Chiusaroli e Zanzotto - Scritture Brevi Di Oggi

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Scritture brevi di oggi a cura di Francesca Chiusaroli e Fabio Massimo Zanzotto Quaderni di Linguistica Zero Napoli 2012

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Scritture  brevi  di  oggi    

a  cura  di    

Francesca  Chiusaroli  e  Fabio  Massimo  Zanzotto          

                       

Quaderni  di  Linguistica  Zero    

Napoli  2012  

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       Scritture   brevi   di   oggi,   a   cura   di   Francesca   Chiusaroli   e   Fabio   Massimo  Zanzotto      Quaderni  di  Linguistica  Zero,  numero  1    Napoli,  2012    ISBN:  978-­‐88-­‐6719-­‐017-­‐1      Linguistica  Zero,  Rivista  del  Dottorato  in  Teoria  delle  lingue  e  del  linguaggio  dell’Università  degli  studi  di  Napoli  “L’Orientale”  Direttore:  Domenico  Silvestri  Redazione:   Domenico   Silvestri,   Cristina   Vallini,   Rossella   Bonito   Oliva,  Alberto  Manco.  Indirizzo:   Università   degli   studi   di   Napoli   “L’Orientale”,   Dipartimento   di  Studi  Letterari,  Linguistici  e  Comparati,  via  Duomo  319  -­‐  80138  Napoli.  ISSN:  2038-­‐8675  e-­‐mail:  [email protected]  web:  www.lz.unior.it      La  presente  pubblicazione  è  stata  preventivamente  sottoposta  a  revisione  esterna  da  parte  della  redazione  di  Linguistica  Zero,  ricevendo  giudizio  positivo.          Copyright  ©  Università  degli  studi  di  Napoli  “L’Orientale”  I  diritti  degli  autori  sono  regolati  dalla  Legge  22  aprile  1941,  n.  633  e  successive  modifiche  e  dalle   relative   disposizioni   comunitarie,   oltre   che   dal   Titolo   IX   del   Libro   Quinto   del   Codice  Civile.   Si   fa   inoltre   riferimento   al   quadro   normativo   relativo   alle   pubblicazioni   scientifiche  open  access.    

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Sommario

Premessa, Francesca Chiusaroli e Fabio Massimo Zanzotto 3

Scritture brevi oggi: tra convenzione e sistema, Francesca Chiusaroli 4

Microantroponimi del XXI secolo, Enzo Caffarelli 45

Scritture brevi e nuove tecnologie digitali: un nuovo percorso verso

l’apprendimento e la creatività, Andrea Granelli 69

Le interiezioni tra scritto e parlato, Francesca M. Dovetto 90

Sigle e acronimi: dimensione grafica e statuto lessicale, Lucia di Pacee Rossella Pannain 108

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica,

Roberto Reali 129

Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo,Sergio Marroni 147

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano. Un

problema di interpretazione linguistica e culturale, Matteo Lefèvre 173

Forme e modi delle scritture brevi di oggi, Felicia Logozzo 192

Language evolution in social media: a preliminary study, Fabio MassimoZanzotto & Marco Pennacchiotti 208

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Premessa

La riflessione iniziata con i workshop “Scritture brevi” – 1° workshop:Roma Tor Vergata, 22 febbraio 2011; 2° workshop: Roma Tor Vergata eSocietà Geografica Italiana, 12-­‐‑13 aprile 2011; 3° workshop: Roma TorVergata, 16-­‐‑17-­‐‑18 maggio 2011 (https://sites.google.com/site/scritturebrevi/)– conosce ora nuova circostanza di approfondimento con la presentepubblicazione, che costituisce il primo numero di una serie di tre quadernimonografici di Linguistica Zero dedicati ancora a questo tema.

Si troveranno, in queste sedi, gli scritti dei Maestri e dei Colleghi chesono stati relatori e nostri interlocutori nell’organizzazione degli incontriseminariali. Desideriamo ringraziarli per avere accolto anche questosecondo invito a prendere parte alla nostra ricerca comune. Ringraziamoanche i Colleghi che, pur relatori, non hanno potuto, solo per impedimentidi ordine pratico, consegnare i loro contributi.

Come abbiamo ripetuto ad ogni incontro, nostra intenzione era che iltema si sviluppasse, a partire dall’etichetta da noi proposta, secondo lespecifiche competenze e i “punti di vista”, e che le diverse prospettiveemerse confluissero componendo un comune quadro di insieme. Inparticolare ci interessava evidenziare la dimensione multidisciplinare comepotenziamento dell’indagine, a partire dalle aree della linguistica edell’ingegneria informatica, di rispettiva pertinenza dei promotoridell’iniziativa. Come abbiamo verificato nel corso degli incontri, e comedimostrano le redazioni scritte, tutte le aspettative si sono ampiamentecompiute.

Con sincera soddisfazione possiamo dunque ora licenziare questoprimo quaderno dedicato alle “scritture brevi di oggi”, non senza però averringraziato la rivista Linguistica Zero e in particolare il Direttore, il Prof.Domenico Silvestri, il quale non ci ha mai fatto mancare il Suo sostegno,fino ad offrirci generosamente lo spazio editoriale. La Sua competenza e ilSuo prestigio, così come la disponibilità dei membri della Redazione, cirendono onorati di poter usufruire di questa sede di pubblicazione.

28 agosto 2012

Francesca Chiusaroli e Fabio Massimo Zanzotto

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Scritture brevi oggi:

tra convenzione e sistema

Francesca Chiusaroli

Abstract

L’espressione “scritture brevi oggi” è intesa a definire forme grafiche sinteticheintrodotte negli ultimi decenni nella scrittura della cosiddetta comunicazionemediata dal computer (CMC). Abbreviazioni e acronimi, segni e simboli, ricorrentiin e-­‐‑mail, sms, chat, instant messaging, sono solitamente considerati una singolaritàdelle giovani generazioni, o spesso ritenuti errori grafici illogici ed incongruenti;tuttavia una loro analisi funzionale nella catena e nel sistema, insieme a unconfronto fra sistemi grafici in sincronia e in diacronia, mostrano la coesistenza ditipi universali e un equilibrio permanente tra forme gergali o idioletti e normaideale, agli scopi della pragmatica della comunicazione nel dominio della rete.

Parole chiave: scritture brevi, lingua di internet, socio-­‐‑pragmatica dellacomunicazione scritta, storia e tipologia della scrittura

The notion of "ʺshort writings today"ʺ refers here to synthetic graphic formsintroduced in recent decades in the writing of the so-­‐‑called Computer-­‐‑MediatedCommunication (CMC). Abbreviations and acronyms, signs and symbols,occurring in e-­‐‑mails, sms, chats, instant messaging, are usually considered as anoddity of the younger generations, illogical and incongruent writing mistakes,wherever a functional analysis in language chain and system, together with acomparison between writing systems in diachrony and synchrony, show thecoexistence of universal typologies and a permanent balance between slang, idiolectand the ideal norm, relevant to the main purposes of the pragmatics ofcommunication in the web domain.

Keywords: short writings, language of the Internet, sociopragmatics of writtencommunication, history and typology of writing

1. Oggetto della ricerca

La nozione di “scritture brevi oggi” definisce in questa sede formazionigrafiche a marca sintetica introdotte negli ultimi decenni nella scrittura

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dalla cosiddetta Computer-­‐‑Mediated Communication (CMC), che èl’interscambio comunicativo a distanza promosso dall’uso delle modernetecnologie informatiche.

Costituiscono oggetto precipuo della presente ricerca le abbreviazioni ele forme accorciative nella comunicazione scritta in uso soprattutto da partedi utenti delle giovani generazioni in messaggi e-­‐‑mail, sms, chat, instantmessaging, questi elencati secondo l’ordine crescente della presenzaquantitativa delle forme nei tipi testuali.

Si tratta di una manifestazione originata nel gergo giovanile, ben notaagli utenti della rete e, con valenza negativa, ai detrattori degli effettidell’era digitale sulla lingua di oggi.

Come riflette David Crystal (2008), non vi è attualmente argomento chesusciti maggiore “moral panic”, o più intensa contrarietà, ed opposizione,tra la popolazione adulta, che la serie delle accorciature grafiche utilizzateper lo più dai giovani nella tipica scrittura per sms, ciò che in italiano sichiama “il messaggiare” e in inglese va sotto il nome di texting.

Nel 2007, in un articolo di giornale, I h8 txt msgs: How texting is wreckingour language (http://www.dailymail.co.uk/news/article-­‐‑483511/I-­‐‑h8-­‐‑txt-­‐‑msgs-­‐‑How-­‐‑texting-­‐‑wrecking-­‐‑language.html), John Humphrys definiva i texters come

the SMS vandals who are doing to our language what Genghis Khan did to hisneighbours 800 years ago. They are destroying it: pillaging our punctuation;savaging our sentences; raping our vocabulary. And they must be stopped. This, Igrant you, is a tall order. The texters have many more arrows in their quiver thanwe who defend the old way. Ridicule is one of them. “What! You don'ʹt text. Whatcentury are you living in then, granddad? Need me to sharpen your quill pen foryou?”

La diffidenza non è priva di motivazioni.Famosa è ormai la pagina di Yahoo answers che riporta un naturale

scambio di informazioni su tale

Nino Biperio o Bixio, nato a Genova, il 2 ottobre 1821, e morto all’Isola di Sumatra il16 dicembre 1873, militare e politico italiano, oltreché un personaggio-­‐‑chiave delRisorgimento…

http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20080201051946AAsyWnP

Tra le spiegazioni della identificazione “Biperio/Bixio” vi è la notizia,riportata da Giampaolo Pansa (Viva Nino Biperio, “L’Espresso”, Bestiario

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dell’1 settembre 2006), di una studentessa universitaria ripresa all’esame diStoria del Risorgimento:

“Chi è questo Biperio?” domanda, stupito, il docente. Poi si scopre che si tratta diNino Bixio: la ragazza era convinta che la “x” significasse “per”. La difesa: “Sì,scusi, ci deve essere stato qualche problema nella trascrizione degli appunti.”

Su reali apprensioni si fonda la preoccupazione degli intellettuali per lecondizioni della odierna civiltà virtuale (Simone 2000 e 2012; Carr 2011) eper gli effetti sull’educazione delle giovani generazioni. Tra le elencate“calamità” Umberto Eco denuncia la pratica del messaggiare:

Penso che Michel Serres sia la mente filosofica più fine che esista oggi in Francia, ecome ogni buon filosofo sa piegarsi anche a riflettere sull'ʹattualità. Spudoratamenteuso (tranne qualche commento personale) un suo bellissimo articolo uscito su "ʺLeMonde"ʺ del 6-­‐‑7 marzo ultimo scorso, dove ci ricorda cose che, per i più giovani deimiei lettori, riguardano i loro figli, e per noi più anziani i nostri nipoti.Tanto per cominciare, questi figli o nipoti non hanno mai visto un maiale, unavacca, una gallina […]. I nuovi esseri umani non sono più abituati a vivere nellanatura e conoscono solo la città […].Si tratta di una delle più grandi rivoluzioni antropologiche dopo il neolitico. Questiragazzi abitano un mondo superpopolato, la loro speranza di vita è ormai vicinaagli ottant'ʹanni e, a causa della longevità di padri e nonni, se hanno speranza diereditare qualcosa non sarà più a trent'ʹanni, ma alle soglie della loro vecchiaia […].Sono stati formati dai media concepiti da adulti che hanno ridotto a sette secondi lapermanenza di una immagine, e a quindici secondi i tempi di risposta alle domande[…]. Sono educati dalla pubblicità che esagera in abbreviazioni e parole straniereche fanno perdere il senso della lingua natale, non hanno più coscienza del sistemametrico decimale dato che gli si promettono premi secondo le miglia, la scuola nonè più il luogo dell'ʹapprendimento e, ormai abituati al computer, questi ragazzivivono buona parte della loro vita nel virtuale. Lo scrivere col solo dito indiceanziché con la mano intera "ʺnon eccita più gli stessi neuroni o le stesse zonecorticali"ʺ (e infine sono totalmente "ʺmultitasking"ʺ). Noi vivevamo in uno spaziometrico percepibile ed essi vivono in uno spazio irreale dove vicinanze elontananze non fanno più alcuna differenza.Umberto Eco, Una generazione di alieni, “L’Espresso”, 18 marzo 2011

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/una-­‐‑generazione-­‐‑di-­‐‑alieni/2147183

La consuetudine è tanto denigrata quanto vincente. Il riconoscimentodella necessità di controlli ed interventi dell’autorità sulla correttacollocazione dei linguaggi nei giusti contesti non può sottrarci dalla

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considerazione della fortuna del fenomeno e, come qui vedremo, delle suepotenzialità. Ovvero, non sembra più possibile negare i vantaggi di unaforma di comunicazione con la quale la società si confronta, anche suomalgrado, e persino si arricchisce:

Molti sono scandalizzati, dicono che questo è un nuovo Medioevo, quellodell’ortografia, ma, stranamente, gli studiosi della lingua, proprio i puristi piùrigidi, guardano con favore e curiosità al fenomeno. Certo, è una sintassi un po’sconcertante. Facciamo qualche esempio?Ieri pom sn andata dal dottore cn mamy x mia sorella poi mi ha kiamato vale e sn andata ai

giardi…..lì ho incontrato fabry e david ke sn scesi x prendere i gelati…… e ancora Dopo

abbiamo incontrato vlad ke m ha detto ke l’ex piskella sa k noi stiamo insieme!!!!!……Ostrogoto? Ma no, se si fa un po’ di attenzione si capisce tutto: sono solo artifici per scrivere più velocemente, e in modo colorito. Ecco che allora tutto si abbrevia, le vocali dove èpossibile scompaiono, la x “vince” sul per, la k sostituisce il ch, i punti esclamativi equelli interrogativi vengono usati come nei fumetti, e si aggiungono le faccine, icosiddetti emoticons, costruite combinando punti, trattini, parentesi che servono adesprimere le emozioni: ò.ò, confusione, @_@, perplessità. :-­‐‑( , tristezza, :-­‐‑S,confusione o paura. I simboli sono tanti e in continua evoluzione.Curiosamente sono proprio gli esperti della lingua italiana, Accademia della Cruscacompresa, a guardare con grande interesse a questa nuova lingua che a parer loroper la prima volta nella storia del nostro Paese, è un italiano scritto di massa. Unaseconda conquista dopo quella dell’italiano parlato di massa, divenuto tale solodopo l’avvento della televisione.Franca Porciani, La rivincita della X e della K, “Corriere della Sera”, 26 maggio 2012

http://27esimaora.corriere.it/articolo/la-rivincita-della-x-e-della-k/

Si tratta, come si vede, di una modalità espressiva grafica rinnovata, cheha in qualche misura annullato la distinzione dei concetti di variabilitàdiamesica tradizionalmente intesa, quale era nella classica dicotomia scrittovs parlato (Halliday 1992), introducendo nuove e diverse categorie per lascrittura che riproduce la voce (già in Ong 1970 e 1986; Goody 1989;Cardona 1990 [1985]) e l’interazione faccia a faccia annullando distanzefisiche di ingenti quantità di chilometri e azzerando la lungaggine deitempi di trasferimento dei messaggi (il cosiddetto lag), che è il presuppostoindispensabile nella nuova società dell’informazione (Orletti 2004;Fiorentino 2007).

Ma di che cosa stiamo parlando?

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2. Dall’sms a Twitter

La storia digitale attesta che il primo sms fu inviato il 3 dicembre 1992da un computer ad un cellulare sulla rete GSM Vodafone inglese e il testodel messaggio era il breve "ʺMERRY CHRISTMAS"ʺ, un augurio nataliziolievemente anticipato, scritto tutto in caratteri maiuscoli. Il primo sms dacellulare a cellulare invece risulta inviato all'ʹinizio del 1993 da uno stagistadella Nokia, il finlandese Riku Pihkonen.

Tecnicamente il messaggino (cosiddetto) ha un’estensione fissa di 140byte. Questa misura si traduce, in pratica, nella possibilità di usare 160caratteri di testo (a 7 bit) per comporre una unità-­‐‑messaggio. Costocontenuto, immediatezza, velocità, efficienza ed efficacia, praticità eversatilità del canale, la compatibilità per l’invio ad ogni apparecchioindipendentemente dal gestore del destinatario -­‐‑ sono riconosciuti come imaggiori punti di forza, elementi che hanno decretato l'ʹeccezionalesuccesso degli SMS. Dalla fine degli anni 'ʹ90, soprattutto in seguito alladiffusione dei telefoni cellulari tra le fasce di utenti delle giovanigenerazioni, i 160 caratteri dei messaggini sono diventati uno dei mezzi piùusati per tenersi in contatto:

Meglio scrivere che parlare. Per la prima volta da quando sono stati introdotti itelefonini, in Gran Bretagna cala il numero delle chiamate ma aumenta quello deimessaggini. Il totale delle telefonate fatte con i cellulari è diminuito dell’1,1 percento nel 2011, mentre la quantità di sms inviati è cresciuta del 16,6 per cento. Inmedia, lo scorso anno ogni possessore di un cellulare ha trasmesso 200 messagginial mese; nel 2006 ne venivano inviati mediamente soltanto 60 a persona.Le cifre annunciate dall’annuale Communications Market Report dell’Ofcom,l’agenzia che regolamenta il settore delle comunicazioni nel Regno Unito,confermano una tendenza che era già evidente, qui e in altri paesi: la gentepreferisce comunicare per iscritto piuttosto che a voce. Vari i motivi, secondo gliesperti del ramo: i messaggini costano di meno, si possono rileggere ovvero “scriptamanent” come sapevano già gli antichi Romani, e per molti, specie tra i più giovani,permettono una forma di dialogo più concisa e moderna. Ma il boom o meglio il ritorno della comunicazione scritta non si limita aimessaggini. Sempre più spesso si comunica attraverso i social network, comeFacebook o Twitter, piuttosto che con un sms o con una e-­‐‑mail. Anche perché,sempre secondo i dati dell’Ofcom, oggi due terzi dei consumatori britannici hannouno “smartphone”, un telefonino “intelligente” ovvero in grado di navigare sulweb e dunque di collegarsi ai social network (o a Skype, l’altro nuovo mezzo percomunicare, verbalmente e perfino visualmente, gratis oltretutto). E l’11 per cento

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dei cittadini del Regno Unito ha un tablet, percentuale destinata a raddoppiare dianno in anno secondo le previsioni, un altro mezzo di comunicazione mobile, checontribuisce al rilancio della parola scritta. Quando fu inventato il telefono, e ancoradi più quando è arrivato il telefonino, si pensava che la comunicazione verbaleavrebbe mandato in pensione la forma scritta. E invece non è così, potrebbeaddirittura accadere il contrario. Perché “verba volant”, mentre un testo rimane connoi quanto vogliamo.Enrico Franceschini, Regno Unito, “scrivi non parlare”. Calano le chiamate, aumentanogli sms, “La Repubblica”, 18 luglio 2012.http://www.repubblica.it/economia/2012/07/18/news/regno_unito_scrivi_non_parlare_calano_le_chiamate_aumentano_gli_sms-­‐‑39263324/

Tali risultano le condizioni per la nascita delle “scritture brevi” di oggi.

Il collegamento tra il numero massimo dei caratteri e la spesa haimplicato sin da subito l’elaborazione di tecniche di risparmio che agisconointaccando le regole della grafia standard allo scopo primario dirisparmiare, pur salvaguardando la corretta comunicazione.

I ragazzi, particolarmente gli adolescenti, hanno limitate risorseeconomiche e debole grado di assoggettamento alla norma linguistica, omeglio certamente sono capaci di sfruttare al massimo la libertà concessadall’appartenenza al gruppo al di fuori degli ambienti “regolati” enormativi. La scuola e anche, in minor misura, la famiglia, richiedono uncomportamento linguistico appropriato, ma, dove non vi è controllo daparte dell’autorità superiore, fantasia e creatività diventano motori efficacidell’innovazione (Stefinlongo 2002; Pistolesi 2005a).

Insieme alla tipica adesione alle regole del gruppo (che in terminisociolinguistici costituisce la base per lo sviluppo e per il mantenimentodelle varietà gergali), il costo legato alla lunghezza del messaggio, maanche le ristrette dimensioni materiali del supporto, la minuscola tastiera eil piccolo schermo del cellulare, la posizione fisica solitamente “inmovimento” dello scrivente, hanno creato le condizioni per la nascita diforme di scrittura abbreviata.

Ma si può affermare che la lingua dell’sms, pur moderna e nuova, siagià sopravvissuta a molte rivoluzioni digitali, conservandosi, ad esempio,nel corso della pur frequente e rapida sostituzione di modelli di dispositivitelefonici aggiornati secondo le nuove tecnologie (Crystal 2001).

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La speditezza garantita dal sistema di scrittura predittivo, o T9 (oggidisponibile in oltre settanta lingue), non ha messo in crisi le abbreviazioni,poiché è appurato che al giovane scrivente interessano la brevità e ilrisparmio, più che la velocità della digitazione. La possibilità di ampliare ilvocabolario memorizzato integrando nuove forme consente la prassi diinserire parole abbreviate nella memoria predisposta. Giovani utenti del T9sono raramente disposti a rinunciare a <nn> = “non”; parimenti l’uso, peraltro non nuovo, del valore fonetico dei segni aritmetici (+, -­‐‑, x) non è maistato soppiantato dalla scrittura “normale”, estesa, “più, meno, per”.

Recentemente infine, le nuove tastiere QWERTY, con un tasto per ognilettera, hanno rinverdito i fasti della scrittura breve, a tutto svantaggio delnon economico T9.

Ancora, è segnale del valore insieme sociale ed economico del sistema ilfatto che la pratica della scrittura abbreviata sia stata trasferita di peso nellaconversazione scritta via chat, a partire dalle forme adottate dalle retisociali, come oggi Twitter (dal 2006), che per altro segue ed impone lelimitazioni dell’sms, ammettendo messaggi di massimo 140 caratteri, ma laconsuetudine risulta nella pratica adottata da tutti i sistemi dimessaggistica istantanea, come Windows Live Messenger e finalmente nelsocial network più popolare, Facebook (dal 2004).

Internet Relay Chat (in sigla IRC) è il nome del programma messo apunto dal finlandese Jarkko Oikarinen nel 1988, data convenzionale cheinaugura la concezione dello scambio sincrono multiutente. Nella storiadella rete, questa data costituisce un punto di svolta poiché fino a quelmomento la comunicazione in forma scritta si limitava ai soli sistemiasincroni (e-­‐‑mail, newsgroups).

La differenza che oggi intercorre tra forme comunicative asincrone esincrone incide fortemente sulle manifestazioni concrete delle modalitàscrittorie implicate (Bazzanella 2002 e 2003; Pistolesi 2003).

Nata nel 1971, la posta elettronica (e-­‐‑mail) ha rapidamente rivoluzionatoil modo di comunicare (Baron 1998), ponendosi come medium scrittoveloce ed immediato rispetto al tradizionale messaggio epistolare, ma oggi,dopo quarant’anni, l’immediatezza inizialmente garantita ha persoconsistenza di fronte alle nuove forme della comunicazione per chat, chetale “primitiva” velocità hanno di gran lunga superato, proponendo modidi interrelazione comunicativa istantanea che costituiscono l’espressionetangibile di uno scambio faccia a faccia e la riproduzione in forma scrittadello stile parlato:

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Signs you’re an old fogey: You still watch movies on a VCR, listen to vinyl recordsand shoot photos on film.And you enjoy using e-­‐‑mail.Young people, of course, much prefer online chats and text messages. These havebeen on the rise for years but are now threatening to eclipse e-­‐‑mail, much as theyhave already superseded phone calls.Major Internet companies like Facebook are responding with message services thatare focused on immediate gratification.The problem with e-­‐‑mail, young people say, is that it involves a boringly longprocess of signing into an account, typing out a subject line and then sending amessage that might not be received or answered for hours. And sign-­‐‑offs like“sincerely” — seriously?Matt Richtell, E-­‐‑mail use gets an instant makeover, “The New York Times”, 20December, 2010.http://www.nytimes.com/2010/12/21/technology/21email.html?_r=1

Facebook, Twitter, chat, Skype, perfino l'ʹimmarcescibile sms sono più immediati,informali, gratificanti. L'ʹe-­‐‑mail obbliga a un minimo di preparazione: un account diposta, un destinatario con un indirizzo, magari qualcosa nel «subject» (argomento).Bisogna aspettare che il destinatario risponda: e non sempre lo fa. Occorre evitaregli errori di ortografia, e magari fingere di essere educati. Nessuno, in Italia, chiudeuna email con «In attesa di favorevole riscontro», se non ha assunto sostanze moltoforti. Ma un saluto prima della firma lo usano tutti.È questa sovrastruttura che i ragazzi trovano pesante, in America come in Italia, aLondra come a Pechino. Una email non può -­‐‑ o non dovrebbe -­‐‑ contenere solo «:-­‐‑O», per spiegare che il mittente è sorpreso. Facebook, per esempio, s'ʹè accorta che lariga del «subject» (l'ʹargomento) resta spesso vuota (al massimo qualcuno batte hi!oppure ehi!). Così ha deciso di eliminarla insieme a cc (copia) e bcc (copia nascosta).FB non è un paese per vecchi; l'ʹemail sì. Yahoo e Hotmail -­‐‑ celeberrimi siti di postaelettronica -­‐‑ hanno perso il 16% dei visitatori in un anno; solo Gmail, prodotto dicasa Google, è cresciuta del 10%. […]La chiocciolina (@) è una specie in via di estinzione?Probabilmente sì. Poco male: l'ʹemail ha avuto una vita intensa. Intensa -­‐‑ bastavedere gli auguri seriali da cui veniamo inondati in queste ore -­‐‑ ma breve. Quindicianni, diciamo. L'ʹimpatto sociale inizia nel 1995. L'ʹemail è come le ragazze dellatelevisione: c'ʹè sempre una più giovane in agguato.Le lettere di carta hanno resistito meglio: cinquanta secoli?Qualcuno ancora ne manda, anche se l'ʹabitudine è ristretta ormai a tre categorie dipersone: molto romantici, molto anziani, molto eccentrici. Accadrà presto anche agliutenti di posta elettronica. «Ti mando una email» sembra il titolo di una commediaromantica all'ʹamericana, di quelle dove si baciano a dieci minuti dalla fine e tuttiapplaudono. Vederla fa sempre piacere, ma la vita funziona in altro modo.

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Beppe Severgnini, Il declino della “chiocciola”. Email snobbate dai ragazzi, “Corrieredella Sera”, 22 Dicembre 2010.

http://www.corriere.it/cronache/10_dicembre_22/declino-­‐‑della-­‐‑chiocciola-­‐‑Email-­‐‑snobbate-­‐‑dai-­‐‑ragazzi-­‐‑beppe-­‐‑severgnini_e7942c7a-­‐‑0d98-­‐‑11e0-­‐‑8558-­‐‑00144f02aabc.shtml

Sostituendo, innanzi tutto per motivazioni pratiche ed economiche, lacomunicazione scritta cartacea, l’e-­‐‑mail ha infine soppiantato la letterapersino nelle occasioni ufficiali, acquisendo (ad esempio con l’introduzionedel valore legale della firma digitale) prerogativa anche pubblica e legale.Ciò ha comportato uno slittamento delle potenzialità e delle funzioni dellascrittura per e-­‐‑mail, con conseguente relativa attribuzione al nuovo mezzodelle caratteristiche ereditate dalla comunicazione scritta tradizionale -­‐‑ altocontrollo dell’espressione e dello stile, verifica della correttezza formale egrafica, dilatazione dello spazio fisico e temporale tra l’emittente e ildestinatario, eliminazione dei fenomeni di personalizzazione ospontaneismi -­‐‑ conservando pertanto i vantaggi della scrittura edeliminandone la principale insufficienza, che era sostanzialmente nellalunghezza dei tempi di consegna del messaggio (Cho 2010).

Tali specializzazioni progressive dei tipi testuali digitali, intervenute nelgiro di pochi anni, hanno determinato, di fatto, la proliferazione di unavariegata gamma di scritture della rete, che non possono più esserevalutate come fenomeno singolo ed unitario, bensì piuttosto come unasorta di diasistema complesso, di pari passo con l’ampliarsi dell’universodigitale (Stefinlongo 2004; Bonomi 2010; Pilloni 2011; Tavosanis 2011).

Nell’ideale continuum tra la dimensione della scrittura e il parlato, lascrittura per chat o l’instant messaging possono essere riguardati come unasignificativa via intermedia e, data l’odierna diffusione globale dei socialnetwork, non può essere trascurato l’impatto universale sulle forme e sullalingua (Baron 2000; Frehner 2008).

3. Per una grammatica delle scritture brevi

Nella considerazione, asseverata dalla pragmatica, della competenzacomunicativa come somma di micro-­‐‑competenze relative ai contesti d’uso,è evidente che la differenziazione delle condizioni dello scambiocomunicativo abilitata dalla comunicazione sincrona rispetto a quellaasincrona richiede, da parte degli utenti, l’adeguamento ai relativi registri,

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l’acquisizione di un linguaggio collettivo, in pratica l’adesione a un canone(socio-­‐‑)linguistico condiviso (Herring 1996 e 2012a; Bazzanella 2005a).

La comunità degli scriventi, in sé virtuale, risulta essere particolarmenteesigente quanto alle regole che determinano il riconoscimento e l’inclusionedei suoi affiliati.

Secondo i parametri della socio-­‐‑pragmatica della comunicazione,l’espressione del singolo è piuttosto determinata dalla personale esigenzadi consenso e di approvazione e l’identificazione all’interno del grupporisulta prevalente rispetto all’originalità e alla individualità, o alla sostanzastessa della comunicazione.

Parlare, ovvero scrivere “come gli altri”, appare presuppostoimprescindibile non solo per la comprensione, ma per la stessatrasmissione del messaggio. Ogni buon utente della rete sa che scrivere e-­‐‑mail è diverso dal partecipare validamente e in maniera propria all’attivitàdi un chatgroup, lì dove proprio l’adesione alle consuetudini linguistiche delgruppo determina, a priori, l’attribuzione del ruolo di parlante virtuale(Adkins&Brashers 1995).

Tra le forme che consentono il riconoscimento dell’utente nellacomunità “social” vi è senz’altro la scrittura (poiché scritta è concretamentela modalità di manifestazione dell’utente) e, all’interno di essa,particolarmente pertinenti appaiono le forme delle scritture brevi, le qualiassommano, alla preliminare urgenza della velocità e della concisione,annesse prioritariamente alla comunicazione digitale, l’esigenza sociologicadell’accreditamento al gruppo quale appena sopra illustrata.

Si giustifica a partire da tali premesse la diffusione di pratiche grafichecondivise, che per lo più utilizzano la modalità abbreviativa come segnaledistintivo gergale (Lorenzetti&Schirru 2006), ma all’interno della comunitàcoesa ne sperimentano le possibilità espressive allo scopo dellacomunicazione più efficace.

Alla luce delle nostre premesse, forme brevi saranno infrequenti, quasiinappropriate, alla comunicazione via e-­‐‑mail, mentre risulterannopressoché obbligate all’interno della conversazione per chat.

Il carattere vincolante è tanto più evidente lì dove la scrittura abbreviatacompare senza remore di contravvenzione dello standard in scambi nonsolo tra utenti intimi o familiari, ma anche fra corrispondentireciprocamente sconosciuti, per i quali l’espressione non sorvegliata e iltratto amichevole costituiscono gli effetti, oltre che le cause, dell’approcciocomunicativo e grafico spontaneo.

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Il concetto di convenzione si ristruttura all’interno della nuova dinamicacomunicativa, fino a determinare la costituzione di repertori condivisi lacui competenza, da parte degli utenti, condiziona evidentemente ilprocesso di trasmissione e di ricezione del messaggio.

Prova della rilevanza del principio della convenzione interna al gruppoè la diffusione, in rete, di dizionari di abbreviazioni in uso nelle chat, listedi acronimi disponibili per tutti gli utenti (Crystal 2004), o, se anche nonutilizzati, comunque compresi, decodificati ed acquisiti, repertori cheattestano il grado di standardizzazione delle forme e soprattutto il livello dinormalizzazione della pratica delle scritture abbreviate all’interno dellacomunicazione digitale (Lo Cascio 2007).

Ma, nonostante ciò, è la stessa proliferazione dei dizionari, come pure laconvivenza, al loro interno, di forme grafiche non univoche o uniformi,l’esistenza, inoltre, di più varianti per una parola, nonché la presenza nonrara di forme omografiche, a dover indurre necessariamente a unariflessione sui principi che paiono regolare la prassi abbreviativa, inconsiderazione della difformità delle produzioni.

Per rifarci intanto solo ai lessici delle chat – che costituiscono quioggetto dell’indagine e nostro punto di partenza – la recensione dei testinon sempre supporta l’idea che gli utenti aderiscano a una convenzione.

La selezione e l’analisi di una conversazione a lungo termine su Twitter(in questa sede contributo Logozzo) fa rilevare, contestualmente, nellostesso utente, l’impiego della forma abbreviata, o estesa, o spessovariamente abbreviata, di una stessa parola.

Piuttosto da tali analisi specifiche deriva come l’esame e laclassificazione delle forme annunci l’adesione non già a lessicistandardizzati, quanto invece a ciò che vorremmo definire una sorta di“grammatica” o “sistema di regole” rispondenti a criteri di funzionalitàrelativa alla dimensione della “brevità” (Dardano&De Roberto&Frenguelli2008; Held&Schwarze 2011; Chiusaroli&Zanzotto in stampa).

4. Per una storia delle scritture brevi

A tale scopo apparirà utile inquadrare i tipi di scritture brevi del weball’interno di una più vasta considerazione delle fenomenologie, perprocedere a una loro considerazione sincronica, in senso tipologico, maanche diacronica, istituendo confronti con sistemi grafici e abbreviativicontemporanei o succedentisi, storicamente sperimentati.

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Come è noto, al di là delle specifiche casistiche, la storia della scritturaha proceduto nel corso del tempo a una progressiva ristrutturazione delproprio impianto, nel perseguimento del principio della linearità delsignificante, ovvero fonetico/fonologico, pertanto abbandonando formegrafiche iniziali, come quelle ricostruite per le fasipittografiche/ideografiche/logografiche, stilizzando, astrattizzando e infinespecializzando man mano i disegni, trasformandoli in segni istituiti econvenzionali espressioni di valenze sillabiche e fonetiche, perdendo infineogni relazione diretta e “naturale” coi referenti (Cardona 1981; Cardona1986a).

Così come, tuttavia, i sistemi grafici storici hanno di fatto conservatoelementi dei precedenti stadi, configurandosi come sommatoria di metodigrafici mistiformi (Valeri 2000), anche la pratica del texting mostra direcuperare tale somma di varietà utilizzandone le singole realizzazioniall’occorrenza all’interno del medesimo linguaggio/discorso.

Si tratta, ovvero, di verificare, nelle scritture brevi di oggi, lapermanenza e la convivenza di forme grafiche appartenenti non più o nonsoltanto ai principi della tradizione alfabetica, bensì a diverse tipologie(Pulgram 1976; Frutiger 1996), semasiografiche o glottografiche,rispondenti alle plurime esigenze rese funzionali per la scrittura delmessaggio digitale di testo.

Contro la diffidenza e l’ostilità diffuse nei confronti di praticheattribuite con biasimo ai gerghi giovanili, andrà inoltre osservato comeanaloghi principi costitutivi possano essere riscontrati nei sistemi delleabbreviature che, nonostante la storica supremazia del modello alfabetico(Martin 1990; Harris 1998; Harris 2003), convivono in condizioni diafasichenelle grafie specialistiche (in questa sede Reali), come, dall’età antica, lapaleografia, la diplomatica e l’epigrafia, oppure nei sistemi tachigrafici estenografici (Battelli 1939; Paoli 1891 e 1987; Bischoff 1992; Cencetti 1997).

In tali ambiti il principio della convenzione si associa, integrandosi,all’esigenza funzionalista, dando luogo spesso a dizionari in cui convivonoforme incongruenti, disomogenee, irregolari (Cappelli 1990), la cuilegittimità è innanzi tutto salvaguardata dal prestigio della fonte, ma anchedai meccanismi pratici che asseverano il funzionamento del sistema.

In chiave sincronica, la comparazione interlinguistica fa altresì osservarela ricorrenza di meccanismi abbreviativi in parte specifici, ma in parteanche comuni alle diverse lingue, precipuamente collegati vuoi al diversocarattere tipologico delle lingue o alla efficacia fonologica della loro norma

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grafica standard, vuoi alla finalità dell’atto comunicativo, oltre cheall’adesione a stili convenzionali. Se la scrittura può essere attivitàuniversale dell’uomo (Cardona 1990 [1986b]), certamente generaliappaiono i meccanismi che regolano le pratiche dell’accorciatura grafica.

Alcuni semplici confronti interlinguistici ci mostrano l’applicazione ditecniche ripetute e assimilabili – ciò che in questa sede chiameremo“regole”.

5. Tipi e regole

5.1 Grafie fonologiche

Risponde a necessità di brevità, velocità, sintesi, eliminazione dellaridondanza, la rappresentazione grafica della parola sulla base dellariproduzione della pronuncia, replicando in tal modo, con perfettacorrispondenza, alla richiesta mimesi col parlato e con la dimensione oraledel messaggio. La pratica riduce al minimo la lunghezza grafica,recuperando la corrispondenza biunivoca suono/segno che è il presuppostooriginario, ideale, successivamente perduto, del sistema alfabetico.

Ecco dunque l’adozione dei caratteri -­‐‑ lettere/numeri/simboli -­‐‑ persostituire sequenze foniche e parole (Crystal 2001):

inglese:

<b> = “be”<c> = “see”<r> = “are”<u> = “you”<y> = “why”<4> = “for/fore”<2> = “to/too”<8> = “-­‐‑ate”

inglese:

<2b or not 2b> “to be or not to be”<c u> = “see you”

italiano:

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<xke> = “perché”<ke fai?> = “che fai?”<c 6?> = “ci sei?”

Lo storico grado di allontanamento della grafia inglese dalladimensione fonologica -­‐‑ rispetto al tratto altamente fonetico della scritturadell’italiano -­‐‑ può darci spiegazione della speciale fortuna della pratica deltexting per l’inglese (Baron 2000) e della grande abbondanza dei fenomeniin tale lingua, ma anche giustifica la varietà e la pluralità degli esiti, o lanon univocità delle opzioni negli scriventi.

Per l’italiano, al numero minore delle soluzioni fanno da contraltare lasaldezza e la costante occorrenza di alcuni esiti, fissi e pressochéstandardizzati, al limite dell’automatismo, come l’uso della lettera <k> persostituire il poco economico “ch”, dilagante oltre i limiti dell’impiegogergale. Per altro, è ben noto già nella scrittura dei writers degli anni ’70l’impiego di <k> nei graffiti e nelle scritte murali -­‐‑ una lettera che è,all’origine, visiva manifestazione dell’anima giovanile della protestasessantottina, della sua ispirazione anarchica e sovranazionale, espressiva,anche nella sonorità espressa dal fono occlusivo sordo, dei sentimenti dellarabbia e del disprezzo delle regole dichiarati dai movimenti punk e rock(entrambi nomi con <k>).

Ancora per l’italiano, è guidata dal principio fonologico l’adozione deisegni matematici <+, -­‐‑, x> per “più, meno, per”, che si trova all’origine delgrossolano “Bixio/Biperio”, ma la cui esistenza può essere rintracciata nellagrafia giovanile degli “appunti” già da prima dell’avvento dei cellulari.

Costituisce una pratica comune a varie lingue l’impiego dei numeraliarabi per la loro valenza fonetica (it. <6> = “sei”; ingl. <4> = “for”), adozionegenerale che, nel caso specifico, attesta la non universalità della lettura deisegni e piuttosto la loro diretta relazione con il sistema linguistico dato econ la corretta competenza di esso.

Il medesimo richiamo alla dimensione linguistica di riferimento è allabase della appropriata e “relativa” decifrazione di forme brevi come <c>,che vale “ci” per un utente di lingua italiana e “see” (o anche “sea”) per unparlante/scrivente inglese.

5.2 Grafie consonantiche

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Tipiche forme abbreviative risultano dalla consuetudine dellasoppressione di elementi dal corpo grafico della parola:

<tx, tnx, thx> = “thanks”<dmn, gg, vd, nn, sn, grz> = “domani, oggi, vedo/vado, non, sono,grazie”<gg nn vd> = “oggi non vado”

Il denunciato disorientamento dell’utente non esperto di fronte a nucleitotalmente composti di consonanti può essere attribuibile a scarsità diconsapevolezza metalinguistica, ma più presumibilmente sarà daaddebitare a posizioni di pregiudizio, lì dove intuitivamente appareoperazione abbastanza immediata ed istintiva ricostruire il senso di unaparola derivandolo dalla struttura consonantica (non solo grafica).

A tale riguardo ricordiamo che risiede fra i fondamentali presuppostidella teoria dell’informazione l’idea che, nelle parole, la qualità informativasia massimamente veicolata dalle consonanti piuttosto che dalle vocali(Barr 1976). Numerosi ed acclarati sono i casi di esperimenti volti aasseverare il diverso grado di dipendenza della intelligibilità di unmessaggio scritto dalla presenza dei caratteri che richiamano certecomponenti sonore e non altre, così che è dimostrato come si possadecifrare senza errori un testo scritto senza, o con poche, vocali(Lee&Rayner&Pollatsek 2001). Allo stesso modo l’assuefazioneall’esperienza della dimensione scritta della lingua, acquisita con la culturadella scolarizzazione cui sin da bambini siamo sottoposti, determinal’acquisizione di una percezione “gestaltica”, non sempre reale, della formascritta, che ci consente di leggere correttamente parole contenenti errori distampa o refusi tipografici (Cardona 1981).

In termini di confronto storico, sarà inoltre da ricondurre alla medesimaprospettiva la scelta, operata nelle fasi dello sviluppo dei primi sistemigrafici alfabetici, di istituire apparati solo consonantici, quali sonotestimoniati dalle antiche scritture semitiche, fenicio, arabo, ebraico. Mentrenon si dà tradizione alfabetica che attesti la notazione di sole vocali, risultatra le tipologie abbreviative della tradizione paleografica la trascrizione diparole composte dalle componenti solamente consonantica (<DMS>“Dominus”; <SCS> “sanctus”) o solamente vocalica (<aia> “anima”).

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5.3. Grafie tronche

Entrano nel novero dei procedimenti abbreviativi ad ampia diffusione letecniche di apocope, troncamento ed elisione, eliminazioni di “porzioni”della parola che appaiono ininfluenti rispetto alla salvaguardia delprincipio informativo:

<and> = “andare/andiamo/andate”<comple/comple> = “compleanno”

La particolare varietà degli esiti riferiti dai dizionari delle abbreviazionidella rete è spesso dovuta alle polimorfiche possibilità di lettura di formegrafiche che costituiscono i lessemi delle parole, alle quali l’elementomorfologico o desinenziale viene sottratto in quanto giudicato facilmentericostruibile dal corpo sintattico della frase. Tale procedimento appareparticolarmente fecondo, produttivo e ricorrente nel caso di lingue acomponente morfologica flessiva, lì dove la parte semantica e quellagrammaticale sono facilmente distinguibili e risultano dotate di valoreinformativo reciprocamente non equivalente.

Significativamente, moltissime equivalenze, con casi di plurivocheletture, si trovano della pratica del troncamento delle desinenze nellapaleografia latina: <nom> “nomen”, <dix> “dixit, <fecer> “fecerunt”,<accep> “accepit/acceperunt” (Battelli 1939).

5.4. Scriptio continua

Frequente è la soppressione delle separazioni grafiche tra le parole,procedimento in uso anche nella lingua standard e che appare storicamentealla base di modificazioni indotte sulla lingua dalle caratteristiche dellascrittura del parlato. Certe perplessità, registrate dai dizionari della linguaitaliana (http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4026&ctg_id=93), circa la corretta scrittura di alcune locuzioni avverbiali opreposizionali, conducono non raramente all’accoglimento, nello standard,della duplice opzione, unita o disgiunta, dell’espressione, esplicito segnaledel carattere del tutto convenzionale dell’isolamento dell’unità “parola”scritta nella scrittura alfabetica.

Analogamente attestate nella sincronia e nella diacronia dell’italianosono formazioni riproducenti esiti fonetici di processi legati al continuum

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tipico della catena fonica (sui condizionamenti tra scritto e oralenell’italiano cfr. almeno Serianni 2003 e Trifone 2007):

<anzitempo> = <anzi tempo><anzitutto> = <anzi tutto><casomai> = <caso mai><ciononostante> = <ciò nonostante><controvoglia> = <contro voglia><difronte> = <di fronte><disotto> = <di sotto><dopotutto> = <dopo tutto><manodopera> = <mano d'ʹopera><nondimeno> = <non di meno><oltremisura> = <oltre misura><oltremodo> = <oltre modo><peraltro> = <per altro><perlomeno> = <per lo meno><perlopiù> = <per lo più><quantomeno> = <quanto meno><tantomeno> = <tanto meno><tanto più> = <tanto più><tuttalpiù> = <tutt'ʹal più>

o processi di assimilazione per coarticolazione:

<cosicché> = <così che><dappoco> = <da poco><dappresso> = <da presso><dapprima> = <da prima><dapprincipio> = <da principio><suppergiù> = <su per giù>http://ebookpdf.files.wordpress.com/2008/10/come-­‐‑si-­‐‑scrive-­‐‑prontuario.pdf

Già variamente attestate nella scrittura epigrafica e paleografica (con leconnesse derivanti problematiche di decodifica e disambiguazione), lalegatura e la scriptio continua, insieme alla assenza/omissione dellapunteggiatura, risultano sicuri procedimenti di risparmio anche nell’sms enelle chat, in cui è prevalente la pratica della eliminazione di segni diinterpunzione o spaziature non significativi o giudicati irrilevanti per lacomprensione, determinando grafie sintetiche dal pertinente effettofonetico (esempio: <cè> = “c’è”).

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5.5. Acronimie

Principio produttivo tra i meccanismi abbreviativi più comuni è lacontrazione acronimica o inizialismo, agente attivissimo nella formazionedelle parole e delle frasi nella lingua della rete come nel lessico comune(Calvet 1980; in questa sede Di Pace&Pannain e, con riferimento allatraduzione, Lefèvre).

L’uso di abbreviare per singulam litteram (cfr. Valerio Probo, De litterissingularibus), anziché scrivere per esteso alcune parole, risulta praticamentecoevo, o almeno poco meno antico della scrittura alfabetica stessa, ed èlegato, oltre che alle condizioni degli impieghi epigrafici e manoscritti,all’alta frequenza d’uso delle parole, così usuali da rendere ridondante laversione estesa delle forme: <SPQR> “Senatus Populusque Romanus”,<AVC> “ab Urbe condita” (Cencetti 1997).

Sono frutto della fortuna garantita dalla scrittura della rete -­‐‑ ilcosiddetto netspeak -­‐‑ alcuni neologismi ora acquisiti ufficialmente nellanorma grafica e linguistica, secondo le consuete trafile di diffusione eintegrazione delle forme speciali o gergali nella lingua comune (in questasede Marroni), fino al loro inserimento nei dizionari dello standard.

Il termine sms è acronimo dell'ʹinglese Short Message Service ed è adesempio comunemente usato per indicare un “breve messaggio di testo” (il“messaggino”) inviato da un telefono cellulare ad un altro. Il terminecorretto sarebbe SM (Short Message), ma ormai è invalso l'ʹuso di indicare ilsingolo messaggio col nome del servizio, quindi utilizzando sms con valoresostantivale (“inviare un sms”, “digitare un sms”). Evidentemente peranalogia con sms si è imposta successivamente la forma mms, acronimo diMultimedia Messaging Service, che vale “messaggio multimediale”.

Derivante dallo stesso contesto, T9 nasce come acronimo di Text on 9(keys), nome del relativo software, inventato da Tegic Communication,mentre ora vale “Dizionario T9”.

Il successo della forma (breve) e-­‐‑mail (da electronic mail) può essere postoalla base dell’acquisizione del prefisso e-­‐‑ come formante per nomi diprodotti collegati concettualmente alla posta elettronica, come e-­‐‑commerce,e-­‐‑business, e-­‐‑bay, e-­‐‑book, progressivamente acquisiti come prestitinell’italiano, con interessanti formazioni paronomastiche, quali ad esempioil termine e-­‐‑mule, per cui la resa senza trattino separatore (comune ancheper le voci precedenti) emule configura felicemente l’idea della“riproduzione”, fatalmente “non autorizzata”, di cui il logo dell’asinello

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(mule) può rendere concretamente l’immagine. L’attivazione di analogoprocedimento di scomposizione e ricomposizione di pezzi brevi dellaparola si riconosce nella costituzione e immediata fortuna di unaformazione come g-­‐‑mail, che riproduce il concetto di e-­‐‑mail

specializzandolo sull’iniziale del più famoso motore di ricerca dallacontrazione del più lungo Google mail (dal 4 luglio 2005).

Ad oggi una delle più fortunate trafile per una formazione breve apparerappresentata dal gruppo di parole dell’universo Apple, lì dove la primaformazione i-­‐‑Mac (i-­‐‑ equivale a Internet ed è poi il pronome I, espressionefelicissima della tendenza alla personificazione e personalizzazione tipichedella tradizione Apple: ricordiamo che nel 1998 il primo modello sipresentò da solo grazie a un programma di sintesi vocale Hallo, I’mMcIntosh) ha guidato la costruzione della serie dei nomi dei dispositivi i-­‐‑Pod (Pod dalla navicella del film di Kubrick 2001: Odissea nello spazio), i-­‐‑Phone, i-­‐‑Pad (Pad è la tavoletta dell’amanuense), i prodotti i-­‐‑Book(omofonico ma più fortunato di e-­‐‑book) e i-­‐‑Tunes, oggi manifestazioni diun vero e proprio stile di vita -­‐‑ i-­‐‑Life – dentro l’universoMac.

La correlazione che si instaura tra la notorietà e l’uso comporta laconvenzionalizzazione di forme grafiche spontanee e la loro diffusione aldi là dei confini nazionali originari. La sequenza a due lettere <fb> è oramaiFacebook per tutto il mondo, e la forma breve è realizzata dalle iniziali deglielementi del composto.

Gli effetti, anche in questo caso, vanno oltre la creatività dello scrivente,fino a condizionare la strutturazione dei sistemi predittivi nel trattamentoautomatico del linguaggio naturale, come nei dizionari intuitivi o nelmotore di ricerca.

Le nuove funzioni di Google come “Instant” e “Suggest”(http://www.google.it/instant/;http://www.google.it/support/websearch/bin/answer.py?answer=106230) sibasano sulla pre-­‐‑selezione e la proposta dei risultati della ricerca partendodalla digitazione degli elementi ritenuti più informativi nella frase (Herring2012b), ad esempio privilegiando le consonanti rispetto alle vocali, imorfemi lessicali rispetto a quelli grammaticali, i sostantivi e i verbirispetto alle preposizioni e alle congiunzioni, o attraverso la deduzione delrisultato dalle prime lettere della parola ricercata (<f> > Facebook). E si tratta,come si vede, di un effetto con valenza ideologica indotto dalla praticadelle scritture brevi (Shirky 2010).

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Entra nel novero dei procedimenti acronimici il notissimo <tvb> “tivoglio bene”, acclimatato nella scrittura giovanile e conseguentementedeclinato in forme più lunghe, anche con commistioni multilingui, unfenomeno che, tra l’altro, mette in rilievo la motivazione ludica, di giococon la lingua (Crystal 1998), che provoca tipici allungamenti “ridondanti”delle scritture brevi:

<tvtb, tvttb> “ti voglio tanto bene, ti voglio tantissimo bene”<tv1kdbeo4e> “ti voglio un casino di bene e oltre forever”

La dimensione globalizzante indotta dal fenomeno della rete siriconosce nella diffusione, in italiano, della forma contratta LOL, acronimodi “loughing out loud” o “lough out loud”, espressione enfatica della risatafragorosa, e della forma OMG, abbreviazione convenzionalizzatadell’esclamazione “Oh my God!”, entrambi ben diffusi nella messaggisticaistantanea come sequenza grafica compatta, con effetti semantici in qualchemodo riconducibili al caso della composizione delle formazionionomatopeiche attestate nella lingua dei fumetti e in particolare nelletraduzioni dalla lingua inglese dei testi fumettistici della tradizionedisneyana (Pietrini 2007; in questa sede Dovetto).

5.6. Scritture a effetto

Si classifica nel novero delle espressioni digitali giovanili la pratica dialterazione della struttura grafica standard della parola tramitesostituzione di lettere con caratteri alternativi. Le corrispondenze sono intali casi istituite attraverso lo sfruttamento di certe analogie visive o anchein ragione di suggestioni ed evocazioni a marca esterofila (anglofila) ocomunque per il richiamo internazionalizzante.

Costituisce occasione importante di manifestazione identitaria delloscrivente l’ideazione del nickname (ora nick), che graficamente rappresentauna sorta di passaporto della personalità, una sintetica rivelazione del sé-­‐‑digitale che precede o accompagna, siglandola, ogni comunicazione (inquesta sede Caffarelli). L’esigenza, talora imposta dal sistema, di evitareomonimie o omografie, determina la creazione di stringhe nominaliautografe ottenute combinando lettere e numeri, come le lettere del nome,o del nomignolo (nome breve), e i numeri della data di nascita. Nei casi,parimenti frequenti, di “nomi in codice” o “nomi d’arte” si assiste

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all’applicazione di caratteri sostitutivi che garantiscono l’originalità senzamettere a repentaglio la corretta lettura: per il principio della analogiavisiva si creano associazioni di segni come <4> = “A”; <3> = “E”, da cui, adesempio, originano formazioni di nick come <M4RGH3RIT4> o<pR!nç!P€$0gN@nT€>.

Entrano nella medesima tipologia le sostituzioni di parti della parola(evidentemente avvertite come non fondamentali) che uniscono lepotenzialità evocative e la pressione abbreviativa, quale è l’impiegosperequativo della <x> in <complex> = “compleanno”, <camix> = “Camilla”,raddoppiata, triplicata, senza motivazione razionale:

<bellixximo> = “bellissimo”<bnxximo> = “benissimo”

perchè la x al posto delle 2 esse? booCiao!Vabè capisco magari perchè scriverlo "ʺxke"ʺ bene o male un senso ce l'ʹha (x <-­‐‑-­‐‑-­‐‑-­‐‑ staper "ʺper"ʺ__ke <-­‐‑-­‐‑-­‐‑ sta per che), e si puo anche capire ma da compleanno a complexbo io non ci vedo nessun senso logico!!ovvio.. perché scrivere compleanno è troppo faticoso.. se no si consumano i tastidella tastiera.. e poi vuoi mettere l'ʹebrezza di usare a profusione la lettera X?!si in effetti io scrivo comple...perchè sono al lavoro e cerco di guadagnare più tempopossibile scrivendo il più possibile...vuoi dire k in me c'ʹè un po'ʹ di bimbominkia???ti prego dimmi di noooooooooooooooooo

http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20080721051010AA6n5mM

5.7. “Brevità” per allungamento e punteggiatura

L’allungamento, con una modalità per così dire “agglutinante”, dellastringa acronimica consente di compitare intere frasi di senso compiuto esolo apparentemente contraddice il principio di brevità, per l’effettoottenuto della immediatezza che veicola, di impeto, il significatoconnotativo, o affettivo/emotivo, oltre a quello descrittivo/denotativo.

Allo stesso scopo è diretto l’uso della punteggiatura o dei caratterimaiuscoli, di cui va tra l’altro segnalata la valenza universale:

<vieni!> con un punto esclamativo può avere significato imperativo-­‐‑assertivo, ma <vieniiiii!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!>, con tanti punti esclamativi e coniterazione della finale vocalica, diventa implorante (attestato, ad esempio,nel messaggio dell’innamorato).

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Alla sostanziale specializzazione della punteggiatura per scopi ludici edespressivi corrisponde l’impiego non ortodosso dei segni paragrafematicinelle scritture brevi. Nel messaggio e-­‐‑mail è ancora attestato un certo gradodi adesione alle norme corrette – alternanza di punto/virgola,maiuscole/minuscole, uso dell’accapo – ma il livello di accuratezza èrelativo al ruolo dello scrivente e alla dimensione comunicativa diafasica;nelle conversazioni per chat l’identificazione pressoché totale col parlato ela forte pressione del ritmo comunicativo determinano per lo più lasoppressione di ogni atto di digitazione che possa alterare il processo dellascrittura continua senza determinare effetti informativi.

5.8. Pittogrammi e ideografie

Non potrà essere omesso, anzi è caratteristica fondamentale dellascrittura che ci interessa, l’impiego dei cosiddetti emoticons, inglese smileys,per noi anche faccine (Crystal 2004).

Realizzati in modalità pittografica, inizialmente ricavati componendofigure di “sguardi” attraverso segni di punteggiatura (da guardare con latesta chinata a sinistra), sopperiscono quasi senza necessità diintermediazione al vuoto intonativo che è la più rilevante fra leinsufficienze pragmatiche della comunicazione scritta (Dresner&Herring2010):

:-­‐‑) felicità:-­‐‑( tristezza:-­‐‑D risata:-­‐‑P linguaccia

Tali segni hanno tra l’altro conosciuto una propria evoluzione in terminidi brevità, essendo stati presto soppressi i tratti evidentemente avvertiticome non necessari:

:) :( :D :P

Gli smileys ccompagnano dunque l’espressione scritta, esplicitandol’umore del mittente o la modulazione del messaggio, ma addiritturapossono felicemente sostituire la scrittura, lì dove la faccina sorridente puòad esempio rimpiazzare il sì! scritto, più efficacemente della opaca parola,

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l’icona mostrando senz’altro il massimo potenziale in termini dirappresentatività e di espressività.

Elementi della medesima tipizzazione, come gli smileys dotati di grandeefficacia comunicativa diretta, ideale connubio tra brevità ed effetto, isimboli, disegnini e forme, si sono in pochi anni moltiplicati,particolarmente nei linguaggi delle chat, in un certo senso riportando lascrittura alla propria origine. Fra tutti è certamente sovrano (e nato benprima dell’sms) il cuore, che universalmente vale love/amore.

La costruzione iconica del cuore con i due segni <3 tratteggia un cuoresdraiato, da guardare con la testa chinata a destra, ma è rilevante la pratica,che vale anche per gli smileys, per cui i sistemi informatici alla base di sitiweb dominanti, come è oggi Facebook, consentono la creazione del cuore ♥-­‐‑ come di altre figure, -­‐‑ con l’automatismo della digitazione successivadei due caratteri implicati.

L’operazione di trasformare la digitazione in segni/immagini è resapossibile dal sistema anche a livello di fai-­‐‑da-­‐‑te. Così, ogni ragazzino potràricavare dalla rete immagini (anche in movimento) e associarle a sequenzedi trascrizione vincolandone l’esito.

Tale intervento meccanico fa registrare per altro forme devianti,potremmo dire allarmanti, per la deriva dalla norma, ma stupefacenti perl’evoluzione in senso ideografico (come già detto, pittografico) o anchesillabografico, lì dove la figuretta semovente compare appuntoautomaticamente nel corpo di una parola perdendo l’iniziale valoreiconico:

<ke ka> “che casino!”Ha festeggiato recentemente il secondo compleanno l’icona Mi piace di

Facebook(http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/04/24/news/mi_piace_compie_un_anno-­‐‑15341773/?ref=HRERO-­‐‑1).

Rappresentata dal disegno del pollice alzato,

ha carattere ideografico, consentendo la lettura in tutte le lingue del mondo(“J'ʹaime"ʺ, "ʺI like"ʺ, "ʺMi piace"ʺ, "ʺMe gusta"ʺ, "ʺGefällt mir”,…) e, insieme aCondividi (ed ora insieme al neonato Progetto Google+https://plus.google.com/up/start/?sw=1&type=st), costituisce un“brevissimo” e infallibile attestato di popolarità.

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L’altissima occorrenza di tali figure ideografiche, disseminate lungo ilcorso di ogni conversazione in chatgroup, manifesta il particolarerendimento funzionale della scrittura breve: la collocazione regolare delsimbolo in chiusura della frase digitata, o, come spesso avviene, lapresenza dell’icona quale unico elemento del rigo a scopo di commento odi replica, denotano l’importanza annessa all’espressione di stati d’animo,emozioni, reazioni istintive, rispetto alla sostanza del messaggio. Lafrequenza appare spesso correlata alle comuni necessità del turn taking edel floor taking, secondo i meccanismi rilevati dall’analisi conversazionale,in questo caso nelle particolari condizioni della interazione sincrona adistanza (Bazzanella 2005b e 2005c; Pistolesi 2005b).

6. Le varianti: grammatica, sintassi, convenzione e sistema

Le possibili, molteplici letture di una stessa forma mettono in campoulteriori questioni importanti, che sono, oltre al dato della convenzione,l’ambiguità, la correttezza, i tempi. Si osservino gli esempi:

<vd 1 casa> “vedo una casa”<vd a casa> “vado a casa”

Se <vd> può essere “vedo” e “vado”, sarà la catena sintattica a fardecidere per la corretta interpretazione; ovvero saussurianamente, lerelazioni paradigmatiche e sintagmatiche daranno luogo a processi dicombinazione e selezione, privilegiando le forme brevi prevalentemente, senon in assoluto, nei casi in cui esse non determinino letture ambigue odoscure (Chiusaroli 2012).

Osservando la questione dalla parte dello scrivente, la velocità impostadalla pressione della catena e del sistema costituirà un limite naturale agliesiti regolari, determinando piuttosto produzioni grafiche apparentementecontraddittorie, quali scritture incongruenti, ma anche automatismi. Ildubbio di poter non essere bene interpretati, o fraintesi, potrà farci optareper la forma considerata più popolare, oppure per la forma estesa anzichéabbreviata, ed ecco il margine di elasticità consentito dai linguaggi nonstabilizzati (Bazzanella&Baracco 2003) (ricordiamo che anche nellastenografia classica le abbreviazioni sono fisse e facoltative; Giulietti 1968).

Come nelle lingue l’economia è principio di valutazione posteriore, manon predittivo, dei fenomeni, ed è principio relativo e non assoluto

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(Martinet 1966 e 1984), così nelle scritture brevi l’economia non èincondizionata, lì dove un eccesso di economia può mandare in crisi ilprincipio della comprensibilità, ciò che sarà di nuovo, ed altamente,antieconomico (Chiari 2002).

Secondo la premessa enunciata, la norma grafica dovrà dunque esseresubordinata alle dinamiche della pragmatica comunicativa; tuttavia lostesso principio normativo risulterà ugualmente attivo, operando, ancoraper motivi di economicità, nel senso di favorire un contenimento effettivodelle spinte centrifughe indotte dalle varianti isolate ed estemporanee(Herring 2012b).

Entra pertanto nella nostra prospettiva la funzione della scritturanormata, per la quale non soltanto vale il grande potente principiosociolinguistico del prestigio e del gruppo dei pari (si scrive come scrivonotutti, si scrive come scrivono i migliori), ma lo stesso canone dell’economiacomporta l’adeguamento di necessità a regole più o meno condivisibili, edunque spinge verso la convenzione. Soltanto con un buono sforzo dicooperazione la lettera <g> può essere letta come “grazie”, mentre <grz> hamaggiori possibilità di essere correttamente recepito. La diffusione di<grz>, già favorita dalla positiva valenza del gruppo consonantico, è per lostesso motivo facilmente promossa al rango di abbreviazione “ufficiale”(convenzionale).

È giusto osservare passivamente il dilagare di queste forme nellacomunicazione di oggi?

7. Fortuna e ideologia

Per placare le diffuse inquietudini andrà detto – e questo potrebbeandare a svantaggio del nostro discorso – che, al di là di fenomeni isolati,l’uso delle abbreviazioni nei messaggi raramente travalica i confini delcontesto rappresentato dalla rete. Ogni ragazzo sa quando sia il caso omeno di utilizzarle; ognuno sa che non si scrive <k> nei compiti a scuola, ocomunque la formazione scolastica istituisce presto il corretto discrimendegli usi e delle competenze. Le abbreviazioni elencate nei relatividizionari on line in alcuni casi appartengono già alla lingua dell’uso, altrevolte sono forme isolate, che spesso compaiono in un’unica occorrenza, nonreiterate neppure dallo stesso utente. Si tratta pertanto di fenomeni creativispontanei che non intaccano la fissità della norma.

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Ma non potrà essere disconosciuta la spendibilità delle scritture brevi ela loro dilagante diffusione nei settori comunicativi della nuova societàglobale (Van Dijk 2002; Granelli 2006 e in questa sede; Granelli&Sarno2007; De Kerckhove 2008).

Si sa che tvb oggi è la marca di un succo di frutta, gli smileys fannocapolino nei manifesti pubblicitari. Non sorprende insomma la recettivitàdi tali forme da parte del linguaggio creativo dei media, per l’efficacia, lasintesi, l’appeal sulle generazioni giovani.

Effetto positivo della potenza della rete è stato l’allargamento dellamutua comprensibilità, vuoi nei termini della diffusione ad ampio spettrodi quella specie di lingua universale che è l’inglese di internet, ma vuoianche, per la varietà e la contraddittorietà che è tipica delle cose umane,ovvero vive, per le forme di un nuovo e positivo multilinguismo (anchecome rivitalizzazione dei dialetti), essendoci un posto per tutti nelle infinitepagine del libro virtuale.

Ma qui è l’occasione per considerare, fra gli esiti positivi dellaglobalizzazione, la scrittura breve, che ha, fra i suoi pregi, quello di uniretutte le lingue, in lungo e in largo, passate e presenti, in quanto è praticauniversale dell’uomo, riscontrata in tutte le epoche, l’abbreviazione (allaricerca delle leggi “generali” delle abbreviature latine, ad esempio,Schiaparelli 1926 e Battelli 1939).

Il carattere imperioso delle scritture nazionali tende a confinare lecostruzioni abbreviate nell’alveo di settori specialistici, ma non raramentesi assiste al collocamento delle forme nel sistema, inizialmente occasionalee imprevisto, ma successivamente stabilizzato (come sms).

Per ciò che riguarda la lingua comune, i vocabolari registrano molteparole che sono forme di scritture brevi, alcune ben note e particolarmentefortunate (si pensi alla diffusione mondiale di OK, su cui Metcalf 2010),entrate nell’uso ordinario e diventate parole. Procedimenti comesincretismi, aplologie, formazioni macedonia e acronimie sonocontinuamente in atto nella lingua, e nella diacronia linguistica siosservano ripetuti movimenti “a fisarmonica”, che restringono (e poi ancheallungano) le forme dando vita a nuovo lessico: TV, WC, VIP, UFO, NATO,brunch, smog,…

L’origine di tali formazioni è molto spesso nella dimensione diamesicadella scrittura: si tratta, ovvero, di accorciamenti grafici che vengono letti.

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È del marzo 2011 la notizia dell’inserimento del simbolo del cuore -­‐‑ ♥ - nell’autorevole sede dell’Oxford English dictionary, e si tratta del primocarattere non alfabetico ad avere accesso ufficiale nel tempio sacro dellalingua inglese. La novità, accolta con molta sorpresa e con la prevedibilecontrarietà, non può lasciarci indifferenti, poiché è il segnale di unaevidente, ed inevitabile, rivoluzione in atto:

Don’t look now, but I think my old English grammar teacher is doing somersaultsin her grave: No less an authority than the Oxford English Dictionary has declared“OMG” a word, along with two other popular 3-­‐‑letter abbreviations, “LOL” and“FYI.”Language purists may scoff at the new additions or even consider them a sure signof the decline of Western civilization. However, in it’s latest update, the OED notesthat both OMG and LOL have jumped out of the confines of electronic screens andare now “found outside of electronic contexts, however; in print, and even inspoken use…The intention is usually to signal an informal, gossipy mode ofexpression, and perhaps parody the level of unreflective enthusiasm oroverstatement that can sometimes appear in online discourse, while at the sametime marking oneself as an ‘insider’ au fait with the forms of expression associatedwith the latest technology.”C. Mikojajczyk, It’s official: OMG is now a word, March 28, 2011

http://www.k-­‐‑international.com/blog/its-­‐‑official-­‐‑omg-­‐‑is-­‐‑now-­‐‑a-­‐‑word/

Significativamente si registra contemporaneamente l’acquisizione, nellastessa prestigiosa sede, della sigla LOL e di OMG, di cui sopra abbiamoidentificato l’ascendente extranazionale sulle lingue a partire dall’inglese(Crystal 2003 e qui Zanzotto&Pennacchiotti).

8. Una conclusione

Ma al di là delle peculiari fortune e dei successi – che pure decretano larilevanza di queste specie -­‐‑ è qui l’occasione per l’osservazione e l’analisidelle fenomenologie, in quanto regolari e non irrazionali appaiono letecniche e le strutture delle grafie sintetiche di tutti i tempi.

La dominanza del principio dell’economia temporale qualedenominatore comune riconosciuto nella definizione delle “scrittureveloci” storicamente ricorrenti (Giulietti 1968) -­‐‑ dalle notae tironianae allenotae iuris attestate dall’epoca ciceroniana, dalle siglae (abbreviazione disingulae litterae) della tradizione epigrafica alle abbreviazioni dei nominasacra dell’ambito religioso, dalla tachigrafia sillabica (dal VI secolo) alla

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stenografia moderna – può essere riconsiderata in un’ottica integrale distoria della scrittura, ovvero inquadrando lo stesso concetto di “tempo”della scrittura come la ragione occasionale, lì dove la “brevità”, in sensospazio-­‐‑temporale, costituisce causa/effetto permanente, risultato dellepratiche grafiche abbreviative riscontrate ad ogni epoca e non soltanto neicontesti specialistici.

Da tali premesse motivazionali si deducono le forme, che esibisconoparametri distintivi e tratti peculiari tali da comporre una logicasommatoria e non tanto un inventario normativo.

Mentre le lingue e le scritture sono tante e diverse, appare proponibilenon solo elencare, ma anche classificare le abbreviazioni, riconoscereprincipi mentali alla base della pratica dell’accorciamento, ammetterel’esistenza di tipologie in analogia con i tipi o gli universali linguistici,ovvero redatte sulla base delle stesse qualità tipologiche intrinseche allelingue.

Benché siano profonde e complesse le problematiche relative all’originedella scrittura, appare indubitabile che la particolare natura dei supporti edegli strumenti che accolgono le prime forme di rappresentazione graficadel pensiero e del linguaggio (Leroi-­‐‑Gourhan 1977; Cardona 1990 [1978];Silvestri 1996) non può non avere condizionato la raffigurazione sintetica,dunque breve, delle realizzazioni di graffiti e pitture su rocce, “immaginisenza parole” (Bocchi&Ceruti 2002) che sono funzionalmente adeguate allamaggiore economia della comunicazione (Cardona 1986a).

Analogamente, la riconosciuta circostanza di intrecci e convivenze trasistemi semasiografici e glottografici, o tra sistemi logografici e alfabetici,la tesi della convivenza di forme che ha sostituito la visione ”progressista”dell’alfabeto come risultato finale e perfetto dell’evoluzione della scritturanella storia, comportano la necessità di confrontarsi con le tipologie dellescritture, evitando un’interpretazione rigidamente meccanicistica delrapporto tra segno e nozione, ma nondimeno riconoscendo l’azione di unprincipio pragmatico che punta alla massima efficacia funzionale dellesoluzioni primariamente in senso economico, di risparmio. La perdita, nellefasi temporali soprattutto moderne, ad esempio successive all’introduzionedella stampa, della corrispondenza esatta delle lettere coi suoni, non puòimpedire di riconoscere la ricerca di tale ideale coerenza all’origine dellastipulata corrispondenza: ricerca che per altro è ulteriormente provata neicasi di ricostruzione a ritroso della derivazione di caratteri alfabetici daquelli logografici/ideografici, provando un continuo equilibrio, a scopo

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funzionale ed economico, tra gli estremi di economia e ridondanza, e tra letendenze di arbitrarietà, motivazione e convenzione (Silvestri 2009 e instampa), che sono caratteristiche precipue delle lingue, prima (e oltre) chedelle scritture.

Non appaiono casuali, ma seguono un principio logico (psico-­‐‑logico,morfo-­‐‑logico) e comune, le pratiche di recisione di elementi desinenzialiosservabili nei sistemi abbreviativi dell’sms come nelle abbreviaturepaleografiche introdotte dall’antico copista.

L’amanuense medioevale, che trascorreva la propria esistenza a scriveree a copiare dentro le pareti dello scriptorium monastico, non aveva certoproblemi di fretta, o almeno la sua vita non è paragonabile alla odiernacondizione multitasking, ma il supporto per la scrittura richiedeva quantomeno attenzione a evitare ogni spreco inutile di materiale. Ed ecco la riccaserie delle convenzioni grafiche della paleografia greca e latina.

Analogie si rintracciano, come visto, nelle più antiche scrittureepigrafiche, le quali riportano serie convenzionali di abbreviazioni fatte disoppressione di elementi, troncature ed elisioni, disegni e simboli, chepossono essere incongruenti, ma mai illogici.

Si collega alle notae tironianae e alla tachigrafia dell’epoca di Cicerone lamoderna stenografia, che, attraverso un alfabeto molto semplice, eattraverso regole abbreviative delle scritture ordinarie, costruisce segnibrevissimi, che possono essere tracciati con un solo tratto di penna,operazione che richiede un tempo che è pari ad un quinto rispetto aicaratteri ordinari.

La stessa tradizione stenografica si collega storicamente, ma ancor piùideologicamente, a certi progetti di lingue universali dell’epoca empirista,fondati sull’invenzione di caratteri sintetici ideografici “perfetti” (Poli 2012;Chiusaroli 1998), ovvero rappresentanti, nella figura scritta, i trattiessenziali degli elementi del reale pensato, i costituenti, privi diridondanze, risultanti della operazione concettuale della reductio dei datialle nozioni prime, al di fuori della mediazione, giudicata fallace, dellalingua e dell’alfabeto (Chiusaroli 2001). Gli stessi progetti costituiscono unpunto di riferimento culturale per la fondazione della teoresi della arscombinatoria e della leibniziana characteristica universalis (Rossi 1983; Eco1993) nella speculazione moderna, dove la riconduzione della lingua aschema logico, algebrico e aritmetico (Rossi 1971; 1989; Burkhardt 1987) èin seguito divenuta prototipo per la costituzione dei modelli matematici

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posti alla base dei programmi per il trattamento automatico delle linguenaturali.

Dalla scrittura a mano alla macchina, ricordiamo che lo schema Qwerty,brevettato per le macchine da scrivere nel 1864, aveva fra i suoi scopil’accelerazione della scrittura tramite l’abbreviazione dei tempi e deipassaggi nei movimenti. Tale obiettivo veniva perseguito attraverso lacollocazione dei tasti su basi ergonomiche, peculiarmente separando lelettere maggiormente utilizzate (in inglese) in modo tale che le mani delloscrivente non si intrecciassero nel corso della battitura, anzi in modo taleche, mentre una mano si posizionava, l'ʹaltra mano colpisse il tasto, nelrispetto delle sequenze grafiche maggiormente ricorrenti.

E poi entrano in campo le molte analogie con i sistemi grafici di tutti itempi. Ovvero, la classificazione secondo la trafila

-­‐‑ disegno – pittogramma – ideogramma – logogramma – sillabogramma– carattere alfabetico

trova speciale occasione di sintesi nelle scritture brevi non istituzionalizzateo non generalizzate, dove elementi di ogni sistema o di ogni stadio sonoadottati sulla base del principio di minimo sforzo e massimo rendimento,istituendo una convivenza delle forme che supera le barriere spazio etempo.

Il confronto, in sincronia e in diacronia, sugli scriventi, i destinatari, isupporti e gli strumenti, i contesti, fa notare specificità e differenze, maforse in maggior misura mette in luce affinità e somiglianze, in una praticaumana che riunisce tecnica e cultura, ideologia e creatività, regola e libertà.

Francesca Chiusaroli

[email protected]@gmail.com

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Microantroponimi del XXI secolo

Enzo Caffarelli

Abstract

La storia dell’onomastica dimostra numerosi esempi di accorciamento di nomi odi ricorso a forme brevi, con differenze diacroniche, diatopiche, diafasiche ediamesiche. Nel Medioevo e anche in tempi moderni, sia pure con modalitàdifferenti, è l’usura del linguaggio orale a creare ipocoristici e nomi comunqueraccorciati; numerosi cognomi nascono da aferesi, sincopi e apocopi di patronimicie di soprannomi. Ai giorni nostri è possibile verificare l’accorciamento dei nomipropri anche in differenti àmbiti, come la segnaletica stradale o la crematonimia, e inomi dei prodotti commerciali in genere, nei quali si celano spesso poche sillabe delcognome-­‐‑marchio aziendale. Nella lingua di Internet la scelta dei nicknames sembrainvece non tanto favorire la brevità quanto la condensazione in un’unica stringa dipiù informazioni, non esclusivamente onomastiche, sulla persona.

Parole chiave: accorciamento del nome, antroponimo, cognome, imposizionedel nome, marchionimo, nome personale, onomastica, pseudonimo, soprannome

The history of onomastics offers many examples of shortening of names oremployment of short forms, with differences regarding times, places, situations andmedia. In the Middle Ages and in modern times, albeit in different ways, thewearing effects of time in oral language facilitates the short name formation. Manysurnames originate from apheresis, syncope and cuttings of family names andnicknames. Nowadays it is possible to observe the shortening of proper names indifferent spheres, such as road signs or crematonimia, and the names of commercialproducts in general, in which few syllables of the name-­‐‑brand are often hidden. Inthe language of the Internet the choice of nicknames seems not to encouragebrevity, but rather it expresses the condensation, into a single string, of mostinformation about the person.

Keywords: anthroponym, brand name, namegiving, nickname, onomastics,personal name, pseudonym, shortening of name, surname

Nella primavera 2004, il quotidiano «Metro» pubblicava nella rubrica“Nome x Nome” la seguente notizia, intitolata “La nuova legge sui

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Microantroponimi del XXI secolo46

cognomi”: «Ormai pronta per l’approvazione in Parlamento, la nuovalegge sui cognomi presenta come maggiore novità quella che prevede che icognomi non potranno essere più lunghi di due sillabe (e di otto lettere). Ladecisione è stata presa in vista del risparmio di testi in ogni atto burocraticoe in particolare per sveltire le procedure di informatizzazione e in Internet.Entro il 1º aprile 2005, a un anno da oggi, tutti i cognomi più lunghiverranno tagliati dalle anagrafi e limitati a due sillabe a scelta del cittadino.Un signor Scognamiglio, per es., si chiamerà in futuro soltanto Scogna osoltanto Miglio, Pappalardo dovrà optare per Pappa o per Lardo, anche ilcomunissimo Esposito potrà scegliere tra Espo e Sito. I Lombardi eLombardo saranno conguagliati in Lomba (o in Bardi). I Brambilla sichiameranno Brambi, i Fumagalli Fuma, i Cattaneo Catta. Dalla normasaranno esentate, finché in carica, le più alte autorità dello stato: nonavremo dunque, per il momento, nessun Berlus».

Un professore della Facoltà di Scienze politiche della “Sapienza” diRoma scrisse all’autore della nota che, dopo aver letto della decisione,infuriato, aveva cambiato il contenuto della lezione che avrebbe dovutotenere quel giorno in aula, impostandola sulle prevaricazioni della politicapiù bieca e stupida sui cittadini, oltre che sulla perdita del patrimonioonomastico che la nuova sciocca norma avrebbe comportato. Intanto ilforum in rete dello IAGI, l’Istituto per l’Araldica e la Genealogia Italiano, siriempiva di proteste; la discussione, ancora oggi leggibile in reteall’indirizzo <www.iagiforum.info> prese il via dalle parole scandalizzatedi Michele Tuccimei di Sezze: «Con questa ridicola legge perderemo tuttiun patrimonio storico-­‐‑personale-­‐‑familiare che, per molti, dura inalterato dasecoli e secoli. Mi domando che fine faranno i cognomi storici. Mi domandocon che riguardo della Costituzione, di cui il diritto al nome è uno fra gliinviolabili, si pensa di emanare una legge del genere senza il consenso deicittadini. Mi domando a cosa serviranno dunque i cognomi, visto che loscopo per cui sorsero fu quello di distinguere le varie gens... in questomodo altro che confusione, molti cognomi “accorciati” sarebbero uguali adaltri, i rischi delle omonimie aumenterebbero vertiginosamente! Ilproblema di fondo è che tutto questo verrà fatto per “risparmiare” sullaburocrazia. Ecco a cosa siamo giunti. Viva la libertà!».

Finché... uno degli studenti non fece notare a quel professore – e unaltro appassionato di araldica e genealogia a quel nobile signore – che,essendo il primo di aprile, avrebbe potuto trattarsi di uno scherzo.

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E che scherzo giornalistico fu posso testimoniarlo senza ombra didubbio, essendo stato io l’autore della notizia nella rubrica quotidiana checuravo all’epoca per il quotidiano «Metro». Ma la credibilità del contenuto,tale da convincere persone d’elevata cultura (fui redarguito severamentedal direttore del giornale, che non avevo preventivamente informato), oltreche a confermare la scarsa fiducia degli italiani nella classe politica edunque la credibilità di leggi particolarmente sciocche1, dimostrava il fattoche l’individuazione di ciascuno di noi non è più così semplice comequando si richiedeva: “mi dica nome e cognome”.

Rita Caprini, nel suo bel saggio I nomi propri, annotava, allarmata, comela progressiva desemantizzazione dei nomi propri in Occidente (differenteè – s’intende – la situazione presso le civiltà indigene sparse nei varicontinenti, dove il nome ha ancora un suo significato trasparente, vieneimposto con funzioni specifiche e non per mera eufonia o moda, a maggiorragione nelle culture prive – o quasi – di scrittura) possa condurre a unatrasformazione del nome in qualcosa di puramente astratto e meccanico,come il codice fiscale, e allora sì, privo di qualsiasi senso, fungibile ossiainterscambiabile, ecc. (Caprini 2001). In effetti tutti noi siamo già una siglaalfanumerica di 15 elementi e ciò che rimane del nome e del cognome sonosei lettere: com’è noto, le prime tre consonanti del cognome, e la prima, laterza e la quarta consonante del nome, salvo conguagliare con le primevocali i cognomi poveri di consonanti. CHSFNC è il nome “fiscale” dellacollega Francesca Chiusaroli, come BRLSLV è quello del nostro penultimocapo del governo e NPLGRG quello del presidente della Repubblica oTTTFNC quello del più popolare calciatore romano.

Ma c’è solo il fisco, c’è solo l’informatizzazione dei codici, l’ABI CAB el’IBAN a profilare all’orizzone una rivoluzione onimica? E, soprattutto,stiamo andando davvero verso una riduzione del corpo delle vocionimiche, verso quella che ho provvisoriamente chiamato, nel titolo delmio contributo, i microantroponimi del XXI secolo?

1 Pesce d’aprile... ma appuriamo con certezza, – scriveva un altro frequentatore del forumIAGI – e poi ci rideremo sopra tutti insieme!» – insomma, lo spavento era stato davverogrande.

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1. Accorciamenti orali medievali

In realtà, l’accorciamento del nome personale è un fenomeno che si èripetuto più volte nella storia e, volendo limitarci all’esempio piùsignificativo in Italia, di cui ancora oggi sono evidenti gli effetti nelrepertorio cognominale, portiamoci nel Medioevo, in particolare neiperiodi e nelle aree per le quali siamo meglio documentati, come la Toscanadalla fine del XII alla metà del XV secolo.

Ebbene, qui, ma non solo, i documenti testimoniano di quel fenomenotipico dell’oralità che è l’usura del nome proprio, dell’antroponimo che,impiegato spesso in funzione vocativa, viene ad essere via via accorciatoper comodità del parlante. Cadono perlopiù la prima sillaba o tutte lesillabe prima di quella tonica o scompare l’intero corpo fonico compreso trauna consonante iniziale e la vocale tonica (quasi mai, invece, osserviamofenomeni di apocope); e, di questi ipocoristici aferetici, conserviamomemoria negli odierni cognomi: Fé, per Bonafe(de), Lippi da Filippo, Buti daBenvenuti, Vegni da Bentivegni, Fano da Alfano (non da Stefano, data laposizione dell’accento); salvo dover constatare che tanti nomi che hanno“perduto la testa” hanno però “acquistato la coda”, per usare un’immaginedello studioso ticinese Ottavio Lurati, e cioè sono cresciuti a destra con unoo più suffissi, oltre a mostrare a volte un fenomeno di assimilazioneconsonantica regressiva: il tipo Pippi da Filippo, Peppe da Giuseppe, Cencio daVincencio o da Lorencio (varianti popolari di Lorenzo e Vincenzo), Totti daBertotto o altro prenome in -­‐‑to + -­‐‑otto, ma anche da Angelotto, Cecchi eChecchi da Francesco; con i tanti nomi di famiglia Bini, Cini, Dini, Fini, Ghini,Lini, Mini, Nini, Pini, Tini, ecc. con rispettivi alterati, che possonodiscendere da qualsiasi nome personale in -­‐‑bo, -­‐‑co, -­‐‑do, -­‐‑fo, -­‐‑go, -­‐‑lo, -­‐‑mo,-­‐‑ni/no, -­‐‑po, -­‐‑to...; fino a incontrare cognomi tri-­‐‑ e quadrisillabi della cuiradice iniziale non resta – se pure – che la consonante tematica: Golinelli daUgo (+ -­‐‑olo, -­‐‑ino, -­‐‑ello), Pinarello da Filippo, Bucciarelli e Muccinelli da Jacobo eda Giacomo e così via (cfr. Caffarelli&Marcato 2008 s.vv.).

Il patrimonio cognominale italiano, nel suo insieme ma soprattutto perquell’ampia frazione che deriva da nomi personali, è dunque il frutto didue vettori opposti, sul piano fonetico e su quello pragmatico: da un altrola riduzione del corpo fonico per usura, dall’altro la suffissazione permotivi affettivi ma, soprattutto in epoca medievale, con funzione distintivaall’interno della medesima famiglia. Peraltro anche cognomi derivanti dasoprannomi composti (per es. verbo più nome) hanno conservato solo uno

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degli elementi grammaticali originali: i tipiMangia, Caccia, Acconcia o Denti,Lardo e Guida potrebbero essersi formati per apocope di un Mangiapane, diun Cacciavillani e di un Acconciagioco, o per aferesi di un Ficcadenti, di unPappalardo o di un Cacciaguida.

2. I cognomi italiani più brevi

I cognomi più brevi del repertorio italiano sono monosillabi: unaconsonante e una vocale; nascono generalmente da voci dialettalisettentrionali, come Bo per ‘bove’, Cè forse dal soprannome degli abitantidella Val Camonica, Co e forse Go e Gho per ‘capo’, Fé da un accorciamentodi Bonafe(de), Fo per ‘faggio’, Mo per ‘Mado’ nome personale, Mu sardo per‘bue’ o ‘mulo’, Re ‘rivo’ o da rex; oppure derivano da toponimi identici,quali Rho presso Milano anche senza “h”, probabilmente Po, ecc. Alcuni,tipici del Salento, parrebbero le lettere dell’alfabeto greco, come Mi e My (ameno che non si debba pensare al greco mys ‘topo’), e se ne può anchesupporre un’imposizione d’ufficio in funzione enumerativo-­‐‑classificatoria,per esempio nel caso di trovatelli. Ma di monosillabi con tre o più lettere èpieno il repertorio, specie nelle regioni settentrionali dove si sonoconservate forme locali non toscanizzate, con la caduta dell’ultima vocalese diversa da -­‐‑a: Alt, Ba, Bé, Bet, Bon, Bot, Dan, Din, Don, Col, Fa, Ge, Lot,Me,Men, Not, Pan, Pat, Pin, Poz, Rà, Riz, Ros, Zan, Zen, Zin, ecc.; e può trattarsianche di cognomi poligenetici, come Cau, in Sardegna dalla voce locale per‘cavità’ (o per ‘gabbiano’) e in Friuli da un originale nome Nicolau.

Che cosa possiamo dire dei cognomi del XXI secolo in Italia? I nomi difamiglia italiani sono ormai fissati stabilmente, gli ultimi all’indomanidell’Unità d’Italia con la creazione delle anagrafi in tutti i comuni. Si trattadi un repertorio vastissimo, e tra i tipi più frequenti troviamo molticognomi bisillabi – 19 sui primi 50 e i due che si contendono il primato,Rossi e Russo – e trisillabi (con in testa Ferrari, Romani e Colombo); tra i primi100 appena 11 sono quadrisillabi (Esposito, Martinelli, De Angelis e Pellegrinii più numerosi); il primo pentasillabo è appena in 159ª posizione:Napolitano (cfr. Caffarelli 2004b).

Andrà aggiunto che, come vedremo e com’è ovvio per i prenomi, anchei cognomi nel linguaggio orale e nello scritto informale (compreso illinguaggio giornalistico) possono essere accorciati; tale accorciamento puòseguire regole e abitudini tipiche di una certa area linguistico-­‐‑dialettofona

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oppure trovare un motivo semplicemente nella necessità di rendere piùsemplice e rapido il parlato o ingombrare meno spazio nei titoli deigiornali: per fare qualche esempio, Franco Ballerini, il compianto ciclista ecommissario tecnico della nazionale italiana di ciclismo, era toscanamentedetto il Bàllero; l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è per molti piùsemplicemente il Berlusca; il calciatore svedese di origini bosniaco-­‐‑croateZlatan Ibrahimovic, è chiamato nelle telecronache Ibra; il cognome delgiovane allenatore dell’Inter Andrea Stramaccioni è semplificato in Strama2.

Ma dobbiamo ormai considerare anche i nomi di famiglia degli stranieridi recente immigrazione, quasi 4 milioni di persone e già al 2011-­‐‑2012 concognomi in testa alle classifiche, in particolare nella grandi città del Nord eper le nazionalità il cui repertorio onomastico è più concentrato (cfr. Sestito2011 e 2012). Così a Brescia e in alcuni comuni non capoluoghi di provinciadell’Italia settentrionale il primatista assoluto è l’indopakistano Singh, cheha superato Ferrari, Rossi e gli altri tipici cognomi del Nord d’Italia; aMilano il 2º è il cinese Hu, inferiore al solo Rossi e ben superiore a Colombo,Ferrari, Bianchi, Villa e Brambilla, e nel capoluogo lombardo i cognomi cinesitra i primi 10 sono 3, con Chen e Zhou, mentre tra i primi 100 sono ben 12,con ancheWang,Wu, Lin, Zhang, Liu, Zhao, Li, Zhu e Zheng nell’ordine: tuttimonosillabi, insomma, e tutti con centinaia di portatori; a questi siaggiungano altri cinesi ad alta diffusione, quali Xu, Ye, Khan, Huang, Jin,Jiang, Cheng, Dai, Diong, Xie, ecc.

Tra i cognomi arabi più frequenti nel nostro Paese, si vedano i bisillabiAhmed, Hassan, Ali, Akter, Rahman, Khalil, Islam, Uddin, Begum, fino a Md,che è accorciamento estremo, accettato delle anagrafi italiane, perMohammed. I cognomi subsahariani più numerosi in Italia sono i senegalesio del golfo di Guinea Diop, Ndiaye, Fall, Niang, Dieng, Gueye, Diallo, Diouf;l’altro indopakistano frequentissimo, con Singh che è solo maschile, è ilcorrispondente femminile Kaur; anche nel repertorio romeno,abbondantissimo a Torino, a Roma e altrove, primeggiano mono-­‐‑ ebisillabi, come Pop, Popa, Rusu, Radu, Stan, Lupu, Lazar, Timis, Serban, ecc.; ilprimo cognome albanese per frequenza è Hoxha; tra i primissimi filippini elatino-­‐‑americano emergono Reyes, Santos, Perez, Sanchez, Lopez; e un solo

2 Inutile arricchire la lista con una miriade di esempi: sia sufficiente per ciascuno di noiricordare i giorni della scuola e i compagni o i professori dai cognomi che venivanoregolarmente accorciati (o storpiati).

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cognome lungo si va imponendo in Italia, nel Nord e nel Sud, come fruttodelle migrazioni da Sri Lanka:Warnakulasuriya (cfr. Caffarelli 2012a).

3. Il repertorio dei prenomi e gli accorciamenti innovativi

Veniamo invece ai prenomi. Computando i primi 100 nomi femminiliimposti nel 2004, risultavano 26 bisillabi, 56 trisillabi, 18 quadri-­‐‑ opentasillabi, per una media di 2,93 sillabe per nome; tra i maschi, 33bisillabi (da notare 11 stranieri non adattati, da Christian a Thomas, da Kevina Daniel, da Michael a Omar, da Gabriel a Denis...), 56 trisillabi e 11 quadri-­‐‑ opentasillabi, con una media di 2,80 sillabe per nome. E al di sotto del rango100, s’incontrano Brian, Jan, Max e altri bisillabi (cfr. Caffarelli 2004a e2009).

Un confronto con il 1876 e con il 1951, limitatamente alla città di Roma(cfr. Caffarelli 1996): la media nel rilevamento ottocentesco era di 2,99sillabe medie per i nomi femminili (con 12 composti tra i primi 100) e di3,07 per i maschili; all’inizio della seconda metà del Novecento risultava di3,27 e di 2,84 rispettivamente. Ricapitolando in diacronia: femminili 2,99 >3,27 > 2,93; maschili 3,07 > 2,84 > 2,80.

Abbiamo dunque nel XXI secolo nomi più “brevi” nel repertorioitaliano? Prenomi di appena due lettere – e comunque bisillabi – sono Ea,Eo, Ia (di cui origine e significato restano piuttosto incerti e che sono statiportati ciascuno da una manciata di italiani nel XX secolo); varimonosillabici che però hanno una provenienza straniera, come Max (cfr.Rossebastiano&Papa 2005), sono già o esclusivamente del Novecento. Lanovità del XXI secolo (ovviamente avviatasi negli ultimi decenni delprecedente) è, anche nel campo dei nomi personali, proprio la presenza ditipi non italiani, entrati nel repertorio italiano o comunque presenti nellenostre città, che stanno accorciando la lunghezza media delle nostre cateneonimiche. Dobbiamo, però, distinguere: perché i prenomi “corti” d’origineallotri, appartengono anche e talvolta soprattutto agli italiani; per esempioNicole ha soppiantato Nicoletta o sono soprattutto italiani i tanti bambini dinome Christian, Nicholas, Gabriel, Samuel, ecc.). Andrà anche detto che inomi primatisti, almeno in campo femminile, dalla fine dell’Ottocento alprimo decennio del XXI secolo, sono formati da cinque solo lettere(ancorché in due casi trisillabi): Maria, Giulia e Sofia, in ordine cronologico;e che tra i più frequenti prenomi imposti alle nuove nate secondo l’Istat(anno 2010, ultimo disponibile alla primavera 2012, cfr.

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www.istat.it/it/archivio/38402) tra i primi 30 femminili risultano 12 bisillabi(in ordine di frequenza, Giulia, Sara, Giorgia, Chiara, Emma, Anna, Giada,Gaia, Greta, Viola, Asia eMarta), 17 trisillabi e un solo quadrisillabo, peraltroin forte discesa (Federica)3.

In genere, anche le forme di prenomi, ridotti al solo suffisso, come Ina oUccio, sono propri più dell’oralità che della scrittura (e quasi assenti daidocumenti ufficiali); tuttavia, nel registro familiare dello scritto, in diafasia,è ben possibile trovarli attestati in lettere o anche messaggi telematici. Inomi monosillabici inglesi sono invece anche anagrafici e comunque assaipiù usati nei testi scritti: basti pensare al confronto tra la forma italianapiena (o quasi) e a quella americana: Giovanni/Gianni > John, Giuseppe > Joe,Giacomo > James4 e alla quasi infinita serie monosillabica che si produce conqualsiasi iniziale: Al, Ann, Ben, Beth, Bill, Bob, Brad, Brooke, Bud, Butch,Charles, Chuck, Clive, Dan, Dave, Dean, Deb, Dick, Don, Ed, Frank, Fred, Gal,Gene, Hugh, Ian, Jane, Jay, Jim, Kate, Ken, Lee, Mae, Mark, Mike, Ned, Neil,Nick, Paul, Pete, Phil, Ray, Rick, Rob, Rose, Sal, Sean, Sid, Steve, Ted, Tim, Todd,Tom, Van, Vic,Walt,Will, Zack, Zed, ecc.

Nella lingua italiana si sono comunque diffusi negli ultimi anni alcunetipologie innovative di accorciamenti:

• apocopi anziché aferesi e non monosillabi tronchi (Cri, Fra, Gio, Cla,Pa, ecc.): vedi il caso di Ale, di provenienza settentrionale, perAlessandro/Alessandra e poi Alessio/Alessia, dove in passato prevaleval’ipocoristico mozzato a sinistra, ossia Sandro/Sandra; è comunquefrequentissimo, nell’oralità come nelle scritture brevi (messaggi di postaelettronica, sms, ecc.), il ricorso alle sole prime sillabe di un nome tri-­‐‑ oquadrisillabico: Bea[trice], Cate[rina], Ceci[lia], Dani[ela/e], Emi[lia],Fede[rica/o], Leti[zia], Ludo[vica/o], Manu[ela/e], Simo[na/e], Vale[ntina/o],ecc.;

• nuove forme fungibili in relazione anche a nomi di moda, per es. Lele(con l’assimilazione consonantica regressiva che ricordiamo dall’epoca

3 In parallelo, tra i primi 30 nomi maschili, i bisillabi sono soltanto 6 (Luca, Marco, Christian eCristian, Diego e Pietro); figurano tuttavia alcuni trisillabi (Andrea, Matteo e Mattia) equadrisillabi composti di poche lettere (Samuele, Edoardo).4 E Jack con beneficio d’inventario: perché c’è chi sostiene che si tratti invece di un ipocoristicodi Joseph o di altri nomi ancora.

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medievale) per tutti i nomi ebraici in -­‐‑ele; Chica per Federica (anche qui conil medesimo processo fonetico) e inoltre per Cristina, Francesca ecc.;

• la riduzione drastica delle forme suffissate con -­‐‑ino/-­‐‑a e con -­‐‑etto/-­‐‑etta –anche i suffissi, è peraltro dimostrato, vivono i loro periodo di moda – edunque il passaggio di testimone, per esempio, tra Simonetta e Simona o lascomparsa di voci quali Paolina o Luigina o Enrichetta in favore dellecorrispondenti forme base, per non dire del tramonto di Andreina e simili infavore di Andrea anche femminile. Ma quest’ultimo aspettodell’antroponimia, in particolare femminile, presenta il suo rovescio dellamedaglia. Una sensibile preferenza per le forme base ha riportato in auge inomi pieni a scapito anche di forme più brevi, per esempio ipocoristici deltipo Gina/-­‐‑o, Lina/-­‐‑o, Nina/-­‐‑o, Rina/-­‐‑o, Tina/-­‐‑o, ecc. che, se sopravvivononell’oralità, sono quasi scomparse nelle scritture anagrafiche e ufficiali.

4. L’orientamento dei parlanti

Al proposito può cogliersi anche in alcune affermazioni (cercando inrete) un orientamento favorevole non tanto ai nomi lunghi in sé, quanto ainomi pieni, parallelamente al timore per accorciamenti e ipocoristici variche potrebbero risultare sgraditi. Riporto alcuni frammenti di un forumdatato 20.12.2009 (<http://forum.alfemminile.com/forum/>); il messaggioche ha originato la discussione s’intitola “Rachele o alessia” e riguarda ilnome da imporre a una bambina:

VANILLA 73: «[...] mi dicono che Rachele è pesante, che la prenderanno in giro, cheabbreviato sarà... Rache=Racchia che sarà tormentata dai primi giorni di scuola. Madico io non è mica Genoveffa o ancora più strani».

VERITAS56: «[...] Rachele lo trovo decisamente bruttarello, senza contare che mirichiama l’aggettivo “rachitico” oppure il sostantivo “chela” e mi dà quindiun’impressione negativa».

PATTY042: «[...] ho una bimba che si chiama Hilary. Quado doveva nascere anch’iovolevo mettere Rachele o Rebecca. Ma una mia vicina insegnante in una scuolamedia me lo sconsigliò dicendomi che questi nomi erano molto storpiati tra iragazzi [...]».

IRIDELLA84: «Rachele mi sa di vecchia...».

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LYLAMAI: «[...] Rachele non ha bei diminutivi vedi Rachi, Rache. Non riesco afarmelo piacere».

LILMUFFIN: «[...] un nome di origine ebraica ed ha il significato di “mite” è indicatoper persone del segno del saggittario ed è legato al numero 2... si dice che sia attentaalla cura di se, è competitiva e mira in alto (e se mi permettete un commentopersonale è un nome nobile e veramente bello!!!».

Dunque in questo breve scambio di opinioni emergono le principalimotivazioni legate alla scelta del nome: l’eufonia, la moda, il significato...ma anche il pericolo delle storpiature e dei diminutivi. Non tuttiragioneranno in modo così articolato, ma certo il nome “breve” rappresentaper alcuni un rischio che è meglio evitare di correre. Per darne conferma,cito un altro frammento di forum dallo stesso sito (“Nino e abbreviazioninomi” il messaggio di partenza, datato 22.11.2005), rimarcando che, perquanto si tratti di osservazioni metalinguistiche, anzi metaonomastiche, èpur sempre “scrittura”:

PETRA186: «Il nome NINO, come vi piace? Ci sono molti bambini dalle vostre partichiamati così? Una curiosità: sapreste suggerirmi un’altra abbreviazione perLorenzo che il solito Enzo? [...] I nomi Jacopo e Stefano, invece, che forma familiarecarina vi viene in mente?».

MARIAPIA89: «NINO alle mie parti è quasi sempre il diminutivo di GAETANO, maci sono anche SEBASTIANO (mio padre si chiama così e viene chiamato Nino) eANTONIO. Per LORENZO non mi piace nè Enzo e nè Renzo, preferisco Iori anchese mi sà troppo di femminile! Per quanto riguarda STEFANO mi piace Stè, mentreJACOPO è bellissimo così comè e non riesco a trovare un diminutivo».

VIVIAH: «[...] Il bimbo di una coppia di conoscenti lo chiamano Nino, lui si chiamaAntonino e ha anche altri 2 nomi. Conosco un signore anziano di nome Nicola cheper viene chiamato Nino... Lorenzo penso che si possa abbreviare solo con Lore,Lory o Enzo (ma un nome così bello come Lorenzo non si può rovinare con Enzo oRenzo). Anche a me piace molto Jacopo, anch’io ho pensato a come si potrebbeabbreviare: Jaco, Jachy, c’è chi mi ha detto Pino=Jacopino ma è tremendo! O chi miha suggerito Chino... Stefano può diventare Nino=Stefanino, Ste, Stefy, Stefa, Fano(bleah)».

MARSHALL66: «[...] mi pare di capire che non sei italiana (forse tedesca, o?) dico cosìperché mi sembra che ormai in Italia i nomi abbreviati di questo tipo siano indisuso, [e ci metto anche Gino/a Rino/a Lino/a Dino/a Pino/a Tino/a Mino/a, adifferenza di 50 anni fa], mentre in Germania mi dà l’idea che siano ancora

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utilizzati, forse perché visti come esotici... a me personalmente sanno proprio divecchio e di sciatto, anche se effettivamente sono semplici e immediati [...]».

In questa discussione si dà dunque per scontato che i nomi ufficialidebbano poi essere abbreviati e pare che la scelta possa essere orientata, senon determinata, non tanto dalla bellezza e piacevolezza del nome pieno,quanto dal suo o dai suoi ipocoristici. Solo se il nome base è bellissimo,allora bisogna rinunciare al diminutivo: e pare quasi un prezzo da pagare aquella bellezza. L’ultimo intervento riportato avverte come ormai estraneiall’onomastica italiano i bisillabi in -­‐‑ino, considerandoli invece propri dialtri domini linguistici. Il che, peraltro, è parzialmente vero. Ma trovo unaltro scambio di parere interessante a partire dal messaggio “Nomi bimba eabbreviazioni” (novembre 2005):

NICOVONPOZZAR: «[...] Io personalmente adoro i diminutivi: mia figlia si chiamaCaterina e viene chiamata: Cate, Cat, Cater, Ina, Kitty, Ketty, Catine!! [...]Caterinuccia [...], Inuccia, Inetta, Kit, a seconda dell’interlocutore e dell’umore delsuddetto. Lei non ha MAI battuto ciglio, si volta sempre a qualsiasi nomignolo enon ha mai detto “che brutto”. Aggiungo che insegno e ho esattamente 147 alunni,se non ci fossero i diminutivi impazzirei con la selva di Niccol[ò], Nicola, Nicholas,Nicolas, Nicole, Nicol, Nicoletta, Tomas, Thomas, Tommaso, Riccardo, Michele,Andrea (maschio e femmina) eccetera eccetera. Sopravvivo chiamando tutti Vic,Nic, Ric, Tim, Rom, Camy, Meggu e avanti».

MARIAPIA89: «Ho 2 amiche che si chiamano Angelica [...] qualche volta le chiamoper cognome ma è brutto e allora una la chiamato Gegy (diminutivo inventato dame) e l’altra Angy o Angè. Le altre le chiamo TANIA (da Gaetana [...], ELY o E (daElena), FRA (da Francesca), SIMO o Etta (da Simonetta), ANNA (da Annalisa),DANY (da Daniela). [...] Benedetta (Benny): si ma anche Bene; Bia (significa “vita”...è pratico: non si ha nemmeno il bisogno di abbreviare!): già cortissimo. Ludovica(Vicky; Lulù): Lulù o Ludo; Fabiola (Fabi): sì ma anche Fà».

TITTI163: «Mia figlia Ludovica viene chiamata ludo... mio figlio andrea.. andry.. sisono importanti le abbreviazioni.. io abbrevio tutto i nomi... quando ludo la chiamavica [...] non mi piace».

A parte l’orgoglio per la passiva accettazione da parte della figlia dello“scempio” onimico di Caterina, della prima madre colpisce la percezione diuna forte omonimia sul piano dei nomi ufficiali e della funzione del“diminutivo” in chiave distintiva: colpisce anche perché un nome piùlungo dovrebbe avere più probabilità di distinguersi; infatti l’insegnantenon specifica come si rivolge ai vari Niccol[ò], Nicola, Nicholas, Nicolas,

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Nicole, Nicol, Nicoletta..., dando per scontato che non potrà orientarsi sultipo “Tim” e “Ric”, perché finirebbe per omologare metà classeall’ipocoristico “Nic”.

La seconda interlocutrice spiega le strategie poste in essere perdiffenziare le amiche omonime, esprime un parere su una serie di nomi daaccorciare, proposti dal primo messaggio e qui omessi, consiglia diestendere la sua tecnica di apocope dopo la prima sillaba (v. Fabiola ridottoa Fà) e, complessivamente, pare talmente impegnata a individuare leriduzioni eufoniche e funzionali che benedice il nome Bia in quanto, cosìcorto di suo, non le imporrebbe sforzo alcuno.

Anche la terza partecipante al forum abbrevia i nomi, ma sottolinea chec’è modo e modo di accorciare: la figlia Ludovica è regolarmente Ludo, guaia chiamarla Vica. Si noti anche la scelta razionale e non spontanea del nomebreve, del tutto opposta a quanto accadeva in passato, quando gliipocoristici e i fenomeni di caduta sillabica dipendevano dall’uso e pertantosi basavano, come visto, sulla conservazione della vocale tonica; ora iprenomi vengono frammentati e se ne sceglie una porzione, quella piùeufonica, che piace di più. Si veda un successivo intervento:

HAWIKA: «Ludovica (Vicky; Lulù) piuttosto Luvi ma lulù no!!!. Fabiola (Fabi) megliocosì che abbreviato in Lola (conosco una ragazza che si presenta così».

Poche le voci in controtendenza:

viva800: «No, per carità... Pensare già ad un’abbreviazione per un nome è una cosain sè che proprio non mi piace. Nomi bellissimi vengono storpiati in nomignoliridicoli quasi fossero dei nick... proprio brutto! Io ho chiamato mio figlio Gianni... setornassi indietro [...] ci penserei forse un attimo... ma sento intorno a me tantiGiovanni abbreviati in Gianni che mi fa una rabbia incredbilie... Così comeAlessandro (il mio vicino 25enne) “Aleeeeeeeee”; Leonardo “Leooooooooooo”...persino Bernardo di più di 40 anni “Dadoooooooo” come fosse un frugoletto dipochi mesi. No, guarda... se uno deve partire già con il presupposto di scovareanche un diminutivo... meglio Ugo, Ivo, Ada, Eva, Ebe... almeno nessuno limassacrerà mai».

E in quest’ultima opinione emerge la netta distinzione tra il nomeanagrafico, che tale dovrebbe restare nell’uso, e il nick che avrebbe laconnotazione del ‘ridicolo’, mentre la forma accorciata risulterebbe propriasoltanto della prima infanzia. La soluzione parrebbe essere la prevenzione,

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optando per un bisillabo magari di tre lettere: e poiché l’eventualealterazione (suffissazione) non preoccupa, sembra palesarsi la concezionesecondo la quale la questione si gioca non tanto sul rapportolunghezza/brevità, quanto sulla dicotomia ufficialità/manipolazione:insomma, il nome “intoccabile” nella sua forma base.

5. Un confronto oltralpe

Se diamo uno sguardo alla Francia, vediamo che i prenomi più portatidalla popolazione nel suo complesso risultano oggi, frutto ovviamente distratificazioni cronologiche, Michel, Pierre e Jean in campo maschile, contipi, tra i primi 50, di una certa consistenza fonetica, quali Philippe, Bernard,Christophe, Fréderic, Sébastien, Alexandre, Dominique, Guillaume e i doppi Jean-­‐‑Pierre e Jean-­‐‑Claude. In campo femminile: Monique, Nathalie, Catherine,Françoise e Isabelle e tra i primi 50 anche Jacqueline, Jeannine, Christine,Sandrine, Christiane, Stéphanie, Véronique, Dominique, Madeleine, Carolina,Geneviève e i doppi Anne-­‐‑Marie e Marie-­‐‑Thérèse (cfr. Besnard&Desplanques2004).

Si notino i trisillabi e i quadrisillabi, non così frequenti nella linguafrancese, e i composti che hanno avuto oltralpe maggiore fortuna che inItalia. Li si confronti con i nomi imposti con maggiore frequenza nei primianni del XXI secolo; maschi: Lucas, Théo, Thomas, Hugo, Enzo, Quentin,Maxime, Mathis, Louis, Tom tra i primi 20; femmine: Léa, Manon, Chloé,Emma, Sarah, Clara, Inés, Camille, Lucie, Julie, Lisa, Laura, Éva, Jade sempre trai primi 20. Non c’è dubbio, pertanto, che in Francia ci si stia orientandoverso prenomi più brevi che nel passato; naturalmente per avere valorestatistico i confronti dovrebbero essere ampliati a un numero superiore diranghi e includere vari altri domini linguistici,. Ma ciò non rientra neicompiti e nei limiti di questa comunicazione. Tuttavia, come sempliceindicatori, possono offrirci materia su cui riflettere.

6. Le altre sedi dell’onomastica breve

Quali sono altre sedi “onomastiche” nelle quali si riflette l’urgenza dellacomunicazione, i tempi brevi richiesti dalle nuove tecnologie, i ritmifrenetici del tempo che viviamo? Vediamone rapidamente un campionariodi altri luoghi.

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Odonimia e dunque insegne stradali: sono ben conosciute quelleinsegne rettangolari a fondo bianco e bordo blu, minimali nelle dimensioni,con il determinato, ossia la tipologia dell’area scritta in caratterimicroscopici, e il nome dell’area su una sola riga in caratteri rigidamenteminuscoli; è anche noto che i Paesi dell’Unione Europea sono stati costrettiad adattarsi a una normativa comunitaria, tesa, nelle intenzioni deipromotori, a uniformare e a rendere più chiara l’informazione stradale. Inrealtà la sede di scrittura è talmente limitata che i prenomi di alcunidedicatari sono sovente ridotti all’iniziale puntata: ciò accresce laconfusione tra omonimi (le nostre città sono piene di strade e piazzededicate a due o più persone con lo stesso cognome, oppure a personaggi ilcui cognome coincide con un toponimo a sua volta ricordato in altra area...)e, inoltre, rende alcuni insegne curiose, per non dire ridicole: come lenumerose “Via D. Alighieri” o, peggio “Via Alighieri D.” che incontriamonelle nostre città.

Crematonimi e in particolare prodotti commerciali: da un lato i marchi –qui s’intendono quelli composti dai cognomi dei fondatori/proprietari delleaziende – tendono ad essere compressi in un acronimo: ma non è vezzomoderno; se prendiamo le aziende motoristiche a partire dagli ultimi annidell’Ottocento e primo Novecento e ne confrontiamo le ragioni sociali conle industrie odierne, incontriamo un numero elevatissimo di sigle: da ABC(Anonima Brevetti Chiribiri) a VALT (Vetturette Automobili LeggereTorino), passando per AM, ASA, ATS, BBC, BN, CABI, CAR, CEVA, CIP.CMN, DRB, EIA, FAIT, FAS, FATS, FIAM, FLAG, FOD, FRAM, FTA, LUX,MBP, MRR, OM, OMT, OSCA, SABA, SACA, SALM SAOM, SCA, SIATA,SIC, SILVA, SIMS, SIVE, SMB, SMIN, STAR, SVAN, e solo per citare alcuneaziende nate in Italia tra fine Ottocento e primo Novecento.

Nei nomi dei prodotti alimentari troviamo invece marchideantroponimici abbreviati, ossia i nomi aziendali (per lo più cognomi etoponimi) ridotti a un paio di sillabe e più spesso a una soltanto, una marcadistintiva combinata con altri elementi portatori ciascuno diun’informazione. Ecco alcuni esempi: il marchio di salumi Beretta entraparzialmente nel würstelWüber e negli alteratiWüberone eWüberini; inoltre:i composti Biralungo e Birasnack (Biraghi); i crackers salati GranPavesi(Pavesi); Sanciok, metà cacao e metà biscotto (Sanson). Un ricco campione èfornito dal marchio Doria: sfruttando il lessico, la casa produce i crackerssalati Doriano, i biscotti agli agrumi Doriflor, i frollini Doricrem e gli snack

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salati Doribar. Anche marchi stranieri, ma ben noti in Italia, si trovanovariamente combinati nei nomi dei prodotti: dal cognome svizzero Nestlèsono nati Nescafè, Nespresso (caffè in capsule – si noti l’incrocio), Nestea,Nesquik, Nescau, Neslac e Nespray, Nestum e Nestogen, con Nes-­‐‑ sorta diprefissoide aziendale. Analogamente il marchio multinazionale Danone siritrova parzialmente in Danacol, Danette, Danito, Danaos (con vitamina Dper rinforzare le ossa). Un altro popolarissimo marchio è McDonald, cheapplica la sua marca morfologica di appartenenza, ilM(a)c di molti nomi difamiglia scozzesi, ancora a guisa di prefissoide alla lista detta McMenu edunque ai prodotti McToast, McChicken, BigMac, McRoyal Deluxe, McItalyVivace-­‐‑Adagio,McWrap Caesar, Cripsy McBacon,McNuggets, ecc.

Un settore che possiamo accogliere come esemplificativo della tendenzadi ridurre al minimo il cognome aziendale ma di inserirlo nelledenominazioni propri prodotti è quello farmaceutico. Basta qui unamanciata di esempi sui tanti possibili: Sandoz in Sandimmun,Sandoglobulina, Sandomigran; Bayer in Bayolin, Baypen, Baypress,Glucobay, Metbay; Roche in Roaccutan, Rocefin, Roferon, Roipnol; Menariniin Menaderm, Menalgon, Menorest, Azolmen, Climen, Dolmen, Miocamen,Neocytamen; Malesci in Aminomal, Diffumal, Paidomal; Gentili in Genalen,Genaprost, Gentipress, Montegen; Bracco in Tebraxin; Bruschettini inBrumetidina e Bruxicam; Dr. Falk in Salofalk e Ursofalk; Formenti inForgenac; Lampugnani in Lampocef, Lampoflex, Lampomandol; Molteni inMepivamol eMolcain; ecc.

Infine un cenno alla crescente riduzione di marchi complessi alla parolachiave; è il caso degli istituti di credito, nel linguaggio giornalistico semprepiù spesso ridotti al toponimo che indica l’appartenenza della banca: Lodi,Mantova o Novara stanno rispettivamente per Banca Popolare di Lodi, BancaPopolare di Mantova e Banca Popolare di Novara. Lo stesso capita per lesquadre sportive (ad eccezione del calcio), dove si tende a citare il solotoponimo omettendo l’articolo, un’eventuale suffissazione corrispondenteall’aggettivo etnico e sovente il nome dello sponsor: così è facile leggere“Siena batte Roma” nel basket o “Trento si arrende a Macerata nella corsascudetto” nella pallavolo, mentre i nomi ufficiali delle contendentirisultano rispettivamente Itas Diatec Trentino e Lube Banca Marche Macerata.

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7. Pseudonimi e nomi d’arte

Un’altra area privilegiata del nome breve è la firma pseudonimica o ilnome d’arte. Tuttavia non è semplice cogliere in questo àmbito uncambiamento d’abitudine o, secondo la nostra iniziale ipotesi, unatendenza più sviluppata negli ultimi anni verso l’accorciamento dei nomi.

La verifica si può cercare tra gli scrittori, i giornalisti, i vignettisti, gliattori, i registi cinematografici, i cantanti. Ma, tra casi abbastanza isolati,come Totò e Macario attori, Trilussa poeta, Steno regista, posso sottolinearesolo alcuni repertori più consistenti:

• firme di vignettisti: in genere limitate al solo cognome (Altan, Bucchi,Forattini, Giannelli, Krancic, Manetta, Staino, Vincino, ecc.) o al solo prenome(Vauro), talvolta con una sigla acronimica o pseudotale (BDA – BrunoD’Alfonso – oltre allo storico Sto – Sergio Tofano –, e non sempre conrisparmio grafico: Elle Kappa) o con uno pseudonimo (Quino);

• cantanti: limitatamente al panorama italiano: Adamo, Al Bano, Alice,Arisa, Drupi, Dolcenera, Elisa, Giorgia, Fiorello, Fiordaliso, Garbo, Jovanotti,Mango, Michele, Mietta, Milva, Mina, Morgan, Nada, Neffa, Nek, Povia, Pupo,Raf, Ron, Scialpi, Siria, Spagna, Tosca, Ugolino, Zucchero; si noti come si trattiper lo più di prenomi – alcuni d’arte – o di soprannomi e talvolta dicognomi (Adamo, Fiorello, Scialpi, Spagna, ecc.);

• coppie o trii di artisti, in particolare comici; qui la scelta si giustificasia con la tradizione cinematografica di coppie quali Stanlio & Ollio o Giannie Pinotto, sia con la necessità di non appesantire la propria firma artisticacon tutti i prenomi e tutti i cognomi: Totò e Peppino, Billi e Riva, Ric e Gian,Cochi e Renato, Franco e Ciccio, Gaspare e Zuzzurro, Gigi e Andrea, fin ai piùrecenti Ficarra e Picone, Luca e Paolo, Aldo Giovanni e Giacomo, Ale e Franz;

• tra i personaggi dello spettacolo si possono comunque individuarevari nomi d’arte più brevi di quelli anagrafici: ne sono palese testimonianzai cognomi reali accorciati, sul palco, per apocope: Giorgio Gaber daGaberscik, Charles Aznavour da Aznavourian, Jenifer Aniston daAnistonapoulos, Ringo Starr da Starkey; per aferesi: Orietta Berti da

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Galimberti; per sincope: Ombretta Colli da Comelli, Claudia Mori da Moroni,ecc.5

Per chi conosce tali nomi, appare evidente che si tratta di tradizionipseudonimiche o ellittiche che si continuano nel tempo, senza che emerganegli ultimi anni un orientamento più diffuso verso scritture onimichebrevi, che tuttavia persistono nei nuovi personaggi.

Antroponimi brevi nella lingua di Internet

Fin qui gli antroponimi del registro ufficiale, quelli anagrafici.Tralasciando l’uso orale che non rientra negli interessi di questo gruppo distudio, diamo però un rapido sguardo al registro non ufficiale, alle scritture“colloquiali”, in particolare a quelle della lingua “trasmessa” di Internet6,per il motivo della grande diffusione di messaggi e dunque di “firme” inrete e per la massima accessibilità da parte del ricercatore7.

Ho concentrato l’attenzione sui cosiddetti nicknames, per verificare, siapure con campioni necessariamente ridotti e dunque in grado di fornireinformazioni qualitative e solo in parte quantitativa, ma certo non di valorestatistico, quale sia il livello di “accorciamento” della propria catenaonimica in rete e quale sia lo status prevalente del cosiddetto nickname8.

5 Lino Banfi racconta che fu Totò, incontrato sul palco del Sistina nel 1965, a suggerirgli dicambiare il primo nome d’arte, Lino Zaga da Pasquale Zagaria: «Cambialo. I cognomi abbreviatiportano sfortuna».6 Termine che mi pare di poter applicare anche qui, sulla scia della definizione di FrancescoSabatini inizialmente in relazione con teatro, cinema, testi musicali e televisione, anche aglistrumenti dell’informatica e della telematica.7 Chi ha studiato repertori di messaggeria telefonica ha senz’altro incontrato e già trattatoanche di nomi propri e di firme – così come anche quanti si sono occupati della lingua diinternet hanno citato l’argomento del nome proprio: ho per questo provato a ritagliarmi alcuniaspetti molto specifici, che spero possano risultare d’un qualche interesse.8 Avrei voluto studiare anche un ampio campione di account di posta elettronica ma non vi erail tempo né lo spazio: del resto il nickname usato in rete talvolta è spesso strutturato in modosimile se si tratta di bambini e ragazzi o di chi usa la posta elettronica per comunicazioni nonformali e non professionali; in quest’ultimo caso, sappiamo bene che prevale l’uso del solocognome o del cognome accompagnato dal nome, o dall’iniziale del nome, puntata o no, macomunque equivale, se non a una firma completa, per es. alle citazioni bibliografiche di unarticolo scientifico dove, con rare eccezioni, gli autori e i curatori vengono segnalati con ilcognome e la sola iniziale del prenome.

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Ho condotto due brevi ricerche in particolare. La prima legata ainickname alfanumerici (cfr. Caffarelli 2012b). Non si tratta di una novità:almeno da quarant’anni, a mia memoria, soprattutto i giovani sono solitifirmarsi – ricordo le lettere inviate al settimanale per il quale ho scritto tra il1969 e il 1985, «Ciao 2001» – con il nome di battesimo, o uno pseudonimo,accompagnato dalla data di nascita (perlopiù limitatamente alle ultime duecifre). È esperienza comune, di chi frequenti il web, che tale prassi si siacontinuata e, anzi, nettamente intensificata. Un àmbito antroponimicoparticolare nel quale è ben presente l’elemento numerico è costituito dallefirme parapseudonimiche, quelle cioè che svelano soltanto in partel’identità personale e che negli ultimi decenni ha trovato un enormesviluppo nella rete telematica, dunque nei cosiddetti nickname di Internet,negli indirizzi di posta elettronica e nelle denominazioni dei siti web.

Ho potuto calcolare, cercando con il motore Google la formula N+data,per es. Giulia99, e tornando indietro calando il numero fino a Giulia20, unaltissimo numero di occorrenze9; e, a conferma di quanto avevo ipotizzato– partendo dal presupposto condivisibile che i giovani usano scrivere inrete più degli adulti e questi più degli anziani – ho riscontrato che ilnumero delle occorrenze decresce con il crescere dell’età, ma poi torna asalire perché, evidentemente, ci sono casi in cui i giovani (intendo ibambini, gli adolescenti e i giovani adulti) usano come cifre della propriafirma alfanumerica non l’anno di nascita, ma la propria età: l’abbondanzadi Giulia30 o Giulia20, insomma, più che far pensare a un folto gruppo disignore ottantenni e novantenni intente ad animare forum, raccontarsi neiblog e scambiarsi foto e messaggi nei social network, a ventenni e trentenni,appunto.

La formula più diffusa, nell’utilizzo di un numerale, è come si dicevaquella costituita dal prenome associato all’anno di nascita, espresso conquattro cifre o, più sovente, con le due ultime soltanto. Prendendo uno deiprenomi femminili imposti con maggiore frequenza in Italia negli ultimi 30anni – Sara – e limitando la ricerca di pagine web, attraverso il motoreGoogle, a quelle in lingua italiana, si ottengono frequenze elevatissime dioccorrenze del tipo Sara+numerale. Si va dalle 144.000 occorrenze di Sara88e dalle 27.200 di Sara82 a valori comunque superiori a 10.000 per ogni

9 Quando si dice altissimo s’intende però il numero apparente di pagine: che vanno ridotte,secondo i casi, e comunque se superano il migliaio, dall’80 al 90%.

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numero compreso tra 80 e 99 e maggiori di 5.000 per vari altri numericompresi tra 11 e 7910. Risultati simili possono registrarsi con altri prenomi,tanto femminili quanto maschili.

Il numerale legato al nome di persona segnala perlopiù la data dinascita del portatore. Oltre che sull’esperienza e sull’intuito, la spiegazionesi basa su un fattore probabilistico di assoluta evidenza: tenuto conto che ilprenome Sara ha notevolmente accresciuto la sua diffusione in Italia nelleultime generazioni e che i luoghi telematici dove appaiono le firme (inickname o soprannomi) sono frequentate in misura maggiore dai giovaniche dagli adulti e dagli anziani, ci aspetteremmo grossomodo una frequenzasuperiore dei numeri corrispondenti agli anni di nascita compresi tra il1975 e il 1999 e valori descrescenti via via che le cifre più basse indicanouna maggiore età della persona; ciò che i dati rilevati nella ricerca con ilmotore Google confermano pienamente; la risalita della curva con i numeriinferiori a 30 può infatti giustificarsi se li si considera, come detto sopra,non più rappresentazione dell’anno di nascita, bensì dell’età del portatore.Un ulteriore indizio favorevole all’ipotesi è dato dalla serie di valoriindividuati per le formule a quattro cifre, il tipo Sara1999; ebbene, anche inquesto caso i valori massimi si riferiscono agli anni 80 e 90, e incorrispondenza dei numeri compresi tra 1910 e 1960 le presenze sonominime e in genere fallaci, proprio come ci si aspetterebbe.

L’utilizzo della combinazione prenome+anno di nascita (o anno d’età) èla spia di un interessante aspetto psicologico, che qui si lasciaevidentemente al vaglio degli specialisti in materia: nel biglietto da visitarappresentato dalla firma/nickname il riferimento all’età parrebbe piùimportante del cognome, della città di residenza o di qualsiasi altraappartenenza e segno distintivo. Sarebbe interessante stabilire in qualemisura ciò è dovuto alla sinteticità del numero rispetto a indicazioni di tipodiverso. In ogni caso il fenomeno costituisce motivo di meditazione perquanti, studiosi di onomastica in testa, paventano legittimamente che in unfuturo non troppo lontano prenomi e cognomi possano essere sostituiti inparte o in toto da sequenze alfanumeriche distintive, come quelle del codicefiscale.

10 Sondaggi effettuati tra il febbraio e il settembre 2011.

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La diffusione delle firme/nickname con un componente numerale èdocumentabile in àmbiti ancor più specifici. Nell’esempio del Fantacalcio edi analoghi concorsi di previsioni di risultati calcistici, da un’analisicursoria dei nomi dei partecipanti riportati in www.fantamagic.it11 risultache circa il 10% degli pseudonomi indicati sono caratterizzati da unnumero. Varia è la tipologia: si va dal tipico abbinamento prenome+anno dinascita (presumibile), come toni73, con possibile riferimento anche a unfiglio (alessia06, Sofia2000), a nomi di squadre di calcio variamenteinterpretabili (Lazio74 che ricorda l’anno del primo scudetto vinto dallasocietà calcistica romana, reggina77, Stella rossa24, Napoli Soccer 2008,Rosanero79, 11 bianconeri, ecc.) o anche di calciatori (Huntelaar92).

La seconda ricerca effettuata è di tipo qualitativo. Ho scelto un sitomolto frequentato, <www.alfemminile.com> e ho individuato due campinei quali mi pareva di poter ipotizzare, da un lato, un interesse particolareper l’onomastica, ossia le donne che discutono di quale nome dare ai propribambini in arrivo o comunque di quali siano i nomi più belli, ecc.12; e,dall’altro lato, un probabile disinteresse per i nomi, e per nomi troppisofisticati o articolati, perché i temi erano i più vari e in nessun modo legatia un interesse per i nomi13.

Ho dunque raccolto oltre 660 nicknames differenti usati nell’uno enell’altro àmbito, riscontrando, in termini generali, le caratteristicheseguenti del repertorio:

• non ho rilevato una differenza significativa tra l’uno e l’altro forumquanto all’aspetto formale, composizione, uso di nomi reali o del tutto

11 Consultato nel marzo 2010.12 Il campione di nickname è tratto da forum su gravidanza, in particolare “nomi” (gennaio2007) “il nostro nome” (ottobre 2009), “il nome più bello è” (luglio 2010), “origine-­‐‑etimologia-­‐‑nomi”, “sondaggi nomi stranieri” (luglio 2008), “mi consigliate questi nomi?” (gennaio 2008),“fra questi quali preferite” (maggio 2010), “emergenza nome” (giugno 2010) e altri compresitra l’inizio del 2007 e la primavera 2010 (tenendo conto che una stessa persona può cambiare ilsuo nickname a seconda di dove si trova e che talvolta è portata a usare davvero la primaparola che gli viene in mente; alcune firme, tuttavia, si ritrovano a distanza di anni).13 Il campione di nickname è tratto da forum che presso il sito http://forum.chatta.it/ sono cosìintitolati: “i problemi giovanili”, “politica”, “fatti del giorno”, “chiavi moderni”, “automania”, “motociclisti”, “mercatino di chatta”, “over 40”, “si parla di...”, “mondo diversamenteabile”, “amore e dintorni”, “salute e benessere”, “moda e trend”, ecc.) relativi al maggio 2011(con qualche messaggio del precedente aprile). Ancora una volta non andrà dimenticato che inick non sono univoci per la stessa persona, ma cambiano spesso.

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fantasiosi, ecc. dei nicknames; tale omogeneità relativa concerne anche laquantità delle lettere e dei numeri utilizzati in media per ciascun nick: 9,44per il gruppo degli internauti interessati all’onomastica e 9,78 per ilsecondo campione (media complessiva: 9,61);

• tali nicks presentano spesso caratteristiche alfanumeriche, ed è assaiprobabile che i numeri, come detto sopra, corrispondano all’età o all’annodi nascita, ma molte volte non è così: talvolta somigliano a un codice diavviamento postale (dada20091, fede86307), a un numero telefonico senzaprefisso (elena220173); sono posti in genere a destra rispetto al testoalfabetico, ma non mancano casi di collocazione in testa (79marlene,89matilde, 10.enzo, 1977giorgio, ecc.) o al centro (agnese89ct, iris78balla,tata81as) o in più posizioni (19m80); capita che le cifre siano più numerosedelle lettere (ale021270);

• la fantasia viene espressa attraverso nomignoli d’ogni genere maspesso consiste piuttosto nel richiamo a un personaggio per esempio deicartoni animati o dei fumetti o delle fiabe – apemaya3, bamby2512,fatinatrilly, kandykandy, wileecoyote, ecc. – o di altre opere letterarie ecinematografiche, reali o fittizi (scarlettoharakf, jamesdean88, ecc.);

• spicca l’uso di forme anglofile o di anglicismi grafici, come il ricorsoalle “y”, alle “k” e alle “x”: alessya84, carolyne70, costy77, debby545, kiara397 ekiaretta62, mikela170 e mikela1983, ecc.;

• si nota una vivace tendenza al vezzeggiativo, una scelta di tenerezza edolcezza e anche autoironia (bignettina, bollicina1976, cerbiatto29, cipollinad,coccinella, coccola77, coriandolina73, cucciola018, dolcefragola, dulcineadolce,flybutter, fogliolina9, gemellina 300, musetto, piccola2009, scorpioncina.84,spennacchiotto, tigrottina1988, ecc.), in cui oltre al suffisso (vedi emanueluccia– nessun accorciamento, anzi!) acquistano valore voci di lessico comeamore, oro, aurora, stella e astri... (aleamoredoro, amore1979, animeovunque,astrablu, aurora925, auroraluna82 e aurorazzurra, dolcesogno29,fioredellasperanza, giornienuvole, honey81, ilsogn.atore, incantoarmonioso,innoallanotte, lareginadeivampiri, lucingalleria, lunadimandorle, magnoliafiorita,neraperla, ombranera 84, ortensia76, pratoazzurro, primulagialla, rimmel71,stellalpina22, stellaluce3, unicornonero, unpocodizucchero, ecc. – alcuni riferibiliforse, dato anche il contesto, al rapporto con il proprio figlio/figlia – e sinota inoltre, detto dal linguistica e non dallo psicologo, e dunque con

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Microantroponimi del XXI secolo66

ampio beneficio d’inventario, l’incertezza del proprio carattere e delproprio status o anche il livello di autostima: vedi badhorse e cavallopazzo,beauty83, bimbaconfusa1, diamondsforever, dolcebono90, inutilicertezze,laragazzadeisogni78, kleopatraelegance, kreativa72, merycrazy, nonmifermo,pazzascatenata64, pestiferaa, psicoparallela, psychoclaudia, redeisogni, restomuta,sadlilly, solitario0000, sparoa0, supremo.imperatore, tipoideale, xsolarissima89,1000.risorse, ecc.;

• si vedano inoltre alcuni casi di duplicazione o di allitterazione: arakiki,bisibina 81, chichi985, eheheheheheh, kitukitu, ladidil, luanaluna1888, martattak,pazzimpazza, tittititti78, o anche di quasi onomatopea (linguaggio infantilebasato su ripetizioni consonantiche – s’intende, occlusive – e vocaliche:bubi28 e bubi86, ecc.);

• in rari casi il nick prende in prestito la terminologia della rete e ladeforma: blogo, ecc.

Infine, il tema centrale della brevità: qui essa riguarda soprattutto lacondensazione di più informazioni in una rapida stringa univerbata; non ètanto il nome-­‐‑soprannome-­‐‑pseudonimo che si accorcia (esistono come vistonickname composti piuttosto lunghi), quanto i dati multipli che vengonoaggregati insieme, come l’età, il codice di avviamento postale, il numero ditelefono. Anzi, quelle che nei forum, nei social network ecc. sono chiamate“firme” in realtà sono scritture tutt’altro che brevi14.

Sappiamo che molti nicknames sono ideati dalle persone che unindividuo frequenta (come del resto il soprannome nella vita reale) e che lastessa persona può usare più nicks se appartiene a più “gruppi sociali”, ingenere offre indicazioni sul sesso delle persone, sull’immagine che ha di sé,sulle aspirazioni e ambizioni, sugli interessi sociali e culturali, su simpatie eaffiliazioni. Più che di nickname sarebbe il caso di usare il termine net name,

14 Tanto che i webmaster spesso si lamentano, con inviti e moniti del genere che segue(<http://onlinegate.altervista/org/forum/>): «Regola n. 10 – Non tenere firme lunghe. Le firmetroppo lunghe non facilizzano per nulla la visualizzazione del foum! Meglio avere firme cortee semplici, tutto sarà più ordinato, provare per credere!». Un altro esempio in<www.nabuk.org/>: «Solitamente accettiamo firme corte (non più di tre righe) e la cosa mi hafatto storcere un pò il naso, questa è comunque la mia opinione e anche se non è contro ilnostro regolamento».

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il “nome nella rete”, un iperonimo che va poi declinandosi nei vari nicks enella varie formule che ciascuna persona può utilizzare.

Il campione qui raccolto può essere letto comunque in una chiaveinterpretativa importante, e cioè come tendenza verso un futuro nel qualepotrebbe sempre più ampliarsi il divario, nella denominazione degliindividui, tra il nome ufficiale da una parte, soggetto a codificazionialfanumeriche e chissà a quali altri protocolli info-­‐‑telematici di cui il codicefiscale e il codice IBAN sono soltanto i primi assaggi, e il nome non ufficialedall’altra, sempre meno codificato e sempre più libero da vincoli etradizionali, rinnovabile nello spazio e nel tempo e auto-­‐‑imposto. A questainterpretazione sembrerebbe però opporsi la gran mole di formulealfanumeriche e quelle prive di significato (in apparenza o con quasicertezza) che compongono il repertorio qui presentato.

Enzo Caffarelli

[email protected]

Bibliografia

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Microantroponimi del XXI secolo68

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Caffarelli 2012bCaffarelli Enzo, “L’elemento numerale nell’onimia e nell’onomasticaitaliana”, in P. Poccetti (a cura di), Symmikta Arithmetika. La lingua dà inumeri, Roma, Il Calamo, 13-­‐‑127.

Caffarelli&Marcato 2008Caffarelli Enzo, Marcato Carla, I cognomi in Italia. Dizionario storico edetimologico. Torino, UTET, 2 voll.

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Rossebastiano&Papa 2005Rossebastiano Alda, Papa Elena, I nomi di persona in Italia. Dizionariostorico ed etimologico, Torino, UTET, 2 voll.

Sestito 2011Sestito Francesco, “Frequenze onomastiche. Variazioni e stabilità nelrepertorio cognominale italiano del 2011: un’analisi dei dati fornitidall’ANCI per 26 capoluoghi di provincia”, Rivista Italiana diOnomastica 17/2, 857-­‐‑891.

Sestito 2012Sestito Francesco, “Frequenze onomastiche. Variazioni e stabilità nelrepertorio cognominale italiano del 2011: un’analisi dei dati fornitidall’ANCI per 50 capoluoghi di provincia (continuazione e fine)”,Rivista Italiana di Onomastica 18/1, 337-­‐‑370.

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Scritture brevi e nuove tecnologie digitali: un nuovo percorso

verso l’apprendimento e la creatività

Andrea Granelli

Abstract

Le forme brevi – per risparmiare tempo, energie cognitive, materiali pregiati ospazio di archiviazione – hanno sempre accompagnato l’uomo -­‐‑ assumendo – nellevarie fasi storiche – forme e modalità differenti. La rivoluzione digitale -­‐‑ unità a unacrescente mancanza “cronica” di tempo – ha dato però un contributo alla lorodiffusione introducendo non solo nuovi strumenti (chat, SMS, tweet, …) ma anchenuove forme linguistiche o addirittura schemi di relazione innovativi (ad es. con ilvibracall del telefonino). Forse una delle sue novità è il “ritorno” delle immagini,spesso forme di autentica brevità informativa, e il loro contributo – quandointegrate con il testo – può essere significativo nei processi creativi e nel supportarel’apprendimento. Ma la rivoluzione digitale ha anche dai lati negativi – di cui tral’altro poco si parla – che vanno però messi in luce e tenuti in grandeconsiderazione per evitare un cattivo utilizzo e una potenziale neutralizzazione deibenefici.

Parole chiave: brevità, apprendimento, digitale, innovazione, cattivo utilizzo

The short forms – to save time, energy, material and storage space – have alwaysbeen part of men’s life, taking – from time to time – different shapes. The digitalrevolution – together with an increasing and chronic shortage of time – hassignificantly contributed to their adoption and dissemination, by not onlyintroducing new tools (chat, SMS, tweet, …) but also new linguistic mechanisms oreven innovative ways to relate to each other (e.g. with the so called vibracoll featureof the mobile phone). Maybe one of the novelty is the recurrence of images – oftenrepresentation of truly compressed information – and their contribution, whenassociated with the text, can be significant in creativity and in supporting thelearning process. But the digital revolution has also a dark side – not particularlyanalyzed and discussed, as a rule – which should be more investigated and takeninto consideration to avoid misuse.

Keywords: conciseness, learning, digital, innovation, misuse

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Un (breve) elogio della brevità

Ci vuole una grande abilità a racchiudere tutto in poco spazio(Seneca, Lettere a Lucilio)

Con i tempi che corrono, la brevità è il solo segno di rispetto apprezzato dalpubblico (Stendhal)

L'ʹuomo ha sempre cercato di non sprecare le proprie energie. Appenauna attività diventava ripetitiva, nasceva automaticamente la riflessione sucome farla con minor sforzo. Questa tensione umana venneconcettualizzata agli inizi del ventesimo secolo dal fisico Ernst Mach come“principio di economia”: il compito primario del sapere scientifico è quellodi esporre il più completamente possibile i fatti col minore impiego dipensieri e quindi le connessioni più importanti sono quelle più semplici,rapide e controllabili, che richiedono dunque meno sforzo. Questominimalismo rappresentativo non si applica solo alla scienza ma ancheall’arte. In un libro recente – La visione dall'ʹinterno. Arte e cervello, BollatiBoringhier – Semir Zeki parte dall ‘ipotesi che il nostro cervello debbaestrarre informazioni sugli aspetti essenziali e costanti del nostro universovisivo (gli invarianti) a partire da una grande messe di dati in continuocambiamento. Secondo l’autore, studiando l’arte – soprattutto quellamoderna che tende alla semplificazione – «si scopre una somiglianza traciò che ha prodotto, o almeno ha posto in evidenza, e le caratteristiche delcampo recettivo delle singole cellule nelle diverse aree nel cervello».

Questa “economicità” sottende naturalmente il concetto di brevità, diessenzialità. Anzi, come disse una volta Bartezzaghi, «il vero problema nonsta nella dimensione ma nella tensione, non nel corto ma nel teso».

Certamente la brevità è stata una delle risposte dell'ʹuomo ad alcunivincoli della natura. Alcuni erano legati allo sforzo fisico. Quando si vuolescrivere sulla pietra o sul marmo, o su qualche altro materiale difficile daincidere, la concisione s'ʹimpone. Nasce così una scrittura lapidaria (oscrittura di pietra) che spesso cela dentro di sé un carattere di sacralitàoracolare. George Perros (pseudonimo del critico Georges Poulot) arriveràaddirittura ad affermare – richiamando le origini delle forme brevi – che«l'ʹaforisma è un sasso». Ma le forme brevi più interessanti erano legate allaminimizzazione dello sforzo di ricordare. L'ʹaforisma è, storicamente, unprocedimento mnemonico utilizzato in campo scientifico e soprattutto

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medico in quanto condensa l'ʹessenziale di una materia con l'ʹestremaconcisione che facilita una buona memorizzazione. Primi nel genere, gliaforismi di Ippocrate sono una raccolta di quattrocento massime dimedicina generale, divisa in otto parti riguardanti le diete. Questi aforismihanno inaugurato la tradizione dell'ʹaforisma medico e scientifico,tradizione giunta fino ai nostri giorni.

Ma la brevità non veniva usata solo per ricordare; spesso dovevastupire. Le frasi paradossali (ad esempio «vietato vietare») e gli sloganpolitici sono stati usati per la loro forza persuasiva e i grandi retori hannocodificato in maniera sistematica questa arte.

La brevità non si ferma alla letteratura; ad esempio anche la musica ne èstata contagiata. Tra le forme brevi musicali più note non si possono nonmenzionare l'ʹincipit della sinfonia n.5 di Beethoven, o il miniaturismopianistico tipico del romanticismo. Ad esempio i preludi n.3 in SOLmaggiore e n.22 in SOL minore di Chopin hanno entrambi una duratainferiore al minuto. Per avvicinarsi al nostro tempo come non ricordare lefamose “due note” di So What di Miles Davis o i “quadri musicali” diStravinskij.

Nell’era moderna, la brevità è apparsa sotto diverse spoglie.L’architettura è stato teatro di molte riflessioni sia di tipo estetico chefunzionale. Sul lato estetico la battaglia di Mies Van der Rohe («Less ismore») sulle inutilità del decorativismo riassume secondo molti lo spiritopiù autentico della modernità. Anche dal punto di vista funzionale moltiarchitetti si sono cimentati nella creazione di spazi essenziali per ospitaremasse crescenti di abitanti senza nel contempo snaturare l’ambiente.Probabilmente l’Unitè d’abitation di Le Corbusier può essere considerata lacapofila di questa riflessione architettonica sulla concisione spaziale.

Anche la psicoanalisi si è confrontata con la brevità. Ad esempio ilmeccanismo della condensazione utilizzato nei sogni tende a imprimeretramite un solo elemento più elementi connessi tra loro come per esempiorappresentando due individui mediante un unico tratto o tramiteun’assonanza tra i loro nomi. Il contenuto manifesto del sogno contieneinfatti sempre abbreviazioni rispetto a quello latente. La condensazione èquindi un compromesso che il sogno attua tra contenuto latente e censuraper eludere ed allo stesso tempo “accontentare” la censura stessa e per

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risparmiare il più possibile energia psichica illustrando simultaneamentevari contenuti. Un’applicazione del principio di Mach.

Un’altra realtà interessante è il mondo dei fumetti e dei cartoni animati.Opere come Sim City di Frank Miller o La Linea di Cavandoli (resa celebrequando utilizzata per pubblicizzare Lagostina) sono esempi di scritturaminimalista, capaci di restituire una straordinaria ricchezza informativa enarrativa.

Perfino il teatro – tradizionalmente non associato alla brevità – ne èstato contagiato. Una delle più radicali innovazioni futuriste nel teatro fu ilcosiddetto Teatro futurista sintetico. La sua chiave era la concisione:affermava Marinetti «è stupido scrivere cento pagine dove ne basterebbeuna». Su questo concetto ha giocato – portandolo all’estremo – AchilleCampanile con le sue 87 tragedie in due battute, scenette teatralieffettivamente in due battute basate sul 'ʹnonsense'ʹ e sul paradosso.

Ma il vero responsabile di questo autentico dilagare della brevità èprobabilmente la rivoluzione digitale. Innanzitutto le più recenti tecnologieinformatiche e di comunicazione hanno riunificato in maniera naturale, conil loro esperanto digitale fatto di zeri e di uni e con il concetto operativo diinformazione, la misura dello spazio e del tempo. Un messaggio è breveperché richiede poco tempo per essere trasmesso o ascoltato ma ancheperché presuppone poco spazio per essere archiviato. Le due misure sonoassolutamente correlate. Pertanto ogni riflessione sulla brevità digitaleunifica spazio e tempo.

Dobbiamo però sempre tenere presente la preoccupazione di TomàsMaldonado: «il riduzionismo stenografico della messaggistica elettronicanon è una maggiore concisione del pensiero, neppure uno stile espositivopiù limpido e sobrio, ma soltanto un depauperamento dei contenutireferenziali».

La mutazione delle forme scritte nel nuovo “paesaggio digitale”

Le lettere sono simboli che trasformano la materia in spirito (Alphonse deLamartine)

Scrivere è diventato inutile, a meno che non si scriva indecifrabilmente(Ennio Flaiano)

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Oggi tutti scrivono e nessuno legge, tutti parlano e nessuno ascolta (Mario Perniola)

Affrontare il tema della mutazione del linguaggio grazie alla nuovetecnologie digitali per comprenderne cause, implicazioni e direzioni ciporterebbe molto lontano. Il linguaggio può toccare – anzi “tocca” –moltissimi ambiti e non solo la letteratura e la comunicazione. Alcunifugaci esempi.

Per Lacan l'ʹinconscio è strutturato come un linguaggio e il motto dispirito è il paradigma della formazione dell'ʹinconscio (in quanto purofenomeno del linguaggio); inoltre i principali processi che presiedono allaformazione dell'ʹinconscio sono metafora e metonimia.

Il linguaggio è anche una cura. Tra i tanti che se ne sono occupati, vienein mente Flaubert che, in una lettera, afferma che «scrivere è tessere unarete che ci tiene sospesi sull’abisso del nulla, per questo può essereun’attività salvifica».

Il recente Clue Train Manifesto afferma infine che «i nuovi mercati sonoinnanzitutto luoghi di conversazione e il compito delle imprese chevogliono esserci e di conversare con i consumatori».

Questi brevi flash (aforismi appunto …) vogliono solo suggerire laportata delle potenziali trasformazioni legate alla diffusione delletecnologie digitale e alla loro applicazione metodica al nostro modo dirappresentare e comunicare e a una crescente pulsione verso la brevità. Lamia riflessione – che parte da questo contesto – vuole invece concentrarsisu un paio aspetti specifici che stanno emergendo nelle forme brevi digitali:la compressione linguistica che nasce nei canali digitali e la punteggiaturaemozionale.

Quando la rappresentazione di un concetto, di una espressione, di unsentimento ha un costo significativo (legato al materiale utilizzato, al tempodisponibile, alla difficoltà di utilizzare il materiale come medium, allascomodità del luogo in cui si “scrive”, …), si tende ad optare per unarappresentazione che sottolinei gli aspetti rilevanti. Se osserviamo i giovaniche comunicano con gli SMS, abbiamo l’impressione che il loro tempo sia larisorsa scarsa; essi tendono infatti a battere velocissimamente e – oltre aimpiegare frasi fatte o concetti già espressi – utilizzano espressioniconcentrate, dove il superfluo scompare. Questa comportamento viene

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Scritture brevi e nuove tecnologie digitali74

anche rafforzato dal ricevente, che – come il trasmittente – tende ad averepoco tempo e ad essere bombardato da informazioni e che quindi sispazientisce a dover leggere cose “inutili”. A ben osservare, vi è una fortesimilitudine fra i nuovi linguaggi compressi utilizzati negli SMS e nelleChat e il linguaggio epigrafico latino. Entrambi i linguaggi sono infattivincolati ad uno spazio limitato (la dimensione dell’epigrafe per i latini, lalunghezza del SMS) e devono far risparmiare il più possibile (il costo degli“scalpellini” epigrafisti per i latini, il tempo personale o i costi ditrasmissione nel caso attuale).

TECNICA DIRAPPRESENTAZOINE

LINGUAGGIODELLA RETE

LINGUAGGIO EPIGRAFICO

uso delle iniziali di parole

o espressioni molto usate

IMHO (In MyHumble Opinion)

V (Vir), D.M. (DisManibus); DSPF (De Sua PecuniaFecit)

abbreviazioni di

espressioni “rituali”

WYSIWYG (WhatYou See Is What YouGet)

CEBQ (Cineres Eius BeneQuiescant);QDERFPDERIC (QuidDe Ea Re Fieri Placeret, De Ea ReIta Censuerunt)

creazione di "ʺnuovi

alfabeti"ʺ usando la

dimensione fonica della

lettera

4U (For You) B4U (BeforeYou); f2f(face-­‐‑to-­‐‑face); CUL83 (See YouLater)

VII V (Septemvir)

giochi di parole con le

abbreviazioni

TOCOTOX (TOoCOmplicated TOeXplain); NIMBY (Notin my back yard)

DOM (Deo Optimo Maximo)SPQR (Senatus PopulusqueRomanus)

Inoltre i latini iniziavano le loro lettere con SVBE (Si Vale Bene Est) equesta composizione è molto simile alla tipica “chiusura” delle

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comunicazioni digitali TTYL (Talk To You Later). Per tanto una formaespressiva che sembrava una cifra della modernità digitale altro non è chel’applicazione all’ambiente digitale di un metodo “antico”.

Un’altra novità dei linguaggi digitali è la creazione degli emoticon,marcatori emozionali che aiutano sia a definire il contesto dellacomunicazione (serio o ironico, ...) sia a veicolare specifiche emozioni(stupore, disappunto, ...). Anche in questo caso, non si tratta di unaassoluta novità, ma consente di mantenere anche in “assenza” quellepreziose informazioni extra-­‐‑linguistiche.

È curioso notare che gli emoticon – nati come esperanto universale delvillaggio globale –si sono però dovuti rapidamente piegare alle regoleculturali. In Giappone – per esempio – è considerata maleducazione peruna donna (sor)ridere con la bocca aperta. Per tanto la Netiquette nipponicaha creato due diversi emoticon che esprimono la felicità a secondo chevenga utilizzato da un maschio (^_^) o da una (^.^). Quello femminilesuggerisce infatti, sostituendo il trattino con il puntino, la bocca chiusa ….

Le capacità espressive degli SMS possono andare molto oltre. Adesempio in un interessante libro scritto da due psicologi – SMS.

Straordinaria fortuna di un uso improprio del telefono – vengono osservatimetodi di comunicazione molto creativi legati non solo alle caratteristichedel telefonino ma anche agli schemi di pricing proposti dagli operatori ditelefonia. Ad esempio Se il ricevente usa il vibracall, l'ʹavviso si traduce inun fremito che, se si ha il cellulare addosso, tocca qualche parte del corpo epuò persino sembrare una carezza, creando una sensazione analoga alprofumo aggiunto – nei secoli passati – dalle donne innamorate nellelettere scritte per i loro amanti. Inoltre spesso i giovani si augurano labuona notte con un semplice squillo a cui non segue la chiamata. Questacomunicazione – resa possibile dall’identificativo del chiamante che apparesul display del telefonino anche se la telefonata non è completata – èinteressante perché non costa nulla in quanto l’addebito inizia solo quandosi risponde.

Va anche ricordato che il linguaggio può diventare strumento per lacostruzione identitaria e per segnare l’appartenenza a una comunità, anzi auna neo-­‐‑tribù come direbbe Michel Maffesoli. Il caso più interessante èprobabilmente il fenomeno francese del Verlan, una forma criptica di argot

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usata dai giovani dove le sillabe e certe parole (generalmente ledisillabiche) vengono invertite foneticamente. La stessa parola Verlan

deriva dall’inversione della parola envers. La sua origine è attribuita aAuguste Le Breton nel 1953, ma è diventata di uso generale attorno al 1970.È molto utilizzato nei sobborghi dagli arabi e dai “black” (in Verlan “beurs”e “keblas”) come codice di riconoscimento. Alcuni esempi entrati nellinguaggio comune sono meuf (femme), téci (cité), géman (manger), vétrou(trouvé).

La paura della tecnica

Usa le tecnologie prima che loro usino te (detto cyberpunk)

La tecnologia crea innovazione ma -­‐‑ contemporaneamente -­‐‑ anche rischi ecatastrofi: inventando la barca, l’uomo ha inventato il naufragio, e scoprendoil fuoco ha assunto il rischio di provocare incendi mortali (Paul Virilio)

L’oblio non è meno creativo della memoria (Jorge Luis Borges)

Queste trasformazioni in atto rese possibili dalle tecnologie digitalihanno però anche un lato oscuro e per questo motivo generano paura einquietudine. Questo fenomeno ha sempre accompagnato l’innovazionetecnologica; ogni grande mutazione guidata dalla tecnica ha infatti sempresuscitato paure nell’uomo per il cambiamento dello status quo. Alle voltese ne suggeriscono gli aspetti problematici come nelle riflessioni del Fedrodi Platone: «[…] fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mentenon più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei ..la cosa strana delle cose scritte ... sembra che ti parlino come se fosserointelligenti, eppure se chiedi loro qualcosa su ciò che ti dicono, perdesiderio che ti istruiscano di più, continuano a ripetere sempre la stessacosa» (Platone). Altre volte una vera e propria paura che genera riflessionistrumentali che talvolta diventano stereotipi.

Ad esempio durante la rivoluzione della lettura avviata nel Settecentocon la diffusione dei romanzi, si dibatteva sugli effetti moralmente beneficio psichicamente disastrosi della cattura del lettore da parte della finzione.Lo storico della cultura Roger Chartier, riporta nel suo Inscrivere e cancellare.Cultura scritta e letteratura tracce di questo dibattito: «Nel XVIII secolo ildiscorso si trasferisce all’ambito medico e costruisce una patologiadell’eccesso di lettura, considerata una malattia individuale o un'ʹepidemia

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collettiva. La lettura senza controllo è ritenuta pericolosa perché uniscel’immobilità del corpo e l’eccitazione dell’immaginazione, provocando cosìi mali peggiori: ostruzione dello stomaco e dell’intestino, disturbi ai nervi,spossamento fisico ... l’esercizio solitario della lettura porta allo sviamentodell'ʹimmaginazione, al rifiuto della realtà, alla preferenza accordata allechimere. Ne deriva una vicinanza tra eccesso della lettura e masturbazione,perché entrambe le pratiche provocano gli stessi sintomi: pallore,inquietudine, prostrazione».

D’altra parte la letteratura è piena di passi celebri che parlano dellapericolosità della lettura: ad esempio l’episodio di Paolo e Francesca nellaDivina Commedia («galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse»), le fasi finali delDon Chisciotte («per il molto leggere gli si prosciugò il cervello in modoche venne a perdere il giudizio», che svolge la consonanza verbale dilectura y locura), la vita di Madame Bovary, …

Non si tratta naturalmente di criminalizzare le tecnologie, ma solo diricordarsi della presenza “naturale” di questi timori ancestrali, di questianticorpi dell’innovazione, quando si analizzano le modifiche indotte –soprattutto sugli adolescenti – dalle nuove tecnologie digitali sui processidi ricordo, apprendimento, condivisione, ….

È d’altra parte noto che ogni eccesso crea sempre squilibri, e che lamutazione in sé indotta dalle tecnologie – che comporta sempre sia ilpotenziamento di alcune facoltà (ad es. il multitasking o la velocità delledita) sia il (complementare) depotenziamento di altre (ad es. la memoria) –non deve essere vista per definizione come negativa (ma neanche positiva).Il tema non è quindi se è giusto (o pericoloso) che la tecnica modifichil’uomo quanto piuttosto separare le buone dalle cattive pratiche e orientareil percorso delle nuove tecnologie verso processi di rafforzamento delladimensione integrale della persona, e non solo di alcune sue funzionalità:la questione tende dunque ad essere di natura squisitamente antropologica.

Scrive infatti Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate:

«Dall’ideologia tecnocratica, particolarmente radicata oggi, Paolo VI avevagià messo in guardia, consapevole del grande pericolo di affidare l’interoprocesso dello sviluppo alla sola tecnica, perchè in tal modo rimarrebbesenza orientamento. La tecnica, presa in se stessa, è ambivalente. Se da unlato, oggi, vi è chi propende ad affidarle interamente detto processo di

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Scritture brevi e nuove tecnologie digitali78

sviluppo, dall’altro si assiste all’insorgenza di ideologie che negano in totol’utilità stessa dello sviluppo, ritenuto radicalmente antiumano e portatoresolo di degradazione». Ma questa attenzione antropologia sui rischi dellatecnica che pone la Chiesa non è anti-­‐‑moderna. Sempre nella stessaenciclica il papa afferma infatti che «L’idea di un mondo senza sviluppoesprime sfiducia nell’uomo e in Dio».

Per cogliere il meglio delle tecnologie (digitali) e la loro straordinariapotenzialità trasformativa, bisogna dunque aprire gli occhi anche sui latioscuri di tali tecnologie e incominciare a contrastare fattivamente gli aspettinegativi legati all’informazione digitale, e in particolare l’informazioneeccessiva, l’”inquinamento digitale” e la frammentazione della conoscenza.

La Biblioteca di Alessandria conservava probabilmente 700.000 rotoli dipapiro e pergamena – tutto il sapere del mondo occidentale antico. LaBiblioteca nazionale francese ha invece oltre 400 chilometri di scaffali. Allasua inaugurazione – nel 1997 – erano già presenti 10 milioni di volumi,350.000 periodici, 76.000 microfilm, … Questa moltiplicazione delleinformazioni sta diffondendo sia l’anoressia informativa sia il suospeculare – l’obesità. In entrambi i casi il crescente proliferaredell’informazione riduce la capacità dell’uomo di assimilare in manierasana nuova conoscenza spingendo i giovani a riempirsi in manieraossessiva di informazioni “non nutrienti”. Come ha osservato JoshuaLederberg – riattualizzano un bellissimo verso di Coleridge («Acqua, acquadovunque e neppure una goccia da bere») – «oggi vi è un diluvio diinformazioni generali e una siccità di informazioni specifiche». A ciò siaggiunge lo “sporco digitale”: le tracce che lasciamo sulla rete tendonoprogressivamente a diventare indelebili. I motori di ricerca registrano tutto,ma non esiste un processo condiviso che toglie dalle liste dei motori leinformazioni non più attendibili o invecchiate. Questo bombardamentoinformativo unito al progressivo inquinamento digitale ha indebolito ilsistema immunitario della società rispetto alla “cattiva” informazione.Siamo quindi vittime di una sorta di AIDS (Anti-­‐‑Information DeficiencySyndrome), per usare l’espressione coniata da Giuseppe Longo. Non sitrovano più orientamenti, prescrizioni e regole di selezione nella tradizioneo nella vita istituzionale e si innesca un circolo vizioso squisitamentetecnico che ci trasforma in massa facilmente suggestionabile e indirizzabile.

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Anche la frammentazione dei saperi – in essere da molto tempo marafforzata dalle tecnologie digitali – può diventare preoccupante. Il digitale,infatti, aumenta questa dimensione problematica in quanto il processostesso di digitalizzazione genera frammenti isolati (le singole foto, lesingole pagine di un documento, i record dei database, …). Andrannoquindi studiate specifiche modalità per riconsolidare la progressivaframmentazione dei nostri saperi in unità dotate di senso, ricostruendo lenuove narrazioni digitali. Sarà infatti sempre più importante la(ri)composizione dei frammenti digitali – soprattutto quelli cheprovengono dagli archivi (storici, politici, culturali, televisivi, …) in unitàdi senso narrabili, comprensibili e “intriganti” per le future generazioni. Ilcinema ha dimostrato una capacità strutturale di dare senso/continuità(grazie al montaggio) ai frammenti/fotogrammi. Non è la semplicedigitalizzazione degli archivi che li salverà dall’oblio. È la narrazione cheseleziona i fatti (e quindi contrasta quell’approccio alla storia che richiededi conservare tutto, oggi realisticamente non più applicabile) e li “salva” influssi narrativi. Come ha osservato Gaston Bachelard, «si conserva solo ciòche é stato drammatizzato dal linguaggio». Solo così si assicurerà un futuroalle nostre memorie (digitali e non), proteggendo – tra l’altro – la nostraidentità.

Si devono inoltre utilizzare con molta attenzione e maturità lecosiddette “sirene” di Internet (Wikipedia, i motori di ricerca e i socialnetworking) che da sole non risolvono le carenze individuali e non sipossono sostituire al processo di assorbimento personale della conoscenza,unica garanzia per un reale arricchimento culturale ed emotivodell’individuo. Inoltre con la loro “pretesa autoriale” possono innescaremeccanismi pericolosi. Ad esempio anche strumenti apparentementedemocratici come l’enciclopedia online Wikipedia vanno usati con grandecautela. Il fatto che persone autorevoli come Eco suggeriscano di usarlacome fonte “naturale” per vedere ad esempio la definizione di un terminecontroverso, in quanto la considerano «ottima e documentatissimaenciclopedia on line» può diventare problematico. Le criticità sono oramainote: dati sbagliati, azioni manipolative o di controinformazione esoprattutto il fatto che con Wikipedia prevale la “verificabilità” sulla verità,lo strumento sul fine.

I motori di ricerca, invece, alimentano un altro falso mito: grazie a lorotutto ciò che è presente su Internet si trova; ma ciò non è vero. Basta fare

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una ricerca inserendo una parola mediamente frequente e il motore diricerca individuerà con tutta probabilità diverse centinaia di migliaia difiles che “trattano” dell’argomento (per la verità che contengono la parola).Ora gli utenti tendono a consultare al massimo la prima ventina didocumenti indicati dalla lista. Esiste quindi una deperibilità intrinseca deldato su Internet (se recuperabile solo con i motori di ricerca):l’informazione, man mano che invecchia, perde priorità ed è sempre piùdifficilmente recuperabile.

Infine il social networking è certamente un’area molto promettente chepuò dare corpo al “potere della rete”. Da sola però non basta: se i singolicontributi sono modesti, anche il contributo collettivo è modesto: diconoinfatti gli informatici «garbage in, garbage out». Questi ambienti possonoessere straordinari moltiplicatori di valore, enzimi capaci di accelerare lebuone “reazioni creative”, ma pericolosi se la materia prima non è diqualità.

Il ritorno delle immagini

Non vi possono essere parole senza immagini (Aristotele)

Quando mi prende la paura, invento un'ʹimmagine (Goethe)

L’immagine può essere vista come una forma di brevità e sicuramente ladiffusione della larga banda e dei terminali (e software collegati) pervedere e manipolare immagini a filmati in alta definizione ha riportato alcentro l’importanza delle immagini creando consuetudini che – in qualchemodo – evocano addirittura l’era pre-­‐‑alfabetica, dove le immagini eranol’unica forma non orale per codificare e condividere i saperi collettivi.

Oggi la sfida è dunque studiare modalità efficaci per utilizzare il potereevocativo, narrativo e creativo delle immagini.

È utile ricordare che l’immagine – rispetto al testo – aumenta ilpotenziale espressivo e diventano possibili letture “multiple”. Infatti:

un testo ha un inizio, una fine e un percorso obbligato di lettura;un’immagine no. Inoltre l’immagine può essere ingannevole;

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al contrario delle parole, le immagini visive posseggono una capacità diestensione verbale quasi infinita, in quanto l'ʹosservatore devetrasformarsi a sua volta in narratore;

l’alfabeto visivo possiede anche un valore emozionale; ad esempioKandinsky era solito dire: «la linea orizzontale è fredda e quellaverticale è calda»;

l’analisi delle immagini può consentire una comprensione delprofondo di chi le ha create;

i colori veicolano anche un messaggio subliminare, come intuito peresempio da Goethe nella sua Teoria dei colori o applicato dalla Disneynel film Dick Tracy, dove per esempio il giallo rappresentava il coloredei buoni.

Molti spunti su come utilizzare le immagini per potenziare i processi dicomprensione, ricordo, creatività vengono dal passato. Non solo quando lacultura era pre-­‐‑alfabetica – e l’immagine era lo strumento principe per lacodifica e trasmissione di messaggi e saperi – ma anche quandol’analfabetismo era ancora molto diffuso (si pensi ad esempioall’importanza della Biblia Pauperum) per trasferire al volgo i dettami dellaChiesa cattolica.

Oggi purtroppo l’anoressia culturale (che alcuni chiamanol’analfabetismo di ritorno) non è stata debellata, anzi; ed è purtroppoancora in agguato una vera e propria carestia culturale. Per questo alcuniapprocci “per analfabeti” non hanno perso la loro rilevanza ed efficacia. Illinguista Tullio De Mauro ha infatti osservato: «se prendiamo come buonoquel 40% circa di italiani che dice di navigare su internet, la percentuale dichi usa il web si dimostra paradossalmente di gran lunga superiore a chilegge libri e comunque a chi più in generale sa orientarsi in una societàcontemporanea. Uno studio severo ma proprio per questo interessante dialcuni anni … ha messo in luce che solo un italiano su cinque –praticamente il 20% della popolazione – possieda gli strumenti minimiindispensabili di lettura, scrittura e calcolo …7 italiani su 10 con etàcompresa tra i 15 e i 65 anni sono tagliati fuori dai benefici dell'ʹeconomiadella conoscenza».

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Tornando alle fonti da utilizzare per provare a immaginare l’utilizzodelle immagini nell’era digitale, anche le sperimentazioni delleavanguardie ci possono dare indicazioni sull’uso che ne verrà fatto poi dalgrande pubblico.

Pensiamo ad esempio agli alfabeti visivi inventati da grandi artisti(Serafini, Daumier, …) che hanno anticipato l’uso dei caratteri grafici degliadolescenti nelle chat o le infinite variazioni con cui la parola Google vienerappresentata quando si chiama il famoso motore di ricerca.

Oppure come l’uso visivo dei caratteri e del loro posizionamento“grafico” sul foglio di carta fatti sono stati autentici anticipatori dellacosiddetta Ascii Art.

Le cosiddette parole in libertà, dette anche parolibere, inventate daiFuturisti. Alcune delle più famose (ad esempio Serata in onore di Yvonne diCangiullo o Dune di Marinetti) vennero pubblicate sulla rivista fiorentinaLacerba. In esse il significato continua a predominare sulla lettera. Glieffetti tipografici sono indicazioni per una gesticolazione declamatoria. Essisottolineano ed enfatizzano una sequenza ancora tutta verbale. Unapproccio più estetico a questa volontà di trasformare le frasi in pittura sitrova nei, Calligrammes, prodotti da Guillaume Apollinaire nel 1918. Anchein questo caso le poesie si dinamizzano e il valore dei versi non sta solo inciò che illustrano ma anche come riempiono lo spazio della pagina.Apollinaire diceva a proposito dei suoi calligrammi: «bisogna che la nostraintelligenza si abitui a comprendere in modo sintetico-­‐‑ideogrammaticopiuttosto che in modo analitico-­‐‑discorsivo».

La domanda che si pone è allora: come le immagini intese come formecompresse di conoscenza possano – nella “digisfera” – contribuirefattivamente al processo di apprendimento ei meccanismi di ricordo e distimolo necessari per avviare i meccanismi della creatività.

Apprendere e creare nell’era della Rete

I confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo (LudwigWittgenstein)

L'ʹimmagine ha bisogno della nostra esperienza per destarsi (Elias Canetti)

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La crescita in varietà e complessità di tecnologie e sistemi, la maggioreprofondità di conoscenza del consumatore richiesta per progettare prodottie servizi di successo, la diffusa instabilità dei modelli organizzativiprevalenti e delle regole per avere successo e soprattutto la crescenteimprevedibilità dei fenomeni e dei comportamenti collettivi fa si che ilsapere apprendere e tenersi al passo con i tempi è diventato oggi unimperativo categorico. Il successo di un manager dipende sempre di piùnon tanto da quello che sa già, quanto dall’intensità, dalla rapidità edall’efficacia con cui riesce ad imparare: deve essere quindi in grado digiocare un ruolo attivo nel costruire e gestire lo sviluppo dei propri saperi.Nonostante ciò la stragrande maggioranza delle persone non sa piùimparare. Per questo motivo la Declaration on learning promulgata nel 1988dal Learning Declaration Group ha sancito a chiare lettere che la capacità di“imparare a imparare” e di padroneggiare il processo di apprendimento èla conoscenza critica del prossimo secolo.

Dobbiamo trasformarci da immagazzinatori di fatti in protagonisti diindagini e di discussioni e cioè passare dalla conoscenza-­‐‑racconto allaconoscenza-­‐‑problema. Per questi motivi il metodo (e il “contenitore” dovesi deposita e si organizza la conoscenza appresa) è quasi più importante delcontenuto. Il processo di apprendimento (e il relativo processo di raccoltadella conoscenza) deve essere pertanto costruito in funzione di come noiassorbiamo e riutilizziamo la conoscenza e non solo puntando ad unafacilitazione della produzione dei contenuti. Dobbiamo ridurre l’attenzionequasi esclusiva verso la tecnologia e il suo (spesso solo apparente) poteretaumaturgico e lavorare maggiormente sulle metodologie diapprendimento e sui processi reali di assorbimento e riutilizzo del sapereche ci viene proposto. La vera missione di chi vuole facilitarel’apprendimento è quindi «invitare al significato», per usare una feliceespressione di George Steiner.

In un era caratterizzata dalle immagini, va però recuperato il rapportocon la parola scritta, unendo la forma alfabetica al potere delle immaginicon l’obiettivo di creare una nuova sintesi compositiva che unisca –oltretutto – intelletto ed emozioni.

La potenza del linguaggio è spesso dimenticata. Come affermavaGorgia il sofista, «la parola è un gran dominatore, che con piccolissimocorpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a

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calmare la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e adaumentare la pietà». Inoltre lo scrivere ha un ruolo fondamentalenell’apprendere. Osserva infatti Lothar Baier, autorevole scrittore e criticoletterario tedesco, che «la scrittura non può procedere al ritmo del pensieroe quindi non può rifletterne il corso, ha una velocità sua propria. Ilrallentamento che ne deriva non si limita a frenare il pensiero, ma anzi lomodifica e lo arricchisce, concedendogli il tempo di assorbire, durante ilpercorso, obiezioni e argomentazioni contrarie».

Servono nuovi schemi e nuovi format per supportare l’autenticoapprendimento, il cui scopo non è tanto archiviare ma consentire direcuperare in maniera creativa quanto immagazzinato. Recuperare conaccostamenti coraggiosi suggerimenti inaspettati, creare dei varchi nellanostra memoria poiché – come notava Ungaretti – l’idea creativa (come laparola poetica) «scaturisce dall'ʹabisso».

Per questo va utilizzato anche il potere delle emozioni, che richiedestrumenti narrativi diversi e spesso vede l’immagine come forma dirappresentazione naturale. Come ha osservato Salvatore Natoli in Edipo eGiobbe, «il dolore – al pari di tutte le esperienze estreme (come anche lafelicità) – lacera il linguaggio, si colloca sempre al di sotto o al di sopra diesso» e il processo creativo – quando è radicale – è una esperienza estrema.

La sfida è organizzare il non conosciuto e suggerire nuove correlazioni:«Dimmi come cerchi e ti dirò cosa cerchi» scrisse Wittgenstein nelle sueOsservazioni filosofiche, ribadendo l’importanza degli strumenti di ricerca (emettendoci implicitamente in guardia anche sul loro potere condizionante…).

Le immagini spesso innescano il processo creativo. Einstein affermavache la maggior parte delle sue idee nascevano con l'ʹaiuto di immaginimentali, ancora prima che attraverso un qualche tipo di teorizzazioneverbale o matematica. Anche Italo Calvino ne era convinto: «Quando hocominciato a scrivere storie fantastiche non mi ponevo ancora problemiteorici; l’unica cosa di cui ero sicuro era che all’origine d’ogni mio raccontoc’era un’immagine visuale […] Appena l’immagine è diventata abbastanzanetta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sonole immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il raccontoche esse portano dentro di sé».

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Si possono a questo punto ipotizzare tre possibili direzioni verso cuidovrebbe orientarsi l’apprendimento mediato (e facilitato) dagli strumentidigitali.

Archiviare (classificando) le informazioni in maniera efficiente efacilmente ritrovabile/riutilizzabile

Per il grande regista Konstantin Stanislavskij, nel teatro, le parole deltesto si traducono creativamente in immagini interiori che hanno la doppiafunzione di far ricordare il testo e di tradurlo in immagini corporee vive edefficaci; una vera e propria fisiognomica teatrale, dove le caratteristichefisiche e le qualità morali e psicologiche si traducono immediatamente leune nelle altre. Il poter – grazie alle tecnologie digitali di nuovagenerazione – archiviare immagini, ricercarle in funzione di particolari ocolori oppure usare schemi di archiviazione che si basano sul potere delleimmagini (si pensi ai cosiddetti “luoghi della memoria”) è oggi non solopossibile ma è una grande occasione.

Un caso molto interessante di classificazione della conoscenza è quellaconcepita da Aby Warburg, il grande mecenate fondatore della omonimascuola, per aiutare nella creazione di intuizioni e di «comprensioniinterdisciplinari»: la cosiddetta Biblioteca per le scienze della cultura. Talebiblioteca era organizzata secondo il criterio personale della «legge delbuon vicinato», che non disponeva i libri in sequenze alfabetiche ocronologiche, ma li accostava – «come tessere di un mosaico di cui avevaben chiaro in mente il disegno» in base agli ambiti culturali, tematici, aisignificati intrinseci, e ne modificava continuamente l’ordine con la crescitadella collezione e lo sviluppo delle ricerche. L’obiettivo di questa bibliotecaera strumentale a una specifica convinzione che Warburg nutrivarelativamente al ruolo della memoria. Straordinario – anticipatore dei temidi cui stiamo discutendo e naturalmente collegato alla sua idea diBiblioteca – fu anche il suo «atlante della memoria» (Mnemosyne: serie diimmagini per l’analisi della funzione svolta dai valori espressivi stabiliti

dall’antichità nella rappresentazione della vita in movimento nell’arte europea del

Rinascimento), un’opera «aperta», composta da circa sessanta tavole a lorovolta composte da collage di circa millecinquecento tra foto e immagini.Warburg usava queste tavole per illustrare le proprie conferenze.Osservano Kurt W. Forster e Katia Mazzucco in Introduzione ad Aby

Warburg e all’atlante della memoria, che «il meccanismo di smontaggio e di ri-­‐‑

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assemblaggio dei materiali presenti nelle tavole di Mnemosyne, consente distaccare e ritagliare, letteralmente, i soggetti della ricerca dal contestooriginale non per snaturarli o, peggio, banalizzarli e fraintendere la loroqualità ed essenza ma per valorizzarli in termini nuovi».

Facilitare la condivisione del non codificato e del non strutturato perpotenziare il processo creativo.

Il processo creativo ha bisogno di instabilità, di differenze di potenziale,si nutre di (bio)diversità, di suggestioni, di tracce; per questo motivo leimmagini, i frammenti di conoscenza il “non ancora codificato” sonoessenziali nell’innescare i processi di ricordo e di creatività. La possibilità –grazie alle nuove tecnologie digitali – di codificare non solo numeri, testistrutture definite, ma anche immagini, ambienti immersivi, frammentivocali, e schemi, connessioni, ipertesti, … apre spazi straordinari alprocesso di apprendimento. La sfida è di far convivere i due “mondi” – lastruttura e il disordine, l’emozione e la regola – facilitando le occasioni disintesi che aprono la via all’intuizione e alla creatività e soprattuttoconsentendo una condivisione diffusa con altri per allargare il processocreativo e quindi la sua creatività. La Rete è un grande strumento dicondivisione, ma non basta creare i social network. Bisogna crearemeccanismi per la condivisione non solo dei saperi ma anche delleemozioni per facilitare la generazione di stimoli creativi. Le emozioniportano all’azione, mentre la ragione porta solo a trarre delle conclusioni.Come dice Manfred Kets de Vries dell’Insead: «un grammo di emozionepuò essere più efficace che una tonnellata di fatti».

Costruire ambienti effettivamente centrati sull’apprendimento e non sulsemplice scambio di contenuti culturali o sedicenti educativi. In questocontesto i “siti personali” – spazi web associati a singoli individui e pensatiper essere contenitori di conoscenza ed elementi di racconto della propriaidentità – saranno un elemento chiave. Essi sono un pezzo di noi stessisulla rete; sono un vero e proprio “sé digitale”, elemento centrale nellanuova topologia della mente originatasi dall’interazione dell’uomo con letecnologie digitali (vedi Granelli 2006).

La possibilità di archiviare toglie quella dimensione transitoria tipicadelle prime forme di comunicazione elettronica e consente di memorizzare,ri-­‐‑utilizzare, e ri-­‐‑adattare l’informazione aprendo nuovi spazi espressivi.

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Ma deve esistere un luogo personale di archiviazione, strumentoconoscitivo, che consente di realizzare una vera e propria memoria estesa, acomplemento e integrazione della memoria fisiologica. L’esistenza diquesto sito personale sta progressivamente forzando nuovi comportamenti:la sostanziale differenza dell’avere il sito su un sito Internet e non su unpersonal computer è legata alla accessibilità: se il sito è su Internet si accededa ovunque; se è sul computer di casa, si accede solo da casa – e quindi nonè disponibile in tutti i momenti in cui potrebbe essere utile – e inoltrenessun altro può accedervi, rimanendo una monade inaccessibile.

Andrea Granelli

[email protected]

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Le interiezioni tra scritto e parlato

Francesca M. Dovetto

Abstract

Tra le forme di economia linguistica vanno incluse anche le interiezioni, formelessicali brevi ma olofrastiche, molto frequenti nel parlato, anche se non rare nelloscritto. Si tratta di una categoria normalmente collocata ai margini tra oralità escrittura, particolarmente frequente nel linguaggio fumettistico.In questa sede si presentano alcuni risultati relativi all'ʹanalisi delle interiezionitratte da un corpus costituito da fumetti Disney, e in particolare dalle storie delTopolino.

Parole chiave: interiezione, onomatopea, ideofono, parlato, scritto, fumetto

Among the forms of linguistic economy we also find interjections, shortholophrastic phrases which are very frequent in speech, though also not rare inwriting. This is a category usually located on the edge between speech and writing,particularly frequent in the language of comics.Here we present some results from the analysis of interjections drawn from a corpusconsisting of Disney comics, especially those involving Mickey Mouse from theItalian publication Topolino.

Keywords: interjection, onomatopoeia, ideophone, speech, writing, comics

Shorter and more abrupt forms are more appropriate to certain states ofmind, longer ones to others [Jespersen 1925, 403]

Eh salgo un momento in camera e c vediamo (sono pressoke'ʹ morto...)[sms 24.2.2011, c.vo mio]

1. Introduzione

Tra le forme di economia linguistica «o meglio, psicologica» Spitzerinclude anche le interiezioni (1922/2007, 236-­‐‑237; cfr. anche 229), formelessicali brevi ma olofrastiche, costituite per lo più da monosillabi obisillabi e molto frequenti nel parlato, anche se non rare nello scritto. Si

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tratta di una categoria normalmente collocata ai margini tra oralità escrittura con tendenza prevalente, anche se non esclusiva, per la funzionelinguistica emotiva (Poggi 1981; 1995).

Il fenomeno della 'ʹabbreviazione del linguaggio esterno'ʹ è noto inletteratura. Vygotskij (1934/1998, 365-­‐‑368), ad esempio, ne traccia lecaratteristiche ricorrendo ad esempi celebri, come la silenziosadichiarazione d'ʹamore di Levin a Kitty nell'ʹAnna Karenina di Tolstoj (ivi,366-­‐‑367) o l'ʹattesa alla fermata del tram (ivi, 365) che Gambarara (1999, 103)riprende con queste parole:

Ad esempio, stiamo aspettando l'ʹautobus con un amico. Il primo che lo scorgearrivare dirà all'ʹaltro semplicemente "ʺEccolo"ʺ. Non occorre che dica di più. Puòanche dire "ʺAttento!"ʺ, o "ʺEhi!"ʺ o puntare l'ʹindice verso l'ʹautobus, o sollevare lesopracciglia di colpo, se l'ʹamico lo sta guardando in faccia. [...] Vygotskij usa ilpasso di Anna Karenina e l'ʹesempio dell'ʹautobus per mostrare l'ʹ"ʺabbreviazione"ʺ cheil linguaggio verbale può permettersi dove si ha coincidenza nel linguaggiointeriore degli interlocutori, cioè negli usi non verbali del linguaggio verbale.

Nell'ʹesempio l'ʹehi! di chi attende alla fermata rappresenta un caso, tra itanti possibili, di brevità; l'ʹaltro esempio di abbreviazione linguisticaattraverso l'ʹimpiego di enunciati cosiddetti «per allusione» (Vygotskij1934/1998, 367) è la dichiarazione d'ʹamore di Nikolaj Levin, compostatracciando col gesso sul tavolo da gioco le sole iniziali di parole cherappresentano intere frasi, quelle alle quali è affidata la dichiarazionestessa. Si tratta, in entrambi i casi, della tendenza al «linguaggio abbreviato,a mezza parola» che costituisce «più la regola che l'ʹeccezione» nelloscambio verbale, laddove però quest'ʹultimo avvenga «tra persone chevivono in un contatto psicologico assai grande» (ivi).

Dal punto di vista formale, le interiezioni costituiscono un insieme dielementi lessicali «debolmente inquadrati o non inquadrati nel sistemadella lingua» (De Mauro 2008, 153); esse infatti si riconoscono non soltantoper la loro brevità, ma anche per una certa estraneità all'ʹapparatofonematico e morfologico-­‐‑derivazionale delle lingue1, come è facilmenteevidente nella loro rappresentazione nei sistemi ortografici abituali che può

1 È questo il caso delle cosiddette interiezioni vere e proprie ; restano esclusi invece, da questoinsieme, tutti gli altri elementi lessicali appartenenti alla lingua, tutti comunquepotenzialmente utilizzabili in modo interiettivo (cfr. De Mauro 2008, 152-­‐‑155).

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discostarsi dalle norme delle specifiche lingue utilizzando anche suoniestranei al repertorio fonologico della lingua nella quale vengono prodotte.

In generale, data anche la loro collocazione marginale rispettoall'ʹapparato formale della lingua, le interiezioni non sono state studiatequanto le altre parti del discorso, ma di quell'ʹapparato fanno comunqueparte e, come segnala De Mauro (ivi, 158) «non tenerne conto è un errore».E infatti, benché la loro «precisazione sia del tutto implicita e si affidi, per ilproduttore e per i riceventi, alla evidenza del rapporto con la situazione dienunciazione» (ivi), esse rientrano a pieno diritto in quel materiale che ilplurisemiotico locutore umano si trova innanzi al momento dellaproduzione come della comprensione del percetto e contribuisconopertanto attivamente alla costruzione del senso (ivi, 154-­‐‑155).

Dal punto di vista dell'ʹanalisi fonetica le interiezioni 'ʹvere e proprie'ʹ(come, ad esempio, i segnali d'ʹassenso eh, ah, o di esitazione ehm, mhmh etc.)vengono attribuite alla macroclasse delle disfluenze o esitazionicomprendente fenomeni diversi e differenziati, come pause piene o vuote,ripetizioni, false partenze etc. (cfr. Pettorino&Giannini 2004, 2), tuttifenomeni che occorrono più frequentemente nel parlato informale e chepresentano in genere una notevole variabilità idiosincratica (tanto perfrequenza, quanto per durata), anche in funzione degli stili di parlato.

Benché la collocazione delle interiezioni nella struttura degli enunciatidipenda anche dalla loro funzione (emotiva, fàtica o referenziale), sonopresenti per lo più nelle forme di apertura (con funzione tanto emotivaquanto, soprattutto, fàtica), ma si ritrovano frequentemente anche inposizione interna agli enunciati, sia come pausa emotiva tra l'ʹespressione dicontenuti referenziali, sia come preludio a un contenuto emotivo espressointernamente all'ʹenunciato, sia con mera funzione relazionale, e quindicome veri e propri marcatori discorsivi.

L'ʹistintività e immediatezza tipica di questi brevi elementi lessicali haportato ad attribuire loro, in modi forse un po'ʹ riduttivi, una certa'ʹsommarietà cognitiva'ʹ (Poggi 1995, 411), anche a causa della loro frequenteambiguità. Alcuni di essi infatti possono esprimere sia sorpresa, sia dolore,sia altra, diversa emozione, disambiguata nel parlato per mezzodell’intonazione e nello scritto affidata invece al co-­‐‑testo, ma anche alcontesto, che assumono così un ruolo fondamentale per la corretta

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trasmissione del contenuto emotivo e, ovviamente, anche di quelloreferenziale. Anche la punteggiatura, nel testo scritto, diventa elementofunzionale alla risoluzione dell'ʹambiguità degli elementi interiettivi, comemostra esemplarmente il copione di Uomo e galantuomo di Eduardo deFilippo nella esilarante distinzione tra il no esclamativo, interrogativo econclusivo.

Nello scambio di battute qui sotto riportate, tratte, con qualche liberaimprovvisazione, dalla commedia edoardiana, il protagonista, capocomico,si rivolge al suggeritore e alle due attrici della compagnia facendoriferimento alla redazione scritta del copione e tentando di spiegare loro ladifferenza tra i tre no interiettivi: il primo, che porta dopo di sé il puntoesclamativo (a manic'ʹ 'ʹe martiell'ʹ), il secondo, seguito dal puntointerrogativo (a manic'ʹ 'ʹe 'ʹmbrell'ʹ) e l'ʹultimo dal punto fermo ('ʹa pallina)2.Queste le parole del capocomico:

NO! NOOO...? NO. Tre no, tre intonazioni diverse.NO! ... a manic'ʹ 'ʹe martiell; NOOO...? ... a manica 'ʹe mbrell; NO.punto... pallina

e, a proposito del «No.» interiettivo-­‐‑conclusivo, aggiunge:

Quando hai fatto la pallina non si può più andare avanti, è finita

Come è evidente anche dall'ʹesempio sopra riportato, l'ʹimmediatezzaespressiva delle interiezioni fa sì che siano utilizzate nello scritto per lo piùin quei generi in cui quest'ʹultimo tende a imitare il parlato, e quindiprincipalmente in testi teatrali o in dialoghi inseriti nelle narrazioni, oppurein produzioni scritte tipicamente informali come lettere etc. Le interiezionisono molto frequenti anche nelle scritture dei nuovi media: chat, sms etc.

Interamente affidato al contesto situazionale, invece, è quella parte dicontenuto proposizionale delle interiezioni che precisa «l'ʹevento del mondoimplicato da quello stato mentale» (Poggi 1995, 405). Nella parafrasiarticolata dell'ʹinteriezione questo viene espresso infatti da un elemento

2 La citazione è tratta da una recente reinterpretazione della commedia edoardiana sotto laregia di Armando Pugliese; lo scambio di battute è recitato da Francesco Paolantoni(capocomico), Tonino Taiuti (suggeritore), Antonella Stefanucci (Viola) e la prima attricePatrizia Spinosi (Florance).

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deittico, come ad esempio aha!, che potremmo parafrasare con: 'ʹquesto losapevo bene!'ʹ dove questo si riferisce, evidentemente, a un fatto noto, operché menzionato in precedenza, o perché comunque recuperabile dalcontesto.

Il valore illocutivo dell'ʹinteriezione infine, che permette di distingueretra un'ʹinteriezione di tipo espositivo, esercitivo o richiestivo di azione o didomanda e comportativo, nello scritto è ancora una volta affidato al co-­‐‑testo e, per lo più, alla punteggiatura.

In questa sede si presentano alcuni risultati relativi all'ʹanalisi delleinteriezioni tratte da un corpus costituito da fumetti Disney, e in particolaretratto dalle storie di Topolino, selezionate in un arco di tempo che va dal1930 (e in particolare dal n. 1 di quell'ʹanno) al n. 2811 del 20093.

La scelta di selezionare e analizzare le interiezioni presenti in unfumetto e, in particolare, in un fumetto comico e sofisticato come ilTopolino, si fonda sulla consapevolezza dell'ʹincidenza e del ruolo di questibrevi elementi lessicali nel linguaggio fumettistico, dove infatti abbondanoinsieme a imprecazioni, intercalari, allocutivi, vocativi e segnali discorsiviin genere, veicolando spesso contenuti fondamentali alla narrazione ecomprensione della storia, come il Topolinomostra esemplarmente.

Come ha scritto Rodari, il fumetto va considerato come una sorta distenografia, a partire dalla quale il lettore è in grado poi di risalire al testo,non perdendo di vista i suoni indicati nelle apposite nuvolette, anziafferrandone le sfumature («uno "ʺsquash"ʺ non è uno "ʺscreek"ʺ») eindividuandone la causa. Nei fumetti infatti l'ʹazione, descritta per salti eframmenti, è spesso rappresentata sotto forma di pura sonorità(interiettiva), spesso responsabile anche dei caratteri dei personaggi per lopiù mostrati in azione. Ai 'ʹrumori'ʹ tradizionali, inoltre, si aggiungonospesso, sia nei fumetti comici, sia in quelli più sofisticati, nuove invenzioni

3 Il corpus comprende in particolare ca. 6 storie per annata (60 per decennio), selezionate tra lesole storie del personaggio di Topolino e per un arco di tempo compreso tra il 1930 e il 2009,per un totale di quasi 80 annate e quindi di più di 400 storie. Il corpus è stato raccolto da AnnaMancini (tesi di laurea di vecchio ordinamento in Lettere moderne, L'ʹonomatopea nel«Topolino», relatore F.M. Dovetto, Università degli Studi di Napoli Federico II, a.a. 2009-­‐‑2010).In precedenza due altri corpora sono stati dedicati alla lingua del Topolino: l uno (Mioni 1992) èbasato sullo spoglio dell intero n. 1867 (1991); l altro (Pietrini 2008) comprende 90 storie, ca. 15per decennio, selezionate in un arco di tempo tra il 1954 e il 2006.

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(sonore) che il lettore deve poter decifrare. L'ʹintero corso della storia vaperciò ricostruito sfruttando, insieme al disegno, le didascalie, i dialoghi, icolori e, soprattutto, anche i rumori, combinando poi il tutto assegnandogliun senso (Rodari 1997, 153-­‐‑155).

Le interiezioni selezionate dal corpus costituito dalle storie del Topolinoriguardano essenzialmente le cosiddette 'ʹemozioni primarie'ʹ.

In generale le emozioni, secondo studi recenti di psicologia delleemozioni, psicologia cognitiva, neurofisiologia e psicofisiologia, sonoconsiderate strutture psicologiche complesse comprendenti aspetticognitivi, fisiologici, espressivo-­‐‑motori, motivazionali e soggettivi relativial vissuto dello stato affettivo (Anolli&Ciceri 1992, 167). Le emozioniinoltre svolgono una fondamentale e costante funzione comunicativa, inquanto costituiscono un indicatore utile alla valutazione delle risposteregolative dell'ʹorganismo all'ʹambiente.

L'ʹemozione è dunque un evento che può essere definito multisistemico,relativo infatti a più piani, come quello dell'ʹelaborazione cognitiva, deicomportamenti motori e delle risposte fisiologiche, oltre al piano deiresoconti verbali dell'ʹesperienza soggettiva (cfr. Vallone 2005-­‐‑2006 [2007],23-­‐‑33).

Benché siano sono state proposte teorie delle emozioni non discrete, macomponenziali o dimensionali, che interpretano la variabilità emozionalecome la manifestazione di diversi gradi di intensità collocabili lungo uncontinuum (a partire da Wundt), l'ʹapproccio darwiniano ed evoluzionistaallo studio delle emozioni, che ritiene queste ultime innate e universali, lesuddivide in emozioni primarie (basic emotions, come la paura, la gioia ol'ʹira) e secondarie o complesse derivanti dalla diversa combinazione delleemozioni primarie (ad es. l'ʹansia sarebbe costituita dalla paura combinatacon la vergogna e l'ʹangoscia). Negli anni Settanta Tomkins ha proposto unaclassificazione di otto emozioni fondamentali (sorpresa, interesse, gioia, ira,paura, disgusto, vergogna, angoscia), ridotte a sei da Ekman (sorpresa, felicità,ira, paura, disgusto, tristezza) e infine a cinque negli anni Ottanta da Johnson-­‐‑Laird e Oatley che hanno elaborato una classificazione basataessenzialmente sulle parole che usiamo per parlare delle emozioni stesse(felicità, ira, paura, disgusto, tristezza).

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Più recentemente è emersa una prospettiva ulteriore, che supera tanto ilriduzionismo strutturalista quanto il relativismo culturale e ilcostruzionismo sociale e che concilia, allo stesso tempo, i punti di vistastrutturalista e funzionalista: quest'ʹultima teoria tende a considerare iprocessi emotivi come universali e comunque distinti, pur non negandol’influsso delle componenti culturali e sociali.

Per necessità metodologiche nell'ʹindividuazione e selezione delleemozioni nel fumetto si è preferito far riferimento alle teorie categoriali enon dimensionali, e in particolare alla tassonomia di Ekman che consideratra le emozioni primarie anche la sopresa, una delle emozionimaggiormente presenti nel testo fumettistico.

2. L'ʹanalisi

Come è noto, Topolino debutta in America dapprima nel 1928 con uncortometraggio e quindi come protagonista dei fumetti nel 1930. In ItaliaTopolino arriva sulle pagine dell'ʹIllustrazione del popolo (supplemento dellaGazzetta del popolo) nel 1930; diviene poi pubblicazione autonoma conl'ʹeditore Nerbini verso la fine del 1932 e, successivamente, con la casaeditrice Mondadori, a cui verrà ceduto nel 1935.

La necessità di creare le storie direttamente in Italia, avvertita già sotto ilregime fascista a causa della censura a cui furono sottoposti i modelliamericani4, si fece urgente a guerra finita. A partire dagli anni Cinquanta sisviluppò così una scuola fiorente di autori italiani del Topolino, i quali nontraducevano più le storie americane, ma le producevano essi stessi edirettamente in lingua italiana, con evidenti ripercussioni sulle storie e sullinguaggio del fumetto (Barbieri 2009, 48-­‐‑49).

Non è un caso pertanto che la voce che designa lo sbattere della porta,tradizionalmente rappresentata anche nel fumetto italiano conl'ʹonomatopea slam (dall'ʹinglese to slam 'ʹsbattere, chiudere violentemente'ʹ),venga sostituita dagli autori italiani con sbatt, troncamento da sbattere, o chel'ʹonomatopea relativa allo squillo del telefono resa con ring (dall'ʹingl. to

4 Durante la seconda guerra mondiale non vennero editati i protagonisti americani e ancheTopolino venne sostituito nel 1942 da Tuffolino, un ragazzino con le sue stesse caratteristichecreato da Federico Pedrocchi e Pier Lorenzo De Vita.

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ring 'ʹsuonare, squillare'ʹ) venga presto sostituita dall'ʹonomatopea romanzadrin, successivamente incrociata con ring in dring5.

La storia lessicale di queste forme brevi riflette inoltre la storia deglioggetti concreti, che mutano col mutare dei tempi e delle tecnologie, in unasorta di percorso sul modello Wörter und Sachen, come mostra ad esempiola variabilità della forma linguistica rappresentativa del suono del clacsonche riflette la varietà anche tecnologica dell'ʹoggetto. A questo proposito leforme registrate nel corpus sono infatti di tre diversi tipi lessicali: la formapot pot con le varianti poo pooo, poot, potti, pee pee, peet; la forma tweet(dall'ʹingl. to tweet 'ʹcinguettare'ʹ, voce di origine imitativa), con la variantetwoot; infine, verso la fine degli anni Novanta, si aggiunge anche la formabeep, con la variante bee (dall'ʹingl. to beep 'ʹfare beep'ʹ).

I suoni rappresentati dalle tre onomatopee nella loro varietà rendonobene le diverse tipologie di segnalatori acustici per autovetture, tutticomunemente denominati clacson, dal nome della ditta produttrice delprimo segnalatore acustico elettrico (Klaxon), brevettato agli inizi delNovecento. L'ʹoggetto, messo in commercio dapprima dalla ditta Klaxon, ècostituito da un diaframma metallico azionato da una camma dentatamessa in moto da un motore elettrico che produce un rumore resoonomatopeicamente con la voce ca-­‐‑uu-­‐‑ga oppure ha-­‐‑uu-­‐‑ha6.Precedentemente venivano utilizzate altre tipologie di segnalatori acustici,come ad esempio le campane, o come le sirene, pompe centrifughe ad ariacompressa che potevano regolare la velocità, e quindi il sibilo prodotto,grazie a un sistema di valvole. Il caratteristico suono delle sirene,riprodotto nei fumetti come eeeee, ueee, uhueee, venne però presto limitato,per ovvi motivi, ai soli mezzi di soccorso, così come avviene anche nellestorie del Topolino, dove il suono della sirena annuncia l'ʹarrivo deipompieri o della polizia. Altro dispositivo acustico per autovetture, moltodiffuso prima e dopo l'ʹinvenzione di quello elettrico, è infine la tromba, chepuò utilizzare diverse fonti di energia (aria, gas di scarico, vapore, forzamuscolare etc.) e produrre quindi anche suoni diversi, profondi e

5 Sulle onomatopee nel fumetto, cfr., più estesamente, Dovetto (2012).6 La pubblicità dei primi clacson sottolineava come il nuovo strumento acustico emettesse «unsuono del tutto nuovo, dal carattere molto allarmante, paragonabile ad un ordine a cui siobbedisce d impulso» (<http://museoauto.it/mambo/index2.php?option=content&task=view&id=204&pop=1&page=0>, 21.2.2011).

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prolungati (pooooo), gravi e potenti (pot, potti)7, ma anche stridenti comefischi (tweet), fino a intere melodie8.

Per quanto riguarda invece le interiezioni che esprimono funzioneemotiva (sorpresa, felicità, ira, paura, disgusto, tristezza) nel corpus raccoltoricorrono tutte abbastanza frequentemente, benché le emozioni primariecon più alta occorrenza siano, sin dalle primissime storie del Topolino,sorpresa e ira, per la loro particolare consonanza con i contenuti comicidelle storie narrate nel fumetto. Queste ultime presentano tra l'ʹaltro anchela maggior ricchezza di forme, sia per neoformazioni, sia per numero divarianti rispetto a ciascuna forma base, come mostra ad esempio laricorrenza di forme derivate come ulp, da gulp, o urgle e sgurgle, da gurgle.Tra le neoformazioni ricorrono invece anche delle pseudopolirematiche,come ad esempio urk acc grr, forma interiettiva che rende un'ʹiraparticolarmente intensa attraverso un'ʹintera sequenza di elementi sonoridiversi tra loro e descrittivi dell'ʹevento còlto nella sua ricchezza emotiva.

Complessivamente l'ʹespressione interiettiva della sorpresa nel corpusconta più di 170 forme e varianti (tra cui eh?/eh!/ehi, gasp, gawrssh, glab,glom, gnaf, gosh, guap, gulp, iuf, oh, sgurgle, sob, sput, squeak, toh, uh?/uh!,

uuuhuack, ulp, urgh, urgle, whew etc.), la maggior parte delle quali è diorigine anglosassone e ripropone o un'ʹinteriezione vera e propria (comegosh9, whew), o il derivato da una forma inglese verbale o nominale, comegasp per il 'ʹrespiro affannoso'ʹ da to gasp o sigh per il 'ʹsospiro'ʹ da to sigh.Molto spesso la base inglese è a sua volta di origine onomatopeica (così persob, voce identificativa del 'ʹsinghiozzo'ʹ o per gulp, voce imitativa del

7 A questo proposito è interessante osservare che dal punto di vista acustico i suoni cosiddettigravi corrispondono, fra i suoni vocalici, alle vocali posteriori, e fra i suoni consonantici, alleconsonanti ariticolate nelle regioni periferiche come le labiali e le velari (cfr. Dovetto 2000,283). Inoltre, nella scala (relativa) di forza, le occlusive sorde rappresentano i segmenti dimassima forza (e minima sonorità), mentre la geminazione costituisce un fenomeno dirafforzamento.8 In questo caso l oggetto corrisponde a una pompa elettropneumatica. Sempre nei primidecenni del Novecento si diffuse in Italia anche un clacson elettrico denominato "ʺtenoreelettrico"ʺ il cui suono, assai più gradevole, veniva pubblicizzato con questa parole: «è puregradito ai passanti come un benefattore inapprezzabile. Esso li avverte cortesemente,gentilmente, senza spaventarli. Nessuna protesta, nessuna espressione avversa si haudendolo; nessuno sbalzo disordinato, né cadute pericolose sull orlo dei marciapiedi. Ilpassante, avvisato a tempo debito, si scosta con calma (<http://museoauto.it/mambo/index2.php?option=content&task=view&id=204&pop=1&page=0>, 21.2.2011).9 Cfr. OED (19892, s.v.): «Mincing pronunc. of GOD».

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rumore che si fa deglutendo a vuoto). Non mancano tuttavia le comuniforme interiettive tradizionalmente presenti nel lessico italiano, come eh!,oh!, toh!, uuuh! etc. Queste ultime, riccamente presenti nei primi anni, nelcorso del tempo vengono affiancate da altre forme, rappresentazione dirumori diversi (come gasp!, gawrsh!, gnaf!10, guap!, ulp!) che arricchiscono ilcorpus colorandolo connotativamente.

L'ʹampio subcorpus delle forme interiettive per la sorpresa vieneincrementato anche negli ultimi anni, quando si aggiungono leonomatopee glab e sgurgle (forse da to gurgle 'ʹgorgogliare'ʹ) e qualche glom.Quest'ʹultima forma, probabilmente derivata dall'ʹinglese to gloom 'ʹoscurarsi;aver l'ʹaria scontenta; essere triste, depresso'ʹ11, è particolarmenteinteressante per la sua versatilità e polisemicità. Nel corpus indica infattistati emotivi diversi, come preoccupazione e senso di tristezza sconfinantein agitazione, sconforto, disperazione e paura fino al pianto, ma puòdesignare anche l'ʹeffetto sonoro di eventi fisici come lo schiocco dellelabbra12, il deglutire e l'ʹazione del mordere o mangiare13.

L'ʹira, anche attenuata nelle forme del nervosismo e dell'ʹagitazione cheesprime disappunto, è anch'ʹessa riccamente presente nel corpus sin daglianni Trenta con forme per lo più con antecedente inglese. Rispetto allasorpresa questa emozione presenta tuttavia un più scarso numero di 'ʹtipi'ʹ;infatti, tranne poche eccezioni, viene resa quasi sempre con grrr14 (sin dal1932), o con groan, che indica il gemere, il mormorio di disapprovazione, econ argh, espressione di disgusto o irritazione. Più recentemente ricorronoaltre forme come sgrunt e grunf, umf e snort, identificative di forme d'ʹiraattenuate.

10 L onomatopea gnaf trova in italiano un antecedente lessicale nella forma interiettiva gnaffe,attestata dal XIV secolo, ma con significato asseverativo ( in fede mia, sicuramente ), la cuiorigine è romanza, probabilmente esito di una pronuncia veloce e trascurata del sintagma miafé (cfr. Nocentini 2010, s.v.). In italiano la forma apofonica gniffe gnaffe, identificativa delrumore dello schiaffo, viene utilizzata anche in riferimento a uno smacco ricevuto (cfr. leparole con cui G.B. Marino descrive nel febbraio 1609 l attentato del Murtola: «voleva darmiun gniffe gnaffe e appendermi dietro i tricchi tracchi», Borzelli&Nicolini 1911, 68-­‐‑69).11 Cfr. anche la forma aggettivale correlata glum tetro, accigliato, depresso, triste . A propositodi gloom, glum cfr. anche Jespersen (1925, 401).12 Si tratta tuttavia di un bacio dato alla terra da Topolino appena uscito dall acqua.13 Più difficile il collegamento con la forma colloquiale americana glom ghermire, afferrare .14 Le sole varianti sono costituite dalla diversa iterazione della vibrante, oltre a una formapseudoprefissata che presenta un occlusiva sorda anteposta alla base grr: pgrr.

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La minore ricchezza di forme per la paura trova invece motivazionenella più facile rappresentazione di questa emozione nel fumetto attraversoazioni in qualche modo ad essa collegate, come il battere dei denti (rattlerattle) o il tremito del corpo (brr). Ciò costituisce per altro certamente unfreno alla creatività degli autori che, per la rappresentazione dello statodella mente del parlante rispetto a questa emozione, si limitano per lo piùall'ʹimpiego delle forme della tradizione classica (ehm, oh oh, uhm).Scarsissima è infatti la ricorrenza di altre forme, tra cui si possono peròmenzionare almeno glom e grumf.

Tre sono invece le onomatopee che rendono nel corpus il disgusto: puah15(1951 e 1994), di orgine romanza, pfuì (1951), derivata dal tedesco, e infineargh (1997); mentre la tristezza occorre per lo più nelle forme inglesi, maricorrenti pure in italiano, sigh e sob, oltre al polisemico glom. Anche nelcaso della tristezza va segnalata la presenza nel corpus di interiezioni cheesprimono gradi diversi della stessa emozione, tendenti a denotare formedel dispiacere via via rafforzate fino a confondersi con manifestazioni d'ʹira,per quanto attenuata (sgrunt), e/o di disperazione (glom, groan).

Poco presenti, infine, le interiezioni che esprimono felicità. È possibiletuttavia che ciò trovi motivazione anche nella scarsa riconoscibilità diquesta emozione. Da numerosi lavori di fonetica sperimentale dedicati alriconoscimento delle emozioni emerge infatti che la gioia, unica emozionepositiva tra le emozioni primarie, rappresenta in realtà un'ʹemozione didifficile identificazione e decodifica nelle sue manifestazioni sonore. Più inparticolare questi studi evidenziano la generale tendenza da parte deiparlanti a riconoscere più facilmente le emozioni negative (e in particolaretristezza e rabbia) rispetto a quelle positive (cfr., tra gli altri, Scherer 1981 eBezooyen 1984; cfr. anche Vallone 2005-­‐‑2006 [2007], 64-­‐‑66)16.

15 Questa interiezione, che si fonda su una onomatopea romanza (cfr. fr. pouah, di origineimitativa), è attestata in italiano dal 1882.16 In altri corpora ricorrono le seguenti forme: yippee! yu-­‐‑uuh! e la forma italianizzata uao!(Mioni 1992, 89; Pietrini 2008, 170). Più spesso la felicità viene espressa, piuttosto che permezzo di interiezioni vere e proprie, tramite i lessemi dell italiano viva, evviva, urrà etc., ossiacol ricorso alle cosiddette interiezioni derivate , la cui origine è rintracciabile in voci del lessicodel linguaggio articolato (Poggi 1995, 412-­‐‑413).

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3. Conclusioni

Questa rassegna, per quanto sommaria, consente di mettere in evidenzaalcune caratteristiche comuni alle interiezioni presenti nel fumetto, utili perl'ʹidentificazione della categoria anche in relazione ad altre tipologie dilessemi brevi come, ad esempio, gli ideofoni con cui le interiezioni sonospesso confuse17.

Innanzitutto va evidenziato come né la brevità fonica di questi lessemi,né l'ʹinevitabile approssimazione con cui essi riproducono i suoni esistentiin natura, ostacolino l'ʹattribuzione di senso, «poiché la situazione, laprontezza dell'ʹascoltatore e la mimica apportano un importantecontributo» alla decodifica dell'ʹevento linguistico designato (Spitzer1922/2007, 236). D'ʹaltra parte, proprio l'ʹespressività e la creatività checontraddistinguono queste forme, ne hanno favorito l'ʹimpiego nellinguaggio fumettistico, caratterizzato da una struttura interna «aridondanza ridotta» che tuttavia non pregiudica la decodifica delmessaggio o della sequenza visiva e comunicativa facilitata piuttostodall'ʹovvietà del messaggio trasmesso (Eco 1964, 148-­‐‑149 n).

Per quanto riguarda invece la distinzione tra interiezioni e ideofoni,l'ʹorigine onomatopeica di parte delle interiezioni ha certamente contribuitoalla confusione delle prime con i secondi, tutti invece di origineonomatopeica (Mioni 1992, 88). Alla macroclasse lessicale delleonomatopee appartengono infatti tutti gli ideofoni, ma solo parte delleinteriezioni, oltre ovviamente ai lessemi che hanno perso nel tempo la loronatura iconica diventando in sincronia arbitrari18, nonché alle voci che, nonessendo onomatopeiche in origine, lo sono però diventate nella sensibilitàdei parlanti nel corso del tempo19. Secondo Mioni (1992) i confini traideofoni e interiezioni sarebbero perciò assegnabili piuttosto al rispettivocontenuto semantico, esprimendo, i primi, «l'ʹintenzione puramente

17 A questo proposito cfr., più diffusamente, Dovetto (2012).18 Cfr. ad es., vagito, derivato dal verbo vagire apparentemente non onomatopeico, ma che inrealtà trae origine da una onomatopea morfologizzata già in latino, vagīre [wagire] fare uà(Zamboni 1979, 165).19 Tale è, ad esempio, l it. strappare, derivato dal got. *strappōn tendere fortemente , che è allabase dell onomatopea strap, identificativa del rumore di un tessuto che si lacera, e quindi dellostrappo.

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descrittiva del parlante»20, le seconde invece una funzione«emotiva/conativa/fàtica» (ivi, 87) nella quale si manifesterebbe il lorovalore fondamentalmente illocutivo. Questa distinzione lascia tuttaviaalcune zone d'ʹombra, soprattutto in quanto non considera che anche leinteriezioni possono avere, e di fatto spesso hanno, un ruolo narrativo equindi una funzione referenziale. Gli ideofoni, d'ʹaltra parte, possonoassumere una funzione emotiva/conativa/fàtica preservando il loro ruolonarrativo, come appare chiaramente dal linguaggio giovanile il cui lessico ècosì permeabile a tutti gli usi iconici della sostanza fonica (ad es. è moltofrequente tra i più giovani l'ʹuso di sgrunt olofrastico, narrativo confunzione emotiva, che designa genericamente disappunto e da cui derivatra l'ʹaltro il recente conio della voce verbale sgrunteggiare, descrittivo di unostato d'ʹanimo; cfr. Pietrini 2008, 173)21.

Le caratteristiche evidenziate non sembrano quindi sufficienti atracciare chiari e netti confini tra le due tipologie di lessemi checondividono comunque un discreto numero di particolarità formali, comela semplicità morfologica per mancanza di affissi, anche se a voltepresentano reduplicazione (ad es., eh! eh!; glu glu) e, più spesso, variazionedella vocale (tic tac), oltre alla scarsa aderenza alle regole fonotattiche dellalingua e all'ʹuso tendenzialmente olofrastico.

A tanta incertezza classificatoria, che tende a volte addirittura a fondereuna categoria nell'ʹaltra (cfr. da ultimo Pietrini 2008, 169-­‐‑170), si opponed'ʹaltra parte la chiara percezione dei parlanti che evidentemente assegnanoquesti stessi lessemi a una rigorosa tassonomia22 la cui semantica, nienteaffatto ambigua (ovviamente in contesto), ha fatto pensare anche ad unasorta di universalità dei relativi significati23. Nel fumetto in particolare, tuttigli elementi sopra citati (onomatopee, ideofoni, interiezioni, rumori) si

20 In Mioni (1990, 258) si accenna, tuttavia, anche alla funzione emotiva, oltre che descrittiva,degli ideofoni, definiti come «elementi tutti descrittivi, che solo contestualmente possonotalvolta assumere una qualche forza illocutiva particolare» (ivi, 262). Diversamente Catricalà(2000, 21, con ulteriore bibliografia) considera gli ideofoni suoni che servono a indicare statid animo.21 Sulle incertezze della distinzione tra ideofoni e interiezioni cfr. anche Pietrini (2008, 169-­‐‑170).22 Eco (1964, 146), ad esempio, fa cenno a una «tabella dei rumori, piuttosto rigorosa».23 Nelle lingue al mondo sussistono indizi di alcune ampie corrispondenze tra suono esignificato; non mancano tuttavia anche numerosi esempi contrari (cfr. Crystal 1987/1993, 175).

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accompagnano, di norma, anche a una iconografia a sua volta portatrice disignificato, anch'ʹesso tendente all'ʹuniversalità24.

L'ʹintera macroclasse, ma soprattutto la sottoclasse delle interiezioni, èinfine caratterizzata sia da una notevole variabilità sul piano delsignificante, che trova la sua motivazione nella scarsa standardizzazionegrafica delle forme impiegate, sia, sul piano del significato, da ambiguitàsemantica e polisemicità. Analogamente al linguaggio interno descritto daVygotskij, caratterizzato da brevità del significante e «predicativitàassoluta», queste forme brevi trasmettono il contesto psicologico internodel locutore e la percezione immediata della situazione attraverso latendenza all'ʹabbreviazione. Si tratta infatti di segni il cui «significante che èistintivo [...] o è un espediente occasionale, sfrutta allora, per essereinterpretato, aspetti indicali o iconici» (Gambarara 1999, 105). Ed è proprioin questi termini che ritroviamo, tra l'ʹaltro, gli elementi interiettivi in altreproduzioni letterarie, anche molto distanti dalla comicità, come dallacontemporaneità25. In tutti i casi si tratta della trasmissione di «unafunzione verbale del tutto particolare e originale per struttura e modalità difunzionamento» alla quale questi elementi olofrastici, brevi, mostranochiaramente di appartenere con le loro proprietà enigmatiche, comeabbreviazioni, cortocircuiti ed economie, attraverso il processo, che essiattuano, di «volatilizzazione del linguaggio nel pensiero» (Vygotskij1934/1998, 347)26.

Francesca M. Dovetto

[email protected]

24 Verda (1990, 58) fa riferimento, a questo proposito, alle interpunzioni metaforiche e alleparticolarità della grafia in genere.25 Su occorrenza e ruolo delle interiezioni in diverse tipologie di testi, scritti e parlati, cfr.Dovetto (2010).26 All estremo di questo processo si situano le forme dell endofasia o linguaggio interiore a cuiVygotskij ha dedicato le sue riflessioni. Come sottolinea Bergounioux (2010), raramente lariflessione sul linguaggio si è soffermata sul linguaggio interiore, ad eccezione degli studisulle produzioni linguistiche da parte di pazienti afasici o nevrotici, piuttosto «ramenant laquestion du discours à celle de la parole, l exercise de la parole aux fonctions de la langue etles fonctions de la langue à l exercise d une pensée sans phonologie» (ivi, 20).

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Bibliografia

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Sigle e acronimi: dimensione grafica e statuto lessicale

Lucia di Pace e Rossella Pannain

Abstract

Tra i diversi tipi di formazione per riduzione, dei quali è proposta unaclassificazione basata su un insieme di parametri, anche grafici, e sulle interazionitra questi, le sigle/acronimi presentano una fenomenologia ricca e variata, e diparticolare interesse anche in virtù delle sovrapposizioni con altre categorie, quali leabbreviazioni o le parole macedonia. Il tratto che caratterizza in modo forte lafenomenologia delle sigle è quello della lessicalizzazione, che risulta esserel’inevitabile deriva nel passaggio dalla dimensione scritta a quella propriamentelinguistica. In questo lavoro vengono portate numerose evidenze che testimonianodi questo passaggio a partire da indizi di natura grafica fino ad altri di naturafonica, morfosintattica e semantica. Infine, le sigle/acronimi sono il risultato di unprocesso di formazione delle parole su base non morfologica, nel quale si manifestain maniera saliente il dinamismo nel rapporto lingua-­‐‑scrittura.

Parole chiave: sigle/acronimi, riduzione, formazione delle parole, lessicalizzazione,scrittura

The study, primarily focused on acronyms and initialisms, first of all addresses theissue of definition and classification of different types of non-­‐‑morphological wordformation processes by reduction. The proposed classification, which takesprevious most relevant taxonomies into account, is aimed at highlighting, amongother classificatory parameters, those which reveal the complex interaction ofgraphic vs. (spoken-­‐‑)linguistic factors in the genesis of formations by reduction. Infact, initialisms and acronyms represent the one area within reduction in which thedynamic interaction of spoken and written language can best be appreciated.Moreover the category of initialisms and acronyms, which includes cases of partialoverlap with other types of formation by reduction, displays a particularly rich,varied and productive phenomenology. Finally, a salient feature of this category isits tendency towards lexicalization, entailing a transfer from the graphic to thespoken dimension, which in turn implies formal modifications also affecting theinitial graphic coding of the forms. In the study, indexes of lexicalization areidentified and analyzed at the graphic, phonetic, morphosyntactic and semanticlevel.

Keywords: acronyms/initialisms, reduction, word formation, lexicalization, writing

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1. Aspetti definitori e terminologici

Le sigle e gli acronimi sono entità linguistiche che rientrano nella vastaarea della “riduzione”1, nella quale è possibile collocare diverse altremanifestazioni: abbreviazioni, simboli, accorciamenti e parole macedonia2.La definizione e classificazione di tali diverse entità, con i rispettivi tratti,comuni e idiosincratici, sono caratterizzate, in letteratura, da un elevatogrado di incertezza, cui corrisponde una notevole approssimazioneterminologica.

Non si intende in questa sede affrontare la questione, che meriterebbeuno studio dedicato, ma, in fase introduttiva, non si può tralasciare deltutto qualche accenno a questo aspetto. L’incertezza definitoria eterminologica è estesa e trasversale ed è infatti ravvisabile su molteplicilivelli: a) tra le diverse comunità di studiosi; b) tra le diverse scuole dipensiero all’interno di una stessa tradizione linguistica; c) in uno stessoautore.

Che non esista condivisione tra le diverse tradizioni di linguisti lo sirileva quando si constata che l’insieme delle entità sopra menzionate viene,di volta in volta, segmentato in modo differente: mentre, per portareun’esemplificazione, la maggior parte degli studiosi italiani individual’ampia categoria delle sigle (che solo alcuni distinguono dagli acronimi),nella letteratura in lingua inglese troviamo prevalentemente acronyms (ades. in Kreidler 2000), accanto ad ulteriori categorie come gliinitialisms/alphabetisms (Bauer 1983, Crystal 2006). Nella tradizione italianauna sigla è tanto quella pronunciata come parola, come è il caso ad es. diFIAT (solo questo sarebbe un acronym), quanto quella pronunciata letteraper lettera, come è il caso di CGIL (un initialism o alphabetism per gli inglesi).Alcuni, infine (ad es. Fandrych 2008), definiscono acronyms solo le sigle conpronuncia ortoepica, opponendole non agli initialisms ma alle abbreviations,pronunciate lettera per lettera, altri ancora usano abbreviation comesinonimo di acronym (Dressler 1987, Bussmann 1996). Tutto ciò, come èevidente, comporta peraltro grosse difficoltà nello stabilire equivalenzetraduttive. Andando oltre il confronto tra l’inglese e l’italiano, troviamo ad

1 Dressler (1987, 105-­‐‑107), facendo riferimento a Mayerthaler (1981, 110), colloca questafenomenologia nella categoria della morfologia sottrattiva, che egli pone all’estremo inferioredi un continuum di naturalezza nei processi morfologici.2 Su questi diversi fenomeni si è sviluppata una ricca letteratura, in particolare concernente lalingua inglese che manifesta una marcata tendenza in questa direzione.

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Sigle e acronimi: dimensione grafica e statuto lessicale110

es. che in tedesco il termine Abkürzung viene utilizzato per indicare sia ciòche gli inglesi definiscono acronyms, sia ciò che noi definiamo abbreviazioni.

Ma l’oscillazione terminologica non si ferma al riscontrointerlinguistico; si rileva, come anticipato, anche all’interno della stessacomunità linguistica. Nella tradizione italiana è affermato l’uso di sigla(Thornton 2004), mentre acronimo è considerato nella maggior parte dei casiuna sorta di sinonimo3, sia nei dizionari della lingua italiana (Devoto-­‐‑Oli,Zingarelli, DISC, Gabrielli), sia nei dizionari di linguistica (ad es. inBeccaria 1996). Tuttavia, si segnala che alcuni, come De Mauro (2003),appaiono distinguere tra acronimo e sigla, attribuendo solo al primo lostatuto di parola e rispecchiando, in questo senso, la distinzione presente inlingua inglese tra acronyms e initialisms:

acronimo s.m. TS. ling. [1950; comp. di acro– e –onimo] nome costituito da una o piùlettere iniziali di altre parole (per es. radar, dall'ʹingl. radio detection and ranging)

sigla s.f. AD. [av. 1750; dal lat. tardo sǐgla pl., forse forma contratta di singula sott.signa "ʺ(segni) singoli"ʺ] 1 la lettera o le lettere iniziali di una o più parole usateconvenzionalmente come abbreviazione al posto della denominazione per esteso:ACI è la s. dell'ʹAutomobile Club d'ʹItalia

Sembrerebbe dunque chiara la contrapposizione tra un nome e un “nonnome” (la lettera o le lettere …); eppure, a conferma ulterioredell’incertezza definitoria, leggiamo che lo stesso dizionario, altrove,considera le sigle come nomi:

Sono state considerate sigle tutte quelle abbreviazioni che vengono comunementeusate come nomi propri preceduti dall’articolo (De Mauro 2003, Introduzione xxxix).

Inoltre, nel GRADIT emerge chiaramente come solo alcune siglevengano trattate come nomi, comportando ad esempio l’indicazione ditratti morfologici, a differenza di altre, pur sempre sigle, che sembranosottrarsi a tali condizioni. Si veda la contrapposizione nel trattamento didue sigle, entrambe pronunciate lettera per lettera, entrambe prestitidall’inglese, ma solo la seconda definita come “sostantivo”:

3 Talora, un sinonimo dotto, ad es. nel dizionario Treccani alla voce acronimo si legge: “ècomunem. detto sigla, rispetto a cui ha sign. più ristretto…” . Paradossalmente, negli ultimianni, si è verificata una diffusione di “acronimo” nell’uso comune, non specialistico.

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FBI sigla ES. ingl. Federal Bureau of Investigation, ufficio federale investigativo, nomedel corpo di polizia federale degli Stati Uniti.

DNA s.m.inv. TS biochim. [1970; propr. sigla dell'ʹingl. Deoxyribo Nucleic Acid "ʺacidodesossiribonucleico"ʺ]

Questo insieme di considerazioni fa sì che in questo lavoro non siporranno in opposizione i termini acronimo e sigla, che verranno di fattoconsiderati in modo congiunto, sebbene dei due verrà prevalentementeusato il secondo, di fatto più diffuso.

Infine, si può segnalare ancora l’incertezza nell’estensione dellacategoria “acronimo”, che riflette probabilmente la complessiva sfumatezzadella fenomenologia, la quale presenta zone di sovrapposizione (López Rúa2006, 675) anche, ad es., tra abbreviazioni e sigle, abbreviazioni eaccorciamenti, sigle e accorciamenti4.

Se, dunque, nel vocabolario TRECCANI, al lemma acronimo si registraun’ampia sovrapposizione con il termine sigla, desta sorpresa che, inchiusura, la categoria venga allargata ad includere forme che sonochiaramente “parole macedonia”:

per estensione si chiamano acronimi anche i nomi formati con le sillabe estreme didue parole, come per es. motel, formata da mo(to-­‐‑) e (ho)tel.

2. Possibile classificazione

Le problematiche terminologiche e definitorie appena esaminate,spingono a tentare una classificazione dei fenomeni di riduzione che,tenendo conto di precedenti tassonomie5, miri, nell’esame dei parametri edelle loro sinergie, ad assegnare il giusto rilievo all’interazione tra ladimensione grafica e quella orale.

I parametri ritenuti pertinenti sono i seguenti:

a) forma piena sottostante costituita da una vs. più parole;

b) origine nella dimensione scritta vs. orale;

4 Su questo aspetto si veda più avanti il par. 2.1.5 Resta fondamentale il pionieristico lavoro di Algeo 1975, cui fa riferimento ad esempioThornton 2004. Si veda anche López Rúa 2006.

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c) uso scritto vs. orale;

d) sistematicità vs. marginalità/assenza della puntazione;

e) uso di maiuscole vs. minuscole nella grafia della forma ridotta;

f) modalità di lettura (lettera per lettera, come forma di parola, tramitela forma piena sottostante);

g) grado di riduzione del materiale fonico/grafico della forma pienasottostante.

Sulla base della combinazione e interazione di questi parametri èpossibile raccogliere e classificare la varietà dei fenomeni di riduzione inquattro categorie fondamentali:

1. Abbreviazioni. Le abbreviazioni rimandano ad una forma sottostanteche è tendenzialmente costituita da una sola parola; si originano nelladimensione scritta, nella quale tendono a rimanere confinate nell’uso. Lacondizione di forma scritta è confermata, da un lato, dall’indice graficocostituito dalla presenza e persistenza della puntazione, dall’altro, dal fattoche nella lettura si tende a sostituire l’abbreviazione con la forma pienasottostante (come nel caso di Sig./sig. letto come /siɲ’ɲore/. Il grado diriduzione della forma piena oscilla dal grado massimo, che risulta nellaconservazione della sola iniziale di parola6, a riduzioni minori come nelcaso, ad esempio, di pagina abbreviato come: p./pg./pag. In quest’ultimocaso, è interessante notare come, nel plurale, pp./pagg., l’incremento datodal raddoppiamento grafico di natura iconica non vada a recuperareulteriore materiale dalla forma estesa sottostante. Nelle abbreviazioni,prevale l’uso del carattere minuscolo tranne nei casi in cui la formasottostante sia per convenzione scritta con la maiuscola come per es. S.Antonio per Sant’Antonio.

2. Sigle e/o acronimi. Le sigle rimandano ad una forma sottostantecostituita da più parole (PD da Partito Democratico) o da parola complessa le

6 I simboli, come quelli chimici e matematici, possono essere considerati un caso estremo diabbreviazioni. Infatti, come queste, non vengono letti mai come tali, ma rimandano semprealla forma estesa; questa condizione è particolarmente evidente nei casi in cui il simbolo nonha alcuna affinità con la forma pronunciata, come accade ad esempio per il simbolo K che staper “potassio” (dal nome latino kalium).

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cui componenti vengono riconosciute come entità autonome (TV pertelevisione). Si originano nella dimensione scritta, ma possono acquisireampia diffusione nel parlato; la puntazione non è sistematica, né lo è l’usodelle maiuscole (I.N.P.S. / INPS / Inps) e la tendenza è comunque, neltempo, verso la perdita di entrambe le marche grafiche (S.p.A. → spa). Siriscontra tutto il ventaglio delle possibili modalità di lettura: pronuncialettera per lettera (Idv , Italia dei valori), come forma di parola (USA/Usa), o,molto più raramente, tramite la forma piena sottostante (IC da Inter City,pronunciato sempre come /inter'ʹsiti/), modalità tipica delle abbreviazioni.Inoltre, vi sono casi in cui si rileva un’alternanza tra le prime due modalitàdi pronuncia, come nel caso di Aids, letto tuttora anche come /aiddi'ʹɛsse/.Per quanto concerne il grado di riduzione rispetto alla forma pienasottostante, esso è tendenzialmente massimo: viene conservata solol’iniziale delle singole componenti7. Non è rara l’omissione di alcuneparole, funzionali (CNEL per Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro;IsIAO , Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente), ma non solo (I.S.M.E.O./IsMEO con la cancellazione anche della seconda parola piena delsintagma: Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente). Peraltro, gli ultimidue esempi mostrano, nella prima parola del sintagma, un grado diriduzione minore.

3. Accorciamenti. Partono da un’unica parola, si originano nel parlato,ma possono essere trasferiti nello scritto (tipicamente in registricaratterizzati da un grado ridotto di formalità). La nascita nella dimensioneorale comporta la sistematica mancanza di puntazione, mentre laprovenienza da un’unica parola determina l’assenza del ricorso all’usodella marca grafica rappresentata dalla maiuscola. La riduzione puòricalcare la segmentazione morfologica e quindi lasciare come residuo unintero morfema (es. moto da motocicletta), oppure risultare in un’entità chenon corrisponde ad un’effettiva componente morfologica della forma dibase (es. bici da bicicletta).

4. Parole macedonia. Come nel caso delle sigle, prendono le mosse daun sintagma sottostante, che però in questo caso è prototipicamentecostituito da solo due parole piene. Si originano nello scritto, ma possonoessere accolte nel parlato, anche al di fuori dell’eventuale ambito settorialein cui nascono, come ad es. polfer (Polizia Ferroviaria). Sono assenti tanto la

7 Tranne nel caso delle cosiddette sigle sillabiche, su cui si veda più avanti.

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puntazione quanto l’impiego di maiuscole, segnalatori del processo diriduzione, il che indizia la volontà di creare un’unica parola. In italiano ilprocesso è molto meno produttivo che in inglese, lingua da cui sono giuntecome prestito parole come motel e smog che, infatti, vengono generalmentepercepite dai parlanti italiani come forme compatte. Il processo diriduzione, che ha risultati quantitativamente e qualitativamente variabili(potendo anche lasciare intatta una delle componenti, es. Federconsorzi), ècomunque contenuto; questo tratto, con tutta probabilità, riflette un’istanzadi preservazione della riconoscibilità delle componenti.

2.1. Sfumatezza e sovrapposizione della fenomenologia

La classificazione appena proposta, più che identificare categorie daiconfini netti, vuole segnalare quelli che, si ritiene, costituiscano i quattrofondamentali poli di gravitazione di una fenomenologia che si presenta,anche, come continua e sfumata. Infatti, non rari sono i casi di forme ridotteche si collocano in una zona di sovrapposizione tra due delle categoriesopra individuate.

Ad esempio, tra le abbreviazioni, di cui sopra si è sottolineatal’appartenenza esclusiva alla dimensione scritta, figura un elemento, di usopiuttosto frequente, Prof./prof., cui corrisponde nella categoria degliaccorciamenti, quindi con statuto primariamente orale, una formacolloquiale/giovanile anch’essa di uso relativamente frequente, prof, ancheal femminile, la prof8. Le due forme si manifestano in dimensioni e registridistinti; tuttavia è verosimile che il risultato dell’istanza graficadell’abbreviazione abbia innescato, o per lo meno rinforzato, il processo diaccorciamento che ha portato alla creazione dell’elemento appartenente alparlato.

Una sovrapposizione tra la categoria delle abbreviazioni e quella dellesigle si riscontra nel caso dell’elemento IC, che, come le abbreviazioni,viene pronunciato esclusivamente tramite la forma piena sottostante/inter'ʹsiti/, ma condivide con le sigle l’origine da una forma complessa, lamarca grafica della maiuscola per l’iniziale di ogni parola del sintagmasottostante e l’assenza della puntazione.

8 Cfr. Thornton 2004, 565.

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Si segnalano, inoltre, forme miste che, pur manifestando tratti tipicidelle sigle, mostrano aspetti che potrebbero farle rientrare nelle ulterioricategorie degli accorciamenti e delle parole macedonia. Ad esempio, Udeur(Unione dei democratici europei) che è, per la parte iniziale, collocabile nellacategoria delle sigle (in cui per lo più confluiscono le forme ridotte deinomi di partiti politici), manifesta nella seconda metà un processo diaccorciamento, -­‐‑eur. Particolarmente problematica è la classificazione diforme come Ascom (Associazione Commercianti), in cui la parzialità dellariduzione concerne entrambi i lessemi sottostanti, ponendo la forma alconfine tra sigle e parole macedonia. Graffi&Scalise (2002, 153) laclassificano tra le “sigle sillabiche”, mentre collocano polfer tra le parolemacedonia. In ogni caso quella di “sigla sillabica” è una sotto-­‐‑categorizzazione insidiosa e non da tutti condivisa, di frequente applicata aforme in cui «appaiono porzioni di parole base maggiori di una lettera maminori o maggiori di una sillaba» (Thornton 2004, 560).

L’incertezza classificatoria, su cui ci si è già soffermati, emerge anchenella problematicità della collocazione di una forma come palasport (palazzodello sport) che Thornton (2004, 561) inserisce nella categoria degliaccorciamenti, laddove sarebbe forse più opportuno ricondurla a quelladelle parole macedonia.

La parziale sovrapposizione delle categorie si riscontra anche in alcuniusi metalinguistici. È il caso delle sigle usate dai generativisti, che possonoessere lette anche nella modalità tipica delle abbreviazioni, comedimostrato dall’oscillazione nell’uso dell’articolo. La cosa è tanto piùsorprendente dal momento che le diverse occorrenze si registrano in unostesso autore a breve distanza:

“Occupiamoci ora dell’altro oggetto sintattico contenuto in (79), il SN quell’uomo”(Graffi 2008, 75)

“come complementi dei nomi e degli aggettivi in frasi corrispondenti a (12) e (13) siavrebbero degli SN, non degli SP» (ibidem, 81).

Nella prima occorrenza la selezione dell’articolo indizia una pronunciaper esteso, mentre, nella seconda, evidenzia una pronuncia come sigla/'ʹɛsse 'ʹɛnne/.

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Infine, ad ulteriore conferma della sfumatezza delle categorie dellariduzione si può menzionare il caso di tbc/TBC che è propriamenteun’abbreviazione del termine tubercolosi, ma viene percepito come sigla,circostanza che ha, tra l’altro, determinato l’impiego delle maiuscole. In DeMauro (2003) l’elemento è classificato, appunto, come sigla:

tbc /tibbit'ʹtʃi/ s.m. e f.inv. CO, TS med., vet. [1961; propr. sigla di

tubercolosi] 1 s.f.inv. BU tubercolosi 2 s.m. e f.inv. malato ditubercolosi, tubercolotico.

TBC /tibbit'ʹtʃi/ s.m. e f.inv., var.→ tbc.

3. Focalizzazione su sigle e/o acronimi

In questo contributo l’attenzione verrà focalizzata sulla fenomenologiarelativa alle sigle: è proprio nel caso di queste entità che si può megliocogliere il rapporto dinamico tra scrittura e lingua. Le sigle si originanocome fenomeno grafico in base alla duplice istanza di creare una forma, dauna parte, economica, dall’altra, maggiormente capace di attrarrel’attenzione del lettore, attraverso la marcatezza delle maiuscole e dellapuntazione (non a caso, le sigle hanno un elevato grado di occorrenza neititoli di articoli giornalistici). Successivamente, queste entità, proprio invirtù della loro salienza e della dimensione ridotta rispetto a quella delsintagma sottostante -­‐‑ quindi già più vicina a quella di una “parola”-­‐‑vanno a riversarsi nel parlato, dando l’avvio ad un processo di integrazionenel lessico della lingua, cui segue un rientro nella dimensione grafica inuna veste modificata che registra gli effetti di tale processo. Questocomplesso dinamismo bi-­‐‑direzionale non si manifesta, ad avviso di chiscrive, nelle altre tipologie della riduzione.

Un’ulteriore motivazione a concentrarsi sulle sigle è costituita dal fattoche esse emergono da forme piene molto articolate, cosa che non avvienenegli altri casi di riduzione, neppure in quello delle parole macedonia, cuisottostanno in genere non più di due parole. La complessità delle formepiene ha come risvolto una complessità e anche una varianza nellafenomenologia di questo tipo di riduzione.

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Infine, la creazione di sigle è senz’altro un processo particolarmenteproduttivo, andando a costituire una non trascurabile risorsa per laformazione di nuove parole.

3.1. Tendenza alla lessicalizzazione

Una fase cruciale nel complesso dinamismo tra scrittura e lingua nelcaso delle sigle/acronimi è costituita dall’innescarsi di un processo dilessicalizzazione9, tramite il quale queste entità, che per certi versi sonoformazioni anomale, asistematiche, vanno ad acquisire uno statutostandard, diventando parole a pieno titolo. Questa pulsione normalizzantepuò manifestarsi a valle come a monte del processo: da una parte, le sigletendono nell’evoluzione linguistica ad acquisire lo status di parola,dall’altra, possono essere concepite nel loro stesso momento di fondazionecome possibili parole.

Nel primo caso si verifica un processo per cui ciò che è anomalo,immotivato tende a riacquistare motivazione, integrandosi nel sistema.Infatti, se le parole macedonia si conservano piuttosto trasparenti nella loroformazione, giacché, almeno in alcuni casi, è possibile riconoscerne glielementi costitutivi che si presentano con una certa quantità di significante,le sigle, essendo fatte delle sole iniziali delle parole formanti il sintagmasottostante, sfuggono molto spesso alla consapevolezza del parlante che,per così dire, non è in grado di “etimologizzarle”, cioè di scioglierle10.Questo è dovuto anche al fatto che molto spesso le sigle si originano incontesti settoriali e tecnici cosicché, sebbene possano conquistare unagrandissima diffusione, restano opache nella loro originaria significazione.Ciò è tanto più vero nei casi, molto frequenti, di sigle di origine alloglotta.Quanti italiani sono in grado di riportare la sigla Aids al sintagmasottostante (Acquired Immuno–Deficiency Syndrome)? Eppure tutti sono ingrado di riconoscerne la designazione, che è assolutamente unitaria,piuttosto che la somma delle designazioni delle singole parole costituenti ilsintagma. Ciò porta a considerare la sigla più che come un indizio dimolteplici segni, come un segno compatto e unitario. Ecco che, laddove

9 Su questo si veda, tra gli altri, López Rúa 2006, 677.10 Non è un caso che tra le sigle siano tutt’altro che rari i casi di omofonia, un fenomenoperaltro piuttosto ridotto nel resto del lessico di una lingua come l’italiano o l’inglese. A unastessa sigla possono soggiacere più forme piene: la sequenza PC sta tanto per “personalcomputer” quanto per “politically correct”.

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siano presenti più modalità di lettura (lettera per lettera/come parola), puòaccadere di assistere al prevalere e consolidarsi della pronuncia ortoepica:non più, o per lo meno non solo, /ajdi'ʹɛsse/ ma piuttosto, /'ʹajds/, o /'ʹejds/per coloro che vogliono manifestare la consapevolezza dell’origine inglese.Anche a livello grafico si assiste all’alternanza tra AIDS, che conserva laforma canonica della sigla, e Aids/aids, che ha forma tipica di parola.

D’altra parte, il distacco dal sintagma sottostante, certamente più fortenei casi di sigle che sono di fatto dei prestiti, si riscontra agevolmente ancheall’interno della stessa comunità linguistica nella quale si è generata laforma: un anglofono con cultura media non è in grado di sciogliere la siglalaser (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation), anzi, non ènemmeno consapevole che si tratti di una sigla; per molti italiani l’Inps èun’entità molto chiara, anche per coloro che non sono in grado di leggere lasigla nelle sue componenti (Istituto nazionale della previdenza sociale) e che inmolti casi attribuiranno alla p il valore di “pensione”, piuttosto che di“previdenza”.

Se, dunque, la sigla tende a diventare parola è pur vero che, al poloopposto del processo, quello della genesi, essa già aspiri ad essere tale: inquesta direzione si verifica un allontanamento dal sintagma di base, alloscopo di un adeguamento fonologico e/o semantico ad una forma esistenteo possibile di parola. Ciò spiega perché in alcune formazioni di sigle nonvengano omesse le parole funzionali, che generalmente sono soppresse,come si verifica nel caso di AGESCI ( Associazione Guide e Scouts CattoliciItaliani), in cui la conservazione del connettivo e rende possibile una formadi parola italiana, e dà conto del perché si verifichino alcune inversionidell’ordine delle parole, come accade con l’acronimo RAD ( Regolamentodidattico d’ateneo) in cui il nesso consonantico [rd] sarebbe stato impossibilein inizio di parola.

In altri casi, infine, gioca anche l’associazione semantica con una parolaesistente, come nella formazione DICO ( Diritti e doveri delle persone

stabilmente conviventi).

Il fatto che le sigle/acronimi siano così fortemente attirati dal nucleoparola, determina un altro fenomeno, in cui si verifica un processo didirezionalità opposta: l’attribuzione dello statuto di sigla ad una parola,con conseguenti possibili e varie interpretazioni. In questi casi, si parla di

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“backronyns”11 o “reverse acronyms” (in italiano “falsi acronimi”). Unesempio classico è quello dell’indice APGAR che misura alcuni parametridi vitalità e funzionamento delle attività del neonato. Apgar è il nome delladottoressa che lo ideò, ma è stato successivamente interpretato comeacronimo di appearance, pulse, grimace, activity, respiration.

La lessicalizzazione è dunque una tendenza consolidata nella storiadelle sigle, confermata dalla presenza del processo contrario, e suggerita danumerosi indizi che investono sia il piano squisitamente grafico, sia quellodella resa orale, sia quello morfologico, che quello semantico.

3.2 Indizi di lessicalizzazione: grafia e pronuncia

Alcune modificazioni nella forma scritta delle sigle suggeriscono inmodo chiaro l’instaurarsi del processo di spostamento verso l’entità“parola”; tra queste, è altamente indiziale la sostituzione delle letteremaiuscole con le corrispondenti minuscole e la frequente cancellazionedella puntazione che si accompagna al primo mutamento. Ecco dunque chela sigla C.T., che in modo palese ricorda come la C. e la T. siano le iniziali didue parole (Commissario Tecnico), diventa CT, e con una deriva sempre piùopacizzante ct12.

Questo processo si riconosce in numerose sigle come, ad esempio, D.J.→ DJ/ Dj / dj , T.G.→ TG/ Tg /tg, C.D.→ CD / Cd / cd , S.p.A.13→ spa.

Ma ancora più significativa è la tendenza a riscrivere le siglepronunciate lettera per lettera con la sequenza dei nomi delle singolelettere, che vengono così a formare una parola del tutto nuova. È questo ilcaso di sigle come BR che dà vita alla parola Bierre/bierre14, o PM che generaun sempre più frequente piemme15. Un ulteriore tratto che sottolinea il

11 Backronym è a sua volta una parola macedonia nata dalla fusione di backward e acronym.12 "ʺIl problema del movimento italiano non è il c.t. della Nazionale”(http://www.gazzetta.it/Sport_Vari/Rugby);“Sulle tracce di Prandelli: la fotostoria del nuovo ct azzurro”(http://sport.sky.it/sport/calcio_italiano/photogallery/2010/07).13 Nel caso di S.p.A. � spa il venir meno della distinzione tra parole funzionali e parole pieneattraverso l’opposizione minuscola/maiuscola dimostra ulteriormente l’allontanamento dalsintagma di base.14 “Le Bierre lo hanno capito da un pezzo e si sono mobilitate.”(http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp).15 “… mi ero fatto l’idea di un piemme vendicativo”.

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distacco dalla forma tipica di sigla è, oltre al processo appena illustrato,l’indicazione dell’accento. La già citata sigla C.T. evolve in una nuovagrafia, con tutto il corredo dei tratti tipici della parola, compreso l’accento:cittì 16. Similmente, TG diventa tigì (o tiggì)17, TV genera tivvù / tivvì18 .

Questo tipo di riscrittura, che tiene conto della pronuncia, dà luogo adiverse soluzioni per le sigle di prestito, in quanto può riflettere le diversepronunce, adattate e non. Nel primo caso assistiamo dunque ad unprocesso per il quale la grafia della sigla riflette il modo in cui questa vienepronunciata secondo le regole dell’italiano: PR19 (public relations) vieneriscritto come pi erre o pierre20, LP (Long playing) dà vita a diverse formecome ellepi, ellepì21, elleppì22. La sigla KO (knock out), infine, genera molteplicigrafie di parola che presentano gradi diversi di adattamento grafico, purregistrando, comunque, una pronuncia adattata: kappao23, kappaò24, e perfinocappaò25.

http://lecronachediferdinandoterlizzi.blogspot.com/2010/03/ ).16 “…ultimo atto di un cittì che fino a quel momento aveva zittito tutti quanti come se avessein tasca la formula magica” (http://lettera22punto0.wordpress.com/2010/06/26/).17 “…il promotore del tigì, che ha spiegato i temi trattati nell ultima settimana da giunta econsiglio regionali” (http://milano.repubblica.it/multimedia/home/11222263 ).18 “… le nuove solitudini contemporanee alimentate dallo schermo di una tivvù o uncomputer…”(http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/06/12/news/gli_attori_della_saga_twilight_in_un_albergo_di_casoria).19 A sottolineare l’ambiguità e quindi la potenziale omonimia delle sigle, c’è da notare che PRpuò essere anche sigla di un sintagma italiano che, a seconda dei contesti, starà per Procuratoredella Repubblica o Piano Regolatore, o altro ancora.20 “per essere dei bravi pierre ci vogliono intraprendenza nel conoscere nuove persone ecapacità di socializzare” (http://www.diventapr.com/).21 “Ho appena comprato l’ellepì del Rocky Horror Picture Show, acquistato insieme a unameravigliosa doppia raccolta in vinile dei Clash(http://www.revolutionine.com/2009/10/04/rocky-­‐‑horror-­‐‑ellepi-­‐‑show).22 “un gruppo di affezionati, sabato e domenica, prova a ribadire il culto per la lacca nera deivecchi elleppì: si chiama Disco Days” (http://napoli.repubblica.it/dettaglio/articolo/1525567).23 “il tentativo mondiale del fratello di Vincenzo, Giovanni Nardiello, vittima di un terrificantekappao contro il tedesco Ottke”.(http://archiviostorico.corriere.it/1999/marzo/30/pugilato_finito_ko_co_10_9903301108.shtml ).24 “Roma kappaò a Pesaro. Siena, Milano e Biella in testa”(http://www.repubblica.it/sport/basket/2010/10/24/news/serie_a_seconda_giornata-­‐‑8397182).25 “Magica Dinamo, Biella è cappaò”(http://www.unionesarda.it/Articoli/FotoGalleryDettaglio.aspx?pos=1&id=202464).

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Sempre all’interno della categoria dei prestiti, si registrano invece grafieche testimoniano una pronuncia non adattata, motivata da discrepanzefonico-­‐‑grafiche tra le due lingue, come nel caso di DJ che viene riscrittocome digei26 (oltre che come dee jay) o come nel caso del comunissimo OK27,reso graficamente, oltre che come okay, forma inglese, anche come okkei28 o,con un elevato grado di adattamento grafico, come occhei29.

Se, dunque, tutte queste riscritture testimoniano della tendenza allalessicalizzazione, anche alcuni fenomeni di pronuncia ci restituiscono chiariindizi in questa direzione. Va sottolineato come anche le sigle che sipronunciano lettera per lettera (CNR, DC, TG) generino in realtà unapronuncia di parola, confermata dalla presenza di un accento unico30. Unaconferma di tale processo ci viene dalla resa fonica di una sigla come CGIL/tʃiddʒi'ʹɛlle/, con cancellazione della pronuncia della I, o da altri fenomenidi coarticolazione presenti ad es. nella pronuncia di INPS /'ʹimps/, con resalabiale della nasale.

Infine, si possono registrare anche casi in cui la pronuncia come parolasi realizza come variante, molto connotata quanto a registrosociolinguistico, di sigle per lo più pronunciate lettera per lettera, come perO.K. / OK / Ok /ok pronunciato /'ʹɔk/.

3.3 Indizi di lessicalizzazione: morfologia e sintassi

La deriva delle sigle in direzione della condizione di “parola” si coglie,con ancora maggiore evidenza, nei processi derivativi che assumono lasigla come lessema di base. Il fenomeno è piuttosto esteso e riscontrabile in

26 “Da Colorado in esclusiva per TvBlog, Digei Angelo: "ʺIo come Roberto Balle? Ma se sononegato per la danza” (http://www.tvblog.it/post/15996).27 Come sostenuto nel GRADIT e nel vocabolario TRECCANI, quasi sicuramente sigla di OldKinderhook, nome di un comitato elettorale costituito a New York nel 1840 per la rielezione delpresidente M. van Buren soprannominato il "ʺvecchio Kinderhook"ʺ.28 “Lo sporco okkei ai Russi in Cecenia” (http://qn.quotidiano.net/1999/11/06/306744).29 “Occhei sento già la febbre del successo ;-­‐‑) Ottima idea …”(http://scorzadarancia.blogspot.com/2010/06).30 Questa caratteristica delle sigle è stata notata già da tempo, ad es. da Lepschy 1981: 73 cheriflette sulla pronuncia unitaria della sigla BR /bi’ɛrre/.

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forme sia suffissate che prefissate, che si originano da sigle pronunciatelettera per lettera o come parola:DS →diesse → diessino31; BR → bierre → bierrista32; laser33→laserista34; IVA → iva →

ivato35; OK → okkei →okkeizzare36; DC →diccì →post-­‐‑diccì37; PM → piemme →ex-­‐‑

piemme38; AIDS / aids→pre-­‐‑AIDS39.

Si verificano anche casi di composizione, come nella formazione tivvù-­‐‑dipendenti, in cui la sigla lessicalizzata e quindi rigrafizzata va a collocarsiin posizione di modificatore40.

Tra i composti si segnala ANLAIDS/Anlaids, in cui risultaparticolarmente evidente il trattamento della forma AIDS come parola.Infatti, sebbene inserita in un’ulteriore sigla, Aids conserva la propriacompattezza, anche a dispetto della consapevolezza del sintagmasottostante nel contesto settoriale in cui si è originata la forma composta. Siveda come la sigla composta viene sciolta nel sito ufficialedell’associazione:

Associazione Nazionale per la Lotta contro l'ʹAIDS, promuove studi e ricerchesull'ʹAIDS attraverso bandi per borse di studio41.

31 “Il diessino è educato, rispettoso, solitamente onesto e leale”(http://www.leftisright.it/blog/al-­‐‑diessino-­‐‑alla-­‐‑diessina/).32 “Chissà se uscirà dall archivio di Licio Gelli, che raccoglieva anche il volantino rivendicativodel delitto bierrista” (www.ilvelino.it/articolo.php?Id=984823).33 Si precisa che lo statuto di sigla della forma laser nella lingua italiana è probabilmentelimitato ad ambiti settoriali, mentre il parlante medio la percepisce come parola.34 “La filiale di Firenze Mosse dell agenzia per il lavoro Gi Group spa cerca, per aziendametalmeccanica, un saldatore-­‐‑laserista” (http://www.njobs.it/lavoro-­‐‑laserista.html).35 “io vorrei mettere il prezzo non ivato”(http://www.prestashop.com/forums/viewthread/8130/).36 “Non è più semplice okkeizzare un dossier piuttosto che chiudere una pratica?”(http://www.rosalio.it/2007/11/02/). Per questa formazione verbale si registra un parallelonell’inglese to OK (“The Governor recently OK’d the execution of a man…”, SOED).37 “Logicamente dall’ala post-­‐‑diccì e dai Modem di Fioroni e Veltroni arriva un netto no aquesto progetto”(http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id).38 “Il libro dell’ex-­‐‑piemme Raffaele Cantone”(http://lecronachediferdinandoterlizzi.blogspot.com/2010/03)39 “Lo stadio di sieropositività corrisponde al periodo, più o meno lungo, della latenza clinica,della fase pre-­‐‑AIDS e della fase AIDS” (http://www.medicline.it/malattie-­‐‑infettive/aids.html).40 “Bambini tivvù-­‐‑dipendenti. Passano più tempo davanti al piccolo schermo che sui banchi”(http://staibene.libero.it/articolo_bambinitelevisionepsicologia_212599__1.html?refresh_cens).41 http://www.freeonline.org/sitogratis/anlaids-­‐‑it.html

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Inoltre, nel processo di lessicalizzazione, la sigla si sgancia dallacategoria grammaticale della testa del sintagma sottostante e può acquisirenuove funzioni grammaticali, dando vita a processi paragonabili allaconversione.

Il fenomeno è vistoso nel caso di sigle alloglotte di ampia diffusione:

ko aggettivo / nome / avverbio: il pugile è ko (agg.) / Il pugile è statoatterrato per ko (nome) / Questa serata mi ha messo ko (avv.)

ok esclamazione / avverbio / aggettivo / nome: Ok! Prendo questo

(escl.) / È andato tutto ok? / La prof è abbastanza ok (agg.) / Ha dato ilsuo ok (nome)

vip (nome / aggettivo): Lele Mora è un vip (nome) / Quello è un locale vip(agg.)

Ma si danno anche casi di sigle italiane:

tivvù nome comune / aggettivo: davanti alla tivvù (nome com.) / la direttativvù (agg.)

Pd nome proprio / aggettivo: Il Pd è all’opposizione (nome pr.) / Ilsenatore Pd ha votato contro (agg.).

3.4 Indizi di lessicalizzazione: semantica

Le sigle, in particolare quelle di ampia diffusione, sono soggette, anchesul piano del significato, a fenomeni e processi che si verificanocomunemente nelle altre componenti del lessico. Infatti, il significato di unasigla può presentare molteplici “sfaccettature”42:

1. L’Inps non è la stessa cosa dell’Inpdap

42 Cfr. Croft&Cruse 2004, 116. Cruse, nel cap. 4, dedicato a una puntualizzazione sullasemantica in prospettiva cognitivista, definisce le “sfaccettature” (facets) come unità di sensoche costituiscono componenti distinguibili di un tutto globale, le quali, sebbene mostrino unsignificativo grado di autonomia, non sono generalmente ritenute rappresentare veri esempidi polisemia.

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2. All’Inps mi hanno detto che devo portargli la ricevuta della

raccomandata.

3. Abita accanto all’Inps

Nei tre enunciati la sigla ha diversi referenti: l’ente / uno specificoufficio e il personale che vi lavora / l’edificio che ospita gli uffici dell’ente.

Ma le sigle possono essere soggette anche a veri e propri fenomeni dipolisemia e, come altrove, i processi di estensione semantica sonoprincipalmente a carattere metaforico e metonimico.

Si consideri il caso della sigla DNA, che, oltre al valore di partenza, haacquisito in italiano anche quello di ‘matrice ideologica, politica eculturale’: Il dna della sinistra radicale43. Un’altra sigla di origine alloglotta,KO, ha acquisito, in particolare nelle funzioni avverbiale e aggettivale (v.sopra), attraverso un insieme di associazioni metonimiche e metaforiche, ilvalore di ‘moralmente o fisicamente prostrato’, es. Stasera mi sento ko.

Il fenomeno interessa, naturalmente, anche sigle originatesi in italiano.Ad es. il valore di DOC si è esteso a significare ‘autentico, genuino’, ancheal di fuori dell’ambito agro-­‐‑alimentare, come in Salvatore è un napoletanodoc.

Puramente metonimiche e, di conseguenza, meno percepibili per ilparlante, sono le estensioni rappresentate nei seguenti due esempi:

Io l’inps non ce l’ho (inps in quanto ‘prestazione previdenziale’)

Gli ufo li immagino con la testa enorme e il corpo piccolo” (ufo in quanto‘essere extra-­‐‑terrestre, alieno’)

I fenomeni semantici appena menzionati sono possibili nella misura incui le sigle in questione, come molte altre, si sono sganciate dal sintagmapieno sottostante, che, proprio in quanto sintagma, ha una referenza piùristretta, alla cui delimitazione concorrono un insieme di unità significanti.Negli esempi sopra riportati le sigle mostrano, quindi, di aver acquisito larelativa opacità del lessema individuale, che, essendo sostanzialmenteimmotivato nella forma, si presta a designare una pluralità di referenti, piùo meno direttamente connessi.

43 Esempio tratto da De Mauro 2003.

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4. Osservazioni conclusive

Come la coniazione di nuove parole, la creazione delle sigle (insieme adaltri fenomeni di riduzione) rappresenta uno strumento di formazione dinuovi simboli linguistici che non si avvale dei meccanismi morfologicidella lingua: tanto i conii quanto le forme ridotte vengono comunementefatti rientrare nella classe delle formazioni non-­‐‑morfologiche (López Rúa2006, 675; Fandrych 2008, 72).

Si può affermare, infatti, che le sigle tendano a configurarsi come parolenuove piuttosto che come varianti di parole esistenti (un caso estremo èquello dell’ inglese Ok, apparentemente privo di un antecedente). Questenuove formazioni, nel tempo, vanno a costituirsi in entità segnichecompatte e unitarie con un rapporto arbitrario significato/significante:normalmente il parlante non conosce l’etimologia delle sigle-­‐‑parole, purconoscendone il referente. Un processo di direzione opposta si verifica nelcaso di forme lessicali (“backronyms” nella terminologia anglosassone) acui viene attribuito a posteriori lo statuto di sigla, determinando la nascitadi una “falsa etimologia”.

Alla iniziale istanza di brevità ed economicità, che si esplica sul pianografico, si contrappone, sul piano linguistico, una spinta normalizzante chericonduce la sigla verso una dimensionalità tipica di parola, determinandopassaggi che possono comportare ricadute grafiche (come TV > tivvù, PM >piemme, LP > elleppì). Un ulteriore sganciamento dall’iniziale spinta allariduzione si riconosce in fenomeni morfologici di tipo accrescitivo, qualil’affissazione (ivato) e la composizione (tivvù-­‐‑dipendente). Infine,l’incremento si verifica anche, sul piano sintattico, con fenomeni diconversione che aggiungono nuovi ruoli grammaticali rispetto a quello diorigine e, sul piano semantico, con un ampliamento del ventagliodenotativo, che conferisce all’ex-­‐‑sigla (attraverso estensioni metaforiche emetonimiche) la complessità semantica che tipicamente caratterizza leparole di una lingua.

Lucia di Pace e Rossella Pannain

[email protected]@unior.it

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Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica

Roberto Reali

Abstract

Nel percorso, più o meno accidentato, della storia della scienza, un posto che ogginessuno potrebbe negare appartenergli di diritto riguarda la chimica. La strada checonduce però alla costruzione di una propria metodologia scientifica ha una vitaabbastanza recente. E questo paradosso di scienza antichissima -­‐‑ i cui primiesperimenti risalgono all’antico Egitto -­‐‑ ma giovanissima nella messa a punto delproprio statuto disciplinare ci permette di avere un osservatorio privilegiato dicome i linguaggi tecnici legati alle tradizioni scientifiche siano sopravvissuti ancheai nostri tempi.

Parole chiave: chimica, alchimia, storia della scienza, simboli chimici

During the long and intricate history of science, a special place belongs tochemistry. But the path leading to the construction of a scientific methodology inchemistry is rather early. This paradox of an old science -­‐‑ whose early experimentsdate back to ancient Egypt -­‐‑ but very young as to the development of itsdisciplinary statute, gives us an advantageous point of view with regard to theways technical languages associated with scientific traditions have survived to ourtimes.

Keywords: chemistry, alchemy, history of science, chemical symbols

Premessa

Il primo a intuire una teoria quantitativa degli elementi chimici fu,com’è noto, Antoine Laurent de Lavoisier che non aveva alcun titolo dichimico: era considerato infatti un botanico, un naturalista, un economistaed anche un Fermier Général, sorta di concessionario per la riscossione delleimposte reali, carica a cui giunse a 26 anni e che lo arricchì e lo rese famosoai tempi di Luigi XV. La sua formazione di giurista e di appassionato“misuratore” lo portò a creare il sistema metrico decimale e ad estenderloin tutto il territorio francese prima di essere ghigliottinato, nel 1794, daigiacobini all’età di 51 anni. L’intuizione centrale di Lavoisier fu quella di

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applicare il sistema dei pesi e delle misure agli elementi che venivano viavia combinati per la produzione di composti chimici stilando così un elencodi elementi “primi” che non potevano essere ulteriormente ridotti:ossigeno, azoto, idrogeno, fosforo, mercurio, zinco, zolfo ed anche luce ecalorico che lui credeva fossero sostanze materiali e in realtàrappresentavano l’energia necessaria alla produzione di qualunquereazione chimica.

L’idea di poter misurare e combinare i vari elementi secondo pesideterminati si ispira naturalmente alle indicazioni di metodo galileianeesposte già nel XVII secolo. Galileo si incammina cioè verso la ridefinizionedella scienza come strumento principe della conoscenza del mondo fisicoavendo chiaro un modello (quello copernicano) e un metodo (quellomatematico) i quali dovevano essere verificati, o, come si direbbe oggi,“falsificati” dai dati dell’esperienza. Tale metodo crea il tratto distintivo perla conoscenza della natura dalle altre forme del sapere. Galileo esprimetutto ciò nella famosa pagina del Saggiatore: “Parmi, oltre a ciò, di scorgerenel Sarsi ferma credenza, che nel filosofare sia necessario appoggiarsi

all’opinioni di qualche celebre autore, sì che la mente nostra, quando non simaritasse col discorso di un altro, ne dovesse in tutto rimanere sterile edinfeconda; e forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d’unuomo, come l’Iliade e l’Orlando Furioso, libri né quali la meno importantecosa è che quello che vi è scritto sia vero. La filosofia è scritta in questograndissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (iodico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intenderla lingua, e conoscer i caratteri ne’quali è scritto. Egli è scritto in linguamatematica e i caratteri sono triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche,senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola; senzaquesti è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.”1

L’affermazione su cui richiamare l’attenzione è quella relativa allatradizione su cui lo scienziato fiorentino ironizza e raffigura attraverso lapolemica con il gesuita Orazio Grassi, il Sarsi del trattato, consapevoleormai della scoperta di un metodo che si distingue radicalmente da quellosinora tenuto nelle osservazioni naturali. L’affermazione di Galileo èrealmente rivoluzionaria poiché la lingua formata da figure geometriche ecerchi sinora si era appoggiata ad una conoscenza tradizionale e solo con lametodologia sperimentale trova il suo vero senso interpretando i fenomeni

1Galileo Galilei, 121. La sottolineatura è nostra.

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del mondo naturale. Le osservazioni astronomiche e le ricerche sulmovimento e la quiete dei corpi trovano così un’applicazione sperimentaleimmediata nelle leggi sulla caduta dei gravi, nella scoperta delle macchiesolari e nel calcolo delle orbite dei pianeti medicei per ricordare i piùimportanti ritrovamenti dello scienziato pisano. E il loro linguaggio èquello dell’algebra e della geometria perfettamente conosciute dallatradizione culturale precedente.

Non così la chimica che non è scienza “di osservazione” ma di“estrazione” e di “combinazione”. Il lavoro chimico compiuto sino a quelmomento non aveva nella sperimentazione della regolarità del movimentodei corpi celesti una percezione immediata dei suoi fenomeni e la stradaper giungere ad una sua autonomia disciplinare e scientifica dovrà farsilargo ancora tra molteplici e differenti discipline. I chimici non sonoautonomamente distinti, almeno sino al XVIII secolo, dai farmacisti, daimedici, dai naturalisti e, ovviamente, dai loro cugini prossimi: glialchimisti.

La carta d’identità della chimica moderna inizia il suo cammino conLavoisier ma dovrà attendere ancora un secolo almeno per avere chiaro ilrapporto quantitativo corretto tra la sequenza e le modalità dicombinazione degli elementi che verrà formulato dal chimico russoMendeleev: “il sistema periodico degli elementi, come è noto, raccoglie inmaniera strutturata l’insieme degli elementi chimici considerati comeatomi, a seconda delle loro proprietà e ordinati secondo una grandezza adessi caratteristica e distintiva. Per poter realizzare tale sistema era statonecessario disporre innanzitutto dei diversi elementi allo stato isolato,puro, determinandone le proprietà chimiche e fisiche caratteristiche.”2

Questa sintesi tra metodo quantitativo e struttura primaria deglielementi contiene in sè la grande possibilità di prevedere con regolaritàulteriori elementi non ancora scoperti che però sono gli occupanti deisuccessivi legami atomici posti nella sequenza. “La chimica – affermaMendeleev – ha trovato una risposta alla questione delle cause dellemoltitudini; e pur mantenendo la concezione di molti elementi, tuttisoggetti alla disciplina di una legge generale, offre una via d’uscita dalNirvana indu – cioè l’assorbimento nell’universale – sostituendolo con

2 Di Meo 2009, 317.

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l’individualizzato.”3 Ad una tale formidabile scoperta bisogna peròapporre una data piuttosto recente, il 1869, in cui il chimico russo presentòla sua relazione L'ʹinterdipendenza fra le proprietà dei pesi atomici degli elementialla Società Chimica Russa e diede vita a quella che oggi noi conosciamocome Tavola Periodica degli elementi.

Tavola periodica degli elementi

Il linguaggio di questa tavola è, per gli specialisti ma anche per qualchestudente di liceo, facilmente comprensibile: ogni singolo elemento, asecondo della sua posizione nell’insieme, presenta un affinità di strutturaper quelli distribuiti in ogni colonna (metalli, metallo-­‐‑alcalini, ditransizione etc.) mentre la crescita del numero atomico, rappresentata dallasequenza per righe, ci riporta invece ad una regolarità del numero dielettroni esterni per ogni elemento. Non entrando in spiegazioni troppospecialistiche possiamo dire che la tavola periodica fornisce il ritmo deglielementi partendo da una legge quantitativa unitaria (la crescita delnumero atomico) sino a poter prevedere ulteriori caselle che potranno viavia essere inserite nel quadro generale. La tavola stessa è quindi lo schemalogico entro cui i singoli elementi contrassegnati dalle prime lettere latinetrovano un ordine che immediatamente richiama la sua maggiore o minore

3 Mendeleev, in Di Meo, ibidem.

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reattività con gli altri elementi della tavola (se posti a sinistra o a destradello schema).

La semplicità di questa rappresentazione fa dunque vendetta di unaricerca durata secoli in cui gli uomini tentarono di comprendere come fossepossibile che alcuni prodotti reagivano a contatto con alcuni elementi e noncon altri. Vi erano, nei secoli precedenti questa semplice formulazione,biblioteche intere di esperienze pratiche a cui mancava la fondazione delmetodo e a cui mancava la possibilità di chiarire e costruire la ripetibilitàdell’esperimento nelle condizioni predeterminate dallo sperimentatore equindi rientrare a pieno diritto nello statuto delle scienze elaborato daGalileo tre secoli prima.

Non è un caso che il progresso scientifico e tecnologico nella secondametà del XIX secolo conosce, dalla scoperta degli elementi chimici e dellaloro combinazione, uno slancio straordinario che porterà alla crescitaindustriale e alla produzione di materiali non esistenti in natura (di sintesi)oltre che la possibilità di utilizzo di componenti naturali per creare nuoveopportunità di utilizzo (si pensi, ad esempio, alla distillazione del petrolioo alla creazione di farmaci come l’aspirina).

L’esperienza chimica

Ma quale è alla fine, l’esperienza concreta che il chimico faquotidianamente? Per rispondere a questa domanda prendiamo in prestitole parole di uno scrittore e chimico italiano: “Distillare è bello. Prima ditutto perché è un mestiere lento, filosofico e silenzioso, che ti occupa ma tilascia tempo di pensare ad altro, un po’ come l’andare in bicicletta. Poiperché comporta una metamorfosi: da liquido a vapore (invisibile), e daquesto nuovamente a liquido; ma in questo doppio cammino, all’insù eall’ingiù. Si raggiunge la purezza, condizione ambigua ed affascinante, cheparte dalla chimica ed arriva molto lontano.”4

Il chimico distilla, combina, manipola elementi naturali, non esistendomai in natura quelli descritti nella Tavola Periodica. Non esiste, in realtà, ilPotassio ma ora posso combinare tutti gli elementi naturali per ottenerecomposti in cui la sua percentuale sia prevalente, misurandone così con

4 Levi 1979, 60, voce Potassio.

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precisione la quantità e ricombinandola con altri elementi per produrrenuovi composti o nuovi materiali.

Questa esperienza di lavoro, descritta da Primo Levi nel passo citato,non è però molto diversa dai farmacisti, naturalisti e alchimisti che si sonoindustriati per secoli a cercare di ricavare qualcosa dai prodotti presenti innatura. Possiamo quindi ipotizzare che anche la modalità di comunicare leloro esperienze che si venivano elaborando nel corso dei secoli sia statamolto differente? E se non vi è questa distanza, quanto la modernacostruzione del linguaggio chimico appartiene nelle intenzioni anche aquella tradizione che appariva agli scienziati “trionfanti” del XIX e del XXsecolo come definitivamente superata?

Alchimia come esperienza

Gli alchimisti, considerati ormai dal senso comune come degli sciocchioppure come pericolosi personaggi da cui guardarsi non avevanonemmeno nei tempi in cui operavano, buona stampa. L’alchimista è unuomo che silenziosamente, in casa o in luoghi discreti, combina e tentaesperimenti di cui oggi sappiamo non comprendesse quasi mai il senso. Inuna famosa tavola di Peter Bruegel viene rappresentato ironicamente comeun individuo chino al suo tavolo di lavoro, mentre i poveri figli necombinano di tutti i colori (figura 1). Un uomo che, disperatamente, cercala ricchezza perdendo tempo e soldi riducendosi così in miseria, oppure unuomo che custodisce dei segreti innominabili a cui devono essere estortianche con la tortura (figura 2).

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Figura 1 – Peter Bruegel. L’alchimista

Figura 2 – La tortura dell’alchimista

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Le esperienze alchemiche hanno invece conosciuto negli stessi periodiin cui si elabora la rivoluzione scientifica galileiana un profondoripensamento. La ricerca di affinità e differenze che potremmo oggichiamare di tipo “analogico” distinguendola da quella quantitative nonaveva infatti tralasciato di osservare come i singoli composti costituisseroin realtà una sequenza ordinata e ne avevano rappresentata la loro affinitàin modo puntuale attraverso una tavola (figura 3).

La tavola era stata quindi elaborata indicando nella combinazione deglielementi la loro maggiore o minore capacità di interagire e, posti in modoordinato: “comparivano questi simboli per indicare la scala di reattività(per usare un termine attuale) di varie sostanze rispetto a quella che venivaindicata nella casella superiore della colonna.”5

Figura 3 – Tabula Affinitatum di Geoffroy, 1718

Le Tabule così elaborate erano abbastanza comuni nel XVIII secolo efurono anche riprodotte in alcune edizioni dell’Encyclopedie di Diderot e

5 Gianni Michelon, Fondamenti storico-­‐‑espistemologici della chimica, in:http://www.univirtual.it/corsi%20V%20ciclo/II%20sem%20IND/michefond/04.htm.

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d’Alambert ed avevano lo scopo di sintetizzare il grado maggiore o minoredi affinità di alcuni elementi rispetto ad altri. La maniera di leggere loschema è, in fondo, semplice: ad ogni elemento che corrisponde alla primariga, venivano elencati per ogni colonna, i composti che avevano maggioreo minore affinità (reagivano) in presenza di questi:” per l'ʹ"ʺacido del salemarino"ʺ (HCl) [cloruro di sodio], colonna b, la massima affinità èpresentata da Sn [Stagno] (b2), minore da Cu (b4) [Rame], poi Ag (b5)[Argento], Hg (b6) [mercurio] e, molto lontano, Au (b9) [oro].”6

Come si può notare l’insieme delle descrizioni partivano da uncomposto complesso come il cloruro di sodio o sale marino e gli alchimisticonoscevano i metalli ottenuti con procedimenti di raffinazione più o menoavanzati che, a contatto con il sale, generavano ulteriori reazioni. Nonerano certo in grado di determinare il peso e la quantità di atomi presentinel composto ma la regolarità delle interazioni e una certa sistematicità diqueste ultime era invece perfettamente chiara.

I simboli poi che rappresentavano gli elementi e che ci interessano inmodo particolare sono la notazione sintetica degli elementi derivati dai:“simboli astrologici usati per i metalli (…), per esempio, per l'ʹoro (Sole) inb9, per l'ʹargento (Luna) in b5, per il ferro (Marte) in c2, per il rame (Venere)in b4, per il piombo (Saturno) in c4, per lo stagno (Giove) in b2, per ilmercurio (Mercurio) in c5.”7

6 Michelon, cit. le interpolazioni tra parentesi quadre sono nostre.7 Michelon, cit.

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Simboli astrologici che indicano i metalli

È interessante notare così che già all’inizio del XVIII secolo, l’esperienzaalchemica mutuando la propria notazione degli elementi tradizionalidall’astrologia rinascimentale e procedendo per analogia, avevaidentificato simbolicamente una sorta di paradigma dell’uso che si fa deglielementi stessi nelle esperienze chimiche. In primo luogo i simboli sonoutilizzati per identificare univocamente degli elementi esistenti in natura enon nel cielo iperuranio; in secondo luogo queste notazioni si richiamanoad una ricerca di regolarità che è rappresentata dalla tavola delle affinità incui sono inseriti. Ogni elemento supporta la vicinanza o meno degli altri ene descrive sinteticamente la maggiore o minore reattività. Non avrebbeinfatti alcun senso mettere in sequenza e secondo una logica astrologicaquei simboli mentre ne acquista uno rilevante se li inseriamo comerappresentazione simbolica delle reazioni a cui danno origine.

È un importante passaggio in cui la vecchia tradizione alchemicacomincia, ben prima di una ricerca delle analisi quantitative, a mettere inordine le proprie conoscenze e soprattutto individua l’insieme deglielementi che possono essere rappresentati in combinazione acquisendo unsenso dalla loro interazione e dalla loro posizione reciproca. Questo dato loritroviamo intatto nella tavola di Mendeleev in cui la posizione dei singoli

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elementi ci fornisce in modo puntuale il comportamento chimico. Sipotrebbe dire che è una modalità di replicare la musica “ad orecchio” senzaconoscere ancora le singole note ma l’idea che esista uno spartito su cui lamusica debba essere scritta è presente ed aiuta a comprendere questonuovo linguaggio naturale. Una specie di termine “medio” in cui le letteresono ancora simboli della tradizione alchemica precedente ma ormaicontrapposti e strutturati secondo il metodo dell’esperienza che procedefaticosamente secondo il metodo della similitudine e del contrasto.

Veniamo quindi ai simboli e alle notazioni. Abbiamo visto che questisimboli risalgono alla tradizione alchemica ma anch’essi hanno già subitoin precedenza una profonda trasformazione nel secolo XVII, e già dasimboli dell’analogia con l’universo sono divenuti un sistema in qualchemodo “standardizzato” di notazione.

Per poter comprendere questo passaggio dobbiamo però fareriferimento ad un trattato di Alchimia intitolato Commentatio de PharmacoCatholico, inserito nel più vasto libro intitolato Chymica Vannum che fupubblicato anonimo in Germania e poi tradotto in latino nel 1666. Questotrattato viene censito da John Ferguson nella Bibliotheca Chemica nel 19068 edescritto come: “Reclusorium opulentiae sapientiaque Numinis MundiMagni, (….) sed Inventa Proauthoribus Immortalibus Adepti.”9 Un libroche ha, in apparenza, tutti i crismi del testo alchemico con le sue richiesteiniziatiche e i suoi richiami alla conoscenza magica che aveva fatto finiresul rogo parecchi personaggi durante il XIV e il XV secolo in giro perl’Europa.

Eppure la tesi, soprendente, del Commentatio appare come molto vicinaall’idea di affinità che il XVIII secolo aveva consegnato alla notazione dellaTavola. Parlando degli elementi, scrive l’anonimo: “quattro elementi sono ifondamenti di tutte le cose corporali: da questi provengono tutti gli altricome figli da una madre, in questo mondo sono così composti e formati egli elementi stessi si corrompono e si trasformano e nessuno degli elementi

8 Ferguson 1906.9 Ferguson cit. tomo II, 246.

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visibili esiste per se allo stato puro [visibilium vero horum elementorum

nullum est per se existens, neque purum] ma più o meno uniti tra loro”10.

L’estensore presuppone quindi l’estrazione, o “distillazione”, deglielementi e quindi parte dal presupposto che in natura esista un insieme dicomposti tutti, più o meno, uniti tra loro e che l’esperienza alchemica ha ilcompito di isolare e di ricombinare. Giunti alla necessità di comunicarequelle esperienze l’autore del trattato nel capitolo finale elabora però unsorprendente cambiamento. Egli afferma che la scienza alchemica devecostruire un nuovo modo di rappresentare questa estrazione e questacombinazione attraverso quello che lui chiama Chymico Alphabeto in cui sipropone che i vecchi caratteri filosofici debbano essere di nuovo compresi einterpretati [signa ac verba intelligenda sint et interpretanda]11.

La richiesta di una nuova notazione è data dal fatto che i vecchi simbolie le vecchie notazioni sono ormai quasi inintellegibili nelle nuoveesperienze di alchimia e che vi è bisogno di un nuovo Abecedario cheillustri le proprietà delle cose naturali in modo da avere immediatamentevisibile le proprietà degli elementi che si vogliono unire [ChymicumAbecedarium ac aliquos novos characteres, qui proprietatem rerum designaturum

veracent exhibent, annectere]12.

Nell’esposizione dell’Alfabeto proposto si ha quindi l’esposizione deivari elementi principali che l’anonimo chiama Alphabeto Simplici, l’Alfabetodegli elementi primari:

10 Commentatio de Pharmaco Catholico, Quomodo nimirum istud in tribus illis natura Regnis,

Mineralium, Animalium ac Vegetabilium reperiendum: atque exinde conficiendum, per

excellentissimum Universale Menstruum, vi pollens recludendi occlundendique, tum metallum

quodlibet, in primam sui materiam, reducendi, 3, la traduzione è nostra.11 Commentatio, cit., 55.12 Ibidem.

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Rappresentazioni delle lettere dell’Alfabeto chimico corrispondenti agli elementisemplici13

Come si nota molti di questi simboli saranno ripresi nella TabulaAffinatatis del XVIII secolo e corrispondono infatti ai simboli del Sole perl’Oro, della Luna per l’Argento, e così via. Le definizioni sono ancoracomposte con l’insieme degli attributi magici e mitologici, dei colori (nero,rosso e bianco) simbolo delle reazioni o degli animali (leone, drago, lupo)legati alla vecchia notazione degli alchimisti precedenti ma la ricerca di unanotazione standardizzata per creare un alfabeto comune già a metà delXVII secolo rappresenta un punto fermo che rompe con la tradizioneastrologico/magica e comincia a muovere i primi passi verso una vera epropria narrazione dell’esperienza chimica che sia comprensibilenonostante l’utilizzo di un’antica simbologia.

Che questa maniera di comunicare sia, in realtà, un nuovo modo diraccontare le esperienze sulla natura è confermato anche dalla successivaproposta di una costruzione di vere e proprie “frasi chimiche” elaborate informa sintetica utilizzando quelle lettere e quei simboli.

L’anonimo costruisce delle Syllabae Chymichae14, veri e propri sintagmicombinatori degli elementi che sono annotati partendo dalla composizionedei semplici:

13 Ibidem, 60.14 Commentatio, cit., 61.

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Sillabe chimiche

Ogni singolo elemento che isolato in maniera grafica in modo standardviene legato ad altri “semplici” per la formazione di un composto ericonoscendo la simbologia si possono indicare in modo chiaro i composti:“con una parola avente significato o con un carattere universale che hoindicato nel titolo di questo capitolo [his vero verbum significativum, vel

universalem characterem, quem superius in titulo delineavit]”. Con questi segni,ora completamente trasparenti: “noi vogliamo consegnarti questo schema;questi segni sono un pochino più luminosi [tamquam lucioli] e potranno cosìcondurti alla luce della vera conoscenza [qui ducere te debent ad veramcognitionis lucem].”15

È quindi un nuovo senso che appare sotto questa notazione sintetica cheillustra come l’esperienza chimica possa essere correntemente echiaramente rappresentata nella combinazione degli elementi dallacombinazione delle lettere e dei segni. Queste ormai seguono una logicadel tutto diversa da quella tradizionale da cui derivano e riproducono etrasmettono l’arte della miscelazione una volta appreso l’alfabeto ecostruito le sillabe e le parole chimiche che hanno trasformato il simboloastrologico ed alchemico in un nuovo linguaggio.

L’arte di “distillare” non ha atteso quindi la teoria quantitativa deglielementi per costruire due elementi fondamentali del proprio svilupposcientifico. Il primo è di poter rappresentare in modo proprio l’esperienzacon un grado sempre più raffinato isolando alcuni fenomeni come l’affinitàtra gli elementi e la loro capacità combinatoria allo stato puro erappresentandoli poi con notazioni chiare e definite. Il secondo, non meno

15 Ibidem.

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importante, è che queste esperienze non sono più il frutto di iniziazionimagiche ma di una razionalizzazione ed un diverso utilizzo dei linguaggi adisposizione che cominciano a corrodere dall’interno la struttura iniziaticadei procedimenti alchemici spingendoli al massimo delle loro possibilitàsino ad arrivare ad una vera e propria grammatica (le sillabe nelle parole) euna sintassi (la tavola delle affinità) che ne strutturano il codice che lachimica “quantitativa” potrà poi liberamente riprendere e trasformare inqualcosa di metodologicamente utile non rinnegando la sua genesi storicagiungendo in questo modo rapidamente ad una propria distinta capacità diindagine e di proposta scientifica rispetto alle altre discipline.

La tavola di Mendeleev, le distillazioni e le sintesi degli elementi sonocertamente qualcosa di fondamentalmente nuovo ma solo perché ora sicomprende la struttura quantitativa degli atomi; l’esigenza di scrivere eannotare le reazioni chimiche in modo breve e standardizzato sarà quindiun lascito di quella tradizione dei secoli XVII e XVIII che rapidamente lachimica moderna farà propria per giungere ai risultati straordinari cheaffronterà nei secoli XIX e XX.

Una ultima notazione va invece fatta di come fu recepita e trasmessaquesta cultura alchemica. L’insieme delle sillabe chimiche e delleesperienze di combinazione illustrate sono state annotate, ed è l’unicoesempio che ci è rimasto, sullo stipite della cosiddetta Porta alchemica16della Villa sull’Esquilino a Roma appartenuta al Marchese di Palombarapoi distrutta dalle successive inurbazioni. (figura 4)

16 Sulla porta alchemica dell’Esquilino: Anna Maria Partini, La magia di una porta, inhttp://www.rivodutri.org/lamagia.htm con annessa bibliografia.

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Figura 4 – Porta alchemica nel giardino di Piazza Vittorio -­‐‑ Roma

La porta a cui la leggenda popolare assegna molteplici significaticolpisce soprattutto per la sua misteriosa e incomprensibile sequenza difigure simboliche sugli stipiti seguiti da versi che illustravano in modoiniziatico la combinazione degli elementi. Sarebbe, se le ipotesi sin quiseguite sono corrette, una specie di Stele di Rosetta a cui la notazioneproposta in simboli degli elementi viene tradotta nel ben più conosciutolinguaggio verbale della tradizione magico alchemica. Oggi sappiamoormai che tale sequenza non è altro che la notazione di reazioni chimicheperfettamente comprensibili ai contemporanei colti del tempo il cuisignificato, certamente diverso dal nostro, non ha però trasformato lospirito con cui furono scritte e cioè la creazione di una comunicazionespecifica nel linguaggio della natura delle esperienze che gli studiosi deltempo andavano compiendo manipolando gli elementi e che si affrettava aconsiderarla come una specie di nuovo modo di comunicazione anche achi, ignaro dei progressi, era rimasto fermo alla vecchia magicarappresentazione delle medesime esperienze. Una sorta di “dizionario”simbolico a cui però, curiosamente, l’aura di mistero incomprensibile lodiedero nel 1888, i sistematori del monumento inserendo, accanto allaporta, due rappresentazioni del dio egizio Bes, simbolo delle magiealchemiche egizie, rinvenuti nel giardino del Quirinale e allontanando,

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anche visivamente, lo sforzo compiuto da quel linguaggio sintetico di darenuova lingua alla chimica del tempo.

Roberto Reali

[email protected]

Bibliografia

Di Meo 2009Di Meo Antonio, I chimici ebrei e le leggi razziali del 1938: l’Università eoltre, in Le leggi antiebraiche del 1938, le società scientifiche e la scuola inItalia, Atti del Convegno, Roma 26-­‐‑27 novembre 2008, Roma, AccademiaNazionale delle Scienze detta dei XL, 287-­‐‑320.

Ferguson 1906Ferguson John, Bibliotheca chemica, A catalogue of the alchemical, chemicaland pharmaceutical books in the collection of the late James Young of Kelly and

Durris, Glasgow, Maclehose.

GalileiGalileo Galilei, Opere, Roma, Edizione Nazionale a cura dell’Istitutodell’Enciclopedia Italiana, 2006.

Levi 1979Levi Primo, Il sistema periodico, Torino, Einaudi.

Fonti delle illustrazioni

Tavola 1

Riprodotta in Encyclopedia britannica. www.britannica.com

Figura 1

http://www.settemuse.it/pittori_scultori_europei/pieter_bruegel.htm

Figura 2

http://itis.volta.alessandria.it/episteme/ep6/ep6-­‐‑alch.htm

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Figura 3

La Tabula affinitatum inter differentes substantias si trova presso il Museodi Storia della scienza di Firenze. Riprodotta inhttp://venus.unive.it/miche/chimrestau/capitoli/01-­‐‑2re.htm

Figura 4

http://www.officinarcheologica.it/visita-­‐‑alla-­‐‑porta-­‐‑alchemica/

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Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo

Sergio Marroni

Abstract

Nell’italiano contemporaneo si fa sempre più spiccata la tendenza a eliminarel’articolo determinativo davanti ai nomi di società, istituzioni, enti, associazioni, purtra frequenti oscillazioni; ciò nonostante le descrizioni delle principali grammatichedi riferimento inducono a ritenere agrammaticale l’omissione. Sulla based’un’ampia analisi di corpus dell’italiano parlato e scritto l’autore rintraccia ilpercorso d’un cambiamento possibile della norma linguistica in atto all’internod’un microsettore della sintassi dell’articolo. Individuata la sua origine neilinguaggi economico-­‐‑finanziario e aziendale, vengono indicati diversi fattorid’ordine sia strutturale sia sociolinguistico che illustrano le motivazioni e le viedella recente e rapida diffusione della costruzione.

Parole chiave: italiano contemporaneo, sintassi, ellissi, articolo determinativo, nomipropri

In the Italian language nowadays there is a relevant tendency to eliminate thedefinite article before names of companies, institutions, corporations, associations.This happens even if the main reference grammars consider this omission asungrammatical. Based on extensive analysis of the corpus of spoken and writtenItalian, the path is here drawn of a possible change of the linguistic standard withregard to the syntax of the article. Tracing its origin in the economic-­‐‑financial andbusiness languages, several structural and sociolinguistic factors are mentioned,explaining the reasons and the ways of the recent and rapid spread of theconstruction.

Keywords: contemporary Italian syntax, ellipsis, definite article, proper names

I giornali di ieri, 21 febbraio 2011, riferivano delle dimissioni diLeonardo Del Vecchio dal Consiglio d’amministrazione delle AssicurazioniGenerali. È l’ultimo evento, in ordine di tempo, d’un aspro conflitto aivertici del maggior gruppo assicurativo italiano, presieduto da CesareGeronzi, un conflitto la cui posta è ancora più ampia, poiché investe la Rcs,

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Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo148

vale a dire, fra l’altro, il «Corriere della Sera»1. Il 2 febbraio nel sito della«Repubblica»2 si leggeva un articolo intitolato «Della Valle: Generali escada Rcs / “Non ci serve e porta solo malumori”»; sottotitolo: «Il patron diTod’s al Cda, consigliere e azionista, chiede che la compagnia triestina cedala propria quota del gruppo editoriale [...]». Nell’articolo si legge che«Vincent Bollorè, vicepresidente di Generali, ha detto ai giornalisti che ilconsiglio di amministrazione “valuterà con attenzione” la proposta dicessione della quota Rcs avanzata da Della Valle». Nello stesso luogo, il 16febbraio, è apparso un articolo intitolato «Rcs, dopo lo scontro Della Valle-­‐‑Geronzi poteri al cda e de Bortoli in sella fino al 2014» e ieri un altro daltitolo «Generali, Del Vecchio si dimette in polemica con Geronzi»;sottotitolo: «Il patron di Luxottica lascia; decisiva probabilmente l’intervistaa Ft in cui il presidente annunciava scelte strategiche future mai discussedal consiglio [...]». Ne riporto, a conclusione di questo preambolo, il primocapoverso:

MILANO -­‐‑ Ora è ufficiale, Leonardo Del Vecchio si è dimesso dal consiglio diamministrazione di Generali. Non si conoscono ancora le motivazioni ufficiali chehanno spinto il patron della Luxottica a un simile gesto, ma tutto fa pensare a unapresa di distanza dal presidente Cesare Geronzi e dalla sua ultima intervista alFinancial Times in cui delineava strategie della compagnia di Trieste mai discussecon gli altri consiglieri.

Richiamo l’attenzione sulla seguente oscillazione: mentre nel sottotitoloLeonardo Del Vecchio è il patron di Luxottica, nell’articolo è il patron dellaLuxottica. Le citazioni giornalistiche precedenti contengono per dieci volteil nome d’una società, solo nell’ultimo esempio citato esso viene introdottodall’articolo determinativo.

La ricerca di cui qui si presentano i primi risultati è partita da treosservazioni:

1) nell’uso attuale, in particolare giornalistico, i nomi di società, diditte, di imprese tendono, in linea generale, a rifiutare l’articolodeterminativo in tutti i contesti sintattici, pur con grande incertezza;

1 D’ora in poi «Cds».2 D’ora in poi «R».

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S. Marroni 149

2) nella mia sensibilità linguistica l’omissione produce un’impressionedi estraneità, che tuttavia possiede intensità diverse, fino a giungereallo svanimento, a seconda delle situazioni;

3) la “memoria del parlante” suggeriva che potesse trattarsid’un’estensione recente, probabilmente dilagata in breve tempo aldi là di argini più circoscritti.

Chi fosse interessato alla grammatica dell’italiano, dopo aver lettonell’articolo del 2 febbraio citato la cessione della quota della compagnia in Rcs,per Generali "ʺnon è core business e non serve per lo sviluppo futuro"ʺ, patto disindacato Rcs, L'ʹiniziativa del patron di Tod'ʹs, intesa tra Tod'ʹs e ministero, pensache la Rizzoli non sia un'ʹazienda che vada gestita come tutte le altre, avrebbepotuto immaginare una regola in cui l’articolo determinativo sarebbepresente solo se il nome ha la funzione di soggetto; ma nell’articolo del 16febbraio avrebbe trovato oltre a patto di sindacato di Rcs Mediagroup ediscussioni attorno a Rcs, anche il fondatore della Tod’s, alcuni soci della Rcs, dalpresidente della Rcs e articoli giudicati troppo duri nei confronti della Fiat edell’Eni. E se, interessato anche alle vicende della Fiat, egli avesse lettol’articolo del «Sole 24 ore»3 del 15 febbraio scorso, intitolato «Marchionne(in giacca e cravatta) alla Camera: la Fiat ha progetti ambiziosi per l’Italia»,avrebbe forse tratto un motivo ulteriore d’inquietudine, incontrando, nellostesso articolo, L’amministratore delegato di Fiat, il recente passato della Fiat, SuFiat si “è aperto un ampio e lungo dibattito [...]”, “Nessuno può accusare la Fiat di

comportamenti scorretti”, l’amministratore delegato di Fiat, Il motivo che ha

spinto Fiat alle sue iniziative, Fiat era un'ʹazienda che nel 2004 perdeva 4 milioni al

giorno, garantire a Fiat, Non è solo vero che la Fiat abbia salvato Chrysler, l'ʹad di

Fiat, il futuro della Fiat, la Fiat da sola non avrebbe potuto fare, Il futuro di Fiat e

Chrysler, La Fiat ha il cuore in Italia, quota Fiat, l'ʹamministratore delegato della

Fiat, Se il cuore della Fiat sarà in Italia, gli investimenti di Fiat, Fiat si aspetta un

fatturato di “64 miliardi di euro”, destinerà 4 miliardi a Fiat Industrial, il 65% per

Fiat Group Automobiles, investimenti previsti [...] per Fiat Group Automobiles,

prodotti da Fiat, L'ʹamministratore delegato di Fiat, stabilimenti Fiat, la Fiat è

disponibile a collaborare, degli accordi in Fiat, Fiat non ha nessuna intenzione di

abbandonare l'ʹItalia, Fiat fa parte di questo Paese, Per l'ʹamministratore delegato di

Fiat, la Fiat è l'ʹunica grande azienda, l'ʹad di Fiat, i trattamenti che la Fiat nel

tempo ha riconosciuto alle proprie persone; in tutto 34 occorrenze, 12 delle quali

3 D’ora in poi «S24o»

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Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo150

introdotte dall’articolo, fra cui mi limito a sottolineare la Fiat ha progettiambiziosi per l’Italia (nel titolo) di fronte a Fiat non ha nessuna intenzione diabbandonare l'ʹItalia; l’amministratore delegato di Fiat alternato al'ʹamministratore delegato della Fiat; il cuore della Fiat accanto a gli investimentidi Fiat. Il fatto è che al di là del conflitto economico, politico e sindacale,dobbiamo occuparci qui d’un conflitto di tutt’altra portata fra due normesintattiche, di cui una più recente, della quale cercheremo di determinarel’origine e la natura.

La norma tradizionale è descritta dalle grammatiche dell’italiano, anchese la maggior parte di esse la disegna a una scala che non permette diseguirne nitidamente tutti i frastagliati confini. Ci atterremo, quindi, solo aquelle che potranno servire ai fini della nostra analisi, a partire da alcuniparagrafi di Fornaciari (1884), il quale fra i nomi ai quali si premettel’articolo determinativo individua la classe dei «nomi determinati di persè», vale a dire quelli che

significano cose uniche in natura, p. es. il sole, la luna, la terra; i nomi di materia,l’oro, il rame, il vino; i nomi proprii di nazioni, di grandi isole, di fiumi, di monti, dilaghi, p. es. la Francia, la Corsica, il Tevere, l’Appennino ecc. ecc.; i nomi usati in sensod’antonomasia, p. es. la società, la Provvidenza (XIII 3).

Si esaminano nel seguito sia le eccezioni a questa norma generale siaaltri casi di ellissi. Così, nella sezione intitolata Omissione regolare

dell’articolo, si legge che per lo più l’articolo è respinto dai «nomi insingolare di provincie e di grandi isole, purchè di genere femminile in a [...]dopo le preposiz. di ed in (in senso locale)» (XIII 34); «nelle enumerazioni»(XIII 37); «dopo forme comparative, come, a guisa, a foggia, a modo di» (XIII40). Se i nomi vengono coordinati, l’articolo può essere omesso «quando e ilprimo e gli altri sostantivi l’ometterebbero, se fossero soli» (XIII 43). In tuttala trattazione non vengono presi in considerazione nomi di ditte, diassociazioni o di istituzioni4.

4 Con l’eccezione del § 36 dove si trova «Parlamento italiano, Camera de’ Deputati, Cose esterne,Cronaca della città, Stato Civile», ma si sta esemplificando l’assenza dell’articolo «nellesoprascritte, nei titoli, nelle date, nelle rubriche dei libri o dei capitoli».Nelle grammatiche successive di solito non si arriva a trattare un caso così specifico comel’incontro fra articolo determinativo e nomi di questa specie: cfr. Dardano&Trifone (1995),Salvi&Vanelli (2004), Patota (2006), Prandi (2006) o anche Della Valle&Patota (2007). Piùsignificativa l’assenza nel cap. L’uso dell’articolo di Lepschy&Lepschy (1981).

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S. Marroni 151

Questi ultimi sono invece inclusi negli esempi addotti da Serianni (1991)nei paragrafi dedicati all’uso dell’articolo con le sigle (IV 9-­‐‑12). Liriportiamo integralmente, inserendoli in uno schema che illustra i casipossibili.

Tab. 1

Inizialevocalica

Iniziale consonantica

Pronunciaunitaria

Pronuncia con compitazione

Inizialeconsonantica

Iniziale vocalica

Reggenzalessicale5

Reggenzafonetica6

Femm. l’OLP,

l’USL / la

USL

la FIAT,

la DIGOS

la DC, la BNL la FLM,

la RSI

l’FLM, l’RSI

Masch. l’AUC,

l’ENI,

l’UFO

gli USA

il MEC, il

PRI, il PSI

lo SME,

lo Sdi7

il CNR, il BR8 il FBI,

il MSI

l’FBI, l’MSI,l’Sdi

(V) (Cu) (Cc) (Cvl) (Cvf)

Quel che importa sottolineare qui sono le forme verbali impiegate daSerianni per enunciare la norma9; caso (V): «Quale che ne sia la pronuncia[...] si usano gli articoli prevocalici»; caso (Cu): «vogliono l’articolopreconsonantico»; caso (Cc): «avremo il e un»; casi (Cvl) e (Cvf): si esaminal’oscillazione, indicando una preferenza per (Cvl) nel femminile e

5 L’articolo ha il genere e la forma richiesta dalla prima parola del sintagma pronunciata peresteso.6 L’articolo ha il genere richiesto dalla prima parola del sintagma, ma la forma si adegua allarealizzazione fonetica della sigla.7 Così nella «R» del 25.3.1986 ci si riferiva alla Strategic Defense Initiative, mentre «IlGazzettino» del giorno prima ha l’Sdi (Serianni 1991, IV 11). Com’è noto, l’oscillazione nelgenere degli anglicismi è frequente.8 Nel senso di ‘l’esponente delle Brigate Rosse’.9 Saranno evidenziate con il corsivo.

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Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo152

concludendo che si ha «solo, ovviamente: la DC, la BNL, ecc.»; e se sulladefunta Dc siamo tutti d’accordo, le cose cambiano, invece, per la Bnl10.

Un possibile uso di sigle non articolate è indicato nella sezione dedicataall’omissione dell’articolo nell’italiano contemporaneo; la regola generalenon viene applicata, infatti,

[i]n un certo numero di complementi di luogo, specie se introdotti da in: lavorare infabbrica, restare in camera, pregare in chiesa, andare in ufficio, recarsi in prefettura, vivere

in provincia, andare a casa; anche con sigle: «Il senatore Norberto Bobbio venerdì eraa Roma in Rai» («Stampa sera», 29.12,1986, 13; ma si potrebbe dire anche «alla Rai»)(Serianni 1991, IV 72 d);

dove si scorgerà il velato giudizio racchiuso nella parentesi. Raccogliamoancora l’osservazione relativa alle sequenze di più termini, in cui «è buonanorma ripetere l’articolo (o la preposizione articolata o il partitivo) davantia ciascuno di essi, oppure ometterlo sempre» (IV 73), e passiamo ad alcuneosservazioni sui toponimi, utili ai fini del nostro discorso. Trattando dinomi di regioni, stati e continenti che normalmente vengono precedutidall’articolo, Serianni (1991, IV 41) nota, fra l’altro,

a) che, se il toponimo ha la funzione di soggetto o di oggetto diretto,«l’articolo è di norma presente: “la Basilicata ha due province”, “amarela Cina”», ma «è spesso assente nelle enumerazioni: “Olanda, Belgio eLussemburgo costituiscono il Benelux”»;

b) che, se il toponimo è preceduto da preposizione, «l’articolo è semprepresente, inglobato in una preposizione articolata, quando il toponimoha forma plurale: “la politica degli Stati Uniti”, “andare nelleFilippine”. Con i singolari, è spesso assente quando il nome è retto dadi e in, generalmente presente con le altre preposizioni [...]: “il re diSpagna”, “vivere in Veneto” (ma anche: “a gloria della Spagna”,“vivere nel Veneto”)».

10 Il focus di Serianni è sulla forma dell’articolo; a noi interessa principalmente, in questa sede,che l’ipotesi della sua assenza non sia contemplata. Maiden&Robustelli (2007, 3.14), trattandodel genere delle sigle, elencano l’ONU, le FS, il PCI (un curioso anacronismo, viste le date dellaprima e della seconda edizione), la NATO, la NASA, la CIA. Nel seguito non è fatto alcuncenno d’una possibile omissione che riguardi specificamente i nomi di ditte, associazioni oistituzioni, che, pertanto, appaiono inclusi nei casi generali.

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S. Marroni 153

Dal capitolo dedicato all’articolo della GGIC (2001)11 traiamo innanzitutto alcune considerazioni generali.

I nomi propri, in virtù del loro valore intrinsecamente referenziale e quindi del lorocarattere intrinsecamente determinato, sono ovviamente diversi dai nomi comuni(massa e/o numerabili) e hanno comportamenti diversi. Tale diversità è marcatainnanzitutto dal fatto che le regole per l’uso dell’articolo determinativo, valide per inomi comuni, non sono altrettanto valide per i nomi propri. Infatti, la presenza oassenza dell’articolo determinativo con tali nomi non indica l’opposizionedeterminatezza/indeterminatezza, ma l’articolo costituisce piuttosto, insieme con ilnome proprio, una unica unità, arbitraria, di denominazione come in la Campania, leAlpi, la Fiat, il Giovanni, il Rossi, il Manzoni, ecc. (GGIC 2001, V.4.1.)

Fra gli esempi compare la Fiat, presentata come un’unità di

denominazione al pari di la Campania o le Alpi. Nell’esaminare, poi, gli usidell’articolo in relazione ai sintagmi intrinsecamente determinati, come inomi propri, la GGIC fornisce numerosi esempi, avvertendo che«[l]’indicazione dell’articolo determinativo o della sua mancanza, o dellasua facoltatività, si riferisce al caso più frequente» e che alcuni contestiparticolari possono limitarne la comparsa. Trascegliamo le categorie cheriguardano più o meno da vicino la nostra analisi.

II. Nomi di istituzioni, società, avvenimenti storici, ecc.

f) il Cremlino, il Pentagono, la Crusca; la Fiat; le Generali; il Cristianesimo, il Terrore;il Novecento; la Disfida di Barletta

[...]

IV. Nomi di luogo

[...]

m) terre:

i) continenti: l’Africa

ii) stati; nazioni: l’Italia; gli Stati Uniti; ma: __ Cuba [...], __ Andorra

iii) regioni (amministrative o geografiche): la Lombardia, il Veneto, iBalcani, la Terra Santa, ecc.

11 Scritto da Lorenzo Renzi.

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Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo154

[...]

s) locali pubblici; istituti (intesi come edifici):

i) il Roma (=caffè, cinema, albergo Roma)

ii) la Kennedy (=scuola Kennedy); l’Ucciardone (=carceredell’Ucciardone); il Mozartheum (=conservatorio); il Forlanini(=aeroporto)

t) squadre sportive, gruppi e simili: il Napoli, il Petrarca, la ‘Sani e Forti’ (GGIC2001, VII.3.3.1.1).

La norma richiede, quindi, la Fiat, le Generali. Sono ammesse deflessioniin alcuni contesti. Poiché si parla ancora di Fiat12, riportiamo il commento af).

Bisogna distinguere un nome come la Fiat (indicante l’industria, o la fabbrica, o ilconsiglio di amministrazione della Fiat), che non ha plurale e non può averearticolo indeterminativo, da Fiat pseudo nome proprio, cioè in realtà nome comune[...], che ha anche l’articolo indeterminativo e il plurale: una Fiat = «un’automobileFiat»; delle Fiat = «delle automobili Fiat»; o «delle azioni della Fiat», ecc. (GGIC 2001,VII.3.3.1.1).

Aggiungiamo subito che ci sarà utile anche il commento a s) e t).

Nelle categorie s) e t) l’articolo non si accorda per genere (e/o per numero) colnome. In realtà l’articolo è accordato con un nome comune sottinteso: la Kennedy(=la scuola Kennedy), il Napoli (=il club Napoli). Questi nomi sottintesi possonoessere anche del tutto assenti della coscienza linguistica dei parlanti, come inquest’ultimo caso (GGIC 2001, VII.3.3.1.1).

Tornando alle deflessioni dalla norma generale, la GGIC prende inconsiderazione due contesti: il primo si determina quando un nomeproprio di luogo che ha obbligatoriamente l’articolo si trova precedutodalla «preposizione di, in uno qualsiasi dei suoi significati», il secondoquando un nome della stessa classe viene preceduto dalla «preposizione in,con significato locale» (VII.3.3.1.2). In entrambi i casi l’omissione è limitataai nomi singolari e può essere obbligatoria o facoltativa a seconda dellasottoclasse coinvolta; talora la scelta appare del tutto idiosincratica.

12 L’ellissi dipende, com’è ovvio, dalla norma secondo cui «[l]’articolo viene sempre omessoquando un termine sia adoperato in funzione metalinguistica» (Serianni 1991, IV 72 n).

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S. Marroni 155

Tuttavia «[l]a presenza di un modificatore accanto al nome proprio rendeobbligatorio l’articolo». Ora, benché il paragrafo si occupi di nomi propri diluogo e tragga tutti gli esempi dalle lettere l) ed m), incluse nella classeNomi di luogo del § VII.3.3.1.1., ad un tratto ricompare la Fiat, che, comeabbiamo visto è inserita nella classe Nomi di istituzioni, società, avvenimentistorici, ecc.; si tratta tuttavia d’un esempio in cui il nome ha un ruololocativo, un esempio che introduce un elemento semantico su cuitorneremo.

In genere l’uso di in senza articolo rivela familiarità con l’oggetto in questione. Soloun impiegato o un operaio della Fiat direbbe:

(227) Lavoro in Fiat.

Gli altri dicono: alla Fiat. (VII.3.3.1.2.)13

Alla sintassi dell’articolo avevano dedicato anni prima alcune pagineLepschy&Lepschy (1981). Fra le altre acute osservazioni, interessa quiriportare, poiché aggiunge un elemento assente anche nelle trattazioni piùrecenti, quella relativa ai titoli di giornale o di periodico inserita nelparagrafo riguardante l’omissione dell’articolo,

[p]er brevità, in telegrammi (e messaggi pubblicitari) [...] e in espressioni create peressere brevi e efficaci come titoli di libri, di periodici, di film: Guerra e pace; Rinascita;Senso, ecc. Si noti l’ho letto su Rinascita e non sulla Rinascita; ma sul Corriere della sera(sebbene il titolo sia Corriere della sera); su o sulla Repubblica (il titolo è la Repubblica)(150)14.

Se ora, alla luce di quanto descritto dalle più autorevoli grammatichedella nostra lingua, tornassimo agli esempi da cui siamo partiti, dovremmoconcludere che la maggioranza di essi andrebbe asteriscata. E tuttaviasarebbe imprudente attribuirli alla trascuratezza di alcuni giornalisti,perché quegli usi travalicano le pagine e i siti dei giornali o gli studi deitelegiornali, ci circondano e penetrano nella nostra lingua quotidiana fino amodellare il nostro sentimento della norma15. Meglio porsi alcune domandeintorno a quello che si configura come un possibile mutamento diacronico

13 Nessuno dei passi della GGIC citati è stato modificato rispetto all’edizione del 1991.14 L’oscillazione non viene ricondotta ad alcuna regolarità.15 Cfr. Serianni (2004).

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che investe l’uso dell’articolo determinativo con i nomi propri diistituzioni, società, enti16.

-­‐ Le grammatiche recenti esaminate hanno descritto uno stato di linguaeffettivo oppure hanno ignorato o emarginato o distorto fenomenipresenti nell’uso?

-­‐ Se esse hanno descritto uno stato effettivo, da quando la situazione ècambiata e quali sono stati i tempi del cambiamento?

-­‐ Da quale settore della lingua originano questi costrutti?

-­‐ In quali settori hanno potuto trovare un humus favorevole alla lorodiffusione?

-­‐ Perché si propagano con tanta rapidità?

Per rispondere, abbiamo innanzi tutto condotto un’analisi con strumentiinformatici su quattro corpus di testi: il LIP, il CoLFIS, l’OTA ComIC e l’OTANewspapers17. Sono stati compilate due liste, una di nomi di società18, l’altradi nomi di istituzioni, enti, associazioni scelti in base alla loro diffusione ealle loro caratterstiche linguistiche, tali cioè da rappresentare formazioni didiverso tipo: sigle (Fiat), acronimi (Fininvest), troncamenti (Telecom),composti (Alitalia), nomi comuni (Poste), antroponimi (Barilla),polirematiche (Alleanza nazionale), polirematiche abitualmente scorciate(Assicurazioni generali→ Generali).

16 In realtà il mutamento sembra aggredire anche altre classi di nomi intrinsecamentedeterminati, ma è in quest’ambito che gli effetti si sono manifestati con maggiore estensione ecompattezza.17 Il LIP (Lessico di frequenza dell'ʹitaliano parlato), diretto da T. De Mauro, contiene 469 testiparlati registrati a Milano, Firenze, Roma e Napoli per un totale di 490.000 parole circa. Risaleagli anni 1990-­‐‑92. Il CoLFIS (Corpus e Lessico di Frequenza dell'ʹItaliano Scritto Contemporaneo),curato da P. M. Bertinetto e altri, raccoglie testi tratti da quotidiani, periodici e libri per untotale di 3.798.275 occorrenze. È stato costituito tra il 1992 e il 1994. L’OTA (Oxford TextArchive) Corpus of Italian Newspapers, curato da E. Burr, comprende articoli pubblicati dal«Mattino» (d’ora in poi «M»), dalla «R» e dalla «Stampa» (d’ora in poi «S») nel 1989. L’OTAComIC (Oxford Text Archive Commercial Italian Corpus), curato da S. Laviosa, contiene saggi earticoli d’argomento economico datati dal 1986 al 2001. Complessivamente i corpus oxoniensicontengono circa 600.000 occorrenze.18 Per la scelta ci si è avvalsi soprattutto di Mediobanca (2010), oltre che delle statistiche di«Forbes» e di «Fortune» relative allo stesso anno.

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S. Marroni 157

Tab. 2

I. Società II. Istituzioni, enti, associazioni(Assicurazioni) GeneraliAceaAgipAlitaliaAtacAtafAtanAtmAutogrillBarillaBenettonBnlEdisonEnelEniFiatFininvestFinmeccanicaInaMediasetMontedisonPeruginaPoste (italiane)RaiTelecom

Alleanza NazionaleAnBanca centrale (europea)Banca d'ʹItaliaBankitaliaBceCgilColdirettiConfesercentiConfindustriaFiFiomFmiFondo monetario (internazionale)Forza ItaliaInterpolOcseOnuPrcRifondazione (comunista)Sinistra democraticaSinistra giovanileUeUnione europea

È opportuno partire dai dati offerti dal LIP, per poi confrontarli conquanto emerge dai corpus d’italiano scritto, giacché qui pare situarsi unaprima linea di confine. Dei nomi della I lista si danno 44 occorrenze, di cui11 vanno sottratte perché la presenza (2) o l’assenza (9) dell’articolo è deltutto normale. Sono stati scartati, infatti, da un lato i casi in cui l’articolo èrichiesto dalla presenza d’un modificatore del nome19, dall’altro quelli,molto frequenti in particolare nei testi scritti, in cui l’articolo non può che

19 O quelli, rari, in cui il nome è preceduto da un articolo indeterminativo, spia d’un uso comepseudo-­‐‑nome proprio (cfr. GGIC VII.3.3.1.).

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Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo158

mancare dato l’uso appositivo, come in orchestra Rai o vicende Fiat20. Fra le33 occorrenze rimanenti in un unico caso si registra l’omissione, per di piùin una struttura coordinata: noi siamo la brutta copia del Corriere della serasenza Fiat senza inviati dell’Italia21.

La II lista conta complessivamente 65 occorrenze, di cui 12 vannosottratte (7 con articolo e 5 senza) per i motivi appena esposti. Sui 53restanti, i casi di omissione sono 5: uno in dentro Rifondazione22 e quattrodavanti a CGIL, CISL e UIL.

Concludendo, il quadro che emerge dal LIP si accorda alle regoleesposte nelle grammatiche.

Interroghiamo, allora, i corpus scritti, cominciando con la I lista. Leoccorrenze totali sono 136023, utili 1004, tolte le 27 con articolo obbligatorioe le 329 con assenza condizionata, soprattutto dall’impiego frequentissimocome apposizione ma anche da tipici moduli giornalistici. Nella titolazioneè respinto l’articolo sia quando, raramente, titolo e nome sono tutt’uno siaquando, più spesso, il nome funge da tema separato da un qualche segnod’interpunzione, come per es. in Atac, la fermata è di notte; Fiat: Pace tra igiudici e guerra tra i sindacati. Più in generale l’articolo manca in formulesintetiche come RAI-­‐‑SPONSOR, SOSPENSIONI CANCELLATE, l’accordoAlivar-­‐‑Barilla, neologismi, come decreto salva Rai24, liste, fra le quali

20 Inoltre i pochi in cui l’omisssione è imposta dalla locuzione preposizionale precedente, peres. in qualità di.21 È significativo che nel LIP della I lista compaiano solo i nomi seguenti, in ordine difrequenza: Rai, Fiat, Acea, Fininvest e con un’occorrenza ciascuno Agip, Alitalia, Atac, Bnl, Enel,Perugina.22 Nel febbraio 1991 si svolge l’ultimo congresso nazionale del Pci, nel quale si compie lascissione che dà vita al Movimento per la Rifondazione Comunista. Il LIP riflette immediatamentegli eventi. Anche per la II lista è significativo l’elenco dei presenti, che poniamo in ordine difrequenza: Cgil, Fiom, Confindustria, Sinistra giovanile, Onu, infine, con un’occorrenza ciascuno,Banca d’Italia e, per l’appunto, Rifondazione. Ai fini del nostro discorso è opportuno ricordareche sia nell’uso giornalistico sia nel parlato quotidiano Rifondazione (comunista) è stata semprela designazione normale. È verisimile che una larga parte degli italiani ignorasse o trascurasseil fatto che il nome ufficiale fosse Partito della Rifondazione Comunista, tanto più che d’unarifondazione comunista s’era parlato vivacemente per mesi (ben 11 occorrenze nel LIP) prima delcongresso costitutivo del dicembre 1991, che sancì il nome ufficiale dopo un lungo econtroverso dibattito in cui molti si opposero al termine partito. Di fatto, esso compare con unacircolazione più limitata, quasi solo scritta e quasi solo nella sigla Prc.23 Assente solo Ataf.24 Composto non saldato graficamente; anche salva-­‐‑Rai.

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S. Marroni 159

richiamiamo l’attenzione, ai fini del nostro discorso, su quelle dei titoli diborsa, che tendono a comparire privi dell’articolo anche nei resoconti degliandamenti della giornata25. Si potrebbe obiettare che in questo campo ci siriferisce alle azioni, ma in realtà l’uso frequentemente al singolare del verboo la sua assenza rendono tale riferimento molto ambiguo26, come mostranogli esempi seguenti: Tra i bancari ha chiuso in virata Bnl (meno 2,43%). Inpicchiata Banca di Roma che è scesa del 6,08% a 3,3 euro; Pesante Fiat che haceduto il 3,1%, proprio in relazione alla crisi argentina; Oltre 500 miliardi discambi in Piazza Affari, Fiat su del 5,9%, Generali del 3,08%, Mediobanca del

4,87%, STET del 5,03%, Olivetti del 4,52%.

Le occorrenze dei nomi della II lista sono 1334; anche qui vanno sottratti12 più 147 casi d’uso condizionato, per un totale netto di 1175.

A questo punto, se calcoliamo le percentuali dei contesti in cui l’articoloè necessariamente escluso sul totale delle occorrenze, si ottiene questasequenza:

Tab. 3

S.I (= corpus scritto, lista I)P.I (= corpus parlato, lista I)S.II (= corpus scritto, lista II)P.II (= corpus parlato, lista II)

24,19%20,45%11,01%7,69%

dal che si ricava, anche se per via indiziaria, che i nomi di società sipresentano più facilmente in tali contesti (si arriva quasi a un quarto delleoccorrenze nel corpus scritto) e che l’uso scritto costituisce un terreno piùfavorevole. Un altro fattore facilitante è la forma di sigla, come mostra laseguente tabella relativa al corpus scritto.

25 Mentre le liste sono escluse, i resoconti sono inclusi nel nostro computo.26 All’interno d’un genere testuale che predilige l’espressione nominale.

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Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo160

Tab. 4

Forma Occ. tot. Occ. con omissioneobbligatoria (% sul tot.)

Banca Centrale EuropeaBCEFondo Monetario InternazionaleFMIUnione EuropeaUE

1335263310567

7,69%17,14%3,84%15,15%0,95%41,79%

Veniamo ora a quei costrutti in cui la caduta dell’articolo determinativoè una possibile alternativa in italiano registrata dalle principaligrammatiche, cioè coppie, terne o sequenze di nomi coordinati fra loro inmaniera sindetica o asindetica27, indipendentemente dall’eventualepresenza di preposizioni. A riprova di questa libertà condizionata traiamoqualche esempio illustre dal settore dei toponimi che normalmente esigonol’articolo28.

Rimase romana tutta la gente latina, Francia, Spagna, Italia. (F. De Sanctis, Storiadella letteratura italiana)

Spagna e papa non potevano dire: «L’Italia siamo noi». [...] E se vogliamo trovare ivestigi di una nuova Italia, che si vada lentamente elaborando, dobbiamo cercarlinell’opposizione fatta a Spagna e papa. (ibi)29

[...] e potete credere che cacciato di lì, né Francia né Spagna sarebbero state dispostead aprirmi le braccia (I. Nievo, Le confessioni di un italiano)

Come se Spagna e Piemonte fossero due gemelli, che possono scambiarsi pannitagliati ad uno stesso dosso! (M. D’Azeglio, I miei ricordi)

[...] e tutti que’ discorsi che fanno, sul vicario di provvisione e il governatore eFerrer e i decurioni e i cavalieri e Spagna e Francia e altre simili corbellerie, far vista

27 Cfr. Serianni (1991, IV 73); GGIC (2001, VII.3.2., VII.5.2); Maiden&Robustelli (2007, 4.16). Iconnettivi considerati sono e, o, sia... sia, né e simili.28 Come abbiamo visto, la GGIC accosta la Fiat ai nomi di luogo in più d’un’occasione.29 Oltre alla reggenza preposizionale, è notevole l’assimilazione sintattica di papa a un nome dinazione; cfr. anche «Ma saviezza fiorentina e immaginazione napoletana erano del parisospette a Chiesa e Spagna» (ibi).

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di non sentire (A. Manzoni, I promessi sposi)30

Per la pace conchiusa nel 1801 tra Francia e Austria (V. Monti)

Aggiungiamo un esempio d’omissione in una coordinazione asimmetricacon un primo termine appartenente ai nomi di città, che, quasi tutti,respingono l’articolo in qualsiasi contesto.

Fu condannato da Roma e da Spagna, ribelle ed eretico, e tenuto in prigioneventisette anni, sottoposto alla tortura sette volte. (F. De Sanctis, Storia dellaletteratura italiana)

Tornando ai nomi delle classi che c’interessano più direttamente, nel LIPtroviamo 14 presenze all’interno di costruzioni come queste: 10 articolate e4 non articolate (28,57%). Nel corpus scritto, invece, le presenze sononumerose, 281 in totale, e il rapporto fra presenza e assenza dell’articolofavorisce nettamente quest’ultima con l’80,07%. Va sgombrato, dunque, ilcampo da occorrenze in cui l’omissione può essere considerata regolare,come in Confindustria e sindacati hanno rinviato tutto; ma Generali eBankamericard assicurano che [...]; conteggiando ministeri, università e Bancad’Italia; riunire in una superholding energetica Eni ed Enel; consigliere diMediobanca e Generali; capitale riservato ad Ina e Inps; La manifestazione,organizzata da CGIL, CISL e UIL; Tra Stet, Sip, Snam ed Enel lo Stato “tiene” suiservizi; il problema della divisione dei posti tra Ina e Inps31.

Serve un’ultima potatura, per raccogliere quei nomi inclusi nella ricercache rifiutano costantemente l’articolo; si tratta di nomi di raggruppamentipolitici che non hanno o non presuppongono alla loro base nel sentimentodei parlanti un nome comune come partito, movimento, lega, unione o simili:Forza Italia (152 occorrenze totali più una di FI), Rifondazione Comunista (108

30 Si noti l’assenza dell’articolo davanti ai nomi propri (di persona, ovviamente, e di nazione) ela sua presenza davanti ai nomi comuni nella medesima coordinazione.31 A proposito del tipo tra SN e SN, vd. GGIC VII.4.3.4., in cui sono indicati alcuni vincoli,l’ultimo dei quali («Il tipo riguarda due SN singolari. Il plurale è escluso del tutto, a meno chenon sia limitato [...] al solo secondo membro») mi pare infondato, anche alla luce di esempicome: il “no” all’accordo fra sindacati, Confindustria e governo sul costo del lavoro o il duello era fraprogressisti e Forza Italia, o, uscendo dall’ambito dei nostri nomi: Differenze tra bambini bianchi ebambini neri? Che sciocchezze; assi di raccordo tra aree industriali e grande viabilità; tra cattolici emarxisti; patto tra comunisti e Nuova Democrazia; Più che un incontro tra cronisti e tecnico è sembratodi partecipare ad uno «psicodramma»; tavolo di concertazione tra parti in causa e neo-­‐‑Governo; e sipotrebbe facilmente continuare.

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occorrenze totali più una di RC), cui si associa Alleanza Nazionale (50occorrenze totali) nonostante alleanza. Vengono percepiti, evidentemente,come “nomi titolo”, per riecheggiare la classificazione di Fornaciari (1884),anziché come nomi di partito, e come tali rifiutano l’articolo32.

Due grafici a torta permettono d’apprezzare quanto siano consistenti lefette delle omissioni riconducibili nel solco della tradizione, oltre chesensibilmente più abbondanti nello scritto che nell’orale; i dati sonoracchiusi in grandi suddivisioni: articolo od omissione obbligatori, articolood omissione in strutture coordinate od enumerative, omissione con i“nomi titolo”33, articolo od omissione negli altri casi.

32 Cfr. il CCD, l’MPA (il MPA), il PD, il PDCI, il PDS, il PPI, l’UDC, l’UDR. È significatival’alternanza il PRC / Ø Rifondazione Comunista. Viene da chiedersi, naturalmente, quantoquesto rifiuto dell’articolo consuoni con un rifiuto della forma e del termine partito che hacaratterizzato la politica italiana all’indomani della crisi del ’92-­‐‑’94 (Alleanza Nazionale sicostituisce nel gennaio del 1995). Nella microsintassi emergerebbe allora un sintomo diprocessi di ben altra portata; ma su questo sarebbero necessarie analisi più approfondite.33 Solo nei contesti restanti, in cui gli altri nomi oscillano nell’uso al di là della normatradizionale.

Art obbl.8%

Ø obbl.13%

Art Coord.9%

Ø Coord.4%

Ø "Nomi7tolo"1%

Art64%

Ø1% LIP

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S. Marroni 163

All’interno di questi ultimi si situa la zona in cui la scelta di ometterel’articolo determinativo si fa via via più anomala rispetto a quanto espostonelle grammatiche cui abbiamo fatto riferimento; una scelta, anche qui,decisamente più vistosa nello scritto che nell’orale.

Nel LIP essa viene fatta solo una volta: senza Fiat34, in cui l’assenzadipende dalla preposizione, che è solita fare a meno dell’articolo35.

34 Noi siamo la brutta copia del Corriere della sera senza Fiat senza inviati dell’Italia (Milano, testo ditipo B: scambio comunicativo bidirezionale con presa di parola libera non faccia a faccia).35 «[N]on compare l’articolo (e corrispondentemente si usa la preposizione semplice invece diquella articolata, [...]) [...] nella grande maggioranza dei sintagmi modali formati mediante cone senza: con astuzia, con allegria, senza paura, senza pace» (Serianni 1991, IV 72 a). Piùparticolareggiata l’analisi della GGIC (2001, VII.4.3.3.), che dopo aver enunciato alcuni vincoligenerali («Mentre il complemento di modo, come abbiamo visto, si presenta con con (senza),assenza di articolo e nome astratto, gli altri complementi con con (senza) hanno tuttil’articolo»), si trova nella condizione di doverli attenuare alla luce degli stessi esempi allegati,poiché anche con i complementi di mezzo, di unione e di compagnia, e con SN concreti si dà lapossibilità dell’omissione dell’articolo; si tratterebbe allora, ma l’ipotesi è avanzatadubitativamente, d’una reinterpretazione modale. In effetti, le membrane che dividono mezzo,unione, compagnia, privazione e modo sono permeabili e aggiungerei che una certa pressionepotrebbe esercitare (come nell’es. del LIP e nel [321] della GGIC) anche la struttura coordinata.Si colloca su un piano in parte diverso il punto di vista di Maiden&Robustelli (2007, 4.18):«When senza means ‘without any’ and is followed by a generic noun, the article is usuallyomitted [...] When the noun following senza is specified (i.e., identified as a particular member

Art obbl.2% Ø obbl.

18%

Art Coord.2%

Ø Coord.8%

Ø "Nomi7tolo"10%

Art55%

Ø5% SCRITTI

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Un caso di tendenza alla brevità sintattica nell’italiano contemporaneo164

Insomma, la situazione rappresentata dal LIP circa trent’anni fa concordapienamente con quanto descritto dalle grammatiche citate.

Quanto ai corpus scritti, l’omissione dell’articolo nella zona che stiamoesaminando ricorre 132 volte. Si tratta, come mostra anche il grafico, d’unapercentuale abbastanza modesta. Non sorprende rilevare che lamaggioranza assoluta è costituita da occorrenze in cui i SN sono retti dallepreposizioni di e in (84, pari al 63,63%); da tempo, infatti, le grammatichesottolineano come dopo queste due preposizioni la caduta dell’articolodeterminativo sia frequente con i nomi di grandi isole, di regioni o di statiche normalmente lo richiedono (si vedano gli esempi di Fornaciari [1884,XIII 34]: «il re di Francia, l’imperatore di Russia, l’ambasciatored’Inghilterra, il vino di Spagna. – Sono in Francia, vado in Germania, vengodi Sardegna o di Corsica»)36. È probabile che, una volta avviato il processo,questa zona abbia rappresentato un guado favorevole al passaggio deinomi di società, istituzioni, enti, associazioni ed è parimenti probabile chealcuni nomi siano stati la testa di ponte, come suggerisce la seguente tabellache riporta quelli con occorrenze maggiori di uno.

or subclass of the set of entities referred to by the noun), then the article (definite or indefinite)is used according to the ordinary rules for use of the article»; un’osservazione che puòattagliarsi anche alla frase del LIP, in cui, in effetti, Fiat va inteso come un’antonomasia.36 Il fenomeno è sensibile alle categorie del numero e del genere. I nomi plurali sono esclusi.Riguardo ai singolari, tuttavia, le grammatiche non concordano appieno sulla forza dei vincoliimposti da di e da in ai femminili e ai maschili e sulle sottoclassi di toponimi soggetti ad essi;cfr. Fornaciari (1884, XIII 34), Lepschy-­‐‑Lepschy (1981, 153-­‐‑54), Serianni (1991, IV 41), GGIC(2001, VII.3.3.1.2.), Salvi&Vanelli (2004, II.2.2.3.1.), Maiden&Robustelli (2007, 4.6). Un accordopuò essere trovato sul fatto che il femminile è perlomeno favorito. Ricordiamo che la quasitotalità dei nomi che stiamo esaminando appartiene al femminile ed è singolare.

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Tab. 5

di in

Confindustria 9 Rai 11Bankitalia 7 Montedison 8Montedison 6 Fiat 7Telecom 6 Confindustria 3Poste (italiane) 3 Banca d’Italia 3Fiat 2 Fininvest 2Finmeccanica 2Tot. 35 Tot. 34

Un certo numero di omissioni riguarda i ruoli di soggetto e dicomplemento diretto (rispettivamente 25 e 2, per una percentualecomplessiva del 20,45% dei 132 casi su cui abbiamo aumentatol’ingrandimento). L’effetto deviante si fa qui ancora più avvertibile,vediamo grazie alla tab. 6 con quali nomi viene prodotto più d’una volta.

Tab. 6

SOGGFiat 4Alitalia 3Montedison 3Autogrill 2Finmeccanica 2Mediaset 2OCSE 2Tot. 19

Resta da rilevare che le omissioni si addensano più intorno ai nomi disocietà che a quelli di istituzioni, enti e associazioni, e che, tolti i contestiesaminati fin qui (di + SN, in + SN, SN Sogg e SN Ogg Dir), rimangono 21occorrenze (il 15,9%), distribuite fra diversi SP (le cui teste sono, in ordinedecrescente, da 7, a 4, con 3, per 3, su 2, tramite 1) e un come + SNcomparativo.

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Possiamo concludere che il rilievo compiuto sul terreno di testi scritti,soprattutto giornalistici, situati cronologicamente fra il 1986 e il 2001mostra uno scostamento limitato rispetto alla norma tracciata dallegrammatiche di riferimento. Appaiono tuttavia già delineate le direzionid’una marcia d’espansione che verrà seguita negli anni seguenti.

Un’ultima osservazione assume una certa importanza nellaricostruzione del fenomeno di cui stiamo cercando di tracciarel’andamento. Si sono già accumulati indizi consistenti che additano comesua incubatrice il linguaggio economico e, soprattutto, finanziario. Altrinon trascurabili adombrano un’azione coadiuvante delle varietàsettentrionali. Facciamo qualche esempio. Le 9 occorrenze di di

Confindustria si leggono tutte nel «S24o» (le occorrenze di della Confindustriasono 55, e solo 3 si ritrovano nella stessa testata), così come l’unica in cuiConfindustria è soggetto non articolato; in Confindustria compare una voltanel «M», una nella «R» e una nella «S»37. Dei ben 24 casi in cui Montedison èsignificativamente privo dell’articolo, 22 si leggono nel «S24o». Sono del«S24o» due dei quattro Fiat soggetti non articolati38; di Fiat compare unavolta nel «Cds» e una in un resoconto borsistico del «M» (sono 46 leoccorrenze di della Fiat), mentre in Fiat si legge, in articoli firmati dagiornalisti originari del Nord, nell’«Espresso», nella «S»39 e in «GenteMotori» (sono 20 le occorrenze di alla Fiat, una di nella Fiat). La tab. 7, in cuisono inclusi i nomi più rilevanti, delinea un ruolo di apripista per lapreposizione in.

Tab. 7

della di alla / nella in

CGIL 54 1 2 1Confindustria 55 9 4 3Fiat 46 2 21 7Rai 90 1 34 11

37 Nel discorso diretto attribuito al leghista Vito Gnutti, membro dell’associazione.38 Un terzo si trova in un titolo del «Cds» fra virgolette in posizione iniziale, l’ultimo in unresoconto borsistico della «S».39 In entrambe le occasioni nel contesto dicono in Fiat.

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Mentre il rapporto fra della e di tocca il 90:1 e non scende al di sotto del6,1, con in va dal 3,1 all’1,3.

Tiriamo le fila. Nell’arco di pochi anni alcuni usi devianti nella sintassidell’articolo con i nomi di società, di enti, di istituzioni, di associazioni sonostraripati dall’alveo in cui erano confinati, quello dei linguaggi economico-­‐‑finanziario e aziendale, e hanno invaso i più diversi tipi testuali, senzatuttavia riuscire ancora ad emarginare la norma tradizionale, cometestimoniano le continue, fitte oscillazioni anche in una medesima frase. Suimodi e le motivazioni crediamo che abbiano una buona solidità le seguentiipotesi, da sottoporre a un ulteriore approfondimento.

– Possono causare situazioni di referenza ambigua generatricid’interferenza sintattica quei nomi di società che coincidono col cognomedella famiglia proprietaria o del fondatore (Benetton, Ferrero ecc.).

– Ben più incisivo, ovviamente, il ruolo delle costruzioni in cui l’assenzadell’articolo è già tradizionale; si tratta del 17% delle occorrenze nel LIP edel 26% nei corpus scritti.

– Quanto ai “nomi titolo” di associazioni politiche (l’1% nel LIP, ma il10% nei corpus scritti), di cui una fucina prolifica erano già stati i gruppiextraparlamentari di sinistra e di destra degli anni ’60 e ’70 (AvanguardiaOperaia, Lotta Continua, Ordine Nuovo ecc.), essi conquistano ruoli di primopiano negli anni del dopo-­‐‑Tangentopoli grazie a formazioni comeRifondazione Comunista, Forza Italia, Alleanza Nazionale. Sono nomi propriche programmaticamente rifiutano l’articolo caratteristico dei nomitradizionali delle forze politiche, Lega inclusa; perfino in contesti comeresponsabili della sezione di Alleanza Nazionale di Ciampino («R», 1994), in cuil’aggiunta del modificatore non sortisce alcun effetto.

– Forza Italia spinge il processo a conseguenze estreme: il nome dipartito va in cortocircuito con il nome di società e con il nome di prodotto;si pensi a Che banca, un nome dalla struttura ormai lontanissima da quelletradizionali, come il Banco di Napoli, il Banco di Santo Spirito (> il SantoSpirito), l’Istituto Bancario San Paolo (> il San Paolo), il Monte dei Paschi diSiena, la Cassa di Risparmio di Venezia, la Banca Popolare di Milano ecc., in cuisono ben riconoscibili la testa del SN e il suo modificatore. A uno stadiointermedio si pongono nomi come Banca Intesa, in cui il modificatore,acquistando un peso semantico maggiore e annacquando la relazione

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sintattica con la testa, finisce col saldarsi ad essa in un blocco che funzionacome un titolo, talora anche graficamente, come in BancoPosta. Il processolinguistico è stato favorito dai recenti rapidi processi di fusione che hannogenerato nomi quali Intesa San Paolo (esito d’una “decapitazione” dei SN),oltre a numerosi acronimi.

– I nomi di moltissime banche si sono trasformati in acronimi, ma, piùin generale, l’acronimomania è dilagata nell’onomastica economica,finanziaria e aziendale. Le tabb. 5 e 6 mostrano chiaramente comel’omissione dell’articolo sia favorita dagli acronimi in misura maggiore chedalle sigle: mentre queste ultime consentono, anche se non sempreagevolmente, di risalire al nome testa in esse contenuto (BNL > banca) e,quindi, di usare e accordare l’articolo di conseguenza, l’acronimo tende adivenire un oggetto unidimensionale che slitta più facilmente verso un usoassoluto, mentre l’eventuale articolo viene accordato, di fatto, «con unnome comune sottinteso» come nel caso dei nomi di locali pubblici, edificisede d’istituti, squadre sportive trattato dalla GGIC (2001, VII.3.3.1.1)40. Delresto, la sigla e l’acronimo sono sempre più ricercati da chi opera nelmondo dell’economia per la loro aura di tecnicità e d’efficienza e da chiopera nel mondo del giornalismo per la loro brevità e per il rispetto cheincutono. Il mostriciattolo Bankitalia, con il suo glamour anglicizzante e unpo’ pubblicitario ne è un esempio eloquente41.

– La riflessione sull’acronimo conduce, per associazione, sul versanteaziendale, ad alcune strategie politico-­‐‑economiche come quella delcosiddetto “spezzatino”, applicata negli ultimi decenni a molte aziende, ocome quella delle “scatole cinesi”, le quali hanno comportato una

40 Vd. sopra e cfr. nomi come Montedison, Unipol o Interpol. Il fenomeno dell’accordo con unnome sottinteso emerge percettibilmente in casi come la Generali le ha utilizzate per garantire iltramutamento delle obbligazioni convertibili in azioni; La Generali non ha brillato; La maggior parte deititoli guida, dalla Fiat alla Generali a Mediobanca si è mossa in linea con l'ʹindice; anche la Postepotrebbe entrare nel prossimo futuro a far parte del matrimonio, nei quali l’articolo singolare è inapparente disaccordo con il SN.41 E doppiamente paradossale: non solo perché, com’è noto, l’ingl. bank, come le paroleanaloghe nelle principali lingue straniere, deriva dall’italiano, ma perché segna uncapovolgimento connotativo del carattere k, fino a pochi decenni fa intriso d’implicazioninegative, basti pensare al “kappa politico” di maskio, amerikano, Kossiga, citati da Maraschio(1993, 148), «frequenti sui muri delle nostre città in anni di politicizzazione e femminismoaccesi». Poche righe sopra si accenna al “kappa pubblicitario” di trovate come Mukkilatte. Cfr.Serianni (1991, I 153 b).

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S. Marroni 169

proliferazione di nomi, di solito ancora acronimi o composti. Anche questiultimi tendono a essere percepiti come “nomi titolo”; si veda quest’esempiodi «Gente Money»: Se il Governo decidesse di metterle entrambe sul mercato,tutti correrebbero a comperare l'ʹAgip al posto di Agip petroli, in cui Agipconserva l’articolo, ma lo perde Agip petroli; o questa oscillazioneravvicinata: ricorda da vicino quanto avvenuto nel gruppo Ferruzzi traMontedison Milano e la Montedison Finance NV («R»).

– Una forte spinta alla caduta dell’articolo viene dalla scritturagiornalistica, in particolare dei titoli, a partire dal modello più consolidatoPoste italiane, con "ʺPegasus"ʺ la coda si azzera («La Gazzetta delMezzogiorno»42, titolo). Esigenze di spazio e di tematizzazione siconiugano e producono strutture come Ocse più ottimista dell'ʹFmi. Italia:allarme sanità e welfare («S24o», titolo). Si tratta d’un processo acceleratodalla diffusione attraverso i nuovi canali della notizia, che per brama dibrevità e di velocità si fa titolo di sé stessa. Lo stile tende al telegrafico (Ocsepromuove l'ʹItalia: un «miracolo» in dieci anni [«GdM», titolo]), incuranted’una goffaggine che col tempo finisce con l’essere percepita comeandatura normale43.

– Come spesso avviene, la scrittura giornalistica si fa moltiplicatrice dinovità emerse altrove, in questo caso nel settore economico-­‐‑finanziario.L’ellissi con i nomi d’istituzioni, enti, associazioni appare, data la sfasaturacronologica nelle percentuali, come l’estensione d’un uso che ha il suocentro in un’area contigua. Non a caso sono le istituzioni, gli enti, leassociazioni economiche o più legate al mondo economico le prime adessere coinvolte (Confindustria, OCSE). Va richiamata l’attenzione inparticolare sul linguaggio della borsa, in cui la concitazione, la velocità e labrevità sono di casa. Non solo vi si trova l’uso assoluto con referenzaambigua già notato (si parla della società o delle sue azioni?), mas’incontrano esempi come questo: Vigorose Mediaset a più 3,08% e Class

Editori (più 2,04%) mentre Mondadori (più 6,31%) è stata la migliore del

comparto («S24o»), in cui l’articolo è eliminato anche con il soggetto“azioni” sottinteso e non ambiguo grazie al morfema femminile plurale

42 Nel seguito «GdM».43 Se si torna al sottotitolo dell’articolo della «R» di ieri citato all’inizio, si troverà decisivaprobabilmente l’intervista a Ft, mentre nell’articolo si legge intervista al Financial Times: la formatestuale “titolo” e l’uso d’una sigla (compresa da quanti lettori?) hanno congiurato control’articolo determinativo.

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dell’aggettivo per i primi due soggetti, mentre il verbo concorda con unsoggetto sottinteso singolare per il terzo. Lo spazio limitato in cui ilgiornalista deve condensare le informazioni di borsa, l’abitudine alla listadei titoli accompagnati direttamente dalle percentuali, forse la stessaincertezza del referente possono essere alla radice dell’omissione, e ciò valeancor più per l’operatore di borsa che soggiace, fra l’altro, acondizionamenti temporali di confezionamento del messaggio orale oscritto più stringenti di quelli imposti dalla stampa quotidiana. Credo chevada cercato qui il motore primo del fenomeno che stiamo trattando.

– Esso si sviluppa certamente in un ambito in cui l’inglese esercita uninflusso considerevole; tuttavia, prima d’ipotizzare un'ʹinterferenza a unlivello linguistico, come quello sintattico, generalmente refrattario44, èprudente chiedersi se nelle strutture dell’italiano non siano presenti fattoritali da giustificare l’innovazione e il suo accoglimento. A mio avviso, questifattori non solo esistono, ma sono numerosi e consistenti.

– A quelli d’ordine linguistico s’aggiungono fattori d’ordineextralinguistico. Il decennio che va dal delitto Moro al 1989 è segnato dauna profonda ristrutturazione dei sistemi valoriali e degli ordini diprestigio mediante i quali si classificano realtà materiali e immateriali. Inquesto processo i settori e i linguaggi economici, finanziari e aziendali sonosaliti fino ai primissimi posti45. Non sorprende, quindi, che innovazioninate sul terreno economico-­‐‑finanziario o aziendale (il che implica, in Italia,su un terreno situato, di solito, al Nord) abbiano la capacità d’imporsi comemodello prestigioso ai parlanti e agli scriventi.

– Intrecciato con quest’ultimo fattore ve n’è probabilmente un altro: lafamiliarità del referente. L’osservazione della GGIC a proporsito delladifferenza tra alla Fiat e in Fiat meriterebbe un approfondimento maggioredi quello qui consentito. Ci limitiamo a rilevare che quasi tutti gli 11 casi diin Rai indicati nella tab. 5 si trovano all’interno d’interviste con persone chelavorano alla Rai, e 7 sono tratti dai periodici «Sorrisi e canzoni tv» e

44 Basti ricordare, per restare sul terreno dell’articolo, al contrasto fra l’uso articolato nellalingua d’origine d’una delle parole simbolo della forza di penetrazione dell’ingleseinformatico, the Internet, e il suo uso privo d’articolo in italiano (cfr. Maiden&Robustelli [2007,4.6]).45 Due fatti sintomatici: nel 1985 l’Unità, all’epoca quotidiano del PCI, pubblica per la primavolta nella sua storia, non senza polemiche, le quotazioni della Borsa; l’anno dopo esce ilprimo numero dell’inserto economico della «R» Affari & Finanza.

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S. Marroni 171

«Telepiù» (qualcosa di analogo si potrebbe dire delle occorrenze di in Fiat).Non è, forse, azzardato ipotizzare che il modulo privo d’articolo abbiaagito in concomitanza con il fattore precedente, cosicché alla Fiat diventa, inuna comunione apparente d’efficienza e di familiarità, per tutti, in Fiat.

Sergio Marroni

[email protected]

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La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano.

Un problema di interpretazione linguistica e culturale

Matteo Lefèvre

Abstract

L’articolo è dedicato all’analisi della traduzione degli acronimi dallo spagnoloall’italiano, focalizzando l’attenzione su questioni di natura linguistica, culturale etraduttologica. Dopo una prima parte definitoria, in cui particolare importanza èdata al contesto dei linguaggi settoriali e sono descritti anche alcuni repertori estrumenti lessicografici specifici, si introducono rilievi di semantica e pragmaticaapplicate all’interpretazione e resa linguistica delle sequenze acronimiche. Vieneinfine proposta e analizzata una casistica di sigle e acronimi con equivalentiuniformi e difformi tra la lingua spagnola e quella italiana e, conseguentemente,delle possibilità di traduzione che essi offrono.

Parole chiave: acronimia, traduzione specializzata spagnolo-­‐‑italiano, acronimispagnoli, acronimi italiani, traduzione sigle

This article is dedicated to the translation of the acronyms between spanish anditalian language, focusing linguistic, cultural and traductological problems. After afirst part concerning the definition of the acronym, especially in its importance inthe special languages, we face semantics and pragmatics of the acronym translationand analyse some useful lexicographic instruments. Besides, we suggest a caserecord of spanish and italian acronyms underlining correspondence and differencebetween them and proposing translation strategies and procedures.

Keywords: acronyms, spanish-­‐‑italian translation, spanish acronyms, italianacronyms, acronym translation

Il problema della traduzione di sigle e acronimi rientra a pieno titolonell’orizzonte della traduzione specializzata, nella casistica – teorica epratica – che investe tanto i linguaggi settoriali in genere (giuridico-­‐‑economico, scientifico-­‐‑tecnico, giornalistico ecc.) quanto, in particolare,l’universo dei tecnicismi che contribuiscono ad arricchire e connotare talilinguaggi. Eppure il ricorso all’acronimia non solo risponde all’altocoefficiente di densità e pregnanza che i diversi settori professionali

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richiedono al proprio linguaggio tecnico e ai propri addetti ai lavori – sipensi, a puro titolo di esempio, all’abbondanza di sigle di cui ci si serve inmedicina (TAC, ECG, EEC ecc.) –, ma riflette anche, in linea più generale, latendenza alla sintesi e all’immediatezza che è alla base della linguastandard e del moderno universo della comunicazione. In tal senso,viviamo davvero in un’epoca di “scritture brevi”, in cui la rapidità delsistema comunicativo, il cosiddetto “tempo reale” in cui tutto è chiamato aconsumarsi, così come il brivido della velocità e della sintesi che permeaogni umana espressione, trovano uno strumento linguistico e una metaforaefficace proprio nel costante utilizzo della siglazione, che dal linguaggiodella politica a quello della scienza e dell’informazione funziona e seduceespressamente per la cripticità e al contempo la riconoscibilità del suocontenuto e dei suoi referenti. Sì, perché se pure certe sigle popolano inprimo luogo le varie lingue di specialità e risultano spesso oscure ai noniniziati, è pur vero che in molti casi quegli stessi acronimi vengono poiintegrati e decifrati nel sistema mediatico e di lì passano, ormai “in chiaro”,nel linguaggio comune. Se i grandi narratori dell’Ottocento – pensiamo aBalzac, a Dickens, a Galdós – pensavano il mondo come materia“romanzabile”, estensibile e declinabile all’infinito nelle sue dinamiche, alcontrario oggi abitiamo un tempo in cui tutto appare “abbreviabile”,sintetizzabile ed etichettabile attraverso sigle della più varia origine eprovenienza che, come dicevamo, superata l’oscurità iniziale,rappresentano una certezza culturale, un patrimonio rassicurante econdiviso da tutto il villaggio globale.

Nel rapporto tra le lingue, dunque, l’acronimia ha ormai un’importanzacentrale, che non soltanto si manifesta nei meccanismi di formazione di talimicrostrutture, che rispondono al pensiero linguistico, alle consuetudiniculturali e ideologiche del paese che le conia o le accoglie, ma che appareevidente anche nella sua traduzione, come fattore fondamentale dellarelazione che si stabilisce tra più universi linguistici e culturali. Le sigle,lungi perciò dall’essere esclusivamente un’espressione sintetica o unelemento dei differenti linguaggi tecnici, rappresentano un dato di realtà –quella che descrivono e sintetizzano –, più o meno comprensibile econdivisibile a livello internazionale e interlinguistico, e allo stesso tempoun elemento significativo di una cultura, sia essa specifica di un territorio,di un’area storica e geografica circoscritta oppure diffusa in misura piùampia. In questa prospettiva, pertanto, riteniamo che molti acronimipossano essere assimilati ai culturemi e che come tali vadano svincolati da

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una mera esistenza tecnica e funzionale: soprattutto certe sigle indicative diuna determinata realtà storica, politica, sociale assumono un valoreprecipuo nella definizione e nella conoscenza della nazione che le haprodotte e che le utilizza regolarmente e costituiscono uno snodo crucialenella comprensione e nella traduzione di tale universo culturale elinguistico. Se infatti è vero che la maggior parte degli acronimi diffusi nelmondo globalizzato sono di matrice anglosassone e che, più che incarnarecaratteristiche specifiche di tale cultura, costituiscono strutture di usogeneralizzato, di sicura riconoscibilità e agevole comprensioneinternazionale – si pensi a sigle come ONU, UEFA, CIA ecc. –, è altrettantomanifesto che ogni paese, ogni peculiare identità linguistica, dinanzi adesse si comporta in modo differente, accogliendole nella loro vesteoriginale o “nazionalizzandole” – è quanto osserveremo puntualmente nelcaso spagnolo –, ma soprattutto crea continuamente delle sigle proprie, chea volte sostituiscono in toto i referenti dell’acronimia globale o, più spesso,identificano determinate realtà nazionali, locali. E naturalmente, ai finidella traduzione, sono proprio queste ultime, cioè le microstrutture nonindividuabili e funzionanti su un piano internazionale, che creano imaggiori problemi di interpretazione e ancor più di resa linguistica tra dueo più lingue. Nell’analisi del rapporto spagnolo-­‐‑italiano, come vedremo,ciò è particolarmente evidente.

Come la traduzione nel suo complesso, pertanto, anche la traduzionedelle sequenze acronimiche, di un elemento in apparenza marginale,criptico, sintetico e “ristretto” all’interno del corpus lessicale, collabora asvelare analogie e differenze tra le lingue coinvolte a livello di abitudinimorfosintattiche, di prospettive culturali e perfino di istanze ideologiche.Nel rapporto tra spagnolo e italiano, ad esempio, ciò si può facilmenteosservare nel caso dell’acquisizione e riproposizione di sigle di originestraniera – dal punto di vista linguistico sono prestiti a tutti gli effetti –, lecui strategie di interpretazione (e di traduzione) mettono spesso in luce nonsolo le diverse consuetudini grammaticali di ogni idioma, ma anche ilpensiero linguistico e l’approccio culturale nei confronti dell’altro che essoporta con sé. Allo stesso tempo, però, anche nei confronti dell’acronimiatutta spagnola il processo traduttivo consente di esaminare tendenzelinguistiche e fattori culturali che animano i meccanismi di formazione diqueste strutture, che investono appunto l’orizzonte dei culturemi.

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E infine, non si può sottovalutare il discorso legato alla pragmatica dellatraduzione. Anche nei confronti dell’acronimia il contesto in cuil’operazione traduttiva viene effettuata ha un’importanza fondamentale. Sitratta, pertanto, di “mediare” tra testo e contesto, tra ciò che si traduce el’orizzonte di attesa, tra le esigenze di un determinato linguaggio e settoreprofessionale e quelle del luogo – testuale e situazionale – in cui latraduzione si produce, della tipologia e del destinatario di un testo e dellasua versione tradotta. Nel caso spagnolo-­‐‑italiano, ad esempio, i maggioriproblemi sorgono di fronte alle sigle di matrice ispanica, che non sempretrovano degli equivalenti funzionali al contesto di enunciazione e ricezioneitaliano e che spesso necessitano di esplicitazioni e soluzioni dicompromesso la cui opportunità e le cui modalità sono dettate proprio dalsingolo ambito testuale e settoriale nel quale si esercita la traduzione.

1. Questioni preliminari

1.1. Morfosintassi

L’uso delle sigle è ormai un fenomeno in grande espansione e, oltre adessere un punto critico del rapporto tra l’inglese e le altre lingue, suscitaspesso dubbi in merito alla natura e alla collocazione morfosintattica di talimicrostrutture nonché incertezze nella pronuncia e nella decodifica.

Richiamiamo in primo luogo la definizione che di sigla e acronimofornisce il Diccionario de la Real Academia Española (DRAE 2001):

sigla.

1. f. Palabra formada por el conjuntode letras iniciales de una expresióncompleja; p. ej., O(rganización de)

N(aciones) U(nidas), o(bjeto) v(olante)

n(o) i(dentificado), Í(ndice de) P(recios

al) C(onsumo).

acrónimo.

1. m. Tipo de sigla que se pronunciacomo una palabra; p. ej., o(bjeto)v(olador) n(o) i(dentificado).2. m. Vocablo formado por la unión deelementos de dos o más palabras,constituido por el principio de laprimera y el final de la última, p. ej.,ofi(cina infor)mática, o, frecuentemente,por otras combinaciones, p. ej., so(und)n(avigation) a(nd) r(anging), Ban(co)es(pañol) (de) (crédi)to.

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Al di là della sottile differenza individuata dal DRAE, la meradefinizione di sigla e acronimo non fornisce spunti particolari ai fini delrilievo morfosintattico e ancor meno dell’operazione traduttiva se non peril riscontro di una sostanziale omogeneità tra spagnolo e italianonell’utilizzo dei due termini, che in queste pagine useremoindifferentemente poiché di fatto sinonimi o comunque inquadrabili allostesso modo all’interno del discorso sulla traduzione. In ogni caso, perquanto riguarda la morfosintassi, va rilevato che tanto in spagnolo quantoin italiano esistono sigle che si comportano come sostantivi e finiscono perincorporarsi al lessico comune. È il caso di acronimi come láser (LightAmplification by Stimulated Emission of Radiation), radar e ovni, che in effetti anchenei loro equivalenti italiani – laser, radar e ufo – risultano pienamentelessicalizzati e perciò considerati vocaboli tout court, rispondenti in pienoalle regole della flessione e della sintassi. Queste sigle sono dunquediventate lessemi a tutti gli effetti, si sottraggono, in quanto ormai nomicomuni, a qualsiasi uso della maiuscola iniziale e recano anche una tildesecondo il sistema accentuativo dello spagnolo (láser) e sono pluralizzabili(láseres). Proprio perché presenti in entrambe le lingue, alcuni acronimilessicalizzati non pongono particolari problemi di traduzione (è il caso diradar, graficamente identico nei due idiomi), tuttavia in altri casil’interpretazione e la resa linguistica sono più problematiche, poichéspagnolo e italiano ricorrono a sigle diverse per indicare la medesima realtà(è il caso di ovni→ ufo).

1.2. Tendenze della lingua spagnola e italiana di fronte all’acronimia

Quest’ultimo discorso ci invita a considerare, ai fini di una coerente ecorretta traduzione degli acronimi, la differente tendenza che mostranospagnolo e italiano nei meccanismi di formazione delle sigle. Se appuntotorniamo all’esempio precedente, di fronte all’acronimo lessicalizzato dimatrice anglosassone ufo (Unidentified Flying Object), notiamo che initaliano tale sigla è ripresa in maniera integrale, mentre in spagnolo siricorre all’acronimo ovni (Objeto Volador No Identificado), che si generadalla traduzione letterale dei costituenti dell’espressione originale.Possiamo dire che spesso la lingua spagnola opera in tal modo di fronte asigle di origine straniera, ma al di là di questa tendenza generale nonmancano numerosi casi in cui, invece, anche in spagnolo troviamo lariproposizione immediata di un acronimo di provenienza inglese (ad es.

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FBI → FBI). In questa prospettiva, nella Grammatica spagnola di ManuelCarrera Díaz, che ha un dichiarato approccio contrastivo, il problema dellesigle è affrontato proprio nel paragrafo dedicato ai forestierismi. Notacorrettamente Carrera che tra spagnolo e italiano risulta

[…] diversa la procedura di formazione delle sigle provenienti da espressionistraniere. In italiano normalmente vengono prese di peso dalla lingua che le haconiate: NATO (North Atlantic Treaty Organization), AIDS (AcquiredImmunoDeficiency Syndrome). In spagnolo molte volte si traduce primal’espressione straniera e poi si forma la sigla: OTAN (Organización del AtlánticoNorte), SIDA (Síndrome de InmunoDeficiencia Adquirida), ma non sempre è così:anche in spagnolo la nota Central Intelligence Agency si conosce con la sigla CIA(Carrera Díaz 1997, 24).

L’atteggiamento delle due lingue dinanzi alle sigle di provenienzastraniera è dunque simile a quello che si ha con i prestiti, che appuntopossono essere integrali o adattati e che lo spagnolo tende spesso a“ispanizzare”, a omologare al proprio sistema grammaticale (ortografia,fonetica, genere ecc.). E ai fini della traduzione italiana, proprio la peculiareabitudine della lingua spagnola rispetto agli extranjerismos può in alcunicasi creare dei problemi di decifrazione al cospetto di acronimi che sononoti sul piano internazionale nella loro forma originale, ma che rischiano dirisultare criptici nella loro veste spagnola (si vedano gli esempi appenacitati: NATO→ OTAN; AIDS→ SIDA).

Problemi di decifrazione e interpretazione

Prima di osservare da vicino casistica e strategie della traduzioneitaliana degli acronimi che si riscontrano nella lingua spagnola, èopportuno richiamare alcuni strumenti che consentono una dettagliataricerca e un preciso scioglimento di tali sigle. In questa sede èimprescindibile segnalare soprattutto alcuni siti internet specializzati ealcune banche dati on line che non solo annoverano e decifrano unamplissimo repertorio degli acronimi più diffusi nell’universo ispanico, maspesso forniscono su questi ultimi anche notizie storiche e ulteriori dettagliutili alla loro interpretazione. Tra i più interessanti e completi siti web diquesto tipo va ricordato in primo luogo quello di Acronym finder

(http://www.acronymfinder.com). All’interno di questo portale è possibileindividuare agevolmente acronimi in varie lingue, e per moltissimi di essi è

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fornita anche una spiegazione etimologica e storica nonché, ove possibile, illink corrispondente. Si veda l’esempio del BOE spagnolo:

Boletín Oficial del Estado

The Boletín Oficial del Estado (BOE), Spanish for Official Bulletin of the State, is theofficial gazette of the Government of Spain. It publishes the laws of the CortesGenerales (the nation'ʹs legislature, comprising the Senate and the Congress ofDeputies) and the dispositions of the Autonomous Communities. Also, judicialrulings, royal decrees, and decrees of the Council of Ministers are published in it.From 1600 to 1900 was called the Gaceta de Madrid.See also

Boletín Oficial del Estado (Spanish Wikipedia)External links

Official website of the Boletín Oficial del Estado (BOE)

Vi è poi anche il sito di Acronyma (http://www.acronyma.com/), il cuidata-­‐‑base, per quanto ampio, appare tuttavia meno completo e capillare diAcronym finder. Molto utile è invece il Libro de Estilo Interinstitucionaldell’Unione Europea (Manuale interistituzionale di convenzioni redazionalidella UE), anch’esso disponibile on line(http://publications.europa.eu/code/es/es-­‐‑5000400.htm): si trovano qui i piùsignificativi acronimi del settore giuridico-­‐‑amministrativo nelle lingue deipaesi della UE, e la finestra di consultazione consente agevolmente dipassare da una lingua a un’altra, offrendo dunque la possibilità dicomparare i costituenti di una determinata sigla nei principali idiomieuropei. Dedicato specificamente alle regole dell’ortografia ispanica è poi ilsito di Reglas de Ortografía, che tra le varie sezioni ne ha una dedicataespressamente a sigle e acronimi diffusi in lingua spagnola(http://www.reglasdeortografia.com/siglasyacronimos.html). E infine,naturalmente, non si dimentichino neppure i vocabolari monolingui piùaggiornati, dal celebre DRAE, anch’esso dotato di versione on line(http://www.rae.es), al CLAVE, uno dei migliori dizionari d’uso(http://clave.librosvivos.net/), i quali comunque inventariano un numeromolto limitato di sigle (per lo più sono presenti gli acronimi lessicalizzati e

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più consolidati) e non consentono una decifrazione e comparazione diquesti ultimi in rapporto alle sigle straniere corrispondenti.

2. La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano

2.1 Problemi e casistica generale

Come detto, le sigle si possono trovare in qualsiasi ambito professionalee comunicativo, dalla giurisprudenza alla medicina, dalla pubblicitàall’industria. In un contesto pluridisciplinare e su un piano generale,limitatamente al problema della relazione e della traduzione spagnolo-­‐‑italiano, possiamo individuare tre tipi di sigle:

a) le sigle che hanno una precisa corrispondenza nella nostra lingua, perlo più di provenienza anglosassone (FIFA, ONU, CIA)

b) quelle che non hanno una corrispondenza in italiano perché legate aspecifiche realtà ispaniche (PSOE → Partido Socialista Obrero Español;LOGSE → Ley Orgánica de Ordenación General del Sistema Educativo;CCAA→ Comunidades Autónomas);

c) gli acronimi lessicalizzati e ormai parte integrante del vocabolario dientrambe le lingue (radar, láser, sónar).

a) Appartengono generalmente alla prima categoria le sigleinternazionali, circolanti nella più estesa realtà europea o mondiale. In certifrangenti, quando la sigla è di amplissima circolazione, è possibile cheentrambe le lingue la prendano con la formula del prestito non adattato:UEFA, UNESCO, UNICEF ecc. In questi casi, dunque, la lingua spagnolanon traduce la sigla per poi riproporla secondo il proprio sistemagrammaticale (come faceva invece nel caso di ovni rispetto a ufo), ma lariprende integralmente. Ad ogni modo, anche quando lo spagnolo traducel’acronimo straniero per poi coniarne un equivalente nazionale, nellamigliore delle ipotesi c’è una totale coincidenza tra le due lingue: è il casodi FMI, che a fronte della sigla originale inglese (IMF) vale sia per FondoMonetario Internacional sia per Fondo Monetario Internazionale; oppure di

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ONU, che traduce sia Organización de las Naciones Unidas sia Organizzazionedelle Nazioni Unite. Ovviamente, esempi di questo tipo non generano alcunproblema di traduzione in italiano.

In altre occasioni, tuttavia, e soprattutto con sigle di derivazioneanglosassone, può darsi che lo spagnolo adatti la sigla e l’italiano no. Adesempio, l’inglese AIDS (Acquired Immuno Deficiency Syndrome) passa nellanostra lingua con il medesimo ordinamento di parole della sigla originale,anche se quando capita di sciogliere l’acronimo diciamo «Sindrome daImmuno-­‐‑Deficienza Acquisita»; in spagnolo, invece, AIDS diventa SIDA, ilcui ordine riflette la traduzione e l’adattamento al proprio sistemalinguistico (Síndrome de Inmuno-­‐‑Deficiencia Adquirida). In questo modofunzionano moltissimi acronimi diffusi nella lingua spagnola, e proprio ilcampo della medicina sembra essere in tal senso un territorio fertile perquesta tendenza e per evidenziare le diverse abitudini tra spagnolo eitaliano, che per lo più riprende la dicitura e l’acronimo inglese, abitudiniche naturalmente invitano a porre particolare attenzione nel momentodell’interpretazione e della traduzione. Si veda giusto qualche altroesempio:

Italiano:

HIV (Human Inmunodeficiency Virus)

RNA (Ribonucleic Acid)RES (Reticuloendothelial system)STD (Sexually transmitted disease)

WBC (White blood cell count)

Spagnolo:

VIH (Virus de la inmunodeficienciahumana)ARN (Ácido ribonucléico)SRE (Sistema reticuloendotelial)ETS (Enfermedad de transmisiónsexual)RL (Recuento de leucocitos)

In generale, sul fronte della resa linguistica proprio la tendenza alla“ispanizzazione” degli acronimi di matrice anglosassone può far sì chealcune sequenze appaiano di difficile riconoscibilità – specialmente se nonsi ha esperienza del contesto di enunciazione di queste ultime e dell’ambitolinguistico e professionale di riferimento –, mentre in realtà nascondono lesigle di più comune dominio. Nei casi più eclatanti, comunque, un

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semplice vocabolario bilingue aiuta a sciogliere l’acronimo e a ricondurlo alpiù familiare ambito italiano. In altre occasioni, invece, ai fini di unacorretta disambiguazione e della successiva riproposizione in italiano dellasequenza occorre ricorrere alla consultazione di quei vocabolarimonolingui che contengono un regesto delle sigle più conosciute e usateoppure ai dizionari bilingui generali e di settore1; ma in genere risultanopiù efficaci gli strumenti del web, dai forum ai diversi corpora linguistici ealle varie banche dati on line a cui abbiamo fatto riferimento, fino ai veri epropri traduttori on line2, che in certi casi danno esiti soddisfacenti.

b) Possono essere inseriti nel secondo gruppo quegli acronimi spagnoliche mancano di una corrispondenza a livello internazionale e che,ovviamente, non hanno degli equivalenti italiani immediati. Sono sigle deltipo: INEM (Instituto Nacional de Empleo); TAPEA (Texto Articulado delProcedimiento Económico Administrativo); o il già ricordato BOE (BoletínOficial del Estado). In questi casi la realtà espressa dalla sigla fa riferimentoesclusivamente al contesto storico, politico, sociale spagnolo e pertantol’acronimo può essere considerato alla stregua di un culturema. Va da sé checercare o ideare una sigla equivalente italiana sarebbe una forzatura: il BOEspagnolo, che pure ha la medesima funzione della Gazzetta Ufficialeitaliana, non può tradursi e “abbreviarsi” in GU e necessita di una strategiadi resa e spiegazione differente. Inoltre, la sigla ha un suo valore pregnanteche non può essere alterato, e non è pertanto praticabile neppure la stradadi adattare le lettere secondo i principi linguistici italiani riproducendone leiniziali tradotte: una sigla *BUS (Bollettino Ufficiale dello Stato) per renderein italiano il BOE non è naturalmente accettabile né a livello teorico né

1 Giusto per fare un esempio legato a un linguaggio settoriale ampio e differenziato, sul frontegiuridico-­‐‑amministrativo ricordiamo il Dizionario commerciale, a cura di A. M. Gallina, Milano,Mursia, 1992; il Dizionario giuridico: italiano-­‐‑spagnolo, español-­‐‑italiano, a cura di Luigi Di Vita eMaria Gabriella Piemonte, Milano, Giuffrè, 2001; e il più recente Dizionario spagnolo economico& commerciale, a cura di L. Tam, Milano, Hoepli, 2006.2 Tra i forum generali, per altro orientati al confronto tra diverse lingue, menzioniamo ilcelebre WordReference (http://www.wordreference.com) e il sito http://www.proz.com/search,in cui è possibile reperire interessanti suggerimenti relativi soprattutto all’ambito giuridico.Per le banche dati ci siamo limitati alla raccolta dell’Eurodicautom (http://iate.europa.eu),vincolata per lo più al linguaggio della burocrazia internazionale, e, limitatamente a sigle eacronimi, al già ricordato sito di Acronym finder (http://www.acronymfinder.com), ma ulterioriindirizzi sono localizzabili nel libro di Bruno Osimo, Traduzione e nuove tecnologie, Milano,Hoepli, 2001. Infine, di fronte all’acronimia più semplice e invalsa, può risultare utile perfino iltraduttore automatico del noto motore di ricerca Google (http://translate.google.com).

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pratico, poiché tra l’altro non risolverebbe il problema della riconoscibilitàe della corretta interpretazione nel contesto di arrivo. In questi casi, èpreferibile di norma mantenere la sigla spagnola nella sua integralità,riservando lo scioglimento del suo significato tra le righe, in una parentesiseguente o in una nota al testo.

c) Infine, la traduzione spagnolo-­‐‑italiano degli acronimi lessicalizzati èin linea di massima agevole, poiché essi sono ormai entrati a far parte dellalingua standard o di certi linguaggi di settore in entrambi gli idiomi. Questiacronimi per lo più provengono dall’inglese, dove anche hanno assunto ilvalore di lessemi a tutti gli effetti, e sono per lo più introdotti nelle duelingue come prestiti integrali (radar→ radar, sónar→ sonar, quásar→ quasar

ecc.), il che appunto, con le dovute eccezioni (è il caso più volte ricordato diovni→ ufo), non crea particolari problemi traduttivi.

2.2. Ipotesi per una casistica puntuale della traduzione italiana diacronimi in lingua spagnola

Se affrontiamo sistematicamente e capillarmente il problema della resain italiano degli acronimi e delle sigle diffuse nella lingua spagnola,possiamo ricostruire un quadro piuttosto ampio e articolato che non solodà conto di una casistica complessa, ma offre anche tutta una serie dispunti utili ai fini di una traduzione efficace sul piano interlinguistico epragmalinguistico. Si tratta di un’analisi sistematica che ha a che vederecon la pratica concreta della traduzione, spesso dettata dalle necessità di undeterminato ambito professionale, e che allo stesso tempo investe questionipiù generali di teoria e metodologia della traduzione. Certo, non è nostraintenzione enunciare qui assunti definitivi, e tantomeno fornendo unquadro che, per quanto omogeneo, non può pretendere di essere esaustivoa fronte della continua proliferazione ed espansione dell’acronimia neltessuto della comunicazione linguistica internazionale, di cui Spagna eItalia rappresentano esclusivamente due realtà circoscritte; tuttavia,proprio la serie degli esempi che proponiamo consente a nostro avviso diottenere una buona dose di esperienza e dimestichezza e può fornire altraduttore elementi utili a valutare e operare le proprie scelte. In primoluogo, è il caso di dividere l’insieme in due grandi categorie: le sigleinternazionali e le sigle spagnole.

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Nel primo caso, come ricordato in più occasioni nel corso di questepagine, il problema della formazione dell’acronimo in lingua spagnola edella sua traduzione italiana va inquadrato all’interno del comportamentodi ogni idioma nei confronti dei forestierismi e dei prestiti. È quanto cercadi sintetizzare lo specchietto seguente, che appunto in tal senso dà contodella versione spagnola dell’acronimo straniero e del suo equivalenteitaliano.

2.2.1. Sigle internazionali

prestito non adattato con equivalente identico:

CIA→ CIAUEFA→ UEFAFIFA→ FIFAInterpol→ InterpolLáser→ Laser

prestito adattato con equivalente identico:

FMI (Fondo Monetario Internacional)→ FMI (Fondo MonetarioInternazionale)ONU (Organización de las Naciones Unidas)→ ONU (Organizzazionedelle Nazioni Unite)

prestito adattato con equivalente difforme:

ACNUR (Alto Comisionado de Naciones Unidas para los Refugiados)→UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees)VIH (Virus de Inmunodeficiencia Humana)→ HIV (Human ImmunodeficiencyVirus)OCDE (Organización de Cooperación y Desarrollo Económicos)→ OCSE(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)OMG (Organismo Modificato Genéticamente)→ OGM (OrganismoGeneticamente Modificado)

Come può notarsi, la casistica contempla sia esempi di cui abbiamoampiamente discusso sia altri casi, quali i diversi adattamenti che spagnoloe italiano propongono di un acronimo di provenienza straniera. A tal

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proposito, in particolare si noti che nel caso delle sigle che in spagnolorisultano dei prestiti adattati con equivalente difforme – il terzo caso quiproposto –, l’italiano tende in alcuni frangenti a mantenere la siglad’origine senza tradurla (ad es. UNHCR), in altri a proporre una propriaversione adattata dell’acronimo di partenza (ad es. OCSE).

Nel caso delle sigle di origine spagnola, che dunque anche nella loroveste grafica e nella loro morfologia rispondono appieno alle consuetudinigrammaticali del proprio idioma, il problema della traduzione italiana si fapiù complicato, anche perché la resa puntuale dell’acronimo non investesolamente la dimensione linguistica, ma anche quella culturale, che per suanatura ha in sé una rete di implicazioni e sfumature molto fitta. Inoltre, lacasistica di sigle che offriamo di seguito permette di commentare svariatiaspetti delle problematiche traduttive che non riguardano soltanto la sferadell’acronimia, ma che rimandano anche a dinamiche più generali che siinnescano, in maniera consueta o inattesa, nella traduzione dallo spagnoloall’italiano.

2.2.2. Sigle spagnole

acronimo spagnolo con equivalente e significato identici:

MAE (Ministerio de Asuntos Exteriores)→MAE (Ministero degli AffariEsteri)IVA (Impuesto sobre el Valor Añadido)→ IVA (Imposta sul ValoreAggiunto)

acronimo spagnolo con equivalente difforme ma significato identico:

PNB (Producto Nacional Bruto) o PIB (Producto Interior Bruto)→ PIL(Prodotto Interno Lordo)OIEA (Organismo Internacional de Energía Atómica)→ AIEA (AgenziaInternazionale per l’Energia Atomica)INSS (Instituto Nacional de Seguridad Social)→ INPS (Istituto NazionalePrevidenza Sociale)

acronimo spagnolo con equivalente identico e significato differente:

ETS (Enfermedad de Transmisión Sexual) ≠ ETS (Edizioni Universitarie –Pisa)

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CEI (Comunidad de Estados Independientes o Consejo Europeo deInvestigación) ≠ CEI (Conferenza Episcopale Italiana)MEC (Ministerio de Educación y Cultura o Marco Europeo deCualificaciones) ≠ MEC (Mercato Comune Europeo)

acronimo spagnolo con equivalente difforme ma con funzione e significato

analoghi:

AVE (Alta Velocidad Española)→ TAV (Treno ad Alta Velocità)CSIC (Consejo Superior de Investigaciones Científicas)→ CNR (ConsiglioNazionale delle Ricerche)RENFE (REd Nacional de FErrocarriles)→ FFSS (Ferrovie dello Stato)BOE (Boletín Oficial del Estado)→ GU (Gazzetta Ufficiale)

acronimo spagnolo senza equivalente in italiano:

a) realtà storico-­‐‑politica:

GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación)

ETA (Euskadi Ta Askatasuna)

b) realtà storico-­‐‑culturale:

RAE (Real Academia Española)

c) realtà socio-­‐‑culturale:

BUP (Bachillerato Unificado Polivalente)ESO (Enseñanza Secundaria Obligatoria)

d) realtà geo-­‐‑politica e amministrativa:

CCAA (Comunidades Autónomas)

Diversi sono i rilievi che si possono formulare a fronte di talesuddivisione che, per quanto arbitraria e inedita, ci sembra poterriassumere gran parte della casistica in oggetto. In primo luogo, sul frontedella ricerca e del lavoro traduttivo, è opportuno rilevare che se pure

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ognuno dei gruppi in cui abbiamo suddiviso le sigle spagnole presenta uncoefficiente di difficoltà variabile ai fini della decifrazione e dellasusseguente traduzione italiana di ognuna di esse, tuttavia una ricercaattraverso i siti web e gli strumenti lessicografici più adeguati consente altraduttore di individuare con un sufficiente margine di certezza la realtàstorica e culturale a cui l’acronimo spagnolo rinvia e quindi di guidare laversione italiana nella giusta direzione. Per una disambiguazione e unaresa linguisticamente e culturalmente efficace della sigla spagnola apparepoi sempre decisivo, come abbiamo già rimarcato, il contesto dienunciazione del testo di partenza, che consente dapprima al traduttore disciogliere e interpretare l’acronimo originale e quindi di riproporloadeguatamente nel proprio universo linguistico e culturale. Il terzo gruppo,ad esempio, annovera di fatto una sorta di “falsi amici” acronimici, cioèdelle sigle che, se non ben analizzate e contestualizzate – non tantolinguisticamente, ma tematicamente e a livello di referente –, possonocreare non pochi imbarazzi in sede di traduzione (si vedano gli esempi CEIe MEC). L’orizzonte referenziale del testo è pertanto centrale nella correttalettura di certe sigle, e ciò risulta particolarmente evidente quando unamedesima sequenza rimanda a più significati, a differenti realtà. Maquestioni di pragmatica ovviamente entrano in gioco anche a propositodelle strategie con cui tradurre un determinato acronimo nel contesto diricezione, tanto all’interno delle dinamiche testuali e grammaticali dellalingua d’arrivo quanto nel sistema storico, culturale e sociale in cui latraduzione viene proposta. In questo senso, come dicevamo poco sopra,alcune sigle acquisiscono a tutti gli effetti il valore di culturemi e a livello ditraduzione vanno trattate come tali, con tutte le difficoltà di interpretazionee resa linguistica che ciò comporta. Se si prende la casistica degli ultimi dueinsiemi, è innegabile che la traduzione dell’acronimia coinvolga sia aspettistrettamente linguistici e grammaticali sia più complesse questioniculturali. Anche se nel primo dei due a fronte dell’acronimo spagnoloabbiamo azzardato degli equivalenti italiani sul piano semantico efunzionale, è ovvio che le sigle italiane rispetto agli originali non possonoessere proposte come delle traduzioni in senso stretto, tecnico: nell’ottica diuna versione che sappia mediare tra un testo e soprattutto un contesto dipartenza e uno di arrivo, come spiegavamo, non è praticabile la resa diBOE con GU, e tantomeno quella di AVE con TAV, per il semplice fatto chele realtà individuate da dette espressioni, pur svolgendo funzione analoganei due paesi ed essendo sovrapponibili anche a livello concettuale, non

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sono del tutto equivalenti, poiché incarnano valori culturali differenti. Nelcaso di AVE (Alta Velocidad Española), ad esempio, nell’aggettivo chesottolinea la “spagnolità” del progetto crediamo di poter leggere uninvestimento ideologico e una rivendicazione di orgoglio nazionale che èsenz’altro assente, o comunque neutralizzata, nell’equivalente dicituraitaliana (TAV = Treno ad Alta Velocità). È così che in sede di traduzione èraccomandabile riproporre la sigla originale – che nell’italianoassumerebbe le caratteristiche di un prestito integrale – e tradurlaspiegandola tra le righe o in nota (ad es. «i progressi dell’AVE, la retespagnola di treni ad alta velocità, hanno ridotto le distanze tra le principalicittà iberiche»; oppure, per analogia acronimica, «i progressi dell’AVE, laTAV spagnola, hanno ridotto le distanze tra le principali città iberiche» ecc.).Ancora più complesso è l’ultimo gruppo di acronimi proposti, poiché essi,rinviando alla specifica realtà ispanica nei suoi aspetti storici, politici esociali, non hanno, non possono avere degli equivalenti italiani, neppurecome semplici analoghi funzionali e semantici. Di fatto, in ottica traduttiva,in questo frangente il problema riguarda sia la corretta interpretazionedella sigla sia le ipotesi di una sua riproposizione. È ovvio che nellamaggioranza dei casi si dovrà lasciare inalterato l’acronimo spagnolo e,come nel caso precedente, offrire eventualmente un inciso oun’annotazione esplicativa: le sigle GAL o ETA rinviano a realtà dellastoria politica della Spagna degli ultimi anni e come tali vanno preservate epresentate anche nel testo italiano (tra l’altro, il movimento terroristicodell’ETA è ormai tristemente famoso da tempo anche in Italia). In altri casi,invece, come con ESO, dal momento che la sigla identifica in manieragenerale una realtà presente anche in Italia – il sistema dell’istruzioneobbligatoria – e non ci sembra avere in sé un valore connotativo al di làdell’abbreviazione dettata dai rituali della burocrazia (EnseñanzaSecundaria Obligatoria), in italiano si può anche pensare di non ripeterel’acronimo e scioglierlo nella sua traduzione, proponendo direttamente ladicitura «scuola dell’obbligo» o «istruzione obbligatoria» (ad es. «in Spagnaal termine della scuola dell’obbligo, lo studente è chiamato a scegliere unindirizzo successivo di ambito scientifico o umanistico»).

3 . Conclusioni

In base alla serie di esempi e riflessioni proposte, nella traduzione disigle e acronimi dallo spagnolo all’italiano emerge in primis la necessità di

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tenere in considerazione non soltanto il fronte dell’equivalenza linguistica,ma anche quello dell’equivalenza culturale, quel sistema di valoriextralinguistici – storici, sociali, politici ecc. – a cui l’acronimia, in modo piùo meno scoperto, frequentemente rimanda e che la traduzione non puòtrascurare nel momento della sua riproposizione nel contesto di arrivo. Dalpunto di vista grammaticale, dato che spagnolo e italiano sono lingueaffini, esse hanno un comportamento simile per quanto riguarda lemodalità di lessicalizzazione dell’acronimo e le sue caratteristichemorfologiche, fattore che semplifica le dinamiche della resa traduttiva, adesempio anche nel mantenimento frequente del genere e del numero dellasigla originale: in entrambi gli idiomi si dice una ONG; las ONGs → le

ONG; la FIFA; el SIDA → l’AIDS ecc. E sempre in relazione al principio diequivalenza linguistica, se da un lato va sottolineato che spagnolo e italianotendono a lessicalizzare più o meno gli stessi acronimi, soprattutto quandoquesti ultimi hanno origine straniera – e ciò favorisce naturalmente latraduzione –, dall’altro invece, come abbiamo visto, nel caso di alcune sigletipiche del contesto spagnolo, l’italiano non sempre è in grado di produrreun’equivalenza linguistica immediata (GAL → ?, CCAA → ?), ma spessopuò ugualmente reperire degli equivalenti semantici e concettuali (AVE →TAV, RENFE → FFSS), i quali comunque in sede di traduzione nonpossono funzionare automaticamente e necessitano di una spiegazioneulteriore. Di fatto, questi ultimi esempi verificano la possibilità diconsiderare alcuni acronimi alla stregua di culturemi, i quali in quanto talinel processo traduttivo implicano la considerazione di tutta una serie difattori extralinguistici che, come abbiamo sottolineato, non possono essereignorati o, peggio, scavalcati nel momento del passaggio dallo spagnoloall’italiano. La traduzione delle sigle, pertanto, implica le dinamiche dellatrasmissione e della relazione culturale tra due o più mondi, che appunto siconfrontano sia sul piano strettamente linguistico sia su quello dellapropria storia e delle proprie dinamiche sociali, economiche e politiche. Inquesto senso, al di là della frequenza d’uso all’interno di un determinatocampo tematico o settore professionale, al di là della vocazione sinteticapropria della lingua della comunicazione burocratica o massmediatica,l’acronimia va considerata come parte integrante del patrimonio storico eculturale di un determinato orizzonte, sia esso legato alla sfera dei rapportiglobali, sia esso circoscritto al rapporto tra due paesi.

In secondo luogo, fondamentale ai fini di una corretta disambiguazionee resa dell’acronimia è sia il contesto linguistico sia quello referenziale in

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cui la sigla si inserisce. È un problema di pragmatica della traduzione checoinvolge sia la tipologia testuale in cui l’acronimo appare sia i suoidestinatari privilegiati. Senza ribadire quanto detto a propositodell’importanza di una conoscenza dei diversi linguaggi e ambiti tecnici,per una resa puntuale delle sequenze acronimiche, è ovvio che ad ogni tipodi testo si addica una traduzione specifica e in linea con le esigenze disettore, che della sigla non fornisca soltanto una mera equivalenzalinguistica, ma tutto il suo portato culturale e la sua funzionalitàcomunicativa e professionale. Di fatto, in un testo di ambito politico-­‐‑amministrativo, ad alto coefficiente di rigore e ufficialità, è consigliabileuna riproposizione integrale della sigla – che a questo punto entrerebbe neltessuto linguistico come un prestito non adattato – con un’eventualespiegazione tra parentesi o in una nota esplicativa che sciolga la sigla e nechiarisca il significato («il PNV (Partito Nazionalista Basco) ha presentato unamozione d’ordine…»). Al contrario, in testi che appartengono al mondodell’informazione o del giornalismo, in cui l’acronimia ben si sposa con lasintesi e l’immediatezza spesso richiesta ai mezzi di comunicazione dimassa, di fronte alla sigla presente in un brano spagnolo in certi frangentisi può ricorrere direttamente all’utilizzo del suo omologo italiano (PNB:Producto Nacional Bruto → PIL: Prodotto Interno Lordo) o, naturalmente,della sigla equivalente valida a livello internazionale (OTAN → NATO). Inaltri casi, quando la sigla identifica una specifica realtà ispanica(culturema), si ricorre spesso a soluzioni di compromesso in linea con imanuali di stile che le principali testate compilano a favore dei propriredattori e che di fatto richiamano le strategie già più volte riscontrate,introducendo una immediata spiegazione dell’acronimo, obbligatoriaquando si ha la prima occorrenza della sigla (ad es. «sul BOE, il Bollettinoufficiale dello stato spagnolo, l’equivalente della Gazzetta Ufficialeitaliana,…»).

Infine, per quanto riguarda gli strumenti utili all’interpretazione e allatraduzione degli acronimi dallo spagnolo all’italiano, contrariamente aquello che si potrebbe pensare, risultano poco funzionali i grandi dizionaribilingui e monolingui (generali e tecnici), che di fatto annoveranosolamente gli acronimi più conclamati e che, dal momento che molte siglesono da considerarsi alla stregua di prestiti non sempre “adottati” dallalessicografia ufficiale, lasciano ai margini tutto un universo di acronimi acui invece il sistema della comunicazione globale ricorre costantemente ecopiosamente. Più utili, se usati con intelligenza e scaltrezza, possono

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essere invece i Manuali di convenzioni redazionali delle principaliorganizzazioni internazionali (si pensi al già menzionato Libro de estilo dellaUE), che offrono la possibilità di passare da una lingua a un’altra congrande rapidità. Ma soprattutto è opportuno segnalare i già ricordatiportali e siti internet dedicati espressamente agli acronimi internazionali(ad es. Acronymfinder) e spagnoli in particolare (ad es. Reglas de Ortografía),che forniscono dettagli importanti ai fini dello scioglimento e della correttaesegesi di questi ultimi. E infine, sul fronte specifico della traduzione, alcospetto delle sigle più semplici, non vanno neppure snobbati alcunitraduttori automatici diffusi nel web: uno di questi è il già ricordatotraduttore di Google (http://translate.google.it) che, poco utile in lineagenerale, limitatamente agli acronimi più noti e diffusi può offrire risultativeloci e sorprendenti.

Matteo Lefèvre

[email protected]

Bibliografia

Carrera Díaz 1997Carrera Díaz Manuel, Grammatica spagnola, Roma-­‐‑Bari, Laterza.

DRAE 2001Diccionario de la Real Academia Española, Madrid, RAE, XXII ed., versiónon line (http://buscon.rae.es/draeI/)

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Forme e modi delle scritture brevi di oggi

Felicia Logozzo

Abstract

Il contributo propone una classificazione delle scritture brevi dell’italiano,individuate all’interno di un corpus di Twit, sulla base di criteri intrinseci alle formedelle abbreviazioni e di criteri basati sul rapporto tra le forme scritte stesse el’oralità della lingua.

Parole chiave: scritture brevi, lingua orale e lingua scritta, lingua italiana

This paper offers a classification of short forms of written Italian, identified in acorpus of Twits. The classification is based both on their formal features and ontheir relations with oral language.

Keywords: short writings, oral and written language, Italian language

Quando si è deciso di intraprendere la ricerca sulle scritture brevi, si èposta come prima esigenza quella di individuare un corpus dal qualepartire.

Un corpus di lingua viva presenta delle problematicità insite nella suastessa natura perché non è circoscritto nel tempo e nello spazio, non èdefinito ed è in continua evoluzione. In particolar modo, testi provenientida scambi di SMS e da chat non sono facili da reperire, soprattutto se sivuole che provengano da un numero sufficientemente alto di parlanti daessere rappresentativi dei fenomeni da analizzare.

Per aggirare il problema, si è deciso di scegliere come fonte Twitter, unservizio gratuito di social network e microblog che permette agli iscritti,tramite l’aggiornamento della propria pagina personale con testi dimassimo 140 caratteri, di scambiarsi in tempo reale messaggi di qualunquetipo. Pur essendo anche esso un servizio di instant messaging ha, rispettoad altre chat e agli SMS, un grosso vantaggio dal nostro punto di vista: ogni

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nuovo account è impostato automaticamente come “profilo pubblico”1 e,considerato che non tutti gli utenti si prendono la briga di inserire dellerestrizioni di privacy, moltissime conversazioni possono essere lette dachiunque. Per creare il corpus non è stato necessario quindi reperiremateriale custodito su cellulari e computer privati, ma è stato sufficienteeffettuare una ricerca mirata su Twitter.

Il motore di ricerca interno di Twitter non permette tuttavia diselezionare la lingua dei testi tra i quali indagare; molte abbreviazioni,estremamente diffuse in italiano, hanno dato, di conseguenza, risultati inaltre lingue in cui una certa sequenza di simboli ha tutt’altro valorelinguistico, e dunque inservibili. Inserendo però, non solo parole singole,ma anche sequenze di parole abbreviate -­‐‑ vd dmn (vado domani), scste(scusate), qll (quell-­‐‑), c gg (ci… oggi), cs fai (cosa fai), prp ora (proprio ora),sn tt (sono tutt-­‐‑), smp qst (sempre quest-­‐‑), tt ftt (tutto fatto), bellix (bellissi-­‐‑) -­‐‑si è riusciti a ottenere un gran numero di conversazioni, in lingua italiana,riccamente farcite di abbreviazioni, dalle quali sono state selezionate eanalizzate in maniera del tutto casuale circa 30 pagine di conversazioni dicui qui si riportano alcune righe a mero titolo esemplificativo, tratte dalprofilo di K4T3R1N4_932.

• vbb storia pure io me la rivedo meglio dmn ke gg ho ftt finoanerone-­‐‑... ohi ale io vd ci vediamo dmn mattina kisss

• io nn so francese uffaaaaaaa :(• sei sveglia di piè?

1 Tali sono le impostazioni del social network alla data di creazione del presente contributo(febbraio 2011).2 Da notare la scelta del nickname della ragazza K4T3R1N4_93 = KATƎRINA che mantienemolto probabilmente il suo nome di battesimo ma lo trascrive alternando alle consonantialcuni numeri, per la loro somiglianza formale rispettivamente alle vocali A, E (rovesciata) e Idell’alfabeto latino. Non si tratta naturalmente di un espediente abbreviativo, quanto piuttostodi un elemento per così dire stilistico che rimane confinato nella scrittura, non modificando inalcun modo la realizzazione fonetica della parola. Spesso infatti la manipolazione dellinguaggio e della scrittura di elementi delle lingue può essere ricondotta esclusivamente a finiludici. E’ anche attraverso le scelte scrittorie, all’interno di un contesto di comunicazioneinformale tra pari quali effettivamente si rivelano essere solitamente le conversazioni via chato via SMS, che il parlante/scrivente può concretizzare la sua creatività linguistica, primomotore universale del mutamento e dell’evoluzione delle lingue, manifestando la propriaoriginalità ed individualità o anche l’appartenenza ad un gruppo di parlanti/scriventi colquale condividere gli stessi “gusti” scrittori. Per la funzione ludica del linguaggio in generalesi veda Crystal 1998; per gli aspetti ludici delle scritture brevi si veda Crystal 2008, 71 e ss.

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Forme e modi delle scritture brevi di oggi194

• :D :D• Anke io :)• però io vengo a fare colazione cn voi :)• Ohi allò dmn mattina confermato x le otto al terminal? lau forse

prende qll dll 8 quindi ci ved al term alle 9 -­‐‑ 1 quarto• Notteeeee popolo di

twitteeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeer :D

I brani analizzati sono particolarmente marcati in senso diamesico ediafasico e, per chi non è allenato a questo tipo di scrittura e di testualità,possono risultare difficili da leggere, da seguire e da comprendere. Non cisi vuole qui occupare della loro analisi testuale (tanto ci sarebbe da dire delcontinuo code switching, di caratteri morfologici e sintattici, se non anchefonetici, attribuibili a varianti regionali, ecc.) quanto piuttosto dell’utilizzodi forme di scritture brevi.

Di queste, non saranno oggetto di analisi quelle entrate nell’usocomune, diventate abbreviazioni di tutti -­‐‑ più o meno longeve che siano3 -­‐‑quanto piuttosto quelle che sono per il momento abbreviazioni di gruppi eche sono strettamente correlate alla Computer Mediated Communication(CMC)4 e agli SMS, ovvero contesti comunicativi caratterizzati dallacombinazione di due o più tra i seguenti fattori (cfr. anche Crystal 2006,Bazzanella 2003):

-­‐‑ brevità , se i caratteri a disposizione sono di numero limitato o seci sono esigenze di digitare il minor numero di caratteri perfavorire la velocità di scrittura e, soprattutto nel caso di programmidi instant messaging, di interazione e scambio5;

-­‐‑ informalità intesa come scarsa o nulla esigenza di rispetto deglistandard linguistici e scrittori, favorita dal contesto dellainterazione tra pari in condizioni di comunicazione colloquiale;

-­‐‑ scarsa o nulla pianificazione del testo;

3 Per sigle e abbreviazioni di uso comune si veda, all’interno di questo volume, il contributo diLucia Di Pace e Rossella Pannain.4 Per il ruolo della tecnologia nella comunicazione attraverso la lingua si veda Poe 2010.5 L’esigenza di brevità non è strettamente correlata alla velocità di produzione di cui puòrappresentare invece un ostacolo. E’ il caso degli SMS in scriptio continua del tipo“oggiSnAndAllUniMaNnCeraLezXkèIlProfEMalato” che impongono un faticoso alternaremaiuscole e minuscole per delimitare le varie parole.

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-­‐‑ pianificazione non tradizionale del testo ovvero elaborazionevolontaria di neologismi, strutture sintattiche non standard e formegrafiche, anche estremamente elaborate, manifestazione non diincompetenza ma di forte creatività linguistica e riflessionemetalinguistica6;

-­‐‑ code switching;-­‐‑ elaborazione di testi di supporto a comunicazioni audio-­‐‑video,

ovvero uso contestuale con lo stesso interlocutore di chat e video-­‐‑chat, siano esse messe a disposizione da un unico strumento(Skype, MSN), siano esse frutto dell’abbinamento simultaneo dichat e video-­‐‑chat di diversa origine.

Prima di procedere ad una classificazione è bene precisare che non siabbrevia sempre per necessità e non solo per necessità.

La pratica delle scritture brevi, che nasce, in prima istanza, comeesigenza concreta di risparmio di spazio per la CMC e gli SMS, sitrasferisce presto a tutti i testi che si collocano nella stessa posizioneall’interno del diasistema, ovvero testi elettronici elaborati da una certacategoria di parlanti in un contesto informale di condivisione tra pari diinteressi, pensieri e sensazioni. L’operazione di abbreviazione diventaquindi consuetudine, marca sociolinguistica di un determinato tipo di testia prescindere dalle reali esigenze di economia7.

Se si osservano casi di twit quali: “io nn so francese uffaaaaaaa :(” o“strabll!! =)”, il primo dei quali occupa solo 30 caratteri dei 140 disponibili eil secondo addirittura 12, ci si rende conto facilmente del fatto che le formenn invece di “non” e strabl al posto del completo “strabiliante” siano da

6 David Crystal (2008, 151 e ss.) ritiene che i nuovi mezzi di comunicazione hanno messo incondizione i parlanti/scriventi di manifestare al meglio le proprie creatività e competenzalinguistiche e sottolinea, con dati quantitativi, che chi scrive SMS, nella quasi totalità dei casi, èperfettamente consapevole di utilizzare occasionalmente delle varianti grafiche (e piùgenericamente linguistiche), legate al mezzo in questione, ed è lungi dal confondere i variregistri a sua disposizione. Piuttosto è probabile che chi non ha una buona dimestichezza conla lettura e la scrittura non sia in grado di sfruttare al meglio le possibilità linguistiche che letecnologie offrono: “The arrival of Netspeak is showing us homo loquens at its best” (Crystal2006, 276).7 Lorenzetti&Schirru 2006 parlano, a questo proposito di “gergalismi grafici”(Lorenzetti&Schirru 2006, 82).

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considerare senza dubbio abbreviazioni “di lusso”, e non certo “dinecessità” (volendo utilizzare una tradizionale distinzione terminologicaapplicata solitamente ai prestiti). Dal punto di vista formale le prime sonocertamente identiche alle seconde ma non sono giustificabili in termini diesigenze immediate di economia, tanto più se si pensa che, nel caso delprimo twit, chi scrive “spreca” ben 6 caratteri per enfatizzare conuffaaaaaaa8 l’insofferenza verso il francese e la propria impreparazione.

Le abbreviazioni di lusso – nella maggior parte dei casi dovute solo alleabitudini scrittorie di chi produce il messaggio o create per gioco -­‐‑ nonsono riconducibili a esigenze di economia nell’applicazione tradizionale diquesto termine alla scrittura, intesa come risparmio di spazio, ma possonotalvolta più probabilmente essere considerate economiche in termini ditempo necessario allo scrivente per trasmettere un messaggio,salvaguardando al contempo la comprensibilità dello stesso, vale a direottenere un segno comprensibile con il minor numero di digitazioni:sarebbe stato inutile infatti digitare n-­‐‑o-­‐‑n quando due digitazioni sullostesso tasto n-­‐‑n non modificano per nulla il messaggio e la sua leggibilità.

Se la brevità non implica automaticamente una maggiore velocità diproduzione del messaggio, come già esplicitato alla nota 5, valel’implicazione contraria ovvero il fatto che la velocità di produzione è quasicerto che si colleghi alla brevità della scrittura.

Nel processo di abbreviazione delle forme scritte, relativamente alparametro “velocità”, occorre considerare a pieno titolo anche ildestinatario/lettore che deve essere in grado di decodificare, e se necessariodisambiguare, in un tempo ragionevole il segno stesso. È sfavorito infattiun messaggio che implichi, a causa della sua brevità, una lenta decodifica oprobabili fraintendimenti o che pregiudichi, nei casi di comunicazionesincrona o solo leggermente asincrona, l’efficacia dell’interazione.

8 Caso di “scrittura lunga/scrittura parlata” volta a mimare, attraverso la ripetizione dellavocale finale, la presunta persistenza fonica della vocale stessa qualora lo stesso messaggiovenisse comunicato oralmente. (cfr. anche Pistolesi 2003, 440). Espediente non certo nuovo ecomune a tutti i generi letterari e a tutte le forme di scrittura antiche e moderne, moltofrequente in instant messages e twits, per la loro stessa natura di interazioni scritte fortementedialogiche (cfr. Crystal 2006, 45 e 47) e spesso sostitutive di conversazioni che altrimenti sisarebbero svolte oralmente.

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Forme e modi

Le scritture brevi che si incontrano nel corpus di twit analizzato sonosostanzialmente riconducibili a 5 tipologie: scritture fonetiche, sigle,contrazioni, troncamenti, uso di segni grafici non alfabetici.

Le scritture fonetiche, sono le forme di scritture brevi che mantengono ilpiù stretto rapporto con la lingua parlata, di cui esse vogliono costituireuna rappresentazione quanto più possibile fonografica. Di seguito alcunibrani d’esempio:

(1) davvero ke bello!!!!!!!!nn vedo l'ʹora anke io(2) wiwo cm 1 fiume in piena ma dolce sll skiena x farmi andare oltre 1 po'ʹ +

forte 1 altra wolta...(3) hihihihi...io e la mia amika inwece prendiamo dei regali(4) consijo de tojerle xke ve le copiano sicuramente(5) ti kiedo solamente pe nn pijarte a parolacce de TOJERLA(6) waaaaaaaaaw straaaabll!!!!!!! idea straoriginaleee!! =)

Quasi tutti i casi (oltre a quelli già riportati: ke, kimika, kiudevano, okki,kieda, anke, parekkio, amiko, skiena, ki, maskio, notifike, mankate, stakkato, poko,

neankio, vikingo, skifo, orekkio) riguardano la resa delle occlusive velari sordecon kappa, che va a sostituire sia <c> sia il digramma <ch> livellando cosìun’incoerenza della scrittura dell’italiano9. Non si verifica un fenomenoanalogo per la rappresentazione della occlusiva sonora poiché non vi è adisposizione un segno per rappresentarla fedelmente. Quest’ultima ricorreinoltre in parole di minor frequenza, a differenza della sorda che si trovanel pronome relativo e nella congiunzione che, in una parola del lessicofondamentale come cosa, nell’ interrogativo chi, ecc.

I casi di <j> per la resa dell’approssimante palatale (vojo, consijo de tojerle)sono rappresentazione della variante romanesca [j] della laterale palatalestandard [λ] resa nella scrittura standard <gl>.

Si riscontra un uso piuttosto frequente piuttosto frequente dellacosiddetta “doppia w” per rappresentare la fricativa labiodentale sonora[v] (oltre agli esempi già riportati: wolta, invece, wotiamo, wotarli, wotazioni,trowato, diwertita, wiwo, dewono, wedo, werona, wai, nuowo, wideo)

9 Uso già attestato in italiano negli anni ’70 (Lorenzetti&Schirru 2006).

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riconducibile verosimilmente a vezzo/moda/esotismo/scrittura nonconvenzionale, non essendo motivata una scelta di questo tipo, né daproblemi di economia della scrittura né tantomeno da incoerenze nellagrafia dell’italiano.

Da notare all’esempio (6) un simpatico tentativo di resa fonograficadell’inglese “wow”.

Le scritture fonetiche sono una tipologia di scritture brevi molto piùdiffusa in ambiti linguistici in cui, a differenza dell’italiano dove il rapportosegni alfabetici e suoni della lingua è quasi 1:1, vi sono molte incoerenze trala prassi ortografica e la fonetica, quale per esempio l’inglese.

Qui abbondano scritture fonetiche come thru (trough), luv (love), wot(what), sum (some), cos (because), omigod (oh my God) (Crystal 2008, 48-­‐‑49).

Forma tradizionale di scritture brevi è la parola troncata10 che si basasull’assunto che, in un segno linguistico, la sillaba iniziale fornisce unacerta quantità di informazioni, la seconda ne fornisce di meno e così via;tale scala di valore informativo è valida soprattutto per le lingue flessive incui le informazioni grammaticali, depositate nelle ultime sillabe delleparole, sono spesso ridondanti e reperibili da altri elementi della frase.

Per esemplificare, data una parola come “capito”, nella frase “ho capito”in un contesto semidialogico quale quello di Twitter, la prima sillaba “ca”permette di stabilire che l’insieme nel quale ricercare il completamento èquello dei participi passati dell’italiano che possono stare dopo il verboavere; tra questi occorre poi selezionare uno che comincia per “ca”.Nell’insieme che comprende “capito”, “calpestato”, “calato”, “calcato”,ecc., considerato il contesto entro il quale la parola ricorre, ci sono buoneprobabilità che la sillaba “ca” sia sufficientemente informativa dapermettere inferire che sia il troncamento di capito. Se poi ad essa siaggiunge la seconda, “pi”, la probabilità di fraintendimento è pressochétrascurabile11.

È questo, in sostanza, il meccanismo di funzionamento del suggeritoreelettronico (scrittura predittiva) di cui sono dotati molti telefoni cellulari e

10 Definiti da Serianni 1989, 59 abbreviazioni “per compendio”.11 Cfr. Calvet 1980, 25 e ss.

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alcuni programmi di video scrittura che propongono le soluzioni, ordinatesecondo indici di frequenza, con cui completare una certa sequenza dilettere per formare parole. Come tutti i software, solo i suggeritori piùevoluti sono però in grado di ponderare il contesto sintattico e semantico inbase al quale proporre un certo termine piuttosto che un altro. Di seguitoalcuni esempi ad ognuno dei quali è posposto, tra parentesi tonde, laparole troncata con relativa integrazione:

(7) sisi, l'ʹho capi!!!;-­‐‑) (capito)(8) allora non ci possiamo vedere doma (domani)(9) io ho stakkato da poko il lavoro e ora sto anda da mia nonna k e il

compleanno (andando)(10) Io nulla sto col mio ragazzo qst fine sett vado io a dormire da lui

(settimana)(11) ve la state prendendo tt co12 qst twit (con)(12) Mi disp k nn hai trovato nulla (dispiace)(13) strabll!! =) (strabiliante)(14) ale allò x stasera ke avete deciso? ditemi voi :) (allora)(15) ohi ale cmq ti ho mandato un mess privato...vedi 1 pò se ti è arr...xk nn è

ke sn tanto esperta ihihi (messaggio)(16) Stima x android :-­‐‑)) google calendar k t manda ank l notifike via sms ed e'ʹ

sync13 cn qll del cell!!! (sincronizzato)

Le sigle, estremamente comuni nel mondo anglosassone e delle linguegermaniche in generale14, come abbreviazioni di frasi di alto uso o veri epropri sintemi, non sono uno strumento molto amato per l’abbreviazionespontanea, non convenzionale e non mediata da mezzi di comunicazione dimassa, sono invece molto più diffusi nel lessico specialistico e in livelli dilingua non standard ma comunque di uso comune.

12 Non conoscendo l’origine regionale degli autori dei twit analizzati, non è possibile stabilirese la preposizione è stata abbreviata per troncamento nello scritto o se, più probabilmente,rappresenta la variante romanesca di “con”. In tal caso la scrittura riprodurrebberegolarmente la forma usata oralmente.13 Forma abbreviata di inglese standard sync(h) < “synchronization”, di uso comune nel lessicointernazionale e plurilingue del web grazie anche alla diffusione di software e applicazioni disincronizzazione di agende elettroniche (“Google Sync per il tuo cellulare. Tieni sincronizzatiGmail, Calendar e Contatti”).14 Per l’inglese: bbl = be back later, pcm = please call me, ptmm = please tell me more, rotfl =rolling on the floor laughing, aamof = as a matter of fact, etc; per il Tedesco: dbee = du bist einengel, ldnu = lass dich nicht unterkriegen, mdt = mag dich trotzdem, etc. (Crystal 2008, 189 ess.).

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Di uso comune, standardizzate e non frutto di creazione immediata eoriginale sono infatti anche quelle che si trovano nel corpus analizzatoriferite rispettivamente al Grande Fratello (17), a Facebook (18), alla frasi “tiamo tanto” (22) e “ti voglio bene” (19) con le loro numerose estensioni tracui “ti voglio tanto bene” (20), “ti voglio un kasino di bene” (21), “ti voglioun mare di bene” (22).

(17) ale allò ma cm s fa a paragonare il gf ai minatori(18) scste del messaggio sotto l'ʹimmagine...FB è pazzo!! xDxDxD(19) anke in mess privato :) Please :P Tvb!!(20) anche tu sei una persona simpatica e buona come tutte siamo un bel

gruppo tvtb baci(21) Ti loVvò (n.a. = lovvo = amo < ingl. to love) anche io, ansi tvukdb <333(22) un'ʹimmagine davvero dolce ciccina. ^_^ tat e tvumdb

Il sistema abbreviativo maggiormente utilizzato nelle scritture brevispontanee e non standardizzate è certamente quello per contrazione, alquale appartiene oltre il 50% delle occorrenze all’interno del corpusanalizzato. Coerentemente con la teoria dell’informazione per cui, ai finidella decodifica di un testo scritto secondo un sistema alfabetico, leconsonanti hanno peso informativo superiore alle vocali la contrazioneavviene quasi sempre attraverso l’omissione delle vocali dal corpo dellaparola: “Consonants provide much more information than vowels forreading text, largely because the number of orthographic vowels in English(five or six) is well exceeded by the number of consonants (20 or 21).Independent of the role of sequential probabilities, vowels are lessimportant for reading because there is much less uncertainty among 5vowels than among 20 consonants, just as there is less uncertainty inflipping a coin (2 outcomes) versus rolling a die (6)”15 (Stilp&Kluender2010).

15 Cfr. anche Shimron 1993 e Lee&Rayner&Pollatsek 2001. Il peso informativo delleconsonanti, e il fatto che le abbreviazioni sono spesso relegate esclusivamente alla linguascritta (come si dirà meglio più avanti) sono probabilmente i motivi che determinano ilsuccesso delle abbreviazioni per contrazione / eliminazione delle vocali, nonostanteimplichino un certo sforzo creativo e interpretativo rispettivamente da parte di chi produce ilsegno abbreviato e da parte di chi lo decodifica.

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Di seguito alcuni esempi tratti dal corpus analizzato ad ognuno deiquali è posposto, tra parentesi quadre, lo scioglimento della/e contrazioni:

(23) a differenza di qlkn altro...6unica (qualcuno)(24) Fai capire alle xsone a cui tieni ke sn importanti x te (sono)(25) SCS sn le 12 passate dovrei andare :) (scusa sono)(26) Sarò smp dalla tua parte a sostenerti (sempre)(27) bnbn te?? (bene bene)(28) vbb storia pure io me la rivedo meglio dmn ke gg ho ftt finoa nerone-­‐‑...

(va bene)(29) lau forse prende qll dll 8 quindi ci ved al term (quello delle)(30) Sl ke il tmp è poco! (tempo)(31) Io vgl bene a qlla ragazza km se la conoscessi.... (voglio… quella…

come)(32) Tnt ho vissuto bene anke snz sentirle xttt qsti anni :) (tanto… senza…

tutti… questi)(33) scste del messaggio sotto l'ʹimmagine...FB è pazzo!! (scusate)(34) Notte a tutti e ancora tnti auguri a Bren (tanti)

Gli scriventi che hanno prodotto il corpus analizzato non hanno certoappreso un sistema di abbreviazioni regolamentato, né utilizzano conprecisione e coerenza le norme di contrazione delle parole come erano stateelaborate, per esempio, nell’ambito della paleografia latina laddove inveceera in uso un sistema abbastanza standardizzato che ha caratterizzato lascrittura manoscritta fin dall’antichità16.

A differenza del procedimento di contrazione delle parole latino, cheprevede in quasi tutti i casi il mantenimento di una vocale finale delledesinenze dei nomi variabili, le abbreviazioni del corpus considerato siconfigurano quasi sempre come procedimenti di eliminazione delle vocali.Ne consegue che, essendo in italiano alcune categorie morfologiche, comeper esempio il genere e il numero, affidate a morfemi quasi esclusivamentevocalici e finali, troncamenti e abbreviazioni per eliminazione appunto divocali vanno a cancellare i morfemi grammaticali stessi.

16 La creazione del sistema abbreviativo latino, che si basa essenzialmente sulla presenza diabbreviazioni per contrazione e abbreviazioni per troncamento, affonda le sue radici nellecosiddette note tironiane, così chiamate perché tradizionalmente attribuite a Marco TullioTirone, liberto e scriba di Cicerone. (Cappelli 1912, Bischoff 1992).

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Forme e modi delle scritture brevi di oggi202

Nella maggior parte dei casi questo non pregiudica la comprensione deirapporti sintattici tra i vari membri della frase, in virtù dell’accordo tra piùparti del discorso che permette di recuperare in altri punti le informazionigrammaticali ridondanti eliminate. È comunque tendenza prevalente,all’interno del corpus analizzato, quella di eliminare la desinenza per laforma meno marcata del paradigma (che non sempre corrisponde allaforma lemmatizzata dal dizionario ma alla forma flessa di più altafrequenza d’uso, considerata quindi non marcata dagli scriventi),mantenendola invece in altri casi:

(35) Io vgl bene a qlla ragazza km se la conoscessi....(36) Tnt ho vissuto bene anke snz sentirle xttt qsti anni :)(37) scste del messaggio sotto l'ʹimmagine...FB è pazzo!!(38) Notte a tutti...e ancora tnti auguri a Bren

Si noti all’esempio (36) che all’interno della stessa frase, nella sequenza“per tutti questi anni”, si mantiene espressa solo in un caso la desinenzavocalica di plurale (qsti), procedendo alla sua eliminazione nel caso di xttt.Nello specifico è possibile che la scelta di omettere la vocale <i> nella formaabbreviata ttt, interpretabile fuori contesto con qualunque forma flessa delparadigma dell’aggettivo “tutto”, sia stata favorita dalla presenza dellasequenza triconsonantica che rimanda alla consuetudine delraddoppiamento della consonante per l’espressione del plurale neitroncamenti e nelle sigle: s. v. (“signoria vostra”) vs. ss. ll. (“signorie loro”),prof. (“professore”) vs. proff. (“professori”).

I monosillabi, a dispetto della loro intrinseca brevità, risultanodall’analisi del corpus estremamente soggetti ad abbreviazioni che possonoessere considerate, nella maggior parte dei casi -­‐‑ esempi dal (39) al (43) -­‐‑ siaabbreviazioni per troncamento sia abbreviazioni per eliminazione di vocali.La frequenza dei processi abbreviativi a carico di questo specifico gruppodi segni linguistici è da ricondurre al fatto che essi posseggono le duecaratteristiche necessarie affinché si possano innescare i processi stessi:

-­‐ altissima frequenza d’uso (molte sono infatti parole grammaticali)-­‐ conseguente facile disambiguazione.

(39) t (ti) = Scs se t risp in rita(40) m (mi) = nn c'ʹè nessuno svegliom sa(41) c (ci) = wotiamo i dARI cmancano poke ore x continuare a wotarli!!!

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F. Logozzo 203

(42) k (ke) / m (mi) / d (di) = k m dici d bello?(43) s (si) = qnd metto"ʺaggiorna"ʺ,automaticamente s ricollega(44) nn (non) = Nn è difficile(45) kn (con) / m (mi) = kn la febbre infatti ggm hanno ft staccare prima

Una volta effettuata una prima categorizzazione delle forme dellescritture brevi, occorre considerare il rapporto che i vari gruppiintrattengono con la lingua all’interno della quale si inseriscono comevarietà diamesiche. È dunque necessario affrontare la questione deipossibili luoghi di creazione e dei possibili luoghi d’uso, che, per entrambigli ambiti, possono essere la lingua scritta o la lingua orale.

Procedendo a questa nuova categorizzazione si distingueranno:

-­‐ Abbreviazioni che rappresentano fenomeni della lingua parlata.A questa categoria appartengono le scritture fonetiche e leabbreviazioni con elementi logografici (o inserimenti di elementilogografici in sequenze a base fonografica). È frequente infattil’impiego di numeri e di altri segni matematici, in funzione dilogogrammi all’interno di unità linguistiche (parole o frasi) chefiniscono quindi rappresentate con due criteri grafici nonomogenei.

(46) x farmi andare oltre 1 po'ʹ + forte 1 altra wolta...(47) ascolto i dARI e mex cn 1mia amika te???(48) diwertita 1 botto a cantare(49) Ohi allò dmn mattina confermato x le otto al terminal? lau forse prende qll

dll 8 quindi ci ved al term alle 9 -­‐‑ 1 quarto(50) ti credo...magari...infondo 6 simpatica...(51) xkè n poxo averti?(52) GIA LO SAI XRO MOVEMOSE!17

I troncamenti possono appartenere al gruppo delle abbreviazionigenerate a livello di lingua parlata ma ciò è verosimile soprattutto se iltroncamento si verifica dopo sillaba tonica. In linea generale, si dirà cheogni troncamento va analizzato singolarmente per reperire il suo luogod’origine.

17 Si noti in XRO l’applicazione non perfetta dei due criteri logografico + fonografico: [per]ro.Per questo tipo di scritture miste si veda Valeri 2000, 199.

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-­‐ Abbreviazioni originate nella lingua scritta e successivamenteimprestati a quella orale, o comunque passibili di essere trasferitialla lingua parlata.Sono quelli che Bloomfield 1933 chiama “dialect borrowings” travarietà della stessa lingua, parlando del fatto che esistono segnilinguistici interpretabili come casi di pronuncia secondo la grafia, enon viceversa: “Written abbreviations like prof., lab., ec. lead tospoken forms ... in students'ʹ slang for professor, laboratory,

economics”18.A questo gruppo appartengono troncamenti come appuntol’italiano prof.

-­‐ Abbreviazioni nate e utilizzate solo a livello di lingua scritta.Appartengono a questo gruppo parole o sequenze abbreviate informe non pronunciabili oralmente del tipo c vd dmn. In casi diparticolare frequenza d’uso e connotazione dell’abbreviazione, èpossibile che forme di questo tipo siano soggette a processo dilessicalizzazione come quello che sta interessando l’acronimo TVB.In questi casi, il prestito dalla lingua scritta a quella orale sicomporta come un prestito da lingua straniera, con regolareintegrazione fonetica (in questo caso attraverso l’inserimento diuna vocale d’appoggio ([i]/[u]) sul modello dell’integrazione diparole come DVD).

Sono abbreviazioni nate e utilizzate solo a livello di lingua scrittatutte le contrazioni per eliminazione delle vocali.

Questa seconda categorizzazione delle scritture brevi induce a farealcune importanti considerazioni di carattere generale sul rapporto traoralità e scrittura.

Tradizionalmente si considera la scrittura -­‐‑ nata per rappresentare ilpensiero, con o senza la mediazione della lingua -­‐‑ e soprattutto la scritturaalfabetica, come la migliore forma di trascrizione della lingua.

18 Bloomfield 1933, 488.

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Altrettanto tradizionalmente si considera la evoluzione della lingua unfatto puramente orale: è la lingua parlata ad essere soggetta a fenomeni di“abbreviazione”, intesi come erosione di consonanti e vocali foneticamentedeboli, che a volte riducono la catena fonica senza che la scrittura, dal cantosuo conservatrice, riesca a registrarli costantemente.

Le scritture brevi, contrariamente a quanto detto finora, collocano lalingua scritta a pieno titolo tra i luoghi di creazione linguistica, e fanno sìche non vi sia più corrispondenza tra fatti grafici e fatti fonetici. Il risultatoè l’autonomia del sistema scrittorio che nasce derivato da un altro mamanifesta una sua indipendenza come motore del mutamento19.

E sempre grazie alle scritture brevi si può riconsiderare il concetto dilinearità del segno: la parola abbreviata infatti, diventa un tutt’uno, uninsieme di indizi collocati in un campo pieno di altri indizi (il contesto) daiquali tocca al lettore ricostruire lessemi, morfemi e rapporti sintagmaticicon il resto della frase.

Felicia Logozzo

[email protected]

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Bloomfield 1933Bloomfield Leonard, Language, New York, Holt, Rinehart and Winston.

19 Cfr. Calvet 1980.

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Language evolution in social media: a preliminary study

Fabio Massimo Zanzotto & Marco Pennacchiotti

Abstract

Language, as a social phenomenon, is in constant evolution. New words are added,disused ones are forgotten, and some others change their morphology andsemantics to adapt to a dynamic World. Today we are leaving a new “SocialMedia” revolution, that is changing many languages. The pace with which newwords are created in social media is unprecedented. People from differentdemographic groups are often “speaking different languages”, in that not only theyuse a different set of words, but also assign different meanings to the same words.In this paper, we investigate whether it is possible to lower the “linguistic barrier”,by analyzing the phenomenon of language evolution in social media, and byevaluating to what extent the use of cooperative on-­‐‑line dictionaries and naturallanguage processing techniques can help in tracking and regulate the evolution oflanguages in the social media era. We report a study of language evolution in aspecific social media, Twitter; and we evaluate whether cooperative dictionaries(specifically Urban Dictionary) can be used to deal with the evolving language. Wediscover that this method partially solves the problem, by allowing a betterunderstanding of the behavior of new words and expressions. We then analyzehow natural language processing techniques can be used to capture the meaning ofnew words and expressions.

Keywords: Twitter language analysis, language evolution, natural languageprocessing

1. Introduction

Language, as a social phenomenon, is in constant evolution. New wordsare added, disused ones are forgotten, and some others change theirmorphology and semantics to adapt to a dynamic World.

Radical changes in a language mostly happen when a social groupmoves from its native location or separates from an original and biggersocial group. A clear example is the English language, that in the last three

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centuries has evolved following the path of expansion of the BritishEmpire, and giving birth to tenths of different dialects, including GeneralAmerican English, Australian English and Indian English [Crystal 2003].Language evolution is also caused by the social impact of new scientificand technological discoveries. New words and new word meanings are thetools for better understanding and communicate the world around us.

Organizations such as the Académie française in France and the Accademiadella Crusca in Italy and dictionary producers such as the Oxford Dictionary,have the goal of institutionalize and regulate the evolution of languages, byformally adding and removing words as they appear and disappear fromcommon usage. Though, it is a rare event that words are added and theirsenses are ruled, making more than often news in the media, as in the caseof the symbol of the heart included in the Oxford Dictionary in March20111. The exponential growth of new scientific discoveries and techniquesin the 19th century Industrial Revolution, and in the 20th centruryElectronic and Digital Revolution, has certainly put dictionary producers tothe test, that more than once struggled to keep up with the rapid languageevolution of a more and more sophisticated society. The job of producingand institutionalize new dictionaries is not a mere intellectual excercise.The American industrial worker of the 19th century and the Englishmanufactures of his machineries had to share a common basic dictionary,in order to keep industry alive and functional. Producers of train carriageshad to correctly and precisely understand the names and the measures ofstandard track components in the different target countries. Workers innuclear power plants need to correctly understand words in technicalmanuals. To deal with these technical problems, terminology has beenintroduced as an important area of language studies to support andcomplement the work of dictionary producers [Wüster 1931].

Today we are leaving a new “Social Media” revolution, that is onceagain, and with a faster pace, changing many languages. Social media suchas forums, blogs, Twitter, Facebook, Skype, and MSN Messenger, allowpeople to write their stories and ideas and share them with the Internetcommunity. From a linguistic perspective, this is a much bigger and radicalinnovation than the Web itself. Indeed, the introduction of the Web in the

1 Repubblica, 24/3/2011, Quel cuoricino che dice tutto: Il segno “I love” entra nel dizionario (Thatlittle hearth says everything: The sign “I love” is included in the dictionary).

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Language evolution in social media: a preliminary study210

early 90ies allowed people to read content from different sources, such asmedia organizations and companies. Most of the information flow wastherefore one-­‐‑way, with people acting as readers. On the contrary, Socialmedia allows a two-­‐‑way communication. Common people become contentproducer and, ultimately, language creators. Single individuals or smalldemographic groups rapidly coin and share new words and new meaningsthat can potentially and virally spread to larger groups, until they becomeof common usage and ultimately accepted into formal dictionaries.

The pace with which new words are created in social media isunprecedented. People from different demographic groups (e.g. hip-­‐‑hopteenagers and their older parents) are often “speaking different languages”,in that not only they use a different set of words, but also assign differentmeanings to the same words. In an extreme late-­‐‑Wittgensteinian view,people may end up hardly communicating or understanding each other,building around themselves a “linguistic barrier” that inevitably isolatesgroups from each other. Dictionary producers and linguistic organizationscannot keep up with such a rapid evolution. Too many people and toomany fractioned social groups have today the power of shaping thelanguage. New methods and new resources for tracking and regulatelanguages’ evolution are required.

In this paper, we investigate whether it is possible to lower the“linguistic barrier”, by analyzing the phenomenon of language evolution insocial media, and by evaluating to what extent the use of cooperative on-­‐‑line dictionaries and natural language processing techniques can help intracking and regulate the evolution of languages in the social media era.

The paper is organized as follows. In Section 2 we report a study oflanguage evolution in a specific social media, Twitter; and we evaluatewhether cooperative dictionaries (specifically Urban Dictionary) can beused to deal with the evolving language. We discover that this methodpartially solves the problem, by allowing a better understanding of thebehavior of new words and expressions. In Section 3, we analyze hownatural language processing techniques can be used to capture the meaningof new words and expressions. Finally, in Section 4, we conclude withideas for future work.

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2. Lexicon evolution and crowd-­‐‑sourced dictionaries

In this section we investigate whether crowd-­‐‑sourced dictionaries arevalid tools to model the evolution of languages in social media. Inparticular, we are interested in understanding if new words introduced inthe media are captured and stored in crowd-­‐‑sourced dictionaries in atimely manner, i.e. as soon as the new words become of common usage. Ifthis is true, crowd-­‐‑sourced dictionaries could be used as prominentreferences for outsiders to a specific demographic group, to uderstand thelanguage of that community.

We also explore automatic models to detect when a new linguistic entityin a social medium is actually promoted to a full fledged status of “newword”, i.e. a linguistic entity with a specific meaning shared in a widecommunity.

In the rest of this section, we present an experiment that investigates theabove issues. In detail, our experiment aims at answering the followingquestions: (1) Are crowd-­‐‑sourced dictionaries good tools to support theundertanding of new words? (2) Can crowd-­‐‑sourced dictionaries induceregularites of new words and expressions?

As social medium we experiment with Twitter, the second largestmicroblogging service available today. As for the crowd-­‐‑sourced dictionarywe use Urban Dictionary, which is to date the largest collaborative effort tobuild an up-­‐‑to-­‐‑date dictionary of new lingusitic expressions. We begin inSection 2.1 by describe the experimental set up for our study, and thencomment on result in Section 2.2.

2.1. Twitter and Urban Dictionary: the experimental set-­‐‑up

Twitter is a microblogging web service, where users are able to postshort messages (called tweets)of a maximum length of 140 characters, andread the posts of all other users. Each user can also follow specific users hewants to be friend of. When a user logs into Twitter, a personalized“timeline” shows all his latest messages, and the messages of the users hefollows.

Twitter is today one of the largest real-­‐‑time microblogging service,having more than 200 millions users and more than 200 millions tweets per

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day worldwide. People tweet about many different topics, from personalupdates (“I am eating pizza”) and conversation with friends, to breakingnews (“Eartquake in Saf Francisco just now! ”) and sending web links.According to a 2009 by Pear Analytics2, 40% of tweets are personal updates,37% are conversations, 9% are re-­‐‑posting of other users (called retweets), 6%are ads, 4% are spam, and a last 4% are news. Despite these numbers,Twitter has recently played a prominent role in social and politicalhappenings, such as the Arab Spring in 2011, and the riots in England inthe summer of the same year. It has also been used to coordinate rescuesduring major eartquakes, such as those in Chile and Haiti in 2010.

From a demographic perspective, the latest US Quantcast study onTwitter released in September 20113 shows that Twitter is mostly adoptedby people between 18 and 34 years (45% of the total), while people under18 years are only the 18% and over 35 years the 38%. Twitter is adopted bypeople with a diversified social status (30% earn more than 100K USD ayear, 28% between 60K and 100K, 25% between 30K and 60K, 17% below30K). Twitter is still mostly a American phenomenon, with 33% of thetraffic localized in the USA4, followed by India at 8%, Japan, Germany,United Kingdom and Brazil. English is overwelmingly the most usedlanguage: almost two third of the tweets are in English, followed byPortugese (11%) and Japanese (6%).

While Twitter has the form of a big connected graph [Cha et al. 2010],recent studies [Pennacchiotti&Popescu 2011] show that sub-­‐‑communitiesexist. Twitter can be therefore seen as one of the meeting places in the webwhere different communities try to interact. In this study, we show thatoften standard language is not properly used, both because temd tend toadopt peculiar expressions proper of their own community, and becausethe short-­‐‑lenght nature of tweets forces users to write in a succint style,with frequent use of acronyms, abbreviations and truncated words. Tweets

2 http://www.pearanalytics.com/blog/wp-­‐‑content/uploads/2010/05/Twitter-­‐‑Study-­‐‑August-­‐‑2009.pdf3 http://www.quantcast.com/twitter.com4 website-­‐‑monitoring.com

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like the following can easily appear: “è prp uno skifo l’hanno kiusa… allòdmn mattina confermato x le otto a piazza del popolo”5

Twitter is therefore the perfect medium for our study, as it is a placethat can host potentially fast evoving languages of different communities.Our study is based on a corpus of tweets ranging from September 2009 toDecember 2010 written in any of the English dialects. From this corpus ,starting from October 2009, we extracted the monthly frequencies of allwords6 that were not present in Twitter in the month of September 2009.We retain these expressions as potential “new words” that have been justintroduced in the language. The final output of the corpus creation istherefore a list of potentially interesting new words along with theirfrequency for each month in the considered period (9/2009-­‐‑12/2010).

Figure 1: Urban Dictionary: two definitions of Emo

Urban Dictionary is a crowdsourced web dictionary. Webcrowdsourcing is a powerful way of producing resources, where commonusers can contribute to enrich, mantain and modify an on-­‐‑line knowledgerepositories. Crowdsourcing has emerged as a very succesfull paradigm inthe last decades, producing resources such as Wikipedia, an on-­‐‑lineencyclopedia of human knowledge available in many different languages.The evolving version of Wikipedia is rivaling with the most important

5 in an Italian of SMSs or tweets: it is really bad it has been closed… then tomorrow morningit’s confirmed 8 o’clock in piazza del popolo.6 Words are extracted by a standard regular expression tokenizer.

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encyclopedias for number of entries and, sometimes quality and quantityof content. All entries are written and modified exclusively by Wikipediausers without any reward. Crowdsourcing guarantees that many users canaccess and modify a specific entry, resulting in a balanced, objective andtruthful description of the entry. Indeed, the revision system allow a fastcontrol of content through a collaborative filtering of the knowlegde. Thesuccess of wikipedia proves that it is possible to solve many knowledgeaccumulation and encoding problems using crowsourcing methodologies.

The crowdsourcing approach is also used for dictionaries, e.g.Wikictionary and Urban Dictionary. In our study we use Urban Dictionary,because it is specifically dedicated to specific community languages and tothe tracking of new verbal expressions, while Wikictionary aims atmodelling standard language.

Urban Dictionary does not adopt a wiki approach, i.e. a site where userscan change definitions. Instead, it prefers a more trivial model similar to aWeb forum, where users post new words along with their definitions. As inmany forums, votes are associated to each dictionary entry (that roughlycorrepsonds to a forum message). Urban Dictionary was created in 2003 asa sort of game, to collect definitions of new “street” words and colloquiallanguage expressions. Today, Urban Dictionary has consitently grown up,becoming a solid reference for finding newly introduced colloquial wordsand expressions.

Entries in Urban Dictionaries are organized as follows (see example inFigure 1). Each entry has a set of definitions. Each definition is introducedby a user and it is striclty related to him. For example, the first definition of“Emo” (see Figure 1) is given by 7ThisIsWudie7. Each definition is alsogiven along with its introduction date. For each definition, otheranonymous users can give a positive or a negative judgement. Thesejudgements are used to sort definitions for a given word. In the example,the first definition has 62,243 positive and 18,625 negative judgements.

The organization of entries of Urban Dictionary makes this resourceattractive for our study, for two main reasons. First, it is a source ofcolloquial words that are tipical in Twitter. Second, Urban Dictionaryallows to easly find the date of introduction of the word in the dictionary,by looking at the date of the word’s oldest definition. For our study we

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created a repository of all words in Urban Dictionary with their associateddate of introduction.

Input of our study are therefore two lists. The list of words in words inUrban Dictionary with their date of introduction; and the list of new wordsin Twitter with their monthly frequencies. By performing a time-­‐‑sensitivecomparisons these two lists we aim at investigating if (and when) UrbanDictionary captures the new words introduced in Twitter.

2.2. Results and analysis

2.2.1. Freshness of Urban Dictionary

In this first analysis we investigate the freshness of Urban Dictionarywith respect to Twitter, i.e. whether Urban Dictionary adds new wordsbefore or after they emerge in Twitter. This analysis will therefore reveal ifUrban Dictionary can provide a useful support to an outsider, forunderstanding the language of specific communities in the social network.

In order to provide an objective quantitative analysis, we define, for agiven word, a TimeShift indicator. The TimeShift is defined as the differencein time between the introduction of a word in Twitter and the introductionof the word in Urban DIctionary. More formally, we define the followingmeasures:

• Month of Maximum Twitter Use (MMTU). Words in Twitter have alife: they appear, spread, have a period of high frequecy, and then stabilizeor disappear. We define MMTU as the month in which a new word has itsmaximum frequency in Twitter. We consider this period as the landmarkfor the new word, i.e. the moment in which the word experiences itsmaximum success.

• Month of Introduction in Urban Dictionary (MIUD). This measureindicates the month in which a word has been first introduced and definedin Urban Dictionary.

Given the two above definition, we further define the TimeShift of awords as follows:

TimeShift=MMTU−MIUD (1)

For example, TimeShift=+1 indicates that a word has been firstintroduced in Urban Dictionary, and then a month later in Twitter.

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Conversely, TimeShift=−1 indicates that the word has been introduced inTwitter a month before than in Urban Dictionary. A TimeShift=0 indicatesthat the word has been introduced in Twitter and Urban Dictionary in thesame month.

Figure 2: Time Shift between Urban Dictionary and Twitter

Figure 2 plots a summarizing analysis of the TimeShift across all wordsthat have been introduced both in Urban Dictionary and Twitter. Thefigure shows that the TimeShift has a multimodal distribution that, wehypothise, should converge to a normal distrubtion with mean in 0, if moredata was available for the experiment. It is interesting to note that the modeof the distribution (i.e. its most frequent value) is 0, which is alsoapproximately the mean value of the distribution. This means that newwords in Twitter should be expected with highest probability to be timelycaptured by Urban Dictionary in the same month of their introduction inTwitter. Urban Dictionary is therefore likely to support outsiders of aTwitter community in reading and understanding the tweets posted in thatcommunity.

The Figure also shows that the TimeShift distribution has a highvariance, i.e. there are many words with postive or negative TimeShift.This result suggest that many words that are adopted by Twitter after theyhave been introduced via other media and fixed in Urban Dictionary(positive values of the TimeShift); and there are also many words that arecreated in Twitter and then spread outside it (negative values of theTimeShift). We also observe that the distribution is skewed to negative

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values, i.e. it is more common that a word is first introduced in Twitter,and only after a few months added to Urban Dictionary.

2.2.2. Discovering novel words using frequency counts

With the previous experiment, we undestood that there is an importantset of words that, even if covered by Urban Dictionary, their definitions arenot timely given. We need then to envisage methods and models to capturethe meaning of these words. For doing this, we need to focus on two issues:

First, we need to spot words that are relevantly new in streams like twitter.Not all the words that appear to be new are really novel words. There aremany proper nouns or product nouns that gain fame for a short period oftime. These are not novel words.

Second, we need to define methods to find the meaning and, then, thedefinition of these new words.

In this experiment we focus on the first issue. Possible ways to tackle thesecond issue are instead described in Section 3.

Figure 3: Word frequency in Twitter with respect to the peak of use

We want here to evaluate how simple models based on frequencyanalysis can be adopted for discovering novel words among words newlyintroduced in Twitter. To develop these models we can exploit the dataused for the previous experiments. We firstly observe the behavior of

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words in twitter and, then, we propose simple models to predict noveltyobserving the evolution of the frequency of words with respect to the time.

The first issue is observing the behavior of words: we took the set ofnew Twitter words that we used for the previous experiment. We analyzedall the words in this set and not only those in Urban Dictionary. Figure 3plots the mean relative frequency and variance of all these words. Given aword, the relative frequency is the ratio between its actual frequency in agiven month and its maximun frequency. We want to understand howwords behave before and after their point of maximum spreading. Giventhis latter point, Figure 3 plots the relative frequencies of words withrespect to the months before and the months after. We can observe that theaverage behavior of words in this set has a peak in time. Before and afterthis peak, words basically disappear. This seems to be the average behaviorof words that have a peak of use and then are totally lost. These wordscannot be novel words or expressions as their popularity last for a too shortperiod. Words behaving averagely can be people names or product names.But, the analysis of the plot in Fig. 3 lead to an interesting conclusion. Thestandard deviation with respect to the average behavior is high. Thisimplies that there are many words that are not know before their peak orthey are steadly known and used after their peak. Words having thesefeatures are extremely interesting.

Figure 4: Simple methods for selecting novel words

Having the above analysis on the behavior of words with respect totheir peak of popularity, we can propose simple models to spot novel

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words. This is the second issue we wanted to address. The idea is simple.We propose models based on this idea. Novel words should find thierspace in new utterances. After a peak of use, these words should find anearly constant distribution in the used language. Then, we should tend toprefer those words that have a steady frequency after the peak of use.Second, novel words should gain popularity in a short period of time. Weshould prefer candidate words that have a fast popularity. With theseobservations, we can define three different models for novel words. Modelsare presented in Fig. 4. We propose three models for the novelty of words:

Model A: novel words are words that, before thier peak of use, are lessfrequent than the average minus the standard deviation

Model B: novel words are words that, before after peak of use, are morefrequent than the average plus the standard deviation

Model C: novel words ar words that have the properties of Model A andModel B

Figure 5: Simple methods for selecting novel words: recall vs. precision

We evaluate the results of the models proposed by using UrbanDictionary. Twitter words that are in Urban Dictionary are good novelwords. We want then to evaluate how good these models are in capturingthese good novel words. To evaluate these models we use the classicalinformation retrevial measure of precision and recall. Let’s suppose thatwith a selection method we can find a set of words that we call selected

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words. Precision counts how many good novel words are in the list ofselected words. This measure states how good is the method in decidingwhether or not a word is a novel word. Recall counts how many wordsamong the possible novel words are in selected words. This measure tends tosay how good is the method in retreiving novel words. There is a strictcorrelation between precision and recall. Generally, when recall increasesprecision decreases. To increase recall, we need to have smaller thresholdto have a bigger set of selected words. This bigger set can contain morewords that are not novel words. This is why it is important to study recalland precision in combination. Figure 5 plots recall vs precision of the threemethods. Tendentially higher curves represent better methods. Among thethree methods, the best one seems to be Model A, i.e., the model that takesinto consideration the behavior of candidate words before the peak. Novelwords, that go into Urban Dictionary in the considered period, are thosewords that are basically not present in the period before the peak. MethodB, that takes into consideration the behavior of the word after the peakperiod, is the worst method. The combined method, i.e., Method C,behaves similarly to Method A. The combination of the two methods doesnot add a considerable gain.

To conclude this section, we can say that simple frequency-­‐‑basedmethods for selecting novel words are useful but these methods do notcompletely solve the problem.

3. Natural language processing and machine learning: basictechniques

We have shown that only a part of novel words are covered by crowd-­‐‑sourced dictionaries. These dictionaries do not completely open thepossibility to understand interacions on social media. We need differentmethods and models to help outsiders to understand the language of asocial group.

In this section, we want to introduce basic natural language techniquesthat can help in solving the two issues expressed in Sec.

2.2.2: (1) "ʺspotting novel words"ʺ task; (2) "ʺgive meaning to novel words"ʺtask. We will also report on how these basic techniques have been appliedin Twitter and in Social Media.

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We will focus on four problems: part-­‐‑of-­‐‑speech tagging, named-­‐‑enityrecognition, distributional semantics, and automatic classification. Thecombined use of these techniques can help in the two above tasks.

3.1. Part-­‐‑of-­‐‑speech tagging

Part-­‐‑of-­‐‑speech tagging is considered the first step for a syntacticanalysis. It has been proposed as a separate task in early ’90 [Church 1988,Brill 1992,

Abney 1996] when the big issue of natural language understanding(NLU) [Allen 1995] in a pool of tasks that can be independently solved byapplying specific theories, models, and systems.

The task aims to assign part-­‐‑of-­‐‑speech tags to a sequence of words in asentence. For each word, a part-­‐‑of-­‐‑speech (POS) tagger must state if theword is a noun, an adjective, a verb, etc. The task is formally defined asfollows. Given a sentence s=w1...wn, a POS tagger is a function POS thatassigns to s a sequence of POS tags:

POS(s)= t1...tn Each word wi should have only one interpretation, i.e., a tag ti. For

example, consider the sentence “the boat sinks”. The PoS tagger, afteranalysing the overall sentence s= w1w2w3, assigns the POS-­‐‑tags t1=Article,t2=Noun and t3=Verb. The tagger has to disambiguate words performing asimple analysis and looking, for each word, at its close context. Forexample, sinks is both a noun and a verb. This decision should be takenusing the context (i.e., “the boat”). Given this information, the tagger has todraw the most likely decision. However, the PoS tagger is not a word sensedisambiguator. Homograph forms with the same PoS (e.g., the noun bankas institution or river bank) are not disambiguated with PoS taggers.

PoS taggers are important in a first step of analysis as these tools canhelp in better modelling later stage of analysis. These PoS taggers can bealso used to focus the attention only on some word categories.

As social media have a language that it is not completely standard,some adaptation of existing and well estabished taggers has to be done.Similarly to the adaptation to historical languages [Pennacchiotti&Zanzotto

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2008], studies have been carried out in porting techniques used forstandard language to social media language [Gimpel et al., 2011].

3.2. Named entity extraction

Detecting named entities, i.e., named entity recognition (NER), in textsis one of the fundamental issue in the task of natural language processingcalled Information Extraction (IE) [MUC-­‐‑7 1997]. Named EntityRecognition is the first step to discover more complex facts or relationsbetween people, locations, date, companies, etc. Given a set of target classes(e.g., person and location), the task of named entity recognition in IE orsemantic annotation in SW consists of detecting text fragments indocuments or in web documents that represent an instance of a target class.For example, consider the following text fragment: "ʺBefore Moscow! "ʺrepeated Napoleon, and inviting M. de Beausset, who was so fond of travel, to

accompany him on his ride, he went out of the tent to where the horses stood

saddled. A named entity recognizer should extract the three named entitiesMoscow, Napoleon, and M. de Beausset and should determine the theirclass, i.e., Moscow is a location while Napoleon and M. de Beausset are twoinstances of the class person. Finding these bits of information are useful todetermine more interesting facts such as the relation between Napoleonand M. de Beausset that, according to this piece of texts, know each other.A survey of the methods can be found in [Nadeau&Sekine 2007].

Named entity extraction is very relevant for social media andmicroblogging as twitter. Named entities can be products or brands.Monitoring opinons on brands and products is an attractive application forsocial media data. For this reason, named entity recognition has beenadapted to social media [Ritter et al. 2011] and specific annontations havebeen done to help in building better named entity recognizers [Finin et al.2010].

Named entity recognizers can be also useful for the problems presentedin this paper as it can help in filtering out words that we do not have toanalyze. For celebrities, products, and brands, we do not have to find adefinition or a meaning.

3.2.1. Classifiers and machine learning

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A well-­‐‑assessed trend in natural language processing research is todesign systems by combining linguistic theory and machine learning (ML).The latter is typically used for automatically designing classifiers. Aclassifier is a function:

C:I→T that assigns a category in T to elements of the set I. In supervised ML,

the function C is learnt using a set of training instances Tr. Each traininginstance is a pair (i,t)∈Tr, where i∈I and t∈T, i.e. a class label subset.

ML algorithms extract regularities from training instances observingtheir description in feature spaces F=F1×…×Fn. Each dimension j of thespace F is a feature and Fj is the set of the possible values of j. For example,if we want to learn a classifier that decides if an animal is a cat or a dog(i.e., the set T={cat,dog}), we can use features such as the number of teeth,the length of the teeth, the shape of the head, and so on. Each of thefeatures has values in the range defined with the set Fj. We can then definea function F that maps instances i∈I onto points in the feature space, i.e.

F(i)=(f1,…, fn) (2) Once F and Tr have been defined, ML algorithms can be applied for

learning C, e.g., decision trees in [Quinlan 1993].

Classifiers are extremely important as these methods can help inautomatically decide whether or not a candidate word is really a novelword. These techniques have been also used in the similar problem ofdeciding whether or not a novel expression is a term in a specific domainas medicine, space, physics, etc. [Basili&Zanzotto 2002].

3.3 Distributional semantics

run eat window

Dog 1 1 0

Cat 1 1 0

Car 1 0 1

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Table 1: Context vectors for the words “dog”, “cat”, and “car”

the car runs on the highway

she opened the window of the car

the cat eats the mouse

the dog eats the bone

the cat runs in the gardern

the dog runs in the gardern

Table 2: A small set of contexts for the words “dog”, “cat”, and “car”

Distributional semantics (DS) is a very important model to deal withword meaning. Its aim is to give models to determine similarity betweenwords. It stems from the solid linguistic basis of Firth’s principle, “You shallknow a word by the company it keeps.” [Firth 1957], and Harris’s DistributionalHypothesis, “Words that occur in the same contexts tend to have similarmeanings” [Harris 1964]. Firth’s principle justifies the idea that the meaningof words (or word sequences) can be modeled using contextualinformation and can be represented in vector spaces. Harris’ DistributionalHypothesis suggests that the meaning of words can be compared throughthe vectors representing the context in which they occur. For example,Table 1 represents the vectors for “dog”, “cat”, and “car” derived from theset of sentences in Figure 2. Rows represent contextual vectors for wordsand columns represent co-­‐‑occuring words. “Dog” occurs once with “run”(see Fig. 2). Similarity between words is given by the similarity betweenvectors: simple distance measures between vectors such as dot product canbe used. Then, “dog” and “cat” are more similar than “dog” and “car”, astheir distributional vectors are closer.

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Different kinds of context can be considered to build the distributionalvector representing a word:

a word occurring in a window of n tokens around the target word [Schutze1997]

a lexicalized syntactic relation in which the target word participates[Pado&Lapata 2007]

a document in which the target word occurs [Deerwester et al. 1990]

Such contexts, co-­‐‑occurring frequently with a target word, comprise itspossibly salient attributes [Turney 2006].

This is a key model that can be used in assigning meaning to novelwords. Similarity with existing and known words can help in betterunderstanding novel ones.

4. Conclusions

In this paper, we studied the language evolution in a specific socialmedia, Twitter and we evaluated whether cooperative dictionaries(specifically Urban Dictionary) can be used to deal with the evolvinglanguage. We discovered that this method partially solves the problem, byallowing a better understanding of the behavior of new words andexpressions. We then analyze how natural language processing techniquescan be used to capture the meaning of new words and expressions. Startingon these solid grounds, we can start studying to which extent we can usenatural language techniques to lower language barriers in the social mediaera.

Fabio Massimo Zanzotto & Marco Pennacchiotti

[email protected]@gmail.com

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I curatori ringraziano per la collaborazione Azzurra Mancini e Francesca De Rosache, coordinate in Redazione dal collega Alberto Manco, hanno reso possibilel’impaginazione e gli altri passaggi necessari per l’uscita del libro.

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ISBN: 978-­‐88-­‐6719-­‐017-­‐1