CESARE ALZATI La liturgia Eucaristica nella Messa ambrosiana · La tradizione ambrosiana parla di...

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Abbazia di Mirasole, Priorato San Norberto dei Canonici Premostratensi. Sabato 14 giugno 2014. III Convegno di formazione biblica, liturgica e corale. Ore 10.10. CESARE ALZATI La liturgia Eucaristica nella Messa ambrosiana Mai come ai nostri giorni merita ricordare come la Chiesa nei suoi primi secoli si sia percepita e sia stata percepita come comunità di iniziati ai Divini Misteri. Tale connotazione in senso cultuale trova attestazione presso gli autori pagani fin dalla Lettera a Traiano di Plinio il Giovane (attorno all’anno 112) e in testi di carattere ecclesiale quali (attorno – come pare – all’anno 100) la Didachè e (si direbbe ormai nel III secolo) la Traditio Apostolica In merito alla natura del culto cristiano, sembra opportuna una rapida puntualizzazione. Nella Torah, la salvezza non appare limitata a quanti sono stati direttamente partecipi degli eventi salvifici narrati: è salvezza in cui ogni generazione è chiamata a inserirsi. In effetti, riguardo alla celebrazione pasquale, Rabbi Gamaliel così osservava: «In ogni generazione ci si deve considerare come se si fosse noi stessi coloro che uscirono dall’Egitto; per questo sta scritto: “In quel giorno tu dirai a tuo figlio: È a causa di ciò che il Signore ha fatto per me quando uscii dall’Egitto [Ex 13, 8]”. Per questo siamo tenuti anche noi a ringraziare, a glorificare, a lodare Colui che per i nostri padri e per noi ha operato tali prodigi. Egli ha tratto noi dalla servitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dalle tenebre a una gran luce, dalla schiavitù alla redenzione». E il Targum in Esodo 12, 42, del Codex Neophyti I, può dichiarare della notte della Pasqua ch’essa è «notte fissata e riservata per la salvezza di tutte le generazioni d’Israele». Gli scritti neotestamentari additano in Gesù di Nazareth colui nel quale il tempo ha raggiunto la sua pienezza, e la storia della salvezza (delineata nella Legge e nei Profeti d’Israele) ha trovato la sua compiuta realizzazione, dilatandosi ad abbracciare ogni uomo, di ogni luogo e di ogni tempo. Va notato come, fin dall’origine, tale partecipazione alla salvezza risulti connessa al riproporsi – di generazione in generazione – della memoria cultuale: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». La Chiesa antica ebbe lucida consapevolezza d’essere – in quanto comunità celebrante i Divini Misteri – l’ambito in cui trova realizzazione l’incontro salvifico dell’uomo con Cristo. Se, per l’accuratezza del nostro impegno, riuscissimo a salvaguardare nelle nostre celebrazioni tutti gli elementi della tradizione rituale ambrosiana, ma avessimo perso la consapevolezza del nostro accostarci ai Divini Misteri, saremmo – per usare l’immagine evangelica – come un uomo che ha conservato tutto quello che ha, ma ha perso la perla preziosa. Soltanto il possesso della perla preziosa fa sì che tutto ciò che abbiamo assuma la sua vera luce e rifletta lo splendore del tesoro amorosamente custodito. E ciò che abbiamo è davvero tanto! La tradizione ambrosiana parla di Psallentium, Ingressa, Super Sindonem, Transitorium ecc. Certamente l’oratio super Sindonem si colloca al termine delle Preces, ma è Oratio super Sindonem. Poco prima vi è stato il Post Evangelium (equivalente rituale dell’Ingressa), durante il quale il diacono, portatosi all’altare, vi ha steso solennemente la Sindone. L’orazione è strettamente correlata a quell’atto. In realtà, la stesura della Sindone è rito che appartiene alla più antica tradizione e che ritroviamo anche in ambito orientale. Pure nella tradizione costantinopolitana al rito si accompagna un’orazione, esattamente come a Milano.

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Abbazia di Mirasole, Priorato San Norberto dei Canonici Premostratensi. Sabato 14 giugno 2014.

III Convegno di formazione biblica, liturgica e corale. Ore 10.10.

CESARE ALZATI

La liturgia Eucaristica nella Messa ambrosiana Mai come ai nostri giorni merita ricordare come la Chiesa nei suoi primi secoli si sia percepita e sia stata percepita come comunità di iniziati ai Divini Misteri. Tale connotazione in senso cultuale trova attestazione presso gli autori pagani fin dalla Lettera a Traiano di Plinio il Giovane (attorno all’anno 112) e in testi di carattere ecclesiale quali (attorno – come pare – all’anno 100) la Didachè e (si direbbe ormai nel III secolo) la Traditio Apostolica In merito alla natura del culto cristiano, sembra opportuna una rapida puntualizzazione. Nella Torah, la salvezza non appare limitata a quanti sono stati direttamente partecipi degli eventi salvifici narrati: è salvezza in cui ogni generazione è chiamata a inserirsi. In effetti, riguardo alla celebrazione pasquale, Rabbi Gamaliel così osservava: «In ogni generazione ci si deve considerare come se si fosse noi stessi coloro che uscirono dall’Egitto; per questo sta scritto: “In quel giorno tu dirai a tuo figlio: È a causa di ciò che il Signore ha fatto per me quando uscii dall’Egitto [Ex 13, 8]”. Per questo siamo tenuti anche noi a ringraziare, a glorificare, a lodare Colui che per i nostri padri e per noi ha operato tali prodigi. Egli ha tratto noi dalla servitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dalle tenebre a una gran luce, dalla schiavitù alla redenzione». E il Targum in Esodo 12, 42, del Codex Neophyti I, può dichiarare della notte della Pasqua ch’essa è «notte fissata e riservata per la salvezza di tutte le generazioni d’Israele». Gli scritti neotestamentari additano in Gesù di Nazareth colui nel quale il tempo ha raggiunto la sua pienezza, e la storia della salvezza (delineata nella Legge e nei Profeti d’Israele) ha trovato la sua compiuta realizzazione, dilatandosi ad abbracciare ogni uomo, di ogni luogo e di ogni tempo. Va notato come, fin dall’origine, tale partecipazione alla salvezza risulti connessa al riproporsi – di generazione in generazione – della memoria cultuale: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». La Chiesa antica ebbe lucida consapevolezza d’essere – in quanto comunità celebrante i Divini Misteri – l’ambito in cui trova realizzazione l’incontro salvifico dell’uomo con Cristo. Se, per l’accuratezza del nostro impegno, riuscissimo a salvaguardare nelle nostre celebrazioni tutti gli elementi della tradizione rituale ambrosiana, ma avessimo perso la consapevolezza del nostro accostarci ai Divini Misteri, saremmo – per usare l’immagine evangelica – come un uomo che ha conservato tutto quello che ha, ma ha perso la perla preziosa. Soltanto il possesso della perla preziosa fa sì che tutto ciò che abbiamo assuma la sua vera luce e rifletta lo splendore del tesoro amorosamente custodito. E ciò che abbiamo è davvero tanto! La tradizione ambrosiana parla di Psallentium, Ingressa, Super Sindonem, Transitorium ecc. Certamente l’oratio super Sindonem si colloca al termine delle Preces, ma è Oratio super Sindonem. Poco prima vi è stato il Post Evangelium (equivalente rituale dell’Ingressa), durante il quale il diacono, portatosi all’altare, vi ha steso solennemente la Sindone. L’orazione è strettamente correlata a quell’atto. In realtà, la stesura della Sindone è rito che appartiene alla più antica tradizione e che ritroviamo anche in ambito orientale. Pure nella tradizione costantinopolitana al rito si accompagna un’orazione, esattamente come a Milano.

Ecco un ilitòn greco e quello che potrebbe essere il suo equivalente ambrosiano.

Il cuore del Mistero è la preghiera eucaristica. Nel 2003, Matthieu Smyth ha recuperato in forma sistematica le consonanze sussistenti tra espressioni reperibili nei testi eucaristici d’ambito gallicano-ispanico e formulazioni presenti nelle opere di vescovi, tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, gravitanti su Milano. Ne consegue che gli elementi di tipo ‘gallicano’ conservati dalla tradizione ambrosiana per la celebrazione in Coena Domini (e per il Sabato Santo) – sui quali sono state costruite anche le preghiere eucaristiche previste per quei giorni dal Messale riformato del 1976 – debbono ritenersi reperti della tradizione più antica conservatisi, in quelle celebrazioni solenni. Ma ne consegue pure che il De Sacramentis, come già aveva affermato all’inizio del secolo scorso il grande Baumstark, non è di Ambrogio e non è milanese. Pertanto la preghiera eucaristica contenuta in quel trattatello mistagogico, prima formulazione della preghiera eucaristica romana successivamente documentata, non riflette l’originaria tipologia di preghiera eucaristica milanese. Questa invece, analogamente a quanto attestato per l’officiatura, rientrava nell’alveo della comune tradizione condivisa anche dalle Chiese delle Gallie e della Spagna, dove la preghiera eucaristica presenta un’unica epiclesi collocata – secondo il modello antiocheno – dopo la narrazione dell’Istituzione. Peraltro in ambito milanese la forma della celebrazione eucaristica, reperibile nei Messali a partire dal secolo IX, presenta il Canon (di tipo romano). Il fatto non deve stupire. Tra i libri gallicani il Missale Bobiense, testimone di una fase relativamente tarda della liturgia delle Gallie (inizi del secolo VIII), quanto alla preghiera eucaristica, documenta l’introduzione pure in ambito gallicano dell’unitaria formula fissa del Canon actionis romano. Già nel secolo VII il Libellus Missarum palinsesto di San Gallo presenta materiale gelasiano, documentando la partecipazione anche della Chiesa milanese alla vasta circolazione di formulari eucologici romani, cui abbondantemente attinsero i redattori di libri di culto in tutto l’Occidente latino, per arricchire i patrimoni di testi delle rispettive tradizioni rituali. Qualora si sia salvaguardata la consapevolezza della realtà dei Divini Misteri, da cui è partita la nostra riflessione, tutto ciò che ora si è detto diverrà per noi segno entusiasmante di quello scambio vitale tra le Chiese, che ne ha caratterizzato per secoli la storia, e costituirà un’esperienza diretta e profonda di comunione nella diversità.