova confinata nella li-sta rossa delle specie inpericolo.Certo è che per chi nonsa che esistono tanti tipi dicolombi, alla fine si tratta sempre di“stormi di uccelli neri/ com’esulipensieri /nel vespero migrar”: un’im-magine già vista, raccontata anche inpoesia. Invece è straordinario come

chi studia questi fenomeni conun occhio al loro valorescientifico, annotando lepiccole cose, prima o poi si

accorge che stringati appun-ti presi con costanza, stagio-ne dopo stagione, alla fine sifissano nel tempo, testimo-

nianza preziosa capa-ce di documentare illavoro con cui la natura

sembra divertirsi sul suo asse diequilibrio.

In apertura: colombacci al tramonto (foto C. Gromis di Trana);qui sopra, colombaccio sul ramo (foto G. Bissattini).

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Cicoria – Chichorium intybus

collaterali e per la facile integrabilitàcon i farmaci di sintesi. Censitadall’O.M.S. tra le metodiche naturalidi cui si auspica lo studio e la diffu-sione, comincia oggi a essere inse-gnata anche in istituzioni Uni-versitarie, soprattutto all’estero, el’impiego è in ampia crescita nellapopolazione. Secondo Bach la ma-lattia non ha origine sul piano fisico.Egli scrive: «La malattia del corpo,come la conosciamo noi, è uno sta-dio finale di qualcosa di molto piùprofondo. Inizia oltre il piano fisico,più vicino al mentale ed è il risulta-to di un conflitto fra Anima e Mente.La malattia non è una punizione, maè lo strumento adottato dalla nostraanima per indicarci ciò che in altremaniere non siamo stati capaci dicogliere e non potrà venire menofinché non avremo imparato la le-zione».La vera guarigione starebbe dunquein quella che lui chiama “riarmoniz-zazione della coscienza”.

La vita di Edward BachNon si può parlare delle proprietàattribuite a questi rimedi senza cita-re la vita non facile e significativadel suo scopritore, pioniere di ideerivoluzionarie per i suoi tempi, e an-cora si può dire per quelli attuali etentare, almeno, di capirne la filoso-fia retrostante. Allo scoppio delPrimo Conflitto Mondiale, si occupòdei feriti ma il gravoso impegno dilavoro e la morte della moglie perdifterite nel 1917, provocò un crollofisico a cui seguì il ricovero d’urgen-za nell’ospedale dove lavorava. Ladiagnosi fu terribile, rivelando unamalattia incurabile. Dopo il primoperiodo di angoscia e di forte de-pressione, egli si dedicò alle ricer-che e agli esperimenti che veramen-te lo appassionavano; fu così che,

quando la sua vita avrebbe dovutovolgere al termine secondo l’inizialediagnosi, i medici increduli, dovet-tero constatare che la malattia eraregredita. Bach ipotizzò che unagrande passione, un grande amore,uno scopo definito nella vita, eranofattori decisivi per conservare lapropria salute. Ormai guarito, ripre-se gli esperimenti che lo condusse-ro alla scoperta di nuovi vaccini,chiamati “nosodi”, tratti da ceppibatterici intestinali, che impiegò congrande successo per la cura di sva-riate patologie, convincendosi sem-pre più che lo squilibrio intestinalefosse alla base di esse. Nello stessoperiodo però Bach si interessò alleteorie elaborate alla fine del ‘700 dalmedico Samuel Hahnemann (il pa-dre dell’omeopatia) riscontrandoche il principio “dei simili” era allabase sia dei suoi esperimenti siadella medicina omeopatica e chedovevano esistere in natura dei ri-medi più semplici e naturali per cu-rare gli squilibri. A 43 anni abban-donò prestigio e carriera e si ritiròin campagna a studiare fiori e pian-te selvatici non tossici, dedicandosia un metodo di cura inedito, cheagli occhi della medicina di allora eper lungo tempo non avrebbe ri-scosso credibilità.Egli aveva cercato per tutta la vita leprove scientifiche nella sua attività disperimentazione, poi, tutto a un trat-to, le facoltà intuitive presero il so-pravvento. Ottimo osservatore dellanatura, affascinato dalla scoperta del-l’infinitamente piccolo, decise di affi-darsi alla sua sensibilità e alla capaci-tà di vedere oltre le apparenze.Secondo il presupposto stabilito dal-la teoria dei simili e delle signature,Bach si lasciò guidare dalle somi-glianze tra piante e individui. Scoprìche tenendo la mano su una pianta

fiorita ne sperimentava le proprietàguaritrici, così come fanno gli scia-mani di tutto il mondo. Individuò i ri-medi essendo attratto infatti, a secon-da degli stati d’animo in cui versava,dal fiore che una volta assunto loriarmonizzava.“Guarire il malato e non la malattia” èil nucleo concettuale della sua filosofia,che propone un modello di interventosugli stati d’animo negativi. Vedono co-sì la luce le prime 12 essenze floreali,chiamate “i 12 Guaritori”: Rock Rose,Mimulus, Cerato, Scleranthus, Gentian,Centaury, Water Violet, Impatiens,Agrimony, Chicory, Vervain, Clematis. Dopo aver terminato la sua ricerca eaver individuato 38 preparati checonsiderano tutte le debolezze e ca-renze caratteriali comuni agli uomini,la sua ricerca cessa e muore nel 1936nel sonno, a 50 anni. Le essenze erano proposte come ca-talizzatori di consapevolezza, capaci

di stimolare nell’uomo virtù dimenti-cate: amore, altruismo, pazienza, co-raggio, volontà, apprendimento, ser-vizio, umiltà, flessibilità, superamen-to, perdono. Egli consigliava di co-gliere i fiori al massimo della fioritu-ra e nelle prime ore del mattino di ungiorno assolato; il fiore ricoperto dal-la rugiada, che non doveva essere in-taccato da alcunché, veniva depostoin una ciotola d’acqua pura di sor-gente e veniva trattato secondo unodei due metodi riportati nelle operedel medico gallese: il metodo del so-le o quello della bollitura.Le spiegazioni che diede alle suescoperte non avevano nulla di razio-nale. I rimedi funzionavano, soste-neva Bach verso la fine della sua vi-ta, non per via della composizionechimica, ma poiché hanno «il poteredi innalzare le nostre vibrazioni, inmodo da avvicinarci a quel poterespirituale che purifica spirito e cor-

po, e guarisce» e grazie alle proprie-tà dell’energia sottile di cui è per-meata la pianta. Concetti che posso-no disorientare una mente razionalee che, in effetti, a tutt’oggi non han-no trovato conferma nella scienzaufficiale.Chi ne sostiene l’efficacia parla di unaddolcimento delle resistenze psico-logiche del paziente e di una presa diconsapevolezza, per molti versi simi-le a quella imputabile a un processopsicoterapeutico.I floriterapeuti asseriscono però chel’attribuzione del rimedio non è ba-nale: solo scegliendo il rimedio ve-ramente appropriato allo stato emo-tivo in questione questo potrà entra-re in risonanza con esso e riequili-brarlo. Gli elementi indispensabiliquindi sono lo studio dei rimedistessi e la capacità di capire la natu-ra umana. Sull’onda del successo deifiori di Bach sono comparse negli

ultimi decenni anche altre floritera-pie: centri di studio e di ricerca so-no nati in California (alcune essenzecaliforniane erano già utilizzate ascopo terapeutico dai popoli ame-rindi in epoca precolombiana) inAlaska, in Francia, in India, inBrasile, in Australia, Italia. Alcuneessenze australiane vengono speri-mentate in molti ospedali locali nel-la terapia del dolore e nella meno-pausa come alternativa alla terapiasostitutiva ormonale. In Inghilterrasono oggetto di interesse scientificoe materia di studio e approfondi-mento. A prescindere dalla verifica dell’effi-cacia del metodo, in un mondo do-ve lo stile di vita frenetico e le pres-sioni sociali danno luogo a disarmo-nie di ogni tipo, forse il messaggio ela filosofia retrostanti a questi rime-di possono già essere degni di rifles-sione.

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TERAPIE NATURALI

Caprifoglio – Lonicera caprifolium Pino silvestre – Pinus sylvestris Faggio – Fagus sylvatica Clematis vitalba – Clematis vitalba

Salice giallo – Salix vitellina Latte di gallina - Ornithogalum umbellatum Rosa canina – Rosa canina Brugo – Calluna vulgaris

Per saperne di più:E. Bach, Tutte le opere, ed. Macro Edizioni, 2002E. Bach, Le Opere Complete, ed. Macro Edizioni, 2002J.Barnard, Fiori di Bach, forma e funzione, ed. Tecniche Nuove, 2004M. Scheffer, Le piante per la psiche, Nuova IPSA Editore, 1999I.White, Il Potere Terapeutico dei Fiori Australiani, ed. Tecniche Nuove, 2004

QQui piante e animali tropicali sonoprotetti dal rigido clima centro-euro-peo; a coprire il tutto è un’enorme ten-sostruttura trasparente, con teloni di te-flon, etilene-tetrafluoroetilene, sorrettida tubi in alluminio. L’isolamento è as-sicurato da tre teli, simili a giganteschicuscini pieni d’aria, larghi 3,9 metri elunghi 55, mentre un quarto telo è ste-so sulla cima dell’incastellatura, perproteggerla dalla grandine. In questaforesta tropicale “europea”, la vita sisviluppa a una temperatura compresatra i 17 e i 28 gradi, con umidità relati-va di circa l’80%. Un sistema altamentetecnologico raccoglie l’acqua piovanae la mette in circolo purificata. La pre-cipitazione annua di 2.200 millimetri,corrisponde a circa 6 millimetri al gior-no. Piove con regolarità cronometricaalle 7,30 del mattino per dieci minuti,e ogni volta vengono rilasciati 55 milalitri d’acqua. Durante l’estate si fa pio-vere anche due volte al giorno, in in-verno due volte la settimana. Le altetemperature necessarie per fare vivere laforesta tropicale in inverno e l’aria condi-zionata per il raffreddamento nel periodoestivo, sono ottenute con bassi consumienergetici, sfruttando il legname ricavatodalle foreste attorno a Zurigo.La costruzione, iniziata nel 2001 eaperta al pubblico dal giugno 2003, èvisitata da un notevole numero di per-

sone (1,6 milioni nel 2006) che voglio-no provare l’emozione di attraversareuna foresta tropicale, facendo la cono-scenza dei timidi lemuri e dei camale-onti. Le foreste pluviali tropicali sonoin regresso non solo in Madagascar, mapurtroppo in tutto il mondo. Vengonoabbattute per ottenere consistenti pro-fitti dalla vendita di legname pregiato eliberare il terreno per piantagioni dipalma da olio, riso o altre colture indu-striali di ogni tipo, purché di apprezza-bile valore commerciale, col risultato dicompromettere l’intero ecosistema.Dimostrazioni di danni geologici irre-versibili sono presenti in tutta la fasciaequatoriale dove le foreste pluviali so-no ormai scomparse. In natura molte specie si sono estinteentrando in contatto con l’uomo. Peresempio, nel 1648 Etienne de Flacourt,viaggiatore francese della Compagniadelle Indie, descrisse un uccello gigan-tesco, con zampe elefantiache e aliatrofizzate che deponeva uova gigante-sche. L’animale classificato Aepyornis siestinse ben presto nel XVII secolo perl’intensa caccia cui fu soggetto inMadagascar. Un’interessante ricostru-zione dell’uccello elefante (questo ilsuo nome volgare) si trova nella sala at-tigua alla zona ristoro. Alex Rubel, di-rettore dello zoo di Zurigo, assicura chegli abitanti di questa foresta, vegetali e

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ZURIGO

SI TROVA SULLE COLLINE A MEZZ’ORA DI AUTO DAL CENTRO DI ZURIGO. IL NOME MASOALASIGNIFICA “OCCHIO DELLA FORESTA”

Foresta in serraÈ in Svizzera la foresta pluviale equatoriale più estesa d’Europa

testo di Pia BassiGiornalista e divulgatrice scientificafoto Luisa Molteni /Masterphoto

ZURIGO

te dal Sud-est asiatico o acquistate neivivai della Florida (Usa), Thailandia eMalesia. Camminando per i sentieri sipossono ammirare nell’umidore dellaforesta alberi giganteschi e fiori straor-dinari come l’orchidea cometa, il fiore pi-pistrello, la pervinca del Madagascar,estremamente velenosa, dalla cui radicie foglie si estraggono essenze antitu-morali per combattere la leucemia e icancri linfatici.Ciò che sorprende maggiormente i vi-sitatori sono gli animali: mammiferi,uccelli, rettili, anfibi, insetti, pesci. Inquesta arca di Noè del XXI secolo, nul-la è stato dimenticato per ricreare il

perfetto ecosistema pluviale equato-riale. Il lemure, animale simbolo

del Madagascar, ti spia con isuoi grandi occhi roton-

di pieni di sorpresadal folto della

vegetazione,

In apertura vista sulla foresta tropicale (foto R. Meazza); sopra lemure rosso dal collare - Varecia variegata rubra (foto U. Isman) e visita nella foresta (foto R. Meazza); sotto Geco gigante diurno del Madagascar – Phelsuma madagascariensis grandis (foto L. Verduci).

mentre sta lappando il fiore zuccherinodi un banano. Altre specie endemiche sono moltoben rappresentate, come i lemuridi e leproscimmie, alcune con abitudini not-turne, che marcano il territorio con unaghiandola odorifera. Differiscono dallescimmie per la struttura del corpo , peril naso umido e per una terza palpebra,una membrana opaca che ricopre gliocchi quando sonnecchiano o si pren-dono cura della propria pelliccia.La distruzione delle foreste va di paripasso con la riduzione delle specie dilemuri, alcune già estinte, come ilPaleopropithecus di cui si conserva sololo scheletro. Ancora oggi molte varie-tà di lemuri vengono cacciate dalle po-polazioni locali per la loro carne.L’isola del Madagascar conta 290 spe-cie di rettili, 250 di anfibi, 200 di uccel-li e circa 120 specie di mammiferi. AMasoala ci sono più di 40 specie diver-se di vertebrati, metà dei quali uccelli,circa 300 individui. Già dal primo annomolti uccelli hanno nidificato e prolifi-cato: la pernice del Madagascar, l’alza-vola Berner, l’anatra di Meller, l’ibis cre-stata e tanti altri ancora.Gli abitanti del mondo acquatico vivo-no in laguna e nei ruscelli. Completanoil quadro dell’ecosistema gli invertebra-ti e utili insetti che concorrono alla de-composizione della materia organica.Nonostante la foresta non sia visitabiledi notte quando i vari animali notturnicomunicano con versi e canti partico-lari, può essere considerata come“esperienza di vita” su un pianeta ex-traterreste.

animali, vivono in uno stato di benes-sere, lontano dai rischi di estinzione,anzi molti animali si sono riprodotti egli alberi hanno dato fiori e frutta.Lo zoo di Zurigo partecipa per il 25%al progetto di conservazione della fore-sta naturale Masoala in Madagascar, in-dividuata dall’Unesco quale patrimonionaturale mondiale; anche grazie all’atten-zione dedicata dalla Wildlife ConservationSociety ha acquisito lo status di territo-rio protetto riconosciuto in tutto il pia-neta. Lo zoo destina inoltre il 2% degliintroiti dell’attività commerciale (risto-razione e oggettistica artigianale relati-vi al Masoala), ai progetti educativi divillaggi e scuole del Madagascar che in-sistono sul territorio del parco.La foresta pluviale zurighese è compo-sta da più di 400 specie di piante (inMadagascar sono 5.500 di cui l’80% en-demiche). Delle 17 mila piante messe adimora nel 2003 (felci, orchidee e pian-te acquatiche), solo lo 0,5% non soprav-

visse il primo anno. Pernon depauperare

la Masoala ori-ginale, molte

piante sonostate im-

porta-

I numeri della grande serraSuperficie 11 mila m2; larghezza 90m; lunghezza 120 m; altezza 30 m;superficie delle coperture del tetto14.000 m2; volume 200.000 m3. Iltutto è costato 52 milioni di franchisvizzeri. Lo zoo di Zurigo e la fore-sta pluviale Masoala sono aperti 365giorni l’anno, con orario 10-18, damarzo a ottobre e 10-17 da novem-bre a febbraio. Info: www.zoo.ch;www.mywitzerland.com; numeroverde 0080010020030.

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ESISTONO LUOGHI LA CUI ESSENZA NON ÈCATTURABILE SEMPLICEMENTE OSSERVANDOQUEL CHE APPARE ALLO SGUARDO;OCCORRE SPINGERSI PIÙ IN LÀ, OLTRE LAFORMA DELLE COSE, OLTRE IL PROFILO DEIMONTI, IL CORRERE RAPIDO DEI RUSCELLI ELE INTENSE TONALITÀ DEL CIELO. ÈNECESSARIO ENTRARE NELLA MATERIA CHECOMPONE GLI ELEMENTI DELLA NATURA,CERCANDO DI COMPRENDERNE L’UNICITÀ

Le Arpe del Monvisotesto di Aldo Molino - fotografie archivio [email protected]

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A

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cerca. Il museo è stato inaugurato nel2005 e consta di due sale espositive,un’aula didattica, auditorium e recep-tion dove si trovano gadget, libri e cdnaturalmente dedicati all’arpa. Nontutta la collezione può essere espostacontemporaneamente, così si è sceltala strada delle mostre tematiche. Dopo“Tre secoli di Arpe” da febbraio 2008(l’inaugurazione avverrà domenica18), la nuova esposizione è dedicataalle differenti tipologie comprenden-do anche gli strumenti etnici. Arpe esue varianti sono presenti infatti pres-so molti popoli (es. in Congo e inBirmania). Il nuovo allestimento che siintitola “L’arpa, dal Congo a Chicago”è un interessante viaggio nella storiadell’arpa attraverso 50 esemplari pro-

TERRITORIO

In apertura: tramonto sul Monviso (foto A. Molino).In queste pagine: il Museo (foto A. Molino), Victor Salvi e particolare di arpa (foto archivio Salvi)

All’imbocco della Val Varaita, una del-le valli che scendono dal Monviso, aiconfini tra mondo piemontese e occi-tano, Piasco è uno di quei paesi chefaticano a uscire dall’anonimato.Transitando sulla circonvallazione di-retti verso i paesi dell’alta valle uncartello però attira l’attenzione delviaggiatore non frettoloso: “Museodell’Arpa”. Basta convincersi a fare una deviazio-ne e dopo qualche zig-zag tra le offici-ne del vecchio cotonificio Wild nellafrazione S. Antonio, ecco un edificiosapientemente ristrutturato e una sca-la a chiocciola che dischiude al pro-fano un mondo inimmaginabile fatto disuoni, musicalità ma anche di impren-ditorialità e di eccellenza artigiana.Un sottile filo rosso lega Piasco conun altro paese, appollaiato questosui contrafforti appenninici dellaLucania quasi ai confini con il Vallodi Diano: Viggiano.

Il presente e il passato dell’arpaViggiano un tempo è stata terra di liutaima anche di suonatori di arpa popola-re (forse 300 su una popolazione diqualche migliaio di abitanti) che con illoro strumento percorrevano le stradedel mondo in cerca di fortuna. Ora latradizione vive soltanto più del ricordoe della nostalgia di qualche anziano.Ma da Viaggiano, all’inizio del secoloscorso, emigrò in America, a Chicago,la famiglia Salvi, di origini veneziane,che le vicende della vita avevano por-tato in Lucania. I Salvi divennero deigrandi dell’arpa: Alberto per trent’anninell’orchestra filarmonica di Chicago,Aida delicata interprete, e Victornell’NBC di NewYork con l’indimenti-cabile Toscanini. Finché non soddisfat-to degli strumenti a disposizione,Victor, classe 1920, decise di ricalcare leorme paterne (era anche liutaio) e co-struire in proprio uno strumento chedesse maggiori garanzie. Da New Yorkdove nel 1954 nacque la prima SalviHarps, a Genova nel 1956, poi il primostabilimento a Vignole Borbera ancoraa Manta, e dal 1976 a Piasco in ValVaraita, dove la tradizione dell’artigia-nato del legno è una realtà consolidata.In pochi anni le arpe fabbricate aPiasco dalla Salvi, sono diventate leArpe per antonomasia, sposando tradi-

zione con innovazione, ricerca con isaperi antichi, divenendo lo stru-mento utilizzato dai più grandi ar-pisti e arpiste. Non a caso l’ulti-ma fuoriserie uscita da Piasco èstata prodotta appositamenteper Catrin Finch, arpista diCarlo d’Inghilterra, nonchéregina delle arpe secondo ilprincipe di Galles.

Lo strumento Strumento musicale dalleorigini antichissime, l’ar-pa è un cordofono acorde pizzicate la cuicaratteristica principaleè di avere le corde nor-mali alla tavola armo-nica. La utilizzavano già

i Sumeri e gliEgizi come

attestanoi ritrova-

menti archeologici e la troviamo citatanella Bibbia. I romani le preferirono lalira e la cetra. La rinascita in Europadell’arpa avviene nell’ambito celticodove diviene lo strumento popolareprincipe per accompagnare le ballate ele danze. A partire dal 1607 l’arpa en-trò a tutti gli effetti nel mondo dell’or-chestra. Ma occorsero altri due secolidi modifiche e migliorie tecniche pergiungere allo strumento cromatico adoppio movimento dotato di pedali,tutt’ora in uso, che permette una gran-de versatilità musicale.«Sono oltre 1.500 i pezzi che compon-gono una grande arpa da concertomoderna e 130 quelli in legno da as-semblare», racconta Marco Ghibaudo,il giovane e competente responsabiledella SalviHarps. Le parti principali so-no lo zoccolo dove trovano posto i 7pedali corrispondenti alle note dellascala, la cassa di risonanza, la menso-la (la parte superiore a forma di s), ela colonna che, oltre a sostegno, serveper far passare i cavi dei pedali e lecorde in numero di 46 o 47.

Il museoQuello di Piasco è l’unico museo almondo dedicato a questo strumento,un omaggio al territorio di Victor Salviche resistendo alle lusinghe diChicago ha scelto la Val Varaita percollocare la sua collezione privata for-mata da oltre 120 pezzi raccolti (e re-staurati) con un paziente lavoro di ri-

LLa “magnifica” foresta degli alberi che suonano

Le arpe sono fatte principalmente di legno e verrebbe da pensare che unavalle alpina come quella del Varaita sia luogo privilegiato per approvvigio-narsi di materia prima. Tutti conoscono lo straordinario bosco di cembridell’Alevè ma non è da qui che nascono le arpe. Bisogna andare inTrentino nella valle dell’Avisio, le cui foreste, oltre 60.000.000 di alberi, so-no gestite da quasi mille anni dalla Magnifica Comunità di Fiemme, dove,in quello che è uno dei boschi più antichi d’Europa, vegetano gli abeti co-lonnari, le cui cime si spingono in alto, quasi a sfiorare le nuvole. Gli abe-ti della Valle di Fiemme, nel caso specifico abeti rossi (Picea abies o se-condo una vecchia denominazione Picea excelsa), sono alberi dall’aspettomaestoso, in grado di raggiungere i 60 metri di altezza, caratterizzati dauna chioma rigogliosa, sempreverde e da una corteccia di colore rossastroda cui deriva l’appellativo di abete rosso. Queste piante disegnano il pro-filo di molte vallate del Trentino e dell’arco alpino, ma quelle della Valledi Fiemme per motivi pedo-climatici, si distinguono per possedere una ca-ratteristica unica al mondo. Sotto la sottile scorza si cela un legno partico-lare, capace di dare voce ai più noti e prestigiosi strumenti musicali a cor-de. Organi, pianoforti, violini e arpe, suonati dai più grandi musicisti di tut-ti i tempi, devono la loro fama al legno degli abeti della Valle di Fiemme,da cui si ricava il “cuore pulsante” di questi strumenti: la tavola armonica.Questi abeti forniscono, infatti, un pregiato legno di risonanza, già impie-gato da Antonio Stradivari e da altri grandi maestri liutai del ‘600 e ‘700,quali Guarnieri e Amati. Il “legno di risonanza” è un particolare tipo di le-gno che possiede particolari caratteristiche acustiche e tecnologiche.L’assenza di difetti, l’estrema regolarità della fibra e degli accrescimenti an-nuali, la sua straordinaria elasticità, unita alla leggerezza e alla ridotta igro-scopicità, sono gli elementi che ne fanno un eccellente veicolo di trasmis-sione delle onde sonore. Queste stesse proprietà determinano anche unelevato grado di reattività e di adattabilità alle sollecitazioni esterne. Tuttociò fa sì che il legno di risonanza registri nella sua struttura lo stress mec-canico e fisico cui è sottoposto, costituendo, in un certo modo, una verae propria memoria del legno, tanto da permettere ai musicisti di imprime-re e conservare la propria personalità nello strumento.Il “legno di risonanza” è molto raro, perché ricavato solo da alberi cresciu-ti in condizioni perfette; si pensi che su 12 mila metri cubi dell’ottimo le-gname che ogni anno si trae dalla foresta, solo una minima quantità, dai20 ai 50 metri cubi, ha le caratteristiche per diventare materiale per stru-menti musicali. Il legno degli abeti della Val di Fiemme è uno di quei dei doni che la na-tura concede all’uomo consentendogli di esprimere il proprio genio e ce-lebrare con l’arte la bellezza della vita. Un dono che passa attraverso il sa-crificio del taglio delle piante predestinate. Un sacrificio fortunatamente inarmonia con l’ambiente, perchè condotto da persone intimamente legatealla propria terra cui si accostano con estremo rispetto. La MagnificaComunità di Fiemme, infatti, sin dal 1100, epoca della sua fondazione, ge-stisce il suo vasto patrimonio forestale con particolare attenzione, permet-tendo al bosco di crescere: un esempio di come sia possibile produrre inmodo sostenibile creando professionalità e impiego di qualità senza di-struggere le risorse naturali.

Mariano Salvatore

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TERRITORIO

TRADIZIONI

L’ALBERO DI GRAUNOA Grauno, piccolo villaggio della valledell’Avisio, i cui boschi confinano conquelli di Fiemme, nei giorni di carneva-le da tempo immemorabile va in sce-na un rituale che è al tempo stessopropiziatorio e purificatorio. Protagonista è l’abete più bello e piùalto del bosco comunale. Individuato,viene abbattuto nei giorni della festa etrascinato in paese. Naturalmente ipaesani fanno a gara per partecipare altrasporto dell’immenso tronco inquanto porta bene e c’è chi torna perl’occasione anche da molto lontano.Nella piazza del paese la mattina delmartedì grasso si svolge una sorta diprocesso dopo di che, accompagnatodai coscritti e dalla musica, l’albero èportato attraverso le vie del borgo si-no al luogo dell’”esecuzione”. Conmolta perizia viene issato con delle fu-ni in una profonda fossa e quindi inter-rato perché stia in piedi. Viene quindiricoperto di paglia e di fascine e a not-te, di fronte a tutti i paesani dopo ilpranzo comunitario, bruciato. (AlMo)

Per saperne di più:Il Museo dell’Arpa è a Piasco, viaRossana 7, tel. 0175 270510. È aperto dalla domenica alvenerdì ore 10-13 14-17 conultimo ingresso alle 16.30sabato solo su prenotazione.Visite guidate per le scuole suappuntamento.Il sito del museo:www.museovictorsalvi.itIl sito dell’azienda:www.salviharps.com

Sopra, suonatori d’arpa (foto archivio Salvi); sotto, l’albero di Grauno (foto di A.Molino).

venienti dai cinque continenti e che ri-salgono a diverse epoche storiche.

L’aziendaI locali sottostanti e attigui al museosono il cuore pulsante della NSM(nuovi strumenti musicali) dove le ar-pe Salvi vengono costruite. Un’ot-tantina di dipendenti altamente qualifi-cati, come è tradizione del comprenso-rio saluzzese del legno. La meccanicaarriva da Chicago prodotta da unaconsociata, le corde dall’Inghilterra, illegno d’acero dal Canada e l’abete ar-monico dal Trentino. L’intero processoproduttivo avviene in azienda dallacostruzione delle tavole armoniche al-le complesse finiture (alcuni modellisono dorati), dal montaggio all’accor-datura finale. Se si ha la fortuna di vi-sitare lo stabilimento dove tradizione,saper fare e innovazione si coniuganoin un connubio armonico, si resta affa-scinati dalla complessità delle opera-zioni che portano da modeste tavolet-te di legno allo strumento finito. LeArpe Salvi non suonano soltanto inEuropa nelle mani dei concertisti o dei

musicisti celtici, ma sono presenti intutto il mondo dal Sud Africa, alGiappone e naturalmente in America.Attualmente i modelli proposti a cata-logo sono 14:grandi arpe da concerto.Arpe celtiche, arpe da studio. È purepossibile noleggiare gli strumenti. Afianco della produzione la “Fon-dazione Victor Salvi”, presieduta daJulia Salvi, ha come scopo di sostene-re e diffondere l’uso di questo affasci-nante strumento musicale.

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Gli animali di Wildlife Photographer of the Year

Il famoso concorso fotografico promosso dal Museo di storia naturale diLondra e dalla BBC approda al Museo torinese che espone fino al 24 marzo lemigliori fotografie naturalistiche scattate dai fotografi di tutto il Mondo per esal-tare la bellezza, la meraviglia e l’importanza della natura nel suo aspetto più in-contaminato: quello selvaggio. La mostra fotografica comprende le 100 migliori immagini provenienti da ogniangolo della Terra: una galleria di rara bellezza, ricche di suggestione, articolatain un percorso che comprende 12 categorie, 3 premi speciali – per le immagi-ni di animali in estinzione, per le immagini che mostrano l’interazione tra uomoe mondo naturale, per il miglior portfolio di 6 scatti di fotografi non superioriai 26 anni – e tre categorie junior riservate a fotografi di età compresa tra 15-17 e 11-14 anni, e per fotografi di età inferiore ai 10 anni.

CORSI PER GLI INSEGNANTI... E NON SOLOIl Museo regionale di Scienze naturali e il Museo di Storia naturale Don Bosco organizzanodue corsi aperti agli insegnanti e a tutti gli interessati. Sei incontri per ogni corso, che sisvolgeranno di giovedì dalle 17.30 alle 19.00 presso i due musei naturalistici torinesi.Il primo corso Le conchiglie del Mediterraneo presenterà gli aspetti biologici edecologici dei molluschi e l’architettura delle conchiglie nelle sue forme con il seguentecalendario: 7 febbraio, G. Repetto, La collezione delle conchiglie: finalitàe metodi di raccolta, al Museo di Valsalice; 14 febbraio C. Vellano, Labiologia dei Molluschi: forme e funzioni, al Museo Regionale; 21 febbraioE. Bonisoli, Le conchiglie di Venere: Cipree mediterranee ed esotiche, alMuseo di Valsalice; 28 febbraio E. Gavetti ed E. Giacobino, Le conchiglieda collezione del mar Mediterrane: aspetti collezionistici e artistici, alMuseo Regionale; 6 marzo I. Bianco, Come organizzare una collezione, alMuseo Regionale; 13 marzo visita alla mostra Istantanee di Molluschimediterranei di Franco Orlando e alla collezione malacologica del Museodi Storia Naturale Don Bosco di Valsalice a cura di E. Bonisoli ed E. Fonio.Il secondo corso intitolato Dalla vita alla pietra, condotto da DanieleOrmezzano e Gualtiero Accornero, illustrerà alcuni temi dellapaleontologia per comprendere il significato di un fossile e riflettere sulla sua formazione.Gli incontri si svolgeranno il 27 marzo e il 3, 10, 17, 24 aprile 2008 e si concluderanno l’8maggio con la visita all’esposizione paleontologica del Museo di Storia naturale Don Bosco.Informazioni e prenotazioni: Centro didattico del Museo, tel. 011 4326307 – 6334 – 6337(lunedì-venerdì ore 9-12.30).

Appuntamential museoa cura di Elena [email protected]

NOTIZIE E CURIOSITÀ

LStanno morendoi fenicotteriLa notizia è stata riportata dai principali organi di infor-mazione: nel Delta del Po si è verificata una preoccu-pante morìa di fenicotteri che, esami approfonditi, han-no imputato a saturnismo, ovvero avvelenamento dapiombo.L’episodio ha messo sotto accusa l’uso di munizioni apallini di piombo per la caccia in palude: ogni cartucciaesplosa (e sono decine di migliaia ogni anno) determinail deposito di materiale tossico sui bassi fondali del Deltache vengono poi dragati dai fenicotteri alla ricerca di ci-bo. L’ingestione accidentale dei pallini di piombo deter-mina un avvelenamento letale nell’avifauna, senza di-menticare che la lenta degradazione di questo metallonelle acque è fonte di un inquinamento gravissimo che siripercuote nell’intera catena alimentare.Il ministero dell’Ambiente ha affrontato il problema delsaturnismo con un decreto datato “novembre 2007”che stabilisce le linee giuda per gli Enti di gestione delleZPS (Zone a Protezione Speciale) individuate sul terri-torio europeo in seguito alla “Direttiva Uccelli” del 1979.Il divieto di usare munizioni al piombo in queste aree po-trebbe rappresentare un primo vero passo verso il lorobando definitivo, da anni in vigore in molti Stati europei.

Chiara Spadetti

RISCHIO ESTINZIONE PER PICCHI,PERNICI E AIRONIÈ a rischio di estinzione il 60% delle specie nidificanti nel-la nostra penisola. Questa è una delle valutazionidell'Atlante climatico degli uccelli nidificanti in Europa(Climatic atlas of european breeding birds), realizzatodall'Università di Durham e dalla Rspb (Royal society forthe protection of birds) in collaborazione con BirdLifeInternational, la rete di associazioni che difendono gli uc-celli, rappresentata dalla Lipu in Italia.Per saperne di più: www. birdlife.org

GOING NORTH, GLOBAL WARMINGESCAPE ROUTEÈ questo il titolo del documentario realizzato da EugenioManghi e prodotto dalla White Fox Communications inuscita il mese prossimo e in programma, in Piemonte,nelle proiezioni del Parco Gran Paradiso, Val Grande,Lago Maggiore, Ticino ePo torinese. Esaminandoun vasto arco temporale(dall’ultima glaciazione finoai giorni nostri) il filmatodenuncia le relazioni esi-stenti tra i cambiamenti cli-matici e i comportamenti animali, cercando una risposta airecenti cambiamenti comportamentali riscontrati nel mon-do della fauna e della flora.Per saperne di più: [email protected]

INAUGURATO L’ISTITUTOSCIENTIFICO ANGELO MOSSODopo aver visto la nascita nel lontano 1907 al Col d’Olen,e dopo aver superato un incendio distruttivo nel 2000,l’Istituto scientifico Angelo Mosso torna a nuova vita. Collocato ai piedi del Monte Rosa, sullo spartiacque trala Valsesia e la Valle del Lys, il centro tornerà a essereluogo di attività di ricerca scientifica sotto la guida dellasezione di Fisiologia del dipartimento di Neuroscienze,Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Torino,ma anche museo espositivo del patrimonio storico cul-

turale degli studi di fisiologia umana inalta quota e sede della “Scuola inter-nazionale di alta formazione per lamontagna”. Per saperne di più: C. Leonoris, Lascienza oltre le nuvole, ed. AssociazioneZeiusciu Centro Studi, Magenta 2007

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a cura di Emanuela [email protected]

Avviso ai lettoriPer ragioni di spazio salta in questonumero l’abituale appuntamentocon la rubrica I Sentieri provati diAldo Molino che tornerà, puntua-le, sul prossimo numero.

LA TERZA SCIMMIA

AAA amante pioggia dorata cercasia cura di Claudia [email protected]

UUn simile inconsueto annuncio, tra inserzioni e pruderie varie, rivela una per-versione ben nota e forse amata anche dal grande Vate, che pare non disde-gnasse nei preliminari amorosi l’urina delle sue amanti. Nell’incredibile prontuario sado-maso dell’erotismo, il pissing o urofilia sembra infondo una delle pratiche più innocue, un gesto voluto forse per significare con-segna totale di tutto il proprio essere, accettazione senza limiti del proprio par-tner, completa e irrevocabile sottomissione. E se talune trasgressioni sessualiumane, transessualità e travestitismo per citarne alcune, hanno in altri animali unaconnotazione riproduttiva e quindi una forte valenza evolutiva, forse anche la ma-nipolazione delle proprie urine ha una sua ragione di essere in altre specie.In generale la stragrande maggioranza degli organismi animali utilizzano segnalichimici olfattivi per comunicare, sia all’interno che all’esterno della propria spe-cie. Nei mammiferi, il gruppo animale che ha nell’olfatto il senso più sviluppa-to, l’urina riveste una funzione particolarmente importante di comunicazionesociale. Cani, gatti, topi, giusto per elencare alcuni dei nostri più o meno desi-derati conviventi, impiegano l’urina per marcare il loro territorio, segnalando aicospecifici sesso, rango sociale, condizione di aggressività o disponibilità. I cuc-cioli se la fanno letteralmente addosso per la paura, a volte in modo ostenta-tamente plateale per esibire senza dubbio alcuno la loro totale sottomissione;questo atteggiamento è ripreso dagli adulti più remissivi, mentre i dominantimarcano con arrogante sicumera i territori altrui.Osservando alcuni primati, parenti a noi più prossimi, si è scoperto che la fun-zione di marcatura territoriale è in realtà soppiantata da quella più probabile didocilità e sottomissione. Recenti studi etologici, pubblicati sull’American Journalof Primatology, offrono infatti una nuova interpretazione all’usanza di alcunescimmie cappuccine sudamericane (Cebus apella) di lavarsi le zampe con lapropria urina. Fino a non molto tempo fa, si pensava che la funzione principa-le di tale comportamento fosse quella di favorire la termoregolazione delleestremità o, in alternativa, di comunicare ai cospecifici il possesso di un territo-

rio. In realtà l’osservazione diretta hadimostrato una stretta correlazionetra il gesto di lavarsi le zampe nell’uri-na e la necessità da una parte di ri-chiamare l’attenzione di altri membridel gruppo, dall’altra di manifestare lapropria docilità. In particolare si è no-tato che i maschi quasi raddoppianola frequenza del comportamento inpresenza di femmine, forse a indicarela disponibilità a un docile approcciosessuale, mentre dopo un combatti-mento è quasi sempre il perdenteche si lava le zampe nell’urina, proba-bilmente per allentare lo stress e ri-conquistare i favori del vincente. Un“me ne lavo le mani” decisamente ca-rico di nuovi significati! Foto L. Ghiraldi

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Foto M. Ghigliano

Il libro del mesea cura di Enrico [email protected]

PARCHI PIEMONTESIIl DVD Oltre il bosco del regista Silvio Ciuccetti è un’originalepresentazione del parco naturale Rocchetta Tanaro e delle ri-serve naturali Val Sarmassa, Valle Andona-Valle Botto-ValGrande, istituite nella provincia di Asti. Messo a punto dall’EnteParchi astigiani il prodotto editoriale mostra interessanti imma-gini sulla straordinaria ricchezza botanica dei boschi, di un pa-trimonio paleontologico rarissimo, di ambienti affascinanti e in-contaminati, ricchi di testimonianze storiche e culturali.Nella collana “Memorie dell’atmosfera” diretta da LucaMercalli, il libro Ghiacciai in Valsesia di Paolo Piccini, ed. Sms,€ 25, presenta la realtà di un fenomeno naturale delle nostreAlpi particolarmente interessante: il glacialismo. Fotografie edisegni, schemi e diagrammi accompagnano i testi scientificiproposti con linguaggio divulgativo.Boschi & castelli del Gruppo archeologico torinese eEcomuseo Val Ceronda, € 10, è un ottimo strumento perscoprire le tracce di un periodo storico poco noto e finorapoco studiato: il medioevo nel territorio del Parco regionaleLa Mandria. Una serie di itinerari medievali nelle antiche terredei visconti di Baratonia (fuori e dentro le mura del parco) im-preziositi da superbi affreschi e fascinosi ruderi.

NATURA, ARTE, CULTURALa risaia coltuir, cultura, natura di Piero Di Leo, ed. Pime, € 25,è un libro fotografico che attraverso immagini definite e lumi-nose ci accompagna alla scoperta dei molteplici e suggestivi ri-svolti delle risaie: flora, fauna e ambiente…

AMBIENTE E TERRITORIOFauna, assetto geomorfologico e idrogeologo, fauna e flora ipo-gea, testimonianze, risultati di indagini micrometeorologiche… Lagrotta di Rio Martino a cura di Federico Magrì, ed. Ass. GruppiSpeleologici Piemontesi, € 12, è uno studio particolareggiato edesaustivo sulle mille qualità della famosa grotta in Valle Po.

DIVULGAZIONEÈ il volto più antico dell’Africa, catturato in ogni dettaglio, convividi colori, a delinearsi nelle pagine di Nemici per sempre -leoni e bufali, di Dereck e Beverly Joubert, ed. NationalGeographic, pubblicato in Italia da White Star. Attraverso testie foto di alta qualità, i noti registi ci regalano emozioni indelebi-li delle lotte fra carnivori ed erbivori che vivono a Duba, nel del-ta dell’Okavango (Botswana). Il libro rammenta al «mondo ur-banizzato e annoiato come in questo pianeta, da qualche par-te, si combattano ancora battaglie epiche, lotte non mosse dal-la meschinità, ma da questioni di vita o di morte, in un ciclo chesi perpetua sin dall’alba della vita sulla Terra». (ec)Ritratti di scienziati geniali, ed. Bollati Boringhieri, € 40, è un sag-gio scritto da Abraham Pais, eminente fisico noto al vasto pub-blico per le sue biografie di Albert Einstein e Niels Bohr, dovevengono raccontate la vita e i successi di alcuni vecchi amici chehanno contribuito alla grande rivoluzione del XX secolo, in cuii misteri dell’atomo e le sue componenti sono stati svelati.Amici, dunque, non comuni, ma indubbiamente reali. (ec)

STUDI E RICERCHEDue novità delle edizioni Ets utili per approfondire lo studio, laconoscenza e il confronto di realtà in rapida trasformazione:Aree protette fluviali in Italia a cura del Centro Studi del Parcodi Montemarcello-Magra, ed. Ets, € 22, attraverso la partecipa-zione di direttori, esperti e ricercatori, mette a confronto leesperienze finora maturate nei parchi fluviali, ponendo l’accen-to sui temi della biodiversità, gestione integrata e normative; Latutela penale delle aree protette di Roberto Felici, ed. Ets, € 16,fissa indispensabili concetti sulle regole, il controllo, la vigilanza ele discipline di uso che «sono il basamento della sostenibilità diun metodo per la gestione di un territorio».

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LETTURE

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IIL CLIMA A FUMETTI

Il clima furioso di Kate Evans (trad. di Flavia Abbinante), ed.Arca, € 12, spiega in modo semplice ed efficace «tutto quelloche non volevate sapere sui cambiamenti climatici ma che pro-babilmente è il caso che sappiate». Un libro vivace, destinato soprattutto a chi non ama leggere osi spaventa di fronte a un saggiopoderoso. Eroina degli eco-ri-belli anglosassoni degli anni ‘90,l’autrice cura la striscia settima-nale della rubrica Ambientedell’Indipendent. Ben coscienteche la maggior parte dei giovaninon sia interessato all’argomen-to, vuole parlarne ugualmente,utilizzando il linguaggio imme-diato dei fumetti. Il libro è im-prontato al classico stile divul-gativo e in poco più di centopagine sviluppa una storia ani-mata da disegni, strisce e nuvo-lette, una storia avvincente fattadi dialoghi, scontri e confrontitra un giovane attivista, il super-bo dirigente di una multinazio-nale e uno scienziato un po’ svi-tato. Nell’introduzione, GeorgeMonbiot dice che la Evans haaggiunto a questo argomentouna cosa che non era mai riusci-ta a nessuno, raccontando lastoria dei cambiamenti climaticiin modo accessibile, divertentee toccante.«Parole e immagini combinateinsieme possono essere dina-mite» dice Kate Evans. Non è il caso di scomodare MarshalMcLuhan per ricordare come la scelta dello strumento perveicolare un messaggio influenzi pesantemente lo stesso mes-saggio che si vuol trasmettere o Numa Broc, che riferendosialla carta geografica afferma «l’immagine possiede un potere

di persuasione notevolmente più forte della parola», perchésappiamo come la capacità di comunicazione e coinvolgimen-to del fumetto sia più che mai consolidata in una società do-ve l’immagine è il tramite privilegiato dell’informazione (foto-grafia, pubblicità, cinema, televisione, videotelefono, Internet).Come nell’ordinata sequenza delle scene di un film, i variaspetti del riscaldamento globale sono raggruppati in diversicapitoli, con l’obiettivo di stimolare il lettore, di suscitare in luiuna graduale presa di coscienza verso i problemi, a comincia-re dalla spiegazione di “Cos’è questo effetto serra”, fino allaparte conclusiva, che chiama direttamente in causa ciascuno dinoi, rendendoci corresponsabili e protagonisti di una situazio-ne gravida di conseguenze drammatiche “Cosa possiamo fa-re?”, col richiamo al noto aforisma del Mahatma Gandhi«Qualsiasi cosa tu faccia è insignificante, ma è molto impor-tante che tu la faccia». Interessanti dati statistici mostrano la stretta relazione fra in-quinamento atmosferico e sviluppo incondizionato: «gli StatiUniti hanno il 4% della popolazione mondiale ed emettono il24% dei gas serra globali». Il libro, oltre a informare, contiene

anche spunti di educazioneambientale, contribuendo adiffondere riflessioni critiche:«Non puoi emettere un pic-co di CO2 oggi e far finta diaverlo ‘controbilanciato’ ri-sparmiando energia tra cin-que, dieci o cinquant’anni. Unatteggiamento del genere si-gnifica che tra cinquant’anni ilpianeta non sarà più adatto al-la vita». E non mancano, sche-maticamente condensati, i ri-chiami ai mutamenti climaticie biochimici subiti dal nostropianeta nel lungo corso deitempi geologici.Nella postfazione, AndreaCocco di Legambiente, focaliz-za l’attenzione sull’Italia: «Il2007 ha segnato un’importanteinversione di rotta con l’appro-vazione di nuove norme in ma-teria di rinnovabili ed efficienzaenergetica, i due settori chemaggiormente coinvolgono ilsingolo cittadino».Come ogni ricerca che si ri-spetti, i capitoli del libro sonocompendiati da una serie di

note di approfondimento, allo scopo di chiarire concetti dif-ficili, investigare argomenti complessi o semplicemente ren-dere note le fonti da cui sono state tratte le informazioni; in-fine, una bibliografia consigliata (in inglese) per chi vuol saper-ne di più.

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TERRE DI LEGGENDE

L’isola dei Camosci

SSu queste pagine narreremo Leggende antiche o poco meno;di dame astute e streghe canutele storie qui verran conosciute.

Gnomi, folletti, orchi, gigantimostri cattivi terrificantiin dieci storie strabiliantipresenteremo tutti quanti,poi parleremo di re temerarie tini colmi di ricchi denari.

Andremo in valli e piane incantatea incontrare bellissime fate,scoprendo con somma felicitàe una manciata di ilaritàche in fondo ogni nostra localitàuna leggenda mancar non si fa.

Per cominciare volgiam lo sguardosu un monte alto, fiero, gagliardo:anche se porta il nome di un fioreprova a scalarlo in poche ore!Ci lasci gambe, polmoni e cuore…

Questa leggenda dimenticatanarra di un’isola incastonatatra alte vette e un’ampia vallata.

Un luogo tanto sorprendenteche forse esiste veramente.Oltre non stiamo ad aspettarela storia andiamo a raccontare…

NNel piccolo paese di Macugnaga, sorto in età medievale alle pendici del MonteRosa, si tramanda, di generazione in generazione, di un luogo mitico racchiusotra i ghiacci del Belvedere e delle Loccie, oltre la barriera del Corno Bianco. Aldi là dell’altissimo muro vi sono pareti e costoni di roccia, canali e cascate dighiaccio, superati i quali si trova la verdissima isola dei camosci. Si tratta di un luogo incantato dove vivono splendidi animali in piena armonia:non vi sono, infatti, né prede né predatori. Molti sono gli audaci alpinisti che hanno tentato, nel corso dei secoli, di raggiun-gere l’isola, ma anche i più fortunati che riuscivano ad arrivare nelle vicinanze ve-nivano ricacciati indietro da fumate di polvere di ghiaccio capaci di impedire allavista di vedere alcun che. Questo verde giardino tra i ghiacci del Rosa è l’asilo incantato degli animali del-la montagna che trovano rifugio dalla caccia spietata dell’uomo. Camosci e stam-becchi scorrazzano in branchi tra le ripide coste della vallata alla ricerca delleghiotte barbe dei licheni che pendono dalle cortecce dei larici e dei cembri.Quando un animale selvatico si sente vecchio e stanco, e ha già veduto quantodoveva vedere e vissuto ciò che doveva vivere, intraprende il viaggio verso que-sto paradiso terrestre, dove può vivere per sempre. Esiste, però, qualche privilegiato a cui è stato fatto dono di ammirare le bellezzee lo splendore racchiusi nella felice isola. Ogni ventuno anni viene concesso a un cacciatore (su ventuno che si avventu-rano tra i freddi ghiacci) di trovare, guidato da un giovane camoscio, la landa in-cantata. Una volta giunto, vi può rimanere soltanto ventuno giorni, al termine deiquali, in modo misterioso, si ritrova nuovamente tra ghiacci inospitali. In questobreve periodo, però, al cacciatore è concesso di accedere ai segreti più profon-di della natura, di comprendere il linguaggio degli animali e di vedere cose chesempre sfuggirono al suo occhio acutissimo. Tornato al villaggio, l’uomo, pervaso da un’insolita malinconia, racconta ai suoicompagni l’incredibile esperienza, con l’unico risultato di passare per un sogna-tore e di conservare per tutta la vita il desiderio inesaudibile di ritrovare la leg-gendaria isola dei camosci.

IIll ccoonntteessttoo: questa leggenda è diffu-sa tra le vallate intorno al MonteRosa, in modo particolare pressoMacugnaga, piccolo paese di tradizio-ne Walser, che ancora conserva abi-tazioni in legno perfettamente con-servate, datate oltre seicento anni.

Il personaggio: il camoscio, ungu-lato tipico della fauna alpina. Questaleggenda è basata sul rapporto trauomo (i cacciatori) e la natura sel-vaggia. Il cacciatore ritratto nella sto-ria non è l’uomo moderno che per-segue l’attività venatoria per sport odiletto, qui il rapporto con il conte-sto è di pura sopravvivenza: si cacciaper mangiare. In questa situazioneprimordiale ancora permane un rap-porto sacrale con la natura e i suoiabitanti. Non è difficile, dunque, im-maginare che tra uomini temerari,costretti a spingersi in lande inospi-tali, si sia sviluppata la credenza di unluogo paradisiaco incastonato tra ighiacci più impervi e inesplorati, do-ve poter abbandonare le fatiche e lesofferenze di una vita di frontiera.

Appuntamento con la leggen-da: è possibile ritrovare i luoghi checonducono all’isola incantata, per-correndo il sentiero naturalistico al-l’interno dell’oasi faunistica delMonte Rosa. Si parte dalla frazione diPecetto, nel Comune di Macugnaga.Lasciate alle spalle le ultime abitazio-ni, ci si immerge in paesaggi da favo-la, dove non è raro imbattersi ingruppi di camosci o stambecchi.

Rischio di estinzione: questa leg-genda è ad alto rischio di estinzione;la causa è rappresentata dagli scon-volgimenti climatici a cui è sottopo-sto l’ambiente in questi anni.L’innalzamento progressivo dellatemperatura causa lo scioglimentodei ghiacciai e il loro conseguentearretramento. La scomparsa delloscenario naturale in cui è ambienta-ta la leggenda segna le sua inevitabi-le fine. I ghiacciai, di questo passo,non rappresenteranno più un limitefisico oltre il quale spingersi e oltrecui immaginare mondi e personaggifantastici.

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testi di Mariano [email protected]

disegni di Massimo [email protected]

DAL MONDO DELLA RICERCA

Nondistruggiamo le risorsegenetiche!a cura di Claudia [email protected]

DDiecimila anni fa, nella sua prima grande rivoluzione, Homo sapiens da noma-de divenne sedentario, e da cacciatore e raccoglitore si trasformò in agricolto-re e allevatore. Con la stazionarietà e le prime colture, presero infatti piede an-che l’addomesticamento e l’allevamento delle specie animali più docili e pro-duttive, quelle che potevano garantire cibo e forza lavoro alle prime comunitàumane. Oggi nel Mondo si contano un bovino ogni cinque persone, una pecora ognisei, un maiale ogni sette, una capra ogni otto. I polli ci sovrastano, con dueesemplari e mezzo per ogni essere umano del pianeta. La domanda di carne,latte e uova cresce costantemente e a ritmo sempre più rapido, soprattutto neipaesi in via di sviluppo, e per soddisfarla si è scelto ormai da diversi anni di pri-vilegiare le razze maggiormente produttive, sovente a scapito delle varietà lo-cali. Le razze ad alto rendimento, in genere di provenienza europea o nordamericana, si sono quindi diffuse in tutto il mondo, soppiantando quelle autoc-tone. I bovini delle razze Holstein-Friesian e Jersey, i suini Duroc, Landrace eLarge white, le capre Saanen e le galline Leghorn e Rhode Island rappresenta-no oggi la stragrande maggioranza degli animali d’allevamento nel mondo, e lacosì drasticamente ridotta variabilità genetica è ulteriormente diminuita dall’im-piego di un ridotto numero di animali riproduttori nella selezione attuata negliallevamenti. Per dare qualche esempio, in Vietnam le scrofe delle razze localisono passate dal 72% del 1994 al 26% del 2002; in Kenya l’introduzione di unavarietà europea di pecora ha provocato la quasi totale scomparsa della razzapura Red Masai locale. Ciò che non è stato compreso, o forse solo sottovalu-tato, è che ridurre la biodiversità significa diminuire la capacità di contrastaremalattie e cambiamenti climatici. Le razze scomparse negli ultimi anni, secondole più recenti ricerche una al mese dal 2000 a oggi, sono quasi sempre varietàlocali, forse meno produttive, ma certamente più adatte alle particolari tipolo-gie climatiche e, sovente, maggiormente resistenti alle malattie. Di fronte a sfi-de imponenti e vitali quali l’aumento della popolazione mondiale, la crescentecarenza alimentare, le recenti malattie e gli incontestabili mutamenti climatici, il

ricorso a una maggiore diversità delle fonti alimentaripotrebbe permettere di affrontare e superare gli impre-vedibili scenari futuri, mantenendo a disposizione delleprossime generazioni un fondamentale e vasto patrimo-nio genetico.L’allarme, lanciato a tempo quasi scaduto, è stato datodalla FAO alla prima Conferenza Tecnica Internazionalesulle Risorse Genetiche Animali tenutasi a Interlaken, inSvizzera, lo scorso settembre. L’obiettivo è la creazionedi banche di geni in Africa e Asia per fermare la perditadi risorse genetiche, preservare la biodiversità e miglio-rarne l’uso sostenibile, per offrire all’umanità un futuromigliore o, più semplicemente, un futuro.

Per saperne di piùThe State of the World’s Animal Genetic Resources forFood and Agriculture (scaricabile in formato Pdf dal sitoInternet: www.fao.org/docrep/010/a1250e/a1250e00.htm).

La formazione della catena alpinaLe Alpi occidentali rappresentano un’area topografica-mente elevata rispetto alla pianura limitrofa, con diffe-renze di altitudine di oltre 3.000 metri. L’aspra morfo-logia è tipica delle catene montuose “giovani”, come leAlpi, in cui sono ancora in atto importanti processi disollevamento della crosta terrestre. Le montagne sonoil risultato di un lungo processo geologico iniziato milio-ni di anni fa e ancora in atto con velocità impercettibilialla scala della vita umana. La catena alpina si è formata,infatti, in seguito alla collisione di due masse continenta-li: la paleo-Africa e la paleo-Europa, che circa 150 milio-ni di anni fa erano separate da un’area oceanica. Relittidi questo vecchio oceano sono ancora osservabili, adesempio, nel gruppo del Monviso, la cima simbolo delPiemonte. La collisione delle due masse continentali haprovocato sia intense deformazioni e ricristallizzazionidelle rocce originarie, sia sovrapposizioni di grandi vo-lumi rocciosi dei due paleo-continenti (e dell’oceano in-terposto), con conseguente forte ispessimento e sollevamento dellacrosta terrestre. Queste aree sollevate hanno quindi subito impor-tanti processi di erosione e smantellamento i cui prodotti, rappresen-tati dai depositi dei corsi d’acqua, si sono accumulati con grandispessori ai margini della catena, originando così le aree di pianura.

Marco Gattiglio

ANNO INTERNAZIONALEDEL PIANETA TERRA

PAGINA REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON L'UNIVERSITÀ DI TORINO, FACOLTÀ DI SCIENZE MFN

Foto di R. Maffiotti

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