Città Pubblicità

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MASTER IN COMUNICAZIONE D’AZIENDA

UPA CA’FOSCARI

JOLLY PUBBLICITÀ SPA

CITTÀPUBBLICITÀ

TAVOLA ROTONDA

UNIVERSITÀ CA’FOSCARI VENEZIA CA’DOLFIN

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Introduzione

Ci siamo abituati a sentire della pubblicità esterna attributi negativi di ogni genere.È invadente, disturba chi guida, sporca i muri dei nostri centri storici.C’è da domandarsi se tutto quanto corrisponda al vero, oppure si tratti semplicemente di luoghi comuni, frasi rifugio dei meno esperti, dei poco aggiornati.Forse, come al solito, il giusto sta nel mezzo e così ci troviamo a constatare che alcune città sono let-teralmente pasticciate da carta e colla, mentre in altre si assiste ad una, se non buona, almeno discre-ta pianificazione degli spazi pubblicitari.

Da parte degli affissatori, non tutti fortunatamen-te, esisteva storicamente un atteggiamento purtrop-po diffuso, dove l’errata equazione “più spazi, più soldi” troppo spesso scavalcava il desiderio collet-tivo di vivere in città degne di questo nome.

La crisi economica degli scorsi anni ha abbattuto

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sensibilmente le risorse destinate alla pubblicità, contribuendo di fatto a migliorare una situazione che andava davvero modificata.Il periodo post-crisi poi ha fatto il resto creando negli utenti pubblicitari una nuova attenzione alla qualità ed una rinnovata fiducia nei confronti di quel piccolo comparto di operatori che seriamente opera sul mercato, cercando le risorse per il pro-prio business nel consenso, piuttosto che con l’im-posizione.Nonostante tutto, l’immagine della pubblicità esterna deve ancora trovare una collocazione defi-nitivamente positiva.È importante convincere, oltre gli operatori del mercato, anche il pubblico dei consumatori, soprat-tutto quello delle aree abitate dove si concentrano con maggior frequenza interessi, attività ed acqui-sti.

Ebbene proprio a Roma nel bel mezzo del trambu-sto pubblicitario dei posters che occhieggiano un po’ ovunque e raggiungono livelli di indecenza inac-cettabili soprattutto verso la periferia, ci siamo impegnati, a partire dallo scorso anno, in un espe-rimento di comunicazione esterna un po’ anomalo e se vogliamo anche coraggioso.

Abbiamo installato nei punti di sosta degli auto-bus maggiormente frequentati dagli utenti del servizio numerose pensiline d’attesa per i mezzi pubblici (circa 350).

Esse sono costituite sostanzialmente da tre ele-

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menti che rispondono rigorosamente alla tre fun-zioni principali del manufatto:

Un comodo sedile ben ancorato al suolo da due robuste gambe che consente agli utenti del servizio di attendere i mezzi comodamente seduti, invece che in piedi.Una profonda tettoia che li ripara dagli agenti atmosferici e rende riconoscibile la fermata attra-verso indicazioni riportate sulla fascia anteriore.Un pannello pubblicitario tamburato che, oltre a riparare la schiena degli astanti, svolge la funzione più importante e cioè paga la pensilina che in que-sto modo non costa nulla alla collettività.

Per la verità, in senso stretto, il concetto di sponso-rizzazione dei servizi pubblici da parte della pub-blicità non costituisce affatto elemento di novità. Da trent’anni creiamo opportunità di questo tipo nelle aree in cui operiamo.

La novità di questo progetto sta nel fatto che il manufatto in questione, oltre ad essere un oggetto con evidenti caratteristiche di qualità in termini di design e di funzionalità, è stato concepito fin dall’i-nizio in maniera assolutamente onesta e dichiarata per espletare la funzione pubblicitaria.

Lo spazio dello “sponsor” non è accessorio, ma for-malmente e sostanzialmente integrato nel disegno del manufatto.Abbiamo riposto inoltre la massima attenzione e coerenza nella scelta degli “sponsor” per non ritro-

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varci con immagini o comunicati scarsamente coe-renti con le nostre buone intenzioni.

Questa a nostro avviso è la direzione da prendere, questa è la strada da percorrere per contribuire a migliorare l’immagine del nostro mezzo, soprattut-to all’interno della città.Per farlo però occorrono collaborazione e sensibi-lità da parte degli affissatori, delle agenzie e dei clienti, ma soprattutto è necessaria una maggiore consapevolezza da parte della pubblica ammini-strazione.Oltre a questo, tutto il mondo della progettazione dovrebbe rivolgere più attenzione agli oggetti di pubblica utilità, studiando prodotti che prevedano già nel progetto la presenza dell’ormai, di fatto, immancabile spazio pubblicitario.Lo dovranno fare con coerenza formale, restituendo in questo modo dignità allo “spazio” ed alla “pre-senza” pubblicitaria.La stessa pianificazione urbanistica dovrà “preve-dere” e non “tollerare” la presenza dei manufatti di questo tipo, posizionandoli in modo che la funzione di servizio (che rimane la principale) possa assecon-dare anche quella pubblicitaria.

Se tutto questo è legittimo, se tutto questo è oppor-tuno, enormi sono le potenzialità di sviluppo dei servizi alla collettività, realizzati con il contribu-to degli utenti pubblicitari, che dimostreranno, in questo modo, anche al loro pubblico, sensibilità ed attenzione al vissuto quotidiano.

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Per questo con il Master in Comunicazione d’ Azienda UPA abbiamo organizzato presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia l’incontro “CITTÀPUBBLI-CITÀ” invitandoVi pubblici amministratori, urbani-sti, architetti, imprenditori, consulenti media, crea-tivi ed utenti pubblicitari.Intorno a quel tavolo ci siamo preoccupati di ana-lizzare opportunità, legittimità e potenzialità della pubblicità esterna all’interno delle città italiane.Gli spunti come al solito non sono mancati ed è emersa, da parte di tutti, la voglia di parlare di que-sti argomenti, ma soprattutto la necessità di farlo insieme, trasferendo l’uno all’altro esigenze e neces-sità di coloro che si occupano oppure inter-vengono sulla cosa pubblica.Grazie all’impegno dei relatori, abbiamo la possibi-lità di pubblicare questo documento che riteniamo possa costituire un utile contributo per tutti coloro che partecipano per istituzione o per vocazione a migliorare la qualità della vita all’interno delle aree urbane.Personalmente desidero ringraziare Lioy e Collesei per il fondamentale contributo dell’UPA e del Master.Oltre ai partecipanti al dibattito, seduto al tavolo con noi c’era Gianni Burato.Le sue vignette, che quel giorno ci hanno divertito, sono inserite tra le pagine di questo libro per ripro-durre i toni e le atmosfere di un lavoro svolto certo con impegno e determinazione, ma anche con lo spi-rito e l’ottimismo di queste immagini.

Paolo Casti

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INDICE

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Venezia, 13 maggio 1997

CASTI:

Benvenuti a tutti a nome del Master e della Jolly Pubblicità.Incontri come questo sono ormai diventati una pia-cevole consuetudine.Sono passati soltanto cinque mesi dall’ultima Tavola Rotonda e siamo di nuovo ospiti di questa meravigliosa Aula, di questa Università e di questa città così affascinante, che aggiunge ancora più significato agli argomenti che andremo a trattare.Il Master in Comunicazione d’Azienda UPA e la Jolly propongono, questa volta, “Città Pubblicità”.

Il titolo della Tavola Rotonda “Città Pubblicità” allude in maniera molto vasta al rapporto tra que-sta forma di comunicazione (la pubblicità) ed il contesto urbano all’interno del quale preferibilmen-te si svolge (la città).Già nella denominazione sono individuati i tre temi principali che mi piacerebbe venissero sviluppati:

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opportunità, legittimità, potenzialità della pub-blicità esterna all’interno delle città italiane.Su questi argomenti avrei qualche domanda da proporre.

Riguardo alle opportunità mi piacerebbe conoscere la vostra opinione ed in particolare quella dell’UPA a proposito di questa considerazione.Le città rappresentano il supporto delle attività collettive, per questo proprio al loro interno ven-gono espletate con maggiore forza le campagne pubblicitarie.Alcune città più di altre sviluppano rispetto al territorio un’azione centripeta delle attività eco-nomiche.Quanto interesse hanno le aziende ed in particola-re i big spender ad investire all’interno delle aree urbane e quali sono le forme pubblicitarie che attualmente hanno più successo?Le opportunità però non si limitano al fronte della pubblicità, ve ne sono anche in ambito pubblico; infatti la semplice esposizione delle immagini pub-blicitarie dà luogo, da parte dei Comuni, al diritto di esigere l’imposta di pubblicità.Che tipo di sensibilità esiste da parte delle Pubbliche Amministrazioni in questo senso?

Per quanto riguarda la legittimità l’elenco delle domande si allunga.È legittimo occupare, ingombrare, saturare le città con immagini commerciali?

Quali sono le condizioni da imporre a questa “pre-

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senza” perché non venga percepita come “coloniz-zazione” o peggio come un atto di violenza?

Esiste un livello tollerabile?

In quale misura le immagini pubblicitarie qualifica-no il livello civile e sociale della collettività?

Qual è il limite oltre il quale l’immagine della città viene dequalificata e la pubblicità disturba i citta-dini e le loro attività?

È vero che un’immagine pubblicitaria può distrarre chi guida?

Se è vero, come si può evitare questa circostanza?

Esiste un criterio di valutazione oggettivo che ci permetta di qualificare un’immagine adatta o meglio idonea alla pubblicazione?

Queste domande sono quelle che ognuno di noi più o meno frequentemente si pone.Spesso purtroppo però veniamo influenzati da opi-nioni generiche che ci fanno sentire approfittatori perversi privi di scrupolo che non esitano a riempi-re le città di immagini, slogan e marchi per trarre chissà quali profitti.Credo che questo non corrisponda al vero e penso che la risposta in particolare, spetti a Cervetti, Direttore dell’INPE, che si preoccupa, tra l’altro, del monitoraggio della qualità degli impianti. Occorre fare un distinguo, che metta in condizione gli

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attori del mercato di riconoscere il buono dal cattivo.

In tema di potenzialità molti saranno gli argomenti da approfondire; per il momento mi limiterò a qual-che considerazione.Moderando quindi e qualificando le presenze pubbli-citarie all’interno delle aree urbane probabilmente otterremo più velocemente e sicuramente i risultati che cerchiamo.Creando un livello di presenza tollerabile, infatti, potre-mo meglio sfruttare le potenzialità del nostro mezzo.

Passando al terzo tema, le potenzialità, più che porre domande dovrei dare risposte perché, occu-pandomi, tra l’altro, dello sviluppo di nuovi prodotti, dovrei avere un’idea abbastanza precisa sul come stanno andando le cose.Ancora più ampiamente di me, potrà farlo Meroni Direttore AAPI, ma soprattutto Vicepresidente FISPE (Federazione Italiana Sviluppo Pubblicità Esterna).

Esistono forme pubblicitarie più accattivanti, più gradite al pubblico per il loro formato, o la loro forma, o il loro supporto, che risultino più utili a veicolare messaggi maggiormente positivi per un marchio o un prodotto?

A questo proposito sarà interessante ascoltare le testimonianze di alcuni presenti che si sono ritro-vati ad essere forse anche involontariamente prota-gonisti di una piccola rivoluzione nel mondo della comunicazione esterna.

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Un esempio importante è l’esperienza dei totem in Piazza Cadorna di cui mi piacerebbe sentire parlare Boeri architetto ed urbanista. I decobus stessi hanno rappresentato un fatto im-portante nella comunicazione esterna all’interno delle città e qui non mancano i testimoni. Silvestri, Megna e D’Orazio ci racconteranno le esperienze di Milano,Trieste e Padova.

Altre esperienze ancora quelle di sonorizzazione di alcuni ambienti urbani, oppure quelle relative al mantenimento delle aree verdi a cura di Aziende private.

Esiste un ambito ancora più importante nel quale la pubblicità può rappresentare una risorsa insosti-tuibile ed è l’altro motivo per cui, seduti a questo tavolo, oltre a pubblicitari e professionisti ci sono gli amministratori e manager di Aziende di traspor-to pubblico.

L’argomento in questione è la sponsorizzazione dei servizi alla collettività.Il meccanismo tutt’altro che semplice più o meno è questo.Le Aziende private (come la nostra) forniscono ad Aziende o Enti pubblici (come le loro) prodotti, servizi o entrambi .Spesso, se non sempre, otteniamo in cambio, invece che denaro, la possibilità di sfruttare pubblicitaria-mente gli spazi pubblicitari, apposti sugli impianti di pubblica utilità, per un certo numero di anni.

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Questo in termini pratici rappresenta per le Aziende fornitrici un esborso immediato, spesso importante ed un ricavo invece solo probabile.Le nostre risorse quindi dipendono, certo, dalla capacità di realizzare prodotti e servizi durevoli ed efficienti, ma soprattutto dalla possibilità di svilup-pare un fatturato commerciale almeno sufficiente a contrastarne il costo.

Ma la cosa più importante e la maggiore difficol-tà sta nell’individuare prodotti riconoscibili per il mercato.Occorre la capacità di rendere riconoscibile la dif-ferenza sostanziale tra uno spazio pubblicitario fine a se stesso e un altro contenuto in un manufatto di pubblica utilità; occorre farne percepire il plus valore in termini sociali ed etici.Occorre convincere, oltre gli operatori del mercato, anche il pubblico dei consumatori, soprattutto quel-lo delle aree abitate.

Per meritare la loro fiducia dovremo migliorare nell’immagine e nella sostanza il manufatto di pub-blica utilità, rendendolo evidentemente diverso e concependolo fin dal progetto in maniera assoluta-mente onesta e dichiarata per espletare la funzione pubblicitaria.

COLLESEI:

Vi do il benvenuto anche a nome del Rettore, che oggi non è presente per altri impegni.Brevemente leggo alcuni punti di riflessione che

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l’argomento mi ha suscitato. Preciso che, dal punto di vista aziendale, il problema ha degli aspetti che vanno bene al di là del problema meramente pub-blicitario. La pubblicità esterna risente certamente degli atteg-giamenti che i consumatori manifestano nei confron-ti di tale mezzo, della disponibilità di soluzione e di spazi che riesce ad ottenere e del ruolo che le impre-se le riservano nel mix di comunicazione.

Risentendo dello sviluppo e della diffusione del micromarketing e più in particolare del marke-ting locale, l’interesse da parte delle imprese per la pubblicità esterna risulta crescente. Lo sviluppo del mezzo, soprattutto in termini di efficacia, viene quindi a dipendere dagli atteggiamenti che il consuma-tore cittadino elabora e dalle modalità di realizzazio-ne e di inserimento della pubblicità esterna nel tessuto urbano.

È quindi a questi due aspetti che si deve fare riferi-mento per individuarne potenzialità e minacce.di inserimento della pubblicità esterna nel tessuto Uno dei tratti più significativi del nuovo consumato-re riguarda la ricerca della qualità della vita. Esso si articola in svariate attese di natura personale e sociale. Tra di esse un posto di rilievo è occupato certamente dalla “qualità nei luoghi dove si vive e si lavora”.Ciò si traduce in una richiesta di un migliore arredo urbano che coinvolge l’illuminazione, la segnaleti-ca, i cassonetti, le pensiline, le panchine, i fiori e le piante, le statue, le fontane ecc., ma anche i palazzi e le vetrine per abbellire strade e piazze.

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Va a questo proposito segnalato come fino ad oggi, escluse lodevoli eccezioni, gli interventi relativi all’arredo urbano si siano succeduti in modo disor-dinato, spesso sovrapponendo la pubblicità ad altri interventi e contribuendo anche, con quest’ultima, a deturpare il paesaggio. Sembra sufficiente richiamare l’opinione che il noto editorialista Ernesto Galli Della Loggia ha espres-so su questa tematica in un articolo di fondo del Corriere della Sera del 4 maggio 1997 “Se la bella Italia diventa un parcheggio” sovra titolo: “Il paese minacciato da traffico e pubblicità”.“…Oltre al turismo un altro esempio dell’usura terribile che tutta la scena italiana soffre è quello della pubblicità stradale. Tutti gli angoli, gli incroci, le cantonate d’Italia sono lordati da una selva di cartelli, i più vari per formato, colore e sconclusio-natezza…”.

Un secondo importante atteggiamento che i consu-matori vanno sempre più assumendo è quello di con-siderare con favore le sponsorizzazioni, siano esse sportive, culturali, televisive, etc..

Infine un terzo importante tratto che emerge da numerose ricerche di mercato è quello di un consu-matore che si dimostra non ostile nei confronti della pubblicità, ma certamente critico ed esigente.Come connota di qualità la richiesta di beni e servizi, allo stesso modo pretende qualità dalla pubblicità.

Tenendo presente questi tre tratti significativi di

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scenario, il momento si presenta particolarmente favorevole alla pubblicità esterna, se si trova il modo di inserirla armoniosamente nel paesaggio, se diviene servizio per i cittadini, cioè sponsorizza strutture di segnalazione, panchine, pensiline ecc. e, con una sapiente miscela di design e colore, con-tribuisce ad innalzare il livello estetico dell’arredo urbano.In alcun casi la revisione degli spazi costringerà ad una riduzione quantitativa più che compensata da un innalzamento del livello qualitativo, che produrrà una migliore visibilità, coinvolgendo favorevolmen-te il cittadino, creando una migliore disponibilità e ricettività ai messaggi. Gli spazi in alcuni casi più piccoli, ma più emotivi, offriranno rendimenti deci-samente più interessanti, anche perché connotati positivamente dalla sponsorizzazione.

Per risultare sempre più efficace la pubblicità ester-na deve anche innalzare il tono e risultare coerente con lo spazio urbano in cui si inserisce.

Informazione, effetto ludico, gradevolezza devono quindi rinforzare nel cittadino la voglia di vedere e gustare una pubblicità a misura d’uomo.Grazie.

CERVETTI:

Mi piace iniziare questo intervento riprendendo un suggestivo commento che Helmut Zilk, sindaco di Vienna, città che alcuni anni fa ospitò un importan-te convegno sulla pubblicità esterna, espresse nel

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dare il benvenuto ai partecipanti e nell’aprire i lavori dei convenuti.Volle infatti sottolineare il grande favore con cui l’amministrazione locale guardava al manifesto come “ espressione del tempo, della cultura e della vita, segno della storia e galleria della città, capace di regalare un po’ di sorriso, di gioia e di colore, di sogno e di evasione e la cui assenza renderebbe ogni città in definitiva triste, spoglia e disumana ”.

La pubblicità esterna è la seconda fra le più anti-che forme di pubblicità esistenti: è infatti preceduta soltanto dalle insegne, usate per identificare negozi e locande, in un tempo molto lontano, quando una grande parte del pubblico non sapeva né leggere né scrivere; l’origine e le prime espressioni di pubblici-tà esterna si svilupparono proprio in questo modo: dalla necessità di comunicare, in forma semplice e rapida, agli individui di una città o di un’area locale e ristretta.

Inconsapevolmente, già da allora, questa forma di comunicazione e l’ambito entro cui era riservata e destinata, ha in un certo senso costituito un’antici-pazione rudimentale ed embrionale dei concetti di micro-marketing e marketing locale.

Riconosciuta dunque l’appartenenza del manifesto al mondo esterno e quindi patrimonio della collet-tività e della città, è necessario che esso svolga la propria funzione di servizio e di comunicazione, pubblico-amministrativa oppure privato-commer-ciale, integrandosi totalmente nel tessuto urbano,

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quasi caratterizzandolo e personalizzandolo, dive-nendo una presenza familiare e funzionale, in modo piacevole e decoroso, discreto ed armonioso, attra-verso una collocazione accurata, non invadente ed in sintonia con l’ambiente e con gli altri insedia-menti del territorio, in breve con la città, se non addirittura con il quartiere, tenendo conto della composizione demografica ed etnica prevalente o specifica dell’area.

Certamente gli organi dello Stato e della Pubblica Amministrazione devono preoccuparsi, giustamente, della sicurezza stradale, della tutela del paesaggio, della salvaguardia del patrimonio artistico ed in generale dell’interesse superiore del cittadino; ma un confronto con la normativa esistente e certe regole dettate in Italia rispetto ad altri paesi, deve indurre a convenire che c’è un ampio spazio di miglioramento e di intesa, di convergenza e di convivenza fra componenti spesso in contrasto ed opposizione fra loro.

Peraltro anche la categoria degli operatori della pubblicità esterna non è esente da critiche e da errori per la situazione che si è creata e che in più di un’occasione, soprattutto in passato, ma anche nei tempi attuali, ha favorito l’insorgere di condizioni di diffidenza e di contrasto.

Le colpe riguardano in modo particolare l’abusivi-smo, il disordine e la qualità degli impianti; tuttavia non sarebbe giusto attribuire a tutti gli operatori questo vizio: perché anzi ci sono stati, da parte di

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alcuni, segnali precisi di una volontà di correggere e combattere certi eccessi negativi che offendono il settore e ne mortificano l’immagine.Il superamento di certe condizioni di illogicità-affis-sionistica, quali l’affissione casuale, selvaggia, scriteriata e di illogicità-impiantistica costituita da affiancamenti, affollamenti, schieramenti scompo-sti, sgradevoli ed in contrasto con l’ambiente, deve essere un obiettivo costante e generale da persegui-re nel comune interesse.

E gli operatori della pubblicità esterna seri, profes-sionali e responsabili, che sono anche la maggioran-za, sanno che una regolamentazione, anche severa, purché logica, coerente e razionale, non danneggia, ma anzi qualifica e rivaluta, la pubblicità esterna.

Si può quindi vedere un’apertura ed uno spazio di dialogo fra il pubblico ed il privato, fra l’interesse commerciale ed individuale e l’interesse generale e collettivo; ma, se esistono effettivamente buoni propositi e serie intenzioni da parte degli operatori, è necessario che le autorità e gli enti interessa-ti in-tervengano e favoriscano questo processo e mettano a disposizione non soltanto le strutture di sorveglianza, gli apparati di controllo e le forme di repressione possibili nei confronti di tutti gli inse-diamenti e le iniziative pregiudizievoli per la tutela e la sicurezza fisica e morale dell’individuo e del-l’ambiente, ma anche idee ed indicazioni, modelli e formule concrete per favorire una sana e corretta attività imprenditoriale sul territorio, da realizzare

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nel rispetto delle regole.

Anche perché l’ordine, la pulizia ed il decoro, oltre a costituire una condizione necessaria ed irrinuncia-bile, contribuiscono in modo determinante a rendere più percepibile il messaggio, più leggibile il contenu-to, più attraente la comunicazione.

Anche il messaggio, nella sua forma grafica e sim-bolica, espressione dell’immagine e della comunica-zione, deve tenere conto della realtà e del contesto in cui è ospitato.

Infatti c’è uno spazio che non è intimo e privato, ma è pubblico e di tutti e da questo spazio si diffondono messaggi che devono essere brevi e completi, sinte-tici ed esaurienti, forti ed originali, senza aggredire, né violare alcuni diritti primari e fondamentali che appartengono agli individui.

In una prospettiva di intensa valorizzazione del mezzo e delle sue enormi potenzialità comunica-zionali, posizionandosi come elemento integrante e stabile del territorio, un’attenzione particolare ed un ruolo determinante dovrà essere svolto dal-l’innovazione e dal progresso, nel materiale e nella qualità dei manufatti, nel design e nell’originalità delle strutture, nella forma e nella dimensione degli spazi, nella tecnologia e nelle tecniche di produzio-ne e di stampa.

L’unità di misura standard o il formato base 70 x 100, che si sviluppa fino a raggiungere la ampie misure

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attraverso i suoi multipli ed anche gli stessi modelli ed aspetti delle strutture, sono una derivazione ed un’eredità dell’affissione pubblica e sociale, effet-tuata dai Comuni sugli spazi ad essi tradizional-mente destinati, oppure sono stati a loro tempo dettati e successivamente mantenuti inalterati, dai vincoli della tecnologia disponibile ed esistente per la stampa.La tendenza a ricondurre tutti i manifesti a forma-ti obbligati e rigidi, senza fantasia, da affiggere in spazi dalle forme e dai contorni definiti e tradizio-nali, senza originalità, determina una relativamente ristretta e prevedibile variabilità ed un conseguente limite alla ricerca di soluzioni creative e nuove.

Senza cadere nell’eccesso opposto di una grande proliferazione delle strutture e dei formati, che oltre tutto produrrebbe un aggravio dei costi non trascurabile, non ci sembra che la conservazione acritica ed immutata di certe formule giovi e favo-risca idee di modernità e di dinamismo.

Prendendo in considerazione ed adottando nuove soluzioni di strutturazione e gestione del parco impianti, l’affissione cittadina potrà essere conside-rata ed utilizzata con sempre maggiore intensità.

INPE, Istituto Nazionale Pubblicità Esterna, costi-tuito da UPA, AssAp e dalle principali Società di Affissione, alla fine del 1993 ha portato a com-pimento un progetto con lo scopo di attribuire ad ogni impianto poster 600x300 un valore qualita-tivo, in base ad alcuni parametri selezionati e ad

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alcune condizioni descrittive delle caratteristiche degli impianti stessi.

Al termine di questo lavoro si è pervenuti ad una soluzione applicativa e ad un modello, che nella pratica si è dimostrato efficace e funzionale, per classificare ogni impianto secondo attributi valo-riali concretamente identificati e resi disponibili dai censimenti e dalle indagini svolte da INPE e costantemente aggiornate.

Utilizzando una simbologia convenzionale ogni impianto è stato quindi assegnato ad una classe di appartenenza e giudicato secondo il punteggio ottenuto.L’effetto naturale e più immediato di questo pro-cesso è stata l’identificazione di un certo numero di impianti risultati insoddisfacenti e quindi di interes-se nullo ai fini del loro utilizzo commerciale.

Questa operazione di INPE, unita ad uno sponta-neo processo, già in atto, di revisione delle proprie strutture impiantistiche da parte delle Società di Affissione, quelle che si avvalgono dei servizi di INPE e collaborano con il nostro Istituto, ha determinato, in due anni, una riduzione degli spazi disponibili pari a circa il 18% del parco esistente, con la rimozione delle strutture più fatiscenti ed improduttive.

Questo fatto testimonia come non solo la volontà, ma anche il comportamento concreto e le scelte operate da alcune Società di Affissione, siano nella

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direzione dell’ottimizzazione degli spazi, privile-giando la qualità rispetto alla quantità, con un’at-tenzione all’ordine ed al decoro; ma questo deve conciliarsi con le esigenze commerciali imposte dalla natura imprenditoriale degli operatori del settore.INPE ha inoltre collaborato con la Pubblica Amministrazione ogni volta che è stata richiesta e che esistevano condizioni per operare alla ricerca di soluzioni logiche e migliorative.

La riconosciuta esperienza di INPE e la copertura del territorio che il nostro Istituto assicura, deri-vanti dall’attività, continua e sistematica, svolta sul campo, ha consentito di raccogliere e mettere a disposizione molteplici informazioni puntuali, pre-cise ed aggiornate, riguardanti la localizzazione e l’ubicazione degli impianti.Queste notizie, in più di un’occasione, sono state ritenute utili ed importanti da alcune Amministra-zioni Comunali che hanno iniziato a svolgere ed a sviluppare le proprie funzioni di competenza ed i propri interventi, costruendo una base statistica e logistica di tutte le strutture esistenti.

Esistono dunque molteplici opportunità per conse-gnare alla pubblicità esterna un ruolo di superiore importanza ed interesse, attraverso la chiarezza, l’ordine, la qualità ed il rispetto di se stessa e del prossimo, inteso questo come l’individuo con cui si confronta ed il territorio in cui si colloca.

E secondo la nostra opinione non esistono ostacoli o barriere purché i problemi siano affrontati con

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severa competenza e con vigile attenzione agli obiettivi ed alle conseguenze che derivano; le resi-stenze e le conflittualità sono la conseguenza di decisioni e di scelte talvolta improvvisate ed istin-tive che rischiano di ledere diritti, creare discri-minazioni e minacciare legittimi interessi, oltre a mettere in discussione la stessa sopravvivenza del mezzo.

CASTI:

Mi piacerebbe esprimere un’opinione riguardo un argomento che spesso durante le occasioni di incon-tro del Master viene messo in evidenza.

È diffusa l’opinione che i creativi stiano stretti nei formati che il mercato mette loro a disposizione e che un’offerta più elastica potrebbe incentivare l’uso dell’esterna.Ebbene esistono alcune circostanze che è doveroso conoscere a questo proposito.Ogni prodotto, per essere tale, deve rendersi ricono-scibile sul mercato.A questa regola non sfugge neppure il mercato degli spazi pubblicitari ed in particolare quello degli spazi destinati all’affissione, che necessariamente tra codici e consuetudini cerca di rendere omogenea l’offerta di Bolzano a Palermo.

C’è un formato, il 600x300, riconosciuto come portante dal mercato, che assorbe più dei due terzi delle risorse economiche disponibili.Il restante terzo degli investimenti è diviso tra gli

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spazi gestiti direttamente o indirettamente dalle Amministrazioni Comunali e dai cosiddetti formati speciali.Sono proprio questi formati speciali che, spaziando dal 70x100 al 300x140 con un’infinità di combina-zioni orizzontali e verticali, dovrebbero incuriosire i creativi.Ebbene questo purtroppo accade talmente poco, che pochissimi imprenditori del nostro settore hanno investito su questi spazi ed è tale e tanta la fatica di promuoverli presso i buyers che la tendenza negli investimenti su impianti pubblicitari rimane sempre a netto favore dei 600x300 nonostante sia di tutta evidenza che il piccolo formato, oltre ad essere di grande utilità per sostenere economicamente i servizi alla collettività, è anche più semplicemen-te inseribile nei centri storici tanto frequenti nelle città italiane.

Abbiamo tentato recentemente di promuovere iniziative che stimolassero i grafici a sviluppare formati diversi dai consueti e proprio qui a questo tavolo è seduto Boeri, con il quale abbiamo messo in piedi una promozione a favore della Triennale di Milano, che prevedeva l’impiego di formati partico-lari, ma, a quanto pare, queste iniziative rimangono lettera morta.Non dimentichiamo comunque che, sia il Codice della Strada, sia i regolamenti comunali lasciano davvero poco spazio a forme di comunicazione che non siano normalizzabili e codificabili.

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MERONI:

Credo che sia doveroso cominciare con un compli-mento alla Jolly per l’iniziativa e chi conosce un po’ l’ambiente dell’esterna in Italia sa che queste parole non sono di pura forma. Si è fatta promo-trice di un’iniziativa di valore che va seguita con molta attenzione, magari, anche dopo propaganda-ta, diffusa sotto una forma o l’altra, se i contenuti che sapremo darvi lo meriteranno.

Il soggetto scelto è affascinante, è così affascinante che bisognerebbe essere dei geniacci dell’architet-tura e della pubblicità per poter spaziare tra tutte le aree che ci si aprono di fronte; non essendo un geniaccio dell’una, né dell’altra, cercherò di attener-mi a quei “paracarri”, a quelle triplici direttive che Casti stesso ci ha indicato: opportunità, legittimità e potenzialità.Se non facessi questo, credo che partirei per la tan-gente, arriverei alle città utopiche, a Tommaso Moro e a tutte quelle visioni visionarie che meriterebbero di essere citate oggi; perché quando si va a toccare così da vicino la vita e il suo organizzarsi sociale, si può effettivamente arrivare molto lontano e gli architetti, effettivamente sono stati tentati, nel bene e nel male, direi io, molto spesso da queste visioni un po’ spaziali.

Permettetemi di cominciare a dire qualcosa, sulla questione della potenzialità e della sua misura. C’è stato uno studio di UPA e di RAI su quello che è l’effetto dell’inserimento pubblicitario in program-

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mi “spazzatura”. Questo inserimento è da analizza-re ed è stato analizzato, in un modo molto preciso: gli spot inseriti in programmi spazzatura non ne venivano valorizzati e perdevano buona parte della loro efficacia.Questo problema del contesto o dello sfondo in cui si inserisce un messaggio pubblicitario, credo che potremmo, per una volta capovolgendo le cose, di solito si dice “la pubblicità rovina il contesto”, dire “in che misura il contesto può valorizzare la pub-blicità”? Questa relazione tra contesto e messaggio pubblicitario ci porta a dire che l’affissione ha tutto da guadagnare, da un contesto urbano, architetto-nico, ambientale piacevole, direi di valore. Talvolta si potrebbe e lo si fa sempre di più, inserirsi fun-zionalmente sotto forma di arredo urbano in questo contesto.

Mi sento di concludere su questo punto dicendo che anche qui per la pubblicità esterna come per gli spot, va assolutamente evitata la banalizzazione dell’operazione pubblicitaria. Credo che tutti noi che ci occupiamo di pubblicità esterna dovremo approfondire la questione dell’arredamento pubbli-citario; pensate che in Italia, meno negli altri paesi, non fosse altro che quantitativamente, la pubblici-tà luminosa è penalizzata dalla regolamentazione fiscale: quel servizio che l’impianto pubblicitario luminoso rende, se non altro sotto forma di sicurez-za cittadina, costa a noi il doppio sotto forma di tri-buti. Senza andare a citare quelle che sono le miti-che città, come Londra, Las Vegas, per la pubblicità luminosa, mi si deve ancora dimostrare perché una

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pubblicità che di notte invece di costituire un buco nero non si nasconde ed addirittura vive con il resto della città, deve essere penalizzata in questo modo.

Una parola sull’opportunità e i suoi criteri.L’atteggiamento che in Italia rischia di essere più penalizzante nei confronti dell’esterna è dettato da uno strumento legislativo abbastanza strano. Non so quanti di voi sanno che la pubblicità trova il suo massimo strumento di regolamentazione nel Codice della Strada e questo in virtù di un legame che resta tutto da dimostrare tra pubblicità e sicurezza stradale.

Mi domando perché, nonostante l’assenza totale di indagini che dimostrino un nesso qualunque tra incidenti e presenza pubblicitaria esterna, possiamo permetterci di avere questo approccio e non invece un approccio estetico-ambientale e culturale in un paese come l’Italia, prima senz’altro per statistiche di incidenti, ma anche prima per patrimonio cultu-rale, architettonico ed artistico.

Un altro punto che meriterebbe d’essere sottolinea-to è quello della legittimità e dei suoi limiti. Non voglio prenderla alla lontana, ma in Francia alcuni giorni fa Spielberg, il regista che tutti voi conoscete, dopo meditata riflessione ha autorizzato la diffusio-ne del suo film “Shindlerlist” su una rete televisiva commerciale, autorizzando anche delle interruzioni pubblicitarie. Il film è di 3 ore e un quarto e il regolamento francese prevede per un film di questa lunghezza due interruzioni di 6 minuti.

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Non sto a disquisire, perché non è il momento, sui regolamenti e le leggi francesi comparate a quelle italiane, a me interessano le modalità di questo inserimento. Pensate un po’ che Spielberg ha detto “sono senz’altro d’accordo, però voglio che questi momenti di inserimento siano da me decisi e non solo, che i contenuti merceologici di questi spot ven-gano concordati con me, escludendo certi prodotti”; vi lascio immaginare quali.

Questo modo di immaginare un inserimento pub-blicitario, mi sembra che possa insegnarci anche qualcosa di utile per l’esterna. Ricercare un nesso “nobile”, ancora una volta tra contesto e messaggio pubblicitario; cercarlo perché esiste comunque. Non voglio arrivare a dire quello che un pubblicitario ha sostenuto l’altro giorno, che certe volte vedendo alcune trasmissioni si aspetta con ansia l’interru-zione pubblicitaria, che è l’unica cosa di qualità che viene servita; “mutatis mutandis” girando per alcune delle nostre città….

Credo che non bisogna arrivare a questo, ma che sia possibile e legittimo cercare tra contesti architetto-nici e impianti, questo contatto d’alto livello.

Concludo andando un po’ a toccare quella che è la possibile connessione tra urbanismo e flessibilità. L’esterna si caratterizza, in effetti, per questa sua grande flessibilità. Non stiamo a disquisire sulla flessibilità, ma vediamo ancora una volta come l’ordinamento italiano affronta il problema.Lo affronta con un decreto legislativo del 1993 che

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regola fiscalmente, è il caso di dire, la pubblicità e che prevede come strumento obbligatorio per le amministrazioni locali la creazione di un “piano generale degli impianti”.A prescindere dal fatto che una certa saggezza degli amministratori locali ha fatto sì che su 8.200 Comuni italiani esistano sì e no una mezza dozzi-na di città, e nessuna delle grandi, che si è dotata di questo mezzo. A prescindere da questa saggez-za, rimane il fatto che l’approccio è estremamente dirigistico e garantistico; ossia che invece di avere una visione, permettetemi la parola, olistica, quin-di veramente urbanistica del fenomeno pubblicità e suo nesso con l’ambiente circostante, si è voluto avere un appiattimento meticoloso, che va a pena-lizzare proprio quello che è l’aspetto più tipico della pubblicità esterna.

Vorrei ancora citare il caso di come sta per essere tradotto l’obbligo di darsi questo piano generale della pubblicità esterna da parte di una città del nord. Gli architetti torinesi che stanno dietro il piano che c’è stato recentemente proposto sono arrivati fino a quello che secondo me è un’aber-razione assoluta: tutti gli impianti della città di Torino devono corrispondere alla “linea città di Torino”, quasi fossero dei novelli Brunelleschi. Questo approccio, secondo me, va esattamente contro gli altri esistenti in Europa; penso alla Gran Bretagna, dove con un sistema sì autorizza-tivo, ma molto spesso consensuale, si permette alla creatività di misurarsi con l’inserimento dell’im-pianto su o nel contesto architettonico cittadino.

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Tra Bella Italia e pubblicità è possibile un’armonio-sa convivenza; basti pensare che in paesi come la Svizzera o la Francia, che senz’altro non possono essere accusati di essere Paesi che trascurano il loro ambiente urbano ed extraurbano, la pubblicità esterna rappresenta qualche cosa come 10 punti di più di quota di mercato rispetto all’ Italia.

Arriviamo alla questione ultima dell’abusivismo o la cosiddetta affissione selvaggia. Direi che questo fenomeno trova la sua ragione d’essere soprattutto in un eccesso legislativo, un garantismo legislati-vo penalizzante, che prende forma per l’appunto di Codice della Strada e di “piano generale dei mezzi” al quale viene spontaneo dire di cercare di sfuggire.

Citiamo anche l’altro grosso aspetto che vede la pubblicità esterna penalizzata rispetto agli altri mezzi, sperequata rispetto agli altri al punto che sono in corso indagini se affrontare questo argo-mento a livello dell’autorità antitrust. La pubblicità esterna in Italia è l’unica a pagare un tributo, la cosiddetta imposta sulla pubblicità, che è un tributo minore, ma che la penalizza parecchio. Pensate che su un impianto sul suolo pubblico in Italia vanno ad incidere ben tre imposizioni: l’imposta sulla pubblicità, la tassa per l’occupazione del suolo pub-blico e chiaramente il canone concessorio richiesto dal Comune. Questo rende effettivamente un gioco molto appetibile, il darsi selvaggio alla pubblicità abusiva. L’ultimo appello che si potrebbe lanciare è di

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introdurre con coraggio una semplificazione degli ordinamenti, sia del Codice della Strada e delle sue applicazioni cittadine che da questo Codice d’altronde sono espressamente previste, sia una semplificazione impositiva sotto forma di un solo corrispettivo per gli impianti pubblici che rende-rebbe la sua esazione più facile e più controllabile. Leghiamo, come in tutti gli altri paesi, l’inserimento degli impianti pubblicitari nelle nostre città a un solo atto autorizzativo e non a una serie di penali e balzelli che cadono sulla nostra attività.

CASTI:

Grazie a Meroni e a coloro che lo hanno preceduto siamo riusciti a toccare molti degli argomenti in questione.Vorrei adesso spostare l’attenzione su di una tipologia di relatore, che raramente è presente nei convegni o nelle Tavole Rotonde dedicate alla pubblicità.Si tratta delle Aziende di Trasporto, che, dopo essersi accontentate di portare in giro per le città, attaccate ai loro mezzi, le tabelle 300x70 (e qual-che altro piccolo spazio), hanno scelto la ben più decisa strada della decorazione integrale.La loro proposta eccezionalmente efficace dal punto di vista dell’impatto, dopo i primi mesi di avviamento davvero caotici, ha vissuto il primo e secondo anno dalla nascita con grande entusiasmo. Noi stessi ci siamo attrezzati per avviare i nostri Clienti più importanti all’utilizzo di questo mezzo che, nonostante rappresentasse davvero poco in

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termini di business, aveva tutti i presupposti per piacere ai creativi e alle aziende.Tutto questo è accaduto, ma i risultati positivi si sono avvertiti purtroppo soltanto nelle poche città che si sono sapute gestire seguendo la logica della qualità e selezionando i “Clienti”.In molti casi purtroppo, l’effetto incontrollato dello scarso impegno creativo dovuto anche alle ridot-te risorse economiche dei “Clienti”, oppure allamancanza di cultura specifica delle Aziende di Trasporto locali, ha determinato il triste spettacolo di quelle corrierone malamente acconciate, che cir-colano presuntuosamente addobbate in alcune città di provincia.Tutto questo è accaduto, nonostante da parte nostra e della 3M ci fossero continui richiami alla ricerca dell’innalzamento del livello medio di qualità, sia dal punto di vista della espressività grafica dei messaggi, sia per quello che riguarda i supporti e le applicazioni delle decorazioni.

A parte la novità della decorazione integrale, è indubbio che le Aziende di Trasporto investono, in termini di sviluppo del nostro mercato, un’importan-za fondamentale ed a mio avviso rappresentano la carta vincente anche per “dribblare” le improprie-tà contenute nel Codice della Strada ed in alcuni regolamenti comunali, che poco fantasiosamente, si richiamano ad esso per allestire i “fantomatici” piani della pubblicità.I servizi sul territorio delle Aziende di Trasporto infatti, sono espletati principalmente dalle “paline di fermata” e dalle “pensiline d’attesa”, che, oppor-

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tunamente sistemate lungo le strade, individuano i punti d’arresto dei mezzi pubblici e riportano le indicazioni relative ai percorsi, alle frequenze ed agli orari.Questo patrimonio di presenze qualificate lungo le strade è, a nostro avviso, scarsamente utilizzato ai fini pubblicitari e solo in alcune zone della penisola questi “supporti ideali” godono il giusto riconosci-mento da parte dei buyers pubblicitari.Naturalmente il loro atteggiamento influenza gli investimenti delle Società di affissione che rara-mente dedicano attenzione, risorse e supporto ai servizi ed alla collettività.

È questa un’altra indicazione importante che vor-rei dare alla discussione e per questo ho invitato i rappresentanti di numerose Aziende di Trasporto a questo tavolo.Sono certo che il loro contributo sarà fondamentale.

SILVESTRI:

Ringrazio la Jolly di questa opportunità.

Del settore della pubblicità sono un neofita, nel senso che è solo un paio d’anni che me ne occupo pienamente. L’esperienza che ho fatto in questi anni è stata di notevole interesse e ho potuto rilevare che le aziende di trasporto hanno un patrimonio notevo-le da utilizzare.

Quando parliamo di patrimonio dell’azienda di tra-sporto, parliamo di un’azienda che rappresenta e

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contribuisce a creare l’immagine della città. I nostri mezzi viaggiano per la città, le stazioni della metro-politana vengono frequentate dal pubblico, quindi il pubblico, l’azienda e il trasporto insieme fanno la città.

Se dovessimo sbagliare politica pubblicitaria, intesa come vendita di spazi e come promozione, faremmo un enorme danno non solo all’azienda, ma anche all’immagine complessiva della città.L’Azienda ha anche grandi opportunità dovute alla forte aspettativa dei nostri clienti, che vogliono sapere se il servizio va bene, sapere cosa offre di particolare il servizio e quali documenti e moda-lità seguire per viaggiare. Tutto questo crea anche notevoli occasioni di fare co-marketing, soddisfan-do nello stesso tempo il desiderio di informazione dell’utente e l’efficacia del messaggio pubblicitario dello sponsor.

Il patrimonio dell’Azienda è negli ultimi anni aumen-tato aggiungendo alla pubblicità dinamica classica, che tutti conoscono, la pubblicità integrale.

Questa nuova espressione è stata quasi imposta allo Stato; sapete infatti che prima non era ammessa, poi grazie ad un’interpretazione un po’ audace della legge si è potuto realizzarla.

Il risultato è stato buono sia per i risultati economi-ci, che per la città. Oserei dire “la città l’ha voluta”, se interrogate i cittadini, vi dicono che senza la pub-blicità integrale sui tram, non sarebbe più Milano.

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Quindi i tram, gli autobus, i filobus, vestiti della pubblicità, migliorano l’immagine della città. Senza non è più Milano e ciò a mio parere vale anche per i tabelloni in P.zza Duomo, che possono piacere o non piacere, ma se si togliessero, P.zza del Duomo diventerebbe alla sera un po’ più vuota.

L’essere, come azienda di trasporto, un po’ la città, crea dei vincoli, questa simbiosi tra azienda e città, ci addossa la responsabilità di assicurare un’imma-gine positiva.

La pubblicità deve diventare un piacevole elemento caratterizzante della città. Ciò esige un controllo su quello che si espone, sia dal punto di vista della morale, che dell’estetica. Non a caso abbiamo pre-visto e sviluppato in passato e recentemente inizia-tive per migliorare la pubblicità dal punto di vista estetico e creativo.

Ricordo a questo proposito l’iniziativa dell’I.G.P. per il concorso di creatività utilizzando il formato 70x200 dove grandi pittori hanno partecipato libe-rando l’estro creativo.

Recentemente abbiamo fatto proprio con la Jolly e la 3M una manifestazione in collaborazione con l’Accademia di Brera stimolando gli studenti a pro-durre tram integrali.Lo studente è stato portato nel mondo operativo della pubblicità e le risposte sono state notevoli, anche se uscire dagli schemi formati-vi è stato, a mio parere, difficile.

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Questa constatazione la facevo proprio l’altro gior-no a Brera in occasione di un’altra manifestazione che stimolava la creatività per un’esposizione car-tellonistica alla Stazione M2 Lanza. Gli studenti hanno risposto con entusiasmo, ma il legame agli schemi è stato ancora evidente e quindi si afferma la positività dell’iniziativa anche come crescita degli artisti. L’iniziativa di legare l’esigenza speculativa con la scuola, giova agli studenti, alle agenzie e alla città che potrà realizzare pubblicità bella e utile.

Le aziende di trasporto, oltre ad essere fornitrici, sono anche utilizzatrici di spazi, perché loro stesse devono proporsi al pubblico. Per l’Azienda pubblica di trasporto la pubblicità ha senso quando, chiuso un ciclo nel quale viene venduta la pubblicità e realizzata l’esposizione, il risultato ritorna, oltre che nell’introito, che è sempre gradito, anche come valorizzazione del patrimonio e dell’immagine del-l’Azienda.

Questo deve essere il nostro obiettivo e deve esse-re anche l’obiettivo delle istituzioni - del Comune - con le quali la collaborazione deve essere stretta e deve diventare l’obiettivo anche di chi fa la pub-blicità. L’esposizione non deve diminuire il valore del sistema messaggio, perché i mezzi, il chiosco, la stazione metropolitana costituiscono un insieme che nell’interesse di tutti deve mantenere innanzi-tutto il valore estetico in quanto parte del paesag-gio cittadino.Stiamo operando in questo senso contenendo il

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numero delle vetture disponibili per la pubblicità integrale, perché non vogliamo che questa si infla-zioni. Stiamo oggi puntando sulle altre opportuni-tà, stiamo cercando di realizzare una linea di chio-schi integrati con l’informazione e che potrebbero essere sponsorizzati e sostenuti con la pubblicità, unendo l’utilità pubblica con quella dello sponsor.Stiamo poi pensando a forme di pubblicità lumi-nosa. Abbiamo recentemente assegnato un incarico per lo studio di un’ipotesi di restiling della linea 1. Questo aspetto potrà avere un grosso ruolo per recuperare quegli spazi bui che oggi sono ancora presenti in metropolitana e che proprio grazie alla pubblicità potrebbero diventare più sicuri e invi-tanti.

CASTI:

Mi permetto di intervenire a proposito dell’oppor-tunità di illuminare la pubblicità, soprattutto in corrispondenza di situazioni dove questa fonte di luce possa essere utile alla sicurezza, oppure alla qualificazione dei siti.

Il sogno di tutti noi è che la pubblicità possa essere vista di giorno come di notte, all’esterno e all’inter-no degli ambienti frequentati dal pubblico.

Questo nostro desiderio, in realtà, spesso cozza contro la realtà di un mercato che purtroppo non è disposto a pagare i servizi accessori e che ancora fre-quentemente si domanda come mai le nostre tariffe siano così lontane da quelle dell’affissione comunale.

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L’allestimento di un impianto luminoso inoltre, necessita di un supporto per l’immagine molto più costoso che, salvo nel caso della pubblicità “perma-nente”, ahimè sempre meno di moda, non giustifica l’investimento.

In questo senso è necessario operare in due direzio-ni: quella della ricerca di supporti retro illuminabili, più economici (e qui un po’ di strada l’ha già fatta la 3M) e quella dell’educazione del mercato, che va indirizzato a considerare la spesa per la stampa, non tanto come fase sulla quale economizzare, ma come opportunità per distinguersi con prodotti e soluzioni di qualità.

SILVESTRI:

Direi di più, l’esperienza di ricercatore, fatta in pas-sato occupandomi di indagini sul traffico etc, mi ha fatto fare anche in questo campo piccoli sondaggi, utilizzando alcune volte aziende specializzate, altre volte intervistatori interni per cercare di capire come veniva letta la pubblicità dall’utente.

La sorpresa è stata grossa: non era tanto la quantità di pubblicità o l’evidenza del messaggio che attirava l’attenzione, quanto la presenza di informazioni o messaggi utili per i propri spostamenti. Abbiamo fatto con la Centrale del Latte del co-marketing pubblicizzando i nostri abbonamenti annuali e i biglietti scontati per Natale; nello stesso tempo, da parte della Centrale del Latte veniva offerto nel car-net di biglietti ATM un buono sconto per lo yogurt.

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Vi posso dire che quest’anno la Centrale del Latte ha sollecitato la ripetizione per i buoni risultati della campagna. La lettura dei manifesti era stata enorme, il ritorno dei tagliandi doppio del norma-le. Questo dimostra che unendo aspetti utili alla promozione si riesce a sollecitare l’ascolto.Un’altra esperienza che quest’anno abbiamo fatto è stata il “gira e vinci” realizzata in co-marketing con la Siemens. La Siemens ha ritenuto opportuno darci una mano nella campagna studenti promuo-vendo il proprio marchio fra gli studenti offrendo circa 15.000 premi su circa 100.000 acquisti di abbonamenti fra i quali 6 calcolatori di indubbio valore.Il risultato è stato buono e quest’anno si ripete-rà.

Abbiamo provato a fare altre iniziative di questo tipo unendo sempre l’utilità alla pubblicità e il risultato è stato buono. Adesso stiamo pensando di realizzare chioschi polifunzionali, affidando ad architetti di grido la progettazione. Lo scopo è quello di creare nelle piazze, che il Comune sta ristrutturando, momenti di richiamo dove si pos-sono avere notizie sul servizio.

Chi chiede pubblicità ricerca il risultato e non sempre considera i vantaggi che derivano dagli abbinamenti con gli aspetti utili per i cittadini. Le indagini condotte sulla pubblicità integralehanno poi dimostrato che alcune pubblicità sono ricordate per la loro caratteristica creativa anche in difetto della numerosità delle esposizioni.

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Abbiamo rilevato che quando il creativo è stato efficace anche un solo mezzo riesce ad avere una sufficiente visibilità mentre si ottengono buoni risultati con tre mezzi. In collaborazione con l’Accademia di Brera è stato indetto un concorso sollecitando gli studenti a deco-rare a piacere un jumbo tram. Su oltre 50 lavori sono stati premiati un paesaggio classico cittadino lagunare e una specie di balcone dal quale i viag-giatori guardavano sulla città. Queste due creazioni sono state realizzate e il ricordo è stato notevole, nonostante non vi sia un marchio o una scritta, mentre alcune pubblicità complesse, piuttosto con-fuse, non le ricorda nessuno.

La pubblicità dinamica e quella integrale, se fatte bene, ovvero se il creativo ha colto l’essenziale, danno veramente risultati notevoli.

Di questo anche i clienti se ne stanno accorgendo, perché stiamo esaurendo le nostre disponibilità di tram che abbiamo aumentato rispetto a due anni fa, tanto che non riusciamo più a fare iniziative nostre.La strada è quella che c’è stata indicata molto bene dal Sindaco di Vienna, da Meroni e da Cervetti; dob-biamo essere tutti d’accordo sull’utilità di continua-re a fare uso della pubblicità perché possa essere efficace per le aziende e positiva per la città.

CASTI:

Ringraziando Silvestri per la sua testimonianza,

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non posso non sottolineare che la sua azienda è una di quelle che ha saputo ben seguire il rapporto con la pubblicità ed è inutile evidenziare che trovandosi a Milano qualche vantaggio di natura territoriale lo ha certo avuto.Il prossimo intervento invece, ci illustrerà una real-tà assai diversa e in un certo senso agli antipodi.

La nostra fortuna in questo caso è che Megna, il prossimo relatore, proviene da un ambiente molto vicino al nostro.Bruno Megna infatti, Presidente dell’ACT di Trieste, è stato dirigente in Coca Cola; per questo gli chie-derei di sviluppare il rapporto tra Azienda pubblica, marca e città.

MEGNA:

Questa mattina mi avete cambiato completamente quello che intendevo dirvi quando sono arrivato a Venezia. Ho sentito alcune frasi: “legare la pubblicità alla città”, “il contesto valorizza la pubblicità”, per cui ho pensato che bisogna parlare d’altro.

Ho 28 anni di attività, di cui 17 come dirigente nell’ambito della Coca Cola nella struttura interna-zionale per l’Est Europeo. La pubblicità quindi non è che l’abbia fatta, però ho sempre visto i motivi fondamentali per cui veniva fatto un certo tipo di marketing. Ricordatevi che questo termine - marketing - alcu-ni anni fa rappresentava la pubblicità, dopodichè

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i sistemi di comunicazione si sono specializzati, abbiamo importato quello che era il sistema anglo-sassone americano dei mass-media e dei mezzi di comunicazione e oggi ci troviamo a parlare di pub-blicità quale metodo, sistema di comunicazione, ma proprio perché è un sistema vario a seconda di come viene articolato nei canali di pubblicazione.

Abbiamo pubblicità esterne, interne, medie, sublimi-nali; è un po’ un mondo che, a seconda da dove si tocca, comincia e può essere spiegato con diverse chiavi di lettura. Sapete meglio di me perché lo vedete tutti i giorni per la televisione.La compagnia fa più che altro pubblicità “remin-der”, cioè non pubblicizza il prodotto in quanto tale, la qualità del prodotto, ma ricorda semplicemente perché esiste quel prodotto, quindi c’è un lavoro di base già fatto, di qualità affermata e per tanto c’è soltanto da ricordare.

Probabilmente più vicino a voi può essere l’espe-rienza Fanta - non credo di fare pubblicità a nes-suno perché sono oramai prodotti conosciuti - solo per poter identificare con il nome e il cognome di che cosa parliamo. La Fanta inizialmente è stata pubblicizzata come prodotto di pubblicità, poi non ne ha avuto più biso-gno e pertanto viene identificata come “reminder”, cioè ricordare. Sono sistemi di pubblicizzazione che vanno ad essere supportati dalla psicologia di massa. Ci sono degli psicologi di massa che studiano i

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casi e per tanto i messaggi non sono a se stanti.In genere identificano modelli di vita, sistemi di vita, sogni, aspirazioni. È molto importante il target di riferimento.Queste compagnie scelgono il loro utente; spesso attraverso una pubblicità attuale poco attenta si generalizza il messaggio. Onestamente non essendo un addetto, uno specialista, non so se sia più effi-cace il messaggio diretto ad un target specifico, che non quello generalizzato uguale per tutti.

Mi riferisco un po’ all’esperienza che sto vivendo da alcuni anni all’Azienda Consorziale Trasporti di Trieste. È di questo che volevo parlarvi, perché da una parte abbiamo l’esaltazione del prodotto, l’attività maniacale che per creare un modello, tutti insieme in tutto il mondo con traduzione di spot, con dei motivi musicali che ne supportano e realizzano in un certo tempo un modello di vita sognato da chi lo riceve, dare un messaggio che molte volte travalica anche i confini nazionali per poter andare a fini-re anche in aspetti di politica di massa, dall’altra parte abbiamo oggi una pubblicità molto generaliz-zata, fatta sugli autobus.

Con la Jolly Pubblicità abbiamo rinnovato i rap-porti ultimamente e abbiamo tentato di dare una spinta diversa, una lettura diversa a quelli che erano i rapporti precedenti.È soltanto da 2 anni che stiamo facendo una cam-pagna pubblicitaria a Trieste. È di questo che vi volevo parlare.

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Invidio il dottor Silvestri dell’ATM di Milano, perché sa come è fatta la sua città: una città poliedrica, una città estremamente viva e una città multirazziale, multietnica: ha tutto; è una metro-poli e quando parliamo di metropoli significa che ha tutto.

La nostra è una città, che anche se conta 230 mila abitanti, è una città di provincia, con un’età media di ultra sessantenni. Allora, quando si parla di con-testo, quando si parla del contesto che valorizza la pubblicità, l’autobus o la pensilina o la fermata, qual è il contesto? Il contesto è un’età media ultra sessantenne; allo-ra il messaggio pubblicitario da mandare alla città quando si parla di legare la pubblicità alla città è diverso, bisogna essere estremamente attenti, perché quello che si è potuto fare a Catanzaro, a Pesaro, a Verona, non è detto che funzioni anche a Trieste.

Abbiamo avuto un’esperienza con le prime pubbli-cità sugli autobus a pubblicità decorati; abbiamo avuto anche una querelle sulla stampa locale, perché abbiamo dovuto convenire che l’utente che sopporta una pubblicità tabellare, la stessa identi-ca su un muro o su un display luminoso o un’inse-gna, non la sopporta sull’autobus.Questa è la grossissima differenza che passa da una pubblicità fatta dal privato e l’altra fattadal mezzo pubblico. Perché praticamente la psico-logia dell’utente cosa dice? Il privato fa quello che vuole, ma sul mezzo pubblico, visto che è in

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parte anche mio, si deve fare quello che dico io.Non è una pubblicità esterna in quanto passo e posso anche non guardarla, (la televisione, il tabel-lone non lo guardo, passo) se passo sull’autobus me la porto dietro come un uomo sandwich; questo è quello che abbiamo vissuto noi a Trieste. Chiamatela mentalità provinciale, mentalità vec-chia, d’altra parte quello che è il contesto in cui ci si muove, quindi l’attenzione dei creativi da questo punto di vista deve essere estremamente attenta, proprio al target di riferimento generalizzato che in questo momento abbiamo con l’autobus, l’auto-bus decorato che è la pubblicità innovativa in più, lo avremo con gli show-bus, che ci saranno tra un po’ (sapete di che cosa parlo, quindi è inutile che mi addentri in dettagli tecnici di questo tipo).

È necessaria un’accurata analisi della società in cui questi mezzi pubblicitari vanno ad avere un impatto. Si parla sempre di questi bambini, lo sapete meglio di me che i bambini sono delle coperture di ciò che noi portiamo dentro e di ciò che vorremmo vedere, ma non vorremmo dire di aver visto, perché tutti quanti siamo fatti così, critichiamo sempre l’altro, d’altra parte di questi sistemi dobbiamo pur tenerne conto, come quando mi chiedono di cambiare una linea o di aggiungere una fermata, di spostare una pensilina, bisogna tenerne conto perché quella è l’utenza, quelli sono i nostri clienti e siamo degli intermediari rispetto alla Jolly, in questo caso quindi è un problema che va rivisto.L’ultimo appunto vorrei farlo per quanto riguarda

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la qualità; anche in questo caso la qualità non è nella pubblicità qualche cosa che si può certificare; può anche darsi che ci sia una qualità certificabile, ma la qualità è quella percepita dall’utente, non quella che viene prodotta da chi offre, non tanto il supporto pubblicitario, ma quanto l’anima stessa della pubblicità, il messaggio.Per qualità dobbiamo intendere cosa percepisce l’utente. Sapete che abbiamo avuto dei flop tre-mendi proprio perché l’utenza non ha recepito quel tipo di immagine o quel tipo di messaggio, perché all’interno di qualsiasi tipo di pubblicità c’è un messaggio di vita, c’è un messaggio di ottimismo, c’è un messaggio. Voi sapete meglio di me cosa significa sbagliare messaggio. Molte volte significa penalizzare dei prodotti, addirittura segnare la vita e la sorte di aziende quando si sbaglia la campagna pubblicita-ria: la Coca Cola ne sa qualche cosa con la famosa Diet Coke e Light Coke anni fa. Strategicamente si è riusciti a recuperare, ma non sempre riesce; attenzione non parliamo soltanto di supporti, so di parlare delle persone e questa mat-tina me ne sono reso conto, non è che non dovrei usare il termine sprovveduto, ma tutti quanti sanno esattamente di che cosa si tratta.

Per cortesia fatemi il piacere: studiamo, prendia-mo esempio realmente da chi fa pubblicità con professione, studiamo a chi è diretta, non tanto qual è il messaggio in se stesso, perché soltanto attraverso questo studio possiamo determinare il valore del messaggio pubblicitario e dopodiché

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fare anche un po’ di cultura da questo punto di vista.Invece di parlare tra di noi, dovremmo anche acculturare - passatemi questo termine - quelli che saranno i nostri prossimi utenti.

La pubblicità viene ancora confusa, l’ho detto prima con il marketing, il sale promotion, il pub-blic-relations.Tutte queste cose, che sono i tradi-zionali sistemi di comunicazione, vanno in crisi, perché c’è poca cultura, c’è semplicemente la stra-tegia di massa di riempire gli spazi, creare nuovi mezzi alternativi e poi ci rendiamo conto che si va in crisi.

La televisione continua ad avere il suo spazio; va in crisi la pubblicità tabellare ed un certo tipo di pubblicità. Recuperiamola creando cultura, perché ci si sazia dappertutto, ma non c’è alternativa, siamo davanti alla televisione e ci sorbiamo come soggetti passivi, ma quanti di noi in realtà intera-giscono positivamente con quei messaggi? Facciamo su di noi stessi un’analisi: quanti di noi realmente recepiscono e vanno l’indomani a com-prare quel prodotto?

Le strategie degli spazi esterni devono avere lo stesso concetto: dobbiamo cominciare ad abi-tuarci al fatto che lo spazio esterno deve essere gestito in qualche misura; non sono capace di dirvi come, ma in una certa misura come lo spa-zio televisivo.Non voglio divulgarmi molto, perché so che la

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giornata sarà lunga anche per voi e vi ringrazio per l’attenzione.

SILVESTRI:

Vorrei sottolineare una cosa interessante sulla pub-blicità integrale perché l’abbiamo vissuta un po’ come pionieri assieme a Brescia. Da noi quello che ha fatto buon gioco sul pubblico è stata l’attesa, nel senso che era una cosa annunciata da molto tempo, ma che non aveva mano, nello stesso tempo si faceva notare il grigiore della città di Milano, questi auto-bus tutti gialli, arancioni cominciavano a stancare, era diventato un motivo per il pubblico quasi che questi autobus invece di essere arancioni fossero grigi, per cui quando sono arrivati i primi autobus della pubblicità integrale, che fra l’altro non furono autobus pubblicitari, perché i primi 6 furono prodot-ti dall’azienda praticamente come esempio, di come poteva diventare un autobus: un paesaggio campe-stre, etc. per cui la gente li ha visti come una libe-razione, è chiaro che queste cose tante volte si indo-vinano per preparare l’ambiente e tante volte meno.La pubblicità integrale dopo è stata accettata, ma, ad esempio, abbiamo via via abbandonato gli auto-bus per passare ai jumbo-tram, perché la scenogra-fia era talmente tanta che la gente quando vedeva passare questi veicoli abbastanza misurati e indo-vinati diceva: aspetto il tram della San Pellegrino, etc., quindi era diventato un modo di vedere il tram e questo continua ancora oggi.

Tutto sommato i creativi e le stesse aziende non

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hanno dato tutti lo stesso livello, ma mediamente il livello che è stato dato è stato incisivo sul pubblico e mi auguro anche per chi lo ha utilizzato, perché vedo che molti clienti tornano e ben volentieri, stanno anzi direi ricercando spazi in misura sempre maggiore.

MEGNA:

Giusto una battuta per concludere, il parametro che Trieste sia una città di ultra sessantenni la dice lunga, ma bisogna anche considerare che è una città che ha poca capacità imprenditoriale privata. Non abbiamo la grande impresa privata, abbiamo un para Stato che oramai è allo sfascio, non c’è più, abbiamo commercio e una piccola media impresa che non rende in città.Non voglio criticare nessuno, ma la realtà è questa. Tutto sommato il 50% dei nostri autobus destinati alla pubblicità integrale ce li siamo fatti, circa il 90% della pubblicità la portiamo avanti e questo grazie agli addetti che sono professionisti e che sanno fare il loro lavoro e con questo chiudo, grazie ancora.

MICHELETTI:

Vorrei come al solito riprendere i temi trattati in precedenza, giusto per fare alcune annotazioni in merito. Abbiamo parlato di formato e della neces-sità di stare in un formato e del perché siamo in questo formato.Piuttosto che pensare all’Euro sarebbe proprio

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il caso di pensare all’unificazione dei formati in Europa, visto che i formati sono completamente diversi da Paese a Paese. Perché sono diversi? Perché sono derivati tutti dalla diversa disponibilità di macchine da stampa nei diversi Paesi. In Italia le macchine di stampa erano basate su formato 70x100 e tutti i formati si sono adeguati a questa disponibilità.

In Germania - sono più avanti per certi aspetti - usano il sistema unificato, usano il sistema UNI, quindi tutti i formati dei posters in Germania (se andate a vedere i 6 fogli, i 18 fogli, i 24 fogli) sono basati sul foglio A3 che è un formato unificato, unico.In Grecia le pensiline utilizzano un manifesto di formato 110x160 (che sono una via di mezzo tra i Francesi e gli Italiani) perché l’unica macchina che avevano era questa qui, una macchina che stampava come massimo il 110x160. Non è quindi una scelta determinata dai creativi, non sono i creativi che non hanno interesse, voglia o capacità di sviluppare nuovi formati, è che se parliamo di affissione in ter-mini tradizionali e cioè impianti ripetuti, ben diffusi sul territorio, con un’adeguata copertura e adeguata frequenza, bisogna poi stampare i manifesti relativi, per stampare i manifesti relativi c’è il vincolo della tecnologia, ogni Paese ha seguito un formato colle-gato alla tecnologia disponibile.

I Francesi hanno installato le macchine per stampare il 120x180 in un pezzo solo ed ecco che su questo si è sviluppato in modo estremamente importante il for-

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mato delle pensiline e dell’arredo urbano in Francia.A proposito del discorso su Vienna, è vero che il Sindaco Zilk ha fatto un bel discorso quando era-vamo a Vienna, ma ha fatto solo un bel discorso. A Vienna ci sono circa 30 mila posizioni poster che sono quasi uguali alle posizioni poster che ci sono in Italia. Tenete conto che l’Austria è, dal punto di vista sia della superficie che del numero di abitanti, molto più piccola dell’Italia, meno di un settimo dell’Italia. Se c’è una città in cui l’affissione, i manifesti sono poco coerenti con l’assetto urbani-stico, con la situazione e con la qualità della vita che si può avere a Vienna, questa è proprio Vienna, con il suo sistema affissionistico. Ricordiamoci che in Austria vige un sistema tale per cui le due società di affissione e i due gruppi di affissione più importanti sono emanazione dei poteri politici e quindi si capisce bene come si sia verificata questa situazione. Il Sindaco Zilk, che adesso non è più Sindaco, per fortuna, predicava bene, ma razzolava molto male.

A proposito sempre di poteri pubblici è vero che in Italia abbiamo il problema dell’adeguamento a nor-mativa del Codice della Strada, che è veramente una stupidaggine incredibile, per cui ci sono dei vincoli molto meticolosi per determinare, per regolamentare dove mettere gli impianti, quali impianti mettere e come metterli; è anche vero però che contempora-neamente non ci sono i controlli. Di conseguenza ecco che si spiega il problema dell’abusivismo, sia per gli impianti di breve durata e sia per gli impianti, oggi in particolar modo, di media durata (3-4 mesi).

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Intendo le impalcature con i grandi teli che asso-migliano un po’ alle vetture decorate, (anche lì Milano aveva rappresentato una posizione di punta, il famoso telo di Armani in via dell’Orso lo cono-scono tutti) però oggi ci sono situazioni in cui è più facile pagare una multa e vendere lo spazio per 3-4 mesi…

Per chi non è addetto ai lavori: su un’impalcatura per avere il diritto di esporre un manifesto c’è tutta una procedura, bisogna sottoporre il progetto con 5 copie all’Ufficio delle Pubbliche Affissioni del Comune, versare le imposte, non installare niente finché non si è ottenuta l’autorizzazione. Noi stessi abbiamo avuto in passato un’esperienza di questo genere, è stato più facile esporre i manifesti, avere i verbali dei vigili che hanno detto che questi mani-festi erano abusivi, e dovevamo pagare una multa. Pagare la multa è costato molto meno e abbiamo avuto l’affissione, c’era un problema della “6 gior-ni ciclistica” di Milano, quindi bisognava esporre i manifesti proprio in quei giorni lì, aspettare i tempi di reazione degli uffici comunali era complesso e quindi si è preferita questa situazione.

Oggi ci sono operatori del settore che, soprattut-to sui grandi teli di grande formato collegato alle impalcature, che durano 3-4 mesi, offrono cose interessanti, ma abusive. Spesso i vigili non fanno neanche in tempo a fare il verbale e ad applicare la contravvenzione, bisogna stare molto attenti da questo punto di vista. È un po’ come i limiti di velo-cità sull’autostrada: c’è il limite in Italia 130 dap-

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pertutto, non importa se è la Mestre-Belluno, tre corsie grandissime, raggio di curva amplissimo dove andare a 160 o 170 non comporta nessun pericolo per nessuno, se uno ha una vettura idonea. Però poi non ci sono controlli sistematici, ma occasionali, per cui si va a 160 e si spera di farla franca. Se invece per sfortuna mi capiterà di incontrare un controllo, pazienza: pagherò la multa, sperando che non mi venga sospesa la patente. Per ottenere migliori risultati (sulle autostrade come in affis-sione), credo che dovremmo avere meno regole, ma più controlli.

Si diceva la situazione francese: la situazione fran-cese è molto chiara, dà poche regole per l’affissio-ne, però non c’è un impianto che non rispetti queste regole e se un impianto non le rispetta in capo ad una settimana viene rimosso. È un problema di deontologia da parte delle società di affissione, ma è anche un problema di efficacia del sistema di controllo e repressivo da parte degli Enti Pubblici. Tra l’altro in Francia, non c’è bisogno di autorizza-zione per l’installazione di un impianto, ma solo di una “autocertificazione” da parte delle Società di Affissione che dichiara di avere rispettato le rego-le. È una fuga in avanti pensare di mettere regole ancora più strette, ancora più vincolanti, fare come si diceva a Torino, prescrivendo come devono essere gli impianti, dove devono essere messi, ecc.

La soluzione invece è: regole poche, chiare, una forte repressione e il massimo di privatizzazione. Queste cose sono talmente semplici e talmente evi-

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denti, che difficilmente potranno essere realizzate.Per quanto riguarda le imposte, è vero che la pub-blicità luminosa paga il doppio, forse anche perché è vista il doppio del tempo rispetto all’affissione normale, ma non credo che i Comuni siano arrivati a questa sofisticazione di pensiero, credo che sia solo perché così incassano più quattrini e sicco-me si vede bene non si può scappare. È un po’ la stessa storia per cui i telefonini non sono detraibili dal reddito delle imprese se non al 50%, lo stesso le automobili. Come se io oggi venendo da Milano fossi venuto solo per turismo e non anche per lavo-ro. Invece no, le spese che ho sostenuto metà sono utili della società e solo metà sono costi. Anche per l’affissione luminosa siamo in questa situazione. Certo che se ci fossero meno imposte, se costasse meno, probabilmente anche il mercato rispondereb-be meglio all’offerta che viene fatta.

Un’altra osservazione che vale per i formati, vale per Vienna, vale per le regole, è il discorso europeo: se c’è un settore in cui davvero ci sarebbe bisogno di integrazione, ci sarebbe bisogno di direttive, ci sarebbe bisogno di omogeneizzazione, è il settore dell’affissione, invece ogni paese fa esattamente quello che vuole. In Germania si può ancora fare pubblicità alle sigarette, si può ancora fare pubbli-cità agli alcoolici in affissione, ma non sugli altri mezzi, allora l’affissione è invasa dalle sigarette. I tedeschi che sono furbi hanno detto sì, ma non si può mettere per una marca di sigarette più di un poster ogni 3 mila abitanti, che era la regola di pia-nificazione che seguivano le agenzie per pianificare

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l’affissione in Germania, per cui nella realtà non è cambiato niente.

In Grecia l’85% del mercato è in mano alle sigarette. Sarebbe interessante anche in Italia dal punto di vista del mercato avere questo settore, invece in Italia no, in Francia no, in Spagna no etc.. Una ricerca di integrazione europea dal punto di vista di queste regole sarebbe un altro fattore sicu-ramente interessante.Mi spiace che il Dottor Silvestri non sia più qui, perché c’è una cosa che mi piacerebbe chiedergli. Perché deve essere così complicato ottenere il per-messo dall’ATM per decorare un tram? Abbiamo un cliente internazionale che ha sede a Londra; quando gli abbiamo detto che doveva presentare la domanda in triplice copia su carta bollata, allegato lo statuto della società, ha detto:«no, per carità, non facciamoli i tram decorati».

Perché un’azienda che ha come missione quello di assicurare i trasporti efficienti in una città impor-tante e complicata, deve investire risorse, energie per esaminare le pratiche? Noi abbiamo realizzato tram decorati in molti Paesi Europei in Svizzera 7, in Olanda 5, in Repubblica Ceca, in tutte le città della Repubblica Ceca abbiamo allestito dei tram decorati, dipinti, in Polonia e perfino in Lettonia, ma non abbiamo dovuto esibire il certificato anti-mafia o altre richieste di questo genere; facciamo la domanda, se hanno la disponibilità ci dicono quanto costa, ci dicono quali sono i vincoli tecnici, per quieto vivere, visto che i nostri soggetti spesso

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sono controversi, glieli facciamo vedere prima (ma normalmente ci dicono di sì, non abbiamo avuto nessuna reazione negativa da questo punto di vista). Definiamo gli aspetti economici e poi … via!Com’è invece che l’ATM si avvale del diritto di cen-sura o si vuole porre, così come Trieste per altro, come censore della pubblicità. Vogliono giudicare loro se un visual è adatto o no…?

CASTI:

Se non sbaglio proprio a Roma c’è una Commis-sione preposta.

MICHELETTI:

È come se non ci fossero le regole di autodisci-plina, oppure il garante che già da solo dovrebbe essere sufficiente per garantire la correttezza dei messaggi. Com’è che la società dei trasporti ha maggiore sensibilità o minore sensibilità rispetto all’istituto di accertamento, piuttosto che al comi-tato del garante? Non mi sembra che sia necessa-rio mettere ulteriori regole, ulteriori valutazioni. Sì, è vero, uno dice: lì pagano il biglietto, quindi è uno strumento a pagamento. E il canone RAI, allora? Poi, il pubblico che ci interessa quando facciamo un tram decorato non è quello che sale sul tram o non è solo quello, è molto di più, altri-menti a Praga non avremo certamente fatto i tram decorati, (ancora oggi una corsa in tram a Praga costa 360 lire, proporzionalmente è il prezzo cor-rispondente a livello di reddito italiano), ma non è

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certamente quello il cliente che può andare a com-prarsi dei jeans da 50 dollari. Anche lì l’azienda dei trasporti deve valutare che ci sia coerenza tra il messaggio che viene applicato e l’immagine del mezzo di trasporto? Mi sembra un vincolo pesante alla creatività.

Ricordo l’esempio che faceva anche il Dottor Silvestri a riguardo dell’Esselunga. L’Esselunga fa una campagna ogni mese per 12 mesi all’anno, forse per 10, di affissione tradizionale in date città, (tra cui Milano) con una creatività, per fortuna loro e anche nostra che ci occupiamo del mezzo, fanta-stica, ci mancherebbe che avendo fatto 3 o 5 tram non si vedessero a Milano.

CASTI:

In realtà Esselunga ha sfruttato meglio di altri la risorsa tipica della distribuzione, quella di poter inve-stire grandi risorse sui mezzi areali.Si può quindi permettere di surclassare oltre che con la qualità (che in questo caso è fuori discussione) anche con la quantità, perché come dice una nota campagna pubblicitaria “Two is meglio che one”.

MICHELETTI:

Non importa, ma ne faccia 3 o 10 il problema non è che il tram di Esselunga si vede meglio di quello di San Pellegrino ed è più efficace di quello di Pellini Caffè, è solo che sull’immagine dell’Esse-lunga, sullo stesso tema, sullo stesso meccanismo,

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c’è una presenza continuativa durante tutto l’anno.San Pellegrino fa solo il tram e non fa neanche una campagna di affissione. Non è quello il meccanismo.Anche riguardo a Trieste. Se una campagna pubblici-taria non funziona, se qualcuno ha sbagliato perché ha sbagliato target, se Coca Cola non si consuma a Trieste non è colpa degli autobus, il problema è di Coca Cola, non nel mezzo di trasporto. Non esiste che il mezzo di trasporto si debba preoccupare se funziona o non funziona dal punto di vista comuni-cazionale. Si può preoccupare di questo per vedere la sua potenzialità di mercato, per capire se è un mezzo che potrà avere uno sviluppo o meno, ma certo non per decidere se Coca Cola ha fatto bene ad usarlo.

Io sbaglio spot o sbaglio pianificazione in televisio-ne, il mio spot non si vende, è colpa della televisione? Forse no, non mi sembra. Anche qui: non bastano le regole collettive se il messaggio non corrisponde al senso del pudore piuttosto che ai problemi di con-correnza e così via?

Ci stiamo confrontando troppo tra di noi, al nostro interno: il sistema della pubblicità esterna e non solo dell’affissione, è un sistema diffuso in tutto il mondo. Mi rendo conto che soprattutto dal punto di vista legislativo, soprattutto dal punto di vista ope-rativo, i vincoli sono tanti e non ci si può astrarre da quelli, ma dal punto di vista generale credo che varrebbe la pena di confrontarsi con gli altri Paesi per capire, per migliorare, per sviluppare l’impiego del mezzo.

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CASTI:

Ho preso parte al citato Congresso di Vienna. Ero tra i pochissimi italiani presenti e non ero ancora in Jolly; ci sono andato come architetto.La mia relazione sviluppava proprio il problema del-l’inquinamento dei messaggi nell’ecologia urbana. Lì a Vienna mi sono accorto che per quanto utile, è molto difficile confrontarsi con Paesi tanto diversi da noi.Ti viene rabbia constatare che le pensiline a New York si vendono come il pane, che in Francia gli impianti sono così tanti e belli, che in Svizzera tutto è preciso come un orologio e poi quando torni a casa ti ritrovi che il Codice della Strada (unico paese al mondo) ti impedisce praticamente tutto e che quello che può rimanere all’interno dei centri urbani ti costa un occhio della testa, perché, chissà per quale motivo, a differenza degli altri mezzi pub-blicitari, l’affissione in Italia è tassata.Per questo prima parlavo di alternative necessarie e che impropriamente mi verrebbe da utilizzare un termine che odio: scappatoie.

MICHELETTI:

Più che trovare la scappatoia sarebbe opportuno trovare la soluzione di queste cose, capisco che può essere utopico da molti punti di vista…

CASTI:

La soluzione più praticabile probabilmente è l’uti-

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lizzo creativo di quegli spazi legittimi, ma sappia-mo quanto difficile sia per esempio, soprattutto per i clienti multinazionali, declinare le campagne confezionate altrove in giro per il mondo, senza considerare purtoppo l’eventualità di formati stra-ni ed inediti.

MICHELETTI:

Però la raccomandazione all’agenzia per un uso creativo del mezzo, alle agenzie creative in genera-le, è sicuramente importante. Abbiamo assistito la scorsa settimana ad un mezzo che sembrava com-pletamente, direi inattaccabile dal punto di vista delle innovazioni, come la radio RAI, abbiamo sen-tito questa campagna Perugina, dei baci perugina, per la festa della Mamma: al di fuori degli schemi, al di fuori dei break, con formati molto diversi, con modalità nuove: molto interessante!Anche in affissione si potrebbero studiare forme innovative di impiego del mezzo, forse non tanto come formati, ma soprattutto come impiego “crea-tivo” di combinazioni di supporti.

CASTI:

Per Perugina come al solito non c’è nessun pro-blema, come Coca Cola o come altri illustrissimi marchi che si possono permettere di provare e di spendere. Se Coca Cola sta trattando con lo Stato Pontificio per il giubileo non lo può fare Birra Pinco Pallino. Le Olimpiadi di Atlanta le hanno fatte probabilmente perché quel marchio ne ha

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avuto la forza, purtoppo si tratta solo di episodi e purtroppo per noi sono molto pochi.

MERONI:

Vorrei invitarvi, provocatoriamente, a smettere di piangerci addosso, perché mi ricorda un po’ le lamentele del mercato finanziario italiano fino a qualche anno fa, quando gli interessi dei BOT e dei CCT erano ancora a percentuali di due cifre e tutti si domandavano: com’è che gli italiani, contraria-mente agli svizzeri o ai tedeschi, sono così poco inventivi nei prodotti finanziari? La spiegazione era chiara: avevamo una cappa sopra la testa, rap-presentata dalla concorrenza ufficiale dello Stato, che per compensare il suo deficit, imponeva una concorrenza abusiva.

Sul nostro mezzo vige un’altra concorrenza da una decina d’anni: è un paese ”catodico”, inutile che ci giriamo attorno, se noi invece di rappresentare meno del 3% rappresentassimo qualcosa di più, inventeremmo e sapremmo vendere.Buon esempio il qui presente architetto e la sua Società: se li inventano i nuovi mezzi e i nuovi impianti, ma poi a chi li vanno a vendere con quel-l’impatto che potrebbe sovvertire il mercato, in un paese in cui siamo imbrigliati da regolamentazioni come quelle che ci derivano dal Codice della Strada e quelle che ci derivano dall’ordinamento fiscale, in particolare dai tributi locali?

Come possiamo noi scrollarci di dosso questa tutela

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quando tutto va a ”proteggere” il mercato catodico? Il grosso sforzo - e chiaramente qui parla quello che non vende la pubblicità, ma che la difende isti-tuzionalmente - dobbiamo metterlo anche in una difesa istituzionale presso l’Amministrazione del nostro spazio vitale. Esiste uno spazio rappresen-tato da una percentuale che in Italia è sottostimata e che soffre ormai da anni.

CASTI:

Ringrazio Micheletti che come al solito è stato esauriente, ma soprattutto perché ha aperto di molto la panoramica.Credo che a questo punto valga la pena mettere a fuoco una bella esperienza che ha visto funzionare il meccanismo della sponsorizzazione dei servizi alla collettività, non cambiando le regole del mercato, né raggirando norme o regolamenti.

Vorrei parlare di un’importante agenzia romana, qui degnamente rappresentata dalla mia amica Di Blasi, di un grande cliente nazionale che doveva diffondere la sua leadership, di un bel manufatto che sono fiero di aver progettato e di una società, quella che rappresento, che ha investito tantissimo per inserire questo nuovo prodotto/servizio in una città difficile e bellissima come Roma.

A parte le problematiche di progetto e la partico-larità dell’inserimento del manufatto nel tessuto urbano della capitale, la difficoltà maggiore è stata quella di individuare uno sponsor adatto a questo

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intervento, che potesse ricavare dall’operazione un contenuto d’immagine tale da giustificare l’inve-stimento che progressivamente sarebbe diventato sempre più alto e comunque considerevole anche per una città come Roma.Ne è scaturito un evento che ha portato Pagine Gialle ad assaporare il giudizio positivo che i roma-ni hanno concretizzato attraverso un’infinità di lettere e telefonate giunte all’Atac o all’agenzia di pubblicità.

La scelta di un interlocutore unico si è dimostrata azzeccata, perché ha accresciuto la visibilità della qualità dell’iniziativa.

È chiaro che con un unico soggetto pubblicitario le pensiline si sono rese più visibili, più riconoscibili e così anche le nuove installazioni erano più indi-viduabili attraverso un manifesto con cui l’utenza aveva ormai familiarizzato.

Ma credo sia giusto sentire dalla viva voce di Manuela Di Blasi che cosa è successo e quale è stata la percezione dalla parte del cliente.

DI BLASI:

Penso che uno dei punti fondamentali della riuscita di quest’operazione, o quanto meno di questa intui-zione, che era nata da una chiacchierata tra Casti e la nostra agenzia, sia stata anche un po’ la città di Roma, che come tutti sapete soffre più di tante altre città di problemi di abusivismo.

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A Roma si crea il paradosso che prendere posters in batteria sia una cosa positiva e non una duplicazio-ne, infatti è necessario ripetere il proprio messaggio per ”farsi vedere” nella giungla di posters che ven-gono continuamente installati.

L’ altro aspetto fondamentale è stato il connubio tra un ”oggetto utile”, la pensilina, e la comunicazione di clienti che offrono servizi, come Pagine Gialle e Telecom per il progetto Roma-Nexus.

Nella fase iniziale l’ATAC, nel definire la colloca-zione degli impianti, si è soprattutto preoccupata dei propri utenti; l’installazione di pensiline in quartieri per lo più periferici (quelli probabilmente sprovvisti di ripari, ma al contempo con fermate bus molto frequentate) non sempre ha coinciso con le necessità dei clienti per ciò che riguarda la diffusio-ne del proprio messaggio pubblicitario.In un secondo tempo, grazie anche all’interme-diazione della Jolly, che si è fatta portavoce delle nostre esigenze, l’ATAC ha consentito a far montare gli impianti in posizioni molto interessanti.

Oggi disponiamo di posizioni centralissime, ove oltretutto non sono presenti altri impianti di un formato così importante che, a differenza del poster, proprio per il suo vissuto di “pubblica utilità”, non solo non dà fastidio, ma viene addirittura apprez-zato con il conseguente beneficio per il cliente.Infatti come diceva Casti, per Seat Pagine Gialle, che è stato il primo cliente ad utilizzare le pensil-ne, abbiamo ricevuto telefonate di ringraziamento,

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telefonavano in agenzia per ringraziare del regalo che Seat aveva voluto fare alla città di Roma, quasi mettendo in secondo piano l’ATAC.

Direi che le pensiline possono costituire una prima strada nella soluzione di quanto ci siamo detti finora, a proposito dell’affollamento e della scar-sa qualità, strada che secondo me dovrebbe essere ricercata e percorsa anche nell’utilizzare gli altri media.Tutti i clienti, dal più grande fino a quello che ha necessità di ottimizzare un budget più esiguo, hanno l’esigenza di trovare situazioni diverse, nuove, capa-ci di creare interesse.Mi sembra che le pensiline possano sicuramente inserirsi in questo contesto.

CASTI:

Per quanto sia vero quello che dice Manuela, mi sento di portare alla vostra attenzione un problema non risolto. In azienda non riusciamo a rimuovere il timore che l’importanza e la visibilità delle pensi-line sia dovuta in larga misura alla sua esclusività. Non vorremmo trovarci nella condizione di cambia-re formula di vendita (creando magari dei circuiti ed inserendo più clienti) e ritrovarci con un prodot-to meno apprezzato.

Vorrei proporre a Micheletti il quesito.Vedo che scrive, non so se le domande o le risposte. Poi lo chiedo anche alla Venditti così almeno si pre-para la voce, lo chiedo a Micheletti intanto.

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MICHELETTI:

Non sono preparato a dare una risposta profes-sionale, perché non ho in mente gli elementi tec-nico-economici collegati all’operazione. Roma, come sappiamo, è in questo momento sulla bocca di tutti per altre situazioni e bisogna vedere che cosa succede. Nel nostro caso specifico dei nostri clienti, l’uso delle pensiline è stato sempre precluso dal formato verticale, perché il nostro cliente prin-cipale per scelta creativa ha sempre sviluppato le proprie campagne in formato orizzontale, quindi il problema non si è mai posto per l’unico che aveva la potenzialità per accedere ad uno strumento di questo genere.

Non sono davvero in grado di dare una risposta. Mi sono scritto pensiline Roma e mi riservo eventual-mente di riprendere il discorso in altra sede.

VENDITTI:

Se noi le comperiamo nell’ottica di copertura per una città in un determinato periodo che si può anche allargare dai 15 ai 30 giorni, credo che molti clien-ti per avere una copertura anche al 40- 50% al 30% siano disposti ad acquistare i nostri impianti, soprattutto considerato che Roma praticamente non dispone di impianti centrali. Il formato inoltre non è piccolo, si potrebbe com-prare veramente come avevamo detto in sostituzio-ne dei posters.

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CASTI:

È una cosa che verificheremo presto…

VENDITTI:

La politica dell’I.G.P. è di vendere le pensiline, 300 pensiline a Milano per 15 giorni, vedete di fare un attimino il paragone tra Roma e Milano e vi trove-rete a verificare che c’è spazio per vendere i vostri impianti.

DI BLASI:

Credo che sia sempre in quest’ottica fondamenta-le che il cliente, che è un cliente istituzionale, che - questo è un mio parere, ma credo condiviso da Paolo - probabilmente ridurlo, passatemi il termine, ad un modulo di vendita che possa essere troppo simile a quello di un poster, inevitabilmente ne smi-nuirebbe il valore, parlo anche dal punto di vista del valore pubblicitario per il cliente. Credo proprio che la prerogativa, seppur onerosa, sia proprio quella di averle tutte.

CASTI:

Sì, e molto più vicino al concetto di sponsorizza-zione piuttosto che a quello di pubblicità che a noi in questo caso piace di più. Il nostro core business è la vendita degli spazi pubblicitari in forma tradi-zionale, ma ci siamo accorti che la vendita di spazi inconsueti, non tradizionali e inventati, o confezio-

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nati ad hoc, è più remunerativa anche dal punto di vista dell’immagine aziendale.

Tutte le gare che abbiamo vinto recentemente erano basate sull’invenzione di situazioni molto originali di comunicazione. Il problema sarà piut-tosto quello di fare confluire questi spazi innovativi all’interno di un mercato che è abituato a compe-rare delle cose che hanno un formato o che hanno uno standard.

MERONI:

Anche qui non giriamo attorno al problema Roma senza dirci quello che è e che rappresenta effettiva-mente Roma, a parte quantitativamente una massa enorme di superficie e di pubblicità esterna, ma soprattutto un sovraffollamento pubblicitario che quello sì ha creato una banalizzazione del nostro messaggio e del nostro supporto. Quando cerchia-mo tanto le ragioni per giustificare anche dal punto di vista del prezzo la presenza di uno strumento innovativo, lo si dice caro, lo si dice non fortissimo perché parallelo al senso di marcia, però comun-que alternativo alla situazione romana, dobbiamo soprattutto dire che rischia di diventare uno dei pochi mezzi visibili nel caos assoluto che in questo momento rappresenta Roma.

Dove tra parentesi sulla questione dei prezzi si sta facendo il tutto e il contrario di tutto, quindi non so bene quali siano i parametri di riferimento per dire che un mezzo è caro o meno caro. D’altronde se

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la minaccia reale per la pubblicità tradizionale per conto terzi a Roma è costituita da un famoso, se ne parla molto da parecchio tempo, senza vederne mai risultati, appalto sull’arredo urbano, altro sogno megagalattico di non si sa bene quale visionario architetto romano, significa che il Comune stesso cerca di trovare, non solo per questa ragione, ma senz’altro anche per questa ragione, una via d’usci-ta massacrandoci tutti chiaramente…

DI BLASI:

Sul fatto che le pensiline siano più o meno care, a mio parere non sono care. Credo che poi l’importan-za del budget da investire su questo media sia dato dal fatto di cui parlavo prima, il senso di avere tutte le pensiline disponibili e di averle per tanto tempo e con quel materiale. Il materiale di realizzazione effettivamente in pro-porzione al budget, se parliamo per dire di 4 metri di esposizione, è veramente pesante, però effetti-vamente c’è da dire che la posizione e l’altezza, il fatto che siano così irraggiungibili, fanno sì che sia obbligatorio produrre materiali che siano facilmen-te da pulire in maniera veloce e continua.

COLLESEI:

Trovo che sia assurdo il ragionamento che qualche d’uno fa di riavvicinare questo mezzo alla tradizio-nale affissione; dovete assolutamente considerarla come una sponsorizzazione, per cui assolutamente non va verificata. Se uno fa il confronto allora qui

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ci deve essere un’azienda che vuole rapidamente inserire un prodotto o meglio, mi insegnate, un mar-chio che vuole fargli raggiungere una certa notorie-tà, che ha un mezzo in zona estremamente efficace come potrebbe essere un’altra sponsorizzazione, questo richiede automaticamente un periodo relati-vamente lungo, non sto a dire se sono 3-4 mesi, ma certamente non 10-15 giorni. Richiede un mezzo di un certo prestigio, livello, probabilmente richiede di essere appoggiati con una comunicazione, prodotti e altre cose al di fuori.

Una comunicazione quindi orchestrata piuttosto bene, semmai il problema è che nelle grandi città questo taglia fuori molte imprese di medie e piccole dimensioni. Però la domanda che vorrei porvi, non avete posto il problema dove potrebbe, qui sì l’in-cidente del costo del mezzo diventa determinante, bisogna trovare una soluzione efficace altrettanto, ma più economica da fare a Padova perché altri-menti a Padova non si farà mai. Tanto per avere un’idea.

CASTI:

L’abbiamo già fatto e ha funzionato molto meno e costa molto meno ed è credo una decina di pensiline, quindi è un fenomeno completamente diverso.

Silvestri prima parlava di Milano. A Milano tutto funziona perché è la città della pubblicità per defi-nizione, funziona quindi, sono molto fortunati. A Roma questo tipo di esperienza ha funzionato e io

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auspico funzioni per lungo tempo, certo è che è un impegno molto grande. Noi siamo affannati a farlo assomigliare ad una sponsorizzazione e il clien-te gradisce questo. Non dimentichiamo che quel formato è il formato attraverso il quale lo stesso Comune di Roma espone i manifesti della comunale, la differenza è che in quella versione sicuramente meno curata e seguita vengono immediatamente ricoperti con quelli abusivi.

DELLA CORTE:

Rispetto alle pensiline il punto di vista di Futura Media è conosciuto. In riferimento alla domanda. Credo che la politica di vendita riguardi un aspetto puramente commerciale legato alle vostre esigenze. È evidente che vendere in circuito le pensiline (e sono molte) significa tirare fuori i clienti locali, dato l’onere del costo e questo in un mercato indice in termine di investimenti locali, se fossi in voi lo valuterei con attenzione.

C’è anche da considerare che questo è un veicolo di supporto, ovvero non può essere pianificato da solo, ma deve necessariamente vivere in una campagna, insieme a formati diversi, come i 600x300. Questo perché per sua natura, se pur di formato interessante, è spesso laterale e non è certa la sua visibilità, data la sua funzione.Inoltre il suo costo (acquistando tutto il circuito) alzerebbe notevolmente, all’interno di un piano, l’in-cidenza del “costo per comune”.

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Un elogio alla Jolly che si sta caratterizzando, in special modo in alcuni comuni, con una “pubblicità pulita” e funzionale vedi i cestini a Venezia, le pali-ne, le pensiline, ma il problema si presenta quando un’agenzia deve prevedere, nonostante le caratteri-stiche qualitative del mezzo, tra i costi la stampa di un formato non sempre usato e una quantità di impianti notevoli.

Altra cosa è poi il fatto che lavorare a Roma sul 600x300, senza avere spiacevoli sorprese è oneroso in termini di lavoro e di quantità di tempo investito. Il fatto è che la quantità di impianti, regolari e non, è talmente alta, che se non stiamo attenti, rischia-mo di spendere molti soldi e di non essere visti, un po’ per problemi legati alla qualità degli impianti, un po’ per l’effetto “marmellata” determinato dal-l’eccessiva presenza di pubblicità.

Qui ci sono i ragazzi del Master che io non vorrei spaventare, anzi, a loro vorrei dire, che se pur diffi-cile da gestire e da proporre ai clienti è un veicolo assai valido, per tutte quelle caratteristiche tecniche che notoriamente lo contraddistinguono dagli altri .È un mezzo che “torna”, anche se difficilmente si riesce a spiegare al cliente, perché non esistono, nonostante gli sforzi dell’INPE, dei dati da poter fornire. Non siamo in grado di fare né una pre, né una post-analisi, su quanto spendiamo in termini di costo per contatto. Potenzialmente questo mezzo potrebbe rappre-sentare quote di mercato assai più cospicue, se

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esistessero delle informazioni scientificamente più attendibili di quelle che ci sono attualmente. Questo vale per tutti i paesi e non solo per il nostro.

L’Italia in particolare si attesta su dei valori bassis-simi rispetto gli altri paesi, anche per un problema di leggi e regolamenti di cui come al solito non siamo carenti quantitativamente, ma qualitativamente.Roma è un mercato indice anche in questo.Io non me la sento di colpevolizzare gli operatori romani, perché conosciamo bene le responsabilità della Pubblica Amministrazione. Il Comune, nella persona del Dr. Gentiloni, ci infor-ma nei vari momenti di confronto, che delle cose interessanti si stanno facendo, ma contemporanea-mente ci chiede collaborazione, sperando che un eventuale irrigidimento da parte nostra e nei con-fronti dell’operatore abusivo possa indurre lo stesso a desistere e quindi a ritirarsi di buon grado.

Non possiamo chiedere il certificato o l’autorizza-zione per ogni impianto che pianifichiamo, anche se lavorando molto su questo mezzo possiamo immagi-nare quali impianti non siano regolari. Non sta a noi, che peraltro siamo penalizzati da que-sta situazione, assumere il ruolo di moralizzatori.

Abbiamo testato la resa del mezzo su alcuni clienti locali, chiedendo direttamente ai titolari e i risultati sono clamorosi. Parliamo di un 30% in più rispetto all’anno precedente e in un caso di un 40% rispetto lo storico.

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È evidente quindi che auspichiamo in generale un riordino del mercato, in particolare una maggio-re attenzione e un ulteriore sforzo per migliorare (ridurre nei limiti del possibile i costi di produzio-ne) i mezzi che oggi sono a disposizione (decobus - pensiline in circuito ecc.) dei clienti nazionali per messaggi istituzionali, al fine di proporre una presenza alternativa anche a clienti nazionali con messaggi promozionali o a clienti locali, tenendo in considerazione che i costi di produzione sono già oggi troppo incisivi rispetto al costo spazio.

MERONI:

Credo che a Della Corte vada risposto ad un livello giusto, senza entrare negli aspetti troppo tecnici che alcuni degli allievi del Master non potrebbero ancora seguire pienamente. Da parte del mezzo si stanno infatti facendo due cose proprio in direzioni da lei indicate.

Dicevo prima misurazione. Effettivamente si è fatto poco, ma ancora meno si è propagandato; dal 1974 in poi sono state fatte delle cose abbastanza valide. Effettivamente tutto ciò va rispolverato, soprattutto nel senso di non andare a cercare e rimisurare le audience acquisite, ma anche in direzione dell’im-pact del mezzo pubblicitario.

Dobbiamo poter dimostrare, anche con l’aiuto di “case history” che esistono e che sono diventate ormai di valore europeo, penso alla Esselunga or ora citata, il valore del mezzo e tutto quello che può

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ingenerare di apporto nelle varie tappe, terminan-do con la creatività e responsabilizzando tutti gli operatori. Non è soltanto una questione di formato, di materiale o al limite di repressione della pubbli-cità più o meno abusiva, è anche una questione di creatività, di interesse in tutti i sensi da parte delle agenzie e delle centrali media. In questa direzione l’Associazione si sta muo-vendo; crediamo che da qua a settembre, alcune cose, magari non ancora quantificate, ma giàben delineate, potranno essere rese pubbliche. Risponderemo meglio degli altri mezzi. Per quello che riguarda la lotta all’abusivismo non è un aspetto tecnico, vi assicuro, è veramente una prerogativa quasi completamente italiana.Questa manifestazione illegittima del nostro stes-so mezzo ce la viviamo all’interno, qualche volta capita addirittura che noi stessi siamo tentati dal praticarla quando un Comune, per anni, non ha dato una sola autorizzazione.

Contro questo fenomeno abbiamo un approccio del pieno coinvolgimento di tutti gli attori: non voglia-mo più accontentarci di vedere promessa dalle varie amministrazioni la rimozione degli impianti abusivi.Vogliamo ottenere prioritariamente dai comuni un nuovo sistema di ricopertura; non più la ricoper-tura che, ad esempio, a Milano adesso prevede il messaggio “affissione abusiva”, ma ad esempio, quello che siamo riusciti ad ottenere a Roma, “pub-blicità illegale”, perché quella è pubblicità illegale. Ci battiamo in questo senso e quei pochi interventi che siamo riusciti ad ottenere in collaborazione con

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l’Amministrazione di Roma hanno portato a dei risultati eccellenti.

DELLA CORTE:

Anche io eviterei di entrare in argomenti tecnici altrimenti ci dilunghiamo troppo, ma la soluzione “pubblicità illegale” non è corretta nei confronti del cliente, poiché non è la pubblicità, ma l’impianto illegale e mi è capitato che oltre tutto fosse espo-sta su un impianto irregolare, perché spostato di indirizzo, ma autorizzato e questo crea non pochi problemi.

MERONI:

È una fase transitoria, perché chiaramente il con-cetto illegale è volutamente ambiguo e non possia-mo abusarne. Però bisognava passare veramente per questa doccia fredda: qualcuno che aveva acqui-stato in modo troppo leggero, doveva rendersi conto che doveva domandare qualcosa di più al mezzo. Questo qualcosa di più, dato che ci sono Società che sono dispostissime a giurare che loro di mezzi illegali abusivi non ne hanno, non ne forniscono e non ne vendono. Questa cosa andava detta e chiari-ta una volta per tutte.

Anche perché, ripetiamo, tutti gli altri mezzi di lotta contro la pubblicità selvaggia nel passato non sono serviti.

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DELLA CORTE:

Mi auguro che nel tempo sia risolutivo e che sia altrettanto risolutivo il censimento di gennaio, ma da gennaio ad oggi sono nati altri impianti e noi stiamo perdendo fiducia.

CASTI:

Abbiamo visto che Milano gioisce per gli effetti della pubblicità, Roma invece piange drammatica-mente le conseguenze.

Mi proponevo con i prossimi interventi di sviluppare in senso inusuale il tema delle potenzialità cercando di capire quanto sono praticabili certe strade che hanno certo contenuti etici ed innovativi, ma che, a quanto pare, non sono riuscite a crescere adeguata-mente e soprattutto non vengono interpretate come buoni esempi da seguire.

La prima testimonianza è quella di un giovane architetto.Boeri, oltre ad esercitare la professione, occupando-si soprattutto di urbanistica, insegna all’Univer-sità e quindi, se vogliamo, è da considerarsi un educato-re, un influenzatore del gusto futuro.Per questo è stato molto stimolante lavorare con lui e per questo sono felice di averlo al tavolo per raccontare la sua esperienza “pubblicitaria”.

Con lui abbiamo sviluppato, tra l’altro, la comuni-cazione esterna della Triennale di Milano, utilizzan-

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do messaggi e forme inedite e all’avanguardia nel nostro mondo.Boeri ora è protagonista di alcuni progetti riferiti ad aree speciali all’interno di Genova e di Napoli, due città molto importanti che stanno cercando di rendere più belle, ma soprattutto più razionali le aree portuali.

Spero che le esperienze comuni gli abbiano fatto maturare una certa sensibilità rispetto agli spazi pubblicitari e spero che sviluppando questi progetti tenga presente la necessità di prevedere e organiz-zare la presenza dei manufatti pubblicitari.Solo in questo modo, oltre a non disturbare, risul-teranno graditi e potranno considerarsi una risorsa legittima.

BOERI:

La mia competenza è molto distante da alcune delle questioni che vengono trattate. Vorrei semplicemente, forse ricordando un po’ questa esperienza sperimentale molto interessante, spregiudicata per certi versi, fatta grazie a Jolly Pubblicità e alla 3M di Milano, capire se dal punto di vista di chi si occupa di architettura, di alle-stimento spazi urbani esterni può venire qualche suggerimento, o qualche consiglio, al mondo della pubblicità esterna e ai diversi operatori che in esso operano.

Come vi ricorderete, almeno chi ha avuto modo di seguire questo tentativo, l’ ipotesi era quella di dare

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pubblicità ad un evento culturale, che era l’ Espo-sizione Internazionale della Triennale di Milano a Palazzo dell’Arte ed era di allestire una grande piazza di mobilità, che è Piazza Cadorna, che è nei pressi del Palazzo dell’Arte e allestendo la Piazza, portare la presenza dell’evento culturale che avve-niva a qualche centinaia di metri in uno dei grandi cuori della mobilità della città.

L’idea è stata quella di mettere a punto dei totem, cioè degli elementi che dovevano essere alti circa 9-10 metri, poi sono stati purtroppo abbassati da una serie di norme di cui siamo anche noi pena-lizzati, legate all’altezza massima dei codici della pubblicità, legati ai fili dell’Enel e ad una serie di altre questioni. Questi totem, circa una ventina, avevano un po’ lo scopo di ispirarsi al tema della mostra che era “Identità e Differenza”.Tutti uguali nella configurazione e nella dimensione, ma ciascuno rivestito da un grafico chiamato ad hoc in quell’occasione, davano una loro interpretazione del tema “Identità e Differenza”.Il tema di cui si faceva pubblicità il totem, era dato dall’oggetto stesso, che era il tema della ripetizione dell’identità, mentre la differenza era data invece dalle diverse pelli che i grafici hanno disegnato.L’esperienza è stata interessante per tre ragioni che vorrei brevemente riprendere, perché mi sembra possano essere vicine alle questioni che ho sentito trattare soprattutto questa mattina.

La prima ragione riguarda proprio il problema della

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localizzazione della pubblicità esterna, o comunque dei messaggi che hanno una pubblicità mirata. Penso che dobbiamo oggi tener conto del fatto che il modo di abitare lo spazio della città è molto cam-biato anche solo rispetto a 15-20 anni fa, si è molto sviluppata una tendenza alla mobilità individuale, che è anche una tendenza a muoversi, percorrendo spazi sempre più estesi nel territorio e all’esterno delle nostre città , nell’arco di una stessa giornata.

Ci sono statistiche su questo molto chiare.Noi oggi tendiamo nel ciclo spazio temporale di vita quotidiana, percorrere degli spazi in automobi-le molto più estesi di un tempo, per compiere azioni che sono però molto legate ad una dimensione urba-na: si va al cinema magari in periferia, poi si va a fare gli acquisti nel centro commerciale che è dal-l’altra parte della città, prendendo la tangenziale e poi ci si incontra la sera magari in un bar invece che nel centro storico pedonalizzato.

Questo, se vogliamo suscitare un interesse da un punto di vista della localizzazione pubblicitaria, in situazioni e impostazioni che sono molto più artico-late di un tempo, dovrebbe anche portarci a pensare con più attenzione, al fatto che spesso l’esperienza percettiva è molto legata oggi a delle sequenze di paesaggi piuttosto che a delle scenografie urbane fisse statiche ed è un’esperienza, soprattutto nel ricordo, molto legata al fatto che la nostra giornata si costruisce attraverso una serie di sequenze che sono spesso ricorrenti.

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Pensate quando andate in un centro commerciale: si esce di casa, si piglia la macchina, si prende spesso una tangenziale, una radiale che esce dalla città, poi si arriva ad una segnaletica stradale che ci avvisa che, spesso è in posizione diversa rispetto a quella ci immaginiamo, c’è un centro commerciale, c’è un grande spazio di parcheggio, si parcheggia, si esce, si cammina a piedi, poi si entra in questo grande spazio artificiale (è un’esperienza completamente simmetrica) si esce di nuovo a riprendere la mac-china…

È il pacchetto di questa esperienza che diventa un elemento che noi memorizziamo poi alla fine, non è tanto un luogo, due luoghi, tre luoghi, è l’insieme di questa esperienza. Questo secondo me è importante, perché ci aiuta a capire che spesso il luogo dove localizzare alcuni degli elementi di una pubblicità esterna, in questo caso mi rifaccio all’esempio di Cadorna, va pensato anche in rapporto a come questi pacchetti si for-mano.In quel caso ad esempio, essere in Piazza Cadorna a Milano, voleva dire essere in un punto dove decine di migliaia di persone fluiscono senza fermarsi, perché c’è una rete molto importante della ferrovia, c’è la fermata della metropolitana e c’è una fermata dei trasporti pubblici.

In quel caso abbiamo pensato che, invece di dare forza al messaggio pubblicitario attraverso un gran-de pannello o utilizzando una parete, avesse più senso intercettare questi flussi, che erano prevalen-

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temente flussi automobilistici, con questo sistema di totem che erano come dei paletti attorno a cui passavano e scorrevano questi traffici.

Primo suggerimento: mi sembra molto più interes-sante, facendolo anche in modo più serio e più rigo-roso, provare a ragionare sul fatto che molto spesso localizzare oggi la pubblicità vuol dire ragionare non solo sullo spazio statico che c’è, non solo sul modo in cui si percepisce lo spazio, ma nel modo in cui lo spazio, in cui facciamo pubblicità, viene percepito in sequenza rispetto ai modi di abitare il territorio che sono quelli più importanti.

Il famoso pannello di Armani a Milano non è importante perché è molto grande, o perché è stato il primo, è importante perché è stato collocato, probabilmente casualmente, in un punto importan-tissimo di soglia tra due modi di abitare lo spazio della città: siamo all’ingresso di un tessuto molto commerciale e all’esterno c’è uno spazio del tutto diverso che è lo spazio di Via Cusani di Piazzale Cairoli, dove c’è più movimento e più flusso, proprio perché in quel luogo andava bene un pannello, inve-ce che un oggetto tipo totem, perché segnalava uno spostamento, uno scarto, una differenza e questo resta nella memoria di chi abita la città.

Secondo suggerimento, consiglio: credo che il proble-ma della qualità, sentivo parlare questa mattina del-l’ordine, non sia riferito alla pubblicità, sto parlando della pubblicità in senso lato, ma che la buona pub-blicità goda del buono spazio urbano dell’ordine.

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Penso che il problema che abbiamo oggi è che siamo spesso di fronte a delle situazioni, nelle nostre città, dove c’è una sorte di sovraffollamento di codici. Spesso c’è un rapporto troppo stretto tra il supporto del messaggio pubblicitario e il gene-re del messaggio. I pannelli per la pubblicità, glistriscioni per le affissioni culturali, i cartelli perla segnaletica stradale, ogni genere di messaggio, tende ad essere eccessivamente adagiato, aderente ad un supporto che fissa già un genere.

Questo tipo di sovrapposizione di supporto e di codi-ci, che sono tutti autoreferenziali, perché ognuno parla per sé, è un problema importante di eccessivo rumore che la città fa rispetto ad un’operazione pubblicitaria mirata. Da questo punto di vista, l’esperienza dei totem è stata per me interessante, nel senso che il tentativo in quel caso era quello di provare a capire se si poteva pensare di lavorare su un oggetto inventato specifi-catamente per quell’occasione, che usciva un po’ dai generi di supporto più usati e utilizzati e che cercava di legarli più al messaggio che non al genere.La questione era quella di saltare la differenza in pubblicità, segnaletica stradale, servizi culturali, elementi turistici, piuttosto che altri, invece che collegarsi ad un messaggio che era un messaggio, se volete, che poteva stare tra i diversi generi che era quello di dire che c’era una mostra che aveva un certo tema.Mi sembra molto interessante tutto ciò che viene fatto oggi nelle nostre città e anche in queste grandi aree portuali.

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Stiamo lavorando in questa direzione quando riu-sciamo a superare un po’ questa schiavitù data dalle norme di rapporto troppo strette tra un supporto fisico per la pubblicità e il genere di contenuto che viene pubblicizzato.

Ultima questione: mi sembrava che questa mattina si parlasse forse con eccessiva enfasi di questo feno-meno milanese degli autobus e dei tram, senz’altro importante. Se ne parla con eccessiva enfasi, perché non si sottolinea il fatto che c’è un grande vantaggio che ha la pubblicità integrale dei tram che ha avuto Milano e che è la mobilità, la scarsa temporanei-tà del messaggio pubblicitario. Anche qui perché i totem oggi non sono più in Piazza Cadorna, stan-no per essere rimessi a Sesto San Giovanni in una situazione diversa. Mi sembra interessante provare a pensare che si riesce in alcune situazioni a costruire elementi di supporto per le pubblicità che hanno anche una loro possibilità di mobilità, nel senso che non sono desti-nati né ad apparire una volta per tutte in un luogo, ma neanche ad essere finiti, conclusi, ma che posso-no riapparire, che possono avere una funzione anche legata, temporanea e possono avere una funzione di allestimento di spazi a seconda dei casi.

FRICKER:

Premetto che posso parlare solo dal punto di vista del nostro limitato settore, che ha a che fare conil “public adress” e la diffusione del suono negli spazi all’aperto e negli interni delle città, degli

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spazi espositivi, nei parchi e altro. Diffusione del suono quale musica, intrattenimento, informazione, annunci per percorsi sonori, manifestazioni ed even-ti speciali.

Il diffusore cilindrico monoblocco, che noi proget-tiamo e produciamo a suono stereospaziale a 360° ha diverse tipologie, ma qui ci riferiamo solo alla “Wandor Classica”, cioè a quella tipologia di diffu-sore appositamente studiata per il “public adress” e che incorpora nel suo progetto un apposito spazio quale supporto per evidenziare pubblicità e sponso-rizzazioni o informazioni istituzionali; inoltre pro-prio per il suo posizionamento negli spazi abitati il cui diffusore è dotato di una speciale lente acustica anti inquinamento sonoro.

Per l’innovazione tecnologica del suo suono stereo-spaziale a 360° che immette globalmente il pubbli-co anche in movimento nel cuore dell’avvenimento sonoro e per la progettazione di questa speciale lente acustica atta a delimitare gli effetti del suono nell’ambiente, i nostri diffusori hanno ottenuto l’ “American Patent”.Detto questo, sarà facile capire quanti capitali, esperimenti e sforzi ci sia costato e ci costi il nostro prodotto.Come per tutti il lavoro ci ha portato ad esaminare la tessitura della città e della socialità in rapporto alla progettazione e alle possibilità di utilizzo che si aprono ai nostri prodotti e quindi ad un contatto diretto e continuativo con gli amministratori e con il sentimento pubblico della città ed è proprio questo

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generale sentire fatto di molte voci influenzabili fra di loro da quelle dei sopraintendenti, ai cittadini, ai comitati di quartiere, alla stampa, che determina quell’opinione pubblica che tanta influenza ha sulle obiezioni e paure dei nostri amministratori e quindi su di noi.

Titoli di prima pagina quali: “Il Paese minacciato da traffico e pubblicità” e “Gli ambientalisti contro la pubblicità: ecco come abolirla” non ci lasciano indifferenti, anche perché spesso noi ben condividia-mo, da privati cittadini della Bella Italia, soffriamo a vederla sconciata da una deteriore proliferazione di manufatti per il cosiddetto arredo urbano e pub-blicità.Quali operatori di un certo settore desideriamo piazzare i nostri prodotti, ma soprattutto quali for-nitori di manufatti per una pubblicità di prestigio ci sentiamo sovente stroncare dagli amministratori iniziative belle, di decoro e di servizio pubblico, pro-prio a causa di quanto detto sopra.

A questo si lega l’uso che viene fatto e relativi permessi, degli spazi della città (il nostro pane) per manifestazioni temporanee, iniziative stabili e per gli eventi speciali, pertanto la domanda di chi abbia competenza a decidere sull’uso di tali spazi ci compete. Questo non è un astratto discorso sociologico, ma il nostro campo di battaglia. La recente polemica tra commercianti, Daverio e la Sovraintendente per le Giostre dei Bambini a Carnevale in Piazzetta Reale a Milano dovrebbe averci messo sull’avviso.

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La piazza non è nata solo per stare silenziosa ed immota sotto i ponti di comando dei Sovrainten-denti, né è destinata solo a turisti giapponesi o ai soli clienti dei bei negozi, la piazza è nata per tutti noi, perché si possa stare assieme, gente di tutte le età a trovarsi, a divertirsi, a manifestare ed anche per far casino.

Basta studiare la storia, guardare i quadri, leggere Aristofane e le cronache degli storici.Nella piazza, a fornire servizi, pubblicità e denaro conseguente, ci possiamo stare anche noi, a patto che bandiamo il degrado di certi manufatti e ci sia riguardo dell’ambiente circostante.

Signori, confrontiamoci e combattiamo per la digni-tà e la realizzazione dei nostri progetti migliori, ma soprattutto combattiamo, con tutti i nostri mezzi e con i mezzi che ci offre l’informazione (come ben fa chi ci attacca) perché noi siamo le prime vittime di una basilare contraddizione: a noi operatori si richiede di sanare delle contraddizioni del sistema in cui operiamo e la cui impossibilità di soluzione è implicita nelle stesse richieste.

Tale contraddizione trova il suo fondamento nel sistema degli appalti banditi dai Comuni e nel concetto scappatoia per ogni connivenza di spazio in cambio di servizi, spesso assolutamente inutili e anzi deleteri e sulla cui utilità e decoro civico nessuno vigila mentre il Comune vigila sull’idoneità estetica della targhetta del citofono. Questo si lega agli appalti, nei quali con il pretesto

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dell’offerta a prezzo minore, spesso vengono scel-ti concorrenti non referenziati e improvvisati che proprio per tale motivo possono offrire ai prezzi inferiori i prodotti peggiori.Le Società che investono in ricerca, stabilità ed estetica sono sorpassate da chi al massimo li imita in modo grossolano, ma nel medesimo tempo ven-gono, proprio loro, accusate di riempire la città di brutture.

Un’esperienza personale: per la piazza di Porto Ercole, dopo che l’Amministrazione aveva appro-vato il progetto di Valerio Festi che comprendeva esplicitamente l’impiego dei nostri diffusori acclu-dendone fotografie e referenze, il Comune, richieste tre offerte, fra cui quella da noi autorizzata, affi-dava la fornitura ad un artigiano locale, il quale ha copiato il nostro prodotto in modo grossolano e lo ha installato nella piazza copiando pure pari pari nome e marchio (coperto da marchio internaziona-le) e a chi chiedeva informazioni ai lavori pubblici davano il nostro nome, Wandor, e il recapito dell’ar-tigiano casalingo.Viene da chiedersi se da parte del Comune è legge-rezza, incauto acquisto, o connivenza; la causa in corso, forse, lo dirà.

Signori, teniamo pulito il nostro giardino, difenden-doci insieme in tutti i modi possibili.Davanti a noi si aprono grandi prospettive con l’avanzata dei privati e il ritiro forzato dello Stato, Comuni e sponsor hanno bisogno di noi.Città e cittadini, turisti, piazze e parchi archeolo-

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gici, Giubileo, raduni di massa vogliono intratteni-mento, informazione e musica, gli sponsor vogliono visibilità e lo Stato, come sempre nella storia, vuole accontentare la gente e fare bella figura senza spendere, mentre le agenzie cercano nuove vie; è una grande opportunità che si apre, non lasciamoci mettere sotto dal nostro stesso lasciar andare.Noi non produciamo solo pubblicità, ma anche comunicazione ed informazione e per essere più funzionali vendiamo noi stessi e operiamo di con-seguenza.

MARZOTTO:

Buonasera, mi chiamo Luigi Marzotto e da 4 anni coordino un’ Associazione che si chiama “Verde in comune”. La “c” di comune è scritta a carattere minuscolo volutamente, poiché l’Associazione inte-ragisce con l’Amministrazione pubblica, ma non ne fa parte: l’uso della parola “comune” sta quindi a significare verde di proprietà del Comune, ma per l’uso di tutti.

L’Associazione è nata nel 1993 per volere di un industriale che si chiama Luigi Lazzaroni, del-l’omonima fabbrica di biscotti, che avendo notato come da anni il verde pubblico della città di Milano fosse oggetto di una cattiva gestione, propose al Comune di farlo sponsorizzare da aziende private. A proposito della nascita dell’Associazione, devo subito dire che questa iniziativa è nata e vissuta per i primi 6 mesi con un supporto media molto effica-ce: il Corriere della Sera, che in un certo senso ci ha

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“tirato la volata” presso gli uffici comunali. Infatti il Corriere ci è servito per superare con la sua pressione psicologica tutte le difficoltà di ordine burocratico che ogni giorno sorgevano sul percorso delle pratiche che avrebbero portato all’assegnazio-ne delle piazze agli sponsor.

Mi gratifica molto il fatto di essere stato chiamato a testimoniare in questa Tavola Rotonda, anche se da questa mattina me ne chiedo il motivo, poiché, pur essendomi occupato a lungo di pubblicità, la mia attuale attività tratta la sponsorizzazione e non la pubblicità classica.

Di fatto però noi l’aspetto pubblicitario lo abbiamo incontrato strada facendo: perché, anche se l’inizia-tiva non è nata con scopi puramente pubblicitari, ma fondamentalmente col fine di elevare la propria immagine aziendale, in un certo senso ne è derivata anche molta pubblicità positiva. Sono sponsor tutti piuttosto importanti e conosciuti quelli che attual-mente si prendono cura del verde cittadino. Chi è di Milano avrà senz’altro visto sulle aiuole i nomi di Bayer, Esselunga, Ken Scott, Fattoria Scaldasole, Banco Ambrosiano Veneto etc., marchi già piutto-sto noti al grande pubblico.

Ma perché questi sponsor hanno deciso di spendere chi 30, 40, 50, o addirittura 150 milioni in un’ope-razione di questo genere quando in realtà i loro budget già prevedono cifre di 2, 3, 5 od 8 miliar-di? Credo che la Plasmon oggi spenda circa 10/12 miliardi l’anno, correggetemi voi che siete più

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addentro di me in queste cifre, ma sicuramente il budget penso che sia di questo ordine di grandezza.

Vi voglio raccontare il caso della Plasmon perché è quello che dall’inizio di questo interessantissi-mo forum penso possa essere il più calzante per le problematiche poste sul tavolo. La Plasmon non ha cercato di aumentare la notorietà in città come obiettivo fine a se stesso, né voleva “la piazza principale del paese”, come poteva essere Piazzale Loreto o Largo Cairoli o Piazza del Duomo per farsi vedere da più persone possibili: sponsorizzare l’aiuoletta di Piazza del Duomo è sempre gradevole alla vista dei cittadini ma, obiettivamente, dicia-moci la verità, non serve a nessuno, almeno come servizio reso ai cittadini.

La Plasmon invece ha volutamente cercato un’area dove ci fossero dei giochi per bambini. Il suo ragio-namento è stato questo: le nostre prime interlocu-trici con cui parliamo sono le mamme, andiamo perciò in un’area dove ci siano dei giochi per bam-bini perché i bambini, per andare a giocare, vengo-no accompagnati dalle loro mamme. È stata quindi individuata un’area lontana dal traffico automobili-stico, lontana dalla “visibilità indistinta” di tutta la città. Si è trovata perciò un’area dove già esisteva una struttura di gioco per bambini, fatiscente come quasi tutti quelli gestiti dal Comune a Milano, ed è stato rimesso a posto.Poi è stata montata una palestra all’aperto per bambini con la pavimentazione ad hoc per non farsi male e l’anno successivo è stato fatto un secondo

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“castello” di costruzioni. Infine è di questi giorni lo studio del preventivo per un terzo gioco, perché ogni volta che andiamo a parlare con quelle mamme, oggi mediamente sono 400 al giorno che frequen-tano l’area Plasmon, esse ci chiedono di costruire una nuova altalena per i bambini più piccoli. È stata una scelta molto felice quella di quest’area, anche perché oltre ad essere all’interno di un parco è vici-na ad un asilo. E tutta la popolazione della zona Magenta e Fiera conosce questa sponsorizzazione e ne è felice.

Ritengo che questi siano interventi innovativi dal punto di vista media che, citando il Dr. Meroni di questa mattina, riescono ad unire due scopi fon-damentali: quello di dare un servizio alla cittadi-nanza e quello di fare pubblicità. Dove l’aspetto pubblicitario in senso stretto è minimo, perché il marchio della Plasmon posto su questi cartelli ha una dimensione di 30-40 centimetri, quindi è molto piccolo. Ciò serve però a sottolineare che non sono tanto importanti la quantità degli spazi o l’ubicazione di essi in funzione della pura visibi-lità, ma è il contesto in cui questo marchio, questi soldi vengono spesi per la cittadinanza da parte dell’investitore. Il risultato qual è? Che oltre alle 400 mamme abbiamo in media una telefonata al giorno di persone che chiamano la Plasmon. Chi per complimentarsi, chi per dire che c’è un paletto di cinta rotto, chi segnala un’aiuola con una pian-tina spezzata, oppure segnala che l’area è sporca, o finalmente ora è più pulita e così via. In sintesi c’è una continua partecipazione da parte della cit-

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tadinanza all’operazione della sponsorizzazione.

Ho voluto portare questa testimonianza per dirvi che Società come la Plasmon e la Bracco, che hanno fatturati di miliardi ogni anno, potevano spendere gli stessi soldi in pubblicità e più facilmente con due pagine in più sui quotidiani, ma evidentemente la stessa sarebbe svanita nell’arco di 24 ore. Al con-trario hanno deciso di diversificare i propri sforzi di comunicazione: la Plasmon come ho appena detto. La Bracco prima sponsorizzando una Piazza e poi i Giardini della Guastalla. La Piazza è quella della Stazione di Lambrate, dove ogni giorno arrivano decine di migliaia di pendolari a lavorare in città, e per la gioia dei quali finalmente, grazie a Bracco, nel giro di poche settimane si è vista questa piazza cambiare completamente aspetto. Prima infatti le aiuole erano un parcheggio abusivo di automobili, oggi invece accolgono gradevolmente un prato con dei fiori.

Il prossimo mese, sponsor sempre la Bracco, ini-zieranno i lavori di sistemazione dei giardini della Guastalla, un fatto che sottolinea il senso di respon-sabilità civile di una Azienda che, visto il successo ottenuto la prima volta con la Piazza di Lambrate, ha deciso di regalare alla città un fatto ancora più tangibile: appunto il ripristino dei giardini più anti-chi di Milano.

La morale di cui sono testimone e che condivido giorno per giorno con i nostri sponsor del verde di Milano, credo sia proprio quella di essere riusciti a

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dare al cittadino qualcosa in più: un servizio loro offerto in modo completamente diverso dalle solite logiche dello spazio pubblicitario convenzionale. Penso che se oggi dovessi consigliare ad un mio cliente, utente pubblicitario, come distribuire il pro-prio budget, ebbene oltre alla notorietà del marchio da realizzarsi con i mezzi classici, senz’altro lo invi-terei a fare un’operazione che gli dia quel “quid” in più per far sì che il consumatore percepisca questi suoi sforzi destinati a loro e non solo all’aumento delle proprie vendite.

CASTI:

Questi due interventi erano molto utili a com-pletamento di questa specie di grande carosello di opportunità che ci sono all’interno delle città. Direi proprio, per chiudere il discorso che questa mattina abbiamo aperto con le altre due aziende di trasporto, di chiedere a d’Orazio di intervenire per completare il quadro.Abbiamo sentito l’intervento di Silvestri entusiasta di una Milano che si era dotata di questi autobus, di questi tram decorati. Abbiamo sentito l’intervento dell’Amministratore di Trieste che era più attento all’utilizzo. Credo che Padova stia nel mezzo.

D’ORAZIO:

Tanto per avere un quadro del rapporto tra pubbli-cità, tram e autobus, a titolo di esempio nella città di Padova, gli spazi riservati all’ affissionistica tradizionale sono circa 800-1000, mentre gli spazi

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che può offrire l’azienda di trasporto pubblico, sono circa tre volte superiori, tra pubblicità interna, pub-blicità esterna, tabelle di fermata, pensiline, ecce-tera. Il rapporto tra città e pubblicità si esprime quindi in gran parte attraverso il mezzo di trasporto pubblico, in diverse forme e con un elevato numero di contatti che non riguardano sono gli utenti, ma tutta la città.Detto questo, volevo però rispondere ad un’afferma-zione che ha fatto Micheletti. Mi spiace sia andato via ora, ma mi sembra una cosa abbastanza signi-ficativa, relativamente ad un eccesso di burocrazia in alcune aziende di trasporto riguardante il con-trollo dei messaggi pubblicitari. Forse per le grandi aziende esiste effettivamente questo problema che però bisogna inquadrare nella sua realtà, dal punto di vista delle aziende. A Padova sicuramente non abbiamo tutta questa burocrazia da rispettare, ma anche se non dobbiamo siglare per accettazione i bozzetti della decorazione integrale, comunque ci riserviamo la possibilità di non accettarli e l’abbia-mo già fatto per due clienti.Questo perché un’azienda di trasporto municipale è sempre nel mirino dell’opinione pubblica ed è importante non urtare la suscettibilità di nessuno e dunque c’è bisogno di una maggiore attenzione.

Riallacciandomi poi ai problemi di burocrazia e di normativa che sono stati richiamati all’inizio, su questo particolare fenomeno della pubblicità integrale, effettivamente il cliente, specialmente quello che viene direttamente da noi come azienda di trasporto, cioè che non passa per l’agenzia, deve

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sottostare a tutta una serie di problemi burocratici. Noi abbiamo due contenziosi aperti con due ditte incaricate della riscossione dell’imposta di pubblici-tà, proprio perché non si capisce ancora bene questa normativa, chi la deve rispettare e come deve essere rispettata.

Esiste quindi purtroppo un problema burocratico che si dovrebbe in qualche modo risolvere, anzi per questo farei appello alle organizzazioni di catego-ria, affinché si facciano carico di riuscire a chiarire meglio queste normative ancora molto confuse.

Per quanto riguarda l’aspetto specifico della pub-blicità integrale dal punto di vista dell’andamento del mercato, effettivamente registriamo una stasi, che non riguarda solo Padova, ma anche Firenze, Bologna, Milano e tutte le altre città che hanno messo in piedi questo tipo di iniziativa. Sono pro-blemi, è vero, che riguardano anche il costo stesso dell’intervento e, come diceva giustamente Casti, i 20 milioni di Milano possono anche essere accet-tati dai clienti, mentre i 20 milioni di Padova sono accettati un po’ meno. Esiste quindi un problema di costi per i quali spero ci sia la possibilità di rivede-re al più presto anche le tariffe. Ma c’è anche un problema, secondo me, di creatività pubblicitaria, nel senso che - almeno a Padova - questi autobus, ad eccezione di quelli riservati ai clienti di livello nazionale, sono stati utilizzati soltanto come dei tabelloni da riempire con il proprio marchio: il mezzo cioè non è stato sfruttato nelle sue potenzia-lità creative. In questo senso il cliente, confrontan-

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dolo con l’investimento da sostenere e con la pubbli-cità tradizionale, ci ha fatto un pensierino in più.

A questo proposito vorrei approfittare della pre-senza di autorevoli rappresentanti delle agenzie per chiedere a loro com’è l’andamento del mercato della pubblicità integrale e come vedono lo sviluppo di questo tipo di pubblicità, al di là dei costi e delle tariffe che, almeno per quanto riguarda Padova, dobbiamo tenere in piedi almeno per un altro po’ di tempo.

Per finire volevo poi sottolineare come i mezzi a disposizione delle aziende di trasporto siano mol-teplici, e da questo punto di vista mi chiedo anche e lo chiedo soprattutto agli esperti, se esiste la possibilità di avere una sinergia tra questi mezzi, se cioè il cliente può essere interessato ad investire non solo sulle pensiline o sulle tabelle di fermata, oppure sulla pubblicità esterna o interna, ma creare delle sinergie in modo tale da dargli la possibilità di avere un pacchetto utilizzabile, ad esempio, per quel tipo di target che comprende l’utilizzatore del mezzo di trasporto pubblico.

CASTI:

Credo di poter rispondere alla seconda domanda e la prima la giro a Bò della 3M, che sicuramente ha una panoramica più vasta rispetto al futuro della decorazione integrale. Il problema del pacchetto integrale al quale si riferisce D’Orazio, il pacchet-to che mette a disposizione la società di trasporti

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padovana, è già integrato ad altri tipi di impianti. Lo sforzo commerciale che fa la nostra società infatti è quello di creare per i clienti un palinsesto com-pleto con varie possibilità di formato, che parte dal poster, arriva alla pensilina, alla fermata e in alcuni casi diventa anche la decorazione integrale.

BÒ:

Prima di rispondere vorrei spiegare un po’ il motivo della mia presenza intorno a questo tavolo. Quasi 5 anni fa 3M ha introdotto un’importante inno-vazione nel settore della grafica pubblicitaria: si tratta di un sistema di stampa digitale arricchito da un pacchetto completo di soluzioni, il tutto stu-diato e sviluppato per dare maggiore flessibilità e nuove possibilità realizzative in questo campo, con importanti implicazioni in tema di pubblicità inse-rita nella città.Tra i diversi esempi, uno tra i più prestigiosi è quel-lo appena illustrato dall’Architetto Stefano Boeri, che con i totem della Triennale di Milano è riusci-to a trasformare l’esigenza di comunicazione per un’iniziativa culturale in un importante elemento di arredo urbano, perfettamente inserito nel contesto della città.Anche la pubblicità integrale sui mezzi pubblici, di cui oggi si è molto parlato, è uno degli effetti di questo sviluppo tecnologico.La pubblicità integrale, che non è un nuovo media, ma un nuovo modo di utilizzare un mezzo tradizio-nale, ha avuto un successo immediato perché, come si può facilmente intuire, immagini grandi che viag-

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giano, si muovono, all’interno di una città, hanno un impatto e una capacità di attirare l’attenzione del pubblico sicuramente superiore a quelli delle forme di comunicazione esistenti.Un impatto così forte che, nella fase di introduzio-ne, si è temuta una reazione negativa da parte della popolazione.Questo timore, in base ad una ricerca di mercato sviluppata a Milano, si è rilevato infondato, anzi si può parlare di un livello di gradimento elevatissimo: più dell’80% degli intervistati ha infatti espresso un giudizio positivo verso la pubblicità integrale. Tutte le fasce di popolazione, divise per età, hanno manifestato nel complesso un giudizio positivo, con una punta di gradimento superiore al 90% per le fasce giovanili e un valore comunque superiore al 60% per i più anziani.Anche quest’ultimo dato è comunque soddisfacente se si considera che la ricerca è stata effettuata nel primo anno di vita della pubblicità integrale, quando era presumibile aspettarsi una più forte resistenza a questa innovazione.

La pubblicità integrale ha avuto quindi un grandis-simo e immediato successo essenzialmente per il suo carattere di novità. Passata la euforia iniziale, come era logico atten-dersi, c’è stato un breve periodo di pausa ma, già dai primi mesi dell’anno, la pubblicità integrale ha ripreso il suo abituale trend di crescita; trend di crescita che le ha consentito di attestarsi intorno al 5% sul totale della pubblicità esterna.Un risultato importante, se si tiene presente la

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novità e il numero limitato dei mezzi disponibili.

In conclusione, con questa prima iniziativa sono stati raggiunti risultati importanti nello sviluppo di nuovi modi di comunicazione all’interno delle città.A questo si aggiunge la possibilità di sviluppare nuove iniziative, dalla pubblicità pavimentale, già utilizzata negli aeroporti e nelle stazioni della metropolitana al building design.La tecnologia ha raggiunto livelli impensabili, offrendo la possibilità di realizzare praticamente qualsiasi idea, anche la più “grande”. L’unica con-dizione e non è un limite tecnologico, è di cercare di uscire dagli schemi.

COLLESEI:

Ho visto che i miei in gran parte sono tornati a lavorare perché, se non sapete, sono nella fase stage, quindi hanno lasciato il lavoro stamattina soprattutto, ma sono 2 o 3, gli altri sono ritornati precipitosamente a lavorare. Gli stage funzionano, li fanno lavorare molto e quindi è anche un indice positivo per il futuro impiego dei ragazzi.

Mi limito ad alcune considerazioni. Oggi si è parla-to in due modi di pubblicità esterna, forse non era così chiaro, ma a me è sembrato chiaro. Sono stati portati molto esempi di innovazione, dove l’innova-tore spesso paga il prezzo, paga il prezzo perché su questo settore è difficile brevettare e probabilmente questo vale un po’ per tutto quello che è nuovo, con

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determinate caratteristiche. Dico che forse sono altre idee, però è certo che sono delle vie che si stanno cercando di fare per innovare attraverso la sponsorizzazione. Questi sono i due cardini da quel-lo che è venuto fuori degli elementi migliori.

C’è da dire che la pubblicità esterna è sempre stata vista come un qualcosa di specifico, di particolare, di una gestione locale della situazione, mentre oggi tutta la comunicazione come sapete bene sta andan-do sull’orchestrazione sulla gestione globale di tutti gli strumenti. Il gioco è che tentavate resistenza del tipo: no quella è sponsorizzazione, noi facciamo pubblicità, non fatelo più questo modo da docenti, oggi chiunque opera all’interno del sistema di comu-nicazione commerciale ha diritto di interferire con tutti gli altri strumenti, è il mezzo, si integra perfet-tamente, d’altronde il discorso di prima è che se uno fa locale di prestigio per 4 mesi a Roma non può non utilizzare questi strumenti per affrontare que-sto problema e non solo in locale, ma probabilmente in nazionale come supporto o con altre strategie se non addirittura a livello internazionale.

Si potrebbero immaginare campagne locali delle capitali di Europa, un’idea che vi do, quando verrà fuori Maastricht fate per piacere la moneta unica, potrebbe essere il primo elemento comune di pre-sentare un manifesto con formato.

Altro problema, a parte questo, dicevo di orchestra-re meglio, c’è l’innovazione, però è rimasta in sordi-na, chiamiamo l’affissione tradizionale, senza offe-

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sa con il termine. Abbiamo visto tante cose nuove, ma lo strumento base, quello che rappresenta forse l’80%, anche di più, comunque la quota rilevante è emersa poco, ho impressione che invece ci sia anche lì da lavorare. Al di là dei formati e delle situazioni è un problema di riflessione, perché anche quello, probabilmente anche quello, ha bisogno di essere unanime.

Sempre per cercare di trarre qualche considera-zione di tendenza, vuoi per le società di trasporto, vuoi per i Comuni in generale, la richiesta di servi-zio sarà crescente per una serie di ragioni che non occorre che stia qui a sottolineare, per questo fab-bisogno crescente di servizio non ci sono le risorse sufficienti, questo è sicuro al 100%.

La sponsorizzazione è la via di integrare e quindi di trovare una mediazione ragionevole tra pubblicità e dall’altra parte servizio, arredo urbano, mi sembra una via che avrà solo un grande futuro. Avete visto quello che è successo, le sponsorizzazioni dopo la fase di tangentopoli dove tutti potevamo pensare, si riducessero alla metà, perché questo è un dato su cui si può dire grosso modo o anche di più, di fatto invece hanno ripreso una loro presenza e la loro ascesa sta a significare che c’è una forza comunque di traino che è quella del mercato che è una forza che porta a spingere sempre di più verso questo tipo di intervento.

Insisto, al cliente finale, al cittadino queste cose ormai sono gradite, credo che potreste mettere

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un bel cartello pubblicitario anche davanti ad una macchina per fare la TAC, il cittadino non si opporrebbe, nel senso che se sa che gli viene dato uno strumento diagnostico, che gli si riduce il costo delle analisi potrebbe benissimo farlo e pensate quanta gente fa le analisi del sangue, basterebbe sul bigliettino dove danno gli indirizzi, potrebbe essere un altro strumento pubblicitario nuovo, per-ché effettivamente tutti noi forse ci facciamo ogni tanto qualche esame, nel corso della vita comunque più volte.

È pensabile che l’innovazione debba cavalcare sem-pre più nuovi traguardi. Direi però che l’innovazio-ne deve anche considerare il prezzo, l’idea di avere dei prodotti differenziati all’interno del sistema delle affissioni, o meglio della pubblicità esterna, secondo me è un fatto acquisito. Oggi qui emerge un fatto importante: non si tratta più di ragionare solo in termini di formati secondo il mio punto di vista, non è tanto nuovissimo, perché comunque le posizioni c’erano anche prima, però adesso si tratta di vedere anche le forme, le forme al di là delle posizioni potrebbero definire un nuovo tipo di presentazione.

Avete detto un altro aspetto che era in sordina - e chiudo - che era la misurazione che è sempre stata uno dei problemi di tutta la comunicazione. Non ho mai partecipato ad un incontro o ad un convegno dove qualcuno non abbia tirato fuori dalla promo-zione alla pubblicità, chi più e chi meno, ma anche lì problemi di misurazione e anche qui ci sono

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problemi di misurazione. È evidente che va sulla visione ma attenzione anche qui non esageriamo, cioè in effetti i risultati in termini dipende da che cosa l’affissione si proponeva di fatto.

Prima è stato detto che le Pagine Gialle erano particolarmente indicate con quel tipo di discor-so. Ci sono delle coerenze che in pubblicità sono tutto, almeno a mio giudizio, che trovano più facile utilizzare il tram piuttosto che la pubblicità sta-tica, quindi queste coerenze c’è lo sforzo creativo, sforzo creativo di chi ha lo spazio dell’agenzia, del creativo che poi illustra questo messaggio. Il pro-blema fondamentale è oggi riproporre questi spazi, soprattutto alla ricerca dei marchi, perché noi in Italia ci stiamo impoverendo sulla marca e questa è la cose peggiore che possiamo fare: fare tanta pub-blicità sprecata se dietro non c’è una costruzione di marca.

Credo che il problema del terzo millennio per noi sia recuperare le marche, anche perché molte di quelle che avevamo le abbiamo vendute, speriamo di non vendere anche tutti gli spazi.

FRICKER:

Vorrei solamente che fosse ripresa la cassa acusti-ca, non è questione di brevetti, è questione…La cassa è super brevettata però i Comuni non sono responsabili degli acquisti incauti. Per questo prodotto che unisce il servizio alla sponsorizzazio-ne, il Comune di Milano mi ha chiesto di trovare

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anche gli sponsor per poterli mettere, ad esempio, al parco Liberty. Mi chiedo: com’è possibile tro-vare degli sponsor? Avrei trovato degli sponsor, però il Comune non dà né regole per l’affissione, né come intendono interpretarle. Questo è un problema anche di correttezza e di etica, vengono chieste delle cose contraddittorie a cui non si può rispondere.

CASTI:

Questo è un problema molto importante. Lei ha parlato della cassa acustica, probabilmente questo è riferito ad ogni oggetto di pubblica utilità. Sarebbe senz’altro auspicabile che a questo pro-posito tutte le pubbliche amministrazioni, non solo quelle più evolute culturalmente, riconoscessero con precisione il concetto tanto prezioso per tutti del-l’opportunità collettiva.

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progetto e coordinamento graficoPaolo Casti

elaborazione testiMonica Bisato

Susanna Benincà

disegniGianni Burato

elaborazioni grafiche e impaginazioneMaria Luisa Catullo

Paolo ZuinMonica Meneghetti

composto con caratteriBell Ghotic tondo

stampato su cartaFlora Camoscio 130 g/m2

Cartiera di Cordenons

copertinaImitlin Simplex Tela Blu notte

Cartiere Fedrigoni

scatolaOndulato Sirio Blu 140/140 g/m2

Cartiere Fedrigoni

fotolito e stampaGruppo Immagine-Verona

Finito di stampareVerona, ottobre 1997

copyrightJOLLYPUBBLICITÀSPA

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