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CHIETI TRA OTTO E NOVECENTO Simona Troilo* A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso Chieti si modernizza. Le classi dirigenti cittadine modificano la struttura medievale e pla- smano il tessuto urbano secondo i nuovi principi dell'ideologia igieni- sta: sventramenti, monumentalizzazione di alcuni spazi centrali e zo- nizzazione costituiscono le prime tappe della trasformazione del capo- luogo in città moderna e borghese. La questione igienica Un immaginario viaggiatore che si fosse trovato a passare per Chieti alla fine dell'Ottocento avrebbe potuto usare il libro del dottor Pellic- ciotti sulle condizioni igieniche della città per evitare l'asfissiamento da micidiali miasmi o di cadere in una cloaca scoperta (1). Il suo giro turistico sarebbe stato comunque assai breve perché, secondo l'illustre medico, la città conosce la miseria e l'esasperazione di una situazione igienica disastrata, che riserva scenari orrendi in tutte le parti che la compongono: pozzi neri e acque luride ristagnanti dappertutto e utilizzate dagli abitanti per innaffiare gli orti cittadini; «infelici tugu- * Simona Troilo è laureata in Storia presso l'Università degli studi di Bologna. Abbreviazioni: ACCH = Archivio storico comunale di Chieti ASCH = Archivio di Stato di Chieti 1. R. Pellicciotti, Sulle condizioni igieniche delia città di Chieti, Chieti, Tip. G. Ricci, 1884. Il Pellicciotti è anche l'autore della relazione sulle condizioni sanitarie, civili ed economiche della classe agricola del Comune e della Provincia di Chieti, redatta nell'am- bito dell'inchiesta agraria del 1880. Storia urbana n. 79, 1997 127

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CHIETI TRA OTTO E NOVECENTO

Simona Troilo*

A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso Chieti si modernizza. Le classi dirigenti cittadine modificano la struttura medievale e pla-smano il tessuto urbano secondo i nuovi principi dell'ideologia igieni-sta: sventramenti, monumentalizzazione di alcuni spazi centrali e zo-nizzazione costituiscono le prime tappe della trasformazione del capo-luogo in città moderna e borghese.

La questione igienica

Un immaginario viaggiatore che si fosse trovato a passare per Chieti alla fine dell'Ottocento avrebbe potuto usare il libro del dottor Pellic-ciotti sulle condizioni igieniche della città per evitare l'asfissiamento da micidiali miasmi o di cadere in una cloaca scoperta (1). Il suo giro turistico sarebbe stato comunque assai breve perché, secondo l'illustre medico, la città conosce la miseria e l'esasperazione di una situazione igienica disastrata, che riserva scenari orrendi in tutte le parti che la compongono: pozzi neri e acque luride ristagnanti dappertutto e utilizzate dagli abitanti per innaffiare gli orti cittadini; «infelici tugu-

* Simona Troilo è laureata in Storia presso l'Università degli studi di Bologna.

Abbreviazioni: ACCH = Archivio storico comunale di Chieti ASCH = Archivio di Stato di Chieti

1. R. Pellicciotti, Sulle condizioni igieniche delia città di Chieti, Chieti, Tip. G. Ricci, 1884. Il Pellicciotti è anche l'autore della relazione sulle condizioni sanitarie, civili ed economiche della classe agricola del Comune e della Provincia di Chieti, redatta nell'am-bito dell'inchiesta agraria del 1880.

Storia urbana n. 79, 1997

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ri» il più delle volte sotterranei, dove numerose famiglie vivono am-massate, senza acqua e senza luce; viuzze e vicoli talmente stretti e angusti da impedire il passaggio anche di un solo raggio di sole. Eppure siamo negli anni dell'utopia igienista (2), di quel sogno che

vede nell'igiene il cardine massimo della civiltà, la scienza per eccellen-za che più dell'economia può rendere l'uomo felice e appagato. E anche a Chieti qualcosa comincia a cambiare. Il dottor Pellicciotti è l'attento osservatore di quello che accade e

che non accade dal punto di vista igienico in città. Possiamo anzi dire che egli è il più autorevole esponente chietino di quell'ampia cultura che fa capo a uomini come Mantegazza, Pagliani, Corradi e che guarda al miglioramento della salute pubblica come al mezzo principale per redimere fisicamente e moralmente l'uomo e dare quindi una soluzione alla questione sociale. La verità che egli professa trova terreno fertile su cui attecchire: dalle pagine dei giornali locali (3), si levano sempre più voci che affermano la necessità di trasformare la città in un luogo moderno e civile, dove il cittadino possa condurre una vita sana, in un ambiente salubre e pulito, dove le malattie vengano sconfitte e le menti degli uomini si impegnino sulla famiglia e sulla società, dove insomma la prosperità e il progresso si misurino con la «floridezza della salute» (4), con la «contentezza del cuore» (5), con l'onestà della morale. La fermezza di queste convinzioni è però accompagnata dalla incertezza della loro realizzazione, causata essenzialmente dalla difficoltà di individuare un soggetto che metta in pratica i principi dell'«apostolato igienico» (6), e che guidi quindi il processo di modernizzazione. È stato più volte affermato (7) che la questione relativa ai mutamenti

delle città, a partire dall'Unità, sia connessa all'affermarsi di alcune professionalità e racchiusa nel tema della 'competenza', nella rivendi-cazione cioè da parte di differenti saperi del diritto di gestire il «corpo» urbano. Nel caso di Chieti ci sembra che il controllo della città sia

2. C. Pogliano, L'utopia igienista (1870-1920), in Storia d'Italia. Annali 7, Torino, Einaudi, 1984, pp. 589-631. 3. Ci riferiamo soprattutto a «Galiani», «Il Giornale di Chieti», «La Voce del Popo-

lo», «Il Domani» che, a partire dalla metà degli anni Ottanta e indifferentemente dalla loro connotazione politica, sollecitano costantemente la risoluzione della questione igie-nica. 4. R. Pellicciotti, Sulle condizioni..., cit., p. 15. 5. Ibidem, p. 15. 6. Ibidem, p. 82. 7. G. Zucconi, La città contesa, Milano, Jaca Book, 1989.

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conteso tra due poteri differenti: il potere del politico, da un lato, quello dello scienziato e del tecnico, dall'altro. Per comprendere quanto la politica sia permeata dall'ideologia igie-

nista, basta leggere il discorso pronunciato dal signor Tarantelli all'i-naugurazione della Società popolare costituzionale dei diritti e doveri cittadini, di cui egli stesso è presidente (8). Il linguaggio utilizzato per spiegare gli intenti di un processo educativo che vuole inculcare nella massa chietina i diritti e i doveri dei cittadini, è quello medico. Tarantelli parla infatti della volontà di «formare gli italiani per scon-figgere i nemici, frenare, cauterizzare, isolare il morbo» (9), così da «sanare le febbri sociali» (10) una volta per tutte. Il discorso viene pronunciato però nel 1895, in un momento in cui può dirsi giunto a maturazione il processo di penetrazione del lessico della patologia e della fisiologia del corpo umano nel lessico strettamente politico. Se invece gettiamo lo sguardo indietro, sui resoconti amministrativi immediatamente successivi all'Unità e redatti periodicamente dalle Am-ministrazioni in carica, ci accorgiamo che la politica affronta ancora il tema dell'igiene con fare asettico e burocratico, anche se ad esso è riconosciuta la massima importanza. I resoconti amministrativi sono molto utili perché consentono di

chiarire la qualità e la dimensione del problema igienico, le priorità che il Comune decide di affrontare nei vari anni e l'approccio che la politica ha nei confronti della soluzione della questione. Nella rela-zione redatta il 10 febbraio 1867, a conclusione di un periodo di ammi-nistrazione straordinaria del Municipio, il tema dell'igiene cittadina viene ad esempio affrontato di petto, perché l'igiene è considerata il «precipuo bene di una popolazione» (11); Quanto poco questo bene però sia curato dai cittadini lo si scopre subito dall'elemento più «visi-bile» di una città: la strada. La via chietina è infatti sempre sporca per la presenza di sostanze putride che gli spazzini non eliminano, è pericolosa perché spesso costeggiata da case cadenti di incuranti proprietari, è eccessivamente affollata per il transito di animali utiliz-

8. Per la inaugurazione della Società popolare costituzionale dei diritti e doveri cittadi-ni. Discorso di R. Tarantelli, Vasto, Tip. Zaccagnini, 1895. 9. Ibidem, p. 9. 10. Ibidem, p. 12. 11.' Relazione dell'avvocato Giacomo Giletti Consigliere aggiunto alla Prefettura dì

Firenze, regio delegato straordinario per il municipio di Chieti, fatta al nuovo Consiglio comunale nell'atto del suo insediamento nel IO febbraio 1867, Chieti, Tip. A. Velia, 1867, p. 3.

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zati per il trasporto di materiale in molti casi sudicio. L'Amministra-zione condanna questa situazione e decide di affrontare il problema (che è insieme igienico e politico, visto che le strade incriminate si trovano in una città capoluogo) mediante l'adozione di un sistema repressivo che fa della contravvenzione la sua arma principale. Alla polizia municipale viene quindi affidato il compito di curare la «nettez-za della città», con l'intimazione e il divieto. L'argomento «strada» impegna totalmente l'attenzione del Comune,

ma a leggere bene la relazione si vede come altri problemi minaccino la salute pubblica: a Chieti mancano farmacie notturne che rendano sempre reperibili le medicine, manca il servizio necroscopico che indi-vidui le cause delle morti, soprattutto di quelle più sospette (12), man-ca un cimitero degno di questo nome. Per tali problemi vengono pro-poste soluzioni superficiali e soprattutto settoriali. Quattro anni dopo la redazione di questo resoconto, vede la luce la

relazione amministrativa dell'anno 1870-1871 che, come la precedente, affronta il tema dell'igiene sin dalle prime pagine (13). Viene infatti riconosciuta alla Commissione sanitaria di recente creata, una impor-tanza primaria nella vita della comunità in quanto destinataria di una vera e propria missione: quella di vegliare sulla salubrità dell'intera città. La nascita delle Commissioni sanitarie rappresenta il primo ten-tativo di approccio scientifico al problema igienico da parte delle Mu-nicipalità italiane giacché dovranno trascorrere ancora diciassette anni prima che venga redatto un Codice di igiene e sanità pubblica che preveda e regoli i controlli sull'ambiente urbano (14). A Chieti la Commissione si occupa immediatamente di varie questio-

ni: si fa promotrice della compilazione, da parte degli istituti sanitari pubblici e privati, di veri e propri regolamenti igienici interni, propone all'Amministrazione comunale rimedi che migliorino le condizioni del cimitero (per esempio il divieto di seppellimento per tumulazione nel-

12. In Comune di Chieti, Resoconto amministrativo e finanziario della Giunta munici-pale di Chieti per l'assessore Filoteo Peripoli, Chieti, Tip. Del Vecchio, 1867, p. 8, successivo alla relazione del Giletti. Vi si accenna al morbo asiatico che durante l'anno ha afflitto la città.

13. Comune di Chieti, Resoconto della gestione amministrativa del Comune di Chieti per l'anno 1870-1871 presentato dal sindaco della città medesima sig. V. Pera nell'adu-nanza consigliare del 23 ottobre 1871, Chieti, Tip. Scalpelli, 1871, pp. 4-7.

14. Il Codice di igiene e sanità pubblica è del 1888: esso prevede la costituzione di una struttura gerarchica che, partendo dalla Direzione generale di sanità presso il Ministero degli interni, e diramandosi nelle Commissioni sanitarie provinciali e poi in quelle Municipali, ha l'obiettivo di imporre e controllare le misure igieniche necessarie ad un sano modo di vivere.

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le cappelle, la costruzione di un ossario, l'edificazione di nuove tombe secondo norme specifiche da essa dettate); intraprende uno studio sulle cause dell'aria irrespirabile; provvede alla preparazione di vere e pro-prie campagne comunali di vaccinazione. Tutto questo lavoro però rimane essenzialmente teorico e l'impossibilità di renderlo pratico vie-ne fortemente sottolineata dal Pellicciotti che lancia una spietata accu-sa alla incapacità e alla inettitudine proprie dei politici a fare dell'igie-ne l'arma con cui vincere la battaglia per il «Progresso». L'autore del già citato studio denuncia la superficialità, la mancanza

di organizzazione, la smania di emanare ordinanze proprie del Munici-pio, che sottintenderebbero una totale chiusura al sapere scientifico e ai mutamenti da esso prospettati (15). Egli scrive però nel 1884, quando si decide di trasformare Chieti in un vero e proprio cantiere, di modificarla e abbellirla sotto le direttive dell'Ufficio tecnico in cui il Comune si identifica ormai completamente. Sono questi gli anni in cui la figura dell'ingegnere municipale va

acquistando in Italia sempre maggiore importanza, perché è a lui che viene affidata la guida dei processi urbani e quindi la soluzione delle questioni sanitarie. Ciò produce una strettissima connessione tra il sapere medico, la tecnica ingegneristica e l'ingegneria sanitaria, o so-ciale. La questione sociale viene cioè sentita come «problema tecnica-mente risolvibile» (16). A questo punto il messaggio lanciato dal Pellicciotti non può rima-

nere inascoltato e infatti le sue parole sono accolte dal capo dell'Uffi-cio tecnico chietino, l'ingegner Mammarella. L'integrazione tra le due specializzazioni è annunciata proprio da quest'ultimo, che considera il suo lavoro la realizzazione e l'attuazione degli studi, delle proposte, delle indicazioni del Pellicciotti (17): laddove il medico ha il dovere di indagare, conoscere, fornire rilievi e dati precisi sul problema, l'in-gegnere ha invece il compito di progettare definitive soluzioni. La collaborazione tra i due specialisti si esplica su temi quali l'abitazione e le fognature. Per quanto riguarda l'abitazione, la situazione chietina può dirsi

drammatica. La popolazione nel ventennio 1861-1881 passa da 18.782

15. R. Pellicciotti, Sulle condizioni..., cit., pp. 25-26. L'autore mette in evidenza in queste pagine l'importanza, costantemente negletta, dell'«arduo ministero del medico, custode e difensore di quanto vi ha di più sacro e necessario al mondo». 16. G. Zucconi, La città..., cit., p. 73. 17. Questo annuncio è fatto dall'ingegnere in un suo studio, intitolato Della necessità

di costruire case operaie a Chieti, e pubblicato sotto forma di due articoli dal settimanale «La Voce del Popolo», il 3 e il 17 maggio 1885.

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a 22.248 abitanti (18). Questa crescita non è però accompagnata da un'adeguata politica edilizia. Ciò porta ad una vera e propria conge-stione del centro cittadino dove si concentra il maggior numero di alloggi sotterranei e dove una famiglia di quattro persone è costretta a vivere generalmente in una stanza (19). La vita che si svolge nei numerosi «tuguri» è descritta dal nostro medico. Egli denuncia la tota-le assenza di luce, di acqua e di aria nella maggior parte delle case visitate e riscontra la presenza di latrine nelle cucine, il contatto conti-nuo tra l'acqua lurida dei canali e quella dell'acquaio e la costante umidità. Una situazione grave, che secondo lo studioso genera un abbrutimento della persona sia nel corpo che nello spirito, con conse-guenze estremamente dannose per la società. Questa preoccupazione è pienamente condivisa dal Mammarella, che

considera la casa il «santuario della famiglia» (20), il luogo in cui l'uomo si riposa dalle fatiche, lenisce le proprie sofferenze, educa i propri figli. Realizzare il miglioramento delle abitazioni significa dun-que, anche per lui, fondare l'ipotesi prima di una società civile. La soluzione proposta dall'ingegnere prevede la costruzione di case

economiche, che rispettino le norme fondamentali dell'ingegneria sani-taria: la piccola dimensione della singola abitazione e la sua indipen-denza dalle altre. La edificazione di villette immerse nel verde garanti-sce alle famiglie una vita tranquilla e ordinata, ben diversa da quella che condurrebbero in grandi caseggiati paragonabili a «immense co-lombaie, fomite assolute di infezione, nonché continua minaccia alla moralità» (21). L'ispirazione al modello inglese è in questo progetto estremamente

evidente: il Mammarella infatti condivide con i teorici della casa italia-ni, la speranza di trasferire nel nostro paese le esperienze realizzate in Inghilterra. In questo senso egli considera la possibilità di edificare dei veri e propri quartieri suburbani, in cui le varie unità abitative

18. Istat, Comuni e loro popolazione ai censimenti dal J861 al 1951, Roma, I960, 19. C. Felice, Il disagio di vivere. Il cibo, la casa, le malattie in Abruzzo e Molise

dall'Unità al secondo dopoguerra, Milano, Angeli, 1989, pp. 51-53. Felice mostra come l'abitudine di trascorrere gran parte della giornata sull'uscio, un tempo tipica della gente abruzzese, nascesse proprio dalla insufficienza degli spazi casalinghi a disposizione. Cfr. anche C. Carezzi, Le abitazioni nei capoluoghi dì provincia italiani intorno al 1880: alla ricerca di alcune differenze tra Nord e Sud, «Storia Urbana», 3, 1977. 20. G. Mammarella, Della necessità di costruire case operaie a Chieti, «La Voce

del Popolo», 3 maggio 1885. 21. Ibidem.

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siano collegate da una unica rete di servizi (22). Quanto la finalità di queste realizzazioni differisca dall'idea inglese, è però altrettanto chiaro: mentre la garden-city è concepita come vera e propria comunità integrata, autogestita e autofinanziata, il sobborgo italiano - e, nel nostro caso, chietino - è percepito come quartiere destinato ai meno abbienti e ai lavoratori, la cui quotidianità deve essere controllata e gestita, oltre che isolata (23). Il Mammarella, riflettendo la cultura architettonica del nostro Paese, cerca di utilizzare la localizzazione delle case e la rete dei servizi come strumento di prevenzione sociale. Dall'attenta analisi del progetto delle abitazioni, emerge l'esistenza

di una vera e propria corrispondenza tra i suggerimenti del medico e le indicazioni dell'ingegnere: le dimensioni dell'alloggio, il numero delle finestre, la funzione dei differenti vani, la qualità dei servizi sanitari, rispecchiano pienamente le aspettative del Pellicciotti (24). Possiamo quindi ritenere che la collaborazione tra medicina e ingegne-ria sì realizzi pienamente, in questa questione che è sentita come archi-tettonica e sociologica insieme. Anche dal punto di vista del reperimento dei fondi necessari alle

costruzioni l'intesa appare grande: entrambi i tecnici prospettano la possibilità di affidare la edificazione di nuove abitazioni, quindi la soluzione di una parte del problema igienico, direttamente ai privati. Che si tratti della volontà di scavalcare i problemi organizzativi e finanziari del Comune, è certo per tutti e due i personaggi: ma, ancora di più, essi condividono la necessità di infondere lo spirito civilizzatore dell'igiene nel mondo privato del denaro e degli affari. L'intento spe-culatore dei costruttori privati denunciato dal Pellicciotti, è quindi soppresso nell'idea del Mammarella mediante un sistema di azionariato popolare gestito dalla Società operaia, che acquisterebbe in questo modo le case controllandone la costruzione (25). Ma di tale progetto ben poco verrà realizzato.

22. Mammarella pensa soprattutto allo sviluppo edilizio del lato orientale della città - zona S. Anna - dove ora si va delineando l'ipotesi di creare un imponente edificio scolastico e di sistemare un grande mercato cittadino. Probabilmente l'ingegnere consi-dera anche la possibilità che si concretizzi il forte desiderio di dotare la città di una ferrovia elettrica che passi in questa zona per raggiungere il centro cittadino. 23. C. Carozzi, A. Mioni, L'Italia informazione, Bari, De Donato, 1970, pp. 436-437.

24. L'abitazione progettata dal Mammarella è composta da una camera da letto (o anche due) di 3.5x3.5 metri; una cucina arieggiata di 4x3 metri; una latrina e un sotterraneo utilizzato come ripostiglio. 25. G. Mammarella, Della necessità di costruire case operaie a Chieti, «La Voce

del Popolo», 17 maggio 1885.

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Il secondo tema su cui si manifesta la collaborazione tra i due spe-cialisti è quello delle fognature. II problema è di vecchia data ed è ancora una volta il Pellicciotti che Io esamina e lo denunzia, mettendo in evidenza la stretta connessione esistente tra la cattiva manutenzione della rete fognaria, la coltivazione degli orti cittadini, l'aria irrespirabi-le che sovrasta, come una cappa, Chieti. La città sorge sulla sommità di un colle e la maggior parte delle

sue strade, nel momento in cui il medico scrive, è caratterizzata da una forte pendenza: i canali di scolo posti lungo le vie trasportano l'acqua piovana e quella delle cloache verso l'esterno dell'abitato, dove il liquido viene raccolto in grandi fosse e utilizzato per innaffiare or-taggi e altre piante. Dalle pendici della collina sale quindi un continuo, terribile lezzo che investe interamente la città. Anche all'interno di essa, le cloache che si aprono improvvisamente nelle strade, gli sfiata-toi, grandi e piccoli, posti a ridosso delle fosse coperte, le «ruve acqua-rie» dove gli escrementi vengono lanciati direttamente dalle finestre, non fanno che rendere l'aria pestilenziale. Da questa pessima situazione igienica deriva una lunga serie di ma-

lattie, che il Comune ha più volte tentato di sconfiggere attraverso, un complesso normativo. Nel 1866 viene redatto il Regolamento muni-cipale che prevede, all'articolo 16, il divieto di tenere «stagni di acque putride e lorde a qualunque distanza dall'abitato» (26) e la proibizione dell'irrigazione degli orti con queste acque. Ma il 10 agosto 1882, un'ordinanza del Sindaco fissa la distanza minima dalla città a cui si possono creare orti così innaffiati (300 metri, ridotti l'anno successivo a 200 metri). Di nuovo quindi il medico sente il dovere di intervenire perché la

negligenza politica venga in qualche modo compensata. Passando in rassegna le varie zone della città, egli propone il rimboschimento di alcune di esse (soprattutto di quelle adiacenti alle pendici) con alberi come l'eucaliptus; la costruzione di pozzi neri chiusi e inavvicinabili, in altre; il ripristino del divieto assoluto di utilizzo del liquido delle cloache. Il problema della sistemazione della rete fognaria interna è comunque riconosciuto da lui stesso come di difficile soluzione e que-sto lo spinge ad invocare l'intervento di chi ha la capacità tecnica e l'energia necessaria a provvedervi.

Chiamato indirettamente in causa, il Mammarella, nella sua nuova veste di assessore per le opere pubbliche del Comune, redige uno stu-

26. R. Pellicciotti, Sulle condizioni..., cit., pp. 20-23.

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dio sul sistema fognario della città (27). Le numerose citazioni fatte in esso (l'autore si reputa discepolo del Bruno e del Padula e attento studioso delle teorie di Pettenkoffer e Cantani sul problema) rivelano la preoccupazione per formulare un progetto al passo con i tempi e alla stregua di quelli realizzati «nei Paesi civili d'Europa e d'America» (28). Partendo dalla spiegazione del funzionamento della rete esistente a corso continuo promiscuo (le acque provenienti dalle case sono cioè riunite a quelle delle strade), egli si lancia nella descrizione dei vantaggi e degli svantaggi derivanti da ipotetiche modificazioni del sistema. Motori meccanici, fosse mobili, sifoni idraulici, libere feritoie, sono tutti elementi di una analisi minuziosa, volta a risolvere la situazione più volte affrontata in passato in maniera però, anche secondo lui, superficiale e affrettata. La conclusione a cui l'ingegnere approda è che Chieti sia già munita

di un sistema fognario adeguato alle sue caratteristiche topografiche, ma che sia necessario un suo miglioramento, mediante l'introduzione di alcuni elementi tecnici innovativi e una graduale opera di restauro di cloache e di canali. La proposta così tracciata sarà seguita a partire pròprio da questi anni in cui il restauro della fognatura del centro abitato viene connessa alla costruzione del Corso cittadino. Il lavoro da compiere però risulterà lungo e faticoso e si estenderà fino agli anni Trenta dei '900, determinando la permanenza di una condizione poco adatta ad una città che più volte si dirà moderna. Questa lentezza non è solo imputabile ai costi che il Comune deve

sostenere, ma anche ad oggettive.difficoltà, per esempio quelle di ga-rantirsi un rifornimento idrico costante Le caratteristiche idrogeologi-che del colle teatino hanno infatti sempre impedito la possibilità di sfruttare sorgenti naturali (29), e il metodo di raccolta dell'acqua pio-vana nelle cisterne, utilizzato dai Romani, viene ancora usato dalle famiglie benestanti che però, «quando il Dio pluvio dorme» (30), sono

27. Provvedimenti sulla fognatura della città di Chieti. Relazione al Consiglio comu-nale dell'Assessore per le opere pubbliche ingegner G. Mammarella, Chieti, Tip. Mar-chionne, 1890. 28. Ibidem, p. 4. 29. G. Obletter, A. Antonucci, L'approvigionamento idrico sul colle teatino, in Aa.Vv.,

Teate Antigua, Chieti, Vecchio Faggio, 1991, pp. 63-65. Gli autori spiegano che il colle su cui giace Chieti ha per base uno strato di depositi pleistocenici argillosi, per sommità invece un manto di conglomerato arenario. Le acque meteoriche, penetrando nello strato sabbioso,si depositano sul terreno argilloso impermeabile, creando tra i due strati una falda idrica: in corrispondenza di essa - quindi nella parte più bassa del colle - si trovano le sorgenti naturali che, invece, mancano completamente nella parte superiore dell'altura. 30. R. Pellicciotti, Sulle condizioni..., cit., p. 17.

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costrette a soffrir la sete insieme con quelle più povere. L'idea di portare l'acqua a Chieti direttamente dall'Appennino è

inizialmente elaborata da una Commissione che, nel 1877, viene creata dal Comune per esaminare i progetti redatti a questo proposito negli anni precedenti (31). Scartate le varie ipotesi di far arrivare sul colle l'acqua del fiume Pescara, di recuperare i serbatoi e i tubi dell'antico acquedotto, o di crearne di nuovi, la Commissione inizia subito a trattare con varie società la realizzazione della propria idea. Dal 1877 al 1885 vengono intraprese le trattative con la Società dell'Acqua marcia di Roma, con la Società italiana delle condotte, anch'essa romana, con la ditta Galapin-Sue, Iacob e C. di Savona, con l'impresa Pignocchi e C. di Ancona: nessuna di esse arriva però a conclusione. Ogni volta che il contratto sta per essere stipulato, un imprevisto riporta la trattativa al punto di partenza: il ritiro della domanda di appalto dell'impresa Acqua marcia, il rifiuto da parte della Società italiana di occuparsi dell'esercizio e della manutenzione dell'acquedot-to, il fallimento della Galapin-Sue, il ricorso di alcuni comuni del-l'Appennino (Pretoro, Roccamontepiano e Miglianico) contro la uti-lizzazione da parte di Chieti delle sorgenti montane, la illegittima decisione del Prefetto di scartare l'impresa Pignocchi, fanno gradual-mente diminuire la speranza dei cittadini di poter finalmente avere acqua in città. Proprio un anno dopo le accuse e le lamentele lanciate dal Pellicciot-

ti, il lavoro viene dato in appalto alla ditta Fabbri di Bologna, che si impegna nella costruzione, manutenzione ed esercizio di una condut-tura di acqua potabile, della portata di I, 25 al minuto secondo (32). Il progetto, redatto da un ingegnere della ditta, viene presentato alla esposizione di Bologna dei 1888, dove si esalta la capacità dell'acque-dotto di trasportare acqua per ben 21 chilometri di terreni montuosi e collinari, e di farla giungere sul punto più alto della città (la Civitel-ia), dove è prevista la costruzione del serbatoio (33). L'inizio dei lavori significa però per il Comune l'avvio di una dura battaglia, che Io

31. L, Zotti, L'acqua della Maiella a Chieti, Chieti, Tip. G. Ricci, 1891, p. 24 e segg. 32. Comune di Chieti, Contratto per la conduttura delle acque dal Morite Maiella

a Chieti, Chicli, Tip. Marchionne, 1885. In esso si specifica che le acque vengono raccolte presso le sorgenti Bocca del Foro e Madonna degli Angioli, situate nella valle degli Asinari del Comune di Pretoro. 33. A. Cavalieri Ducati, Il progetto dell'acquedotto di Chieti all'esposizione di Bolo-

gna del 1888, Bologna, Zanichelli, 1888. Durante l'esposizione bolognese il progettista dell'opera, l'ing. Ducati, mette in evidenza anche l'importanza della scelta compiuta dall'impresa di far costruire i tubi necessari per l'acquedotto dalla Fonderia forlivese di Forlì, evitando in questo modo il ricorso a prodotti stranieri.

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vedrà impegnato contro l'impresa anche al termine delle costruzioni. L'intento speculatore di quest'ultima è infatti rivelato dagli errori che gli ingegneri chietini scoprono sin dalle prime ispezioni: la difettosità del tracciato dell'intera conduttura, la costruzione dei canali ad un livello eccessivamente superficiale, la erronea composizione del mate-riale di cui sono fatti i tubi, spinge i tecnici municipali a chiedere la costituzione di una commissione arbitrale (34). La sentenza emessa da quest'ultima riconosce la legittimità delle accuse lanciate dal Comune (35) e obbliga l'impresa a numerosi cambiamenti che comunque, negli anni successivi, risulteranno ancora insufficienti a soddisfare i bisogni cittadini (36). L'arrivo dell'acqua a Chieti segna non solo la possibilità di «benefi-

care la città» — come è scritto nella lapide apposta sul nuovo serbatoio (37) - ma anche quella di dare finalmente corpo agli insegnamenti per anni proposti dalla Società popolare degli studi. Questa società, sorta sulle spoglie della vecchia" Società promotrice dell'istruzione po-polare (38), fa proprio l'obiettivo di promuovere lo sviluppo intellet-tuale e civile del popolo, proclamandosi divulgatrice delle norme igie-niche proprie del vivere moderno (39).

34. G. De Vincentiis, Ispezione sulle costruzioni dell'acquedotto di Chieti. Prima e seconda relazione agli illustrissimo Sindaco e Giunta municipale, Chieti, Tip. G. Ricci, 1889. Nelle ispezioni si scopre che l'impresa sta anche costruendo il serbatoio ad una altezza diversa da quella stabilita nell'articolo 7 del contratto, e tale da non consentire l'arrivo dell'acqua ai piani più alti della abitazioni. Cfr. anche I. Nazzani, L'articolo 7 del contratto per condotta d'acqua a Chieti, Chieti, Tip. G. Ricci, 1889. 35. L. Zotti, L'acqua..., cit., pp. 38-39. Cfr. anche E. Cocco, F. Quarantotti, Per il

Comune di Chieti contro Fabbri. Appendice alla memoria. La questione delle otto fontanelle, Chieti, Tip. Marchionne, 1892. Il fascicolo contiene documenti, missive, notifiche e annotazioni, che confermano i cattivi rapporti tra Comune e impresa e mostrano la inevitabilità del ricorso alla Commissione arbitrale. 36. Il 25 giugno 1900 compare sul giornale «Il Momento» la Relazione tecnica sull'ac-

quedotto della città di Chieti, elaborata dagli ingegneri del Comune e da quelli dell'im-presa Treves, subentrata alla ditta Fabbri nella manutenzione ed esercizio dell'acquedot-to. In essa si sostiene la necessità di procedere ad opere di risanamento e di potenziamen-to dell'intera struttura, e alla costruzione di un nuovo serbatoio. 37. L. Zotti (a cura di), Chieti Ricordi patri. Strenna per l'inaugurazione dell'acque-

dotto chietino, Chieti, Tip. G. Ricci, 1891, p. 9. Scoperta il 10 maggio 1891 essa così recita: «Qui la potenza del lavoro e del volere costrinse le acque della Maiella / a beneficare la città / che festante ne salutava l'avvento / dalla presenza di S.A.R. / II Duca degli Abruzzi / Auspicato». 38. La Società promotrice dell'istruzione popolare, fondata nel 1871, proclama nel

proprio statuto di avere «per iscopo di promuovere la cultura morale, intellettuale e civile del popolo, con tutti i mezzi di cui potrà disporre, e precipuamente con la istituzione di una Biblioteca popolare circolante». Cfr. Statuto della società promotrice dell'i-struzione popolare in Chieti, Chieti, Tip. Del Vecchio, 1871. 39. Società popolare degli studi di Chieti. Relazione dell'anno 1900-1901, Chieti,

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Lo strumento utilizzato per quest'opera di educazione è la conferen-za pubblica e fra i temi affrontati durante il 1900 figurano la profilassi delle malattie, l'alimentazione, l'infanzia, l'educazione sanitaria gene-rale, la storia patria, la poesia patriottica e, ancora, l'educazione al lavoro, il risparmio, la Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia. Ciò sottintende la volontà di educare il popolo ai valori sì propri dell'igiene, ma anche e soprattutto della politica e dell'economia come dei resto è espresso nello statuto della Società in cui si dichiara, di «seguire lo sviluppo del pensiero moderno, il quale vuole ... che si accrescano ì rapporti personali tra le classi dirigenti e il popolo» (40), che mette in evidenza la volontà della classe detentrice del potere di formare la propria inevitabile controparte, secondo precetti che pro-muovano 1'«armonia civile» e il progresso umano. La grande importanza della questione igienica viene ormai gradual-

mente riconosciuta da tutti. Non sono più soltanto il medico e l'inge-gnere a professarne l'efficacia sociale, ma è anche la politica a rendersi conto della possibilità di poterla utilizzare come strumento per ottenere il consenso delle masse. Questo nuovo riconoscimento non porta co-munque a diminuire la forza di chi per primo lo aveva espresso. Anzi. Abbiamo già parlato dell'accrescimento del potere del tecnico nell'am-bito dei processi urbani; è a lui che si affidano gli interventi migliorativi delle condizioni igieniche del centro abitato. Le sue funzioni però col passare del tempo si ampliano e si diversificano fino a concentrarsi nelle sue mani il potere di manipolare e ridisegnare lo stesso tessuto urbano. Questo significa per Chieti un vero e proprio stravolgimento della sua forma e della sua struttura: l'opera di sventramento di una parte del centro abitato e la realizzazione del corso Marrucino segnano infatti la nascita di una città nuova.

Il corso Marrucino segno di civiltà

La realizzazione del corso Marrucino, intrapresa negli anni Novanta del secolo scorso, significa per la classe dirigente chietina il compimen-to di un'opera lungamente attesa e fortemente desiderata. Il corso infatti sta a rappresentare, per l'oligarchia dominante, l'espressione massima del grado di civiltà raggiunto dalla città abruzzese e, con-

Tip. Marchionne, 1901, p. 6. L'opuscolo contiene lo Statuto della Società e la lista degli incontri e delle conferenze tenute nell'ambito del suo programma divulgativo. 40. Ibidem, p. 5,

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temporaneamente, la capacità dell'uomo moderno di plasmate con le proprie mani un tessuto urbano rimasto inalterato per secoli. Se andiamo ad esaminare le motivazioni che, in trent'annì di studi

e di dibattiti, vengono addotte per la edificazione della nuova strada, ci accorgiamo che in esse l'aspirazione alla modernità è costante. Con il primo progetto, redatto nel' 1863, Chieti vuole creare uno spazio nuovo, adeguato alla nuova funzione politica (capoluogo di provin-cia). Nei progetti successivi questa intenzione si arricchisce di altri motivi, finendo con il coincidere con una volontà di rinnovamento fortemente connessa all'ideologia igienista (41). Abbiamo già descritto come, a partire dall'ultimo decennio dell'Ot-

tocento, si affermi anche a Chieti la necessità di mettere in pratica gli insegnamenti sanitari del vivere moderno: ciò appare realizzabile mediante lo sventramento del centro cittadino e la ricostruzione secon-do i nuovi principi dell'igiene così come fatto da Hausmann a Parigi (42). Sventrare il tessuto urbano per edificare il corso significa quindi, in questi anni, dare la possibilità ad uno stuolo sempre più compatto di ingegneri di legare insieme igiene, politica ed estetica e garantire, attraverso la definizione di una nuova forma urbana, la trasformazio-ne di Chieti in città borghese. In questo senso, lo studio stilato a partire dal 1886 e poi effettivamente realizzato, racchiude in sé lo spirito europeo del tempo, che vede nella «distruzione creativa» il mezzo per cancellare le tracce del passato e della tradizione e per permettere, nella città moderna, la liberazione di sane energie vitali (43). Come abbiamo già accennato, è proprio subito dopo l'Unità d'Italia

che i politici chietini decidono di adattare urbanisticamente la città al ruolo di capoluogo di provincia dello Stato unitario, appena asse-gnatole. Il nuovo rango li induce a concepire come mutamento impre-scindibile, e soprattutto urgente, il miglioramento del sistema viario

41. Le vicende e le motivazioni relative alla realizzazione del corso chietino ricordano quelle riguardanti la creazione del corso di Catanzaro: Cfr. M.A. Teti, La città di Catanzaro dal 1860 al 1920. Evoluzione urbanistica e condizione della popolazione, «Storia Urbana», 6, 1978, pp. 55-83 e G.E. Rubino, M.A. Teti, Catanzaro, Bari, Later-za, 1987, specie pp. 117 e segg. 42. Su Haussmann e le opere di sventramento ispirate al modello francese, compiute

nelle grandi capitali europee durante l'Ottocento, v. P. Sica, Storia dell'urbanistica. L'Ottocento, Bari, Laterza, 1991, vol:I, pp. 200 e segg., e M. Roncayolo, La città, Torino, Einaudi, 1978, pp. 63-64. 43. Molti autori insistono sul concetto che la modernità nutre un atteggiamento di

distacco nei confronti del passato, se non di rottura con le condizioni storiche preceden-ti, v. D. Harvey, La crisi della modernità, Milano, Il Saggiatore, 1993, pp. 23-32; M. Berman, L'esperienza della modernità, Bologna, Il Mulino, 1985.

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interno, che consenta un incremento dei traffici commerciali (44). Il tema del commercio viene sentito come fortemente connesso con

quello del progresso: aprire Chieti alla vitalità propria dell'economia, permettere ai veicoli di circolare liberamente soprattuto nelle parti più centrali di.essa, significa creare le premesse perché la città si trasformi in luogo di scambio, in un luogo cioè pienamente moderno (45). L'im-pegno si indirizza pertanto alla creazione del corso cittadino che svolga principalmente due funzioni: quella di arteria principale del rinnovato sistema viario, e quella di simbolo tangibile dell'avvenuta rottura con lo spirito del passato. L'apertura della nuova via è facilitata dal fatto che la zona interessa-

ta è rimasta «neutra» nel corso del tempo. I due nuclei abitativi princi-pali della città si formarono e svilupparono grazie a valenze culturali e religiose profondamente differenti tra di loro (46). Il nucleo della Civitella, il punto più alto del colle che, a sud di esso, domina la vallata sottostante del fiume Pescara, fu originariamente sede dell'inse-diamento romano, quindi simbolo militare e pagano. Ad esso si con-trappose, in età medievale, il nucleo sorto sul promontorio opposto alla Civitella, e avente come fulcro la cattedrale di S. Giustino simbolo della cristianità. Lo spazio intermedio a questi due nuclei venne spon-taneamente riempito da edifici pubblici e privati di sempre crescente importanza, ma di significato simbolico vago. La creazione del corso, su cui questi palazzi verranno ad affacciarsi, darà quindi all'intero spazio la connotazione di luogo nuovo per eccellenza, che ben si addice a rappresentare le aspirazioni e le tensioni di una nuova città.

44. Il 9 maggio 1863 il Consiglio comunale decide di accogliere l'invito rivoltogli dal prefetto di far domanda per ottenere il«sussidio riservato ai comuni che difettano dei mezzi per compiere opere di massima urgenza e di utilità pubblica». I lavori che il Municipio spera di poter realizzare sono la costruzione di un nuovo corso cittadino che attraversi interamente la città e la sistemazione e il completamento delle vie di circonvallazione lungo l'ex recinto murario, ASCH, Prefettura IV versamento, II serie, Affari comunali, busta 25. 45. Il 21 ottobre 1863, la Giunta municipale si riunisce in assemblea e mette in

evidenza: 1) «che per gli inestimabili effetti delle libere istituzioni una novella era di Civiltà e di Progresso già rapidamente si appalesa in questa Metropoli, talché il Com-mercio in ispecic mirabilmente tocca il suo massimo incremento»; 2) che è ormai «in-comportabile alla felice condizione commerciale della nostra popolosa città, centro degli Abruzzi, l'angustezza e la irregolarità di queste strade interne»; 3) «che siffatto inconve-niente arreca notabile intralcio al transito dei veicoli ed al moto sempre crescente nell'in-terno dell'abitato, il che rifluisce in grave nocumento del Commercio istesso».. Da qui la speranza di realizzare un rapido mutamento della situazione, ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 25.

46. A. Del Bufalo, I centri antichi di Todi, Monteflaiano, Chieti, Roma, Bulzoni, 1977, pp. 104-105.

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Il primo atto compiuto dalla Municipalità per affermare la propria reale volontà di azione è l'approvazione, nel 1863, del progetto della via redatto da tre professionisti locali: l'architetto De Fabritiis e gli ingegneri Mammarella e Sigismondi (47). Esso fissa, come punti estre-mi del nuovo corso, il largo Trinità e la piazzetta (allo sbocco di Via Arniense), e indica quattro fasi differenti attraverso cui realizzare l'opera: la resecazione di gran parte delle facciate dei palazzi presenti lungo l'esistente corso Galiani (la via che va da largo della Trinità al largo del Teatro, detto Pozzo per la presenza di una enorme cisterna romana sotterranea); la demolizione di parte degli edifici che dal Poz-zo arrivano fino al Mercatello; la distruzione delle casupole che, da qui fino alla Piazzetta, si ammassano lungo le facciate del Palazzo comunale e del Seminario diocesano; lo sbancamento del rilievo che, di fronte alla chiesa di S. Francesco, permette il collegamento di questa alla piazza della Cattedrale (piazza Vittorio Emanuele), attraverso la via del Popolo. In questo modo, si viene a delineare una lunga strada che, attraver-

sando da sud a nord la città, permette il facile accesso alla piazzetta (sede di uno dei mercati principali) rimedia al difficile approdo ad essa mediante le due ùniche strade esistenti: la via Pollione, che dal Pozzo arriva a piazza Vittorio Emanuele e da qui, lungo la via del Popolo e lungo la ripidissima discesa che consente di lasciare il rilievo dinanzi alla chiesa di S. Francesco, conduce al quadrivio della piazzet-ta; e la via dello Zingaro, che con un percorso estremamente tortuoso, sbocca a largo S. Angelo, alla fine cioè di via Arniense. Dopo aver ottenuto l'approvazione da parte della Giunta municipa-

le, il progetto viene sottoposto all'esame del Genio civile, il quale delude però la grande fiducia del Municipio, esprimendo parere negati-vo sulla parte più ardimentosa del progetto (48). Andando incontro al desiderio espresso dal Comune di incrementare il movimento della città considerato realmente «incomodo», gli ingegneri del Genio civile danno infatti il via libera soltanto all'ampliamento del corso Galiani (49),

47. Il progetto è approvato nella seduta del 21 Ottobre. 1863. La relazione dei profes-sionisti e le piantine che la accompagnano sono in ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 25. 48. Comunicazione del corpo di Genio civile al Comune, 29 aprile 1864, ASCH,

Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 25: 49. L'ufficio giudica positivamente gli 8 metri di larghezza previsti dal progetto per

il corso Galiani e in più, rispetto ad esso, propone l'abbattimento dell'intera chiesa di S. Domenico. Questa demolizione sarà effettivamente realizzata nel 1914 e ciò consentirà la costruzione del nuovo palazzo provinciale. Cfr. V. Zecca, La chiesa di S. Domenico a Chieti, «Rassegna d'arte degli Abruzzi e Molise», III, 1914, fascicolo II, e anche

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mentre invece rifiutano le demolizioni dell'altro tratto, non ritenendo né urgente né, tantomeno, utile la costruzione del nuovo tratto di strada. In alternativa propongono, quindi, l'ampliamento di via dello Zingaro, considerato più che sufficiente a soddisfare le esigenze della città. La decisione del Genio civile genera una vera e propria frattura tra

il potere centrale e quello Municipale, resa ancora più profonda dalle motivazioni addotte da quell'ufficio ed espresse in una lettera inviata al prefetto della Provincia (50). In essa, il Real corpo dello stato accusa il Consiglio comunale chietino di voler sfruttare i sussidi messi a disposizione per il miglioramento delle vie di comunicazione del Regno, per opere giudicate «di lustro e di comodità interna» e profila l'ipotesi che esso voglia procedere a opere di demolizione, senza però essere in grado di ricostruire, mirando all'intervento del Governo che, per «toglierlo di impaccio», completerebbe i lavori così intrapresi. Trovandosi, a questo punto, bloccato nelle sue aspettative, il Comu-

ne non può fare altro che accettare la decisione proveniente dall'alto, e invitare i professionisti locali a proporre nuovi studi e nuovi progetti d'arte (51). I dieci anni successivi al 1863 vedono quindi un notevole approfondimento del dibattito sul corso e un contemporaneo allarga-mento del numero di persone in esso coinvolte: il destino dell'opera non è più questione esclusiva del ristretto gruppo di consiglieri munici-pali, ma anche di esperti e professionisti — locali e non che mettono a disposizione le proprie capacità, per realizzare l'opera tanto attesa dalla comunità. Questo coinvolgimento generale produce un forte im-pegno nella definizione del reale nesso esistente tra l'opera da realizzare e gli intenti economici e sociali che con essa si vogliono raggiungere, e l'argomento del traffico - prima dominante - viene ad essere acco-

1 'opuscolo-giornale Per il palazzo provinciale, Chieti, 3 marzo 1912, in difesa del proget-to del nuovo edificio redatto dal Benedetti. In esso vengono messi a confronto i tre studi Benedetti, Lora e Mammarella, dei quali risulterà vincitore l'ultimo, 50.. Lettera dell'ingegnere capo del Genio civile nell'Abruzzo Citeriore al prefetto

della Provincia, 29 aprile 1864, ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 25. 51. Delibera del Consiglio comunale del 18 febbraio 1865, ASCH, Pref. IV vers.,

II s., Aff. com., b. 25.

Fig. 1 - Chieti. Linea del Corso secondo i progetti (dall'alto in basso) De Fabritiis, Mammarella, Sigismondo Daretti; Antonucci. (Fonte: Comune di Chieti, Il programma e l'azione dell'Amministrazione comunale dal dicembre 1923, Chieti, Tip. Marchione e C, 1926).

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stato ad altri che risulteranno in seguito prevalenti: ci riferiamo al tema dell'igiene e a quello della rappresentatività politica. Nel 1873 vengono depositati in Comune tre progetti. Il primo, pre-

sentato al Consiglio municipale già nel 1869 e redatto dall'architetto De Fabritiis, in collaborazione con gli ingegneri Pozzi e Vigezzi, ripro-pone per il corso la stessa linea, lunga circa 1 km. e quasi completa-mente dritta, del progetto originario (52). Da questo differisce soltanto nel punto di partenza della strada, fissato sulla sommità della Civitella: da qui essa corre giù verso il pianoro, abbatte la chiesa della Trinità e prosegue fino al Pozzo, dopo aver demolito anche parte della chiesa di S. Domenico; dal Pozzo, poi, dove viene naturalmente a formarsi un ampio largo, prosegue fino al Mercatello, sventrando vari edifici, e di qui scorre veloce fino alla piazzetta. La grande similitudine con il progetto antecedente non deve apparire

strana: gli anni trascorsi dopo il 1863 hanno notevolmente incrementato la fiducia dei professionisti nella fattibilità dell'opera e, se in passato il professor De Fabritiis si è visto rifiutare il suo studio, ora egli lo ripropone ritenendo finalmente maturi i tempi per la sua approvazione. Ciò lo induce a conservare intatto anche l'originario impeto «distrutto-re» del progetto che ci sembra esprimere bene la tensione e, a volte, l'ansia - tipiche della cultura architettonica del tempo - di demolire tutto ciò che impedisce al rettifilo di imporre la propria linea. Il secondo progetto è quello redatto dall'ingegner Daretti, capo del-

l'Ufficio tecnico di Ancona, che nel 1871 riceve il compito di progetta-re il corso direttamente dal Consiglio comunale. La linea da lui propo-sta è quella che, partendo dalla piazza della Trinità - considerato punto nevralgico perché da esso iniziano la passeggiata S. Andrea, la via che conduce a Porta Reale, cioè alla circonvallazione occidentale, e la via esterna orientale - giunge al Pozzo per poi imboccare via dello Zingaro e, dopo averla percorsa per un tratto, si reimmette nel Mercatello, fino a giungere presso la piazzetta. La lunghezza della via ideata è di 423 metri e la sua larghezza è di 12 metri, necessaria alla viabilità contemporanea di persone e vetture. Questo progetto viene fortemente sostenuto dal sindaco Pera che

considera la sua realizzazione «opera ardua, dispendiosa, colossale, ma pur reclamata istantaneamente dal decoro del paese, dalla civiltà e sotto certi rapporti anche dalla necessità» (53): esso infatti provvede-rebbe ad abbozzare un vero e proprio sistema delle principali linee

52. II progetto è pubblicato su «L'Aterno», 19 ottobre 1873. 53. Lo studio viene presentato dal sindaco Pera su «L'Aterno», 5 ottobre 1873.

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di transito, consentendo il collegamento dell'arteria principale con al-cune vie secondarie, che da essa si diramano verso i quartieri meridio-nale e settentrionale. Il terzo progetto stilato dall'ingegner Antonucci, viene presentato al

Comune in forma privata nel 1872. Le premesse e le indicazioni dall'autore stesso fornite per spiegare la propria idea, sono fondamen-tali per comprendere come la costruzione del corso venga gradualmente connessa con quella ideologia modernista, che fa della questione igienica il suo punto dominante. L'ingegner Antonucci esamina nel suo progetto innanzitutto la situazione di vari quartieri chietini, ri-traendoli come «orribili conglomerati di casupole» (54), in cui la vita di chi vi abita è piena di quelle «bruttezze che vilipendono l'uomo moralmente, degradandone la dignità per rispetto al bruto, e material-mente, negandogli quei conforti che gli sono necessari per l'esercizio delle funzione più nobile, la più santa, che è il lavoro» (55). La convin-zione che sia possibile mutare lo stato drammatico delle cose in questi posti, lo spinge quindi a concepire la strada come elemento rigenerato-re dei luoghi. Lo scopo che egli si prefigge è quello di creare un'arteria principale che alimenti le vie secondarie della città, portando la circola-zione e il traffico fin nei siti più remoti dell'abitato. È attraverso questo sistema complesso di vie e vicoli che la vita cittadina potrà diramarsi libera dappertutto, e garantire un risanamento complessivo dello spazio. La linea proposta dall'Antonucci è quindi profondamente diversa

dalle altre, toccando un numero più alto di quartieri e collegandosi con le vie più disparate: essa ha, come punto di origine, la Civitella da cui scende, parallelamente al corso Galiani, lungo via S. Paolo; attraversa quindi il rione S. Gaetano e sbocca presso il Pozzo, per proseguire lungo via dello Zingaro, fino a largo S. Angelo. Qui, anzi-ché fermarsi, si immette in via S. Eligio, quindi in via Paradiso, e sbocca davanti alla Torre Spatocco, a 100 metri circa dalla piazzetta. Come si vede, il corso progettato tocca quasi tutte le parti della

città, cercando di portare «la vita, la ricchezza, laddove ora è morte e miseria, risollevando per causa delle nuove costruzioni da eseguirsi lo stato infelice architettonico dei mucchi di casolari, umili tuguri, vergogna per l'opulenza, tesoro pel povero» (56). L'attenzione che

54. F. Antonucci, Due parole sui progetti del corso nella città di Chieti per F. Anto-nucci, Teramo, Tip. Marsilii, 1873, p. 36. . 55. Ibidem, p. 36. 56. Ibidem, p. 34.

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l'ingegnere pone sul rapporto strada-quartiere, lo porta a considerare il proprio lavoro come l'elaborazione di un vero e proprio piano rego-latore della città: la strada infatti diviene per lui lo strumento principale per apportare modifiche all'interno dell'assetto urbano, tenendo anche e soprattutto conto delle future vie di traffico. In questo senso egli, per primo, pensa alla necessità di creare le condizioni per potenziare la viabilità che, grazie alla creazione della nuova stazione ferroviaria ai piedi del colle teatino (57), si estenderà sul lato orientale della città. È questo pensiero che lo induce a far arrivare il corso fino al largo S. Angelo perché da qui, proseguendo lungo Porta S. Anna, si apre la linea che conduce alla pianura sottostante, quindi alla ferrovia. Concludendo, possiamo dire che l'Antonucci è il primo a considera-

re realmente lo stretto legame esistente tra i mutamenti del presente e i presumibili effetti di essi nel futuro: il primo a tener conto di quanto le modifiche urbanistiche possano mutare la vita dell'intera città. «Distruggere il vecchio» (58), creare nuove possibilità di vita per mezzo di una strada, definire il traffico che su di essa si realizzerà, diventano per il nostro autore gli atti concreti da svolgere perché la città possa rinnovarsi, seguendo la via «voluta dalla civiltà e dal pro-gresso della nostra epoca» (59). I tre progetti indicati vengono sottoposti, appunto nel 1873, al giudi-

zio di una commissione municipale creata proprio per stabilire quali di essi debba essere realizzato. I criteri annunciati per dar vita alla scelta definitiva rispondono a quella esigenza, generalmente sentita, di definire e stabilire precedentemente quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere con la realizzazione dell'opera. La commissione, infatti, si impegna a tener conto dei seguenti aspetti (60): della necessità di assecondare «più acconsciamente e più utilmente il movimento reale e continuo degli abitanti e dei trafficanti nella sfera dei bisogni comuni, e nella cerchia delle relazioni civiche, politiche, commerciali»; della volontà di produrre «la maggior euritmia assoluta e relativa ..., sia per estetica generale, sia per salubrità di esposizione e di contingen-ze igieniche, sia per mostra e scovrimento al viandante dei fabbri-

57. La stazione di Chieti Scalo viene costruita nel 1873 a seguito dell'apertura della linea ferroviaria Pescara-Sulmona. 58. F. Antonucci, Due parole..., cit., p. 40. 59. Ibidem, p. 40. 60. Essi vengono indicali, dalla Commissione stessa, in Sulla costruzione del corso

nella città di Chieti, «L'Aterno», 23 ottobre 1873.

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cati più imponenti all'uopo decorati e decorando ... sia per comunica-tiva alle strade secondarie ed ai quartieri adiacenti e inferiori»; del bisogno, infine, di considerare la capacità di spesa del Comune. Traffico, estetica, igiene e finanze sono quindi gli elementi che la

commissione si ripromette di considerare per offrire alla città l'opera maggiormente adeguata. Nel momento della decisione, però, il giudi-zio dell'organo sembra tener conto soltanto dell'aspetto finanziario, ed essendo i progetti Daretti e Antonucci i più costosi per le numerose rettifiche e demolizioni che prevedono, esso si orienta sul progetto De Fabritiis, considerato il più adeguato alle esigenze cittadine (61). Ma a guardare bene la relazione finale compilata dalla commisssione, ci accorgiamo che differente è il motivo che la spinge a formulare il suo giudizio: essa, infatti,. rifiutando la connessione strada-risanamento-piano regolatore, e concependo il Corso come opera unica e distinta, da non mettere in relazione né alla questione igienica, né ad una sistemazione urbana complessiva, finisce con l'esprimere essenzialmente la necessità di procedere alla monumentalizzazione del centro cittadino, per soddisfare l'esigenza di rappresentatività forte-mente sentita dal capoluogo (62). Il congiungimento previsto dal De Fabritiis dei due punti estremi della città, infatti, si realizza lungo una strada rettilinea su cui si affacciano i maggiori edifici presenti a Chieti: la Prefettura, l'Istituto provinciale, il Palazzo municipale, il Demanio, il Palazzo delle finanze, la Camera di commercio, l'Ufficio annonario, sfilano lungo il suo corso insieme alle chiese (la Chiesa della Trinità, quella di S. Domenico, la Cappella del liceo), agli Istituti ecclesiastici (l'Arcivescovado, il Seminario diocesano), e alle scuole (il Convitto nazionale e ginnasiale, le scuole tecniche comunali). La scelta alla fine compiuta indica pertanto come la commissione consideri il corso soprattutto segno e simbolo del potere politico che la città detiene e la sua costruzione come la creazione di un luogo, che abbia un forte potere evocativo e che consenta a chiunque di individuare la stretta vicinanza esistente tra lo spirito cittadino e quello universale del progresso umano. L'approvazione da parte della commissione comunale del progetto

De Fabritiis non comporta comunque l'inizio dei lavori. La realizza-zione dell'opera viene costantemente rimandata per l'enorme peso fi-

61. Le spese previste dai tre progetti in questione sono esaminate in F. Antonucci, Due parole..., cit., pp. 19, 20, 25. Per il progetto Daretti si prospetta la spesa di 1.550.000 lire; per quello Antonucci, di 956.000 lire; per quello De Fabritiis, infine, 600.000 lire. 62. La relazione della Commissione è in «L'Aterno», 26 e 30 ottobre 1873.

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Fig. 2 - Chietì. Sventramento delineato dal Montalbetti. (Fonte: ACCH, Cat. X, b. 72, fasc. 515).

nanziario che il Comune deve comunque impegnarsi a sostenere, e per le numerose modifiche imposte dai vari organi superiori competenti (63). Si arriva così alla metà degli anni Ottanta quando non solo lo studio approvato ha subito variazioni dal punto di vista tecnico, ma quando è ormai fortemente attivo l'Ufficio tecnico municipale, nel frattempo creato. È a questo ufficio che la realizzazione dell'opera viene quindi affidata ed è ad esso che il Comune demanda il potere di decidere quanto connesso con la costruzione. Abbiamo precedentemente visto come gli anni Ottanta segnino il

trionfo della cultura igienista e il contemporaneo dominio dei processi urbani, e quindi sanitari, da parte dell'ingegnere comunale. Questo significa che la stessa realizzazione dell'attuale corso Marrucino viene ad essere reclamata come opera di profonda utilità igienica, perché essa consente l'abbattimento di una serie di case luride e malsane e apre «largo e libero varco alla circolazione dell'aria con evidente vantaggio della pubblica salute» (64). Da queste considerazioni conte-nute in una delibera del Consiglio comunale, ci accorgiamo che l'aper-tura della nuova via va ormai assumendo, per la classe dirigente, un duplice significato: realizzare un'opera che sia segno concreto dell'ac-

63. Si vedano le segnalazioni fatte dal Genio civile a proposito dei cambiamenti, soprattutto altimetrici, da apportare al progetto, ASCH, Pref. IV vers., Il s., Aff. com., b, 25. 64. Delibera del Consiglio comunale del 9 agosto 1886, ASCH, Pref. IV vers., II

s., Aff. com., b. 27.

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cettazione da parte della cittadinanza chietina dei principi dell'igiene (che, insieme con quelli del commercio, caratterizzano la modernità), e che consenta quindi di svolgere la propria funzione politica al passo con i tempi. Nel 1886, viene incaricato di redigere un nuovo progetto che soddisfi

queste, esigenze il capo dell'Ufficio tecnico ingegner Montalbetti, suc-ceduto all'ingegner Mammarella divenuto ora assessore alle opere pub-bliche. Egli, riprendendo le idee igieniste dell'ingegner Antonucci e urbanistiche dell'architetto De Fabritiis, comincia ad elaborare, insie-me con i suoi collaboratori, uno studio relativo alla sistemazione del largo del Pozzo e all'apertura della via Ulpia che, prolungando il vecchio corso Galiani, costituirà il secondo tratto del corso denomina-to Marrucino a conclusione dei lavori (65). Per quanto riguarda il largo, l'ingegnere si trova a dover risolvere il

problema del taglio e dello sventramento delle case Francese e Sarra-Valignani che, se rappresentano ;il lato principale dell'area da sistema-re, costituiscono anche l'imbocco stesso della strada da aprire. Montal-betti prospetta inizialmente un taglio particolare della casa Francese, la cui punta estrema viene ad essere parallela alla facciata del Teatro e perpendicolare a quella del Palazzo Valignani. La forma che il Largo così assume è giudicata però eccessivamente

irregolare dall'assessore Mammarella e dal consigliere ingegner Ange-lozzi i quali propongono, invece, una forma più lineare ed elegante, derivante dall'allineamento delle nuove facciate interessate, secondo un'architettura simile ed in linea con i prospicienti palazzi dell'Arcive-scovado e del Teatro Marrucino (66). La loro proposta viene accettata dalla Commissione per il corso nel 1888 e il Montalbetti, di conseguen-za, rivede la propria linea approvata poi dal Consiglio comunale nel 1890 (67). Per quanto riguarda la via Ulpia, invece, il progetto municipale —

lievemente rivisto, sempre nel 1888, con le proposte del consigliere

65. ACCH, Categoria X, busta 72, fascicolo 515. II 1° novembre 1886, Montalbetti presenta il suo progetto di massima rivisto, nei due anni successivi, con le proposte di vari consiglieri comunali. 66. Comune di Chieti, Ufficio tecnico, Relazione sulle varie proposte di sistemazione

del largo avanti il Teatro e del prolungamento del corso fino al largo Mercatello, Chieti, Tip. G. Ricci, 1888,,p. 13. 67. Il 1° febbraio 1890, il Municipio annuncia che il progetto relativo al largo del

Pozzo è stato depositato presso la Segreteria comunale, ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 27.

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Fig. 3 - Chieti. Taglio degli edifici effettuato secondo la proposta Mammarella-Angelozzì (Fonte: «Galiani», 20 Maggio 1888).

De Attiliis - prospetta la realizzazione di due tratti rettilinei (68). Il primo - dal Pozzo alla casa De Lellis - penetrando nelle case Francese, Paini e Sarra-Valignani, raggiunge una lunghezza di 84 metri ed è in comunicazione con due vicoli (Teatro S. Ferdinando e Paini) da allargare in modo da consentire una migliore circolazione dal rettili-neo alla strada Pollione e dello Zingaro. Il secondo tratto, invece, dopo una linea di raccordo di 22 metri prospiciente appunto la casa De Lellis, scorre per 96 metri sulla via già esistente dal Mercatello alla piazzetta incontrando, nel suo tragitto, il palazzo del Comune e del Seminario a sinistra, le case Valli, Bassi-De Horatiis, la chiesa di S. Francesco e l'Intendenza di finanza a destra. La realizzazione dell'imponente opera dura sette anni a partire dal

1893, quando viene appaltata alle imprese chietine Cuculio e Deside-rio. Nei primi tre anni si procede alla sistemazione del largo del Teatro e alla creazione del primo tratto della via, lavori che determinano una forte reazione da parte dei proprietari delle case da sventrare (69). Questa opposizione però scema rapidamente grazie alla consa-

68. La loro descrizione è in «Il Giornale di Chieti», 25 novembre 1894. 69. La protesta dei proprietari è rivolta contro la decisione del Comune di pagare

indennizzi per le demolizioni ritenuti inadeguati: l'intento del Municipio è di far pagare a loro la maggior parte delle spese di ricostruzione, ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 27.

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pevolezzà, dagli stessi raggiunta, dell'aumento del valore dello spazio su cui insistono i loro edifici, conseguente alla apertura della nuova strada. Essa, determinando la creazione di nuove e numerose botteghe, il rifacimento di gran parte delle facciate degli edifici, l'espulsione dei poveri ammassati nelle casupole da abbattere, il restauro della rete fognaria (70), la pavimentazione dell'arteria e dei vicoli ad essa connessi, incrementa notevolmente il decoro del centro cittadino, e rende contemporaneamente più redditizia la localizzazione dei palazzi nobiliari. La demolizione delle «luride» e «malsane» case appoggiate al palaz-

zo comunale e al Seminario, non suscita invece alcuna reazione negati-va nel momento in cui viene intrapresa. Anzi, a partire dal 1896, quando si inizia la sistemazione del secondo tratto della via, essa viene salutata come definitiva opera di risanamento dell'intera zona. La di-struzione dei tuguri è seguita dall'arduo lavoro di sterramento del rilievo che sorge proprio dinanzi alla chiesa di S. Francesco e che consente - come già detto - il «collegamento tra la stessa e la Catte-drale attraverso Via del Popolo. Questo sbancamento di ben 5 metri di terra, necessario per realizzare la strada quasi in piano, interessa anche parte del palazzo comunale e l'Intendenza di finanza: mentre però per questi edifici esso provoca la positiva emersione dei sotterra-nei destinati a nuove botteghe, per la chiesa invece viene a determinare l'impossibilità di accedervi. Infatti, una volta eliminato l'imponente rilievo, S. Francesco si trova privato del terreno che ha dinanzi e di conseguenza con il portone ligneo di ingresso sospeso in aria. Mon-talbetti risolve il problema mediante la ideazione di una ampia scalina-ta che, dalla base stessa della via Ulpia, si snoda contro la facciata della chiesa, fino a raggiungerne il portone d'ingresso. Nel contempo, l'ingegnere affronta radicalmente anche la questione

dell'eccessiva pendenza di via del Popolo, prevedendo da piazza Vitto-rio Emanuele, inclinata verso la circonvallazione esterna opposta alla via in questione, il livellamento dell'intera piazza, da effettuare in linea con l'imbocco della via del Popolo stessa (71). L'inclinazione

70. Il restauro, eseguito in base allo studio elaborato dall'ingegner Mammarella nel 1890, comporta lavori di scavo.alla profondità di quasi 7 metri rispetto al livello della nuova via e dei vicoli sistemati. Cfr. V. Zecca, Gli scavi della via Ulpia, «Rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti», 1897, III, pp. 98-99. 71. Tutta la parte del progetto relativa all'altimetria della zona compresa tra il Merca-

tello, la Cattedrale, via Arniense e via Ulpia, è in «Il Giornale di Chieti», 9 dicembre .1894..

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Fig. 4 - Chieti. La Via Ulpia. (Fonte: ACCH, Cat. X, b. 51, fase. 332).

di quest'ultima viene così a risultare idonea al transito dei veicoli pro-venienti e diretti, lungo di essa, verso la piazzetta. Intanto l'opinione pubblica mostra interesse per l'opera in via di

realizzazione. L'eco di questa partecipazione è rinvenibile nella stampa locale che si fa veicolo di proposte e di idee, tra le quali prevalgono la creazione di lunghi portici che dalle case Valignani e Francese co-steggino la strada fino al Mercatello (72); la realizzazione di una galle-ria coperta lungo il primo tratto della via (73); la trasformazione del largo del Pozzo in una vera e propria piazza (74). Tali idee ci sembra-no fortemente indicative di una volontà di socializzazione, che cerca il luogo adatto per essere espressa: il luogo dove poter passeggiare, guardare vetrine, chiacchierare, sfoggiare vestiti alla moda, compiere cioè quei riti ritenuti propri dell'esistenza moderna. Nessuna di esse troverà nel tempo realizzazione, per motivi architettonici oltre che ur-

72. L'idea è discussa già nel 1888 in «Galiani», 6 e 20 maggio di quell'anno che descrive i vantaggi relativi alla «comodità» e all'«ordine pubblico» derivanti dalla sua realizzazione. Con i portici infatti si formerebbero due marciapiedi per il passeggio ai iati della via; si concentrerebbero in un punto centrale i principali negozi della città; si creerebbe un luogo di ritrovo, utile soprattutto nella stagione invernale. 73. «Il Giornale di Chieti», 11 febbraio 1894. Realizzare la galleria significa per

alcuui dotare anche Chieti del «foro delle città moderne», per altri permettere, grazie ad un «viottolo di 9x90 metri», la creazione di un vero e proprio «caso di epilessia architettonica». 74. È quanto richiedono i numerosi firmatari della petizione inviata al sindaco il

17 febbraio 1894, ACCH, Cat. X, b. 72, fase. 521. Il desiderio da loro espresso, trova spazio anche ne «Il Giornale di Chieti», 25 febbraio 1894.

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banistici, ma ciò non sminuisce la vitalità e l'entusiasmo che accompa-gneranno la creazione del corso fino al suo completamento. Accanto a questo fervore, ci sembra però interessante segnalare il

persistere di una forte tensione nel già citato rapporto centro-periferia, che il Comune sente ancor più negativo ora che la città è tutta un cantiere. Già nel maggio 1894, si registra uno scontro tra il Municipio da un lato e il Ministero dell'interno dall'altro, sulla questione della trasformazione del prestito di 464.000 lire, già concesso per la costru-zione dell'intera via e del nuovo cimitero comunale (75). Il Comune, essendo già stata consumata la maggior parte della somma di denaro per la sistemazione del largo del Pozzo e per la costruzione del primo tratto della via Ulpia (del tratto cioè Pozzo-casa De Lellis), chiede di poter utilizzare la rimanente parte per completare l'opera, avendo del resto già deciso di procedere al semplice ampliamento del cimitero esistente (76). La risposta proveniente dal Ministro è però durissima: in essa, infatti, si biasima il comportamento del Comune, poco rispet-toso delle norme burocratiche ed estremamente insolente nel pensare di evitare la «via gerarchica» tipica delle trattazioni «degli affari di ufficio», e si rimanda al lungo iter che la pratica dovrà seguire per poter essere esaminata, in vista della sua eventuale approvazione (77). La Municipalità accusa il rimprovero mantenendo però piena fiducia nella trasformazione del prestito che, nel 1896, si realizza (78). In questo stesso anno si verifica un altro dissidio tra il Comune e il

potere centrale. Essendo appena iniziati i lavori di sterramento del secondo tratto della via Ulpia (casa De Lellis-Piazzetta), il Municipio chiede al Ministro dei lavori pubblici di autorizzare un ingegnere del Genio civile a far parte della Commissione tecnica, incaricata di verificare lo stato di alcuni fabbricati (79). Il Comune, infatti, ren-

75. Nell'opuscolo Comune di Chieti, Nove mesi di amministrazione del Comune di Chieti: ottobre 1885-giugno 1886, Chieti, Tip. Marchionne, 1886, p. 9, il Comune sostie-ne di voler realizzare la costruzione della via Ulpia e del nuovo cimitero usufruendo dei vantaggi previsti dal decreto del 29 dicembre 1885, relativo alla realizzazione di lavori dichiarati urgenti per motivi igienici. Il Municipo quindi ottiene dal Ministero del tesoro un prestito di circa 500.000 lire al tasso eccezionale del 4,5%. 76. Lettera del sindaco Mezzanotte al Ministero dell'interno nel maggio 1894, ASCH,

Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 27. 77. Comunicazione del Ministro dell'interno a! sindaco di Chieti, maggio 1894, ASCH,

Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 27. 78. Il 20 aprile 1896 Umberto I autorizzala trasformazione del prestito «onde potere,

mercè questa operazione, avere un margine nel bilancio per stanziare le rate di ammorta-mento e gli interessi per un nuovo mutuò da contrarsi», ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 27. 79. Lettera del Municipio al Ministero dei lavori pubblici, 31 luglio 1896, ASCH,

Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 27,

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dendosi conto della necessità di creare opere di sostegno agli imponenti edifici deprivati dell'adiacente terreno — il palazzo municipale, la chie-sa di S. Francesco, l'Intendenza di finanza - amplia la cerchia dei propri tecnici, chiedendo consigli ad altri professionisti. Anche questa volta, però, la risposta proveniente dal Ministero è negativa, in quanto viene dichiarata l'impossibilità di «distrarre» gli ufficiali del Genio civile «dal servizio dello Stato» (80), La distanza Roma-provincia quindi è tale da condizionare una muni-

cipalità che rivendica l'autonomia a gestire i processi di modificazione della propria esistenza e che nell'attuare i suoi disegni si sente ora anche più stimolata e motivata dalla scoperta - in corso d'opera - dell'identità del percorso seguito dal nuovo corso con quello del-l'antica via Valeria (81).

L'espansione urbana

Le modificazioni del tessuto urbano chietino, avvenute negli ultimi anni del secolo scorso, non si limitano alla creazione del corso Marru-cino e alla sistemazione delle aree ad esso limitrofe, ma comprendono anche l'inizio dell'estensione della città lungo i lati orientale e meridio-nale del colle su cui essa sorge. L'elaborazione del primo piano regola-tore relativo alla zona di S. Anna e la creazione della Villa municipale costituiscono, infatti, le premesse per la definitiva fuoriuscita dell'abi-tato dal suo ex recinto murario, gradualmente smantellato già a partire dai primi anni dell'Ottocento (82). È allora che il sistema delle mura

80. Lettera del Ministero dei lavori pubblici al Comune di Chieti, 9 agosto 1896, ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 27. 81. V. Zecca, L'acqua..., cit., pp. 98-107 e 146-163. Le demolizioni e gli sterramenti

compiuti per la realizzazione del corso portano al rinvenimento di tracce di basolato, di pavimenti e di altro materiale, comprovante il passaggio, su questa linea, dell'antica via consolare Valeria. L'andamento così individuato sarà in seguito confermato: la strada, dalla pianura del Pescara e attraverso la contrada S. Maria Calvona, risaliva il colle teatino fino ad approdare alla Civitella. Da qui percorreva interamente la città e, una volta raggiunta Porta Pescara, la abbandonava ridiscendendo in pianura attraverso la località Tricalle. Cfr. V. Cianfarani, Note di antica e vecchia urbanistica teatina, Roma, «L'erma» di Bretschneider, 1961, Estratto da: «Atti del VII Congresso internazionale di archeologia classica», Roma, 1961, vol. II, pp. 302 e segg. 82. La cinta muraria cinquecentesca comprendeva varie porte. Partendo dal Largo

Trinità e proseguendo in senso antiorario lungo il perimetro cittadino, si avevano: Porta S. Andrea, P.ta S. Giovanni, P.ta S. Antonio, P.ta Pescara, P.ta S. Maria, P.ta Boc-ciala, P.ta Zunica, P.ta S. Caterina, P.ta Napoli. La P.ta S. Anna e la P.ta Zunica sono le ultime ad essere abbattute, rispettivamente nel 1860 e nel 1894. L'unica ad

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cinquecentesche, con le sue porte e le sue fortificazioni, comincia ad essere percepito come ostacolo alla crescita della città, come barriera quindi da abbattere per consentire la definitiva liberalizzazione dei traffici. La distruzione delle mura, pur rendendo possibile l'espansione della

città almeno sui versanti non soggetti a movimenti franosi (83), non determina, comunque, la costruzione di nuove abitazioni aldilà delle vie di circonvallazione create al posto dei vecchi muraglioni. La città infatti, fino agli anni ottanta dell'Ottocento, continua a crescere su se stessa soprattutto colmando gli spazi rimasti liberi dagli insediamenti militari. Se diamo uno sguardo ad una pianta di Chieti di questo periodo, vediamo che l'intero tessuto urbano è costellato di caserme, frutto della trasformazione avvenuta in età murattiana delle numerose strutture conventuali della città, sede arcivescovile: l'Ospedale militare, il carcere cittadino, la sede dei Carabinieri, i due principali casermaggi, sostituendo rispettivamente il convento di S. Andrea, quello di S. Fran-cesco, il monastero delle Clarisse, i grandi complessi di S. Agostino e di S. Maria, segnano la presenza del potere militare in ogni quartiere della città (84). Le zone su cui insistono questi edifici sono affiancate da altre occu-

pate da titoli ecclesiastici (gli imponenti palazzi del seminario diocesa-no e del vescovo, le numerose chiese e gli oratori) o da palazzi pubblici (basti citare la Prefettura, il Demanio, l'Intendenza di finanza, il Tri-bunale, il Municipio): le aree centrali rimaste per l'edilizia residenziale vengono quindi rapidamente saturate. Quando a tale saturazione si aggiungono da un lato il forte incremento demografico degli anni ot-tanta, dall'altro la prospettiva dell'espulsione — connessa all'apertura del corso cittadino - di un numero elevato di persone dal centro, nasce la reale consapevolezza che la città non può più crescere al suo interno, ma deve necessariamente ampliare il proprio nucleo abitativo. Ma non è questo convincimento ad indurre il Comune alla definizio-

ne delle nuove aree da rendere edificabili: la scelta di queste è piuttosto

essersi conservata fino ai nostri giorni, è invece la P.ta Pescara, a nord della città. Per la descrizione dell'intero sistema di fortificazione, Cfr. V. Furlani, Tracce iconogra-fiche sull'addizione trivigliana. La città murata e l'urbanìstica medievale teatina, in Aa. Vv., Teate..., cit., pp. 148-150. 83. Ci riferiamo ai versanti sud ed est, in quanto i lati nord ed ovest del colle

teatino sono sottoposti, fino agli Anni trenta del Novecento, a continui fenomeni di erosione. 84. Sulla militarizzazione di Chieti, V. Furlani, Origini e sviluppo della città contem-

poranea, in Aa. Vv., Teate..., cit., p. 325.

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la conseguenza delle decisioni prese dal Municipio in relazione alla realizzazione di opere che poco hanno a che fare con la costruzione di nuove case: ci riferiamo alla volontà di creare l'ennesima caserma e la nuova villa municipale. Per quanto riguarda l'elaborazione del primo piano di ampliamento

della città, le vicende ad essa relative prendono infatti l'avvio dalla progettazione della nuova caserma destinata alla fanteria, da realizzare fuori l'ex Porta S. Anna, alla fine cioè di via Arniense. Questa zona, esterna all'abitato, presenta un ampio largo dove sorge già la vecchia caserma dello Stallone e dove inizia la strada provinciale che, attraver-sando la località Tricalle, prosegue lungo la costa fino a Francavilla al Mare. L'Amministrazione comunale affida nel 1880 all'ingegner Pomilio,

tecnico municipale, la redazione di uno studio relativo al restauro della vecchia caserma e alla creazione di nuovi edifici che consentano la definizione di un vero e proprio sobborgo militare. Dopo un anno di studi, il progetto Pomilio viene presentato al Comune: esso, contra-riamente alle aspettative, prospetta non solo la edificazione dei fabbri-cati richiesti, ma anche la possibilità di sistemare l'ampio largo che dalla fine di via Arniense si aprirebbe dinanzi alla caserma, e di creare un nuovo tronco di strada da detta piazza alla provinciale. L'ingegne-re, rendendosi conto dell'importanza della zona, sede del principale mercato del bestiame della città, e direttamente collegata dalla via Arniense con il mercato della piazzetta, si è sentito «in obbligo» di definire le tracce di un piano regolatore del rione che su questa area, una volta sistemata, potrà sorgere. Il progetto viene animatamente discusso dal Consiglio comunale nel-

la seduta dell'8 giugno 1881: nell'occasione, colóro che si oppongono alla realizzazione dell'opera, giudicata non rispondente alle richieste fatte, prevalgono (85). Il progetto viene quindi approvato e, dopo poco tempo, il Comune affida al Pomilio l'incarico di studiare anche la rettifica della strada Boreale che da Porta Pescara va alla Pietra Grossa (86): l'ingegnere ha ora quindi la possibilità di disegnare la sistemazione di un'area di ampliamento della città, vitale per la stessa,

85. Si vedano il verbale della seduta e la delibera finale in ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 26.I detrattori del progetto guardano soprattutto alla forma irregolare della caserma ideata, agli enormi lavori di spianamento connessi alla sistemazione della Piazza, all'eccessiva spesa che il Comune dovrebbe sostenere. 86. Ci riferiamo all'attuale via F. Salomone. Le pessime condizioni delle circonvalla-

zioni submurarie, vengono migliorate soltanto a partire da questo periodo. La sistema-zione della strada Boreale, sarà infatti immediatamente seguita da quella di via S. Olivieri, che della Boreale costituisce il prolungamento verso nord.

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e ad essa ben aderente grazie all'allungamento del tratto curvilineo della circonvallazione. Quando ormai il Comune ha approvato, il 20 luglio 1884, la parte

dello studio relativa alla strada Boreale, il Pomilio, senza aspettare la risoluzione municipale sull'intero studio riguardante il piano regola-tore, decide di riassumere il «concetto del riordinamento generale del nuovo rione» (87), in un opuscolo dato alle stampe nel 1885. Nella premessa fatta all'esposizione del suo progetto, l'ingegnere sostiene che il ricorso alla stampa non deve essere considerato come una «in-tempestiva insistenza» (88) fatta al Consiglio comunale, ma come sot-tomissione di «talune idee utili e opportune ... a tutti i cittadini amanti del Progresso e del decoro della nostra Chieti» (89). Il tecnico, così come si era sentito in dovere di considerare e approfondire una que-stione che, dalla progettazione di vari edifici io aveva condotto all'i-deazione di un'intera area della città, ora sente il dovere di rendere partecipe la collettività delle sue idee connesse alla modernità: questo ci sembra profondamente indicativo delle aspettative e della fiducia che la cultura ingegneristica dell'epoca nutre nei confronti delle pro-prie possibilità. Come si vede dalla piantina pubblicata dal Pomilio nel suo opuscolo

esplicativo, l'area interessata dallo studio è amplissima e l'ingegnere è fortemente intenzionato ad utilizzarla al meglio. Per quanto riguarda il complesso militare, destinato ad accogliere

non più solo un corpo di fanteria ma anche la sede del Distretto militare (90), il progetto prevede la costruzione di due nuovi edifici (il fabbricato del Distretto e quello per la fanteria, posto alla sua sinistra) e la sistemazione dei due già esistenti (lo Stallone e il casino Mazzella). In tal modo, viene anche assicurata la delimitazione del lato orientale della piazza. Questa, denominata piazza Garibaldi, inte-ressa uno spazio di circa 13.500 mq dalla caserma fino all'imbocco di via Arniense: la sua sistemazione deriva dallo sbancamento del rilievo su cui sorge l'Ospizio di mendicità, e dall'abbattimento dello stesso Ostello e delle casupole ad esso limitrofe. Ciò consentirebbe l'apertura

87. L. Pomilio, All'onorevole Consiglio comunale di Chieti. Piano regolatore di un nuovo rione fuori Porta S. Anna. Studi e proposte dell'ingegner Livio Pomilio, Chieti, Tip. Marchionne, 1885, p. 4. 88. Ibidem, p. 4. 89. Ibidem, p. 5. 90. Il 6 dicembre 1881 il Consiglio comunale ha accettato la proposta fatta dall'autorità

militare, di destinare la nuova caserma a sede del Distretto militare, ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 26.

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di un ampio lato del largo, da chiudere mediante la costruzione di un imponente edificio. La scelta relativa alla destinazione di questo fabbricato, è per il

Pomilio estremamente semplice: esso, infatti, dovrebbe essere adibito a scuola elementare, venendo così a risolvere l'annoso problema del Comune di offrire una degna sistemazione agli alunni ammassati nel vecchio palazzo Nolli, nel centro della città. Per il nostro tecnico appare di vitale importanza la creazione di un edificio che realizzi finalmente quanto prescritto dallo Stato in.un suo decreto: che la situazione delle scuole cioè «sia sana, ariosa ma non ventosa, centrale, tranquilla, lontana da officine di industrie insalubri e da luoghi immorali» (91). La sua aspirazione quindi ci sembra rivelare la connessione, già lunga-mente descritta, tra ingegneria e salute pubblica, tra tecnica e questio-ne morale, resa ancor più evidente dalla volontà di creare nella scuola ampi spazi per la ginnastica, mezzo fondamentale di salubrità fisica oltre che mentale. La costruzione di questo nuovo edificio sarebbe inoltre, secondo il Pomilio, facilitato da una maggiore disponibilità da parte della Provincia alla cessione del terreno su cui sorge l'Ospizio di mendicità, cessione improbàbile, invece, in vista dell'edificazione di un altro tipo di fabbricato. Alla potenziale accusa di «eccentricità del sito» per la costruzione

della scuola, l'ingegnere contrappone la consapevolezza che l'estensio-ne futura della città avverrà, almeno inizialmente, lungo questo fianco del colle che già assume forma pianeggiante e che è collegato diretta-mente con il centro cittadino e sede di svariati commerci (92): ciò significa che la posizione della scuola in breve tempo risulterà meno eccentrica di quanto adesso appaia: essa inoltre costituirà un vero e proprio punto di attrazione sia per i ragazzi che dai quartieri vicini la potranno raggiungere facilmente attraverso varie strade, sia per quelli che invece andranno a vivere nelle case da costruire vicino alla scuola. Il progetto Pomilio definisce infatti anche l'area edificatoria da si-

stemare nel lato settentrionale della Piazza e lungo la via Paradiso che, dal largo stesso, si snoda parallela alla via Arniense. Questa zona opportunamente risanata, mediante la demolizione di numerose ca-

91. L. Pomilio, All'onorevole..., cit., p. 11. L'autore si riferisce ad un regio decreto emanato il 13 dicembre 1878. 92. A proposito, ci sembra particolarmente interessante che l'ingegnere non connetta

la questione dell'espansione della città lungo questa direzione al desiderio espresso in questi anni — e a cui abbiamo accennato — di costruire una ferrovia elettrica che colleghi l'abitato alla stazione ferroviaria, passando appunto per la zona di cui stiamo parlando.

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Fig. 6 - Chieti. Piano regolatore di S. Anna, 1881-1884. (Fonte: L. Pomilio, All'Onore-vole Consiglio comunale di Chieti. Piano regolatore di un nuovo rione fuori Porta S. Anna. Studi e proposte dell'ingegner Livio Pomilio, Chieti, Tip. Marchionne, 1885).

supole e il prolungamento della via Paradiso, ospiterebbe nuovi edifici destinati al popolo, soddisfacendo così l'esigenza di dare sistemazione a quanti non trovano più posto nel centro cittadino (93)., A questo punto possiamo dire che l'intera zona di S. Anna viene

percepita come prolungamento del nucleo abitativo della città, concre-tizzandosi anche la possibilità che nuove abitazioni sorgano dietro il

93. «11 Giornale di Chieti», 25 maggio 1884, Cenni demografici sulla città di Chieti, descrive la situazione esplosiva di quartieri come la Civitella e il Duomo in cui la densità della popolazione raggiunge livelli altissimi.

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complesso militare, aldilà cioè del nuovo spazio che il Pomilio destina al mercato del bestiame: tale area, collegata direttamente con via Ar-niense, è candidata ad ospitare quell'ampio sobborgo di case operaie ideato dall'ingegner Mammarella — e di cui abbiamo parlato prece-dentemente - che, dalla presenza della scuola e dei numerosi traffici commerciali, trarrebbe la propria vitalità e la propria autonomia. Poco tempo dopo l'avvenuta pubblicazione dello studio, il Consiglio

comunale procede all'approvazione del progetto complessivo e alla definizione delle varie fasi attraverso le quali realizzare l'opera: vengo-no previste innanzitutto la creazione del sobborgo militare, poi la retti-fica della strada Boreale, infine la costruzione della scuola e la sistema-zione delle varie aree edificabili (94). Se per la prima fase i lavori si svolgono rapidamente - nel 1888 si procede già al collaudo della nuova caserma Vittorio Emanuele - per le altre invece sorgono pro-blemi che ne protraggono il completamento fin oltre l'inizio del nuovo secolo. Per quanto riguarda la strada Boreale, infatti, nasce dapprima un

forte dissidio tra il Genio civile e l'ingegner Pomilio circa l'inclinazione e la pendenza della via, da allungare; poi emerge la difficoltà economi-ca del Comune di portare a termine velocemente il lavoro, in quanto esso viene a coincidere con l'apertura del corso (95): la realizzazione dell'opera viene pertanto protratta, in modo da rendere possibile al Municipio l'ammortamento della spesa complessiva durante vari esercizi. In relazione alla costruzione della scuola, invece, si verifica una

forte conflittualità tra gli ingegneri chietini e i professionisti non locali che partecipano al concorso per la redazione del progetto relativo al nuovo edificio scolastico. Nel 1892, la Commissione speciale composta da alcuni consiglieri comunali e da vari membri dell'Ufficio tecnico, esprime la preferenza per il progetto dell'ingegnere chietino Angelozzi, suscitando una dura reazione da parte del secondo e terzo classificato: l'ingegner Di Gennaro di Napoli e l'architetto Piergentili di Roma accusano la Commissione di municipalismo e di favoritismo, avendo accolto un progetto non rispondente alle richieste espresse nel bando

94. Per quanto riguarda queste aree, il Comune sembra ormai deciso ad accettarle come punto iniziale dell'espansione della città. Nell'opuscolo Comune di Chieti, Nove mesi di amministrazione..., cit., p. 8, si dichiara infatti che l'Amministrazione è pronta ad acquistare il terreno Gaetani, che dalla piazza Garibaldi si estende notevolmente verso Est, per costruirvi nuove e numerose abitazioni. 95. Si leggano le note del Genio civile e le contìnue richieste di finanziamenti da

parte del Municipio, ASCH, Pref. IV yers*, II s., Aff. coro., b. 26.

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di concorso. La loro protesta contro l'azione del «partito dell'Assessore delle Opere Pubbliche» (96) dà vita a veri e propri ricorsi presentati al prefetto della provincia: ricorsi che non vanno a termine ma che segnano, comunque, lo spostamento dell'inizio dei lavori al nuovo secolo. Tutto ciò produce il conseguente slittamento della sistemazione delle aree limitrofe e dei suoli edificatori dell'intero rione, alla prima decade del Novecento: però le basi necessarie per la risoluzione del problema della saturazione della città vengono ora, per la prima volta, poste ed affermate. La redazione del piano regolatore della zona di S. Anna coincide

con la proclamazione, da parte del Municipio, della volontà di sistema-re anche quel territorio esterno alla città e situato immediatamente fuori l'ex Porta S. Andrea (97). Da qui ha inizio un'ampia area ver-deggiante, attraversata da un viale alberato che riflette la moda del boulevard parigino, realizzato durante l'occupazione francese per col-legare la città con l'Ospedale militare, posto nell'ex convento di S. Andrea. L'intera zona è meta di passeggio e luogo di ritrovo per quanti vi si recano per godere del bellissimo panorama che qui si apre. Il Comune quindi la sceglie, nel 1883, come sede della villa municipale volta a soddisfare l'esigenza, fortemente sentita dal Capo-luogo, di abbellirsi per poter meglio svolgere la propria funzione politi-ca (98). Già nel 1864 il Municipio aveva provveduto all'acquisto della grande

casa posta sul promontorio, nel lato occidentale di quello che sarà poi il giardino pubblico (99): l'edificio, proprietà del defunto barone Ferrante Frigery, più volte sindaco di Chieti e presidente del Consiglio dell'Abruzzo Citeriore, era stato destinato a sede della Scuola agraria trasformata, nel 1865, in Istituto tecnico provinciale di agronomia e agrimensura (100). Ciò aveva condotto ad una iniziale sistemazione del terreno adiacen-

te il fabbricato, e soprattutto al rinforzamento del muro che lo conte-

96. Così viene definito, in una lettera inviata dal Di Gennaro al prefetto della Provin-cia il 29 dicembre 1892, il gruppo di ingegneri facenti parte della Commissione giudican-te: i professionisti chietini sono accusati di aver scelto lo studio dell'Angelozzi - che prevede il progetto di una palestra non corrispondente, nelle dimensioni e nella localiz-zaazione, a quella richiesta - alla cui redazione ha collaborato anche l'assessore Mam-marella, ASCH, Pref. IV vers., Il s., Aff. com., b. 26. 97. La Porta sorgeva nell'attuale largo Trento e Trieste, o largo della Trinità. 98. Delibera 6 giugno 1883, con la quale il Consìglio comunale decide di realizzare

il Giardino pubblico, ASCH. Pref. IV vers., II s., b. 28. 99. M.T. Piccioli, Villa Frigery, Chieti, Solfanelli, 1984, pp. 45-47. 100. A. Trivelli, G. Raimondi (a cura di), L'Istituto Galiani e la formazione tecnica

a Chieti, Chieti, Mètis, 1995, p. 20.

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neva, nel versante ovest del promontorio. La sistemazione finale ha ora possibilità di realizzarsi completamente, essendo il Comune forte-mente intenzionato a migliorare l'assetto dell'intera area. Inizialmente, all'interno del Consiglio comunale, si sviluppa una grande

discussione circa la edificabilità dell'ampio territorio (101): nasce infatti l'idea di crearvi villini destinati alle classi più abbienti della popolazio-ne, la cui presenza in questo luogo contribuirebbe a nobilitarlo. Tale idea viene però aspramente criticata da quanti considerano l'area natu-ralmente votata ad essere zona verde. La frattura tra le due parti si ricompone comunque nel 1890, quando l'acquisto da parte del Comune dei terreni Boulanger - posti a sinistra della passeggiata - consente l'esatta definizione dell'area destinata a costituire la villa municipale e dello spazio utilizzabile invece per l'edificazione di alcune palazzine. La redazione del progetto per la realizzazione del giardino viene

affidata all'ingegner Montalbetti che, il 15 novembre 1890, presenta il suo studio all'Amministrazione (102): esso prevede innanzitutto lo spostamento più a valle della strada provinciale adiacente ai terreni acquistati, per consentire a questi ultimi, posti ad un livello più alto di quello su cui giace la via, un graduale declivio; poi, la sistemazione e l'imbrecciamento del viale principale e di quelli che da esso si dira-mano all'interno dell'area, la piantagione di numerose piante, la crea-zione di un lago artificiale, la costruzione di una cassa armonica da porre nello spiazzo centrale. Pur essendo il preventivo della spesa adeguato alle possibilità del

Comune (133.000 lire), il progetto non viene approvato dal Genio civile che probabilmente non condivide lo spostamento della strada provinciale. Il secondo progetto Montalbetti, infatti, riproponendo gran parte delle idee iniziali, lascia intatta la posizione di questa via, sepa-randola dal territorio della villa mediante la erezione di un alto muro di terrazzamento che, attaccandosi a quello già esistente al fianco del villino D'Ettorre, prosegue fino allo sbocco terminale del viale S. An-drea (103). In questo modo, il giardino viene ad essere completamente delineato nei suoi lati est ed ovest da alte mura che ne contengono il terreno e ne definiscono la forma. La spesa per la realizzazione dell'opera sale a 57.000 lire, somma

che il Genio civile ritiene adeguata (104): l'approvazione da parte di

101. Verbale della seduta dei Consiglio comunale del 28 febbraio 1890, ASCH, Pref. IV vers., II s., b. 28. 102. F. Quarantotti, Relazione della gestione amministrativa dei lavori per la forma-

zione del giardino pubblico detto Villa Comunale, Chieti, 1893, p. 14. 103. F. Quarantotti, Relazione..., cit., p. 15. 104. Per coprire la spesa, viene creato un fondo depositato nella Cassa di risparmio

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questo ufficio dell'intero progetto porta quindi all'inizio dei lavori affidati alla ditta De Simone. Nel giro di pochi anni, essi vengono completamente portati a termine, rispettando in pieno l'idea del pro-gettista e il desiderio generalizzato di dotare la città di uno spazio verde. Il plauso proveniente dall'opinione pubblica è intanto espresso so-

prattutto attraverso le pagine del giornale «Lo Svegliarino» che, negli anni 1890-1891, fornisce minuziose descrizioni dei lavori in corso (105). Quando nel 1893 i lavori sono ormai conclusi, viene consegnato alla città un magnifico giardino dotato di una varietà notevole di piante, di sedili di legno, di illuminazione a gas, di una grande fontana -acquistata a Parigi in occasione dell'esposizione universale del 1890 — di un laghetto, di una cassa armonica: una bellissima area che, come scrive lo Zecca, «ci lascia esclamare con l'Alighieri: Ma qui la morta poesia risurga!» (106). Prima ancora che i lavori all'interno della villa finissero, il Comune

mette in vendita alcuni lotti di terreno situati nello spazio compreso tra il largo della Trinità e l'ingresso del giardino posto subito dopo la proprietà D'Ettorre. Le palazzine da costruire in questo luogo devono rispettare la volontà del Municipio di armonizzarle il più possibile con l'ambiente circostante: esse quindi devono essere eleganti, circondate da giardini, in linea lungo il viale che conduce alla villa. Il primo lotto, a partire proprio dal largo Trinità, viene destinato alla costruzione di un bell'edificio ad uso di bagni pubblici, per completare ed arricchire l'intero spazio ormai divenuto prestigioso (107). La realizzazione dei fabbricati avviene solo a partire dai primi anni

del Novecento, ma la creazione di fine secolo del giardino pubblico segna

Marrucina e nella Banca agricola. Viene inoltre utilizzata la somma ricavata dalla vendita degli alberi del viale, abbattuti perché malati, F. Quarantotti, Relazione..., cit., p. 10.

105. Questo settimanale, pubblicato a Chieti a partire dal 1885, è particolarmente attento alla cronaca locale. Per quanto riguarda la creazione della villa, si vedano soprattutto gli articoli del 22 giugno, 6 luglio e 30 novembre 1890; e del 13 dicembre 1891.

106. V. Zecca, Dalla Maiella a Chieti, in L. Zotti (a cura di), Ricordi Patri..., cit., p. 10. L'autore cosi descrive il panorama che dalla Villa si può ammirare: «A destra lussureggia la villa Nolli, oggi Adami. A sinistra lo sguardo si lancia sul più bel mare d'Italia; spazia nel più pittoresco paesaggio Fremano, si allieta alla vista dei vicini colli, de' clivi, delle valli verdeggianti, e giù in fondo al viale si riposa sulla bruna e gigantesca mole della Maiella».

107. Il fabbricato, costruito negli ultimi anni dei secolo, viene aperto al pubblico soltanto nel 1910. È allora che il sindaco, facendo rilevare «la necessità di facilitare nelle presenti condizioni sanitarie l'igiene e la nettezza della classe operaia ... propone ... che sia permesso agli operai di prendere gratuitamente bagni e doccia nel reparto popolare dello stabilimento balneare, con il solo obbligo di presentarsi forniti della necessaria biancheria». La proposta, espressa nella seduta della Giunta municipale del 19 agosto 1910, viene favorevolmente accolta, ASCH, Pref. IV vers., II s., Aff. com., b. 31.

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già l'inizio della conquista da parte della città del lato meridionale del colle. La possibilità di estensione che, lungo questo versante, si viene ora a definire, rende infatti possibile la futura edificazione di abitazioni non solo aldilà della villa, ma anche lungo la strada Provinciale. Dopo aver descritto la fuoriuscita dell'abitato dai suoi limiti secola-

ri, possiamo concludere sottolineando che il primo ampliamento di Chieti porta all'attribuzione di specifiche funzioni alle varie zone che la compongono. La creazione del rione fuori Porta S. Anna e la realiz-zazione della villa Municipale, cioè, costituiscono le fasi iniziali di una pianificazione, che definisce quali spazi della città destinare preva-lentemente al commercio, quali alla rappresentanza, quali infine alla residenza. Per quanto concerne il nuovo quartiere ad est, la sua vita e la sua

funzione diventano palesemente commerciali. Se fino agli anni Ottanta la città svolgeva i propri traffici all'interno di due aree racchiuse nella piazzetta e nelle immediate vicinanze di Porta S. Anna, ora, con la sistemazione del nuovo quartiere, si stabilisce un asse piazzetta-via Arniense-nuovo mercato del bestiame, che congiunge la città da nord ad est, e che infonde una notevole spinta propulsiva ai traffici commerciali che si svolgono dal quartiere Trivigliano (estrema area a nord), fino al nuovo rione. Quest'asse sarà notevolmente potenziato in seguito, grazie alla realizzazione della ferrovia elettrica. Il centro cittadino, invece, attraversato dal corso Marrucino, e pur

caratterizzato dalla presenza di numerose botteghe, assume una fun-zione prevalentemente di rappresentanza: gli edifici pubblici, nobiliari, religiosi e finanziari conferiscono a questa parte della città un carattere prevalentemente evocativo del potere che essa detiene. Tale funzione viene inoltre rimarcata dall'essere, il centro, il luogo dove si coltiva l'istruzione scolastica (108), si curano gli ammalati (109), si amministra la giustizia (110).

108. Sul corso Marrucino si affaccia il palazzo del Real liceo ginnasio, prestigiosa istituzione della città. Sempre nel centro, si trovano le Scuole elementari (alcune classi rimarranno qui, anche dopo il trasferimento degli alunni nell'edificio di S. Anna), le Scuole normali femminili, l'Asilo' infantile principessa di Piemonte. 109. L'ospedale Ave Gratia Piena, gestito dalla Congregazione di carità, sorge ai la

estremità settentrionale di via Arniense, sul lato della strada opposto a quello del Semi-nario diocesano. Per una sua dettagliata storia, M. Zuccarini, L'ospedale Ave Gratia Piena o della S.S. Annunziata, Chieti, Solfanelli, 1985. 110. Il Tribunale chiude il lato occidentale di piazza Vittorio Emanuele. II rifacimento

della sua facciata è sollecitato («Il Giornale di Chieti», 1° aprile 1894) essendo connesso alia completa sistemazione della piazza, che va ora assumendo un nuovo aspetto grazie all'abbattimento delle Tre Porte (P.ta Zunica), e a! completamento del grande edificio Mezzanotte.

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Per quanto concerne, infine, l'area comprendente la villa comunale, essa viene assumendo da questo momento il carattere di zona residen-ziale: il territorio che la comprende, e che da meridione si estende verso est, sarà nei tempi successivi interessato ad importanti processi di edificazione. Quest'iniziale differenziazione funzionale non subirà grandi modifi-

cazioni nel corso del tempo: essa, anzi, verrà notevolmente potenziata quando, nel Novecento, lo sviluppo dell'agglomerato sorto ai piedi del colle teatino, attorno alla stazione ferroviaria, segnerà la creazione di un importante polo industriale (Chieti Scalo) drammaticamente con-trapposto alla città storica.