Chaaria Inno alla vita

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  • 8/18/2019 Chaaria Inno alla vita

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    Nella foresta vicino a Meru,la linea dell’equatore di-vide tutto in due: il Nord

    e il Sud; il giorno e la notte; lastagione secca e quella delle piog-ge. Poi si entra nel Cottolengo Mission Hospital di Chaaria e tut-to è moltiplicato per l’infinità di

     bisogni e sofferenze, che vi con-vergono. Un ospedale rurale cheè anche un presidio di umanità inuna terra bellissima e crudele,dove la vita è appesa al filo della

    precarietà e dell’incertezza, della

     buona e della cattiva sorte. O del-la Provvidenza. Che qui si mate-rializza nella figura di fratel

    Beppe Gaido, della comunità deiFratelli di san GiuseppeCottolengo, medico e anima diquesto ospedale, dove migliaiadi persone vengono anche damolto lontano per cercare l’unicao l’ultima risposta ai loro mali.Fratel Gaido - torinese, classe 1962- è a Chaaria da 18 anni, e portaavanti il lavoro dei suoi confratel-li che in questo angolo di Kenyaavevano aperto nel 1983 - fedeli alcarisma del Cottolengo - un cen-

    tro per disabili gravi fisici e men-

    tali e poi un dispensario. Che unpo’ alla volta, grazie alla presen-za di fratel Beppe, è diventato un

    vero e proprio ospedale, con 120posti letto “ufficiali” (ma spessopiù di 150-160 ricoverati), circa350 visite ambulatoriali al giorno,un reparto maternità sempre col-mo di mamme e bambini, unastruttura per Hiv-Aids, un centropre-natale, ambulatorio dentisti-co e una grande sala operatoria. Èquesta, in particolare, il “regno”di fratel Beppe, che vi trascorremolte ore al giorno, alternando leoperazioni chirurgiche alle visite

    dei pazienti esterni più gravi.

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    È un piccolo ospedale all’equatore. Ma è anche un grande miracolo.Fratel Beppe Gaido, medico del Cottolengo, garantisce un“presidio” di sanità e umanità tra gente povera e senza diritti

    TESTO E FOTO DI

    ANNA  POZZI

    inno alla vita

    CHAARIACHAARIA

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    «Cerchiamo di offrire a tutti i mi-gliori servizi ai prezzi più bassi»,dice, mentre si sposta dal suo stu-dio alla sala operatoria, dalla stan-zetta per le endoscopie alla salad’attesa gremita di gente. Da unanno circa, lo coadiuvano una gio-vane dottoressa keniana e tre clini-cal officer. Il lavoro, però, sembra,inesauribile, nonostante la presen-za di numerose infermiere capacidi intervenire anche in situazionicomplesse.«Tutti devono avere il diritto aessere curati - ribadisce fratelBeppe -. Con un’attenzione parti-colare per i più poveri. Noi nonmandiamo via nessuno, anche senon hanno soldi, come invece

    succede altrove». Anche in Kenya,infatti - dove quasi metà della po-polazione vive sotto la soglia dipovertà e il 40 per cento è ufficial-mente senza lavoro - tutta la sani-tà è a pagamento: sia quella gover-nativa, sia quella privata. AChaaria, i malati pagano in mediaun decimo di quello che spende-

    rebbero altrove, trovano sempre lemedicine e i servizi sono garanti-ti 365 giorni all’anno. Per questo,

    alcuni vengono da molto lonta-no. Come la giovane mamma chearriva con il suo bimbo malato daMoyale, 600 chilometri più a Nord,al confine con l’Etiopia: l’operazio-ne viene messa in calendario per ilgiorno dopo, così potrà rientrare ilprima possibile. C’è anche unadonna musulmana che viene dal-la regione di Marsabit, con un pro-

     blema ginecologico; mentre un’al-tra, originaria di Wajir, porta con séuna diagnosi di infezione alle vie

    urinarie fatta da un dispensario

    locale, ma probabilmente ha incorso una gravidanza extrauteri-na. Alcuni malati arrivano sin quianche dalla costa. A Chaaria ven-gono non solo per i prezzi bassi,ma anche perché sono trattati conumanità e competenza. E moltaefficienza. La maggior parte degli

    esami vengono fatti e refertati ingiornata, in modo che le personenon siano obbligate a tornare do-po qualche giorno o a soggiorna-re sul posto, spendendo soldi chenon hanno. Ogni anno l’ospedaleregistra circa 65 mila visite ambu-latoriali, 8 mila ricoveri e più di 3mila operazioni chirurgiche.

    Servizio e dedizione sono le paro-le chiave di questa presenza chevede, al fianco di fratel Beppe, un

    altro fratello italiano, GiancarloChiesa, economo, e due keniani, Joseph e Dominic, che si occupanodei disabili. Con loro, anche tresuore del Cottolengo, Anna, in-fermiera italiana, e due keniane,

     Joan ed Evangeline, impegnate alcentro. A una settantina di chilo-metri, a Turu, le suore gestisconoun’altra casa per ragazze e donnecon handicap gravi.Fratel Beppe corre in sala operato-ria. È arrivato un giovane uomo,

    letteralmente fatto a pezzi con il

     panga. «Ho dovuto amputare undito del piede e ricucire paziente-mente le dita della mano che era-no stata tagliate quasi del tutto.Tutto sommato è andata bene. Inaltri casi ho dovuto amputare an-che interi arti. Succede spesso, spe-cialmente nel periodo delle va-canze, quando la gente beve e liti-ga di più, quasi sempre per que-stioni legate alla terra o a infedel-tà extraconiugali».Nella notte, si è dovuto alzare perun cesareo urgente, una donna ar-rivata in motocicletta su strade diterra rossa particolarmente disse-state, che diventano impossibilidurante la stagione delle piogge,quando per percorrere i venti chi-

    lometri che separano Chaaria daMeru ci vogliono minimo due oree mezzo.Non c’è tempo neppure per dor-mire. La mattina dopo, si rico-mincia con un bambino di sei an-ni, che ha una brutta fratturascomposta all’omero. Il piccolonon si lamenta né piange, ma ha il

    terrore negli occhi. Infermiere eanestesista lo rassicurano con to-no scherzoso e tenero. Poi, veloci

    e precisi, lo intubano. Comincial’operazione. È la 764esima dal-l’inizio dell’anno. Ne seguirannoaltre sei in giornata, più un cesa-reo urgente non previsto: una bel-lissima bambina, che viene porta-ta nel reparto maternità, sempreaffollato di neonati. «Chaaria rie-sce a salvare le persone. Acambia-re loro la vita. E a generare vita»,sintetizza fratel Beppe. Che ag-giunge: «Questo ospedale mi hareso medico a 360 gradi. Per que-

    sto sono molto riconoscente a

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    utti devonoavere il dirittoa esserecurati il meglio

     possibilee ai prezzi

     più bassi

    T

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    KENYA

    Chaaria». A sua volta, però, que-sto nosocomio immerso nel verdelussureggiante di questa parte diKenya ancora molto povera e ru-rale, è il risultato del suo lavoro te-nace, paziente e instancabile: set-te giorni su sette, spesso giorno enotte, con rari periodi di stacco.Ci vuole un’energia speciale perportare avanti una simile mole dilavoro e responsabilità. FratelBeppe la attinge dalla sua fede,che si traduce in preghiera e lavo-ro, o meglio in preghiera che di-venta servizio. E viceversa. Gliammalati sono al centro della suavita e della sua spiritualità. Anchee soprattutto quando non riesce acorrere alla preghiera comunita-

    ria, perché un’urgenza lo trattienein ospedale e allora lui offre anchequella a Dio.«Donarsi senza riserve - riflettefratel Beppe -. Èquello che ho cer-cato e accettato sin dall’inizio,quando ho deciso di diventarefratello del Cottolengo nel 1981: ilservizio come quarto voto, “sinoal sacrificio della vita”. Una di-mensione che, con molta umiltà,cerchiamo di vivere totalmentein questo ospedale. Credo che siaproprio questo il “segreto” diChaaria, e la ragione per cui sem-pre più malati vengono sin qui».Una bella soddisfazione, ma an-che una grande sfida. Perché ri-

    spondere a tutte le richieste e aitanti bisogni degli ammalati, man-tenendo prezzi bassi, non è facile,né dal punto di vista economicoche né dal punto di vista del per-sonale. Donatori, gruppi e associa-zioni contribuiscono a coprire lespese. Mentre diversi volontariconsacrano un po’ del loro tempoin questo angolo di Africa equato-riale. «Accettiamo ben volentieritutti quei medici o infermieri chehanno il desiderio di condividereun po’ della loro vita qui con noi- lancia un appello fratel Beppe -.Le porte dell’ospedale di Chaariasono aperte a tutti!».

    POI CI SONO LORO, i “buoni fi-gli”, come li aveva definiti san

    Giuseppe Cottolengo. Anzi, ci so-no soprattutto loro: i disabili fisicie mentali per cui tutto era comin-ciato qui a Chaaria. Il centro che liospita era stato pensato per 25.Ora sono 53, dai 15 anni in su.«Ma se ne aprissimo un altro siriempirebbe immediatamente»,interviene fratel Giancarlo.L’ultimo arrivato è stato abban-donato in sala d’attesa, in un mo-mento di particolare affollamento.Un altro è stato portato qui dallacomunità, dopo che era stato rin-chiuso per tutta la vita in una mi-sera capanna. Di molti non si sa

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    Parole di solidarietà

    «Sono affascinatodalla scrittura»,con-fessa fratel Beppe.

    Che ha saputo tra-sformare un altrodei suoi talenti inun blog che aggior-na spesso di notte (chaariahospi-tal.blogspot.com) e in due libri, rea-lizzati con la giornalista MariapiaBonanate. L’ultimo - Polvere rossa.Una piccola città della gioia e del- l’amore nell’Africa equatoriale (Ed.San Paolo) - è appena uscito e il ri-cavato serve a sostenere ilCottolengo Hospital di Chaaria.

    nulla: nascosti nella migliore del-le ipotesi, spesso vengono legati,maltrattati o abbandonati, perchérappresentano una maledizioneo semplicemente perché sono dif-ficilissimi da gestire. «Basti pensa-re cosa può significare tenere inuna capanna una persona inconti-nente, senza neppure avere l’ac-qua - fa notare fratel Giancarlo -.Molti poi sono disabili gravi, ingran parte non autosufficienti».Nel centro che li ospita, tuttavia,l’atmosfera è tutt’altro che ango-sciante. Suor Joan entra con pas-so allegro e deciso. Mette un cd dimusica congolese, «il loro prefe-rito!». Un ragazzo, che la segueovunque, ride e si mette a ballare.

    Così anche gli altri. Alcuni si pre-parano per la cena. La maggiorparte devono essere imboccati.Altri si riposano nelle loro stanze,tutte ben pulite e ordinate. Ci so-no anche una scuola speciale e unlaboratorio artigianale, per tener-li occupati e stimolare le loro ca-pacità. E poi si organizzano picco-le gite o festicciole. «Proprio comein una grande famiglia!», dicesuor Joan. «Una grande famiglia- sottolinea fratel Beppe - in cui isani camminano insieme ai disa-

     bili, alla pari, condividendo i ta-lenti che ciascuno ha gratuita-mente ricevuto». Questa oggi èChaaria. MM

    L’ingresso dell’ospedale di Chaaria e, nelle pagine precedenti, la vita in corsia