Cento anni di imprese per l'Italia - Confindustria

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SOTTO L’ALTO PATRONATO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

CON IL PATROCINIO DI

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a cura di Valerio Castronovo

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A tenerla a battesimo fu un robustonucleo di imprese tessili e meccaniche attive nel Nord-Ovest del Paese, dove nel corso dell'ultimo de-cennio dell'Ottocento s'era ampliata la rete delle comunicazioni ferroviarie, degli impianti idroelettri-ci e di altre infrastrutture. Inoltre s'erano ingranditi alcuni complessi siderurgici, dopo le misure doga-nali varate nel 1887 dal governo dell'epoca a presidio della nascente industria nazionale, in mododa non dover più dipendere dall'estero per la provvista di acciai e altri materiali sia d'importanza stra-tegica sia di largo impiego in vari settori d'attività. Una protezione analoga era stata assicurata allemanifatture che lavoravano la lana e il cotone. Del resto, lo stesso era avvenuto in altri paesi europeidurante i loro primi passi sulla strada dell'industrializzazione.All'alba del nuovo secolo avevano dunque cominciato a spuntare in Italia numerosi opifici e alcuni vil-laggi operai, dopo che per lungo tempo sembrava che il nostro Paese dovesse contare soprattutto sul-le risorse dell'agricoltura, sui doni del sole e della pioggia, e sulle braccia dei suoi contadini. E ciò, per-ché era privo per lo più tanto di minerali e altre materie prime, che di risorse energetiche come il car-bone e altri combustibili, e oltretutto non possedeva (a differenza di Gran Bretagna, Francia, Belgioe Olanda) ricchi dominii coloniali. Tuttavia, era dunque iniziata solo a quel tempo la nostra rincorsaalle nazioni dell'Europa occidentale che avevano già portato a compimento (da mezzo secolo se nonpiù) la Rivoluzione industriale. Ed erano perciò tante le distanze che ci separavano dal gruppo di testache occorreva una gran dose di fiducia per pensare di riuscire nell'impresa di accorciarle, in modo daconquistare un certo spazio nella divisione internazionale del lavoro e nei circuiti di mercato.Dei problemi e cimenti che era necessario affrontare, per non essere tagliati fuori dalle frontiere dello svi-

L’ITALIA INDUSTRIALE NACQUE ALL’INIZIO DEL NOVECENTO.

Fine OttocentoI lavoratori davanti all’ingresso della Manifattura Lanedi Borgosesia (Archivio Storico Zegna Baruffa Lane Borgosesia SpA).

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Torino nel 1911, nacque, il 5 maggio 1910 nel-la capitale subalpina dove stabilì anche la sua pri-ma sede, la Confederazione italiana dell'indu-stria. Ne facevano parte il Consorzio industrialimeccanici e metallurgici di Milano, il Consorzio in-dustriale ligure, la Federazione industriali monze-si, la Federazione industriale vercellese, l'Unioneindustriale della Val Ponzone, la Federazione cal-ce e cementi di Casal Monferrato, la Lega indu-striale di Torino, l'Associazione industriale dellaValsesia, l'Associazione industriale della Vallestro-na, la Lega industriale di Biella, l'Unione industria-le della Valsessera, la Lega degli industriali dellaValle di Lanzo, la Federazione industriale piemontese. I loro rappresentanti elessero alla guida della Con-federazione Louis Bonnefon, un industriale della seta d'origine francese, titolare di vari opifici serici atti-vi in Piemonte. D'altronde filati e tessuti di seta erano allora una delle pochissime produzioni che s'espor-tavano, ed erano quindi un vanto della nostra industria manifatturiera.“L'Italia che lavora e che produce”, così Luigi Einaudi salutò la nascita della Confederazione italianadell'industria, considerandola un'importante premessa per la formazione di una nuova élite economi-ca e per la creazione di un moderno sistema di relazioni industriali, analogo a quello vigente in GranBretagna, Francia e Germania. Da allora, infatti, le vertenze fra capitale e lavoro vennero gestite dal-la rappresentanza degli imprenditori e da quella degli operai, che dal 1906 aveva quale suo fulcro laConfederazione Generale del Lavoro.

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luppo ed evitare quindi la sorte di un Paese di seconda fila, erano naturalmente consapevoli le Associa-zioni imprenditoriali sorte nel frattempo in alcune località, già sedi in passato di attività per lo più di ca-rattere artigianale o semi-industriale. Ma altrettanto forte era la volontà di farcela in questa sfida che,

nell'Italia di allora, dove prevalevano ancora gli interessi della grande pro-prietà fondiaria e le tradizioni della vecchia società rurale, appariva a moltiosservatori persa in partenza o comunque troppo azzardata.Fu dunque innanzitutto una battaglia per convincere l'opinione pubblicadelle attitudini e delle potenzialità di un'industria nazionale, qualora i po-teri pubblici l'avessero aiutata a crescere di statura, quella ingaggiata daiprimi sodalizi imprenditoriali comparsi tra gli ultimi decenni dell'Ottocen-to (come quelli dei lanieri del Biellese e dei loro colleghi vicentini di Schio)e gli inizi del nuovo secolo (come quelli che raggruppavano i titolari di va-ri stabilimenti sorti a Monza, Milano e Genova).Esisteva perciò un embrione di associazionismo imprenditoriale quando vi-de la luce a Torino nel 1906 la Lega industriale, che di lì a quattro anniavrebbe dato i natali a una compagine che intendeva aggregare sotto lesue insegne le diverse rappresentanze locali del mondo imprenditoriale.D'altra parte, occorreva serrare le file nel mezzo di una congiuntura eco-nomica avversa, come quella che si prolungava dal 1907 in mezza Euro-pa, sfociata anche da noi nella restrizione del credito e nella caduta delladomanda. Ed era comunque necessario stabilire una strategia comune di

fronte alle rivendicazioni delle prime organizzazioni operaie.In questo contesto, e alla vigilia del primo cinquantennio dell'unità nazionale che si sarebbe celebrato a

1911Torino, Esposizione Internazionale.

Torino 1915Carrozzeria Fiat, salone rimessa vetture.

LUIGI BONNEFON 1910 > 1913

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Nel corso del primo quindicennio del Novecento l'Italia conobbe una svolta insenso liberale e riformatore, grazie all'efficace opera di governo di cui fu a ca-po pressoché ininterrottamente Giovanni Giolitti. In questo nuovo clima politi-co che valse a rinsaldare le istituzioni, e in coincidenza col “decollo industria-le”, il riconoscimento delle Commissioni interne operaie segnò anche la stipu-lazione dei primi contratti collettivi di lavoro. E il binomio fra industrialismo emodernizzazione divenne un obiettivo condiviso, seppur con motivazioni di-verse, sia da popolari leader sindacali (come Rinaldo Rigola, Ludovico D'Ara-gona, Bruno Buozzi) che da alcuni imprenditori protagonisti delle prime fortu-ne dell'industria nazionale: da Giovanni Agnelli a Camillo Olivetti, ai fratelliMario e Pio Perrone; da Guido Donegani a Cesare Pesenti, a Giorgio EnricoFalck, da Ettore Conti a Giovanni Battista Pirelli, a Gaetano Marzotto, da Er-nesto Breda a Giuseppe Orlando. Insieme alla moltiplicazione delle ciminieree alla formazione di un sistema di fabbrica con proprie norme interne, fecerola loro comparsa marchi aziendali ispirati agli stili e all'arte dell'epoca, fra ilLiberty e il Futurismo; mentre le vicende delle imprese che andavano per lamaggiore trovarono sempre più spazio sulle colonne dei giornali.Inoltre, di pari passo con l'ampliamento e la crescita d'importanza della produzione industriale, le As-sociazioni imprenditoriali divennero un luogo di discussione e di confronto, una fucina di idee e di pro-getti: tant'è che quelle di Milano e di Torino promossero l'istituzione presso i locali Politecnici di appo-site Fondazioni per la ricerca e la sperimentazione in vari campi d'attività. D'altronde, anche le primefacoltà di economia usufruirono degli aiuti e del patrocinio di alcune imprese.Alla tutela degli interessi di categoria si affiancò così l'esigenza di studiare nuove soluzioni per il trattamen-

to dei materiali, l'organizzazione del lavoro, l'analisi dei costi e la gestione finanziaria. A farsi carico delle attività di consulenza, non solo più in materia fiscale e legale, di cui la Confederazionesi stava prendendo carico, fu soprattutto Gino Olivetti, già Segretario Generale della Lega industriale di To-rino e poi della Confederazione. Olivetti, che non aveva legami di parentela con la famiglia a capo del-l'omonima impresa di Ivrea, ma che teneva anche lui d'occhio le esperienze industriali più significative incorso in altri paesi, assunse quale principale modello di riferimento, da trapiantare in Italia, quello concepi-to da Frederick Taylor e introdotto dal 1912 in alcuni grandi stabilimenti americani per la razionalizzazio-ne del lavoro e il miglioramento della produttività.Cominciarono così a essere conosciuti anche da noi,tramite gli scritti di Olivetti che comparivano nei bol-lettini della Confederazione, alcuni criteri e procedi-menti innovativi in fatto di specializzazione dellemaestranze, standardizzazione dei materiali, e av-vio della produzione in serie.

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Giovanni Giolitti

Al centro, G. B. Pirelli con un gruppo di amici al Politecnico di Milano.

A sinistra, Bollettino Lega Industriale di Torino.

GINO OLIVETTI Direttore Generale 1910 > 1934

FERDINANDO BOCCA 1914 > 1918

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arginare per qualche tempo scioperi e agita-zioni stipulando alcuni importanti accordi conla Confederazione Generale del lavoro comequelli sulla riduzione della giornata di lavoro aotto ore, sull'indennità di licenziamento, non-ché sulle assicurazioni di malattia, infortuni evecchiaia. Ma tutto ciò non bastò a evitare,nel settembre del 1920, l'occupazione dellefabbriche decisa dai gruppi operaisti più radi-cali e protrattasi per un mese sotto le insegnedei Consigli di fabbrica. Nel frattempo si stavaimponendo nelle campagne della Valpadanail movimento fascista con un'ondata di violen-ze e aggressioni nei confronti di leghe contadine, cooperative e sezioni del partito socialista.Di fronte al dilagare dello squadrismo, il direttivo della Confindustria auspicò che i poteri pubblici inter-venissero per ristabilire l'autorità dello Stato; e alla vigilia della marcia su Roma alcuni dei suoi princi-pali esponenti auspicarono in vari incontri un ritorno al governo di Giolitti o di un altro leader liberalecome Vittorio Emanuele Orlando.Dopo l'avvento al potere di Mussolini le speranze in una “normalizzazione” del movimento fascista, di unsuo riassorbimento nell'ambito dello Stato liberale, s'infransero nel giugno 1924, in seguito all'assassiniodi Giacomo Matteotti. Perciò, una volta che vennero in luce sia i mandatari che gli esecutori di questo de-litto, il direttivo della Confindustria chiese ai primi di settembre, con un memorandum presentato a Musso-lini, che il governo ripristinasse l'ordine e la legalità costituzionale. Inoltre continuò a opporsi al progetto del-

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1919Siena, manifestazione operaia.

DAL 1915 IL NOTEVOLE POTENZIAMENTODELLE RISORSE E DELLE CAPACITÀ

GIOVANNI SILVESTRI 1919 > 1920

RAIMONDO TARGETTI 1922 > 1923ETTORE CONTI 1920 > 1921GIOVANNI BATTISTA PIRELLI luglio > dicembre1919

produttive del sistema in-dustriale, avvenuto sotto la regia di appositi Comitati regionali di mobilitazione, fornì all'esercito un cre-scente quantitativo di armamenti: ciò che valse ad assecondare in un momento cruciale la resistenza del-le nostre truppe sul Piave, dopo la rotta di Caporetto. Ma era inevitabile, dopo il successo finale riportatodall'Italia nella Grande Guerra (che aveva segnato anche l'ingresso del nostro Paese nel firmamento eco-nomico internazionale), una difficile fase di assestamento e riconversione post-bellica. Una volta crollatele commesse pubbliche, ci si doveva misurare sia con le ingenti passività della finanza statale sia con nuo-vi sbarramenti doganali all'esportazione. Inoltre le principali imprese si trovarono ad affrontare anche unasequela di agitazioni sindacali e i fermenti politici delle masseoperaie galvanizzate dalla Rivoluzione comunista in Russia. La Confederazione dell'industria, che dall'aprile 1919 avevatrasferito la sua sede a Roma (prima in Via Vicenza e, qualchemese dopo, a Piazza Venezia nel palazzo di proprietà delle As-sicurazioni Generali), cercò pertanto di elaborare una linea dicondotta più salda e coesa al suo interno e di scongiurare i con-traccolpi sull'attività aziendale sia di una crescente pressione fi-scale che di una forte carica rivendicativa delle maestranze. Atal fine si avvalse dell'apporto di alcuni esponenti di spicco delmondo imprenditoriale avvicendatisi alla sua guida: da DanteFerraris (divenuto poi, nel giugno di quell'anno, ministro del-l'Industria e Commercio nel governo Nitti) a Giovanni BattistaPirelli, da Giovanni Silvestri a Ettore Conti. Essa giunse così ad

Anni VentiIl Palazzo delle Assicurazioni Generali a Roma, sede della Confindustria dagli

anni Venti alla fine del 1972.

DANTE FERRARIS aprile > luglio 1919

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l'organizzazione sindacale fascista, che puntava a monopolizzare la rappresentanza dei lavoratori e all'in-staurazione di un sistema corporativo integrale. La resistenza della Confindustria a entrambi questi disegni,

appoggiati da Mussolini, si sgretolò nell'ottobre del 1925: quando anche isindacati operai e i partiti antifascisti stavano ormai per essere messi al ban-do. Essa fu costretta perciò a riconoscere, con il patto di Palazzo Vidoni, il sin-dacato fascista quale suo unico interlocutore. Inoltre dovette modificare il suoemblema, quello che dal 1923 (durante la presidenza di Antonio StefanoBenni) recava un'aquila sovrastante una ruota dentata d'acciaio, quale sim-bolo di forza e indipendenza, aggiungendovi su espresse disposizioni dall'al-to un fascio littorio e l'aggettivo “fascista”. Nel decennio successivo alla Confindustria venne dettato dal governo an-che un cambiamento del suo assetto organizzativo. Le Unioni provincialidegli industriali diventarono degli uffici periferici della Confederazione,mentre le rappresentanze di categoria locali, riunite su base nazionale,vennero componendo le Federazioni di settore. Dopo un breve intermez-zo commissariale di Alberto Pirelli, il Regime impose, durante la presiden-za di Giuseppe Volpi, un'ulteriore modifica del logo con la denominazio-ne di Confederazione Fascista degli Industriali. Nel frattempo il segretariogenerale Gino Olivetti, che aveva cercato per quanto possibile di difende-re l'autonomia e l'identità originaria della Confindustria, dovette rassegna-re le dimissioni, dopo essere stato per tanti anni una delle colonne dell'as-

sociazionismo imprenditoriale, per poi rifugiarsi in Svizzera in seguito alle leggi razziali del 1938. Nel periodo fra le due guerre mondiali l'industria italiana visse periodi estremamente difficili: dapprima,

per via del dissesto post-bellico di due cospicui gruppi come l'Ansaldo e l'Ilva, poi, per la recessione do-vuta alla rivalutazione della lira “a quota novanta” nel cambio con la sterlina, imposta dal duce per mo-tivi di prestigio nazionale; ma soprattutto dopo lo scoppio della Grande Crisi del 1929 dilagata dagli Sta-ti Uniti ai principali paesi europei. Anche se il regime fascista adottò negli anni Trenta, come avvenne inaltre nazioni, una politica rigorosamente protezionistica e diverse misure a tutela della produzione nazio-nale, esse non furono sufficienti a prevenire il rischio di una frana delle maggiori banche e di varie impre-se che da esse erano di fatto controllate tramite un largo giro di partecipazioni azionarie. Di conseguen-za, si rese indispensabile l'intervento dello Stato per salvare il salvabile: ciò che portò sotto le insegnedella “mano pubblica”, attraverso l'Iri, una parte rilevante del sistema finanziario e industriale. Poche fu-rono le grandi imprese private che riuscirono a reggere sulle proprie gambe, non senza peraltro alcuni ac-cordi di cartello e grazie anche alla politica autarchica, che alimentò una congerie di rendite di posizionee di privilegi monopolistici ripartiti fra i principali gruppi. All'indomani della caduta del fascismo, il 25 lu-

glio del 1943, la Confindustria riallacciò, per iniziativadell'imprenditore piemontese Giuseppe Mazzini (nomi-nato commissario straordinario dal governo Badoglio), irapporti con le organizzazioni sindacali ricostituitesi nel-l'ambito della Cgil. Ma dopo l'8 settembre la Confedera-zione si trovò spaccata in due in seguito all'avvento del-la Repubblica Sociale Italiana nella parte della Penisolasotto occupazione tedesca, e alla giurisdizione di un go-verno nazionale fra i partiti antifascisti nelle località delSud - e poi a Roma - progressivamente liberate dagli Al-leati durante la loro avanzata nella Penisola.

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Manifesto dell’Ansaldo

ALBERTO PIRELLI gennaio > novembre1934ANTONIO STEFANO BENNI 1923 > 1934

GIUSEPPE VOLPI DI MISURATA 1934 > 1943

GIUSEPPE MAZZINI agosto>settembre1943GIOVANNI BALELLA aprile > luglio 1943

1923/1926

1926/1934

1934/1943

La ricostruzioneRinasce il tessuto industriale dopo la guerra.

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questi due tronconi vennero ricongiungendosi per iniziativa di Fabio Friggeri, quale reggente provviso-rio della Confederazione, una volta che essa fu riconosciuta dalle autorità militari anglo-americane. Tut-tavia, solo dal successivo dicembre la Confindustria potè riprendere la sua normale attività sotto la gui-da dell'armatore genovese Angelo Costa, che sarebbe rimasto alla presidenza sino al 1955. Fu questo un periodo particolarmente impegnativo per l'imprenditoria italiana, chiamata a rimettere insesto fabbriche e infrastrutture dalle devastazioni belliche. Da parte sua Costa seppe, da un lato, stabi-lire con i governi centristi di De Gasperi un dialogo co-struttivo, nel rispetto delle reciproche responsabilità; e,dall'altro, ricomporre le relazioni con le organizzazionisindacali, rimaste sino al luglio 1948 sotto le insegneunitarie della Cgil con a capo Giuseppe Di Vittorio. Ven-nero così siglati importanti accordi come quello su unosblocco concertato dei licenziamenti delle maestranzein esubero, sul ripristino delle Commissioni interne esull'istituzione della scala mobile. Inoltre Costa riorganizzò, con la collaborazione del se-gretario generale Mario Morelli, le strutture della Con-findustria, ne riaccreditò le funzioni nella vita pubblicae sostenne con vigore i principi del libero mercato, im-pegnandosi perché venissero recepiti e condivisi ancheda quanti, nel mondo imprenditoriale, erano riluttanti

ad accettarne in pieno le regole e le implicazioni pratiche.Un'espressione tangibile dell'impegno di Costa a ripristinare lospirito originario dell'associazionismo imprenditoriale, quale rap-presentante di una borghesia operosa, fu l'emblema adottatonell'ottobre del 1946 dalla Confederazione (che intanto avevaripristinato la sua denominazione precedente di ConfederazioneGenerale dell'industria italiana): si trattava di una ruota dentatad'acciaio, quale simbolo del sistema di fabbrica, sormontata daun'aquila, a significare la sua indipendenza e rinnovata vitalità. Durante la successiva presidenza di Alighiero De Micheli, nel cor-so della quale i rapporti con la dirigenza democristiana post-de-gasperiana divennero più controversi, la grande industria si pre-parò ad affrontare la progressiva liberalizzazione degli scambi,che prese il via con l'adesione dell'Italia nel marzo 1957 al Mercato Comune Europeo. Non si trattò, pe-raltro, di un passo agevole né condiviso pienamente da tutti i principali gruppi. Anche perché, lo stessoanno avvenne, per decisione del governo, il divorzio dalla Confindustria delle imprese a partecipazionestatale, passate sotto le insegne di un apposito ministero creato ex novo. Si accentuarono così le polemi-che (già roventi in precedenza) del direttivo confederale nei confronti dell'interventismo pubblico, consi-derato da De Micheli una sorta di “cavallo di Troia” della classe politica per dare l'assalto all'economia ealla finanza. In realtà, proprio l'impegno dispiegato successivamente, in parallelo, dalla grande industriaprivata e da quella pubblica pose di fatto le premesse del “miracolo economico”. Tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio del decennio successivo si delineò così una fase eccezionaledi sviluppo a cui contribuirono vari fattori (e non solo il divario fra una maggiore dinamica della pro-

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DOPO LA LIBERAZIONE NELL’APRILE 1945,

6 maggio 1945Festeggiamenti per la liberazione

della città di Torino.

FABIO FRIGGERI 1944 > 1945

1943/1946

1965Linea lavatrici Candy.

ANGELO COSTA 1945 > 1955 | 1966 > 1970

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duttività rispetto a quella dei salari) che resero più compe-titiva l'industria italiana e ne fecero sia l'asse portante del-l'economia italiana sia l'artefice di una prima ventata di be-nessere dopo le tante angustie e privazioni del dopoguerra. Tuttavia fu questo anche un periodo in cui, accanto ai note-voli progressi realizzatisi soprattutto nell'ambito del “trian-golo industriale” (fra Torino, Milano e Genova) e nelle suepropaggini, emersero alcuni problemi di ordine strutturale:dal dualismo fra Nord e Sud, all'insufficienza di adeguati servizi pubblici, ai ritardi dell'agricoltura nelcorrispondere alla domanda interna dovuta al miglioramento del tenore di vita.Al fine di risolvere questi e altri squilibri in base a una programmazione economica su scala nazionale, sidelineò all'inizio degli anni Sessanta una svolta politica dal centrismo al centro-sinistra che, comportandol'ingresso nella maggioranza di governo del Partito Socialista e un'estensione dell'interventismo pubblico,suscitò forti riserve e apprensioni nell'ambito della Confindustria passata sotto la presidenza di Furio Cico-gna: tanto più quando il governo procedette nel 1962 alla nazionalizzazione delle compagnie elettricheprivate, fra cui primeggiava la Edison con la sua vasta costellazione di partecipazioni industriali e finanzia-rie. Peraltro, la Fiat e la Montecatini, che non avevano mai visto di buon occhio la formazione della Con-fintesa (del patto d'azione siglato dalla Confindustria con la Confagricoltura e la Confcommercio in occa-sione delle elezioni politiche del 1958), si dissociarono dalle posizioni assunte dal vertice confederale difronte all'avvento del primo governo organico di centro-sinistra, in quanto ritenevano che la dirigenza con-federale non dovesse restare arroccata a presidio di posizioni conservatrici ormai anacronistiche.I risultati della programmazione economica, che avrebbe dovuto garantire un processo di sviluppo ter-ritoriale più omogeneo e una più equa distribuzione del reddito, non corrisposero poi alle aspettative

originarie a causa dei contrasti interni alla coalizione di governo e delle carenze dell'amministrazionepubblica sul piano operativo. Venne perciò addensandosi nei principali centri industriali, sovraffollatisinel frattempo per il trapianto di crescenti flussi di immigrati dal Sud e dalle campagne in cerca di la-voro, una massa prorompente di istanze sociali (dovute al rincaro dei prezzi dei beni di prima neces-sità e all'insufficienza di abitazioni, scuole, strutture sanitarie) e di rivendicazioni sindacali che sfocia-rono alla fine nell'“autunno caldo” del 1969. Durante la seconda presidenza di Costa, chiamato a ricondurre la Confindustria fuori dal terreno minato del-le controversie politiche, il mondo imprenditoriale si trovò così alle prese con una crescente conflittualitàoperaia, che essa non aveva messo in conto o che ritenevadi poter neutralizzare con certe forme tradizionali di assisten-zialismo e paternalismo. Oltretutto, alle pressioni sindacali siaggiunsero, agli inizi degli anni Settanta, le gravi conseguen-ze provocate sia dalla disgregazione del sistema monetarioe finanziario internazionale vigente dal dopoguerra sia dalvertiginoso rincaro del petrolio e di varie materie prime. Par-ve così che le fondamenta del sistema imprenditoriale nonsarebbero riuscite a reggere a questo triplice impatto.In seguito a una spirale altrettanto inedita quanto micidia-le fra recessione e inflazione, anche i principali complessirischiarono infatti di venire travolti. A sua volta, la dirigen-za della Confindustria si trovò a dover fronteggiare un'on-data di anatemi politici e ideologici nei confronti dell'im-prenditoria privata. E se è vero che in queste requisitorie

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1969L’”autunno caldo”.

FURIO CICOGNA 1961 > 1966ALIGHIERO DE MICHELI 1955 > 1961

1957La firma dei trattati istitutivi della CEEa Roma.

1946/1983

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RomaAuditorium della Tecnica.

s'intrecciavano ripulse radicali del sistema capitalistico, miraggi di autogestione operaia e confuseistanze per un “nuovo modello di sviluppo”, non è che l'élite economica fosse esente a sua volta dacerti peccati di miopia e di scarsa perspicacia, avendo mantenuto fino ad allora connotazioni sostan-zialmente oligarchiche, e così era avvenuto per il suo sistema di rappresentanza.S'impose perciò l'esigenza sia di una riorganizzazione delle strutture confederali (che assicurasserouna partecipazione più attiva e diretta delle Associazioni territoriali e di categoria) sia di un'opera vol-ta a rileggittimare il ruolo sociale e l'immagine della classe imprenditoriale. Per corrispondere a questa duplice finalità venne insediata in Confindustria una commissione presiedutada un industriale come Leopoldo Pirelli (che univa a una vocazione autenticamente liberale una visionelungimirante dei compiti e delle responsabilità dell'imprenditoria privata), con l'incarico di stabilire i prin-cipi ispiratori di un nuovo Statuto. Auspicata in particolare dal Comitato dei giovani industriali (costituitosinel 1966), quella che sarebbe stata definita come la “riforma Pirelli” si basava su alcune idee-guida perla trasformazione della Confindustria in un soggetto capace di misurarsi con i problemi di fondo del Pae-se e di interagire a tal fine con il governo e le forze sociali. Ciò che comportava in pratica sia un rapportotriangolare fra le rappresentanze dell'impresa e del lavoro e gli organi della politica economica; sial'impegno della Confindustria di abbinare nei suoi programmi la crescita economica al progresso civile eculturale della collettività, e, quindi, di coniugare gli interessi delle aziende con quelli più generali del Paese.Anche se la “riforma Pirelli” non trovò immediatamente attuazione in tutti i suoi obiettivi, si comin-ciò, durante la presidenza di Renato Lombardi (affiancato efficacemente dal direttore generale Fran-co Mattei), a porre mano a una revisione della linea d'azione della Confindustria in modo che fossepiù sintonizzata con i cambiamenti in corso nella società e più aperta al mondo esterno. Ci si impe-gnò inoltre a riallacciare il dialogo con le organizzazioni sindacali, prendendo atto delle norme delloStatuto dei lavoratori approvato per legge nel maggio 1970.

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RENATO LOMBARDI 1970 > 1974

FRANCO MATTEI Direttore Generale 1970 > 1976

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1975Gianni Agnelli, Presidente di Confindustria (1974/1976)e Luciano Lama.

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della confederazione, non solo nei rapporti con le istituzioni pubbliche, gli organismi ministeriali e gli en-ti previdenziali. Inoltre si erano estese sia le loro attività di consulenza per le Associazioni territoriali e dicategoria, sia le iniziative editoriali e quelle di relazioni esterne. Si era così provveduto alla costruzione,nel quartiere dell'Eur, di un moderno edificio (progettato dagli architetti Vincenzo Monaco e AntonioLuccichenti). E alla fine del 1972 la Confindustria vi aveva trasferito la sua sede potendo usufruire, intal modo, per le sue manifestazioni anche dell'Auditorium della Tecnica (concepito da Pierluigi Spadolini),nonché di un cospicuo numero di sale multifunzionali.Peraltro, il confronto con il sindacato procedette faticosamente, con ricorrenti battute d'arresto. E ciò,nonostante ci si trovasse a negoziare, non più con tre diverse organizzazioni (come in passato) quan-do ognuna di loro procedeva separatamente per conto proprio, ma con un fronte sindacale che nelletrattative con la Confindustria presentava piattaforme rivendicative unitarie. Sennonché la dirigenzasindacale doveva vedersela con le pulsioni massimaliste dei “Collettivi di base” e con le tendenze au-tonomiste ed eterogenee dei Consigli di fabbrica. Di fatto, solo durante la presidenza di Giovanni Agnelli, chiamato al timone della Confindustria anche per rea-gire al sopravvento di una “borghesia di Stato” imparentata trasversalmente con i centri di potere politici, fupossibile trovare un punto d'incontro con le Confederazioni sindacali, in nome di un'“alleanza tra i produt-tori” contro rendite e privilegi corporativi. Ciò che portò nel gennaio 1975 all'accordo sull'indicizzazione deisalari che, se concorse ad alimentare l'inflazione, valse ad attenuare una microconflittualità nelle fabbricheche risultava ormai incontenibile. Dopo quest'intesa sembrò che si dovesse aprire (anche per via del rappor-to personale di reciproca fiducia stabilitosi fra il massimo esponente dell'imprenditoria e il leader della CgilLuciano Lama) una nuova stagione di relazioni industriali imperniate su una sorta di “patto sociale”. Ciò chepoi non avvenne, anche se Confindustria e sindacati assunsero di fatto funzioni di “supplenza politica” in

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NEL FRATTEMPO SI ERANO MOLTIPLICATE LE FUNZIONI DELLE VARIE SEZIONI CENTRALI

PAOLO SAVONA Direttore Generale 1976 > 1980

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te specifiche ricerche economiche e sociologiche, e si pose mano all'impostazione di uno “Statutod'impresa”, con l'intento di affrancare il sistema imprenditoriale dai “lacci e laccioli” politici e burocraticiche ne impacciavano le potenzialità. Alla tutela degli interessi di categoria si abbinò così l'elaborazione diprogetti e iniziative di più ampio respiro, intese allo sviluppo di una moderna cultura d'impresa.Era andata crescendo nel frattempo una miriade di piccole e medie aziende. E la loro performance erastata un'autentica fortuna in una fase in cui i principali gruppi industriali stavano arrancando. Delle istan-ze di questa imprenditoria propagatasi “dal basso”, si rese interprete dal 1980, durante la sua presi-denza, Vittorio Merloni, la cui esperienza imprenditoriale era coincisa con lo sviluppo di uno dei nuovidistretti industriali formatisi nelle Marche. Nel corso del suo mandato si procedette alla disdetta nel 1984del precedente accordo sulla scala mobile. Questa decisione venne sancita, l'anno dopo, dal risultatodel referendum, con cui la maggior parte degli italiani si dichiararono contrari alla proposta di ripristina-re un congegno di indicizzazione dei salari che risultava, all'atto pratico, fonte di spinte inflattive.Inoltre, la Confindustria andò promuovendo indagini e iniziative, di larga risonanza nella stampa e inaltri media, sui temi della scuola, della ricerca e delle nuove tecnologie. Ed era stato modificato, a sim-boleggiare una sintesi fra tradizione e innovazione, l'emblema della Confederazione stilizzando il se-gno grafico dell'aquila e della ruota dentata e trasformando il suo logo in quello di Confindustria, piùsemplice ed efficace in termini comunicativi.Dal 1984, fu la volta di un imprenditore di prima generazione come Luigi Lucchini a valorizzare nel-l'ambito della Confederazione il ruolo delle nuove componenti imprenditoriali che stavano afferman-dosi sempre più dal Nordest ad alcune località del Centrosud in via di forte sviluppo. Un fenomeno,questo, che stava a dimostrare ulteriormente la centralità dell'impresa nella realtà economica e socia-le del Paese. Lucchini s'impegnò anche a mettere in ordine i conti della Confederazione e a riorganiz-zare la gestione editoriale del “Sole 24 Ore”.

una fase di forte instabilità a livello governativo.Dal 1976 fu una figura che non apparteneva al mondo im-prenditoriale, ma di notevole prestigio come Guido Carli, go-vernatore dal 1960 per quindici anni della Banca d'Italia, aessere eletto alla presidenza della Confindustria. Ma si eratornati frattanto nel mezzo di un periodo di forti tensioni so-ciali e continuava per di più a imperversare l'offensiva delterrorismo che prendeva di mira, insieme a magistrati edesponenti politici, imprenditori e dirigenti industriali. Era per-ciò indispensabile che i partiti accantonassero le loro diver-genze e unissero le proprie forze a presidio delle istituzionidemocratiche. Fu quanto avvenne dopo il sequestro el'assassinio nel maggio 1978 di Aldo Moro per mano delle “Brigate Rosse”, con la formazione di un go-verno di “solidarietà nazionale”. La Confindustria contribuì, dal canto suo, attraverso le iniziative di alcunisuoi esponenti più autorevoli, ad avallare questa svolta politica a Washington e in varie sedi internazionali. Ma occorreva intanto venire a capo di una nuova pesante congiuntura economica, a causa di un'ulterioreimpennata dei prezzi petroliferi avvenuta nel corso del 1979, che aveva ridato ali all'inflazione. Oltretut-to s'era manifestata una reviviscenza della conflittualità operaia nei principali stabilimenti. Per queste e al-tre cause di ordine strutturale si temeva perciò una sorta di corto circuito del sistema economico.In questo frangente si rivelò preziosa l'opera di Carli, dato che mise a punto (con la collaborazione del nuo-vo direttore generale di Confindustria, l'economista Paolo Savona) alcuni requisiti e congegni che consen-tissero di individuare le soluzioni più appropriate per un rilancio della produzione e lo sviluppo di nuove for-me di governo dell'impresa. A tal fine venne istituito il Centro Studi della Confederazione, furono condot-

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VITTORIO MERLONI 1980 > 1984 PAOLO ANNIBALDI Direttore Generale 1984 > 1990

GUIDO CARLI 1976 > 1980 LUIGI LUCCHINI 1984 > 1988

1983/2003

RomaL’attuale sede di Confindustria, accanto

al Palazzo della Civiltà del Lavoro.

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solidamento delle attività didattiche e di ricerca dellelibere Università create e patrocinate da Confindustria(la Luiss a Roma e la Liuc a Castellanza), nonché ladecisione, nella ricorrenza degli ottant'anni di vitadella Confederazione, di aprire il suo Archivio storicoagli studiosi. L'indirizzo della Confindustria, pronunciatasi per un piùrapido ed efficace processo di integrazione tanto politi-ca che economica fra i paesi dell'Unione europea, ven-ne ribadito con la presidenza di Luigi Abete. D'altra par-te, assunsero notevole rilievo, durante il suo mandato,l'intesa siglata nel luglio del 1992 con le organizzazio-ni sindacali per l'abolizione della scala mobile e il pro-cesso di privatizzazione del sistema industriale deter-minato dall'epilogo del Ministero delle PartecipazioniStatali. La Confindustria cominciò così ad ampliare lasua base associativa in seguito al ritorno sotto le pro-prie insegne di varie aziende dell'Iri che se n’erano di-staccate nel 1957 e all'inclusione di alcuni enti (come quello delle Ferrovie) appartenenti preceden-temente alla sfera statale.Peraltro, nel corso della prima metà degli anni Novanta, non solo numerosi esponenti del mondo po-litico ma anche i dirigenti di alcune imprese vennero coinvolti nelle inchieste giudiziarie su “Tangento-poli”, sul finanziamento illecito dei partiti, che componevano soprattutto la maggioranza di governo.

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ERANO QUESTI GLI ANNI IN CUI L’ITALIASTAVA SORPASSANDO LA GRAN BRETAGNAin termini di Pil e continuava ad accrescere, con l'esportazione di prodotti di sempre maggior qualità, lasua presenza in numerosi circuiti commerciali. D'altro canto, in vista dell'apertura del mercato unico eu-ropeo prevista per il 1993, la nostra industria stava procedendo a un'opera di ristrutturazione azienda-le adottando procedimenti di lavorazione più agili e in senso orizzontale e nuovi criteri organizzativi ba-sati su una maggior autonomia delle diverse componenti del sistema di fabbrica. Peraltro, era divenutoindispensabile che le imprese potessero contare su adeguate infrastrutture, su una maggiore efficienzadella pubblica amministrazione e sull'ammodernamento di vari servizi del settore terziario.Sulla soluzione di questi problemi s'incentrarono pertanto gli appelli della Confindustria durante la

presidenza di Sergio Pininfarina, a capo di una delle im-prese più note del “made in Italy”. Nel corso del suomandato assunse particolare importanza l'intesa (sigla-ta nel dicembre 1991) fra governo, Confindustria e sin-dacati, per raccordare la dinamica salariale alla lottacontro l'inflazione, in quanto venne così meno, dalmaggio 1992, la corresponsione del “punto pesante”di contingenza. Risalgono a questo periodo anche lastesura di un Codice etico (sui principi a cui si sarebbe-ro dovuti attenere gli associati) nell'ambito di una rifor-ma generale del sistema confederale (impostata da unaCommissione presieduta da Emilio Mazzoleni), il con-

SERGIO PININFARINA 1988 > 1992

LUIGI ABETE 1992 > 1996

RomaPalazzo della Luiss.

Progettazione Cad Cam

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In questo frangente il direttivo della Confindustria (che aveva intanto tradotto i principi del suo Codi-ce etico in apposite norme per i propri associati), espresse la propria fiducia nell'opera della magistra-

tura. Inoltre, s'impegnò a favore di vari referendumper le riforme istituzionali e intensificò i suoi rappor-ti con la società civile attraverso più ampie relazio-ni con sodalizi, istituzioni culturali, associazioni pro-fessionali. Sul versante delle relazioni industriali ilprotocollo d'accordo con i sindacati, del luglio1993, sulla determinazione della dinamica salaria-le entro un tetto di inflazione programmata, segnòil passaggio dal modello consociativo al nuovo me-todo della concertazione fra le parti sociali e il go-verno. Per il nostro Paese si trattava ora di allineare i suoiconti pubblici ai parametri fissati nel trattato di Maa-stricht del febbraio 1992. Occorreva perciò proce-dere a una serie di riforme strutturali (fra cui quel-la delle pensioni) e dare nuovo ossigeno e impulsoall'intero sistema produttivo, in quanto erano in vi-sta sia la libera circolazione dei capitali sia la pro-

gressiva uniformazione delle politiche industriali e l'armonizzazione di quelle finanziarie. Furono que-sti gli obiettivi che la Confindustria pose al centro dei suoi rapporti, prima, col governo di centro-destrapresieduto da Silvio Berlusconi e poi con quello “tecnico” di Lamberto Dini. La dirigenza confederale

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BruxellesPalazzo della Comunità Economica Europea.

s'impegnò poi con particolare vigore dal 1996, durante la presidenza di Giorgio Fossa, affinché il suc-cessivo governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi agisse in modo da rendere possibile l'in-gresso dell'Italia nell'Unione Economica e Monetaria Europea, ciò che avvenne nel maggio 1998.Frattanto avevano cominciato a diffondersi in vari campi d'attività le nuove tecnologie informatiche. E incoincidenza con le loro crescenti applicazioni pure nell'ambito delle piccole imprese per particolari seg-menti della produzione, era andato crescendo, da partedei principali gruppi industriali, il decentramento di alcu-ne loro lavorazioni verso una moltitudine di aziende mi-nori particolarmente specializzate. Questo fenomenoassunse sempre più rilievo nella seconda metà degli an-ni Novanta. D'altro canto lo stesso presidente della Con-findustria era un imprenditore che proveniva da uno deidistretti industriali (come quello di Varese) caratterizza-ti dall'espansione delle Pmi e del loro indotto. Fu questo un periodo in cui prese il via un intenso di-battito a più voci promosso dalla Confindustria - per ini-ziativa del suo Direttore Generale, l'economista Inno-cenzo Cipolletta - su temi cruciali come la riforma delsistema previdenziale e sanitario, la semplificazionelegislativa e amministrativa, lo sviluppo della forma-zione professionale, la riduzione della pressione fisca-le sulle imprese, la liberalizzazione del sistema finan-ziario e la flessibilità del mercato del lavoro.

GIORGIO FOSSA 1996 > 2000

2003/2009

Energy Trading Room

INNOCENZO CIPOLLETTA Direttore Generale 1990 > 2000

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Parma 12-13 aprile2002

Convegnodel Centro Studi.

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DOPO CHE NEL 1999 ERA STATA APPROVATADALL’ASSEMBLEA UNA “CARTA DEI VALORIASSOCIATIVI”, la Confederazione celebrò nel 2000 i suoi novant'anni di esistenza,anche con l'adozione di un particolare emblema commemorativo di questa ricorrenza. Venne inoltreistituito presso l'Università di Castellanza un Archivio del cinema industriale e delle comunicazionid'impresa, ricco di un migliaio di filmati, provenienti dalla cineteca di Confindustria, di particolareimportanza per la memoria storica dell'industrialismo italiano. Durante la presidenza di Antonio D'Amato, primo imprenditore del Sud chiamato al vertice del Palaz-zo dell'Eur, divenne sempre più pervasivo e trasversale nell'agenda di Confindustria il tema della com-petitività, in coincidenza con gli ulteriori progressi della globalizzazione. Si provvide perciò a metterea punto un modello di sviluppo che fosse in grado di indicare alle imprese associate come agire effi-cacemente di fronte ai mutamenti di scenario determinati sia dalla preminenza dell'economia ameri-cana nelle innovazioni e nella ricerca scientifica, sia dall'irruzione sulla scena dell'industria cinese, av-vantaggiata da costi di lavoro estremamente bassi. Sennonché le gravi perturbazioni economiche e finanziarie provocate dall'attacco terroristico alle TwinTowers di New York, dell'11 settembre 2001, sfociarono in una grave congiuntura recessiva. Venne

così meno la vivace fase di intensificazione degli scambi e delle relazio-ni internazionali che s'era manifestata nel corso dell'ultimo decennio delNovecento, all'indomani del crollo del Muro di Berlino e del regime co-munista nei paesi dell'Est e in Russia. In Confindustria ci si impegnò pertanto a individuare, attraverso l'appli-cazione al Sistema-Paese del metodo del benchmarking (lo stesso del-

ANTONIO D’AMATO 2000 > 2004

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re una sempre maggiore integrazione con i settori emergenti del mondo produttivo, con le nuove im-prese, con il nuovo modo di fare impresa.Dal 2004, con la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo, la Confindustria agì su due fronti. Daun lato, si impegnò a valorizzare le risorse e le potenzialità di quella parte del sistema produttivo co-stituito da imprese grandi e piccole che si distinguevano per particolari punte d'eccellenza, capaciquindi di competere e affermarsi con successo sui mercati internazionali. Dall'altro, si provvide a ela-borare, e a porre all'attenzione delle forze politiche e del Governo, determinate misure per rimette-re in corsa quella parte del Paese che invece stentava a crescere, non attraeva investimenti e accu-sava bassi livelli di produttività. Nell'ambito delle riflessioni maturate in funzione di questo program-ma d'attività, Montezemolo sottolineò l'importanzadi una nuova cultura dell’impresa basata sul binomiofra competitività e responsabilità sociale, quale ele-mento fondamentale per l’impostazione dei proces-si decisionali. Ma se le imprese dovevano fare del loro meglio per con-seguire standard di sviluppo più elevati, occorreva cheil Governo alleggerisse una pressione fiscale sulle azien-de eccessivamente pesante. Altrettanto indispensabileera un protocollo con i sindacati sul Welfare che assicu-rasse concreta applicazione alla “legge Biagi” e mag-giori incentivi alla contrattazione di secondo livello. In via generale, l'appello che il mondo imprenditoria-le continuava a rivolgere alla classe politica era che

31302004 Modelle in abiti di Laura Biagiotti

in occasione dell'inaugurazionedel Circuito di Formula Uno di Shanghai.

LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO 2004 > 2008

le aziende), quali fattori potessero migliorare le connotazioni dell'industria italiana e ad accrescernele potenzialità. A tal fine si giunse a stabilire determinati criteri di responsabilità, trasparenza e valu-

tazione dei risultati, ritenuti indispensabili per latransizione della nostra economia verso le fron-tiere di un capitalismo sempre più aperto al mer-cato e per il rilancio delle aree meno sviluppatesenza più le stampelle dello Stato. Nel frattem-po, con la “legge Biagi” del febbraio 2003, si de-lineò la prospettiva di un nuovo assetto del mer-cato del lavoro più agile e articolato; mentre ilconfronto tra imprese e sindacati si estese dalcampo della concertazione fra le parti e il gover-no a quello di un “nuovo dialogo sociale”.Nello stesso tempo emersero i primi lineamenti diun'organizzazione interna che aveva per assi por-tanti le Federazioni regionali e per obiettivo unapiù intensa partecipazione degli associati ai pro-cessi decisionali grazie anche all'attivismo del Co-mitato della Piccola Industria e di quello dei Gio-vani Imprenditori. Venne inoltre apportato un ul-teriore restyling dell'emblema confederale, ren-

dendo l'aquila più stilizzata ed eliminando il segno degli artigli. L’ingranaggio resta a significare il for-te aggancio con l’economia reale, ma la ruota dentata attenua i tratti tecnici e si apre a simboleggia-

Parabola spaziale

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essa eleggesse la “cultura del merito” quale elemento precipuo di riferimento: sia per garantire con-dizioni di equità sociale e pari opportunità di avanzamento e autorealizzazione individuale, sia per di-sincagliare il Sistema-Paese dal rischio dell'immobilismo e di una paralisi della crescita economica. In questo periodo la Confindustria assunse dimensioni sempre più consistenti e polisettoriali, in segui-to all'ulteriore confluenza nel suo ambito di vari gruppi facenti parte in passato del comparto pubbli-co e operanti anche nel campo dei servizi e delle infrastrutture. Inoltre, insieme a varie attività in li-nea con il principio della “responsabilità sociale” dell'impresa e intonate a nuovi rapporti fra industriae cultura, s'intensificarono le iniziative per una maggiore internazionalizzazione del nostro sistemaproduttivo. Di qui il “lavoro di squadra” intrapreso dalla dirigenza confederale (insieme al governo,all'ICE e all’ABI) con l'organizzazione di numerose missioni all'estero. Inoltre il dirigente confedera-le si impegnò nelle sedi di sua pertinenza, per un rilancio della politica europea sul versante econo-mico e istituzionale, mentre una novità significativa è consistita nella decisione di portare in Borsa il

“Sole 24 Ore”, ormai affermatosi da tempotra i principali quotidiani italiani.Nel 2008 Emma Marcegaglia è stata elettaalla presidenza di Confindustria. È la primadonna a ricoprire l'incarico di rappresentantedegli industriali; e ciò in base a una designa-zione, pressoché unanime. Il consenso e la fi-ducia nei suoi riguardi hanno trovato poi ulte-riore riscontro nella crescita del numero delleimprese associate che oggi è giunto così allacifra di oltre 143.000.

D’altronde Emma Marcegaglia si è trovata asvolgere un compito estremamente arduo,in seguito alla devastante crisi finanziariaprovocata dal crollo dei principali colossibancari americani e dai suoi effetti dirom-penti, riversatisi dagli Stati Uniti in tante al-tre parti del mondo, sull'andamento dell'in-dustria e dei servizi e sui livelli dell'occupa-zione. Di qui il suo programma incentrato sutre obiettivi: la valorizzazione delle risorsetanto delle imprese industriali che di quellespecializzate nel terziario avanzato ai fini diuna sempre maggiore internazionalizzazio-ne del Sistema-Paese; un'intesa con i sindacati per dare più spazio alla contrattazione di secondo livel-lo; e lo sviluppo di una “cultura della condivisione” nell'ambito delle aziende che assecondi la crescitadella produttività e quindi dei salari.Resta fondamentale, come ribadito al Convegno di Parma dell’aprile 2010, che la classe politica affron-ti con determinazione, oltre al contenimento della spesa corrente il tema delle rifome a cominciare daquella della Pubblica Amministrazione e da una riduzione del carico fiscale su imprese e lavoratori.Coerentemente alle scelte effettuate con lo Statuto, il Codice etico e la Carta dei valori associativi, laGiunta confederale ha ulteriormente rafforzato il proprio impegno per garantire la più efficace tuteladagli attacchi delle organizzazioni criminali e dalle infiltrazioni malavitose nelle attività economiche, sta-bilendo sanzioni associative più drastiche e meccanismi di forte selezione all’ingresso in Confindustria.

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Convegno biennale del Centro StudiFiere di Parma, 9-10 aprile 2010

Green Economy

EMMA MARCEGAGLIA dal 2008

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presso l'opinione pubblica, crescentefiducia e udienza rispetto al passato. E non solo perché sono venuti meno nel frattempo certi tabùideologici. Ma anche perché la diffusione di tante piccole e piccolissime imprese, per opera sovente dipersone provenienti dai ceti popolari, è stata una delle principali leve di mobilità e promozione sociale.Si comprende pertanto come la Confindustria non si trovi più da tempo a svolgere solo compiti di rap-presentanza e tutela degli interessi di categoria. Ma si è impegnata ad assecondare, unitamente allacrescita del sistema economico nelle sue diverse articolazioni, l'evoluzione e la modernizzazione del-lo scenario sociale nel suo complesso. E ciò in modo da costruire, tutti insieme, un Paese più dinami-co e più competitivo, che creda e investa nel futuro. Solo così potremo, infatti, mantenere la posizione di rilievo nel firmamento economico internaziona-le che nel corso del tempo generazioni di italiani hanno saputo conquistare con la loro creatività e illoro talento, con la loro capacità d'iniziativa e la loro operosità.

OGGI, A CENT’ANNI DALLA SUA FONDAZIONE,LA CONFINDUSTRIA CONTA

Stazione spazialeinternazionaleI moduli italianiNODO3 e Cupolalanciati con successol’8 febbraio 2010.

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Si ringraziano per le immagini fotografiche

Alberta Simonis, Archivio Storico Fiat, pag. 7

Federica Caruso, Media & Press Office Laura Biagiotti, pag. 31

Mariarosa Sirna, Thales Alenia Space, pag. 34

Paola Rossi, Archivio Storico Zegna Baruffa Lane Borgosesia SpA, pag. 4

Cesare Genuzio, pag. 24

Mario Guerra, pagg. 27, 30

Alinari 24 ORE, pagg. 8, 14, 20

Getty Images, pagg. 26, 32

Publifoto Olycom, pag. 15

Agenzia Fotografica Sintesi, pag. 25

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CON IL SOSTEGNO DI SPONSOR TECNOLOGICO

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