Chi cambierà il mondo? -...

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Periodico di Ateneo Anno XVIII, n. 1 - 2016 Chi cambierà il mondo?

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Periodico di Ateneo Anno XVIII, n. 1 - 2016

Chi cambier il mondo?

SommarioEditoriale 5Per un'infanzia senza confiniAnna Lisa Tota

Primo pianoInfanzia in gioco 7Il fondamentale ruolo del gioco nello sviluppodei bambiniLucia Chiappetta Cajola

Il bambino adulto e ladulto bambino 11Il post narcisismo dei tempi moderni: il travalicamento dei confiniMarina DAmato

Sono ancora un bambino 14Viaggio e approdo dei minori-migranti-soli nel MediterraneoCarmelina Chiara Canta

Cera una volta 17Un progetto per i bambini immigrati e le loro famiglieAnna Aluffi Pentini

Cooperare per includere 20Promuovere la cooperazione tra i bambiniSusanna Pallini, Paola Perucchini, Giovanni Maria Vecchio

La relazione con le famiglie 23I servizi educativi 0-3 anni come primo luogo di mediazione interculturaleMaura Di Giacinto

Nuovi approdi a Lampedusa 26Promuovere linclusione crescendo piccoli lettoriElena Zizioli

Libro delle mie brame 29La lettura come imprescindibile strumentodi educazioneLorenzo Cantatore

Una svolta nella storia delleducazione 32Quando i fanciulli frenastenici uscironodalle strutture manicomialiFabio Bocci

Children with disabilities improvising together 35Collective musical identities in Japan Trever Hagen

Un emblematico silenzio 39La scoperta dellinfanzia nella ricerca storiograficaFrancesca Borruso

Linfanzia 42Chiara Giaccardi

Disegnare luoghi per crescere 43Il progetto dei servizi per l'infanzia come laboratorio tra pedagogia e architetturaGiovanni Fumagalli

Asili 48Gli edifici per leducazione dellinfanziacome presidi per unarchitettura responsabileRoberta Lucente

Asili nido nel XXI secolo 53Per costruire il futuro delle donne e degli uomini che verrannoPaola Gallo

Lunga vita alle ninna nanne 55Sogni doro (tra ninnoli, nenie e neuroni)Giovanni Guanti

Il piccino delleroe 61La scoperta del fanciullo nella letteratura grecaAdele Teresa Cozzoli

I bambini ci guardano 64Linfanzia nel cinema del secondo dopoguerra Stefania Parigi

Percorsi di crescita fuori e dentro lo schermo 67Idee e riflessioni per una didattica del cinemaFrancesca Gisotti

IncontriPaolo Naso. Corridoi umanitari: la buona strada 70 Federica Martellini

Anna Pollio. Unlearning, un invito 76gentile alla disobbedienzaAlessandra Ciarletti

RubricheAudiocronache 80Il mondo visto da Roma Tre RadioSabrina Fasanella

Palladium 82Quante volte per finta sanguiner Cesare.La Roma di Shakespeare al Teatro PalladiumAlessandra De Luca

Gli uomini mangiano i pesci. Intervista 84ad Anna VinciBarbara Bartoli

Recensioni Keywan Karimi 86Libert negata, sentenza iraniana, sostegno internazionale Costanza Saccarelli

Boyhood 89Il cammino silenzioso del tempo nelviaggio di un bambino verso let adultaGiulia Pietralunga Cosentino

Periodico dellUniversit degli Studi Roma TreAnno XVIII, numero 1/2016

Direttore responsabileAnna Lisa Tota(professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi)

CaporedattoreAlessandra Ciarletti

Vicecaporedattore e segreteria di redazioneFederica Martellini [email protected]

RedazioneValentina Cavalletti, Gessica Cuscun, Paolo Di Paolo, Francesca Gisotti,Elisabetta Garuccio Norrito, Michela Monferrini, Giulia Pietralunga Cosen-tino, Francesca Simeoni

Hanno collaborato a questo numeroAnna Aluffi Pentini (professore associato di Pedagogia sociale e intercul-turale); Fabio Bocci (professore associato di Pedagogia e didattica spe-ciale); Barbara Bartoli (Amnesty International); Francesca Borruso(ricercatrice di Storia della pedagogia); Lucia Chiappetta Cajola (direttoredel Dipartimento di Scienze della formazione); Carmelina Chiara Canta(professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi);Lorenzo Cantatore (professore associato di Letteratura per linfanzia); AdeleTeresa Cozzoli (professore associato di Lingua e letteratura greca); MarinaDAmato (professore ordinario di Sociologia generale e professore di So-ciologia dell'educazione e dell'infanzia); Alessandra De Luca (attrice - stu-dentessa del CdL in DAMS - Teatro, musica, danza); Maura Di Giacinto(Phd ricercatrice - docente di Educazione e storia sociale nelle relazioni in-terculturali); Sabrina Fasanella (studentessa CdL in DAMS - Teatro, musica,danza - speaker di Roma Tre Radio); Giovanni Fumagalli (architetto); PaolaGallo (professore associato di Fisica della materia condensata teorica -presidente del Comitato unico di garanzia); Chiara Giaccardi (professoreordinario di Sociologia dei processi culturali - Universit cattolica di Milano);Giovanni Guanti (professore associato di Musicologia e Storia della mu-sica); Trever Hagen (PhD - University of Exeter); Andrea Iacomini (porta-voce UNICEF Italia); Roberta Lucente (ricercatore confermato e docentedi Composizione architettonica e urbana - Universit della Calabria); Su-sanna Pallini (professore associato di Psicologia dello sviluppo e dell'edu-cazione); Stefania Parigi (professore ordinario di Cinema, fotografia etelevisione); Paola Perucchini (professore ordinario di Psicologia dello svi-luppo e dell'educazione); Costanza Saccarelli (attivista per i diritti umani);Giovanni Maria Vecchio (ricercatore in Psicologia dello sviluppo e dell'edu-cazione); Elena Zizioli (ricercatrice di Pedagogia generale e sociale e do-cente di Letteratura per linfanzia)

Immagini e fotoArea benessere organizzativo - Universit degli Studi Roma Tre, ArchivioFDLM, Archivio storico della Provincia di Bologna, Rossella Biagi, LorenzoBurlando (per gentile concessione di Schermi e lavagne, Dipartimentoeducativo della Cineteca di Bologna), Casa delle culture - progetto Medi-terranean Hope / FCEI (per gentile concessione), Antonella De Angelis, Da-niela De Angelis, Dipartimento di Scienze della Formazione, TizianaGavarini, Keywan Karimi (per gentile concessione), Mohammed Keita / Edi-tore Albeggi, The Oto-asobi Project (http://otoasobi.main.jp/), Palazzo delleEsposizioni - Servizi educativi (per gentile concessione), FrancescoPiobbichi, Marco Rota, Marco Vincenzi, www.unlearning.it

Bia Simonassi (issuu.com/treebookgallery/docs) ha realizzato il mind mappubblicato alle pp. 46-47

Progetto graficoMagda Paolillo, Conmedia s.r.l. - Piazza San Calisto, 9 - Roma - 0664561102 - www.conmedia.it Il progetto grafico della copertina di Tommaso DErricowww.tommasoderrico.com

Impaginazione e stampaTipografia Revelox srl - Viale Charles Lenormant 112 - 00119 Roma

In copertina Foto di Monica Spezia

Fine lavorazioneluglio 2016

ISSN: 2279-9206

Registrazione Tribunale di Roma n. 51/98 del 17/02/1998

mistico amore senza riconoscerlo: ma badate, quel piccino che vi ama crescer e scomparir. Chi vi amer come lui? Chi vi chiamer andando a letto, dicendo

Chi desiderer altrettanto ardentemente starci vicino mentre mangiamo, soltanto per guardarci? Noi ci difendiamo da

uguale!

in Maria Montessori,

Per uninfanzia senza confiniAnna Lisa Tota

strano come leassociazioni di ter-mini e concetti si

trasformino seguendo percorsi inimmaginabili. Sequalche anno fa ci fosse stato chiesto di associareuna parola al termine bambino, nessuno di noiavrebbe immaginato di rispondere: Lampedusa.Eppure oggi ci pu capitare. La condizione dellin-fanzia segnata per molti, troppi bambini dallacondizione migrante secondo modalit che rasen-tano la barbarie. Come rammenta Chiara Giaccardi,citando Dietrich Bonhoeffer se il senso morale diuna societ si misura su ci che fa per i suoi bam-bini, abbiamo ben poco di cui rallegrarci. Eppurealmeno sul piano formale chiunque, in molti paesidel mondo occidentale, sarebbe concorde nel con-siderare linfanzia come una fase della vita fonda-mentale che richiede e merita cura e protezione. Sulpiano giuridico e legislativo linfanzia tutelata, idiritti sono riconosciuti. Anche sul piano moralesiamo pronti a difendere linfanzia strenuamente,ma sul piano politico qualcosa sembra andarestorto soprattutto se i bambini e le bambine dicui parliamo non sono proprio i nostri e le nostre,ma quelli dei nostri vicini di casa, quelli che abi-tano al di l del mare - quello Mediterraneo per in-tenderci - un mare che da molti anni riempie suomalgrado le cronache dei nostri quotidiani. Il con-cetto di infanzia migrante si scontra con quello diconfini da proteggere. Le campagne politiche chei partiti nazionalisti di alcuni paesi europei hannoportato avanti contro limmigrazione prevedevanocliques ben collaudati: con gli stranieri pecorenere che ci rubano il lavoro, la ricchezza, la pos-sibilit di una pacifica convivenza. Come dimenti-care la campagna promossa nella pacifica e

democratica Svizzera Pour plus de scurit Mamaison notre Suisse promossa dal partito del-lUDC in cui le pecore bianche scacciavano - nem-meno tanto simbolicamente - a pedate dal territorionazionale (rappresentato iconicamente della ban-diera svizzera) la pecora nera simbolo dellimmi-grazione.

Tuttavia quando a migrare sono i bambini e le bam-bine, tutti i cliques si sgretolano. Come facciamo arifiutarci, a fingere che questi non sono propriobambini? Come si fa a continuare nellideologia?Linfanzia per definizione un concetto e unespe-rienza che travalica ogni confine. Cos come cisembra paradossale chiederci in che misura unostormo di rondini in volo violi ogni anno il trattatodi Schengen, quando siamo dinnanzi ad una migra-zione di bambini e bambine, ragazzi e ragazze mi-norenni e non accompagnati, le parole e leimmagini che tradizionalmente ci vengono offerteper parlare di migranti non bastano pi e fanno uncortocircuito. Ci obbligano a ripensare i nostri cri-teri di classificazione, scompigliano il nostro per-benismo e soprattutto mettono in discussioneradicalmente la buona opinione che abbiamo di noistessi.Il nostro giornale e anche il nostro Ateneo si sonoin passato spesso occupati dei diritti dellinfanzia:si pensi alladesione alla recente campagna di Am-nesty International Italia contro le spose bambineoppure ad un numero precedente di Roma TreNews dedicato alleducazione che partiva dellim- 5

Anna Lisa Tota

Arieggiare lappartamento con uno sciame di bambini, che lo percorronoper un intero pomeriggio in lungo e in largo.Peter Handke

Quanto pesa una lacrima? Dipende: la lacrima di un bambino capricciosopesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa pi di tutta laterra. Gianni Rodari

Tutti i grandi sono stati bambini unavolta. Ma pochi di essi se ne ricordano

magine simbolica della scuola di Barbiana.Affrontare la questione dei bambini e delle bam-bine migranti diventa lo specchio in cui osservare

i volti deformati della nostra collettivit. unospecchio impietoso che ci mostra tutte le ambiva-lenze, le contraddizioni, le falsit e i non detti dietrocui ci nascondiamo. Negli ultimi mesi abbiamo as-sistito a dietrofront e a chiusure politiche controquestondata di bambini disperati che si riversa sul-lEuropa, che mai ci saremmo aspettati. Paesi, a cuiper anni abbiamo guardato con ammirazione pen-sando che l s davvero la democrazia funzio-nava, hanno rivelato di essere molto meno solidalidei ben pi poveri abitanti di Lampedusa. Le ipo-tesi pi feroci ci parlano di centinaia di bambini ebambine che arrivano in Europa e scompaiononelle pieghe invisibili dei centri di accoglienza. Sene perdono le tracce e si ipotizza il peggio: prosti-tuzione, pedofilia, traffico dorgani. Ma la do-manda che si pone con urgenza sempre la stessa:chi comprer questi organi? Chi sono i clienti dellebambine e dei bambini che si prostituiscono allastazione Termini? Ma chi sono?

Quando difendiamo linfanzia, stiamo difendendonoi stessi; quando ce ne prendiamo cura davvero,stiamo cambiando il mondo. Ci vero in molte-plici sensi: difendiamo e curiamo il nostro futuro,cio le generazioni future, difendiamo il bambino

che abbiamo dinanzi e difendiamo il bambino diieri, quello che continua ad abitare dentro di noi. il bambino interiore, un concetto caro agli psicologie agli psicoterapeuti. Come ricorda Antoine deSaint-Exupry infatti, tutti i grandi sono stati bam-bini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano.

Parlare dellinfanzia migrante significa rimettete afuoco il tema dellinfanzia nella sua complessit.Ed proprio questo che facciamo nelle pagine cheseguono attraverso i contributi di studiosi e stu-diose che affrontano questo argomento da molte-plici punti di vista. Abbiamo cercato di allargare ilnostro focus, per non ridurre il nostro sguardo allamera sofferenza. Tuttavia, anche se abbiamo pre-ferito parlare della condizione dellinfanzia pi ingenerale, questo numero dedicato ai bambini ealle bambine migranti, a tutti quegli adolescenti equelle adolescenti che arrivano sulle nostre costenon accompagnati da un adulto che possa proteg-gerli e sostenerli. Lo dedichiamo a loro nella spe-ranza che trovino sostegno e aiuto in qualcun altro,

nella speranza che abbiano quellaforza interiore necessaria per cresceree divenire adulti consapevoli capaci dinon restituire il male e la sofferenzache hanno ricevuto, perch come sot-tolinea Karl Menninger ci che vienefatto ai bambini, essi lo faranno allasociet in un ciclo di sofferenza, vio-lenza e dolore destinato a perpetuarsinel tempo. Non ricordo chi diceva cheamare dare ci che non si ha, maaveva certamente ragione. Come cirammenta Neil Postman, i bambinisono i messaggi viventi che inviamoad un tempo che non vedremo. Chicambier questo mondo?

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Lezione di tecnologia, 1958, foto Frighi, Archivio FDLM

Quando difendiamo linfanzia, stiamodifendendo noi stessi; quando ce ne

prendiamo cura davvero, stiamocambiando il mondo

Questo numero dedicato ai bambini ealle bambine migranti, a tutti quegliadolescenti e quelle adolescenti che

arrivano sulle nostre coste nonaccompagnati da un adulto che possa

proteggerli e sostenerli

I bambini sono i messaggi viventi cheinviamo ad un tempo

che non vedremo

pri

mo

pia

no

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Infanzia in giocoIl fondamentale ruolo del gioco nello sviluppo dei bambini

con letdellinfanzia checompaiono due ca-pacit importantis-sime: quella diapprendere e quel-la di giocare. Conla comparsa dellacapacit di appren-dere, mentre ilbambino e la bam-bina divengonocapaci progressi-vamente di orga-

nizzare modalit di comportamento differenziateanche rispetto a situazioni imprevedibili, apparecontestualmente la capacit di giocare, ovverodellesercizio di funzioni fini a se stesse, a caratteretemporaneo e preparatorio almeno in una primafase. Il periodo preparatorio infantile caratterizzatodallintensit e dallampiezza degli apprendimentisi svolge, quindi, in gran parte spontaneamente egiocosamente, e permette in modo associato sialutilizzo delle proprie risorse sia laccumulo digraduale esperienza.Nello stadio infantile, la capacit di apprendere edi giocare caratterizzano un periodo di ampia du-rata, nel corso del quale lorganismo completa sestesso, si appresta ad affrontare le sfide e i rischidella vita adulta (Laeng, 1998). quindi evidenteche il bambino ha bisogno di acquisire schemi dicomportamento nuovi in base allesperienza, reim-parandoli pi volte e in modi anche differenti,assicurando la flessibilit opportuna per ladatta-mento.In questa dimensione, il gioco non costituisce unat-tivit speciale, diversa o separata dalle altre, anzicoincide con tutte in quanto esercitate nella parti-colare maniera che quella autotelica, avente cioil suo fine in se stessa ed essendo anche autogratifi-cante. Si soddisfa del suo puro essere provocandoun piacere funzionale che gi Aristotele giustificavacome manifestazione dellentelecha vivente, ciodella compiutezza o perfezione relativa. In questottica diviene evidente che la qualit dellaformazione che un individuo ricever nel corsodella sua vita dipender in buona parte dalla qualit

delleducazione e delle esperienze vissute nei primianni della sua esistenza.Di conseguenza, lintervento per la prima infanziacostituisce uno dei pilastri portanti nello scenarioeducativo, ed per questo che, oltre la famiglia, iservizi per linfanzia rivendicano giustamente ilruolo di spazi tra i pi significativi per lo svi-luppo delle bambine e dei bambini. In tali spazi sicostruiscono infatti le basi sia della formazione pre-sente e successiva, finalizzata ad assicurare i saperi,il saper fare e il saper essere, sia dellacquisizionedelle capacit fondamentali per orientarsi nellesi-stenza e per divenire persona nella sua totalit.

Fornire a ciascuna persona le capacit fondamen-tali per poter vivere in modo umano (Nussbaum,2002, p.74) significa anche riflettere sulla qualitdel servizio educativo, e in questa qualit non puessere esclusa la dimensione etica, n si pu pre-scindere dalla ricerca di equit e giustizia, n sipu escludere il gioco, annoverato tra le capacitfondamentali dellessere umano.In questo senso, linfanzia costituisce il soggettoprimario di cura, nel senso di interessamento, di sol-lecitudine e di attenzione da parte della comunit edelle sue organizzazioni, nazionali e internazionali;cura che si concretizza innanzitutto nel determinarele condizioni adeguate a sviluppare il patrimonio dipotenzialit che appartiene a ogni individuo.A tale scopo, le bambine e i bambini hanno bisognodi riconoscimento e di avere il tempo per aspettarecon fiducia i momenti per essere riconosciuti. Sitratta, in realt, di un mutuo riconoscimento, ciodi un circuito di reciprocit di essere, di dire e difare, e il termine francese reconnaissance, chesuona nel duplice significato di riconoscimento edi riconoscenza (Ricoeur 1992), pare calzante perchiarire quel bisogno.

Lucia Chiappetta Cajola

Nello stadio infantile, la capacit diapprendere e di giocare caratterizzanoun periodo di ampia durata, nel corso

del quale lorganismo completa sestesso, si appresta ad affrontare le sfide

e i rischi della vita adulta

Lucia Chiappetta Cajola

8 Ne emerge una cultura dellin-fanzia e unidea di formazionedellinfanzia come fatto pub-blico e collettivo a forte va-lenza preventiva di disagi emalesseri sociali, e come benedi carattere universale che con-corre alla complessiva crescitacivile di tutta la comunit, sa-pendo combinare insieme losviluppo delle capacit indivi-duali, interne, con le opportu-nit esterne (culturali, sociali,politiche, economiche), se di-sponibili a tale scopo.Ci significa che occorre arric-chire, per un verso, le proprierisorse e, per laltro, laccessoalle risorse per poterle en-trambe finalizzare alla realizza-zione del proprio progetto di vita, della propriaautonomia e libert, trasformandole in quegli au-tentici funzionamenti personali (Sen, 2001; Nus-sbaum 2002, OMS 2007), di radice aristotelica, cheindicano ci che una persona pu desiderare di faree di essere. Pi di qualsiasi altra attivit, leducazione esige, in-fatti, che si guardi lontano (Dewey, 1996, p.60),che si scrutino gli orizzonti verso cui indirizzare ibambini, ponderando adeguatamente le scelte edu-cative e le conseguenze di questultime a breve, amedio e a lungo termine.

Per fare questo leducazione ha bisogno di una ri-flessione, che stata chiamata pedagogia, e che do-vrebbe avere il compito, a volte, di semplificare ciche si presenta complicato, a volte di complicare

ci che sembra semplice (Canevaro, 1996). Non un caso, infatti, che i fondamenti pedagogici delcurricolo scolastico siano legati ad una prospettivaparadigmatica che pone lattenzione per lo pi sugliesiti di lungo termine del curricolo complessivo. Inquesta prospettiva gli errori possono essere pi for-mativi delle attivit eseguite alla perfezione, e lapossibilit di sbagliare pu essere un indicatoredella qualit della vita, non solo scolastica. anchedalla riflessione su questo tipo di esperienze chenasce la possibilit di riconoscere le bambine e ibambini, considerando nel riconoscimento sia lapazienza educativa per lattesa, sia la possibilitdell errore e dellimprevisto, sia la diversit.La scuola fa, ormai, i conti con leterogeneit deisuoi frequentanti e impegna gli insegnanti a pro-gettare sullintero ciclo scolastico, e non solo sullaclasse e sul livello corrispondente. Sono questi dueelementi, combinati tra loro, che permettono lor-ganizzazione di gruppi eterogenei, e quindi la pre-senza collettiva delle diversit, cio di bambini condisabilit, con disturbi di apprendimento o consvantaggio socio-culturale e linguistico nelle classiordinarie, ricche quindi della comune umanit(Quellett, 1991).Linfanzia si trova ora completamente immersanella mutevolezza degli eventi del tempo presentee si imposta come valore collettivo. passata daunassenza storica di immagine e considerazionesociale ad una molteplicit di rappresentazioni cul-turali che influiscono sullidentit reale del bam-bino e sul modo in cui il mondo degli adulti vi sirapporta (Trisciuzzi, Cambi, 1999, p.11): dal bam-bino deviato al bambino incompiuto, al bambino

Pieter Bruegel, Giochi di fanciulli

Il gioco non costituisce unattivitspeciale, diversa o separata dalle altre,

anzi coincide con tutte in quantoesercitate nella particolare maniera che

quella autotelica. In questotticadiviene evidente che la qualit della

formazione che un individuo ricevernel corso della sua vita dipender in

buona parte dalla qualitdelleducazione e delle esperienze

vissute nei primi anni della suaesistenza

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senza infanzia; dal bambino violato, abusato, albambino televisivo, tecnologico; dal bambino dellaragione al bambino competente, ecologico, digi-tale; dal bambino colorato, a rischio, deprivato, albambino con problemi, con deficit, emarginato, conbisogni educativi speciali etc.Ciascuna rappresentazione descrive un modo dif-ferente di percepire linfanzia e, pi in generale, ri-vela le pi disparate sfaccettature dellat-teggiamento della societ nei confronti del mondodellinfanzia, rimandando ad una simbologia delbambino come soggetto dipendente e dellinfanziacome periodo subordinato della vita.In epoca recente, noto che laffermazione e il ri-conoscimento dellinfanzia derivano dalle esi-genze della societ mutevole, ma anche dallenecessit dellistruzione e della formazione. Lat-tenzione degli studi delle scienze pedagogiche esociali, e delle ricerche tese ad indagare nel con-testo familiare e scolastico, in particolare, gliaspetti riguardanti la socializzazione, lapprendi-mento, gli stili educativi, i campi di esperienza egli ambiti disciplinari rispecchia molto chiara-

mente il ruolo fondamentale che la societ attualeassegna alle fasi evolutive dellistruzione e dellaformazione, che costituiscono il preludio dellin-serimento progressivo del bambino nella realtculturale e sociale. In questo quadro, il gioco rappresenta una attivitdi per s costruttiva, testimonianza e garanzia disviluppo: il bambino quando gioca costruisce sestesso e il suo mondo, avverte le regole e intuiscevalori che il gioco di per s non ha la pretesa di tra-smettere. Il gioco possiede invece un valore impli-cito nella crescita della persona intesa come puntodi riferimento ideale. Il superuomo di Nietzscheama il gioco, la danza e la festa come espressionifacilitanti, socievole e vive pacificamente nelmondo: un uomo nuovo, non un uomo pi potentedegli altri.Il gioco rappresenta allora una delle attivit che pifavoriscono la formazione della persona, e non sol-tanto nellet infantile (Galli, 1984). Tuttavia, nonc dubbio che il suo ruolo, soprattutto nei primianni di vita, abbia un valore rilevante: Eraclito, Pla-tone e poi anche Frobel lo hanno messo bene in evi-

Berthe Morisot, Bambini che giocano

denza. Tutta la riflessione pedagogica sul gioco in-tesa come mezzo per un sano sviluppo dellindivi-duo e come modo di penetrare alcuni aspetti dellanatura umana (Lowenfeld, 1962) si colloca allin-terno dei processi di sviluppo delle potenzialit delbambino e verso let adulta, anche alla luce delfatto che allattivit ludica viene dedicata la mag-gior parte del tempo. In questa prospettiva, la funzione culturale e peda-gogica del gioco si rende evidente e appare vitalenellambito del gruppo sociale per gli scenari disenso e di significato che offre, oltre che per il va-lore espressivo e per i legami affettivi che crea e se-dimenta. Analizzando infatti il ruolo e i contestidelle attivit ludiche, nonch le forme e le tipologiedi giochi tipiche di una societ, possibile compren-derne i valori, le credenze, le tradizioni e gli usi.In ogni caso e in ogni tempo, giocare per semprestato un modo di scambiare o di acquisire cono-scenze nuove e complesse, e i giochi, via viaadattati ai tempi e ai luoghi, sono in grado di tra-smettere e di far conoscere le varie facce delle di-verse culture. Lagire ludico, inoltre, apre a formesperimentali e innovative nel rapporto con il realeproducendo spesso effetti che consentono di entrarein un rapporto dinamico con la cultura stessa che,per tale ragione, ricorre talvolta a interventi restrit-tivi o, al contrario, diffusivi, utilizzando il giococome strumento educante per promuovere modellidi comportamento o mentali.

Lesperienza ludica , dunque, comune a tutti gliuomini e a tutte le compagini socioculturali(Fink, 2008), e naturalmente al bambino con di-sabilit, la cui partecipazione al gioco costitui-sce una preziosa opportunit di divertimento, diformazione e di sviluppo delle proprie potenzia-lit; opportunit che gli viene spesso preclusaperch intesa in senso molto riduttivo. Moltospesso, infatti, ci si concentra ad insistere esclu-sivamente su aspetti di tipo assistenzialenei quali il gioco viene considerato del tuttoirrilevante rispetto a quelle opportunit, ancheperch, frequentemente, educatori e inse-gnanti pensano che i bambini con disabilitsiano incapaci di giocare (Saracho, 2013), mi-sconoscendo piuttosto la propria incapacit agiocare con loro. opportuno, allora, se non doveroso, aprirsi allaprospettiva del bambino della fiducia verso sestesso, verso gli altri e verso il mondo, con quellafiducia di essere riconosciuti, di avere possibilitdi incontro, di stabilire legami e possibilit di in-trecciare significati, perch essa la prospettivaper eccellenza, quella cio della relazione edu-cativa fondata soprattutto su un atteggiamento diconferma e di solidariet in cui luno accoglielaltro per quello che , comunicando disponibi-lit e interesse nei suoi confronti, stima e aspet-tativa positiva, e anche desiderio di giocareinsieme.

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Giochi di fanciulli (anonimo)

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Il bambino adulto e ladulto bambinoIl post narcisismo dei tempi moderni: il travalicamento dei confini

L'ideale educativodel nucleo fami-liare contempora-neo, tendenzial-mente mononu-cleare, non con-templa pi formedi abdicazione allapropria realizza-zione da parte di

nessun membro: lespletamento di un s meravi-glioso desiderato per i figli, ugualmente ambitodai genitori. Il bambino si trova cos a doversi sem-pre pi presto adattare ai ritmi e ai comportamentidegli altri membri della famiglia. Dalle ricerche pi recenti dellattuale ambito fami-liare (cfr. F. De Singly, L.Gavarini), emerge nonsolo una pronunciata indifferenziazione dei ruolifamiliari, perch padre e madre godono ormai diuna interscambiabilit reciproca, ma anche soprat-tutto l anelito di ogni membro del nucleo di rispet-tivi bisogni di godimento. Tutto ci mette inevidenza forme di riconoscimento affettivo e idealeche erano state a lungo destinate al figlio, che oggi invece sempre pi il simbolo e lincarnazione diun progetto di s genitoriale. in questo scenario post narcisista che maturatala figura di un bambino da proteggere dalla propriaposizione di status infantile, trattato sempre pispesso come un pari. Forse l'immagine del bam-bino-re appartiene a unepoca che ha poco a chefare con il presente, quando il modello funzionaleera saldato alla regola implicita che faceva del-l'amore per il proprio partner e di quello per il figlioun'unica dimensione affettiva. La diversa conce-zione su cui si fonda la coppia oggi, unita assaispesso in una sorta di patto associativo interindivi-duale, ha trasformato naturalmente il ruolo do-minante del bambino. Esso rimasto centrale comeun membro del gruppo, gode di molti diritti e dipochi doveri, ma non pi quello attorno al quale concentrata l'attenzione, n tantomeno la figurain funzione della quale vengono prese tutte le de-cisioni. Non pi neanche un tiranno, ma semprepi spesso un complice.Per questo le figure, forse, pi emblematiche delnostro tempo sono quelle del bambino adulto e

delladulto bambino. Si assiste, cio, allaffievolirsidegli attributi specifici delluno e dellaltro, alpunto che sempre pi complicato stabilire dellenette suddivisioni per classi det. Linfanzia, purnon essendo scomparsa, certo culturalmente piprossima alladolescenza, che a sua volta echeggiale subculture giovanili. Se la televisione ha in-franto le barriere che separavano i bambini dagliadulti (cfr. Postman), uniformandoli ai diversi tipidi informazioni, oggi la generazione dei bambinitouch screen ha creato un nuovo iato nellaccessoalla conoscenza, poich i piccoli superano in ca-pacit intuitive e associative quelle degli adulti difronte ad ogni schermo. La scomparsa dellinfan-zia come condizione esistenziale legata a formeprecise di specificit sarebbe da imputare agli ef-fetti che i media esercitano sulla conoscenza. Pale-sando il segreto del mondo adulto, rendendolointelligibile ed esposto, la televisione ha infranto labarriera che separava i piccoli dai grandi, che si

sono trovati a condividere identiche informazionida una sorta di parit di posizioni. Segno evidentedi questo passaggio culturale sono i bambini tele-visivi proposti sempre o come simboli o comestrumenti. Nella pubblicit come nei programmi,infatti, vengono rappresentati per lo pi come adultiin miniatura, presi nelle maglie di dinamiche ecomportamenti da grandi, intenti a promuovereprodotti o emozioni a una platea indifferenziata.La famiglia, daltro canto, ha subito dei profondimutamenti assumendo plurimi aspetti e acco-gliendo la sua mutevolezza continua come dato dinormalit. Lintercambiabilit dei ruoli paterni ematerni da un lato, il raggiungimento di fini indi-viduali dallaltro, sono, forse alla base di un diffuso

Marina DAmato

Lideale educativo del nucleo familiarecontemporaneo, tendenzialmentemononucleare, non contempla piforme di abdicazione alla propriarealizzazione da parte di nessunmembro: lespletamento di un s

meraviglioso desiderato per i figli, ugualmente ambito dai genitori

Marina DAmato

12 atteggiamento disenso di colpa ma-terno e paterno chesi origina laddoveresponsabilit e li-bert si contrap-pongono con ilrisultato che geni-tori immaturi nonriescono ad assu-mere la funzione eil ruolo necessariper crescere i figlie inducono spesso,sia pure inconsa-pevolmente, i bam-bini a diventare

precocemente grandi per poterli, cos, vivere comedei pari.Se la maturit psichica avviene accettando la pre-minenza del principio di realt su quello del pia-cere, per poter essere in grado di convivere consoddisfazioni e frustrazioni, allora il tratto pi evi-dente di questa postmodernit fluida in cui viviamo quello della infantilizzazione massiccia degliadulti e di una adultizzazione precoce dei bambini.Solo cos, si pu leggere il deficit di responsabilitche si riscontra nei genitori contemporanei, stretta-mente connesso con la crescita esponenziale dibambini adultizzati, registrata non solo dagli psi-cologi, ma anche da economisti e sociologi, e so-prattutto, dal mondo del marketing. Nel corso diuna recente ricerca (M. DAmato) emerso chia-ramente che gli adulti fanno le stesse cose dei bam-bini: si vestono come loro, guardano la tv, giocanocon i videogiochi, navigano su internet, praticanogli stessi sport, si esprimono con un egual numerodi vocaboli, usano gli stessi gesti, hanno moltissimigadgets, e soprattutto non vogliono invecchiaremai. Unipotesi sempre pi condivisa quella che mettein correlazione le patologie psichiche infantili congli atteggiamenti puerili degli adulti. Non va di-menticato, infatti, che i bambini, quando stannomale, manifestano anche attraverso il sintomo, ildisagio di non essere presi in considerazione noncome un fine, bens come strumento in funzionedel prioritario interesse dei genitori sempre piabili nella delega alla scuola, allassociazionismo,al gruppo dei coetanei.Che la fine dellinfanzia sia un sintomo principaledella post modernit che riflette il destino della finedel sogno della ragione e della razionalit illumi-

nista? La fine delle frontiere, la fine del soggetto,il dominio della cultura visuale, la fine del socialee limplosione della politica con la morte dellegrandi ideologie? Secondo le considerazioni di Po-stman, le et della vita si sarebbero ridotte sostan-zialmente a due: la primissima infanzia da un latoe la vecchiaia dallaltro. Tra loro, lunga zona inter-media, la figura ossimorica del bambino adulto,con il suo rovescio: ladulto infantile.I media giocano un ruolo fondamentale in questaproposta di adulti infantili e bambini adultizzati: ilcinema con Forest Gump, Dumb and Dumber o dibambini adulti: Jack, Le Petit Homme, Big. Lapubblicit mette in evidenza la stessa ambivalenza(Benetton o Calvin Klein ). Ed il fenomeno di Mi-chael Jackson definito dal suo biografo comeluomo che non mai stato bambino ed il bambinoche non mai cresciuto (Andersen ) solo lesem-pio pi evidente di una societ alla ricerca diunutopica eterna giovinezza.

Da un lato quindi il puerocentrismo come obiettivoesistenziale e dallaltro lannullamento dellinfan-zia come condizione sociale permanente di ogni so-ciet umana. Come interpretare questa ambi-valenza? In primo luogo il decremento delle nasciterende i bambini rari e quindi sempre pi preziosiper almeno due macroscopici ordini di motivi: ilprimo oggettivo, strutturale e riguarda evidente-mente il progressivo rarefarsi della manodopera at-tiva con il rischio di perdita delle acquisizionisociali; il secondo di tipo soggettivo e concerneper esempio lallungamento dellinfanzia come pe-riodo di irresponsabilit sociale, caratterizzatodallindugiare nella scuola che diventa in questocaso un contenitore di forza lavoro che altrimentinon troverebbe alcuna collocazione. Inoltre la dif-fusione di questo atteggiamento forse ascrivibilealla progressiva deritualizzazione dei modi di ac-cesso alla maturit cos come si andata configu-

in questo scenario post narcisista che maturata la figura di un bambino daproteggere dalla propria posizione distatus infantile, trattato sempre pi

spesso come un pari. Forse limmaginedel bambino-re appartiene a unepocache ha poco a che fare con il presente:

non pi neanche un tiranno, masempre pi spesso un complice

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rando nelletcontemporanea.I punti di riferi-mento che finoalla scorsa ge-nerazione defi-nivano i mo-menti cernie-ra della vita diognuno: la con-clusione del-liter scolastico,lingresso nelmondo del la-voro, il matri-monio, hannosubito un pro-gressivo differi-

mento. Ne deriva che le classi di et non traccianopi limiti di spazi sociali nettamente distinti e lagiovent come la vecchiaia regrediscono allo stadiodi una categoria fluttuante. Allinterno di questisquilibri, il bambino viene a porsi come un beneraro agli occhi dei responsabili delle politiche de-mografiche e in particolar modo a quelli dellindi-viduo post moderno, nei confronti del qualeesercita una forte fascinazione sul piano simbolico. In unepoca sempre pi spesso analizzata come ci-nica, caratterizzata dal disincanto, il bambino as-sume una funzione sociale essenziale: offre lasperanza per il futuro e finisce per rappresentareper il singolo lunico prolungamento possibile e lasola fonte di compensazione alla propria frustra-zione narcisistica.

Al contempo il bambino un bene ricco per glispazi di mercato che anima per la sua triplice fun-zione nel mondo del marketing: come consuma-tore attivo, dotato di un proprio budget sempre pi

consistente; come un mediatore di consumi perchincita allacquisto; come un futuro consumatore.Viene perci vezzeggiato dai media e idolatratodalla pubblicit che lo pongono come protagonista.In questo contesto, il bambino messo in scena daipubblicitari appare una figura che riflette il deside-rio dei genitori di ritrovarsi nellimmagine dei pro-pri figli. Accade infatti nellinfanzia degli spot divedere messi in mostra tutti i tratti della seduzione:bellezza, vivacit, dinamismo, salute, elementi pla-tealmente sconnessi dal reale status di impotenzasociale di coloro che li incarnano, tanto quantoinarrivabili per coloro che si sforzano di aderirvi:gli adulti.Daltro canto i bambini dei programmi sono adultiin miniatura che cantano, suonano, ballano o reci-tano come dei grandi oppure allopposto, si trattadi bambini disgraziati per le vessazioni subite,violenze, terremoti, naufragi simboli drammaticiutili a reincantare con il loro dolore il mondo disin-cantato degli adulti.

In definitiva, televisione, cinema, internet, ci rin-viano la polimorfia di questa nuova cultura chetende ad annullare le specificit dellinfanzia comecategoria sociale permanente di ogni societumana dotata di una sua ritualit, di una sua cul-tura, di suoi costumi, a tutto vantaggio di una con-siderazione di una fase della vita, di un tempo ditransizione verso let adulta, di un periodo che siconnota soprattutto per la sua tensione tra due con-dizioni: quella di infante e quella di uomo. Per av-valorare questa dinamica, i media ci rinvianoanche lidea di infanzia attraverso caratteristichedi tipo biografico utili soprattutto a suscitare emo-zioni per la spettacolarizzazione del dolore chespesso implicano. A rimanere esclusa, da questerappresentazioni di bambini linfanzia quellavera: quella fondata sulloriginalit della personadi ognuno, quella fondata sul diritto alla libert cheattribuisce a ciascuno linvenzione di s, quelladella dignit della persona!

Le figure, forse, pi emblematiche delnostro tempo sono quelle del bambinoadulto e delladulto bambino. Si assisteallaffievolirsi degli attributi specifici

delluno e dellaltro, al punto che sempre pi complicato stabilire delle

nette suddivisioni per classi det.Linfanzia, pur non essendo scomparsa,

certo culturalmente pi prossimaalladolescenza, che a sua volta echeggia

le subculture giovanili

A rimanere esclusa, da questerappresentazioni di bambini linfanzia

quella vera: quella fondatasulloriginalit della persona di ognuno,

quella fondata sul diritto alla libertche attribuisce a ciascuno linvenzione

di s, quella della dignit della persona!

14 Sono ancora un bambinoViaggio e approdo dei minori-migranti-soli nel Mediterraneo

Dalla grata di unbuco filtra la luceche illumina leTerme di Diocle-ziano, accanto laBasilica di SantaMaria degli Angelie dei Martiri. Qua, nel centro diRoma, vive Abdul,arrivato dopo ave-re attraversato, dasolo, il mare Medi-terraneo su una

carretta ed avere risalito lItalia, partendo dalla Si-cilia, tenendo stretto il foglietto con i numeri dachiamare. Piangendo dice: Mia madre ha pagatocinque mila euro per farmi salire sulla barca adAlessandria, ho avuto paura del mare e di morire,ma ho pi paura qui. Sono ancora un bambino. Nonriesco a mandare nulla a casa a mia madre e ai mieifratelli piccoli Mia madre non deve sapere chesono per strada, se lo sa piange per me.

Abdul uno dei tanti minori stranieri non accom-pagnati che vivono tra le antiche mura degli edi-fici del centro della Capitale. Ormai sonomoltissimi i bambini-migranti in Italia, di cui co-nosciamo le drammatiche storie (L. Attanasio, Ilbagaglio, Albeggi, Roma 2016).

Chi sono i minori migranti? La Risoluzione delConsiglio dEuropa del 26 giugno 1997 ha definitoi MSNA (Minori Stranieri Non Accompagnati): icittadini di Paesi terzi di et inferiore ai 18 anni chegiungono nel territorio degli Stati membri non ac-compagnati da un adulto per essi responsabile inbase alla legge o alla consuetudine e fino a quandonon ne assuma effettivamente la custodia un adultoper essi responsabile.... I minori hanno un per-messo di soggiorno che consente loro di vivere inItalia fino ai 18 anni presso strutture di accoglienza.

Con larrivo sempre pi numeroso dei minori negliultimi anni e dei pericoli ai quali essi vanno incon-tro anche nei paesi di approdo, la recente risolu-zione del Parlamento europeo del 12 settembre2013 ricorda che un minore non accompagnato

innanzitutto un bambino potenzialmente a rischioe che la protezione dei bambini, e non le politichedellimmigrazione, deve essere il principio guidadegli Stati membri e dellUnione Europea a tal ri-guardo, rispettando il principio di base dellinte-resse superiore del bambino; ricorda che perbambino e di conseguenza per minore si intendequalsiasi persona, senza alcuna eccezione, che nonabbia ancora completato il diciottesimo anno divita; rileva che i minori non accompagnati, in par-ticolare le giovani, sono due volte pi suscettibilidi essere confrontati con difficolt e problemi ri-spetto agli altri minori; osserva che essi sono par-ticolarmente vulnerabili, nella misura in cui essihanno le stesse esigenze degli altri minori e rifu-giati con cui condividono esperienze analoghe;sottolinea che le ragazze le donne sono particolar-mente vulnerabili alle violazioni dei loro diritti nelcorso del processo migratorio e che le ragazze nonaccompagnate sono particolarmente a rischio inquanto sono spesso il principale oggetto dello sfrut-tamento sessuale, degli abusi e della violenza .

Quanti sono i minori e dove vivono? legittimoparlare di loro in termini allarmanti? Secondo lEu-ropol nel 2015 in Europa i minori stranieri nonaccompagnati sono stati 90.000. In Italia nel mede-simo anno (fonte: Ministero del Lavoro e delle Po-litiche Sociali) i minori stranieri non accompagnatipresenti nelle strutture di recezione sono stati11.921 (il 95% maschi), il 13,1% in pi rispetto al2014 e 6.135 sono irreperibili (cio segnalati

Carmelina Chiara Canta

Abdul uno dei tanti minori stranierinon accompagnati che vivono tra leantiche mura degli edifici del centro

della Capitale. Secondo lEuropol nel2015 in Europa i minori stranieri non

accompagnati sono stati 90.000. InItalia nel medesimo anno i minori

stranieri non accompagnati presentinelle strutture di recezione sono stati

11.921, il 13,1% in pi rispetto al 2014 e6.135 sono irreperibili

Carmelina Chiara Canta

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dopo lallontanamento delle strutture di acco-glienza al Ministero). Nellinsieme i minori sono18.056. Se si considera che nel 2007 erano 5.583 eche in questi primi 5 mesi del 2016 le cifre sono inaumento, esistono seri motivi per interessarci conpreoccupazione del fenomeno. Nel Mediterraneoapprodano continuamente imbarcazioni con piminori soli sempre pi numerosi e pi piccoli. Nellultimo triennio, e, in particolare nel 2015, letmaggiormente rappresentata tra i minori quella dei17enni, che sono 6.432 (54%) e dei 16 anni 3.238(27,2%). Segue la fascia degli adolescenti 15enni(1.321-11,1%), dei 7-14enni (896-7,5%) e dei bam-bini di 0-7 (43-0,4%). Negli ultimi tre anni, tra gliirreperibili, aumentata la fascia dei ragazzi 7-14

anni (401), che pi del doppio dal 2012 (187).Lanalisi sulla ripartizione dei minori presenti nellestrutture per regione, relativa alle prime quattro, se-gnala che la Sicilia (con 34,47%), la Calabria (con9,45%), la Puglia (con 9,24%) e il Lazio (con7,83%), sono quelle che ne accolgono di pi. In par-ticolare, la Sicilia con 4.109 (34,47%) minoriemerge come la regione che svolge una pi intensaattivit di prima accoglienza. Lafflusso di minorinellisola (che dal 2013 al primo posto) stato cre-scente, passando dai 311 minori presi in carico nel2010 ai 1.754 giovani del 2011 e a 4.109 nel 2015.

Da dove vengono i minori che arrivano in Italia?Essi iniziano il viaggio dai paesi che si affaccianonel Mar Mediterraneo, dal Nord e dal Centro Africama anche dai paesi balcanici. Nellanno 2015, sonoegiziani 2.753 minori, pari al 23,1%, sono albanesi1.432 (12%), eritrei 1.177 (9,9%), 1.161 (9,7%)sono gambiani, 697 (5,8%) nigeriani 697 (5,8%),somali 686 (5,8%), 681(5,7) vengono dal Bangla-desh, (512-4,3%) dal Senegal e 465 (3,9%) dalMali.

evidente la prevalenza di minori provenienti daiPaesi che si affacciano sul Mediterraneo e di quelliafricani in particolare (13.676 su 18.056). La primaaccoglienza dei minori avviene nel cuore del Medi-terraneo: Sicilia (Lampedusa, Pozzallo, Agrigento,Trapani) e poi Puglia e Calabria. E questo pu spie-gare molte analogie sulla cultura, i comportamenti eil modo di pensare. Gli adolescenti, quando intra-prendono il viaggio della speranza e poi approdanosulle coste della Sicilia o di Lampedusa si trovanoin un territorio che nel paesaggio, nello stile archi-tettonico e urbano ricorda da vicino il paese di pro-venienza, come era gi nel loro immaginario.

Il dato relativo ai minori che risultano irreperibili diventato particolarmente significativo: infatti i6.135 minori segnalati nel 2015 dal Ministero delLavoro per un allontanamento dalla struttura di ac-coglienza, rappresentano un fenomeno, in crescitarispetto agli anni precedenti (erano 3707 nel 2014 e1754 nel 2012). Gi nei primi quattro mesi del 2016il piccolo popolo in fuga ha raggiunto 2.500 unit,il 90% in pi rispetto allo stesso periodo del 2015.Secondo Carlotta Sami, portavoce dellUNHCR SudEuropa, di questi solo 118 sono accompagnati. Anche i ragazzi che scappano dalle strutture, pro-vengono in prevalenza dai medesimi paesi del Me-diterraneo. Questo gruppo di invisibili costituitoin prevalenza da eritrei (1.571), somali (1.459) edegiziani (1.325).

Minori stranieri ospiti in strutture di accoglienza tempora-nea e case famiglia. Le loro storie sono raccontate da LucaAttanasio in Il bagaglio (Albeggi, 2016). (foto: Mohamed Keita)

16 Rispetto ai 10.000scomparsi in Europa,segnalati dallAgenziadi intelligence euro-pea Europol, gli oltre6.000 italiani rappre-sentano una quantitnettamente consi-stente. Spesso sitratta di ragazzi cheentrano in Europa conspecifici progetti mi-gratori, con aspetta-

tive familiari nei paesi di origine ben precise e conreti parentali e di riferimento molto forti, che nonhanno fiducia nella possibilit di raggiungere leloro mete di destinazione con i canali previsti dallenorme, e pertanto, intraprendono il viaggio in modoillegale (Rapporto ISMU 2015). Da alcuni racconti sul viaggio dei minori presenti aRoma, emerge un modello di organizzazione delviaggio: i minori si imbarcano ad Alessandria, Ra-sheed, Gharbiya, su piccoli natanti da cui i traffi-canti li spostano in barconi pi grandi ma pocosicuri. Negli ultimi tempi si aperta una nuova rottaattraverso la Libia, che i minori raggiungono tramitepiccoli pullman, e da qui i trafficanti li spostanoverso la costa per arrivare in Italia. La traversata delMediterraneo viene raccontata come estremamentepericolosa e al limite della sopportazione.

La domanda che a questo punto ci si pone : chefine hanno fatto i 10.000 minori non accompagnatiscomparsi in Europa? Probabilmente sono finitinelle mani di una rete criminale internazionale. Lacriminalit ha trasformato la loro debolezza e lin-capacit dei governi nella gestione del fenomeno inun giro di affari enormi. Di molti di loro, soprattuttodei piccolissimi, si sono perse le tracce. Alcune in-chieste hanno denunciato che in Italia molti minorisono impiegati nel lavoro agricolo e nel commercioallingrosso di frutta e verdura. Gi nel 2014, inuninchiesta del The Guardian, Elvira Iovino delCentro Astalli di Catania aveva denunciato: Lamaggior parte dei minori eritrei che arrivano in Ita-lia rifiutano di essere identificati dalle autorit, per-ch se fossero registrati in Italia il trattato diDublino non gli permetterebbe di chiedere lasilo inaltri paesi dellUnione. Per questo la maggior partedi loro scappa dai centri di accoglienza e vive perstrada, dormendo nelle stazioni ferroviarie o nei par-chi, dove i ragazzi sono adescati da trafficanti checon la promessa di un alloggio, li rapiscono o li co-stringono ad attivit illegali (droga e prostituzione).

Secondo Viviana Valastro di Save the children lacausa di questa situazione va ricercata anche nelfatto che in Italia i minori stranieri non accompa-gnati non sono protetti da una legge specifica, madalla stessa norma che regola i casi di minori ab-bandonati. in discussione in Commissione dirittiumani della Camera una proposta di legge la cuiprima firmataria lonorevole Sandra Zampa, cheper stata bloccata dalla Commissione bilancio.La proposta fu presentata il 4 ottobre 2013, in se-guito al naufragio al largo di Lampedusa e prevedeper esempio che ogni minore abbia un tutore indi-viduale che si occupi di lui. Oggi in Italia i tutorisono i sindaci delle citt dove i minori risiedonoche sono affidatari di moltissimi ragazzi (a Pa-lermo, Agnese Ciulla, assessore alle politiche so-ciali, ha in affido 480 minori migranti, al 15 maggio2016!)

I minori crescono in fretta. Molti adolescenti egiovani sono catturati dalla rete della prostituzione,come ha scoperto la polizia ferroviaria di Roma nelmaggio 2015. Per le organizzazioni criminali i ra-gazzi stranieri che hanno meno di 14 anni sono pre-ziosi perch per la legge italiana non possonoessere incriminati.Nei dintorni della stazione Termini, vivono moltidi questi ragazzi spariti nel nulla, anzi, invisibili.Si tratta di egiziani, eritrei, somali, siriani incerca di un futuro diverso dalla guerra e che vo-gliono solo raggiungere i parenti in Nord Europa,ma molti altri finiscono a viver per strada e nellemani della criminalit. Dopo avere accertato laminore et, vengono accompagnati nelle case fa-miglia; ma dopo poco tempo si ritrovano a dor-mire in strada e vengono arrestati per furti erapine. Alcuni rientrano nelle case famiglia, maquando nessuno li controlla, pur di mandarequalche soldo a casa, accettano anche di vendereil proprio corpo. Possiamo pensare di vivere in un paese civilequando accettiamo che sul nostro territorio ci sianobambini che vivono come Abdul, Mohammed oAmina? Ogni tanto arriva lAma, la municipaliz-zata che si occupa della pulizia delle strade diRoma. I ragazzini si nascondono poco lontano,stringendo il loro prezioso bagaglio (un cartone perdormire, qualche straccio, una borsa o una busta diplastica). Il giorno dopo ritornano nei loro nascon-digli, sempre pi affollati.

La vita quotidiana dei bambini stranieri, soli e ir-reperibili, che vivono accanto a noi, al centro diRoma, cuore dItalia, continua!

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Cera una volta...Un progetto per i bambini immigrati e le loro famiglie

Cera una voltalaccoglienza

Laccoglienza deibambini nei ser-vizi educativi pre-suppone il deside-rio e la capacitdi comprendere ilbambino, di ri-spondere ai suoibisogni, di pro-spettare una fiori-

tura (Nussbaum, 2012) delle sue potenzialit. Illavoro educativo persegue questa finalit colti-vando un pensiero riflessivo (Schoen, 1984).Leducatore, accetta di muoversi su un sottile cri-nale situato tra teoria e pratica, tra prevedibile e im-prevedibile, tra visibile e invisibile, tra conoscenzae mistero. I servizi per linfanzia, oggi pi che mai, a frontedei fenomeni migratori e delle trasformazioni dellefamiglie, necessitano un continuo aggiornamentosul campo, un accompagnamento competente, cheaiuti a perseguire obiettivi contestualizzati. Il ruolodei Dipartimenti di Scienze delleducazione di-venta quindi strategico nel tessere un rapporto trateoria e prassi che faciliti una fioritura dei bambini,che tenga conto della storia e delle storie dei bam-bini e delle loro famiglie.

Cera una volta la terza missione dellUniversitNei corsi di studio di Scienze delleducazione,la terza missione dellUniversit intesa comeapertura verso il contesto socio-economico me-diante la valorizzazione e il trasferimento delleconoscenze se da un lato pu essere vista comeconditio sine qua non, per dare un senso al la-voro accademico, dallaltro rischia di perdere lasua forza, se non inclusa a pieno titolo tra i cri-

teri di valutazione dei docenti e degli atenei.Ben venga quindi in questo settore il decreto legi-slativo 19/2012 e successivamente il DM 47/2013che mettono a pieno titolo la terza missione tra icriteri della valutazione dellUniversit.Il confine tra operativit e ricerca viene cos uffi-cialmente ripensato come spazio da abitare inveceche come linea di demarcazione.

Cera una volta un progetto per i bambini im-migrati e le loro famiglieLesperienza interculturale per linfanzia dellaquale intendo qui brevemente dare conto ha unastoria che parte integrante del lavoro di ricerca edi formazione che svolgo a Roma Tre.Dalla fine degli anni Novanta ho avuto la fortunadi collaborare a un progetto socio-educativo che ri-chiedeva un lavoro di accompagnamento psicope-dagogico. Tale accompagnamento era finalizzatoalla costituzione di un dispositivo di accoglienzaalle famiglie immigrate nella citt di Roma. Il progetto - articolato su tre fronti a) accoglienzaabitativa, per le famiglie, comprensiva di sportellodi orientamento e ricerca di lavoro, b) doposcuolaper i minori in et scolare, c) centro diurno per ibambini in et prescolare - ha portato avanti un mo-dello di sostegno alla genitorialit concepito in-torno alla centralit del bambino (Aluffi Pentini,1999).La situazione di estremo disagio delle famiglieaccolte (sfollati da unoccupazione, stranieri e inalcuni casi configli in situa-zione di disabi-lit), insiemealle straordina-rie competenzetrasversali e ca-pacit di ac-coglienza e diriflessione dellar e s p o n s a b i l edelliniziativanonch gli esitidi ricerche dame precedente-mente svolte su

Anna Aluffi Pentini

Leducatore, accetta di muoversi su unsottile crinale situato tra teoria e

pratica, tra prevedibile e imprevedibile,tra visibile e invisibile, tra

conoscenza e mistero

Anna Aluffi Pentini

18 analoghe espe-rienze educative(Aluffi Pentini,Talamo 1998),mi hanno alloraportato ad inter-rogarmi sullapossibilit esulle modalit sisistematizzaredelle buone pra-tiche replicabilianche altrove.

Cera una volta lincubatore di continuitIl concetto di incubatore di continuit (AluffiPentini, 2008), coniato per designare delle praticheinterculturali, attente alle dinamiche di inclusione/esclusione, oltre che a quelle culturali, insiste su undispositivo di accoglienza che offra alle famiglieimmigrate: iniziale rassicurazione, progressivo raf-forzamento e successiva responsabilizzazione, invista di una sempre crescente autonomia e parte-cipazione attiva alla vita della societ.Nel corso degli anni il concetto di incubatore dicontinuit si arricchito con quello di incubatoredi socialit positiva e si tra laltro rivelato funzio-nale per partecipare con successo ai bandi del Co-mune di Roma. Bisogna infatti tener conto del fattoche per molte famiglie immigrate il centro inter-culturale in questione continua a fornire un primoimprinting positivo di rapporto con le istituzioniitaliane. In corso dopera il centro stato rilevato dallapiccola onlus Zero in Condotta e si spostato perragioni logistiche, da una periferia romana adunaltra, ri-tessendo reti operative di rapporti conil territorio. Si trova oggi nel quartiere di TorSapienza e svolge un ruolo importante nel crearepositive dinamiche dintegrazione tra famiglie im-migrate e non. Il nome del Centro Shi Shu Bhavan, che significain lingua bengali casa del bambino e vuole sot-tolineare una cura pedagogica dellautonomia eunattenzione ai bisogni educativi dei bambini, maallo stesso tempo evocare il legame con paesi e cul-ture lontane e il desiderio di superare situazioni dideprivazione sociale delle famiglie. Convenzionato per il tirocinio degli studenti del Di-partimento di Scienze della formazione, il centrovede nella sua equipe tre laureate a Roma Tre. Dal 1999 ad oggi, laccompagnamento delle fami-glie e degli operatori stato oggetto di pubblica-

zioni (Aluffi Pentini, 1999, 2007, 2008, 2013), e hacostituito una base importante per contenuti dellaformazione degli studenti dei corsi di Pedagogia in-terculturale e sociale. In collaborazione con altri centri interculturali ro-mani stato elaborato un documento programma-tico sulla funzione dei centri interculturali nellacitt di Roma, e si profuso un grosso impegno perveder riconosciuto il valore del progetto e darglicontinuit e stabilit nel tempo. Il centro ha ricevuto un premio dallAssociazionedegli abitanti del centro storico e ha ottenuto finan-ziamenti privati su progetti specifici. Purtroppo tuttavia i centri interculturali lavoranoda pi di sei anni con proroghe mensili da parte delComune e gli scandali di Mafia Capitale hanno de-finitivamente compromesso la possibilit di pro-grammare il futuro. evidente che le competenzee la motivazione degli operatori e dei volontari cheda anni lavorano in questo e altri centri non sonostate adeguatamente valorizzate. Shi Shu Bhavanriceve dal Comune un pro capite pro die inferiorea quello che ricevono i nidi o le scuole dellinfan-zia, pur offrendo servizi che altrove non vengonoofferti, quali ad esempio il segretariato sociale,laccompagnamento pediatrico, psico-pedagogicoe psicoterapeutico anche individuale delle famiglie.

Cera una volta e c ancora!Laccoglienza dei bambini si svolge di pari passo aquella delle loro famiglie: negli ultimi dieci annisono passati al centro Shi Shu Bhavan minori pro-venienti da venti paesi diversi e il fatto che il so-stegno alla genitorialit prenda sempre le mosse daun progetto educativo sui bambini, condiviso tragenitori e operatori, si rivelato in questi anni difondamentale importanza soprattutto in quelle si-tuazioni, definite in letteratura, di intersezionalit(McCall, 2005) vale a dire che derivano dal poten-ziamento esponenziale di un disagio ascrivibile arazza, genere, disabilit, disoccupazione e povert.

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Il centro persegue i seguenti obiettivi: a) creare un luogo di accoglienza per i bambini e

le bambine- indipendentemente dalla provenienza;- indipendentemente dalla conoscenza della lingua;- indipendentemente dalla condizione giuridica

del minore;b) sostenere i genitori nel loro ruolo genitoriale e

per la responsabilit che ne deriva;c) mediare il rapporto tra le famiglie e le istituzioni

socio-educative e sanitarie;d) sensibilizzare il territorio alle tematiche inter-

culturali;e) creare occasioni di incontro tra cittadini di cul-

ture e/o provenienze diverse;f) diffondere buone pratiche in materia di integra-

zione sociale e di interculturalit.

Il progetto si fonda su alcuni presupposti importanti: il vissuto di impegno sociale delle fondatrici e

delle operatrici si configura come valore ag-giunto nelle modalit di erogazione di un servi-zio pubblico (si fa un po di pi di ci che richiesto o previsto dal progetto) e il denaro pub-blico viene utilizzato in continuit con una vi-sione di un modo equo e solidale;

la professionalit delleducatore si valuta soprat-tutto relativamente allattenzione, la cura e il ri-spetto della dignit e unicit del bambino e sullecompetenze di costruzione di una quotidianitaccogliente, serena, stimolante, divertente e diapertura allincontro con i genitori. Tanto pi ilbambino presenta forme di disagio, quanto piloperatore si sente coinvolto nella sfida di darerisposte adeguate.

Lequipe (multidisciplinare e interculturale essastessa) condivide una visione della diversit lingui-stica e culturale come una ricchezza e del bilingui-smo come ricchezza intellettuale. Lequipe sostieneun assetto ideale e organizzativo allinterno delquale, essendo tutti i bambini diversi, chiunque ar-riva uguale agli altri. Il centro assolve quindi alle seguenti funzioni: so-ciale, educativa, comunicativa, linguistica, didat-tica, interculturale, sensibilizzazione del territorio,mediazione sociale e culturale, sostegno alla geni-torialit, integrazione sociale per le famiglie ita-liane in difficolt, collaborazioni con le scuole ealtre istituzioni educative locali e cittadine. Il centro viene accompagnato in termini di super-visione socio-pedagogica e formazione continua,dalla scrivente (cattedra di Pedagogia sociale e in-terculturale) e dal dott. Bernucci direttore della

suola di psicoterapia familiare Random, questul-timo in particolare per unosservazione clinicadelle situazioni che lo richiedono e per eventualiinterventi terapeutici.

E vissero felici e contenti?Ma la vera cura pedagogica consiste nella presa incarico quotidiana del benessere dei bambini e delleloro famiglie e nella continua riflessione sui biso-gni educativi e sociali emergenti, tenendo conto diquelle specificit culturali che ogni giorno neces-sitano di essere de- e ri- costruite. Il fine quellodi far sentire ognuno a proprio agio nella condivi-sione delle regole e far sperimentare una convi-venza serena in allegria. Dalla presa in carico globale del bambino nasce lafiducia da parte della famiglia e il progetto del bam-bino ristruttura e d una cornice di senso al progettomigratorio della famiglia. In questi termini il soste-gno alla genitorialit diventa possibile ed efficacee in questi termini il dispositivo di accoglienza sicolloca nel continuo intrecciarsi di teoria e prassie rende dinamica la terza missione delluniversit.Nei processi di accompagnamento del sociale, possibile reperire il filo rosso che lega la consu-lenza pedagogica alla tradizione della ricercaazione o ricerca intervento.E chiss che dopo tanti anni, il centro interculturalenon possa diventare un vero e proprio laboratoriodel Dipartimento di Scienze delleducazione diRoma Tre. Se gli enti locali romani uscissero dallaloro infinita crisi, si potrebbe iniziare una co-pro-gettazione reale che dia respiro alle buone praticheinvece di soffocarle. Si potrebbero aprire opportu-nit professionali dignitose per i nostri educatori informazione. Chiss

20 Cooperare per includerePromuovere la cooperazione tra i bambini

Secondo il Dossier Statistico Immigrazionedel 2015, risiedono in Italia 1.085.274 minoriimmigrati, di cui 814.187 iscritti nellanno2014/2015 nelle scuole dei diversi livelli (il 9,2%degli iscritti). Tali bambini e ragazzi provengonoda: Romania (19,3%), Albania (13,5%), Marocco(12,6%) Cina (5,1%), Filippine (3,2%), Moldavia(3,1%) India (3,0%), e sono portatori di cultura, va-lori e religioni diverse.I bambini e gli adolescenti che giungono nel nostropaese devono coniugare la propria cultura doriginecon quella italiana, processo legato allo sviluppoidentitario, essendo la cultura un marcatore fonda-mentale didentit. Possono essere ipotizzati dueatteggiamenti opposti: il riferirsi esclusivamentealla propria cultura dorigine, oppure lassimilarsicompletamente alla societ in cui ci si trova a vi-vere. Nel primo caso, vi un rischio di contrappo-sizione, o addirittura di conflitto; nel secondo caso,si va incontro a perdite importanti delle proprie tra-dizioni e delle proprie memorie. Ambedue le dire-zioni implicano una scelta fra culture. Rispetto atali antinomie possibile pensare ad una terza via?

Pluralit di punti di vista e cooperazionePiaget nel 1931, nel pieno della ideologia nazista,basata sullidea della supremazia di un pensierounico, scriveva un saggio che pi che mai at-tuale oggi: Lsprit de solidarit del bambino et lacollaboration internationale. Lautore affermava:() Lo spirito di cooperazione tale che ciascunocomprende tutti gli altri, una solidariet internache non abolisce i punti di vista particolari ma limette in reciprocit e realizza lunit nella diver-sit. Il dovere di un piccolo svizzero non dacqui-sire una mentalit planetaria o mondiale chesostituir bene o male alla sua, ma di situare il pro-prio punto di vista tra gli altri possibili e di com-prendere il piccolo tedesco, il piccolo francese allostesso modo che lui stesso. questa competenza aporre in relazione diversi punti di vista che noichiamiamo cooperazione, per opposizione alluni-formit di un punto di vista assoluto. Secondo Piaget laccordo tra persone di culture di-verse non pu basarsi sulla ricerca di un pensierodominante, ma sulla capacit di porre in relazionediversi punti di vista, come base per cooperare. Un

celebre esperimento di Piaget esemplifica tale con-cetto: un bambino, posto davanti a un plasticorappresentante un paesaggio con tre montagne,deve illustrare la prospettiva di un altro osservatoredallaltro lato del tavolo. Se in grado di indivi-duare la prospettiva dellaltro, ha superato lego-centrismo cognitivo.Perch la capacit di cogliere la prospettiva deglialtri si traduca in capacit di cooperazione, occorreche i membri dellinterazione condividano dei pa-rametri comuni, che consentano di porre i terminidella questione allo stesso modo, e che la recipro-cit fra i partner sia tale che le opinioni di ciascunosiano considerate ugualmente valide. Nellacce-zione di Tomasello (2009) occorre un commonground, un terreno comune che consenta il con-fronto, basato sul rispetto della persona.

Rogoff, una docente di Harvard che entrata incontatto con le pi diverse culture ed etnie, condi-videndone anche la quotidianit, affermava che lei,intellettuale statunitense, non poteva ritenersi ap-partenere pienamente ai quei popoli di cui avevacondiviso a lungo la quotidianit, ma sentiva diaver partecipato al loro gruppo culturale. Nella suaopinione, ragionare per appartenenze crea contrap-posizione: richiede di scegliere se stare dentro ofuori. In realt, i confini tra i gruppi sono conti-nuamente mutevoli e legati alle circostanze di vita.Il credo religioso segna un confine, la professionene segna altri, il gruppo di amici altri ancora. Nonsi appartiene a un gruppo, ma si partecipa a gruppimolteplici. Cooperare con persone di culture epaesi diversi vuol dire superare la visione limitantedi unappartenenza, con la visione dinamica dellapartecipazione a diverse comunit, ove individuo ecomunit sono in costante evoluzione.

Nati per cooperareNellanalisi di stampo evoluzionista, alcuni pro-

I bambini e gli adolescenti chegiungono nel nostro paese devono

coniugare la propria cultura doriginecon quella italiana, processo legato allosviluppo identitario, essendo la culturaun marcatore fondamentale didentit

Susanna Pallini, Paola Perucchini, Giovanni Maria Vecchio

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cessi motivazionali sviluppati dallindividuo nelcorso della vita si fondano su disposizioni innate,selezionate dai processi evoluzionistici e universali,che invitano a perseguire particolari forme di inte-razione fra organismo e ambiente da cui discen-dono corrispondenti valori (Gilbert, 2003; Liotti,1994; 2005). Lagonismo - uno di questi sistemi motivazionali -implica la competizione per il rango sociale). Nellespecie animali tale sistema consente la spartizionedelle risorse e il diritto di accesso ad esse; negli uo-mini, media la ricerca di rispetto e di riconosci-mento. Gli individui regolano le loro interazionianche attraverso la definizione di ruoli gerarchiciche definiscono un diverso accesso alle risorse e unadiversa collocazione sociale. Nelle famiglie e neigruppi sociali, la funzione ecologica del rango non solo il competere per le risorse, ma anche di sta-bilire il grado dinfluenza nel formulare decisioni.Il sistema cooperativo attivo, invece, in tutte lerelazioni caratterizzate dalla ricerca di un obiettivocongiunto, di cui possibile rintracciare la genesinei comportamenti di attenzione condivisa, sin dalprimo anno di vita. Per poter dimostrare la ten-denza alla cooperazione sin dai primi anni, sonostate sviluppate una serie di situazioni sperimentali(Tomasello, 2009). In una di queste, ladulto, im-pegnato in un gioco cooperativo con un bambinodi poco pi di un anno, interrompe la sequenza persaggiare se il bambino sia in grado di coglierelaspetto cooperativo e la necessit che entrambi imembri della diade partecipino attivamente al rag-giungimento dellobiettivo comune di gioco. Ibambini, gi verso la fine del primo anno di vita,sollecitano nelladulto la partecipazione al gioco,

mostrando cos di comprendere la natura coopera-tiva dellinterazione. Come afferma Tomasello (2009), nelle interazionicooperative i partecipanti non solo reagiscono al-lazione dellaltro, ma formulano delle intenzionia riguardo delle intenzioni dellaltro, in modo daconsentire la condivisione dellobiettivo da rag-giungere attraverso limpegno di tutti: se uno degliinteragenti si ritira, verr meno alle norme insite intale interazione. Dunque, le attivit cooperative im-plicano sia un obiettivo condiviso che intenzionicondivise riguardo ad esso, e di conseguenza ruolispecifici che ogni membro dellinterazione svolgeperch sia raggiunto lobiettivo comune.

Agonismo e cooperazione nei processi educativiDinamiche competitive e dinamiche di coopera-zione sono in antitesi (Fonzi, 2003; Knafo e Sagiv,2004). Laddove un individuo mosso da un desi-derio di collaborazione con altri, non pu essereallo stesso tempo mosso da motivazioni agonistichedi prevaricazione sugli altri. Dinamiche agonisticheconsentono di raggiungere un obiettivo di successoindividuale e di incentivazione del s rispetto aglialtri; dinamiche di collaborazione consentono diraggiungere obiettivi condivisi dal gruppo e di in-centivazione dellinsieme dei partecipanti. Nello stesso tempo, agonismo e cooperazionefanno entrambi parte della natura umana: la spintaagonistica, come gi affermato, una delle moti-vazioni fondamentali e dinamiche agonistiche sonopresenti in modo imprescindibile nelle relazioniumane e nei sistemi distruzione, come ad esempionei processi di valutazione: compito delleduca-tore imparare a riconoscerle e non operare su di

Laboratorio Piccolo Chimico - Centro Estivo di Roma Tre 2015 (foto: Area benessere organizzativo - Universit degli StudiRoma Tre)

22 esse processi di negazione. La negazione distanzeagonistiche non consente, infatti, di applicare unpensiero ad esse, e lungi dallo scoraggiarle, le rendeparticolarmente violente e altamente patogene, pro-prio perch inconsapevoli. Leducatore pu assecondare le dinamiche agonisti-che o pu lavorare per la cooperazione. Come af-ferma Liotti (1994/2005), se in un membro di unarelazione si attiva un sistema motivazionale, si pro-duce nellinterlocutore lattivazione del sistema mo-tivazionale reciproco. Ad esempio, un atteggiamentoagonistico di sfida in un alunno attiva la tendenza re-ciproca a porsi in antagonismo. Se leducatore coglieche tale attivazione conseguenza di una frustra-zione, potr attivare in s emozioni e comportamentinon agonistici, ma anzi la volont di prendersenecura, e consentire allalunno, in tal modo, di speri-mentare nuove forme di relazione.Ricordiamo fra questi lo storico esperimento di She-rif (1966) sullattivazione di dinamiche competitiveo di collaborazione, sotto linfluenza esercitatadallorganizzazione educativa. In un campeggioestivo dinamiche agonistiche furono incentivate at-traverso la suddivisione dei ragazzi partecipanti indue squadre antagoniste. Ogni squadra, caratteriz-zata da segni distintivi e da una sua denominazione,era in gara con le altre per ottenere premi e ricono-scimenti. Con il trascorrere dei giorni la competi-zione tra squadre fece sorgere una crescente ostilittra i gruppi. I responsabili del campo decisero din-tervenire per sedare i conflitti, attraverso la propo-sizione di istanze cooperative. Portarono i ragazziin gita e fecero in modo che il pullman che dovevaportarli si rompesse e che occorresse la collabora-zione di tutti per poterlo riparare. La condivisionedi un obiettivo comune ristabil immediatamente di-namiche di collaborazione.Dweck (2000) nel suo libro Teorie sul s affermache il rendimento scolastico, pu essere consideratocome frutto dellimpegno o, allopposto, comeespressione delle doti intellettive dellallievo, chelo distinguono o caratterizzano rispetto agli altri. Igiudizi dati allimpegno non attivano dinamichecompetitive, perch limpegno pu essere condi-viso con i compagni, anche attraverso lofferta e larichiesta di aiuto; al contrario, i giudizi formulatisulla persona implicano un confronto e quindi unincremento di dinamiche competitive. Ad esempio,lodare gli alunni per doti intrinseche quali intelli-genza o talento, di fatto stabilir una sorta di gra-duatoria fra loro, favorendo cos dinamicheagonistiche. Le gerarchie di merito sono destinatea cristallizzarsi in preconcetti e stereotipi, che co-

stituiscono rappresentazioni dellesperienza sem-plificata.In ambito scolastico spesso si pone lattenzionesu fenomeni negativi da prevenire e contrastare,quali il bullismo e i conflitti, piuttosto che sui com-portamenti positivi da promuovere, come la coope-razione e la condivisione di esperienze. Tali com-portamenti, infatti, devono essere considerati parteintegrante del percorso di crescita dei bambini, inquanto giocano un ruolo essenziale nelle dinamicheinterne al gruppo classe.Ambienti di apprendimento in cui sono stimolati lacooperazione e laiuto reciproco, come quelli in cuisi promuovono comportamenti prosociali, pongonole basi per un clima scolastico inclusivo, capace diaiutare bambini, giovani e docenti ad affrontare unpercorso scolastico e accademico di successo. Edu-care alla prosocialit a scuola favorisce infatti lacreazione di relazioni interpersonali positive e laprevenzione di condotte negative e devianti e, piin generale, risultati di apprendimento degli stu-denti maggiormente positivi (Caprara, Gerbino,Luengo Kanacri, Vecchio, 2014).Cohen (2004) ha elaborato un modello di appren-dimento cooperativo basato fortemente sulla valo-rizzazione del contributo di ciascuno. In talemodello, ha contrapposto le dinamiche di classe ba-sate sulla definizione di status, o categorizzazionegerarchica, a dinamiche di riconoscimento e valo-rizzazione delle peculiarit di ciascuno, basate sulprincipio: Nessuno di noi ha tutte le abilit, maciascuno ne ha qualche duna. Per educare allacooperazione occorre organizzare compiti com-plessi con un obiettivo superordinato, che impli-chino competenze di vario genere e definiscanoruoli distinti in grado di valorizzare ogni singoloalunno in ci che sa fare, e in ogni peculiarit cul-turale di cui sia portatore.In un famoso film Non uno di meno di Zhang Yimou(1999) viene narrato di una giovane adolescente, inuno sperduto paesino delle campagne cinesi, a cuiviene affidato il compito di insegnare in una scuolaelementare, dove frequentemente i bambini abban-donano la scuola per andare a lavorare. La giovanis-sima maestra sar retribuita solo se tutti i ragazzi,non uno di meno, arriveranno alla fine dellannoscolastico. Quando, nel corso dellanno si verificache un bambino abbandona la scuola e viene inviatodai genitori in una grande citt per guadagnarsi davivere, tutta la classe si muove per andare a cercarloe tornare a scuola con non uno di meno. In modomolto poetico viene espresso come limpegno di tuttipossa essere necessario per la riuscita di ciascuno.

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La relazione con le famiglieI servizi educativi 0-3 anni come primo luogo di mediazione interculturale

A partire dalla leg-ge istituiva del1971, la diffusionesul territorio ita-liano dei servizieducativi 0-3 anniha segnato lini-zio e lo sviluppo diesperienze comu-nali di grande inte-resse accompagna-te da un intensoperiodo di rifles-sione culturale, di

ricerca scientifica e di sperimentazione educativache hanno costituito il fenomeno comunemente de-nominato cultura del nido. Anche in questo casolesperienza ha preceduto la ricerca e il nido si andato definendo sempre di pi come il luogo incui le pratiche e i modelli educativi, nel farsi espli-citi, sono diventati oggetto di riflessione e di con-fronto soprattutto da parte degli educatori anchein forza dei percorsi di aggiornamento che li hannovisti protagonisti e delle famiglie che, nel con-frontarsi con quei modelli e quelle pratiche, sonodiventate parte integrante del progetto educativodel nido. questo valore aggiunto del servizio of-ferto alle famiglie che ha permesso al mondo deinidi di progettare, pianificare ed articolare rispostedifferenziate ai bisogni delle famiglie con bam-bine/i piccole/i. La relazione con le famiglie, chesi articola inevitabilmente nella quotidianit, indi-vidua come interlocutori dei nidi non solo le/i bam-bine/i ma anche i loro genitori; questa prospettivaeducativa e questa rinnovata consapevolezza deglieducatori definiscono il senso pi profondo del-lasilo nido come luogo di relazioni e di elabora-zione di una sua specificit posta nellattenzionecontinua e costante sia agli aspetti relazionali del-leducazione delle bambine e dei bambini che allacentralit della relazione tra gli adulti che sono im-pegnati nellesperienza educativa con loro.

Promuovere, sostenere e consolidare una sorta dicontinuit educativa tra gli educatori professio-nali del nido e gli educatori naturali (i genitori)porta con s, tra le altre, due importanti conse-

guenze che chiamano in causa la consapevolezza,la responsabilit e lintenzionalit educative. Laprima rinvia allidea che i percorsi educativi orien-tati allo sviluppo e allautonomia sono il risultatodi un impegno congiunto tra le/i bambine/i e gliadulti che ne condividono la cura; la seconda con-seguenza richiama la inevitabilit dello scambiocostante e reciproco tra i due diversi contesti neiquali le/i bambine/i crescono: il nido e la famigliache, in virt di questo scambio vitale, si influen-zano reciprocamente. Lazione degli educatori nonsi esaurisce quindi nel rapporto con le/i bambine/i,ma si colloca in un sistema complesso di relazioniche risulta fortemente influenzato anche dal tipo direlazione che i genitori hanno con i propri figli;conseguentemente lintervento degli educatori sartanto pi efficace quanto pi terr conto del com-portamento delle/i bambine/i allinterno del sistemafamiliare di riferimento.

Nella costruzione degli spazi, dei tempi e delleazioni indirizzati a favorire la costruzione dellacontinuit educativa tra la famiglia e il nido, cosche stili educativi e relazionali diversi possanocomprendersi ed integrarsi, una specificit rap-presentata dalla presenza nei nidi dei minori mi-granti e delle loro famiglie. I temi della migrazioneinteressano fortemente i sistemi educativi e solle-citano complesse problematiche organizzative, so-ciali, culturali; i servizi e le agenzie educativehanno, pertanto, un ruolo chiave nel facilitare e so-stenere i processi dintegrazione e di inclusione, of-frendo risposte adeguate ai mutamenti generalidellistituzione familiare e ai bisogni differenziatidi famiglie stratificate socialmente.

Il rapporto nazionale 2016 realizzato dal MinisterodellIstruzione, dellUniversit e della Ricerca incollaborazione con la Fondazione Ismu (Istituto perlo Studio della Multietnicit) sugli Alunni con cit-tadinanza non italiana. La scuola multiculturalenei contesti locali approfondisce, attraverso analisistatistiche, il fenomeno relativo alla presenza nellascuola italiana di alunni e studenti di origine nonitaliana, nati e cresciuti in Italia o immigrati recen-temente. Un dato particolarmente significativodellindagine riguarda gli alunni migranti nati inItalia che, gi da qualche anno, costituiscono la

Maura Di Giacinto

Maura Di Giacinto

m a g g i o r a n z a raggiungendo nel2014/15 (annoscolastico di rife-rimento dellin-dagine) il 55,3%degli iscritti stra-nieri; tale percen-tuale sale addi-rittura all84,8%nella scuola del-linfanzia. Questidati testimonia-no il ruolo deci-sivo che i nidi egli educatori pos-sono giocare nel

predisporre percorsi dinserimento e di ambienta-mento rivolti alle famiglie, migranti e non, orientatia favorire il dialogo tra adulti, educatori e genitori,e a condividere la stagione, unica e irripetibile,della genitorialit. Il modello di servizio educativoprospettato risponde ad una idea di nido comeluogo dincontro tra diverse esperienze e diversepratiche relazionali ed educative e come luogo dimediazione interculturale che trova i suoi interlo-cutori privilegiati non tanto nei bambini o nellebambine, migranti e non, ma nei loro padri e nelleloro madri. Attraverso i racconti e le narrazioni del-lesperienza della maternit e della paternit, scan-dita dalle differenti espressioni frutto delle variabiliculturali di appartenenza, gli educatori saranno im-pegnati a far emergere le aspettative dei genitori,migranti e non, nei confronti del servizio.

Alcuni interrogativi consentono di avviare una ri-flessione relativa alle interazioni che in quantopedagogisti, educatori, insegnanti costruiamo conle famiglie e le/i bambine/i provenienti da realtgeografiche, culturali e linguistiche diverse: cosasignifica essere madri o padri in terra di emigra-

zione? Cosa significa fare o essere famigliadurante lesperienza emigratoria? Quale ereditculturale e valoriale ricevono i figli dai loro geni-tori? Quella che rinvia al contesto di origine oquella che risponde alle richieste di conformazioneprovenienti dal contesto migratorio?

Senza spingermi verso sintesi riduttive, vorrei pre-sentare alcuni spunti di riflessione che sono emersida una ricerca, che ho condotto negli ultimi anni ed tuttora in corso di completamento; utilizzandostrumenti di indagine quanti-qualitativi il percorsoha esplorato i vissuti e le rappresentazioni della ge-nitorialit di madri e padri migranti i cui figli fre-quentano i servizi educativi (0-6 anni) presenti sulterritorio romano. Largomento indubbiamentemolto vasto e complesso, pertanto gli elementi co-noscitivi e i dati finora emersi dalla ricerca sonostati utilizzati privilegiando la prospettiva della for-mazione in servizio degli educatori e degli inse-gnanti, finalizzata a comprendere prima e sostenerepoi le famiglie in migrazione.

Dai racconti e dalle narrazioni relative allespe-rienza della maternit e della paternit in migra-zione finora raccolti emerge che le variabili checaratterizzano fortemente le dinamiche di questefamiglie sono molteplici e diversificate. Le moti-vazioni che hanno determinato la scelta migratoria,il progetto migratorio che la orienta, le politiche diaccoglienza messe in atto, i tempi relativi alla co-stituzione del nucleo famigliare (precedente o suc-cessiva allesperienza migratoria), la composizionedel nucleo famigliare (presenza di entrambi i geni-tori, presenza di un solo genitore, presenza di altrefigure adulte di riferimento etc.) sono solo alcunedelle variabili che incidono fortemente sui percorsidi analisi e di comprensione delle dinamiche rela-zionali che attraversano le famiglie migranti; ancheil genere, let, il livello distruzione dei membridel nucleo famigliare, la sua storia, le modalit conle quali stata intrapresa ed elaborata lesperienzamigratoria, leventuale sostegno da parte della co-munit di appartenenza e altre variabili ancora,danno forma a una variet complessa e diversificatadi sistemi familiari migranti.

Sono venuta a contatto, solo per citarne alcune, confamiglie monogenitoriali; con nuclei familiari i cuicomponenti sono stati separati per anni e poi suc-cessivamente hanno potuto ricongiungersi: madri,padri, figli che si ritrovano dopo diversi anni di lon-tananza e che vivono situazioni di profonda estra-neit; famiglie in cui ladulto di riferimento non

La relazione con le famiglie, che siarticola inevitabilmente nellaquotidianit, individua come

interlocutori dei nidi non solo le/ibambine/i ma anche i loro genitori;

questa prospettiva educativa e questarinnovata consapevolezza degli

educatori definiscono il senso piprofondo dellasilo nido come luogo

di relazioni

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un genitore ma altri adulti: fratelli grandi, zii, pa-renti lontani o adulti non parenti. Le differenze al-linterno della complessit e della specificit deivissuti familiari che lesperienza migratoria deter-mina sono tali da rendere impossibile un lavoro dicatalogazione senza correre il rischio di ridurre esacrificare fortemente i loro vissuti e le loro narra-zioni. Per alcune traiettorie interpretative possi-bile delinearle; dai colloqui che ho realizzato con igenitori migranti i cui figli, nati in Italia, frequen-tano i servizi educativi di Roma Capitale emersoche i servizi rappresentano il primo ingresso nellascena pubblica di queste famiglie. La testimonianzamaggiormente condivisa dai genitori migrantiascoltati riguarda la condizione di partecipazionealla quale si sentono di dover rispondere in seguitoalla nascita dei figli: ai servizi sanitari, ai servi pe-diatrici e a quelli educativi; per la maggior parte diloro la nascita dei figli modifica e trasforma il pro-getto migratorio che tende verso un inserimentomeno provvisorio e marginale.

Le diverse testimonianze raccolte rinviano ancheal tema della responsabilit genitoriale relativa allaeredit da trasmettere ai propri figli in termini divalori e di norme; una eredit che deve poter ri-spondere sia al bisogno di mantenere saldo il le-game con le proprie origini che alla necessit dielaborare e di integrare in modo positivo le in-fluenze e le sollecitazioni provenienti dal contestodimmigrazione. Tutto ci rimanda, inevitabil-mente, al tema della responsabilit genitoriale intermini di continuit e di fedelt ai modelli intro-iettati; responsabilit che attraversano tutte le famiglie, migranti e non, impegnandole nella ne-goziazione costante tra elementi di continuit e dicambiamento rispetto ai modelli familiari ereditati.La specificit che caratterizza le famiglie migrantiriguarda lulteriore difficolt che la mediazionecontinua tra codici diversi (con la famiglia di ori-gine, con la generazione dei figli, con il contestosociale) chiama in causa anche la relazione con ilgruppo maggioritario che ne condiziona il senso ela direzione, cos come dimostrato dagli studi edalle ricerche realizzati dai Paesi di pi antica im-migrazione. Ed proprio con liscrizione ai servizieducativi che molte famiglie migranti sperimentanoquello che viene individuato come il distacco cul-turale tra la loro storia e quella dei loro figli: ilnido rappresenta, infatti, il primo luogo in cui le fa-miglie migranti sono chiamate a confrontarsi conaltre pratiche formative, altre tipologie del fare educazione in cui i rapporti di classe, i condiziona-menti sociali, le norme comportamentali, limma-

gine di s, la percezione e luso del corpo, assu-mono volti e significati assai diversi da quelli inte-riorizzati, presentando - a volte - elementi di fortecriticit. Ne consegue che molte delle testimo-nianze rilasciate dai genitori migranti raccontanolo sforzo e limpegno profuso nella continua ricercadi spazi di mediazione capaci di combinare, metic-ciandoli con maggiore o minore successo, il biso-gno di mantenere solido il legame con le proprieorigini con lo sforzo di integrare le influenze e lerichieste di adesione provenienti dal nuovo conte-sto sociale e culturale. Le numerose e diversificatequestioni che si intrecciano e si combinano nel pre-sente percorso di riflessione sui servizi educativicome luoghi di mediazione interculturale sono statesolo accennate, ma la ricerca su questo tema va ap-profondita per le implicazioni che determina sul-limmagine e sullidentit dei servizi, sulla qualitdella professionalit degli educatori e degli inse-gnanti e, soprattutto, per il contributo che pu of-frire alla genitorialit in termini di consapevolezzae di valorizzazione delle risorse e delle competenzein termini emancipativi.

In attesa dei Decreti Legislativi Attuativi della co-siddetta Buona Scuola (Legge 107/2015 del 13luglio 2015) - che ha riformato gli asili nido e i ser-vizi per linfanzia attraverso la predisposizione delsistema integrato di educazione e di istruzionedalla nascita a sei anni lesperienza realizzatadai servizi educativi per linfanzia e la cultura delnido che sempre pi si diffusa a livello sociale eculturale dovranno diventare patrimonio del lavoroeducativo e relazionale del sistema integrato 0-6anni nel suo complesso; ci significa assumere trale competenze professionali degli educatori dei ser-vizi educativi e dei docenti della scuola dellinfan-zia la ricerca di strategie di raccordo efficaci tra ledue realt che il bambino attraversa. Lo spaziodella relazione pedagogica che il nido offre pu,pertanto, diventare una straordinari