Clarinettistaeconcertatore IntervistaaMartinFro¨st · dal vivo, con il vantaggio di poter...

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36 musica 228, luglio-agosto 2011 CLARINETTISTI Approfittiamo della trasferta milanese di uno dei piu ` fantasiosi strumentisti odierni per comprendere meglio il suo modo personalis- simo di intendere la vita concertistica. Il clarinettista svedese Martin Fro ¨st ha soltanto quarant’anni, ma vanta gia ` una ricca discogra- fia – per BIS – che comprende tutti i classici del duo strumento (Mozart, Weber, Nielsen...). In un certo senso puo ` essere visto come l’erede di Richard Stoltz- man, rispetto al quale possiede pero ` un dominio tecnico piu ` completo e un gusto piu ` estre- mo per le contaminazioni, le sonorita ` jazzistiche. Non si va certamente lontani dal vero de- finendolo il migliore clarinetti- sta odierno. L’incontro segue un intenso pomeriggio di prove all’Audi- torium di Milano, nel quale il carisma e il talento di Fro ¨st hanno esaltato l’Orchestra Ver- di. Durante le prime letture del Concerto per clarinetto di Co- pland, specie in quella seconda parte cosı ` ricca di cambi di rit- mo, di momenti pericolosi per la tenuta dell’insieme, sono emersi diversi problemi: dopo poche battute ci si fermava e si ricominciava da capo, ma il di- rettore Xian Zhang non sembrava avesse delle idee troppo chiare sulla direzione da seguire. Eppure, poco alla volta, l’insistenza di Fro ¨st, che pareva prendere in mano l’orchestra in prima persona, suggerendo sonorita ` e fraseggi ai singoli orchestrali, aveva la meglio, culmine quel grandioso glissan- do ascendente – con cui la partitura si conclude – realizzato con rara perfezione. L’entusiasmo unito al talento erano pa- lesi anche nella prova di una danza Klezmer – orchestrata dallo stesso Fro ¨st per mettere in mostra il suo stupefacente virtuosismo – e nei dettagli cercati con il batterista che, nel Concerto per clarinetto di Artie Shaw che precedeva Copland nel programma, condivideva la ribalta. Visibilmente stanco, e ansioso di riabbracciare il figlio di due mesi che non vede da sei settimane, Fro ¨st partecipa alla conversazio- ne in modo affabile e sorridente: inevitabile partire proprio da quanto sentito in prova. Quello di Copland e`un Concerto in equilibrio fra il « bittersweet ly- ricism » dell’inizio, come scrisse lo stesso autore, e gli accenti jazz della seconda parte, pur organiz- zati in una forma rondo`: come lo legge? Vedo anch’io questo doppio aspetto: la prima meta `e ` una lun- ga, bellissima melodia, che sem- bra contenere anche citazioni mahleriane, e l’aspetto rischioso di questo Concerto e ` proprio mantenere un equilibrio con quanto segue. Partire con troppo swing, oltre a essere difficile per gli archi, creerebbe un solco troppo profondo: in questo sen- so oggi mi sono trovato estremamente bene con il direttore, che si e ` mostrata interamente d’accordo con le mie idee. Conosce l’incisione di Benny Goodman? E ha mai pensato di eseguire la prima versione, quella che lo stesso Goodman con- siderava troppo difficile? Ottima domanda! Le rivelo una primizia: io ho gia ` affidato al disco il Concerto di Copland nella versione tradizionale, ma poche settimane fa l’ho re-inciso in Australia proprio se- condo la lezione originale. Purtroppo, nonostante insistenze Clarinettista e concertatore Intervista a Martin Fro ¨ st di Nicola Catto `

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  • 36 musica 228, luglio-agosto 2011

    CLARINETTISTI

    Approfittiamo della trasferta milanese di unodei più fantasiosi strumentisti odierni percomprendere meglio il suo modo personalis-simo di intendere la vita concertistica.

    Il clarinettista svedese MartinFröst ha soltanto quarant’anni,ma vanta già una ricca discogra-fia – per BIS – che comprendetutti i classici del duo strumento(Mozart, Weber, Nielsen...). Inun certo senso può essere vistocome l’erede di Richard Stoltz-man, rispetto al quale possiedeperò un dominio tecnico piùcompleto e un gusto più estre-mo per le contaminazioni, lesonorità jazzistiche. Non si vacertamente lontani dal vero de-finendolo il migliore clarinetti-sta odierno.L’incontro segue un intensopomeriggio di prove all’Audi-torium di Milano, nel quale ilcarisma e il talento di Frösthanno esaltato l’Orchestra Ver-di. Durante le prime letture delConcerto per clarinetto di Co-pland, specie in quella secondaparte cosı̀ ricca di cambi di rit-mo, di momenti pericolosi perla tenuta dell’insieme, sonoemersi diversi problemi: dopopoche battute ci si fermava e siricominciava da capo, ma il di-rettore Xian Zhang non sembrava avesse delle idee troppochiare sulla direzione da seguire. Eppure, poco alla volta,l’insistenza di Fröst, che pareva prendere in mano l’orchestrain prima persona, suggerendo sonorità e fraseggi ai singoliorchestrali, aveva la meglio, culmine quel grandioso glissan-do ascendente – con cui la partitura si conclude – realizzatocon rara perfezione. L’entusiasmo unito al talento erano pa-lesi anche nella prova di una danza Klezmer – orchestratadallo stesso Fröst per mettere in mostra il suo stupefacentevirtuosismo – e nei dettagli cercati con il batterista che, nel

    Concerto per clarinetto di ArtieShaw che precedeva Coplandnel programma, condivideva laribalta.Visibilmente stanco, e ansioso diriabbracciare il figlio di due mesiche non vede da sei settimane,Fröst partecipa alla conversazio-ne in modo affabile e sorridente:inevitabile partire proprio daquanto sentito in prova.

    Quello di Copland è un Concertoin equilibrio fra il « bittersweet ly-ricism » dell’inizio, come scrisselo stesso autore, e gli accenti jazzdella seconda parte, pur organiz-zati in una forma rondò: come lolegge?Vedo anch’io questo doppioaspetto: la prima metà è una lun-ga, bellissima melodia, che sem-bra contenere anche citazionimahleriane, e l’aspetto rischiosodi questo Concerto è propriomantenere un equilibrio conquanto segue. Partire con tropposwing, oltre a essere difficile pergli archi, creerebbe un solcotroppo profondo: in questo sen-

    so oggi mi sono trovato estremamente bene con il direttore,che si è mostrata interamente d’accordo con le mie idee.

    Conosce l’incisione di Benny Goodman? E ha mai pensato dieseguire la prima versione, quella che lo stesso Goodman con-siderava troppo difficile?Ottima domanda! Le rivelo una primizia: io ho già affidatoal disco il Concerto di Copland nella versione tradizionale,ma poche settimane fa l’ho re-inciso in Australia proprio se-condo la lezione originale. Purtroppo, nonostante insistenze

    Clarinettista e concertatore

    Intervista a Martin Fröstdi Nicola Cattò

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    e tentativi, ci sono problemi legali e quindi non lo possiamoper ora pubblicare: so che il clarinettista americano CharlesNeidich ha messo in commercio un CD con questa versione,ma semplicemente ha dimenticato di chiedere il permesso!La giustificazione ufficiale con la quale mi sono stati negati idiritti è che Copland cambiò la scrittura perché voleva mi-gliorarla, ma nell’epistolario del compositore leggiamo: « hoscritto quelle note cosı̀ acute perché le ho sentite fare daBenny con la sua band, eppure non ha voluto eseguirle ».Anche oggi, in prova, ho mantenuto la lezione originalenella cadenza, in cui raggiungo il Do diesis acuto, propriocome è scritto, laddove nella versione rivista a un certo pun-to la linea melodica scende: per il Finale, invece, qui a Mila-no, eseguo la versione consueta.

    Ha inciso questo Concerto nel 1998: come è cambiata la Sualettura da allora?Ascolto spesso le mie vecchie registrazioni, e devo dire che an-che quella mi piace tuttora: però adesso che ho potuto reinci-derla in Australia con un’orchestra da camera ho cercato di dar-ne una lettura più brillante, più « cameristica », appunto. Deveanche pensare che quelladel 1998 era la mia primaregistrazione in assolutocon un’orchestra, un mo-mento molto importantedella mia carriera.

    Ma che ruolo giocano leincisioni nella Sua carrie-ra: è un modo per fissarealcuni punti fermi oppurele vede come un mezzoper allargare i Suoi oriz-zonti?Io amo l’esperienza di la-vorare in sala d’incisione,anche se mi provoca unacerta tensione nervosa, so-prattutto se il record pro-ducer interrompe troppospesso l’esecuzione di-struggendo l’energia che sicrea; ma d’altra parte il di-sco in studio è un’oppor-tunità unica per prendersidei rischi, per sperimenta-re, per provare qualcosa dibello e di nuovo. E se ilrisultato è buono, anche ilCD sa conservare l’emo-zione di una performancedal vivo, con il vantaggio di poter raggiungere un pubblicomolto più ampio.

    Oltre a quello di Copland, esegue anche il Concerto di ArtieShaw. Un accostamento naturale, sembrerebbe.Devo dire che è stata un’idea di Xian Zhang, che ho sposatoimmediatamente, perché è una partitura perfetta per esseresuonata dopo Copland: in effetti, si tratta di un puro pezzojazz, che mi immagino come colonna sonora di un vecchiofilm in bianco e nero...il clarinettista entra in un saloon,prende lo strumento e attacca subito con la sua band! C’è

    anche una lunga parte di improvvisazione fra me, la trombae la batteria: mi piace davvero molto!

    La Sua biografia recita: ha iniziato a sei anni con il violino, epoi l’ha abbandonato a vantaggio del calcio e del basket. E ilclarinetto quando è arrivato?Forse ero anche più piccolo quando mi hanno messo in ma-no il violino, ma devo dire che ero un selvaggio, facevo tan-ti sport...insomma, ho smesso! A otto anni ho ascoltato l’in-cisione del Concerto per clarinetto di Mozart, con Jack Brymere l’Academy of St. Martin in the Fields, che per me è statouno shock, una rivelazione: mio padre mi ha regalato unclarinetto e cosı̀ è iniziato tutto.

    Da allora ha lavorato con grandi musicisti: quale Le ha inse-gnato di più?Vede, nel corso della carriera si ha l’opportunità di collabo-rare con grandi orchestre, con direttori di talento: ma è l’e-sperienza della musica da camera quella decisiva, durante laquale si impara a comunicare, a sviluppare la propria sensibi-lità, ad ascoltare. Se mi chiede qualche nome, non posso di-

    menticare almeno Mitsu-ko Uchida, Janine Jansene Tabea Zimmermann,splendide persone e musi-ciste, che mi hanno edu-cato come clarinettista.

    Spesso vive l’esperienza diessere artista in residenzacon un’orchestra. Adesso loè con la Kölner Philharmo-nie: che tipo di scambio av-viene? Cosa si dà, e cosa siriceve?La mia idea è creare unprogramma molto ampiocon quell’istituzione, foca-lizzato su un unico tema:a Colonia, ad esempio, è ladanza, che mi permette ungrande ampliamento diprospettiva perché da unaparte collaboro con unacompagnia di ballerini,mentre suono Stravinskicon Janine Jansen, dall’altraho coinvolto musicisti folkche propongono danze po-polari, accompagnate daBartók, Schumann, Luto-slawski. E poi c’è B.A.C.H.

    (« Beyond All Clarinet History »), focalizzato sulla musica mo-derna, dove suono il Concerto per clarinetto di Hillborg, in cui iostesso ballo sul palcoscenico; senza dimenticare i recital più tra-dizionali di musica da camera e i Concerti con l’orchestra. Lovedo come un modo per scuotermi, e tornare al repertorio clas-sico con maggiore energia.

    Effettivamente i Suoi progetti di teatro musicale, in cui uniscela danza, la recitazione e la musica, sembrano tradire un’in-sofferenza verso la liturgia del concerto classico.Non so se il modo di rivolgersi al pubblico che ha la musica

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    classica sia vecchio, di solito mipiace ma non sempre è cosı̀: di-ciamo che poiché in un annoprendo parte a circa settantaconcerti tradizionali, amo anchecambiare nettamente e impararedagli altri, magari da una com-pagnia di danza o da un coreo-grafo. È il mio modo di rappre-sentare il nostro tempo.

    Ma come sono nati questi pro-getti, a partire da Der Ratten-fänger?Non fu una mia idea, ma unarichiesta del mio insegnante,che cercava un clarinettista chepotesse stare sul palcoscenico esuonare per tutta la durata diun’opera: scelse me, che ero an-cora studente. Fu un’esperienzamolto bella ma di grande impe-gno: tre ore senza spartito! Eancora oggi ho sempre idee chemi stuzzicano, ma la mia mag-giore preoccupazione è l’equili-brio: la parte più importantedella mia carriera è fatta daBrahms, Mozart, Schumann,non voglio passare per quelloche rompe le regole della musi-ca classica, e non mi piace, quando mi guardo attorno, assi-stere a strani esperimenti di crossover. Li odio proprio!

    « Tratta il clarinetto come un’estensione del proprio corpo », silegge in una recensione di un suo concerto: una sorta di prolun-gamento della voce, insomma?Amo molto lavorare con i cantanti, e anche il mio insegnanteinsisteva su questo punto: ci sono stati, nella storia della musi-ca, clarinettisti di estrazione non classica che sapevano ottene-re dallo strumento imitazioni del parlato, delle risate, dellavoce umana insomma, con una tecnica del tutto diversa dallamia, e trovo che sia una cosa fantastica. E quando lavoro coni compositori, Aho per esempio, cerco anche io di scoprirenuove sonorità del clarinetto.

    Per Lei, appunto, hanno scritto dei Concerti sia Hillborg cheAho: come si è svolto il lavoro con loro?Si è trattato di due esperienze opposte: con Hillborg sonostato coinvolto per tutto il corso del progetto, ci siamo scam-biati idee e suggerimenti, mentre con Aho ci sono stati solodue incontri preliminari, dopo i quali ho ricevuto la partituradefinitiva, che semplicemente non era eseguibile! Poiché eglisi è rifiutato di cambiare anche una sola nota, ho dovutoesercitarmi lungamente per escogitare dei modi nuovi di suo-nare lo strumento: alla fine ce l’ho fatta, e devo dire che ne èvalsa la pena. In un punto, siccome avrei dovuto utilizzare ilpollice della mano sinistra a una velocità umanamente nonpossibile, ho pensato di affidare le note alla destra, girata dadietro, e ha funzionato, tanto che ho usato questo espedienteanche per altri lavori.

    Lei si cimenta talvolta anche con la direzione: cosa La spingeverso questa esperienza?

    Amo inquadrare questi esperi-menti all’interno dei miei pro-getti in residenza: suono sem-pre uno o due Concerti perclarinetto e orchestra e poi di-rigo soprattutto Mozart, conorchestre da camera come l’A-cademy of St. Martin in theFields o la Deutsche Kammer-philharmonie, eccellenti com-plessi che potrebbero suonareanche da soli! In questo caso sisviluppa una relazione umanadavvero profonda con i musi-cisti, ben diversa da quella chesi ha quando sono solo il soli-sta.

    Anche nelle prove di oggi sem-brava che a tratti fosse Lei il di-rettore...Sı̀, è vero, mi capita di esseretrascinato dalla spinta emotiva,per indicare a questo o quelmusicista alcuni dettagli: i di-rettori, mi creda, apprezzanoquesta cosa perché avvertonoche lo sviluppo della prova èpiù veloce, più fluido. Il di-scorso è molto banale: amosuonare un Concerto con un

    direttore se questi è un grande musicista, da cui posso impa-rare, mentre invece se sono da solo l’orchestra è più tesa, piùconcentrata. Un’esperienza diversa: come direttore lavoro perintere giornate, magari cinque ore di fila con l’orchestra,mentre il solista prova un paio d’ore e torna in hotel. Annifa, quando non dirigevo, arrivavo e suonavo la « mia » versio-ne aspettandomi che il direttore mi seguisse, mentre adessosono molto più flessibile e riesco a stabilire un vero dialogo:ancora una volta è l’idea della musica da camera. In questosenso mi pare decisiva la prima prova, in cui bisogna scuoterel’orchestra.

    Non bastasse tutto questo, è anche direttore artistico di due fe-stival, il Vinterfest in Svezia e l’International Chamber MusicFestival in Norvegia: qual è l’idea che sta dietro a queste dueesperienze?Esattamente la stessa che mi fa essere artista in residenza: invi-to musicisti con cui condivido un progetto comune. Il festi-val svedese si svolge in inverno, fra neve, fuoco, oscurità,saune, un mondo esotico sperduto nel nulla: l’atmosfera è ri-lassata, accogliente, ma facciamo musica a livello professiona-le, con un atteggiamento positivo, per una volta dimentican-do lo stress della normale vita concertistica. Gli artisti stannolı̀ cinque giorni e condividono tutto: certamente il luogo hauna benefica influenza sulle persone.

    Quando non suona e studia, cosa ama fare?Anche se corro come un pazzo, sono un uomo che ama lafamiglia e cerco di coinvolgere tutti nei miei viaggi: Matilda,mia figlia di quattro anni, è già stata in almeno venti nazioni!D’altronde la vita di un musicista professionista è strana, per-sino brutta: ma quando salgo su un palcoscenico, allora di-venta fantastica! &

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