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CENTRO PER LA FORMAZIONE IN ECONOMIA E POLITICA DELLO SVILUPPO RURALE DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E POLITICA AGRARIA Universit` a degli Studi di Napoli Federico II Collana Working Paper

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CENTRO PER LA FORMAZIONE IN ECONOMIA EPOLITICA DELLO SVILUPPO RURALE

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E POLITICA AGRARIAUniversita degli Studi di Napoli Federico II

Collana Working Paper

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L’evoluzione della popolazione dellaCampania dal XIV al XVIII secolo

Angerio Filangieri

Working paper n.ro 2/2002

Sommario

Le fasi di lungo periodo della vicenda demografica campana possono esserecosı ricostruite, sia pur con gradi di approssimazione diversi da epoca ad epoca:

- Un crescente sviluppo in epoca romana, culminato verosimilmente in unapopolazione dell’ordine di 800.000 unita al tempo dell’Impero Romano.

- Un intenso spopolamento valutabile sui 400.000 abitanti, o forse di piu,durante le invasioni barbariche, il primo Medio Evo ed i secoli fino al X,prodotto da un insieme di eventi bellici, di carestie e di epidemie.

- Una ripresa progressiva dello sviluppo dal secolo XI al XIV e precisamentefino alla “Peste Nera” del 1347, epoca in cui la popolazione sarebbe risalitaa 750 - 800.000 abitanti.

- Una seconda caduta di essa perdurata anche in parte del secolo XV ad unlivello di circa 400 - 450.000 abitanti.

- Un nuovo veloce sviluppo fino alla grande peste del 1656, epoca in cui laCampania raggiunge –come mai in precedenza– circa 1.200.000 abitanti.

- Una nuova flessione dovuta alla predetta peste fino al livello di circa 770.000abitanti.

- Un’ultima continuativa espansione iniziatasi alla fine del secolo XVII e dura-ta fino ai nostri giorni durante la quale la popolazione raggiunge –malgradola componente migratoria negativa– i circa 6.000.000 di oggi.

Dai prospetti inseriti nel testo e riportati in appendice, e possibile rendersi contodi come i predetti sviluppi si siano articolati all’interno del territorio regionale.

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Indice

1 Premessa 3

2 Le fonti 3

3 L’antichita ed il primo medioevo 7

4 I secoli dal XIV al XVIII 9

5 Sviluppo dei centri abitati maggiori fra il 1320 ed il 1789 13

6 Vicende belliche ed eventi sismici 20

7 L’uso del suolo 21

8 La viabilita 23

9 Gli insediamenti 25

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1 Premessa

La conoscenza delle vicende demografiche storiche degli abitati della Campania costi-tuisce una utile fonte per individuare i motivi che hanno presieduto alle diverse fasi diespansione urbanistica, nonche di distribuzione nello spazio e nel tempo del patrimoniodi beni storico-artistici e talvolta anche delle congiunture economiche attraversate dallevarie parti della regione.

La ricostruzione della importanza relativa delle diverse zone della Campania – edall’interno di essa dei maggiori centri urbani – consente infatti di spiegare molto fre-quentemente lo sviluppo delle zone di espansione, il sorgere di edifici legati all’im-portanza strategica (castelli, murazioni), alla crescita della popolazione (chiese), albenessere (architettura civile).

Sono interessanti d’altra parte gli indizi di importanza di certe localita abitateche poi – a seguito di calamita sismiche o talvolta belliche – sono state abbandonatelasciando a solo ricordo di se il toponimo di una contrada campestre.

La Campania ha avuto una vicenda demografica particolarmente attiva culminataai giorni nostri nella consistenza di circa sei milioni di abitanti ed in una densita mediafra le piu alte d’Europa (circa 450 abitanti per Kmq.).

Fin dall’antichita si delinearono pero due distinte realta geografiche, quella dellaparte piana e costiera e quella della parte interna, la prima molto densamente coloniz-zata prima dai Greci e dagli Etruschi, poi dai Sanniti e dai Romani e la seconda assaimeno popolata.

Nel Medio Evo ed in alcuni dei secoli piu recenti i due ambienti differenziati per-mangono ma diversamente distribuiti sul territorio: le pianure e le coste divengono do-minio della malaria prima e poi delle ricorrenti incursioni prima saracene e poi turche,il sistema insediativo ripiega quindi all’interno in posizione collinare.

L’elevata spinta demografica e da porre in relazione: nell’antichita con le diversecondizioni idrauliche delle pianure e con la grande fertilita del suolo – la decantataCampania Felix – e nell’Evo-medio e moderno con lo sviluppo di Napoli capitale edelle sue esigenze agricolo-annonarie.

Sola eccezione alla piu generale distribuzione delle sedi umane, i due vasti terrazziin tufo, reliquati della grande eruzione flegrea, fertilissimi, docili all’aratro, esenti dallamalaria, su cui si sono andati insediando i casali rispettivamente di Napoli (a sud delcorso del Clanio) e di Aversa e Caserta (a nord del Clanio).

2 Le fonti

La formazione di un quadro complessivo della evoluzione della popolazione della Cam-pania, dal secolo XIV al XIX, in relazione con il proprio territorio, non si prefigge, nel

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nostro caso, obiettivi di analisi demografica bensı di studio dei rapporti fra il sistemadegli insediamenti da una parte ed il territorio e le sue risorse dall’altro.

Va intanto posto in rilievo che tutti i dati anteriori al 1789 – in misura diversa dafonte a fonte – sono da ritenere largamente approssimati sia per errori ed omissioniinvolontarie, sia perche – trattandosi di rilevamenti a fini fiscali – essi non prendevanoin considerazione varie categorie di abitanti fra cui verosimilmente gli ecclesiastici, inobili ed i militari.

E evidente che un attento esame critico dei dati, una analisi di correlazione nellospazio e nel tempo, delle verifiche incrociate e delle elaborazioni campionarie partico-lari potrebbero migliorare il grado di attendibilita dei dati, ma la complessita di talioperazioni non sarebbe in scala con gli obiettivi d’insieme di questo studio, che fa as-segnamento non tanto sulla precisione dei singoli dati statistici quanto sulla entita digrandezza di ciascuno in rapporto agli altri.

Le fonti utilizzate sono state – in ordine cronologico – le seguenti:

Secolo XIV

“Generalis Subventio” angioina del 1320 (Minieri Riccio 1877) nella quale vengonoriportati per ciascuna universita (=comune) i valori dell’imposta che veniva applicatain proporzione del numero dei nuclei familiari (fuochi) e del loro reddito netto.

Nelle istruzioni ai “taxatores” si prescriveva infatti che questi dovessero operare“attentis facultatibus, proventibus et familiis, ex quibus onera vel utilitatem reportant,ac expensis etiam singolorum”, ossia che si tenesse conto sia dei redditi tanto immo-biliari che di lavoro, nonche degli oneri e delle spese relativi a tutto il nucleo familiare.Altrove si chiariva che dovessero tassarsi anche i beni immobili dei non residenti sulluogo.

L’ammontare della tassa per ogni abitato esprimeva pertanto la capacita contribu-tiva globale di esso, e quindi la sua importanza economica. Per risalire dal dato fi-nanziario espresso in moneta del tempo (“once”, “tari” e “grana”) a quello del numerodei fuochi occorre adottare un moltiplicatore diverso, a seconda che gli abitati sianopiccoli, e quindi solo agricoli, grandi e quindi sedi di attivita commerciali, artigianalie amministrative, o medi; nei primi pertanto il “gettito fiscale per abitante” era piubasso mentre nei secondi progressivamente piu elevato.

Per passare dal numero dei fuochi al numero di abitanti si e adottato il moltiplica-tore 6 in considerazione anche del numero di cittadini esenti dalla tassa (ecclesiastici,nobili, militari ecc.)

Un cenno particolare va fatto alla popolazione di Napoli e dei suoi casali per i qualie noto il solo dato complessivo di circa 692 once.

Il Beloch (1937, p.170) valuta nel primo periodo angioino la popolazione di Napolie dei suoi casali in 30-36.000 abitanti, suddivisa in circa 22.500-27.000 abitanti urbanied in 7.500-9.000 abitanti dei casali.

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Il Leonard (1954, p.289) invece indica per gli ultimi anni del regno di Roberto(1343) una popolazione di 60.000 abitanti. Nel 1320, anno cui appartengono i dati diimposta cui ci riferiamo, la citta ed i suoi casali potevano dunque avere una popolazioneintermedia a quelle piu sopra menzionate ossia circa 54.000 abitanti.

Adottando un coefficiente di 50 grana a fuoco per la citta e di 35 per i casali si puoipotizzare che le circa 692 once complessive (=415.364 grana) fossero cosı ripartite:

Fuochi Grana AbitantiNapoli citta 6670 x 50 grani 333.500 40.000Casali (per differenza) 2334 x 35 grani 81.700 14.004

Altra lacuna dei dati e costituita dalla mancanza di quelli di Benevento, in quantoessa era parte dello Stato della Chiesa. Attenendosi alle indicazioni del De Nicastro(1720, p.22) il loro ammontare nel ’300 e stato valutato in 7.000 abitanti.

Secolo XV

“Numerazione focularia” aragonese1 delle provincie del Regno; si tratta del primo ril-evamento diretto di fuochi il quale e disponibile pero per la sola provincia di Saler-no (Accademia Pontaniana 1970, pagg. 3 e segg.) (oltre che per regioni del Regnoesterne alla Campania). Per ovviare a questa lacuna, ossia per stimare in prima ap-prossimazione i fuochi delle altre quattro province campane abbiamo attribuito ad esselo stesso indice di sviluppo riscontrato per Salerno rispetto al rilevamento successivo(1532), come si vedra poco piu avanti.

In alcune serie i dati sono espressi in ducati, in ragione di un ducato per fuoco epertanto sono eguali statisticamente. Il rapporto abitanti/fuoco e stato consideratoanche qui eguale a 6.

Mancano in queste serie i dati di Napoli e dei suoi casali in quanto esenti da imposta.Mancano altresı – anche per quest’epoca – i dati di Benevento.Per avere una nozione approssimativa di quale fosse stata la popolazione della

Campania intera al 1445, abbiamo dunque applicato l’indice di sviluppo fra il 1445 edil 1532 (disponibile – come si e detto – per la sola Salerno) anche alle altre quattroprovince di popolazione incognita.

Dato che il rapporto fra la popolazione di Salerno nel 1445 (fuochi 18.444) era parial 58,54% di quella del 1532 (fuochi 31.506)2 la nostra valutazione risulta la seguente:

1Tale numerazione venne istituita nel Parlamento Generale tenutosi il 28 febbraio 1442 nel Con-vento di S.Lorenzo in Napoli; essa prevedeva in luogo delle sei rate di collette del tempo angioino latassa di 10 carlini a fuoco. Detta tassa fu poi abbinata alla distribuzione del sale.

2Un rapporto molto vicino a quello menzionato si ha anche per la popolazione dell’Abruzzo, perla quale anche si dispone dei dati per il 1445.

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Popolaz. 1532 Popolaz. 1445Caserta 128.166 (rilevata) 75.028 (valutazione)Benevento 66.558 (rilevata) 38.963 (valutazione)Napoli 270.226 (rilevata) 158.190 (valutazione)Avellino 104.958 (rilevata) 61.442 (valutazione)Salerno 189.036 (rilevata) 110.664 (rilevata)Campania 758.944 (rilevata) 444.287 (valutazione)

Secoli XVI e XVII

Numerazioni dei fuochi di epoca vicereale, del 1532, 1545, 1561, 1595, 1648 e 1669(Giustiniani 1805).

Mancano anche per questi anni i dati di Napoli-citta e dei suoi casali in quantoesenti dell’imposta focatica, e quelli di Benevento pontificia. Per la citta di Napoli,abbiamo tratto dallo studio di Claudia Petraccone (1975, pagg. 13, 14, 44, 130, 133 e137) i dati disponibili:

Anno Abitanti1547 212.2031595 226.3011606 267.973Prima della peste del 1656 360.0001657 150.0001707 215.6081742 315.0001763 337.210

Per Benevento si hanno elementi molto piu scarsi: G. De Nicastro (1720, p. 22)scrive che alla meta del secolo XVII gli abitanti erano 18.000, che nella peste del1656 ne morirono 14.000, che dopo il terremoto del 1688 erano 7.792 ed al tempo suo(1715-1720) 9.000.

Altri dati sono pero discordi con quelli predetti: secondo Giustiniani (1805, vol.I:p.CXXXVIII) Napoli aveva nel 1505, 8.000 fuochi, e secondo D’Engenio-Caracciolo(1671, p. 10) alla numerazione del 1614 la citta aveva 167.972 abitanti e attorno al1671 potevano stimarsi sui 300.000 abitanti.

Secoli XVIII e inizio XIX

“Stati delle Anime” i quali fornivano la consistenza demografica derivante dai rileva-menti delle parrocchie (computo dei viventi, dei nati, dei morti e degli emigrati), che

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venivano trasmessi annualmente alle diocesi, e da queste alla Segreteria dell’Ecclesias-tico la quale, dopo averli riuniti in aggregati amministrativi, ne curava la pubblicazionenei “Calendari di Corte”.

I dati predetti sono tratti dal Galanti (1790, Tomo IV).

Secoli XIX e XX

Censimenti della popolazione, fra i quali sono stati utilizzati quello del Regno delleDue Sicilie del 1843 (De Sanctis 1843) e di quelli italiani (ISTAT 1960; ISTAT 1961).

Quanto alla attendibilita generale dei dati va infine posto in rilievo:

• che per i secoli fino a tutto il XVII per molte delle citta piu importanti dellaregione i dati disponibili sono comprensivi del centro maggiore e della cerchia dicasali dipendenti amministrativamente da essi, per cui riesce difficile distinguerelo sviluppo dei centri urbani come tali da quello del loro hinterland agricolo.

• che i dati focatici dei secoli fino al XVII ma soprattutto quelli piu antichi sono– come si e detto – probabilmente inferiori alla consistenza effettiva dei fuochisia per l’esistenza di categorie esenti dalle relative imposte sia per le difficolta daparte del fisco di seguire fedelmente l’accrescimento della popolazione che in quelperiodo andava avvenendo in gran parte degli abitati. Per queste considerazioniper passare dal numero dei fuochi a quello degli abitanti e stato adottato – comesi e detto – il moltiplicatore 6 anzicche 5.

3 L’antichita ed il primo medioevo

Il Beloch (1890) partendo da una valutazione di Tito Livio che assegnava alla Campa-nia, al tempo delle guerre di Annibale un contingente di 34.000 armati (“pedites” ed“equites”) giungeva per detta epoca alla stima di una popolazione di “cives romani”di 100-120.000 unita. Aggiungendo ad essa la popolazione servile e quella delle cittafederate, il predetto autore riteneva che la Campania antica – dal Volturno a Nocera– dovesse raggiungere i 300.000 abitanti.

Al tempo di Augusto, sulla base delle superfici urbanizzate del tempo, e soprat-tutto di quella assai meglio conosciuta di Pompei, lo stesso autore assegnava alle ottomaggiori citta campane all’incirca queste dimensioni espresse in numero di abitanti:

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Citta abitantiCapua 80 - 100.000Puteoli, Baiae, Misenum, Cumae 100.000Neapolis 30.000Pompei 20.000Nuceria 25.000Nola 25.000Herculaneum 10.000Surrentum 10.000

Alle citta minori di Casilinum, Liternum, Volturnum, Atella, Calatia, Suessula,Abella, attribuiva una ulteriore popolazione di 30.000 abitanti circa, oltre ad unapopolazione sparsa dell’ordine di 100.000 abitanti, per cui la Campania romana nelprimo secolo avrebbe avuto in totale circa 450.000 abitanti.

Ma la Campania odierna in eta romana non comprendeva la regione aurunca, ilSannio, l’Irpinia, l’agro picentino e l’odierno Cilento che, anche se molto meno den-samente abitati, avevano tuttavia citta come Suessa, Teanum, Alifia, Beneventum,Telesia, Aequum Tuticum, Aeclanum ed altre.

Pur in mancanza di qualsiasi dato analitico sembra dunque verosimile ritenere che laCampania nei suoi confini odierni abbia avuto attorno al primo secolo, una popolazionedell’ordine di 650-700.000 abitanti.

Sulla entita della popolazione campana nel Medio Evo e buio completo. Le conget-ture che su di essa possono farsi, sono che a partire da una popolazione dell’ordine di700-800.000 unita esistente al tempo dell’impero romano, le invasioni barbariche e laguerra greco-gotica comportarono un forte spopolamento per violenze belliche e per lecarestie ed epidemie che spesso seguirono.

Fu solo al termine del VI secolo che la discesa dei Longobardi in Italia, valutatadal Salvioli (Pochettino ) nell’ordine delle 200.000 unita, comporta anche nella nostraregione un notevole incremento, confermato fra l’altro anche dall’entita dei soggetti dinome germanico menzionati nei documenti del tempo3 e dalla introduzione delle normedel loro codice civile e penale.

Un nuovo grave spopolamento dovette poi sopravvenire dopo due secoli di relativaripresa, a partire dall’inizio del IX secolo, quando le incursioni saracene sottoposeroper quasi due secoli a continui eccidi tutta la regione con la sola eccezione di Napoli edella costiera sorrentino amalfitana, che riuscirono a rimanerne al riparo.

Occorre attendere l’XI secolo per avere l’indizio – fra l’altro attraverso i contrattidi messa a coltura di nuovi terreni – di una ripresa dell’incremento demografico. Inquesto periodo la popolazione progredisce rapidamente fino al sopraggiungere della“Peste nera” del 1347 (Egidi 1920).

3Si vedano le intestazioni onomastiche dei documenti dei secoli anteriori al X, il “Pactum deLeburiis” ed in particolare Filangieri 1973

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4 I secoli dal XIV al XVIII

Appartiene a questi anni e precisamente al 1320 la prima serie statistica fiscale collegataalla consistenza dei fuochi.

Attribuendo un importo di 42 grani a fuoco (ossia di 7 grani ad abitante) da con-siderarsi intermedio fra uno piu basso delle province interne ed uno piu elevato dellezone costiere ed urbanizzate si ha che l’ammontare totale della popolazione della re-gione doveva aggirarsi in quegli anni sui 750.000 abitanti, ossia dello stesso ordine digrandezza di quella del tempo dell’Impero romano.

Nella ipotesi che l’imposta media pro capite fosse stata differenziata fra le cinqueattuali province come indicato piu sotto, le relative popolazioni sarebbero state quelleriportate nella seguente tabella

Importo Aliquota Popolazione %(“grana”) (“grana”/abit.) (abitanti)

Caserta 1.464.413 7 209.202 27,37Benevento (1) 459.250 6 76.542 10,02Napoli 1.011.238 8 126.405 16,54Avellino 825.943 6 137.657 18,01Salerno 1.501.272 7 214.467 28,06Campania (1) 5.262.116 764.272 100,00(1) esclusa Benevento citta

Il secolo successivo alla grande epidemia del 1347 trascorse – per opinione di de-mografi anche di altre parti di Europa – in un prolungarsi di denatalita e nel ripetersidi nuove epidemie.

Un nuova valutazione piu precisa della precedente puo farsi non prima della metadel secolo XV regredendo – come si e detto – con dati di stima, dai dati conosciuti del1545 a quelli presunti del 1445.

In complesso – in quest’epoca i fuochi ascendevano (esclusa la citta di Napoli ed isuoi casali e quella di Benevento) a 52.000 circa, pari a 312.000 abitanti; aggiungendoai quali – con una stima di larga massima – i dati della capitale e dei casali (130.000)si sarebbe avuta una popolazione complessiva di oltre 445.000 abitanti.

Di essa 110.000 risiedevano in provincia di Salerno, circa 159 in provincia di Napoli75.000 in provincia di Caserta, 67.000 in quella di Avellino e 39.000 in quella diBenevento.

Il prospetto allegato riporta l’insieme dello sviluppo demografico della regione qualerisulta dalla integrazione dei dati rilevati dalle fonti sui fuochi con quelli stimatidiversamente (in parentesi).

Alcuni dati di stima possono pertanto essere inesatti, ma ci sembra che la dinamicagenerale della popolazione in Campania dal secolo XIV in avanti possa essere solo cosıricostruita.

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Tabella 1: Densita di popolazione e variazioni percentuali tra le provinceprovincia densita variazioni perc.li

Sup. Kmq. Abitanti/Kmq %1320 1545 1789 1320 1545 1789

Caserta 2.639 79,3 55,2 89,0 27,12 16,27 12,49Benevento 2.061 40,5 39,6 81,3 10,83 9,11 8,91Napoli 1.171 107,9 263,1 675,2 16,39 35,50 42,04Avellino 2.801 49,1 46,1 104,7 17,85 14,42 15,59Salerno 4.922 43,6 45,0 80,1 27,81 24,70 20,97Campania 13.594 56,7 65,3 138,4 100,0 100,0 100,0

Fra il 1320 ed il 1445 per gli effetti diretti ed indiretti della Peste Nera del 1347 lapopolazione si riduce al 58%, passando da 764.000 a 444.000 abitanti.

Un secolo dopo nel 1545 essa ha pero gia avuta una forte ripresa con un indice di117 rispetto al 1320 e con un raddoppio fra 1445 e 1545 (896.000 abitanti).

Dopo quest’epoca lo sviluppo e invece rapidissimo raggiungendo l’indice di 244 nel1789, di 300 nel 1843 e di 617 nel 1961, anno in cui la popolazione appare quindi piuche sestuplicata (4.760.000 abitanti) rispetto al 1320.

Molto diversificato e pero l’andamento nelle diverse province; quella di Napoli haun tasso di sviluppo di gran lunga maggiore delle altre, triplicandosi nel 1669 edaccrescendosi di quasi venti volte nell’intervallo 1320-1961.

Esaminando la densita demografica rispetto alla superficie, ci si rende conto di qualistravolgimenti il territorio sia stato oggetto per passare dai 56,7 ai 138,4 abitanti perkmq. fra il 1320 ed il 1789. Nel 1320 la provincia di Napoli era gia la piu densamenteabitata (108 ab./Kmq) seguita da Caserta (79 ab/Kmq). Meno popolate erano invecele altre tre province i cui valori oscillavano fra i 40 ed i 49 ab. Kmq.

In realta pero tenendo conto della distribuzione delle superfici disabitate (monti epaludi ) le differenze fra le province erano molto piu livellate.

Nel 1545 la provincia di Napoli ha gia iniziato la sua ascesa (263 ab./Kmq) mentreCaserta presenta una flessione (55 ab./Kmq). Le altre tre province sono invece ancorasu livelli molto simili a quelli di due secoli prima (40-46 ab./Kmq).

Passando al 1789 la situazione e del tutto mutata: la provincia di Napoli raggiungei 675 ab./Kmq, Caserta gli 89 ab./Kmq e le altre tre province hanno raddoppiato laloro densita (80-89 ab. Kmq.).

Considerando ora le variazioni interprovinciali dei dati assoluti, si riscontra che nel1320 Caserta e Salerno avevano ciascuna il 27% della popolazione complessiva, Napolie Avellino il 17% circa ciascuna e Benevento soltanto il 10%.

Nel 1545 Napoli sale al 35%, Caserta flette molto notevolmente (16%) e le altre treprovince hanno anch’esse un lieve calo proporzionale.

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Nel 1789 Napoli seguita a salire (42%) e Caserta continua a scendere (12%). Salernoha, anch’essa, una flessione relativa (21%) mentre Avellino e Benevento mantengonoquasi immutata la loro partecipazione al complesso regionale. Si direbbe pertantoche gli incrementi della provincia di Napoli siano stati alimentati prevalentemente daimmigrazioni dal casertano.

Per il periodo intercorrente fra il 1545 ed il 1669, poiche mancano i dati di Napoli esuoi casali che –come si detto – essendo esenti da tasse non venivano censiti, e possibilefare raffronti soltanto fra le altre quattro province campane.

Considerata pari a 100 la popolazione del 1545, la provincia di Avellino e quella chepresenta il maggiore tasso di sviluppo fino alla peste del 1656, la maggiore mortalitaper effetto di essa (oltre 50.000 persone) e la maggiore ripresa nel secolo XVIII.

Dopo quest’epoca la provincia e quella che rallenta maggiormente la propria cresci-ta.

La provincia che segue Avellino sia nella intensita dello sviluppo fino alla peste, sianella flessione conseguente a questa, (oltre 77.000 persone), sia ancora nella ripresa neisecoli piu recenti, e Salerno.

Caserta e Benevento hanno invece uno sviluppo piu contenuto fino al tempo dellapeste, subiscono gli effetti di essa in misura minore (rispettivamente circa 12.000 e24.000 unita) mentre invece, nei secoli piu recenti hanno incrementi maggiori delle dueprime.

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5 Sviluppo dei centri abitati maggiori fra il 1320 ed

il 1789

Per fare un confronto sulla evoluzione nel tempo dei diversi gruppi di abitati secondo laloro aggregazione statistico-fiscale del 1320, e stato esaminato il divario fra l’ammontarein once del 1320 ed il numero di abitanti nel 1789 ed il loro scostamento rispetto allamedia regionale.

Si tratta – e vero – di un raffronto fra cifre eterogenee (once nel 1320 ed abitantinel 1789) ma la relativa proporzionalita fra le once e gli abitanti del 1320 autorizza afare questo confronto che sebbene abbia valore approssimativo e l’unico possibile perconoscere il diverso andamento dello sviluppo fra quei secoli.

Nei due elenchi che seguono sono riportati gli abitati (o per quelli che nel 1320comprendevano piu unita, i loro aggregati), che superavano la dimensione di 40 oncenel 1320, oppure di 4000 abitanti nel 1789. Poiche l’indice medio regionale di svilupponel tempo (8768 once/1.880.787 abitanti) e pari a 215 gli analoghi indici dei singoliabitati sono stati raffrontati – per differenza con esso – ed espressi in valori percentualipositivi o negativi.

Il forte peso positivo che, sulla media, esercita l’eccezionale sviluppo di Napoli edei suoi casali, fa in modo che gli abitati con sviluppi inferiori alla media siano moltopiu numerosi di quelli con sviluppi superiori.

Escludendo i casali, le citta piu importanti della regione dovevano dunque essereNapoli, Aversa, Capua e Salerno. Di dimensione minore erano invece: Alife, Acer-ra, Amalfi, Ariano, Avellino, Caiazzo, Castellammare, Eboli, Gragnano, Maddaloni,Mignano, Nocera, Nola, Somma, Sorrento, S. Agata dei Goti.

Nell’anno 1320 i centri abitati con imposizione fiscale piu elevata erano dunquequelli piu sotto elencati, ma poiche molti di essi avevano uno o piu casali, i dati nonsempre corrispondono con la dimensione urbanistica dei centri maggiori, anche se aquell’epoca l’importanza dei casali era ancora molto piu ridotta di quanto non siadiventata successivamente.

- In provincia di Caserta gli importi superiori alle 60 once erano: Aversa (448 oncecon i casali), Capua (360 once con i casali), Carinola (95 once), Maddaloni (92once), Calvi (81 once), Alife (80 once), Mignano (79 once) Arienzo (66 once coni casali) Caiazzo (60 once).

- In provincia di Benevento: Benevento, S. Salvatore Telesino (65 once con Amorosi,Castelvenere, Puglianello, a Telese), S. Agata dei Goti (63 once).

- In provincia di Napoli: Napoli (692 once con i casali) Sorrento (166 once conMassa, Meta, Piano e S. Agnello) Nola (134 once con Camposano, Casamarciano.Cimitile, Comiziano, S. Paolo e Tufino) Somma (117 once con Cercola Pollena eS. Anastasia) Gragnano (63 once) Acerra (60 once) Castellammare (60 once).

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- In provincia di Avellino: Ariano (80 once), Avellino (75 once), Lauro (68 oncecon i casali).

- In provincia di Salerno: Salerno (249 once con Pellezzano), Ravello (128 once),Amalfi (120 once), Nocera (118 once con Angri, Corbara, Pagani e S. Egidio),Scala (92 once) Cava (81 once con Cetara e Vietri) Eboli (80 once), Maiori (62once con Minori).

Altri raggruppamenti con oltre 50 once non possono invece annoverarsi come centriimportanti in quanto in effetti risultavano dalla riunione di molti piccoli abitati senzaun centro preponderante, tali erano Caserta, Giffoni, Montecorvino, Tramonti, MercatoS. Severino, Castellabate, Rocca Cilento, Novi Velia e Gioi.

Considerando ora quali erano divenuti nel 1789 i 32 abitati piu popolati, troviamo(espressi in numero di abitanti):

- In provincia di Caserta: Arienzo (10.777) Aversa (13.825) (Capua (7.838) Caser-ta (16:228) Maddaloni (10.975) Santa Maria Capua Vetere (10.140) Sessa A.(13.268)

- In provincia di Benevento: Benevento (13.882)

- In provincia di Napoli: Afragola (12.647) Boscotrecase (10.738) Castellammare(9.711) Forio (8.123) Frattamaggiore (8.464) Giugliano (7.939) Marigliano (8.122)Napoli (438.840) Nola (8.516) Ottaviano (14.411) Pozzuoli (9.010) Procida (12.518)Sorrento, Meta, Piano, S. Agnello (23.320) Torre del Greco (15.766) Vico Equense(10.678).

- In provincia di Avellino: Ariano (9.809) Avellino (12.280)

- In provincia di Salerno: Cava dei Tirreni (24.254), Castel S. Giorgio con Sianoe Bracigliano (11.134). Nocera Superiore e Inferiore (18.563), Salerno e casali(17.090), Sarno (11.983).

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6 Vicende belliche ed eventi sismici

I primi decenni del trecento non furono in Campania ovunque un periodo di crescentesviluppo demografico, come dimostra lo studio di V. Aversano (1984). Vaste zone,particolarmente della provincia di Salerno, furono spopolate o addirittura abbandonatein conseguenza della Guerra del Vespro (1282-1302). Egli individua attorno a settantavillaggi abbandonati e per molti altri una consistente flessione della tassazione dovutaallo stesso motivo.

In che misura la popolazione sia stata decimata dagli eventi bellici oppure sia fuggitaandando a incrementare le popolazioni dell’interno della regione, e difficile dire.

Un’altra zona, corrispondente alla media valle del Volturno, presenta anch’essaindizi di flessione come risulta dagli alleggerimenti fiscali accordati da parte dello stato:Caiazzo e alleviato di oltre 16 once, Alvignano di oltre 7 once, Telese di oltre 1 oncia,Calvi di 3 once, Ailano di oltre 6 once, Presenzano di oltre 4 once.

In questo caso pero il fisco presumeva che gli abitanti diminuiti fossero andati,almeno in parte, a rifugiarsi in altri e difatti un incremento di imposta pari a quelladella detassazione, viene applicata a quasi tutti gli abitati della zona.

Altro motivo di scomparse o abbandoni e da ricercarsi nei ricorrenti gravi fenomenisismici che hanno colpito la regione ed in particolare in quello gravissimo del 1456.

Solo un numero limitato di centri ha cambiato del tutto il proprio nome (si vedanoi prospetti analitici in appendice) e solo alcuni di essi si sono spostati nel loro territorioperche le distruzioni di un terremoto avevano reso inabitabile il sito, tale e il caso diMarzanello Vecchio in provincia di Caserta e di Sacco Vecchio in provincia di Salernoche sono stati riedificati poco distanti dal centro piu antico.

Il nucleo maggiore di abitati menzionati nel 1320 e successivamente scomparsi sitrova prevalentemente a nord di Benevento.

Alcuni sembrerebbero essere stati sostituiti dal centro comunale attuale che difattinon viene menzionato: Limata (once 9) da luogo a S. Lorenzo Maggiore; Monteleone(once 4) da luogo a Pesco Sannita; S. Severo (once 23) da luogo a S. Marco dei Cavoti;Decorata (once 4) da luogo a Colle Sannita; Ripa de Alterno (once 6) da luogo a S.Bartolomeo in Galdo.

Altri invece scompaiono ma accanto ad essi aveva gia vita l’attuale centro comunale;Botticella (once 10) in comune di Fragneto l’Abate; Connachifium (once 5) e Cannap-inum (once 7) in comune di Morcone; Turris Palacii (once 2) e Feniculum in comunedi Torrecuso; Petra Maior (once 6) in comune di S.Giorgio la Molara; Terra Rubea(once 4) in comune di Pago Veiano; Barba (once 16) in comune di Ceppaloni; Massasuperiore in comune di S. Salvatore Telesino; Ortula in comune di Ducenta; Monteronein comune di Fragneto Monforte; S. Angelo di Radiginosa in comune di S. Croce delSannio; Caprarium presso Benevento; Casale Johannis in comune di Circello.

In provincia di Avellino scompaiono i due abitati di S. Maria di Ilice (once 5) e diCastilionem de Comitissa (once 7) in comune di Calitri quello di Petra Palumba (once 1)

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in comune di Monteverde; Malum in Ventre (once 1) in comune di Caposele; Amandum(once 5) in comune di Ariano; Torre Morella (once 2) in comune di Castelvetere;Oppidum che piu tardi dara vita a Lioni.

In provincia di Salerno scompaiono S. Sicilia (once 7) nella piana di Eboli; CastrumMaris de Stricta (once 4), in comune di Ascea entrambi colpiti dalla malaria; Persano(once 3) in comune di Serre, S. Licandro (once 4) Vignale (once 5) e Massa (once 4) incomune di Sicignano; Cadossa (once 6) in comune di Montesano, Tropianum (once 1)in comune di Camerota, Corbella (once 15) ove poi sorgera Cicerale. Nella Valle delCalore Lucano, S. Angelo a Fasanella, sorge presso la distrutta Fasanella (once 15); daPantulianum (once 5) e Civitas Pantuliana (once 2) ha origine Ottati.

7 L’uso del suolo

Il volto fisico della Campania sei o sette secoli fa era molto diverso da quello attuale:i monti a sottosuolo calcareo dell’Appennino e del Preappennino erano, molto piu dioggi, coperti di boschi, anche se il lento regresso di questi e un processo favorito dalcambiamento climatico di lungo periodo ed innescato, prima dagli incendi sistematica-mente appiccati soprattutto durante le invasioni saracene, poi continuato dai pastoriper assicurarsi nuovi pascoli e poi ancora, dal secolo XVIII in avanti, dai disboscamentioperati dagli agricoltori in cerca di nuova terra da coltivare.

Le zone piu in quota e gli altopiani riuscirono invece a sfuggire al degrado percheirraggiungibili per mancanza di strade e rimasero dominio incontrastato di splendidiboschi, soprattutto faggete di alto fusto.

La differenza saliente nel passaggio mediovale della Campania, rispetto a quellarecente, e pero nell’aspetto delle pianure.

La secolare subsidenza della area costiera, l’ostacolo che i cordoni dunali opponevanoai deflussi fluviali e la malaria –diretta conseguenza dei due primi fenomeni – avevanotrasformato vaste aree vicine alla costa in specchi d’acqua perenni, lagune o ristagniinvernali.

Cio avveniva lungo tutta la costa campana ma in quella circostante il Vesuvioil fenomeno era reso piu complesso, ed aggravato dagli intensi processi diluviali chele piogge andavano producendo – dal tempo dell’eruzione di Pompei in avanti – neimateriali incoerenti emessi dallo stesso vulcano, sul Monte Somma e sulle vicine grondedel Preappennino su cui anche si erano deposti.

Le originarie linee di deflusso nelle pianure vennero, per tali apporti ostruite in piuluoghi dai depositi diluviali di diretta o indiretta origine vulcanica, che costrinsero leacque a dilatarsi in paludi interne a monte di essi, anzicche defluire liberamente.

In una rapida rassegna delle nostre pianure, procedendo dal Garigliano, troviamomemoria nella cartografia geografica antica, di un vastissimo specchio d’acqua denom-

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inato “Pantano di Sessa” interposto fra le dune costiere e i depositi interni – anch’essivulcanici – del Roccamonfina.

Egualmente il bacino del basso Volturno era una landa desolata, quasi priva diabitati, che – man mano che ci si avvicinava alla costa – diveniva sempre piu palustreo addirittura lagunare.

Il contiguo bacino dei Lagni, in vari punti sbarrato dai menzionati apporti diluvialivesuviani che ne ostacolavano il regolare displuvio, si presentava interrotto da zonepalustri o da aree soggette a esondazioni stagionali.

Palma Campania aveva un pantano delimitato dai depositi alluvionali, che os-tacolavano il deflusso delle acque sia verso il bacino del Sarno che verso quello deiLagni.

Presso Nola, il “Bosco Fangone” era una vasta zona ove i Lagni ristagnavano de-positando limo e inpedendone la coltivazione; piu a valle Acerra era circondata da zonepaludose fra le quali quella del pantano di Suessula (detta appunto anticamente “Sues-sula Pantani”) alla cui formazione contribuivano anche le sorgenti del Calabricito; essoera anche denominato Gaudello appunto perche, divenuto incoltivabile, era regredito abosco.

Anche Marcianise aveva una vasta area palustre che poi, presso la costa, riprendevacon una vastissima laguna retrodunale fra la zona di Vena e il lago Patria.

Alle falde del Vesuvio, presso Napoli, il Sebeto, alimentato dalle sorgive di Vollaaveva anch’esso difficolta di sbocco a mare e si dilatava a formare le note “paludi diNapoli” sopravvissute fino al secolo scorso.

Sul lato opposto, presso Pompei i grandi sedimenti vesuviani avevano sbarrato ilcorso del Sarno respingendolo piu a sud.

Tutta la zona fra Scafati e la costa alle spalle del cordone dunale, divenuta palustre,si era anche qui trasformata in bosco, la ben nota “Silva Mala” famosa per le aggressionia chi vi transitava. Fin dal tempo angioino si ha notizia di tentativi di bonificare dettazona.

Anche nei Campi Flegrei le lagune (Fusaro, Miseno, Lucrino) ed i laghi vulcanici(Averno, Agnano) portavano la malaria fin presso la capitale.

Piu a sud il bacino del Sele era anch’esso fiancheggiato lungo la costa da formazionilagunari, piu estese e profonde in sinistra del fiume (Trentalona, Codiglione) e meno indestra (Arnosora, Spineta ). Ristagni minori si ripetevano anche all’interno, a montedi un secondo cordone di dune fossili piu antiche, all’incirca ove transita la vecchiastrada statale di Paestum.

Anche pero i bacini interni erano spesso soggetti a ristagni palustri: il Vallo diDiano, lungo ben 40 chilometri e privo di emissario superficiale, era paludoso lungotutto il suo asse centrale ed il Tanagro che lo attraversa non riusciva a smaltire leacque di piena attraverso la insufficiente caverna di Polla.

Non lontano, i bacini chiusi di Palo e di Gregorio Magno ospitavano fino al secoloscorso un lago ed uno stagno.

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Anche pero dove non sussistevano problemi idraulici gravi, come nelle valli fluvi-ali interne, i modesti ristagni d’acqua nelle golene, particolarmente dei corsi d’acquasoggetti a forti magre estive, costituivano un habitat ideale per l’agente della malaria.Cio avveniva per esempio nella piana alifana, nelle valli attorno Benevento nell’altaValle del Sele.

Anche qui, quindi, come nelle pianure costiere, le aree piane erano disabitate e gliinsediamenti erano stati costretti a ritirarsi in posizioni di mezza-costa.

Di conseguenza le pianure si presentavano cosparse di lagune, stagni, acquitrini,questi ultimi spesso ricoperti da boschi, come ancora molti toponimi ricordano; le areenon invase dalle acque ma egualmente minacciate dalla vicinanza della malaria eranoincolte, ricoperte da cespugli, utilizzate come pascoli di bufale e, nelle parti menoinsalubri, coltivate estensivamente a cereali da manodopera migrante giornalmentedagli abitati della collina.

Facevano eccezione a queste avverse condizioni di abitabilita, i due pianori a sot-tosuolo permeabile vulcanico (tufo grigio campano) che fiancheggiavano il corso deiRegi Lagni a nord (casali di Capua e Caserta) ed a sud (casali di Aversa) nei quali lecondizioni di salubrita e di fertilita dei suoli avevano, fin dal tempo romano, richiamatoun denso sistema insediativo.

Vaste superfici di boschi in pianura esistevano inoltre attorno a gran parte deicentri abitati non per motivazioni idrauliche ma per assicurare le esigenze di legnacombustibile alle popolazioni.

Nel complesso pertanto la fisionomia agricola della regione, e quella degli insedi-amneti che ne erano l’indiretta proiezione, era dunque di tipo collinare lasciando amonte le impervie alture dell’Appennino ed a valle le impaludate pianure.

8 La viabilita

La viabilita nel Medio Evo ricalcava nelle sue direttrici principali quella tracciata daiRomani.

L’asse principale era costituito dalla Via Latina che entrava nella odierna Campaniaal valico di Mignano, costeggiava la base d’imposta del Roccamonfina fino a Teano,discendeva poi attraverso Cales fino ad innestarsi sull’Appia poco prima di Capua.

Il tratto piu ad ovest della stessa Appia (fra Minturno e Capua) e la Domitiana(fra Mondragone e Cuma) erano invece divenuti secondari per il crollo del ponte sulGarigliano che impediva il transito, se non attraverso una scafa.

Dopo Capua, l’Appia rimase invece l’asse principale per dirigersi verso est in Pugliae verso sud-est in Calabria; essa infatti presso Calatia (Maddaloni) si bipartiva: unramo risaliva verso la conca caudina e raggiungeva Benevento, da dove si ramificavanuovamente proseguendo da un lato per Aeclanum, Aquilonia e Melfi (Via Appia) edall’altro per la Valle del Miscano ed il valico di S.Vito verso Troia (Via Traiana).

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A Calatia si diramava, come si e detto, il secondo asse viario importante che at-traverso Nola, Rota (Mercato S.Severino), Salerno, Eboli, Polla ed il Vallo di Diano,menava poi in Calabria.

Su questi tronchi principali si innestava la viabilita locale.

- A S.Maria Capua Vetere si distaccava la “Via Campana” che ad Aversa si bi-partiva ancora inviando un ramo a Cuma e Pozzuoli ed uno a Napoli nella “PortaCapuana”.

- Attorno al Vesuvio si sviluppava un triangolo di strade. La prima congiungevaNapoli con la zona di Pompei e poi proseguiva per Nocera, la seconda univaPompei con Nola, e la terza Nola con Napoli. Nella murazione di Pompei esisteancora il toponimo di Porta di Nola ed in quella di Napoli quello di Porta Nolana.

- All’interno, il nodo viario principale della regione era Benevento che, al centro diuna raggiera di valli, consentiva oltre –come si e detto – il transito dell’Appia edella Traiana, anche quello di altre due strade: la Via Telesina che oltrepassavail Calore a Ponte e S.Maria la Strada, attraversava Telese ed Alife e, superatoil Volturno su un ponte ora diruto, si innestava sulla Via Latina nella piana diPietravairano.

La via Benevento-Avellino-Montoro-Nocera, che al tempo del Ducato longobardo diBenevento aveva costituito l’asse di comunicazione principale interno di esso, e, dopolo sviluppo del centro di Salerno, venne integrata con un tronco per Montoro e Rota(Mercato San Severino) ove si innestava sulla via Popilia in direzione di Salerno.

Anche Avellino fu un nodo viario di qualche importanza; verso ovest esso si al-lacciava a Nola attraverso il valico di Monteforte, oppure – costeggiando ad est e anord il Partenio – andava a collegarsi trasversalmente con l’Appia nella Valle Caudina(Via Campanina). Altra via, attraverso Montaperto, raggiungeva Aeclanum (Mirabel-la) sulla via Appia. Infine un’altra coppia di strade, sempre da Atripalda (ossia dallaperiferia di Avellino) si dirigeva ad est, incrociandosi a Ponte Romito sull’Alto Caloree poi proseguendo separate: la prima attraverso Serino ed il Piano del Dragone, scen-deva a Montella e proseguiva verso la Val d’Ofanto e Conza; la seconda attraversavaChiusano e Montemarano e, dopo aver varcato anch’essa il Calore a Ponte Romito,risaliva verso S.Angelo dei Lombardi.

In provincia di Salerno l’asse principale (Via Popilia) si dirigeva da Salerno al Tus-ciano (odierna Battipaglia) poi al Ponte sul Sele presso Eboli ed a Polla. Di qui si puosupporre che, dato l’impaludamento del Vallo di Diano, vi fossero una via pedemontanain destra ed una in sinistra dirette entrambe verso Lagonegro. Da Padula due tronchitrasversali portavano l’uno a Sanza e l’altro a Marsico Vetere in Basilicata.

Pochi elementi si hanno invece sulla viabilita del Cilento; questa regione dovevapero essere quasi priva di regolari strade.

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Una di esse la “Via Cilentana” doveva distaccarsi dalla Popilia in territorio diEboli, costeggiava i rilievi pedemontani di Paestum, poi si inerpicava fino a Torchiara,ridiscendeva nella Valle dell’Alento e risaliva fino a Vallo.

Di un’altra strada fra Policastro, S.Giovanni a Piro e Tropiano (Trecchiano) si hanotizia in epoca angioina.

Una connessione fra Policastro e Sanza ove giungeva una diramazione della ViaPopilia doveva nondimeno esistere attraverso la Valle del Bussento cosı come altreconnessioni dovevano egualmente aversi nel tratto oltre Vallo.

Quelle descritte e verosimilmente molte altre di interesse locale – particolarmentenella piana campana – dovevano essere dunque le vie rotabili della regione.

Era invece molto diffuso ovunque il reticolo di mulattiere e di sentieri che collegavanotutti i centri abitati e questi ultimi con il loro territorio agricolo. Basti ricordare che,ancora nel 1861, in un contesto gia molto mutato, la Campania aveva un patrimoniodi circa 170.000 equini – in gran parte muli ed asini – per rendersi conto di quale fossestata l’entita ed il regime dei trasporti nel tempo precedente.

9 Gli insediamenti

La Campania aveva gia in epoca preromana dei piccoli insediamenti urbani che i Ro-mani al loro arrivo distrussero; come scrive Strabone (1523, Libro V, p. 172), “pervicis factae fuere civitates, aliquae vero radicitus exintae”.

Gia allora – come continuo ad avvenire per tutto il Medioevo – il modo di stroncarele capacita difensive e le istanze di autonomia di un popolo era quello di saccheggiare edincendiare le citta e disperdere la popolazione “per vicos” o, in alcuni casi, di deportarlalontana dal suo luogo di origine.

Numerose dunque erano le citta sia greche lungo la costa (Cuma, Dicearchia, Neapo-lis, Poseidonia, Hyela, Pixunte) sia etrusche o sannitiche all’interno. Fra le secondeCapua era stata “metropolis” di una federazione di dodici popolose citta (Strabone1523, Libro V, p. 173).

Anche un secolo dopo le guerre sannitiche, quando gran parte delle citta campanesi erano alleate con Annibale, alla partenza di questi, i Romani punirono duramente lecitta ribellatesi.

Capua perdette ogni privilegio e il suo fertile territorio venne confiscato e lottizzatoa coloni romani. Atella e Calatia, che avevano seguito Capua, furono punite anch’essee gli Atellani vennero trasferiti a Calatia.

I Nocerini e gli Acerrani, rimasti fedeli a Roma ed ai quali Annibale aveva invecedistrutto o incendiato le case, furono poi favoriti dai Romani che insediarono i priminella spopolata Atella e consentirono ai secondi di rientrare nella loro citta (Filangieri1973).

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Picentia, nella piana destra di Salerno, che aveva anch’essa parteggiato per Anni-bale, venne invece distrutta ed i suoi abitanti dispersi “per vicos”4.

All’inizio dell’Impero le maggiori citta della Campania erano quelle menzionate inprecedenza ed alle quali occorre aggiungere Teanum che Strabone pone al secondoposto dopo Capua e Beneventum.

Frattanto nella fertile “Campania Felix” erano state ripetutamente insediate coloniedi veterani romani, prima fra le quali, quella che a Capua era stata tradotta in operacon la grande centuriazione di circa 50.000 ettari dell’“Ager Campanum”.

Amministrativamente, al tempo di Augusto dette colonie apparivano cosı divise(Beloch 1890, p.452)

- 2 colonie di eta repubblicana antica: Vulturnum e Liternum

- 3 colonie sillane: Pompei, Abella (?) e Suessula

- 4 colonie augustee: Capua, Nola, Nuceria e Puteoli

- 1 distretto militare: Misenum

- 6 municipi: Acerrae, Atella, Cuma, Herculaneum, Neapolis, Surrentum.

La disposizione degli insediamenti romani era, con pochissime eccezioni, di pianurao di ampio fondovalle o di piano-colle ma mai arroccata, il che proveniva dalla ricercadella maggiore prossimita ai terreni coltivabili piu fertili e dalle condizioni di pacedell’Impero che non facevano temere per rischi di guerra o di brigantaggio.

Malgrado le incursioni barbariche che si susseguirono nel V secolo questa strutturaresistette alla nuova situazione e le antiche citta, sebbene spopolate ed immiserite,seguitarono a sopravvivere negli ambiti urbani antichi o in una parte di essi.

Le notizie che i cronisti del tempo ci danno delle prime incursioni saracene degliinizi del secolo IX, si riferiscono difatti alla distruzione, al saccheggio o all’incendiodegli stessi nomi di citta sopravvissute dal tempo romano.

E solo durante il secolo IX che la struttura insediativa della Campania vienesovvertita in conseguenza dell’inizio delle incursioni saracene.

Nell’estate dell’ 806 – come informa il Sigonio (1623, p. 164) “sarraceni insulas etlitora Italiae infesta latrociniis habuerunt, partim ex Africa, partim ex Hispania, quasiampridem occuparant, evecti”. Gia nell’ 809 essi si spinsero per la prima volta fin neipressi di Napoli.

L’una dopo l’altra, le maggiori citta vengono attaccate e distrutte e cosı verosimil-mente anche gran parte degli abitati minori, anche se di essi la storia non fa menzione.

Fin dai primi decenni del predetto secolo le popolazioni campane, gia decimateda un prolungato periodo di epidemie e carestie, iniziarono a riorganizzare le proprie

4“per vicos vitam agunt, ab romanis espulsi propter irritam cum Annibalem societatem”(Strabone1523, libroV:p.173).

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sedi, spesso in quelle stesse localita impervie ove si erano rifugiate al momento delleincursioni.

Da questi anni quindi il sistema di insediamento si trasforma in un sistema disedi arroccate. Difficolta enormi dovettero altresı incontrare queste popolazioni perprocurarsi l’acqua che viceversa in pianura esse trovavano facilmente in rivi, sorgenti epozzi e per sostituire almeno in parte i fertili suoli del piano con il dissodamento dellependici piu vicine al nuovo centro abitato.

Le palizzate in legno che in un primo tempo avevano difeso gli accampamenti dellepopolazioni rifugiate, vengono col tempo sostituite da cinte murarie e le capanne dacase.

Hanno origine cosı le rocche e le civite da cui derivano in gran parte i centri abitatidella Campania interna giunti fino al secolo XVIII.

La rocca, dopo essersi cinta di mura, si provvede di un castello, o talvolta si stringeattorno al preesistente castello di un gastaldo longobardo, risolve il problema idricogeneralmente mediante cisterne, traccia un nuovo disegno di strade mulattiere dorsaliper collegarsi con gli altri abitati, e con le aree coltivate od utilizzate dagli armenticome pascolo.

Il termine civita designa in quest’epoca due cose diverse e precisamente, da unlato gli insorgenti centri maggiori in cui sono presenti categorie borghesi, commerciali,artigiane, ossia le nuove embrionali citta di ispirazione comunale e dall’altro quelle cintemurate edificate in luoghi isolati ed impervi, generalmente prive di case all’interno enelle quali trovavano rifugio temporaneo le popolazioni in caso di invasione.

Nel 1320 troviamo nella fase di massimo sviluppo, l’evoluzione del sistema di insedi-amenti delineatosi con le rocche del secolo IX, arricchitosi con le “civitates” nel secolosuccessivo e proliferato in numerosissimi nuovi casali agricoli, allorche l’accresciutapopolazione non pote piu essere contenuta negli abitati murati e l’unificazione politicadelle nostre regioni rese meno pressanti le esigenze difensive delle sedi abitate, anchese disordini interni e brigantaggio perdurarono durante tutta l’epoca angioina.

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Appendice: Tabelle

Avvertenza

• I dati comunali sono raggruppati in “zone omogenee”.

• I caratteri normali indicano i comuni odierni e compongono i totali a pie di pagina.

• I caratteri in corsivo indicano le frazioni e le localita per cui si dispone di dati parziali.

• Le iniziali O.T.G. indicano le unita monetarie angioine: O = Oncia; T = Tari; G = Grana (1Oncia e pari a 30 Tari oppure a 600 Grana).

• La lettera F indica i fuochi.

• La lettera A indica gli abitanti.

• Le lettere minuscole (a, b, c, d, ecc.) rinviano ai comuni che in passato includevano piu centri.

• I puntini (..) indicano dati mancanti non meglio identificabili.

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La collana Working Paper del Centro pubblica contributi su argomenti di Economia ePolitica Agricola, Ambientale, Alimentare e dello Sviluppo Rurale. I lavori pubblicatinella Collana sono sottoposti ad una revisione informale coordinata dal Comitato diRedazione interno nominato ogni tre anni dal Comitato Scientifico del Centro.

Comitato di redazione 2002-2005:

prof. Valeria Sodano, [email protected]

dr. Gianni Cicia, [email protected]

dr. Carlo Cafiero, [email protected]

Finito di stampare il:22 aprile 2002

presso il Centro per la Formazione in Economia e Politica dello Sviluppo Rurale,Portici.

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