Cerchiai - L'Identità Etnica Come Processo Di Relazione

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LE ORIGINI DEGLI ETRUSCHI S TORIA A RCHEOLOGIA A NTROPOLOGIA a cura di Vincenzo Bellelli «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

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Identità Etnica Come Processo Di Relazion

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LE ORIGINI DEGLI ETRUSCHIStoria archeologia antropologia

a cura diVincenzo Bellelli

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

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Le origini degli EtruschiStoria Archeologia Antropologia

© Copyright 2012 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDERVia Cassiodoro, 19 - 00193 Roma

www.lerma.it - [email protected]

Progetto grafico«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Tutti i diritti riservati. è vietata la riproduzionedi testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’Editore.

In copertina:Particolare del volto maschile del Sarcofago degli Sposi,

da Cerveteri (Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia); foto di Antonio Russo pubblicata su concessione

del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i BeniArcheologici dell’Etruria Meridionale (Aut. n. Prot. MBAC-SBAEM 7950 del 6-9-2012)

Le origini degli Etruschi. Storia, archeologia, antropologia / a cura di Vincen-zo Bellelli - Roma: «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER , 2012 - 496 ; ill. 24 cm. (Studia Archaeologica ; 186)ISBN 978-88-8265-742-0

CDD 22. 937.51. Etruschi

Volume stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Palermo - Centro di Gestione “Polo didattico di Agrigento”

e della Fondazione della Cassa di Risparmio di Civitavecchia

Università degli Studi di PalermoPolo didattico di Agrigento Corso di Laura magistrale in Archeologia

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INDICE GENERALE

PREMESSA (Oscar Belvedere) » 7

INtRoDuzIoNE (Vincenzo Bellelli) » 11

PRIMA PARtE

Atti del seminArio di Agrigento (9 febbraio 2011)

I ALLA RICERCA DELLE oRIGINI EtRuSChE (Vincenzo Bellelli) » 17

II LE tRADIzIoNI LEttERARIE SuLLE oRIGINI DEGLI EtRuSChI: status quaestiOnis

E quALChE ANNotAzIoNE A MARGINE (Roberto sammartano) » 49

III LE oRIGINI EtRuSChE: IL quADRo DI RIfERIMENto DELLA PRotoStoRIA (alessandro Zanini) » 85

IV ex paRte ORientis: I tERESh E LA quEStIoNE DELL’oRIGINE ANAtoLICA DEGLI EtRuSChI (Massimo Cultraro) » 105

V EtRuSChI: PoPoLo o NAzIoNE ? (Luca sineo) » 143

VI GLI EtRuSChI E LA LoRo oRIGINE ALLA LuCE DEGLI StuDI DI ANtRoPoLoGIA fISICA (Giandonato tartarelli) » 153

SECoNDA PARtE

sAggi

VII SuLLA GRAfIA E LA LINGuA DELLE ISCRIzIoNI ANELLENIChE DI LEMNoS (Luciano agostiniani) » 169

VIII EtRuRIA MERIDIoNALE E MEDItERRANEo NELLA tARDA Età DEL bRoNzo (Barbara Barbaro, Marco Bettelli, isabella Damiani, Daniela De angelis, Claudia Minniti, Flavia trucco) » 195

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IX IL VILLANoVIANo: uN PRobLEMA ARChEoLoGICo DI StoRIA MEDItERRANEA (anna Maria Bietti sestieri) » 249

X LA tRADItIoN PéLASGIquE à CAERé (Dominique Briquel) » 279

XI oRIGINI EtRuSChE, oRIGINI ItALIChE E L’ERuDIzIoNE ANtIquARIA SEttECENtESCA (stefano Bruni) » 295

XII L’IDENtItà EtNICA CoME PRoCESSo DI RELAzIoNE: ALCuNE RIfLESSIoNI A PRoPoSIto DEL MoNDo ItALICo (Luca Cerchiai) » 345

XIII L’ oRIGINE LIDIA DEL PoPoLo EtRuSCo: quEStIoNI DI PRINCIPIo (Carlo De simone) » 359

XIV LAtINo E I tIRRENI (hES th 1011-1016): quEStIoNI DI StoRIA E DI CRoNoLoGIA (andrea ercolani) » 383

XV LE PRobLèME DES oRIGINES étRuSquES DANS L’ENtRE – DEuX– GuERRES (Marie-Laurence Haack) » 397

XVI bRoNzo fINALE IN IStRIA (Kristina Mihovilić) » 411

XVII GLI INfLuSSI DEL VICINo oRIENtE SuLL’EtRuRIA NELL’VIII-VII SEC A C : uN bILANCIo (alessandro naso) » 433

XVIII DIoNySuS AND thE tyRRhENIAN PIRAtES (Dimitris paleothodoros) » 455

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345L’identità etnica come processo di relazione: alcune riflessioni a proposito del mondo italico

XII

L’identità etnica come processo di reLazione: aLcune rifLessioni a proposito deL mondo itaLicoLuca cerchiai

nell’ampio dibattito sviluppatosi re-centemente sul tema dell’ “etnicità” in ambito archeologico contano soprattut-to le incertezze1.

anche grazie al confronto con le di-scipline sociologiche ed etno-antropolo-giche, calibrato attraverso la specificità dei metodi e dei campi di indagine, gli studiosi si sono interrogati sulla possibi-lità di individuare criteri e indicatori uni-voci per la definizione delle identità etni-che, giungendo inevitabilmente ad una conclusione aperta: nessuna tra le fonti disponibili (archeologiche, linguistiche, storiche) fornisce meccanicamente una chiave privilegiata all’etnicità e questa, d’altra parte, in quanto risultato concre-to di un processo storico, non è riducibi-le ad una realtà statica fissata una volta per tutte, ad una classificazione astratta e immutabile, universalmente condivisa; piuttosto, costituisce una strategia dina-mica, integrata alle altre rappresentazioni di identità con cui si denotano comunità diverse e di diverso livello di sviluppo e con cui esse negoziano in condizioni pa-ritarie o asimmetriche le proprie posizio-ni reciproche.

La categoria culturale dell’etnicità si afferma nella pratica dei rapporti inter-ni di autoriproduzione e nella dinamica delle relazioni con gli altri: costruzione attiva o ‘invenzione’ eterodiretta, descri-vibile solo nella dimensione relativa di un sistema di mediazione.

in questa prospettiva il mio contri-buto non affronterà il tema del valore etnico della cultura materiale: un tema che rifugge da schematismi e generaliz-zazioni e si scontra con la difficoltà, non agevolmente superabile anche nei rari casi di contesti sistematicamente indaga-ti, di recuperare il punto di vista “emico” degli attori della cultura materiale, con il rischio di applicare la categoria dell’et-nicità, intesa come espressione intenzio-nale di un’identità collettiva, a indicatori archeologici (ta ethe dialekton te kai hopli-smou kai esthetos secondo la definizione di strabone Vi, 1, 2) che possono espri-mere habitus culturali e forme di distin-zione diverse2.

senza rimettere in discussione il concetto, ormai acquisito nella ricerca archeologica, del valore attivo rivestito dalla cultura materiale nella costruzione e nella proiezione dell’identità dei grup-pi, per affrontare il tema dell’etnicità ho scelto di riferirmi alle fonti storiche ed epigrafiche che, nei limiti imposti da una documentazione non sistematica e fram-mentaria, consentono di mettere a fuoco percezioni e interpretazioni degli antichi; in particolare, il carattere orientato della tradizione storica, lungi dal rappresen-tare un deterrente che ne inficia il valore documentario, può costituire un valore aggiunto perchè inserisce il tema dell’et-nicità nella dialettica del confronto tra comunità, svelando dinamiche di intera-

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zione e resistenza, conflitti e strategie di attrazione.

in questa prospettiva il mio studio si propone di richiamare alcune tendenze che emergono alla luce delle fonti scritte, per riflettere sull’etnicità quale processo di relazione, fondato su equilibri politici e sociali continuamente rimessi in gioco, nella consapevolezza che la storia è ne-cessariamente storia delle trasformazioni.

La riflessione, non sistematica e an-cora meno esaustiva, si fonderà su esem-pi e contesti più noti alla mia esperienza.

1. il punto di partenza può essere costituito dalla constatazione che nelle comunità dell’italia antica il processo di distinzione etnica è già avanzato al mo-mento delle prime fondazioni coloniali.

ciò è evidente nel caso delle tradizio-ni genealogiche precocemente elaborate in ambiente cumano, finalizzate a fonda-re il rapporto con le comunità tirreniche dell’etruria, del Lazio e della campania, attraverso l’invenzione di eponimi inte-grati nella genealogia di odisseo.

il processo si materializza nel proces-so di denominazione degli ethne e impli-ca un sistema di relazioni già avanzato con un mondo indigeno politicamente strutturato, che suscita l’opportunità di una strategia di attrazione.

in questo senso è significativo il salto di qualità che intercorre tra il toponimo Pithekoussai e la costruzione mitico-ge-nealogica di agrio e Latino nella Teogonia di esiodo.

Pithekoussai, evocando la marca zoo-logica della scimmia, proietta l’arrivo dei Greci nell’alterità geografica e culturale di un ‘altro mondo’, popolato da esseri in-feriori, relegati in una condizione semife-rina che li separa dagli uomini e li esclude dal diritto su un territorio percepito nei termini di pura permeabilità3.

il contatto si struttura secondo le stesse coordinate di esclusione che infor-

mano l’avventura di odisseo con polife-mo nel libro iX dell’Odissea, tutta giocata sulla superiorità che oppone il mondo degli uomini, capaci di relazioni politiche ed esperti di technai, al mucchio selvag-gio dei ciclopi, che vivono isolati gli uni dagli altri, non sanno navigare e lavorare la terra4.

i ciclopi sono agrioi perchè non han-no leggi e non sono in grado di sviluppa-re relazioni ospitali; per l’inferiorità cultu-rale che deriva dalla loro distanza dalla condizione umana, sono condannati alla marginalità e alla sconfitta come gli abi-tanti di Pithekoussai.

nei versi famosi della Teogonia (1011-16), risalenti probabilmente alla fine del-l’Viii sec. a.c., la situazione è profonda-mente cambiata: per quanto ancora col-locato con il fratello Latino nel paesaggio liminare delle “isole sacre” oltre i confini di oceano, agrio si è trasformato da av-versario mostruoso di odisseo in suo fi-glio nato dall’unione con circe5.

Questa integrazione si associa all’e-mergere dei nomi etnici, a loro volta, ulteriormente denotati da attributi che sanciscono un accreditamento fondato sul criterio della ‘buona fama’: Latino è amymon / “senza biasimo” e i Tyrsenoi sono agakleitoi/“dal buon kleos”, una de-finizione che istituisce uno scarto forse non casuale rispetto al nome di polifemo/ “di molta fama”, richiamando piuttosto l’immagine di odisseo, eroe il cui “kleos va fino al cielo” (Od. iX, 19-20).

La conquista della giusta reputazio-ne è il segno dell’integrazione del mondo indigeno di area tirrenica nel circuito del-le relazioni dei Greci e legittima il ruolo di interlocutori degli anaktes agrio e Latino, affrancati dalla marca negativa della re-galità selvaggia che condanna polifemo: l’identità etnica emerge in rapporto alla capacità di relazione politica.

un non dissimile aggancio al mito di

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odisseo è istituito per Auson, progenitore eponimo degli ausoni, concepito dall’e-roe con la stessa circe o con Kalypso.

come agrio e Latino anche Auson è il re della sua comunità e la crisi della sua successione innesca il noto logos di Lipa-ro narrato da diodoro siculo (V, 7, 5-7): il buon sovrano di sorrento, prima costretto esule a Lipari dai suoi fratelli e poi restau-rato in trono con l’aiuto del genero eolo.

il brano di diodoro è stato recente-mente sottoposto ad una rilettura appro-fondita da parte di a. mele che ha attribu-ito la sua elaborazione all’ambiente calci-dese dello stretto, collocandola al tempo delle guerre navali contro gli etruschi nel Basso tirreno durante la i metà del V sec.; a conclusioni pressoché analoghe è giun-to anche G. colonna6.

sul significato dell’operazione mi-tostorica a questo livello cronologico si ritornerà in seguito, ma intanto sembra giusto osservare che la trama complessa del racconto di diodoro su Liparo, incen-trato su un viaggio di andata e ritorno lungo il tirreno, si giustifica meglio ipo-tizzando il recupero e la rifunzionalizza-zione di una tradizione più antica fondata sulla presenza ausone in campania e, in particolare, nella penisola sorrentina.

un indizio indiretto in tal senso po-trebbe venire da un incerto frammento di stesicoro (P. Oxy 57, 3876 fr. 62) in cui miseno ed odisseo, secondo H. Lloyd Jo-nes, potrebbero figurare rispettivamente come figlio e cugino di eolo: quest’ul-timo si troverebbe, dunque, associato alla campania costiera nella cornice dei nostoi in cui si inquadra anche l’arrivo di enea in Hesperia7.

se così fosse, la figura di Liparo po-trebbe iscriversi in un patrimonio arcaico di memorie locali, in cui l’identità etnica si consolida attraverso il paradigma di una comunità giusta in grado di onorare il suo buon re con un culto eroico.

Gli esempi finora proposti documen-tano come la più antica etnografia gre-ca si attivi nel contesto di relazioni con comunità indigene dotate di un elevato livello di sviluppo politico, con le quali è avvertita l’opportunità di aprire un con-fronto8.

L’attribuzione del nomen e la con-seguente integrazione all’interno di genealogie eroiche costituisce uno stru-mento di mediazione con le popolazioni locali, sancendo un riconoscimento che nasce dall’instaurarsi di una coopera-zione legittimata dall’invenzione di un retroterra comune.

il mondo indigeno svolge un ruolo attivo di condivisione, avendo già svilup-pato autonomi processi identitari che so-stengono il rapporto di interazione.

per illustrare questa dinamica è particolarmente interessante l’esempio offerto dai gentilizi Tursikina (fibula da castelluccio di pienza) e Rasunie (calice della tomba 3509 di pontecagnano), atte-stati in iscrizioni del iii quarto del Vii sec. e riconducibili ai due etnici con cui sono identificati gli etruschi nelle fonti storiche ed epigrafiche9.

il primo consente di ricostruire un tema italico *tursko- equivalente a Tyr-senoi, che, dunque, costituisce una rie-laborazione greca dell’etnonimo dopo la sua trasmissione da parte delle comu-nità locali.

La datazione attribuibile al suppor-to epigrafico corrobora l’ipotesi di una cronologia alta della citazione dei tirreni all’interno della Teogonia, contribuendo a precisare l’orizzonte in cui si avvia il processo di conoscenza e legittimazione reciproca.

il gentilizio Rasunie, la cui attestazio-ne è significativamente coeva a Tursikina, può essere connesso all’autonimo Rasna che dionigi di alicarnasso (i, 30, 3) con-nette all’eponimo degli etruschi.

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come è noto, il termine designa l’et-nico attraverso un meccanismo di autoi-dentificazione per contrasto, riferendosi in primo luogo alla comunità maschile dei liberi; la valenza socio-istituzionale attribuibile alla nozione di Rasna docu-menta un livello avanzato di coesione politica in grado di coagulare una forma di identità collettiva e, al tempo stesso, di proiettarla efficacemente sul piano delle relazioni esterne.

2. p. poccetti ha efficacemente sotto-lineato che “gli etnonimi più rilevanti dell’I-talia antica che conosciamo attraverso la tradizione letteraria ben più tarda si atte-stano a vario titolo nell’epigrafia indigena o greca già in età arcaica”10.

essi ricorrono nelle formule onoma-stiche, documentando fenomeni di mo-bilità personale, ma, nello stesso tempo, rinviano a un quadro del popolamento italico dietro il quale si profilano realtà istituzionali consolidate.

in questa dinamica assume un ruo-lo rilevante l’introduzione della scrittura che, come scrive s. marchesini, nasce dalla volontà di “suggellare il senso di sé con uno strumento che, nella sua funzione primaria, serve a fissare un messaggio al-trimenti destinato a perdersi.....Ciò che sta scritto esige un vincolo estremo, sancisce quindi norme e codici”11.

L’uso della scrittura, che fissa gli enunciati e perpetua la memoria, rientra in una strategia di legittimazione del po-tere e, dunque, in contesti socioculturali in cui la distinzione tra pubblico e privato non si è ancora pienamente oggettivata, rappresenta un fondamento dell’ideolo-gia aristocratica, un mezzo privilegiato a disposizione delle élites per esaltare la propria centralità in rapporto alla forma-zione dell’identità collettiva.

in area centroitalica l’esempio più precoce, ancora nella i metà del Vi sec., dell’appropriazione aristocratica del me-

dium della parola scritta è costituito dall’i-scrizione del Guerriero di capestrano, la cui funzione ideologica di sancire attra-verso l’enunciato la “bella immagine” del defunto non cambia anche a non accetta-re la proposta di a. La regina di riconosce-re nel testo la menzione di un “re”12.

ma ancora più emblematici appa-iono i dispositivi testuali delle stele con iscrizioni sudpicene della i metà del V sec., in cui accanto all’elogium del defun-to nella sua qualità di princeps (nír) emer-ge la dimensione collettiva di un culto funerario agli antenati (stele di castigna-no e di penne s. andrea): la costruzione della memoria si associa alla menzione della comunità (tuta, okra) e dell’apparte-nenza etnica ai sabini (safin-) o ai piceni (púpún-), se per questi ultimi si accetta l’ipotesi di a. La regina di attribuire il valore di autonimo e non di gentilizio ai termini púpúnis / púpúnum13.

è significativo notare che la desi-gnazione etnica si applica ugualmente alla struttura politica (safinas tútas, okreí safina: penna s. andrea) e alla categoria degli ottimati (safinúm nerf: penna s. an-drea; púpúnis nír: Loro piceno, pupunes: mogliano; púpúnum: s. omero, castigna-no): la coscienza di un’origine comune e distintiva matura contemporaneamente all’assetto istituzionale in un sistema or-ganizzativo posto sotto l’autorità delle aristocrazie che controllano la genealo-gia e le linee di discendenza: in questa prospettiva assume una piena rilevanza il significato culturale e politico rivestito dall’etnico safinim derivato da *Sabos/Sa-fos, nome dell’eponimo Sabus da intende-re come “il proprio”14.

Lo stesso legame strutturale tra po-tere aristocratico, consolidamento di una dimensione politica collettiva e rafforza-mento di una consapevolezza autoiden-titaria è stato ipotizzato da p. poccetti in ambiente enotrio che, come è noto, con-

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divide con l’area centroitalica e l’enclave paleoitalica della penisola sorrentina e della Valle del sarno sia lo strumento della scrittura sia l’istituto politico della touta15.

Lo studioso ha valorizzato la relazio-ne istituibile tra i toponimi Nerulum e Laos in rapporto al comparto enotrio dell’alta valle del Lao che ha restituito l’iscrizione paleoitalica di castelluccio e propone di ricostruire un sistema insediativo di età arcaica, ideologicamente fondato sulle nozioni integrate di ner- e touta, con la prima ricavabile dalla formazione topo-nimica Nerulum e la seconda non solo at-testata nell’iscrizione di castelluccio ma anche evocata dalla forma greca laos da intendersi come calco di touta, utilizzato per designare il fiume che, a sua volta, de-finisce attraverso il concetto di ‘confine’ il territorio della comunità16.

a tale proposito poccetti sottolinea come la nozione greca di laos/popolo esprima a differenza del termine demos “tanto la relazione di un gruppo di uomini con il capo quanto la classe aristocratica, guerriera e fondiaria, più vicina all’anax”, traducendo efficacemente le coordinate arcaiche di solidarietà personale sottese all’organizzazione della touta.

La centralità della relazione d’onore nello stesso ambito enotrio può essere messa ulteriormente a fuoco nell’iscri-zione del cippo di tortora, in cui ricorre ancora una volta la menzione della touta: nel testo è stata riconosciuta la coppia di sintagmi volaisumos fufvod (sezione B-2) e volos fufvod (sezione c-2), cui è stato attribuito il significato di optimi fuerunt / boni fuerunt17.

tale enunciato richiama la logica de-gli elogia iscritti nelle stele picene confer-mando la funzione svolta dalle élites nel processo di strutturazione politica.

nella stessa prospettiva risulta del massimo interesse l’ipotesi formulata da G. colonna di riconoscere nell’aggettivo

volos la base su cui è formato l’autonimo italico dei Volsci, nomen che, dunque, ma-nifesterebbe un’orgogliosa rivendicazio-ne di superiorità etnica18.

il livello avanzato di strutturazione politica raggiunto dagli enotri filtra nella tradizione storica greca che, attraverso il marker etnico, designa una dimensione del popolamento molto ampia, definita in rapporto al mondo coloniale acheo: in questa prospettiva l’Oinotria finisce per coincidere con la nozione di Italia intesa nella sua accezione più estesa, dal sele a metaponto, definendo, come osserva m. torelli, “la comune matrice etnico-cultu-rale di una pluralità di gruppi tribali”19.

L’analisi delle fonti consente di recu-perare la percezione greca della fisiono-mia culturale, politica e insediativa degli enotri e, al tempo stesso, di cogliere i ri-flessi di una proiezione attiva della realtà indigena nel rapporto con il mondo co-loniale: in particolare è possibile recupe-rare elementi di una tensione negoziale sulla posizione da assegnare ai nativi nel paesaggio della colonizzazione, con la tendenza da parte greca a marcare una perifericità che implica un inferiore livello di sviluppo, sia pure in una prospettiva assimilante di syngeneia, e una risposta indigena in grado di rifunzionalizzare a vantaggio della propria identità le stesse coordinate culturali elaborate dai coloni.

partendo soprattutto dalla tradizio-ne tardo-arcaica di ecateo e ferecide, emergono a proposito degli enotri due principali elementi strutturanti: da un lato, la collocazione geografica nella me-sogaia, in un ambiente montuoso che giustifica l’invenzione dell’origine arcade dell’ethnos20; dall’altro, l’organizzazione per poleis, tale termine ricorrendo come parola chiave sia in ecateo, sia in erodoto (i, 167, 3), nella notizia dell’acquisto del-la terra di elea da parte dei coloni focei, sia in strabone (Vi, 1, 13) nella menzione

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dei 4 ethne e delle 25 poleis “soggette” (hypekooi) all’interno dell’impero sibarita.

dionigi di alicarnasso (i, 12, 1) precisa ulteriormente la natura e l’organizzazione di queste poleis dell’interno, specificando che esse sono “piccole e vicine le une alle altre” (mikrai kai synecheis), secondo un topos culturale che, ad es., si applica an-che ai pelasgi della campania, in cui, più che direttamente gli etruschi, si può rico-noscere l’elemento indigeno acculturato: i pelasgi vivono in phrouria come nel caso di ercolano, in oppida nella Valle del sar-no e in polismata nella pianura campana dove soppiantano gli Auronissai21.

per gli enotri si delinea, dunque, un sistema insediativo diffuso, organizzato su piccoli insediamenti difesi confronta-bili ma, al tempo stesso, sensibilmente diversi dalle poleis coloniali: come ha evidenziato p. poccetti, la loro natura si precisa ulteriormente a partire dai topo-nimi greci attestati in ecateo, collegati a nomi di piante del bosco o comunque non coltivate - drys/quercia, ixias/cardo o vischio, pyxous/bosso, krotalla da kro-ton/ricino e makalla da makon/papavero - che proiettano l’ethnos nella dimensio-ne geografica e culturale di una periecia selvatica, coerente con l’invenzione della sua origine arcade e ulteriormente con-fermata dall’altro toponimo di Artemision ugualmente riportato da ecateo22.

rispetto a questa connotazione che sottolinea la marginalità ed enfatizza i rap-porti di dipendenza, una strategia attiva di resistenza emerge nella monetazione a leggenda Ser/Serd, attribuibile ai Serda-ioi23: la comunità esibisce un tipo moneta-le con le immagini di dioniso con il tralcio di vite e del grappolo d’uva, valorizzando la propria competenza nella coltivazione specializzata della vite, e così rifunzionaliz-za a proprio favore il topos della geografia della mesogaia, ostentando una contigui-tà positiva con il dio che difficilmente può

essere separata dalla paretimologia del nome di Oinotroi24.

in questa prospettiva non è forse ca-suale che l’erudizione antica colleghi al sistema della vite anche Sabus, “vitisator per eccellenza dell’italia” e progenitore dei sabini, l’altra grande gente italica dell’interno: ciò che si accorda con l’esi-stenza di un filone complesso di testimo-nianze, recentemente approfondito da G. colonna, che allude ad una relazione privilegiata tra l’ethnos e gli enotri25.

Lo studioso ha richiamato la notizia varroniana di Oenotros rex Sabinorum ma, soprattutto, ha messo a fuoco la perce-zione che scaturisce dalle fonti di un anti-co rapporto tra il mondo enotrio e l’italia centrale, in particolare interna, a partire dalla tradizione antiochea (FGrHist 555 f6) su Sikelos profugo da roma, accolto dal re enotrio Morges .

La riflessione antica sugli enotri si estende anche alla forma della loro orga-nizzazione politica.

Questa, in modo coerente con il rilievo attribuito ad un sistema insedia-tivo strutturato per poleis, si fonda sulla categoria del politeusthai e, quindi sui nomoi, ma, al tempo stesso, è soggetta all’autorità di dynastai “che hanno un’ar-che fondata sul loro prestigio e sulla loro forza personale”, secondo una dialettica che corrisponde a quella riscontrata nella tradizione indigena sulla scorta dei docu-menti epigrafici26.

3. il quadro del confronto etnico muta profondamente negli anni compresi tra la fine del Vi e la metà del V sec. a.c.

Le tensioni sociali interne alle città greche ed etrusche, il consolidamento delle comunità indigene da tempo in-tegrate in sistemi regionali fortemente evoluti e, contemporaneamente, la pres-sione migratoria esercitata alla periferia di questi poli di sviluppo da popolazio-ni costantemente alle prese con una

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strutturale carenza di risorse dovuta alla natura dei territori e all’arretratezza del-le forme di produzione, mettono in crisi l’equilibrio delle società arcaiche e, con esso, il sistema di negoziazione fondato sul paradigma della syngeneia tra gruppi aristocratici, travolto da una conflittualità in cui il tema dell’identità etnica diviene per la prima volta uno strumento ideolo-gico di contrapposizione.

Questa tendenza si verifica dapprima nel Lazio e in campania, dove l’unitarietà del popolamento ausone si disgrega in seguito all’occupazione volsca della pia-nura pontina e alla sannitizzazione della-Valle del sarno e della mesogeia solcata dal Clanis.

La sannitizzazione si manifesta sul piano linguistico attraverso l’introduzio-ne dell’osco documentato non solo nelle iscrizioni vascolari, ma significativamente nel poleonimo Nola / la “città nuova”, già attestato in ecateo (FGrHist 1 f 64) che at-tribuisce ancora la polis agli ausoni.

La capacità di imporre la propria lin-gua per designare il nome della ‘capitale’ della mesogeia campana costituisce una manifestazione formidabile di identità da parte di una componente del popolamen-to che si impone come nuovo elemento di riferimento nel quadro regionale.

è significativo ricordare che l’emer-gere della componente sannitica in cam-pania è stato connesso da G. colonna alla mobilità innescata dalla grande spedizio-ne di etruschi e Barbari contro cuma nel 524 a.c.27: ciò si accorda con la tradizione dell’etnogenesi dei sanniti che, in assen-za di un eponimo mitico, è descritta dalle fonti come un ver sacrum dagli spiccati caratteri militari sia nella versione di stra-bone (V, 4, 12) dei giovani sabini votati a marte sia in quella relativa alla ‘metropoli’ di Collis Samnius /Touxion approfondita dallo stesso colonna28.

in entrambi i casi l’emergere del-

l’ethnos è esplicitamente connesso alla ca-pacità di coesione politica: i sabelli guidati dal toro di ares si impongono sugli opici komedon zontes; il toponimo Touxion ed il nome Cominius Castronius, attribuito al comandante del contingente di Collis Samnius, evocano rispettivamente le no-zioni di Tuticum e di comitium/conventus.

è alla luce di queste coordinate che assume una specifica pregnanza l’ado-zione del poleonimo italico di nola, il cui affiorare è significativamente coevo alla più antica documentazione proveniente dal santuario federale di pietrabbondan-te, legato al nome dei Safinim e dedicato ad una divinità femminile assimilabile a Victoria o a aphrodite Nikephoros.

in campania il consolidamento della presenza sannitica nel comparto com-preso tra il promontorio di sorrento e il sele innesca tra la fine del Vi e la i metà del V sec. nelle altre componenti del popolamento una reazione all’insegna dell’autocoscienza etnica che investe complessivamente il territorio regionale.

in questa dinamica può trovare col-locazione il logos già ricordato di diodo-ro su Liparo, incentrato sul culto eroico in memoria di un antico progenitore, rifunzionalizzato dagli ausoni di sorren-to per ribadire identità e autonomia nel momento in cui, come attesta ecateo, si verifica la trasformazione di nola da real-tà ausone a sannitica.

nella stessa cornice per la prima volta l’etruria campana marca la propria speci-ficità etnica che trapela nella nozione di Tyrsenikos Kolpos contenuta nel trittolemo di sofocle (f 598 radt, 468 a.c.), nel pole-onimo Tyrseta attestato in filisto (FGrHist 556 f 42), nella ‘rifondazione’ inaugurata di Volturnum cui corrisponde quella di pontecagnano documentata a livello ar-cheologico29.

è il quadro storico e politico comple-tamente rinnovato che si riorganizza con

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il declino di cuma del dopo aristodemo, riflesso nella ridenominazione del Golfo di napoli, da Kymaios a “cratere”, docu-mentata da antioco di siracusa (in str. V, 4, 3 e V, 4, 8)30.

in esso gioca un ruolo essenziale Neapolis che inaugura un nuovo sistema di relazioni con il mondo indigeno e, in particolare, con la mesogeia sannitica dell’altra “città nuova” di nola, contri-buendo al consolidamento della sua strutturazione.

non è un caso che antioco registri anche il declino della nozione estesa e omologante di Oinotria31: la disgregazio-ne del mondo ausone ed enotrio è il ri-sultato della crisi complessiva che investe un ampio segmento del popolamento in-digeno dell’italia centromeridionale, ac-comunato, aldilà delle specifiche articola-zioni, da non dissimili livelli di sviluppo e dalle modalità di rapporto con l’orizzonte egemone greco ed etrusco.

secondo la stessa logica, il comples-so riequilibrio che scaturisce dalla crisi è registrato dalle fonti come il processo che conduce alla coagulazione nel mondo in-digeno di nuove entità politico-territoriali ma, al tempo stesso, anche alla formazio-ne di un sistema di popolamento perce-pito come un blocco unitario nelle strut-ture economiche e sociali, secondo una dialettica di affinità/distinzione riflessa, ad es., nella tradizione che considera i Lucani apoikoi dei sanniti (strabo Vi, 1, 2)32.

La nozione di apoikia si presta effica-cemente da parte greca a descrivere le modalità di espansione di comunità indi-gene per le quali la mobilità rappresenta una caratteristica strutturale di autoripro-duzione.

essa rifunzionalizza il modello tradi-zionale di syngeneia secondo livelli arti-colati in funzione dei concreti contesti di relazione: la propaganda di Neapolis fa dei sanniti di nola e avella coloni chal-

cidensium (iustin. XX, 1); quella tarantina celebra la synoikia tra la popolazione italica e i coloni spartani (strabo V, 4, 12) introducendo una sottile prospettiva di-scriminante proprio a partire dal topos della connotazione militare: se questo serve a illustrare la virtù guerriera dei Saunitai / ‘uomini-lancia’, al tempo stesso, proprio per i codici arcaici su cui si sostie-ne, li marginalizza in uno stadio di svi-luppo meno evoluto, contraddistinto da una bellicosità ‘naturale’, che li riduce alla condizione di peripoloi della polis greca33.

una non dissimile prospettiva di let-tura si recupera nella tradizione antica sui Volsci: l’effetto dirompente della loro di-scesa nel litorale pontino è alla base della tradizione cumana che, ancora secondo i parametri forniti dalla geografia mitica di odisseo, li omologa ai selvaggi Lestrigoni e questo pregiudizio continua a sussiste-re nella notizia, tramandata da dionigi di alicarnasso (ii, 49, 4-5), dell’arrivo nel-la pianura pontina di un contingente di esuli spartani che, dopo avere fondato il santuario di feronia, si trasferisce presso i sabini, provocandone il mutamento dei costumi: come ha sottolineato G. colon-na, si tratta di una “sorta di ver sacrum alla rovescia”, dal mare verso l’interno, imperniato sul tema dell’accoglienza, ma significativamente la synoikia spartana ri-guarda solo i sabini, escludendo dai suoi effetti acculturanti proprio i Volsci con-dannati dall’omologia con gli inospitali Lestrigoni34.

4. L’identità etnica diventa il centro di uno scontro tra culture nel momento della conquista italica.

ciò è innanzitutto evidente nel caso dei campani: l’etnogenesi del 438 a.c. si pone, senza mediazioni mitiche e gene-alogiche, come un atto politico di riven-dicazione di un’identità antagonista da parte del popolamento indigeno della piana del Volturno rispetto sia ai centri

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greci ed etruschi sia ai sanniti di nola e della Valle del sarno.

La conquista campana di capua e cuma è posta dalla tradizione antica sot-to il segno del tradimento, come un atto di sostituzione violenta che elimina i cit-tadini legittimi: essa introduce uno squi-librio perchè immette una popolazione barbara nel cuore della città.

L’ordine è ripristinato solo con l’inter-vento di roma che, ai tempi della guerra annibalica, nel 215 a.c., distrugge l’eser-cito campano ad Hamae (Liv., XXiii, 35); l’azione non si concreta in uno scontro militare in campo aperto, ma si configura come una punizione attraverso un attac-co a sorpresa durante la celebrazione di un sacrificio notturno, rivolto contro uo-mini inermi o colti nel sonno: con i bar-bari non si condivide il codice d’onore35.

La storia dei campani, nella sua co-struzione esemplare, esplicita e giustifica dall’ottica del vincitore tensioni latenti di lungo periodo, squilibri insiti in una dina-mica di interazione non paritaria dove gli indigeni, per quanto evoluti, non devono oltrepassare i confini della polis: in questa prospettiva essa chiarisce indirettamente l’insistenza e l’orientamento delle tradi-zioni sulla periecia degli enotri e la fun-zione dei peripoloi attribuita ai sanniti.

un non dissimile pregiudizio si co-glie nel frammento di aristosseno (fr. 124 Wherli) dove si lamenta la “barbarizzazio-ne” subita dai poseidoniati sul piano della lingua e dei costumi ad opera di “tirreni e romani”, con i primi da identificare negli italici parlanti l’osco da tempo insediati nella Tyrrhenia campana36.

il topos dell’ “imbarbarimento” (ekbar-barosis) rovescia a sfavore dei Greci la prospettiva integrante della syngeneia, evidenziandone il significato strumen-tale di strategia di assimilazione degli indigeni, relegati in una dimensione su-balterna.

il conflitto esplode in maniera vio-lenta con il fenomeno del mercenariato in sicilia37.

Le fonti tendono a trattare i mercena-ri italici come un blocco unitario, omolo-gandoli attraverso l’attribuzione di un’ori-gine ‘campana’ utilizzata estensivamente.

Questa prospettiva unificante serve a rappresentarli complessivamente come un’alterità pericolosa, contraddistinta da un ethos selvaggio che richiama la natura del lupo: la belva più pericolosa perché dotata dell’istinto di branco, che non giunge mai a realizzare, per la sua condi-zione ferina, una comunità politica intesa come sistema regolato di cooperazione38.

L’omologazione alla belva condanna-ta a una “città impossibile” serve a giusti-ficare l’emarginazione della componente italica dall’universo delle poleis, proprio nel momento della sua massima pres-sione, quando, attraverso la pratica mi-litare, ha raggiunto un elevato grado di consapevolezza identitaria e ha la forza di rivendicare uno statuto di cittadinanza all’interno delle società locali o attraverso la fondazione di insediamenti permanen-ti e autonomi che valorizzano le proprie origini etniche e geografiche, emblema-ticamente ostentate nelle emissioni mo-netali dei Kampanoi, dei Thyrrenoi e dei Syleraioi39.

contro questa spinta scatta la rea-zione della “Grecità assediata” delle poleis siceliote che respingono un’integrazione avvertita come un’assimilazione forzata, un’invasione e un’espropriazione violen-ta da parte di un elemento allogeno e diverso, di cui si denuncia, attraverso il paradigma del lupo, non solo la ferocia naturale e l’istinto predatorio ma anche l’inferiorità etnica e antropologica che esclude ogni forma di ‘ibridazione’40: die-tro al motivo topico del rischio di una crisi di civiltà emerge il timore per l’irruzione di una componente incontrollabile, in

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grado di sconvolgere assetti sociali e poli-tici consolidati, come esplicitamente tra-spare nella Lettera Viii di platone (Epist. 8, 353 e) in cui la perdita della lingua greca si associa al precipitare dell’intera sicilia sotto la nuova tirannia di “fenici e opici”.

al tempo stesso, non è impossibile supporre che l’omologia tra mercenario e lupo, così sistematicamente sfruttata in funzione discriminante dalle fonti gre-che, si strutturi in consapevole opposizio-ne al filone di tradizioni italiche che colle-gano l’animale al processo di etnogenesi in un’ampia scala territoriale: dagli Hirpi Sorani agli irpini, dai dauni ai Lucani.

in questa ipotesi la dialettica che si sviluppa intorno all’immaginario del lupo può servire a misurare le dinamiche del conflitto etnico, tra la componente italica dei mercenari che nell’animale riconosce l’emblema della propria identità milita-re, fondando il diritto di conquista sulle qualità di coesione, rapidità e coraggio che denotano l’istinto del lupo, e la con-troparte greca per la quale il lupo resta un predatore feroce e selvatico che non deve oltrepassare le porte della città, avvicinan-dosi alle case e alle proprietà degli uomini.

un possibile indizio di tale tensione può venire dall’esame delle contrapposte tradizioni sulla conquista di messina da parte mamertina.

La versione greca insiste sull’empia crudeltà dei mercenari campani, marcan-doli con tratti caratteristici del compor-tamento del lupo: accolti benevolmente all’interno della città, agiscono come predatori dalla vista aguzza come quella dell’animale (pol. i, 7, 2: peri to kallos kai ten loipen eudaimonian tes poleos opthal-miontes), uccidendo a tradimento i loro ospiti nel cuore della notte per imposses-sarsi dei loro beni; diodoro siculo (XXii, 2) aggiunge il dettaglio significativo che i mamertini sgozzano i cittadini maschi, secondo un modo di dare la morte che

ancora una volta li avvicina alla natura del lupo, animale magheiros per eccellenza.

nella versione filomamertina di alfio (festo, p. 150 Lindsay) il discorso è del tutto ribaltato: la discesa dei mercenari è frutto di un ver sacrum consacrato ad apollo, omologato da zonara (Viii, 8) ad una apoikia; essi, inoltre, giungono in soccorso degli abitanti di messina e, per i meriti acquisiti, sono accolti nel corpo cittadino, condividendo la terra.

in questa versione il lupo non compa-re, ma potrebbe profilarsi dietro ai referen-ti divini dei mamertini: apollo e marte.

entrambi vantano, infatti, un rappor-to privilegiato con l’animale che nella tra-dizione latina è Martius (Aen., iX, 566; Liv. X, 27, 9; sil. Vii, 717-18) o posto in tutela Martis (Hor., Ep., ii, 2, 28)41 e in quella gre-ca è connesso con apollo delfico.42

anche se il filo è esile, l’importanza attribuita alle due divinità protettrici del lupo potrebbe implicare il funzionamen-to di un modello culturale in cui il richia-mo all’animale si carica di un valore po-sitivo secondo coordinate non dissimili a quelle sottese alle tradizioni italiche di et-nogenesi sopra ricordate: esso potrebbe incarnare l’ethos bellicoso che unisce in una solidarietà di sangue una comunità costretta a ricercare all’esterno dei propri confini migliori condizioni di sussistenza e gli spazi vitali indispensabili.

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note

1 nell’impossibilità di delineare un quadro esaustivo di una bibliografia vastissima mi sem-bra preferibile limitare le citazioni ad alcune messe a punto recenti che, per la diversità de-gli approcci, mi sono state utili nella stesura di questo contributo: Confini e frontiera; Material Culture and Social Identities. molto interessante è anche la riflessione di ruBy 2006, la cui segna-lazione devo alla competenza di m. cuozzo.

2 ruBy 2006, p. 55 propone di raccordare prospettiva emica e etica attribuendo un signifi-cato etnico solo a quegli indicatori materiali che resistono ad interpretazioni di segno alternati-vo, organizzate secondo una sequenza di livelli di definizione.

3 cerchIaI 1996, pp. 141-50.4 BonauDo 2008-2009, pp. 143-49.5 MalkIn 2004, pp. 215-29; DeBIasI 2008, pp.

39-62. un’interessante ventaglio di opzioni cri-tiche si ritrova in Mito e storia in Magna Grecia,

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357L’identità etnica come processo di relazione: alcune riflessioni a proposito del mondo italico

pp. 82-85 (l. BraccesI), 119-20 (m. torellI), 161 (a. Mele), 222 (B. D’agostIno).

6 Mele 2010, in part. pp. 315 ss. e colonna 2100, in part. pp. 373 ss.

7 The further academic papers of Sir Hugh Lloyd Jones, oxford 2005, pp. 39-42, cui si con-trappone la lettura di haslan 2005, pp. 42-46. una relazione tra il mondo ausone ed il fram-mento stesicoreo è ipotizzata anche da huXley 1992, pp. 385-87. cfr. anche cerchIaI 1995, p. 7; BreglIa 1996, pp. 46-48.

8 MalkIn 2002.9 sulla fibula di castelluccio di pienza: cfr.

sassatellI 2000, pp. 315-316 (scheda a p. 325 n. 349 [f. gaultIer]); MarchesInI 2004, pp. 28-29, 136, 140; BenellI 2007, n. 76, pp. 178-180. sull’iscrizio-ne di pontecagnano: PellegrIno-colonna 2002, n.84; De sIMone 2004, pp. 73-96.

10 PoccettI 1999, p. 613.11 MarchesInI 1999, p. 175.12 la regIna 1989, p. 302. diverse sono

le letture proposte da MarInettI 1999 e da rIX 2002, p. 69.

13 la regIna 1981, pp. 131-133; crIstofanI 1997, pp. 180-183; ProsDocIMI 1999, pp. 13-18; MarInettI 1999; naso 2000, pp. 229-232; antonellI 2003, p. 2.

14 De sIMone 1999, pp. 169-70.15 L’esistenza dell’istituto della touta nel com-

parto sorrentino e della Valle del sarno può essere ipotizzata a partire dall’iscrizione vascolare tev/pv dalla tomba 107 di nocera, in cui G. colonna ha proposto di riconoscere l’abbreviazione teu(tik-) puterem: colonna 2005a, pp. 1762-63; cerchIaI 2010.

16 PoccettI 2001, pp. 193-97, su cui ha però espresso dubbi Mele 2001, p. 272.

17 lazzarInI–PoccettI 2001, pp. 122-38 (P. Poc-cettI).

18 colonna 2001, p. 247. 19 torellI 2001, p. 10.20 asherI 1996, pp. 151-63.21 cerchIaI 2010.22 PoccettI 2001, pp. 168-76; Mele 2001, in

part. pp. 260-62.23 greco 1990, pp. 39-57.24 torellI 2001, p. 18; de sIMone 2001, p. 201.25 colonna 2001, pp. 250-51.26 Mele 2001, pp. 268-70.

27 colonna 2005a.28 colonna 2005c, pp. 401-21. taglIaMonte

1996, pp. 17-23.29 cerchIaI 2008, pp. 401-421.30 Mele 2009, pp. 77-167.31 torellI 2001, p. 22; Mele 2001, pp. 254-255.32 tale dialettica è già messa a fuoco da Pon-

tranDolfo 1982 e ripresa in importanti contributi come, ad es., quelli di torellI 2001, p. 21 ss. e loMBarDo 2001, pp. 329-345. il nomen dei Lucani è utilizzato dalle fonti greche e latine come mar-ca omologante, per sottolineare l’omogeneità etnico-culturale di un popolamento indigeno pure attraversato da significative articolazioni interne; da parte lucana l’emergere di un’identi-tà collettiva affidata all’etnonimo emerge ad un livello cronologico posteriore con la monetazio-ne federale di età annibalica recante leggende in osco e in greco loukanom e lykianon: cfr., ad es., horsnaes 2002, pp. 123-28; Isayev 2010, pp. 200-226, anche se non è condivisibile il ricorso al “colonial middle Ground model” utilizzato da MalkIn 2002 per descrivere un sistema di intera-zione fondato a un livello cronologico e su basi socio-culturali molto diversi.

33 taglIaMonte 1996, pp. 23-28; cerchIaI 2002-2003.

34 colonna 2005b, pp. 431-433.35 cerchIaI 2011, p. 29.36 per una recente analisi del frammento cfr.

MerIanI 2003, pp. 15-48, in part. nota 1 per la bi-bliografia sui Tyrrhenoi.

37 taglIaMonte 1994; taglIaMonte 1999, pp. 547-72.

38 cerchIaI 2011.39 cantIlena 2008, pp. 183-203.40 L’efficace definizione di “Grecità asse-

diata” si ritrova in sorDI 1994, pp. 133-140. e’ interessante che la reazione di chiusura scatti proprio nei confronti di una componente itali-ca fortemente ellenizzata e integrata sul piano linguistico e culturale, percepita nei termini di barbaroi migades (plut., Timol. 1, 2): PoccettI 1989, pp. 97-135.

41 MastrocInque 1993, p. 173 nota 703.42 cfr., ad es., la recente messa a punto di

MastrocInque 2006, pp. 85-97.

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