Claudia rocchini webinar workshop ideale

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COME SCEGLIERE IL WORKSHOP IDEALE

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Quando si decide di partecipare a un workshop di fotografia, molto spesso la scelta avviene in base a tre caratteristiche: il genere preferito, il tipo di ripresa, e il desiderio di ottenere gli stessi risultati del fotografo che tiene il corso. Caratteristiche che non sempre si rivelano adeguate per decidere se è il corso che fa per noi perché basate su stimoli che potrebbero non essere sufficienti a raggiungere l’obiettivo che ci si è fissati. Proviamo a farci qualche domanda in più. In quanti ci chiediamo di cosa abbiamo effettivamente bisogno di imparare, cioè che cosa è opportuno apprendere prima ancora di quello che ci piacerebbe fare? In quanti siamo in grado di valutare il nostro livello fotografico non in base all’attrezzatura posseduta, ma riferendoci alle nostre reali capacità e competenze? Riusciamo a distinguere le potenzialità dai nostri limiti? Siamo consapevoli che tecnica fotografica e tecnologia degli strumenti che utilizziamo per fotografare non sono la stessa cosa? E ancora. Come valutiamo le capacità del master? Come capire se la didattica del master è adeguata al nostro livello? Infine: abbiamo chiaro il concetto che saper fare belle fotografie non necessariamente significa saper insegnare a fare belle fotografie?In questo webinar verranno illustrati alcuni elementi che ci permetteranno di approcciarci alla scelta di un workshop con maggiore consapevolezza: nulla ci vieta di partecipare a un evento per puro piacere, bisognerebbe tuttavia saper distinguere tra il bisogno e il superfluo per permetterci una scelta più avveduta ed evitare delusioni.Per registrarsi ai prossimi webinar: https://www.facebook.com/ManfrottoSoX?ref=tn_tnmn

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COME SCEGLIERE IL WORKSHOP IDEALE

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Premessa

Nei corsi di fotografia spesso domanda e offerta faticano a capirsi, e ciò è causa di delusioni per chi partecipa e chi insegna.

Lato allievo: la scarsa consapevolezza del proprio livello fotografico e la difficoltà di gestione degli strumenti che si utilizzano per fotografare, portano a false percezioni su cosa aspettarsi da un corso.

Lato docente: poca comprensione delle reali esigenze degli allievi, spesso inconsapevoli, al di là delle loro aspettative palesate.

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Obiettivo del webinar

Fornire alcuni spunti di riflessione: agli amatori per aiutarli a focalizzare le reali esigenze e, soprattutto, per metterli nelle condizioni di farsi e fare le domande più efficaci, prima e durante un corso; ai professionisti per perfezionare al meglio l’offerta, la comunicazione e la didattica.

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Gli equivoci più frequenti

”Che impostazioni stai usando?”

“Non avevo capito che fosse un corso per principianti!”

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“Che impostazioni stai usando?” Uno degli equivoci più frequenti degli allievi è credere

che un corso di fotografia (che sia di tecnica, composizione, estetica poco importa) si concretizzi in un seminario sulle corrette impostazioni dell’attrezzatura fotografica.

Si tende a confondere la tecnica fotografica con la tecnologia degli strumenti che si utilizzano per fotografare.

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Un conto è chiedere come si fa una corretta lettura della luce su una scena, un conto è aspettarsi di sapere come si imposta la propria attrezzatura per ottenere il risultato ottimale.

Aspettative lecite e in buona fede: vista la continua immissione nel mercato di strumenti sempre più complessi e sofisticati, fotografare non è più una semplice questione di tempi, diaframmi, iso e bilanciamento del bianco.

Le difficoltà date dalla dominanza delle componenti elettroniche nelle moderne attrezzature portano inevitabilmente, durante un workshop, a perdere i collegamenti con i fondamentali della fotografia: prevale l’esigenza di capire come funziona il proprio corredo.

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“Ma è un corso per neofiti???”

In molti corsi dedicati ai non principianti il tutor è costretto a correggere ciò che dà per scontato che l’allievo conosca, cioè i fondamentali della fotografia: postura, composizione, valutazione della scena in base alla luce e alla posizione del soggetto.

Esempi pratici.

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Consapevolezza, parola chiave

Nulla ci vieta di partecipare a un corso per puro piacere, è necessario tuttavia saper distinguere tra il bisogno e il superfluo, per evitare delusioni.

Magari siamo tra coloro che non sanno cosa vogliono, ma di certo sappiamo riconoscerlo quando lo vediamo.

Oppure siamo fin troppo certi di saperlo, ma ricordiamoci che nei workshop qualcosa si impara sempre, anche se potrebbe non coincidere con quello che ci si aspettava. Cerchiamo dunque di essere elastici e aperti.

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Capire il proprio livello fotografico Test dei fondamentali: mettiamo da parte la nostra

attrezzatura e prendiamoci un pomeriggio per testare i nostri fondamentali. Con un cellulare o un tablet. Perché questi strumenti? Lo scopo è di semplificarci la vita, eliminando qualsiasi elemento di complicazione in ripresa (rif: impostazioni attrezzatura).

Luogo in cui abbiamo già fotografato o persona che abbiamo già ripreso: esercizi di composizione e postura, considerando la scena solo in base alla luce e alla posizione del soggetto. Scatti da ogni angolazione, con differenti posture, soprattutto quelle che di norma non siamo soliti tenere.

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Il confronto Mettiamo a confronto gli scatti della giornata con le

vecchie fotografie.

Siamo onesti: lo scopo è capire il nostro livello in base alle reali competenze e capacità, non per le performance delle attrezzature che possediamo.

E dunque, abbiamo bisogno di affinare i nostri fondamentali (tecnici o estetici) oppure le basi sono abbastanza solide e sentiamo l’esigenza di essere più creativi per sviluppare uno stile personale?

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Consigli di letture

“Saper vedere per fotografare” di Giulio Forti, Editrice Reflex.

“Come fotografare a un livello superiore” di George Barr, Edup.

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La scelta del workshop Una volta capito cosa abbiamo realmente bisogno di

imparare, passiamo all’analisi del workshop che ci piacerebbe frequentare.

Attenta lettura del programma e, soprattutto, di come viene presentato.

Ricerca sulla reputazione del tutor: non limitiamoci a sfogliare il suo portfolio, ma chiediamoci come è messo a didattica. E come comunica con i propri allievi.

Il contatto con il tutor.

Saper fare belle fotografie non necessariamente significa saper insegnare a fare belle fotografie.

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Il programma ideale

In generale, quasi tutti i programmi tendono ad assomigliarsi. Focalizziamoci su quelli che illustrano gli obiettivi e l’approccio didattico: sono elementi distintivi che ci aiutano nella scelta, perché suggeriscono una particolare attenzione nel rapporto con l’allievo.

La valutazione degli scatti prima, possibilmente durante e dopo il workshop.

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La richiesta di recensioni sul workshop: significa che il tutor non ha alcun timore di essere oggetto di valutazioni pubbliche e condivise. Anche quelle negative.

La trasparenza, la precisione del dettaglio, lo sforzo di presentare il workshop mettendosi nei panni di chi dovrebbe parteciparvi, sono altri elementi da ricercare nell’analisi del programma.

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La reputazione del tutor

Verificare sul sito del tutor se, oltre al portfolio, dedica altrettanta importanza ad articoli e/o tutorial didattici e alle recensioni degli allievi dei suoi precedenti workshop.

Il sito non è solo un contenitore di informazioni, riflette la personalità, la professionalità e la visione del fotografo.

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Non confondere le pubblicazioni e/o i clienti per cui il tutor lavora o ha lavorato con l’esperienza formativa.

Lavora a tempo pieno nella fotografia o è un’attività che pratica solo durante i weekend?

Ricercare pareri nei forum, prestando tuttavia attenzione: ricordiamoci che molte delle lamentele partono da un’iniziale incomprensione degli allievi o da un’inadeguata presentazione del workshop.

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Il contatto con il tutor

Non avere timore di scrivergli direttamente, facendo ogni domanda, anche quella ritenuta più sciocca: il nostro obiettivo è capire se sono il corso e il tutor che fanno per noi, non dobbiamo preoccuparci di cosa potrebbe pensare di noi.

Le risposte sono un modo per capire se il tutor ha compreso il nostro livello e le nostre reali esigenze. Soprattutto, se sarà in grado di porsi in modo didatticamente adeguato alle nostre necessità.

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Il rapporto con gli allievi: i primi contatti in mail

Il tutor ideale dovrebbe sapere che per ogni allievo è assai difficile capire il proprio reale livello fotografico.

Le persone, durante i primi approcci in mail, difficilmente manifestano sé stessi per quello che sono: spetta al tutor andare oltre, leggere tra le righe, capire il livello e il punto di vista dell’allievo per intuirne le reali esigenze.

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Come? Chiedendogli di spiegarci le sue aspettative e di inviarci qualche fotografia. E’ un approccio che ci permetterà anche di tarare il workshop sulla media fotografica dei partecipanti.

Non aver timore di rifiutare un allievo: se sta sbagliando workshop, indirizzarlo verso colleghi più adeguati a soddisfare le sue esigenze.

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Sul campo: sbagliando si impara

Teniamo presente che in ogni workshop prevale l’ansia dello scatto, sempre e comunque. Dunque, almeno inizialmente, incentiviamo gli allievi a scattare per come sono abituati.

Osserviamo i loro comportamenti, in particolare la gestione delle priorità: è un approccio che ci permette di capire come e dove intervenire.

Mostriamo loro gli errori, correggendo dove possibile e, soprattutto, spiegando che più che capire cosa e come fotografare, è prioritario sapere quando non farlo e perché.

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L’imprevisto

L’imprevisto è l’unica certezza di un workshop: se va di lusso, ce n’è solo uno.

L’allievo particolarmente petulante, il timido o l’arrogante, il faretto che si brucia, un obiettivo che cade, la struttura che vi ospita che decide proprio quel giorno di bruciare le frasche sulla scena da fotografare…

Situazioni che, se gestite nel giusto modo, possono trasformarsi in opportunità fotografiche e in momenti di complicità e divertimento.

La capacità di gestione delle criticità sul campo permette di mantenere l’armonia del gruppo. E di fidelizzare gli allievi che torneranno da noi non solo per le nostre capacità formative, ma perché ci avranno scelto come persona ideale cui ispirarsi. Magari non solo nella fotografia.

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Spunti per nuove offerte formative

Si sente sempre dire che è fondamentale la conoscenza del mezzo che si possiede: tuttavia ormai anche con la l’attrezzatura fotografica vige la legge del telecomando.

Su una media di 50 tasti, se ne utilizzano al massimo una decina, compresi i numeri.

Delle due l’una: o in un telecomando ci sono 40 tasti inutili (può anche essere, ma almeno verifichiamolo),

oppure forse è il caso di aiutare a far capire a cosa servono.

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Alcune delle recenti innovazioni tecnologiche impattano pesantemente sulle abitudini di ripresa.

E’ più che comprensibile moltissimi fotoamatori sentano come prioritario il bisogno di capire come funziona la propria attrezzatura. E cercano risposte nei workshop tradizionali.

Se persino i marchi diffondono guide tecniche e tutorial, differenti da quelli forniti con le fotocamere, per l’utilizzo ottimale dei singoli modelli di reflex in relazione a determinate caratteristiche innovative, qualcosa vorrà pur dire.

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Corsi monomarca

Perché non organizzare corsi sì di genere, ma focalizzati esclusivamente su uno o due modelli di fotocamera di una data marca associati al massimo a tre obiettivi?

Attività organizzate sia da professionisti legati a uno specifico marchio, sia direttamente dai marchi stessi.

Approccio Learn, Touch&Try: “Questo prodotto può dare il meglio di sé in determinati contesti, scene e con queste specifiche impostazioni”.

Non una semplice prova prodotto, a partecipazione gratuita, ma workshop tematici basati su attrezzature specifiche.

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La priorità dovrebbe essere quella di comunicare adeguatamente all’utente Medio-world (ormai il target più ambito da ogni marchio) le peculiarità del prodotto con un approccio concreto a situazioni reali.

Non è la tecnologia che fa il risultato finale, ma la corretta elaborazione delle informazioni che si stanno trasmettendo.

Per concludere, è necessario far interagire le informazioni, dimostrandone l’uso in un contesto di pratica formativa e non di semplice dimostrazione prodotto.

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Claudia Rocchini

Nella fotografia, così come nella vita, è auspicabile saper cambiare spesso visione: visione grandangolo, visione zoom, visione 35mm standard. Con due raccomandazioni. La prima è ricordarsi di togliere il tappo dall’obiettivo. La seconda è una massima di Talete: "Gli dei hanno dato agli uomini due orecchie e una bocca, per poter ascoltare il doppio e parlare la metà". Claudia Rocchini è nata a Pavia nel 1967. Ci vive ancora perché è la città ideale in cui ritornare. Ha tre passioni nella vita: la fotografia, la scrittura, i viaggi e ha trovato il modo di farne un lavoro, tra alti e bassi e con brevi periodi di disaffezione in cui ha fatto altro. Ha iniziato giovanissima come giornalista politica ed esteri in quotidiani e periodici nazionali per poi passare agli uffici stampa in differenti settori, aziendali e istituzionali, con solide esperienze in case editrici nazionali e agenzie di Pr. Nel 2000 ha temporanemente abbandonato il giornalismo attivo e passivo per dedicarsi al marketing strategico e alla comunicazione integrati (prodotti e servizi) con incarichi di manager in associazioni di Confindustria e Confcommercio. Nel tempo, si è specializzata in Community management e Social network communication, ritornando al giornalismo e alla fotografia. Ha una rubrica fissa mensile, "Io fotografa", su FOTOGRAFIA REFLEX: pur non disdegnando la fotografia di persone e luoghi, la sua predilezione va alla Natura e agli animali. Preferisce l'approccio empatico a quello strettamente documentaristico: è solita dire che quando fotografa il suo obiettivo è tirar fuori il lato umano dell'animale o far emergere il lato animale di se stessa. Per aziende e privati, professionisti e marchi di settore si occupa anche di consulenze di comunicazione: pur consapevole che nella società dell'immagine spesso l'apparenza è sinonimo di sostanza, preferisce tuttavia mettere l'accento non tanto sul "purché se ne parli" ma sul "come" se ne parla.

Il suo obiettivo, da grande, è ritornare bambina.

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Grazie!

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