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Corso di fisica generale a cura di Claudio Cereda – rel. 4.2 novembre 2005 Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 1 I.5. La forza 5.1 La forza, una misura della interazione tra corpi 5.1.1 QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA FORZA E LA FISICA Trattando della inerzia abbiamo già osservato che lo stato di moto retti- lineo uniforme corrisponde ad una sorta di naturalità nello stato dei corpi e che tale naturalità significa solamente la impossibilità di distinguere la quiete dal moto rettilineo uniforme. Questo punto di vista ha portato ad individuare nelle forze le cause della rottura di tale naturalità ma, come vedremo, definire con precisione e generalità le forze comporta molti problemi e pertanto dovremo accon- tentarci di dare alcune definizioni provvisorie. Queste definizioni prov- visorie ci consentiranno di scoprire delle leggi e tali leggi ci permetteran- no, estendendone il campo di validità, di scoprire l’esistenza di nuove forze. La fisica classica si è sviluppata lungo questa strada ma, già al termine dell’ottocento, molti fisici premevano per eliminare la forza dal linguag- gio della fisica e sostituirla con il concetto di campo. Quello che all’inizio sembrava solo un gioco, descrivere le forze attraverso strumenti mate- matici diversi, si è rivelato pian piano un modo nuovo di concepire le forze. Nella fisica odierna non si parla più di forze ma di interazioni e le intera- zioni a loro volta non hanno più nulla a che vedere con corpi che si ur- tano, o peggio interagiscono a distanza (come sembrano fare la terra e il sole o due calamite); per la fisica di oggi la interazione tra due particelle (qualsiasi tipo di interazione) è l’effetto di uno scambio di particolari particelle (dette i mediatori della interazione) tra le due particelle date (quelle che risentono della interazione) Sappiamo dalla esperienza che, in natura, tutti i corpi interagiscono tra di loro, in un modo o nell'altro. Per esempio l'aria della atmosfera esercita una pressione sulla superficie terrestre e su tutti gli oggetti sulla terra. L'interazione elettrica tra le molecole d'acqua e la superficie del corpo di un bagnante fa sì che le goccioline d'acqua aderiscano al suo corpo. Qualche interazione tiene assieme i nuclei atomici e si tratta di una inte- razione forte a giudicare dallo sconquasso che si genera quando si riesce a rompere un nucleo. Incominciamo i nostri discorsi sulla forza dicendo che concettualmente la forza è una misura della interazione tra i corpi o tra le particelle che li compongo- no. Ovviamente se non si dice come tale interazione venga misurata non si è detto nulla e si è fatto solo della metafisica utile. Il dizionario Devoto Oli (1) elenca accanto ad altre minori le seguenti de- finizioni di forza: 1 Devoto Oli: dizionario della lingua italiana, Le Monnier a La forza: una misura della interazione tra corpi a La legge di Hooke e l’unità di forza a La forza: un vettore un po’ speciale a Somma vettoriale e scom- posizione di forze applicate ad un punto materiale a I corpi rigidi e la retta di ap- plicazione delle forze a Esempi ed applicazioni a Il momento di una forza

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 1

I.5. La forza

5.1 La forza, una misura della interazione tra corpi

5.1.1 QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA FORZA E LA FISICA Trattando della inerzia abbiamo già osservato che lo stato di moto retti-lineo uniforme corrisponde ad una sorta di naturalità nello stato dei corpi e che tale naturalità significa solamente la impossibilità di distinguere la quiete dal moto rettilineo uniforme. Questo punto di vista ha portato ad individuare nelle forze le cause della rottura di tale naturalità ma, come vedremo, definire con precisione e generalità le forze comporta molti problemi e pertanto dovremo accon-tentarci di dare alcune definizioni provvisorie. Queste definizioni prov-visorie ci consentiranno di scoprire delle leggi e tali leggi ci permetteran-no, estendendone il campo di validità, di scoprire l’esistenza di nuove forze. La fisica classica si è sviluppata lungo questa strada ma, già al termine dell’ottocento, molti fisici premevano per eliminare la forza dal linguag-gio della fisica e sostituirla con il concetto di campo. Quello che all’inizio sembrava solo un gioco, descrivere le forze attraverso strumenti mate-matici diversi, si è rivelato pian piano un modo nuovo di concepire le forze. Nella fisica odierna non si parla più di forze ma di interazioni e le intera-zioni a loro volta non hanno più nulla a che vedere con corpi che si ur-tano, o peggio interagiscono a distanza (come sembrano fare la terra e il sole o due calamite); per la fisica di oggi la interazione tra due particelle (qualsiasi tipo di interazione) è l’effetto di uno scambio di particolari particelle (dette i mediatori della interazione) tra le due particelle date (quelle che risentono della interazione) Sappiamo dalla esperienza che, in natura, tutti i corpi interagiscono tra di loro, in un modo o nell'altro. Per esempio l'aria della atmosfera esercita una pressione sulla superficie terrestre e su tutti gli oggetti sulla terra. L'interazione elettrica tra le molecole d'acqua e la superficie del corpo di un bagnante fa sì che le goccioline d'acqua aderiscano al suo corpo. Qualche interazione tiene assieme i nuclei atomici e si tratta di una inte-razione forte a giudicare dallo sconquasso che si genera quando si riesce a rompere un nucleo. Incominciamo i nostri discorsi sulla forza dicendo che concettualmente la forza è una misura della interazione tra i corpi o tra le particelle che li compongo-no. Ovviamente se non si dice come tale interazione venga misurata non si è detto nulla e si è fatto solo della metafisica utile. Il dizionario Devoto Oli (1) elenca accanto ad altre minori le seguenti de-finizioni di forza:

1 Devoto Oli: dizionario della lingua italiana, Le Monnier

La forza: una misura della interazione tra corpi

La legge di Hooke e l’unità di forza

La forza: un vettore un po’ speciale

Somma vettoriale e scom-posizione di forze applicate ad un punto materiale

I corpi rigidi e la retta di ap-plicazione delle forze

Esempi ed applicazioni

Il momento di una forza

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 2

• causa capace di modificare la forma oppure lo stato di quiete o di moto di un cor-po: le forze della fisica e la forza muscolare intesa come attitudine di un mu-scolo a compiere un lavoro in rapporto alla integrità dei vari com plessi anatomici , alla disponibilità delle sostanze energetiche ed alle condizioni di allenamento

• mezzo che consente o determina lo svolgersi della azione materiale o spirituale, con maggiore o minore efficacia

• esplicazione di mezzi o metodi coercitivi La parola viene dal latino fortis e questa è anche l'origine della parola sfor-zo. La parola forza si originò dapprima da una valutazione dello sforzo muscolare. È necessario sollecitare alcuni muscoli per lanciare una pie-tra, tirare un carico o tendere la fune di un arco. I diversi muscoli vanno poi sollecitati in misura diversa nei casi citati. Il grado di sollecitazione muscolare venne utilizzato per misurare lo sforzo esercitato, o forza. Nel linguaggio comune è rimasta traccia di questa origine, come per e-sempio in la forza delle armi. Successivamente si trovò che la parola forza poteva descrivere l'azione di certi corpi sugli altri e ciò portò a frasi come: la crescente forza del vento, oppure forzare una porta, oppure la forza di un colpo come indicatori di a-zioni esterne equivalenti ad uno sforzo muscolare. Ancora più tardi il termine forza acquistò significati sempre più ampi. Presero piede nuove espressioni come forza del carattere o forza di un argo-mento o forza dell'abitudine. Tale slittamento semantico è ancora in vigore ed è spesso causa di fraintendimenti che dovrebbero essere banditi in fisica. Ciò non di meno si utilizzano anche in fisica (2) termini come forza elettromotrice, forza coercitiva che non hanno nulla in comune con il signifi-cato precedentemente stabilito. In meccanica useremo la parola forza solo come misura della interazione tra corpi esplicitabile attraverso un metodo di misurazione eseguibile almeno in via concettuale.

5.1.2 LE INTERAZIONI FONDAMENTALI DELLA FISICA Alla fine del XX secolo la situazione è la seguente: ◊ sono state individuate come fondamentali 4 tipi di interazioni (fonda-

mentale significa che ogni altro tipo di interazione nota è riconducibi-le ad una di esse)

◊ ad ogni interazione sono state associate delle particelle che ne risen-tono ed altre particelle che trasportano la interazione

◊ i fisici sono convinti di avere scoperto od ipotizzato tutte e sole le in-terazioni esistenti od esistite nell’universo e di essere sulla buona strada per quanto riguarda la loro riproducibilità in laboratorio; que-sta visione dell’universo è nota come modello standard. Nell’ambito del modello standard si è alla ricerca di una riduzione di tutte le interazioni ad una unica interazione fondamentale.

I 4 tipi di interazione contemplati dalla fisica attuale sono:

2 Si vedano i capitoli dedicati all’elettromagnetismo.

la parola forza ha molti significati: la forza dellearmi, forza di trazione, forza di convinzione, forzaimpressa, sino a forza elettromotrice nelle macchi-ne elettriche; ci apprestiamo a definirne il significatoin meccanica

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• interazione gravitazionale detta anche gravitazione universale; è la più debole tra le interazioni, si esercita tra corpi dotati di massa ed è re-sponsabile del funzionamento dell’universo su grande scala. Ha sempre natura attrattiva. È nota dalla fine del XVII secolo.

• interazione elettromagnetica: è la responsabile della esistenza degli atomi e delle molecole oltre che di molti fenomeni macroscopici quali la elasticità, l’attrito, le attrazioni o repulsioni tra calamite, tutti i feno-meni connessi alle correnti elettriche. Può essere sia di tipo attratti-vo, sia di tipo repulsivo. È molto più intensa di quella gravitazionale e quest’ultima diviene evidenziabile solo perché alcune particelle non hanno carica e perché la stragrande maggioranza dei corpi dotati di carica elettrica si trova in una condizione di equilibrio tra cariche di segno opposto. È stata studiata a fondo nel XIX e nel XX secolo. Ne risentono particelle come l’elettrone e il protone ed è trasportata dal fotone.

• interazione forte, o interazione adronica: è una forza di tipo sia attrattivo sia repulsivo. Ne risentono particelle elementari come i quark che si combinano a formare protoni e neutroni, sia gli stessi protoni e neutro-ni che si combinano a formare i nuclei atomici. Il termine interazio-ne forte deriva dal suo essere molto più intensa delle precedenti. È significativa su piccolissima scala, a dimensioni tra 10–14÷10–15 metri. È stata studiata a partire dagli anni 30 del XX secolo ed è tuttora og-getto di studio sia nella indagine sulle caratteristiche dei nuclei ato-mici, sia soprattutto per le ricerche fondamentali sui quark (mattoni della materia che hanno individualità, ma non possono esistere indi-vidualmente).

• interazione debole: il nome sottolonea che si tratta di una interazione di intensità intermedia tra quella forte e quella elettromagnetica; è la re-sponsabile delle transmutazioni di particelle le une nelle altre (ad e-sempio del decadimento del neutrone con produzione di un elettro-ne e di un protone). Ha un raggio d’azione estremamente ridotto, in-feriore a quello della interazione adronica. E' stata studiata per la prima volta da Enrico Fermi negli anni 30 e, negli anni 80 del 900, è stata unificata con la interazione elettromagnetica in una unica teoria detta elettrodebole.

Il lavoro di unificazione tra i diversi tipi di interazione caratterizza la fisi-ca del 900 ed è tuttora in corso. Le teorie che vengono attualmente sot-toposte a verifica prevedono che a valori di energia molto elevati (ben superiori a quelli attualmente sperimentabili) avvenga una unificazione tra le principali interazioni che presenterebbero una sostanziale struttura unitaria. Nell'ambito di queste problematiche l'approccio tradizionale alla forza, di origine meccanica, è assolutamente inadeguato e questa è tra l'altro la ragione per cui si utilizza addirittura un termine diverso quello di intera-zione che richiama già etimologicamente il riferimento ad enti che scam-biandosi qualcosa producono la forza. La comprensione delle caratteristiche dei diversi tipi di interazione (in particolare di quella forte e di quella debole) richiede un minimo di vi-

le 4 interazioni fondamentali gravitazionale, elettromagnetica, debole e fortecon gli ambiti d'azione e gli effetti tipici; Enrico Fermi è stato il primo a dare una teoriasoddisfacente della interazione debole negli anni30 del 900

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sione di insieme delle conoscenze fisiche e per questa ragione non si an-drà oltre questi aspetti del tutto generali.(3) In meccanica, nella fase di avvicinamento alla fisica, si studia una sotto-classe molto ristretta di fenomeni dell’universo quelli governati dalla in-terazione gravitazionale e da alcune forze, prevalentemente di origine microscopica che vengono studiate indipendentemente dalla loro origi-ne; tali forze compaiono nel contatto diretto tra corpi e sono le forze di attrito e le forze elastiche.

5.1.3 LA MISURA DELLA FORZA IN MECCANICA L'effetto della interazione tra corpi può dare luogo sia a deformazioni (cambiamento di forma o dimensioni dei corpi) sia ad accelerazioni (cambio di intensità e/o direzione della velocità). Naturalmente i due ef-fetti possono presentarsi simultaneamente. Per la misura della forza si può utilizzare l'uno o l'altro di questi effetti. Nel primo caso si parla di misura statica della forza, nel secondo caso di mi-sura dinamica e si ottengono, nei due casi, due introduzioni alla meccanica diverse, ma equivalenti. Poiché è più semplice misurare il grado di de-formazione piuttosto che una accelerazione utilizzeremo il metodo stati-co. Quanto diremo, anche se si presta a misurazioni dirette, va inteso con intelligenza: non ci vuole molto a capire, per esempio, che la forza di at-trazione terra sole non possa essere misurata in laboratorio con un di-namometro. Si fissa una definizione per una certa grandezza in un determinato ambi-to e se ne dà un’altra in un altro. Spesso le definizioni estese tengono conto di regolarità della natura scoperte nel frattempo (leggi fisiche). Il quadro viene considerato coerente se le due definizioni presentano un campo d’azione comune entro il quale producono gli stessi risultati. Il principale strumento utilizzato per la misura delle forze, detto dinamo-metro (dal greco dynamis che significa potenza o resistenza), è una molla la cui deformazione viene associata alla forza da misurare attraverso una opportuna scala tarata, solitamente, di tipo lineare. Diremo che una for-za è doppia dell’altra quando determina una deformazione doppia e così via. Ci si potrebbe chiedere chi abbia deciso di utilizzare le molle, oppure per quale ragione si sia deciso che la scala che associa le forze agli allunga-menti dovesse essere di tipo lineare.

3 Esistono numerosi testi divulgativi sugli argomenti citati; la loro lettura è consigliabile solo dopo che sia nota un po’ di fisica classica. Per chi volesse comunque saperne di più consigliamo i seguenti testi recenti o recentissimi:

◊ Gordon Kane, Il giardino delle particelle, Longanesi - sintetico

◊ Steven Weinberg, Il sogno della unità dell’universo, Mondadori - scritto da un pro-tagonista, con aperture filosofiche

◊ Leon Lederman, David Schramm, Dai quark al cosmo, Zanichelli - storico, scritto da un protagonista

◊ Steven Weinberg, La scoperta delle particelle subatomiche, Zanichelli - storico e limitato ai primi 50 anni del 900.

un dinamometro a molla con indice circolaree un moderno dinamometro digitale

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⇒ La risposta alla prima domanda è simile a quella che si potrebbe dare circa l’uso degli orologi per misurare il tempo. Si è visto che una stes-sa causa produce effetti regolari per una classe di fenomeni: se appendo ad una molla dei cubetti di ferro identici scopro che l’allungamento segue un an-damento lineare al crescere dei cubetti e che la stessa cosa, pur con allungamenti diversi accade con una molla diversa o addirittura per semplice trazione di un filo metallico. Scoperta la regolarità di comportamento si dà la definizione attraverso la scelta di un particolare fenomeno regolare.

⇒ La risposta alla seconda domanda relativa alla scelta della scala da uti-lizzare è invece connessa ad un criterio di semplicità; possiamo af-fermare sulla base della esperienza consolidata di alcuni secoli di in-dagine che, scegliendo la scala lineare, si ritrovano leggi fisiche con-nesse alla forza di tipo particolarmente semplice. Vedremo la prima di esse già nei prossimi paragrafi.

Il dinamometro, o bilancia a molla, ha una funzione prevalentemente metodologica, nel senso che serve ad evidenziare la possibilità di misura-re le forze e dunque di darne una definizione operativa; ma la determinazio-ne concreta di una forza in un contesto fisico dato, quasi mai avviene usando la bilancia a molla. La determinazione delle forze si effettua in alcuni casi con apparecchiature molto più raffinate e in altri casi la forza viene determinata indirettamente attraverso grandezze ad essa collegate mediante leggi fisiche.

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5.2 La legge di Hooke e l’unità di forza 5.2.1 DEFORMAZIONI ELASTICHE E PLASTICHE La deformazione di un corpo viene detta elastica se la forma e le dimen-sioni del corpo si ripristinano completamente dopo che la sollecitazione che l'ha causata viene rimossa. In caso contrario la deformazione viene detta plastica. Dopo una deformazione plastica il corpo mantiene, par-zialmente o completamente, la nuova forma e le dimensioni acquisite. Si osservi che la convinzione del senso comune secondo cui il contrario di elastico è rigido è sbagliata. I corpi rigidi sono una astrazione della fisi-ca, sono cioè quei corpi che sottoposti a sollecitazioni non si deformano né temporaneamente, né permanentemente. I corpi rigidi reali sono sempre corpi elastici che richiedono sollecitazioni molto elevate per produrre deformazioni temporanee molto piccole. Il comportamento di ponti, travi, pareti e componenti di apparati mec-canici soggetti a forze variabili deve sempre rimanere all'interno della zona di elasticità. Solo in questo caso si possono considerare affidabili e ben progettati. Invece, nella fase di lavorazione (fucinatura, pressatu-ra,...), essi sono soggetti a deformazioni di tipo plastico in modo che il pezzo così ottenuto conservi nel tempo la forma e le dimensioni volute. Il tipo di deformazioni di un solido dipende dal carico applicato, dal tempo di applicazione, dal materiale di cui il pezzo è fatto, nonché dalle condizioni generali in cui si trova (temperatura, storia precedente, etc.). Per esempio, se incurviamo una striscia di acciaio e la liberiamo imme-diatamente, essa riassumerà la forma originaria. In questo caso, abbiamo a che fare con una sollecitazione elastica. Ma, se la striscia viene man-tenuta incurvata per molto tempo, essa non riacquisterà la forma origi-naria dopo la eliminazione della sollecitazione di curvatura. In effetti, un aumento considerevole del tempo di applicazione delle forze di de-formazione le trasforma, spesso, da elastiche in plastiche. Anche la temperatura influenza notevolmente il tipo di deformazione. Una striscia di acciaio portata al calor giallo si comporta in maniera pla-stica nei confronti di deboli forze che, a temperatura ambiente, deter-minerebbero solo deformazioni elastiche. D'altra parte il piombo che, a temperatura ambiente si comporta in modo plastico, diventa elastico a bassa temperatura. Non esiste un confine netto di separazione tra elasticità e plasticità e l'e-sperienza insegna che deformazioni piccole e di breve durata possono sempre essere trattate come elastiche. Le sollecitazioni cui può essere sottoposto un corpo solido sono di vario tipo, e di esse si occupano specifici capitoli della meccanica applicata (scienza dei materiali). In questa sede ci limitiamo a fornire qualche ele-mento di natura terminologica sui tipi di sollecitazione cui può essere sottoposto un corpo elastico: ◊ sollecitazione di allungamento e di compressione: il corpo presenta una strut-

tura longitudinale e viene sollecitato lungo quella direzione ad allun-garsi o a contrarsi. È la tipica sollecitazione cui sono soggetti i muscoli durante le operazioni di sollevamento o le gambe di un ta-volo.

una distinzione su cui spesso si fa confusione:elastico – plastico - rigido; la temperatura in-fluenza fortemente l'elasticità

sollecitazioni di allungamento – compres-sione, di flessione e di taglio: saperle descri-vere nelle loro specificità

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◊ sollecitazione di flessione si presenta quando un corpo a simmetria longi-tudinale viene bloccato in uno due estremi e quindi caricato come nel caso delle travi che reggono un soffitto.

◊ sollecitazione di taglio: in questa sollecitazione due forze opposte tendo-no a far scorrere i piani di cui è costituito il solido rompendone la continuità.

I diversi materiali reagiscono diversamente, a seconda della loro struttu-ra microscopica alle diverse sollecitazioni.

5.2.2 L’UNITÀ DI MISURA DELLA FORZA: IL NEWTON La unità di misura della forza nel S.I. è il Newton (N). In questa fase non daremo una definizione precisa del N limitandoci ad osservare che, se lo confrontiamo con una grandezza di peso nota (il kg peso), esso corri-sponde a circa 102 grammi. Una persona del peso di 80 kg corrisponde pertanto ad un peso di circa 800 N. Un etto di prosciutto ha, all’incirca, il peso di 1 N. Il motivo per cui non diamo una definizione operativa del Newton si giustifica con il fatto che la forza, nell’ambito del sistema di unità inter-nazionale, non viene assunta come una grandezza fondamentale ma co-me una grandezza derivata. Si assume come grandezza fondamentale la massa, di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo, e, dopo aver intro-dotto gli elementi essenziali della dinamica, si definisce la unità di forza derivandola dalla unità di massa.

5.2.3 LA LEGGE DI HOOKE 4 Consideriamo un corpo cilindro omogeneo di sezione ∆S e lunghezza l ed applichiamo ad esso una forza F variabile lungo l’asse di simmetria. Si osserva che, purché la forza non superi valori da determinare deforma-zioni plastiche (cioè rotture nella struttura microscopica del materiale) il corpo subisce degli allungamenti ∆l secondo la legge:

∆l ∝ F l

∆S

La legge sperimentale ci dice che ciò che determina l’allungamento non è la forza, ma la forza per unità di superficie (se raddoppio la forza e la superficie l’allungamento non cambia). La stessa legge ci dice che, a pari-tà di condizioni, l’allungamento è proporzionale alla lunghezza iniziale (corpi di lunghezza diversa non reagiscono allo stesso modo ad una stes-sa forza). Si tratta di conoscenze ben note dal senso comune; la novità sta nella possibilità di una trattazione quantitativa che consente di svol-gere previsioni. La costante di proporzionalità tra le forze e gli allungamenti è tipica del materiale ed è chiamata modulo di elasticità o modulo di Young. La relazione si scrive, separando le cause dagli effetti, nella forma:

4 Robert Hooke (1635-1703). La legge di Hooke è frutto di numerosi lavori che vanno da Galilei sino a Cauchy che all’inizio dell’ottocento, per primo, la enuncia nella forma oggi utilizzata con il riconoscimento dei concetti di sforzo e deformazione. Il contributo di Hooke è stato quello di riconoscere correttamente il legame tra forza e allungamento con il celebre aforisma «ut tensio, sic vis», (tanta la deformazione, tanta la forza).

1 Newton ≈ 1 etto la forza è una unità derivata del SI

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F∆S = E

∆ll (I.5.1)

dove F è l'intensità della forza applicata, l è la lunghezza iniziale del cor-po, ∆l è l’allungamento l’ – l, E è una costante di proporzionalità tipica del materiale detta modulo di elasticità o modulo di Young, ∆S è la sezione del corpo di prova.

La quantità F

∆S si indica solitamente con σ ed è chiamata sforzo (stress)

mentre l’allungamento relativo indicato con ε è detto stiramento o deforma-zione (strain). Con i nuovi simboli si scrive semplicemente che: σ = E ε (I.5.2)

Poiché il rapporto ∆ll è un numero puro il modulo di elasticità ha le di-

mensioni di F

∆S e si misura dunque in N m–2

La tabella 5.1 ci fornisce alcuni valori tipici del modulo di Young e ci permette dunque di fare previsioni sugli allungamenti di oggetti di espe-rienza comune. Si osservi che quanto più il modulo di Young è elevato tanto maggiore è la resistenza del materiale agli allungamenti. In effetti visto che σ = E ε il modulo di Young può essere interpretato come lo sforzo necessario ad indurre una deformazione unitaria. Per completare il quadro si tenga presente che il modulo di Young va applicato con intelligenza confrontandolo con il limite di elasticità cioè con il valore massimo di sforzo oltre il quale il materiale si deforma perma-nentemente. Infatti se si sottopone un provino a trazione si osserverà che, oltre alla fase di elasticità, caratterizzata da proporzionalità tra sfor-zo e deformazione se ne ha un’altra caratterizzata da stiramenti perma-nenti e i cui parametri importanti sono il limite di elasticità e il limite di rottura. I valori dei limiti di elasticità di alcuni materiali sono riportati in tabella 5.2 e dal fatto che il limite di elasticità sia molto più piccolo del modulo di Young possiamo inferire che la interpretarzione precedente è pura-mente teorica e priva di senso fisico.

5.2.4 CALCOLO DI UNA DEFORMAZIONE Un filo d’acciaio della sezione di 3 mm2 e della lunghezza di 1.00 m viene sollecitato ad allungamento da una forza di 325 N. Dopo aver verificato se ci si trova entro il limite di elasticità, determinare l’allungamento.

Lo sforzo σ = F

∆S = 325

3×10–6 ≈ 1.08 × 108 N m–2 si trova al di sotto del

limite di elasticità. L’allungamento relativo vale:

ε = σE =

1.08 × 108

2 × 1011 ≈ 5.4 × 10–4

materiale E (N m–2) acciaio 2 × 1011 vetro 7 × 1010 mattone (compress) 2.5 × 1010 ossa (trazione) 1.8 × 1010 ossa (compressione) 0.9 × 1010 legno 1 × 1010 tendine 6 × 108 gomma 0.7 × 107 capelli 1 × 1010 Tabella 5.1

Materiale σmax (N m–2) acciaio 4 × 108 vetro 1 × 108 mattone (compress) 4 × 107 ossa (trazione) 1.2 × 108 ossa (compressione) 1.7 × 108 legno 1 × 108 tendine 7 × 107 capelli 2 × 108 Tabella 5.2

la deformazione (allungamento relativo) èproporzionale allo sforzo (forza per unità disuperficie)

σ = E ε

modulo di Young e limite di elasticità

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Poiché il campione ha la lunghezza di 1 m il valore trovato, ci fornisce immediatamente l’allungamento assoluto ∆l = 5.4 × 10–4 m cioè circa ½ millimetro. ☺ Determinare la forza che si deve applicare ad un tendine della sezione S = 4.0 mm2 per determinarne lo sfibramento.

Dalla tabella si ha σmax = 7×107 N m–2 e pertanto Fmax = σmax S = 7×107 × 4.0 × 10–6 = 280 N ≈ 28 kgpeso ☺

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5.3 La forza: un vettore un po’ speciale 5.3.1 LE FORZE HANNO UNA DIREZIONE, UN VERSO E UNA INTENSITÀ Le esperienze elementari attraverso cui si conclude che per descrivere le forze nella loro compiutezza bisogna considerarle non solo in termini quantitativi, ma anche in termini direzionali, sono molteplici. Pensiamo per esempio alla esperienza comune dello spingere un oggetto macroscopico; gli effetti di spostamento e di movimento che si osserva-no sono diversi a seconda della direzione in cui si esercita la spinta. Se poi la spinta viene esercitata in punti diversi contemporaneamente si os-serva subito una caratteristica che abbiamo già avuto modo di sottoline-are parlando dei vettori: 1⊕ 1 fa da 0 a 2. Capita cioè che sovrapponen-do forze i loro effetti si possano potenziare o anche depotenziare a se-conda della direzione e del verso. In generale, gli effetti di variazione dello stato di moto di un corpo o le deformazioni dovute ad una o più forze dipendono sia dalla loro dire-zione sia dalla loro intensità. Scoperta questa caratteristica direzionale si assegna come direzione di una forza quella secondo cui si dispone il dinamometro (quando sia libe-ro di ruotare intorno al punto cui si applicherebbe la forza). Si assegna inoltre un verso in base al determinarsi, sul dinamometro, di compres-sioni o allungamenti.

5.3.2 MA SOPRATTUTTO SI SOVRAPPONGONO CON LE REGOLE DEL CALCOLO VETTORIALE

Già queste prime considerazioni di ordine direzionale ci inducono a pensare alla forza come ad un vettore. Tale congettura diventa poi una certezza quando si passa ad esaminare l'effetto della sovrapposizione di più forze (somma fisica). Si scopre infatti che le forze si sommano con le regole di calcolo già enunciate per il calcolo vettoriale e si conclude che la forza è un vettore. Si presti attenzione al fatto che per dire che una grandezza fisica ha na-tura vettoriale non basta affermare che è caratterizzata da una direzione e da un verso. L'elemento decisivo è dato dalla modalità con cui avviene la sovrapposizione. Se l'azione contemporanea di più forze determina lo stesso effetto che darebbe un vettore ottenuto dalla somma vettoriale, allora si conclude che la forza è un vettore. Per trarre la conclusione bisogna dunque compiere degli esperimenti fa-cendo agire e misurando separatamente delle forze; si esegue poi la misura quando le forze agiscono simultaneamente sul dinamometro e si determina intensità, direzione e verso della somma. Si osserva che la forza risultante è esattamente descritta dalla somma vettoriale.

Questa conclusione si sintetizza dicendo che date due forze F1→e F2

→ che agiscono contemporaneamente la loro somma fisica (sovrapposizione) ha gli stessi effetti della somma vettoriale e si scrive:

F1→⊕ F2

→ = F1→+ F2

→ (I.5.3)

5.3.3 UN’ALTRA PARTICOLARITÀ: LA RETTA DI APPLICAZIONE

la direzione della forza è quella del dina-mometro che la misura

semplici esperimenti per la verifica del carattere vet-toriale della sovrapposizione tra forze

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Osserviamo ancora che la forza è comunque un vettore di tipo particola-re perché, a differenza dei vettori ordinari, in genere è dotato di una ben definita retta di azione e di un ben definito punto di applicazione. Per rendersene conto basta osservare cosa accade quando si applica una forza ad un corpo al variare del punto in cui si fa agire la forza. Si prenda un libro e si applichi la stessa forza in 3 punti diversi come in

figura. Mentre secondo le leggi del calcolo vettoriale i 3 vettori F1→, F2

→ e

F3→

sono uguali, gli effetti che si determinano sono diversi. Nei primi due casi il libro trasla nella direzione della forza; nel terzo caso ruota. Se poi, invece di un libro utilizzassimo un corpo deformabile, osserveremmo che anche i casi 1 e 2 producono effetti diversi. Non resta che conclude-re con la assegnazione di uno status particolare, quello di vettore applicato, alle forze. Le forze sono pertanto caratterizzate da una direzione, un verso, una in-tensità, una retta di applicazione e un punto di applicazione. Quando si opera con i corpi estesi le due ultime caratteristiche diventano rilevanti; se il corpo è rigido sarà lecito spostare la forza lungo la retta di applica-zione; se il corpo è deformabile non si potrà fare nemmeno quello.

5.3.4 L’ESPRESSIONE VETTORIALE DELLA FORZA ELASTICA La legge di Hooke può essere scritta in forma vettoriale tenendo presen-ti la direzione e il verso dei vettori forza e spostamento e distinguendo tra la forza applicata dall'esterno e la forza elastica di risposta. Supponiamo che un corpo esterno, per esempio una mano, solleciti una molla. La forza esercitata dalla mano sulla molla è detta forza esterna. Per effetto della forza esterna la molla si allunga di una quantità propor-zionale alla forza; poiché la molla è data potremo condensare tutti i pa-rametri in una unica costante k tipica della molla (dipendente dalla lun-ghezza, dalla sezione e dal materiale) e che chiameremo costante elastica La direzione e il verso della forza esterna coincidono con quelli dello spostamento e dunque si può scrivere:

Fest→ = k ∆l→ (I.5.4) Ma sappiamo dall'esperienza che una molla deformata agisce sulla mano con una forza uguale a quella esterna, ma di verso contrario. Tale forza è chiamata forza elastica. Poiché essa ha verso contrario al vettore allunga-mento, potremo scrivere:

Fel→ = − k∆l→ (I.5.5)

5.3.5 LE FORZE DELLA MECCANICA COMPAIONO A COPPIE Dopo aver analizzato diversi tipi di interazione tra corpi, Newton giunse alla conclusione che due corpi interagiscono sempre con forze di uguale intensità, applicate lungo la stessa retta, ma di verso contrario. Tali due forze saranno in-

dicate rispettivamente con F12→ e F21

→ e scriveremo:

F12→ = – F21

→ (I.5.6)

Fest→

∆l→

Fel→

la forza è caratterizzata da modulo, direzione, verso,retta e punto di applicazione

F1→

F2→ F3

con semplici esperimenti sui corpi rigidi siosserva che se si cambia retta di applica-zione senza cambiare la direzione si otten-gono risultati diversi

la legge di azione e reazione nota an-che come III legge della dinamica

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dove F12→ è la forza con cui il primo corpo agisce sul secondo e F21

→ è quella con cui il secondo agisce sul primo. Questa equazione corrispon-de all'enunciato della III legge del moto di Newton ed è nota anche co-me III legge della dinamica. L’aspetto interessante della III legge della dinamica nota anche come leg-ge di azione e reazione è che essa è risultata valida anche nei caso in cui i due corpi non sono a contatto diretto. Come vedremo nel capitolo sulla gravitazione, Newton suppose che non solo la terra viene attirata dal so-le, ma che la terra a sua volta attira il sole con una forza identica, di ver-so contrario ed applicata in un punto diverso. Come esempio consideriamo la interazione tra un magnete ed un pezzo di ferro. I dinamometri attaccati ai due corpi registrano due forze uguali e contrarie. Altri esempi di applicazione della III legge della dinamica sa-ranno forniti nei prossimi capitoli. Si presti attenzione a non cadere nell’errore abbastanza comune, secon-do cui, poiché le due forze di cui si parla sono uguali e contrarie, e dun-que si fanno equilibrio, esse non daranno luogo ad alcun effetto. Le due forze sono sì uguali e contrarie, ma sono applicate in punti diversi e a corpi diversi. Nulla ci autorizza a spostare liberamente le forze nello spazio come si farebbe con un normale vettore. Ecco perché, nel titolo del paragrafo abbiamo scritto: la forza, un vettore un po’ speciale.

attenzione al punto di applicazione

F21→

F12→

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5.4 Somma vettoriale e scomposizione di forze applicate ad un punto materiale

5.4.1 RISULTANTE ED EQUILIBRANTE DI UN SISTEMA DI FORZE Se si applicano ad uno stesso punto materiale più forze esse possono es-sere sostituite dalla forza risultante cioè da quella forza che determina gli stessi effetti. Poiché come abbiamo visto le forze si sovrappongono con legge vetto-riale la risultante è il vettore somma e si può calcolare con il metodo della poligonale o con il metodo del parallelogramma comodo da utilizzare quando le forze sono solo 2. Quando la poligonale è chiusa possiamo concludere che la risultante del-le forze è nulla. Un tale sistema di forze è detto bilanciato o in equilibrio. Un sistema di forze non equilibrate applicate in uno stesso punto può sempre essere equilibrato applicando nello stesso punto una forza di bi-lanciamento (equilibrante). La forza di bilanciamento è una forza con la stessa intensità della risultante ma con verso contrario.

5.4.2 DECOMPOSIZIONE DI UNA FORZA La forza, come qualsiasi altro vettore, può essere scomposta in due componenti e spesso si incontra la necessità di scomporre una forza in direzioni assegnate durante l’analisi di configurazioni concrete. Se viene dato un corpo sul quale sono applicate alcune forze esse vanno sommate vettorialmente. Tali forze, per esigenze di analisi devono poi essere decomposte lungo direzioni privilegiate significative agli effetti dello studio del moto. Per esempio, se il corpo è disposto lungo un vincolo piano le due dire-zioni di decomposizione saranno costituite dalla direzione del piano (su cui avverrà il moto) e dalla sua perpendicolare perché la componente perpendicolare, come risultato della azione del vincolo, dovrà presentare risultante nulla. L’argomento sarà ripreso studiando il moto di corpi soggetti a forze. Esempio di scomposizione

Supponiamo che una data forza F→, per esempio un peso, sia applicato ad una mensola. Ci proponiamo di trovare le forze che si trasmettono lungo la struttura e che, alla fine, agiscono sul muro che sorregge la mensola. Come vedremo, effettuando la decomposizione, la forza peso

F→ determina una trazione del braccio superiore e una compressione di quello inferiore. Infatti la struttura metallica fa sì che le forze si possano trasmettere solo lungo le direzioni AB e CB e pertanto per determinare tali forze basta costruire il triangolo A1B1C1 con i lati paralleli alle sbarre e alla forza pe-so, cioè decomporre la forza peso lungo le due direzioni determinate dalle mensole (per farlo basta tracciare le due parallele alle direzioni date per gli estremi del vettore dato).

A questo punto, poiché: F→ = F1→ + F2

→ , potremo affermare che, visto

che il peso esercita in B una forza F1→ diretta come AC la struttura metal-

se la poligonale è chiusa allora larisultante è nulla

costruzione di risultante ed equilibrante

F2→ R→ F1

F4→

F3→

E→

α β

γ F→

A

B

C

F1→

F2→

A1

B1

C1

F→

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 14

lica trasmetterà tale forza sino in A e tale forza dovrà essere bilanciata, alla fine, dal muro che dovrà esercitare una forza di trazione sulla men-sola. Osserviamo ancora che, data la similitudine dei triangoli ABC e A1B1C1, le lunghezze dei lati della mensola ci danno una immediata visualizza-zione delle forze. F1AB =

F2CB =

FAC (I.5.7)

In conclusione, mentre in A si esercita una forza di trazione in C si ha una compressione e la parte delicata della struttura è il punto A.

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5.5 I corpi rigidi e la retta di applicazione delle forze

5.5.1 I CORPI RIGIDI L'esperienza ci insegna che quando applichiamo una forza ad un corpo esteso gli effetti che si ottengono dipendono non solo dalla direzione, dal verso e dalla intensità, ma anche dal punto di applicazione della forza e dalla retta di applicazione. Consideriamo ancora l’esempio del libro appoggiato su un tavolo oriz-zontale. Se il libro viene spinto con un dito appoggiato lungo l'asse di simmetria lo vedremo traslare, ma se il dito viene appoggiato al di fuori di tale asse, il libro ruota. Per questa ragione le forze vengono descritte, in generale, precisandone anche retta e punto di applicazione. Esiste una categoria particolare di corpi estesi, che chiamiamo corpi rigidi caratterizzati dalla proprietà che la distanza tra i punti di questi corpi non cambia mai nel tempo. In prima approssimazione, tutti i corpi solidi sono rigidi. I corpi rigidi godono di una particolare proprietà: una forza applicata ad un corpo rigido può essere fatta scorrere liberamente lungo la retta di applicazione. In altre parole, le forze dei corpi rigidi non hanno la necessità di definire il punto di applicazione. Questa proprietà ci può aiutare a determinare la forza risultante nel caso di due forze con rette di applicazione diverse ma concorrenti e nel caso di due forze parallele.

5.5.2 LA RISULTANTE DI FORZE CONCORRENTI

Consideriamo due forze F1→ e F2

→ applicate ad un corpo rigido e le cui ret-te di applicazione si incontrino in un punto O. Se le due forze date vengono fatte scorrere lungo le loro rette di applica-zione (cosa che per i corpi rigidi è sempre ammessa) sino in O sarà pos-

sibile trovare la somma vettoriale R→ delle due forze F1'→ e F2'→ equivalenti alle forze date e pertanto il problema sarà risolto.

5.5.3 LA RISULTANTE DI DUE FORZE PARALLELE La situazione è più complessa nel caso di forze parallele perché in quel caso, anche facendole scorrere non si arriva ad un punto di applicazione comune da cui sommare mediante il parallelogramma. Ci aspettiamo che la direzione della risultante sia la stessa delle due rette parallele; ci aspettiamo che la risultante abbia una intensità pari alla somma delle intensità. Ma quale sarà la retta di applicazione? Due forze parallele ed equiverse applicate ad un corpo rigido hanno come risultante una forza parallela alle due con intensità pari alla loro somma e collocata all’interno della striscia di piano definita dalle due forze a distanze inversamente proporzionali alle intensità delle due forze. Il risultato presentato si basa sulla seguente dimostrazione.

corpi rigidi e comportamento delle forze

la risultante di due forze parallele equi-verse si trova a distanza inversamenteproporzionale

le forze concorrenti vengono fatte scorrerelungo le rette di applicazione sino ad incon-trarsi

F1'→

O

F2'→

F2→

R→ F1→

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 16

Consideriamo due forze parallele ed equiverse F1→ e F2

→. Per determinare la risultante delle due forze applicate rispettivamente in A1 e A2 si con-sidera il piano α in cui le due forze sono collocate, si congiunge A1 con

A2 e lungo la retta così individuata si applicano le due forze T1→ e T2

→ di modulo T che, essendo eguali ed opposte si annullano.

Si determinano così le due forze R1→ e R2

→ equivalenti al sistema dato che però, non essendo più parallele convergono in un punto B determinan-

do le due forze R1'→ e R2'→.

Da tale punto si decompongono R1'→ e R2'→ in modo di dare luogo alle due

forze F1'→ e F2'→ identiche a F1→ e F2

→ ma applicate lungo la stessa retta. La

risultante delle due forze originarie è dunque R→ con R = F1 + F2 e ap-plicata nel punto O (o in qualsiasi altro punto della retta BO). Per quanto riguarda la determinazione analitica del punto O osserviamo

che, essendo A1OB∆

∼ A1R1F1∆

e A2OB∆

∼ A2R2F2∆

, si può affermare che,

per la proporzionalità dei lati: l1T =

OBF1

e l2T =

OBF2

da cui per la uguaglian-

za dei medi delle due proporzioni si ottiene l1F1 = l2F2 (I.5.8) Dunque, possiamo concludere che la retta di applicazione della risultante di due forze parallele con lo stesso verso divide la distanza tra i due punti di applicazio-ne originari in parti inversamente proporzionali ai moduli delle due forze. Nella figura si è voluto introdurre il numero minimo di modifiche ma, se

si tiene presente che le forze F1→ e F2

→ possono essere spostate lungo le loro rette di applicazione si conclude che qualunque caso del tipo in fi-gura può essere risolto graficamente spostando le forze in modo che la congiungente i punti di applicazione sia perpendicolare alla direzione delle forze. Ciò consente di lavorare con triangoli rettangoli e costruire figure più accurate. La relazione che abbiamo trovato vale anche nel caso di forze parallele e discordi. In quel caso, detta l la distanza tra le due forze, la risultante si trova all’esterno, più vicina alla forza maggiore e, indicata con x la distanza dalla forza maggiore, si ha (supponendo che la maggiore sia F1): F1 x = F2 (l + x) (I.5.9) Ovviamente, in questo caso la risultante ha come modulo la differenza dei moduli ed è orientata nel verso della maggiore. Si consiglia di eseguire per esercizio la analoga costruzione relativa al ca-so di due forze parallele ma con verso contrario.

F1→

T1→

R1→

A1

l1

l2

O

R→

R1'→

T1'→

B T2'→

R2'→

F1'→

F2'→

T2→

A2

F2→

R2→

costruzione della risultante di forze parallele sfruttan-do la possibilità di aggiungere forze a risultante nullalungo una stessa retta di applicazione

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 17

5.6 Esempi ed applicazioni 5.6.1 DUE MOLLE IN SERIE Si consideri un sistema costituito da due molle di costanti elastiche diverse k1 e k2 applicate in serie una dopo l'altra. Dimostrare che la molla equivalente al sistema delle due molle, cioè quella che determina la stessa forza con la stessa deformazio-

ne ∆l deve avere una costante k tale che: 1k = 1k1

+ 1k2

Osserviamo in via preliminare che, raggiunto l’equilibrio, la forza si tra-smette inalterata lungo le due molle messe in serie e pertanto potremo dire che: F = k1 ∆l1 e F = k2 ∆l2 Mentre nel sistema equivalente sarà: F = k ∆l dove, poiché le due molle sono in serie, ∆l = ∆l1 + ∆l2. Pertanto:

1k =

∆lF =

∆l1 + ∆l2F =

Fk1

+ Fk2

F = 1k1

+ 1k2

☺ 5.6.2 LA RISULTANTE E LE SUE COMPONENTI Dato un sistema di forze del tipo rappresentato in figura determinare le componenti della risultante lungo le due direzioni orientate t e n. Dati numerici: F1 = 20.0 N, F2 = 25.4 N, F3 = 27.3 N, α = 28.3°, β = –22.3°.

Indichiamo con R→ il vettore risultante R→ = F1→ + F2

→ + F3→ e calcoliamo

le sue componenti: F→ R→ P→ = F1→ + F2

→ + F3→

Rt = F1t + F2t + F3t = –F1 + F2 cos α + F3 cos β = 27.6 N Rn = F1n + F2n + F3n = 0 + F2 sin α + F3 sin β = 1.7 N ☺ 5.6.3 LE FORZE PARALLELE: COME FUNZIONANO LE LEVE? Una importante applicazione della determinazione della risultante di un sistema di due forze parallele è data dal meccanismo di funzionamento delle leve. In una leva agiscono due forze parallele: una forza motrice o potenza, una forza ostacolante o resistenza e il tutto è bilanciato da una forza di reazione vincolare applicata in un punto (intorno a cui la leva può ruotare) detto fulcro della leva. La resistenza è solitamente data e si applica una potenza in modo che il sistema sia in equilibrio (per la precisione la potenza avrà un valore leggermente maggiore di quello imposto dalla condizione di equilibrio) in modo di vincere la resistenza Se il sistema è in equilibrio la risultante della potenza e della resistenza che viene equilibrata dalla reazione del fulcro, deve essere applicata nel fulcro e dunque si deve avere in base alla relazione dimostrata al punto precedente: P bP = R bR (I.5.10) o anche:

F→

fulcro

bR bP

P→ R→

la leva si basa sulla composizione delle forzeparallele; potenza, resistenza, fulcro, braccio

n

F2→

F3→

t α β

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 18

P = R bRbP

(I.5.11)

Poiché bRbP

< 1 ne segue che P < R e pertanto è possibile sollevare un ca-

rico con una forza tanto minore quanto minore è il rapporto tra le due distanze. Un artificio del genere è applicato, per esempio, nelle pinze nelle quali i manici sono molto più lunghi delle ganasce. Ovviamente, durante il funzionamento della leva il fulcro è sollecitato in maniera molto energica perché la sbarra esercita su di esso una forza pa-ri alla risultante e a sua volta il fulcro deve esercitare sulla sbarra una forza pari alla equilibrante. Per questa ragione il punto di cerniera è sogget-to ad un logorio piuttosto intenso. Le leve di I specie Le leve del tipo descritto sono dette di prima specie e possono essere sia di

tipo vantaggioso sia di tipo svantaggioso a seconda che il rapporto bRbP

sia

< o > di 1. Una esperienza comune e sgradevole per molti bambini è quella dello schiacciarsi le dita negli stipiti delle porte o delle finestre. In quel caso la leva è vantaggiosa e di I specie con la aggravante che il braccio della po-tenza è pari alla larghezza della porta, mentre quello della resistenza è di un paio di centimetri. In casi come questi si possono determinare facil-mente fratture o comunque traumi importanti. Un esempio di leva di prima specie svantaggiosa è data dalla articolazio-ne del collo incernierata sulla prima vertebra in corrispondenza della nu-ca. La potenza è esercitata dai muscoli splenici come in Figura mentre la resistenza è data dal peso del cranio (circa 80 N). Nel caso considerato bR ≈ 8 cm mentre bP ≈ 2 cm pertanto esiste un rapporto svantaggioso pari a 4. Ciò significa che i muscoli del collo per reggere la testa devono sopportare delle forze pari a circa 320 N. La situazione si complica no-tevolmente in contesti particolari quando si generano fenomeni di so-vrappeso che possono generare il colpo di frusta. In quei contesti la mu-scolatura non è più in grado di determinare le forze di potenza necessa-rie e si possono determinare sia situazioni di sofferenza vertebrali sia ve-re e proprie rotture. Le leve di II e di III specie Le leve utilizzate possono anche avere il fulcro all'estremo della sbarra. In quel caso, come si può osservare facilmente disegnando la leva, la po-tenza e la resistenza presentano verso contrario in modo di dare luogo a rotazioni opposte che si fanno equilibrio quando P bP = R bR Anche in questo caso, quando la resistenza è collocata più vicina al ful-cro, si ha un vantaggio che può risultare anche molto rilevante: è quanto avviene, per esempio in utensili quali lo schiaccianoci. Si chiamano leve di II specie quelle vantaggiose, quelle cioè per le quali il braccio della potenza è maggiore di quello della resistenza e basta una potenza piccola per vincere una resistenza grande. È quanto accade du-rante la elevazione del piede sulle punte delle dita. La potenza viene e-sercitata dai muscoli del polpaccio tramite il tendine d’Achille mentre la

R→

P→

fulcro

il piede è una leva di II specie sempre vantaggiosa

la pinza è un esempio di levadi I specie vantaggiosa

R→ P→

il collo è una leva di I specie svantaggiosa

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 19

resistenza corrisponde alla porzione di peso che grava sulla gamba e che può essere approssimativamente collocata in corrispondenza della cavi-glia. Quando la potenza si trova collocata tra la resistenza ed il fulcro si ha la leva di III specie, sempre svantaggiosa. Può sembrare strano ma si tratta di una delle leve più diffuse nel corpo umano perché in molti muscoli il punto di inserzione si trova molto vicino alla articolazione. In figura viene rappresentata come esempio la mandibola umana con, in evidenza, il muscolo mascellare in grado di far muovere la mascella inferiore come una leva di III specie. Dalla figura si può osservare come la resistenza che si può vincere sui molari è molto maggiore di quella che si può vin-cere su incisivi e canini che compensano la minor forza con una maggio-re affilatura degli stessi. Alla diversità di forza disponibile corrisponde anche una diversità funzionale (attività masticatoria nel primo caso, di lacerazione e di taglio nel secondo caso). La articolazione del gomito presenta le stesse caratteristiche ma, in quel caso il carattere svantaggioso è ancora più evidente perché il punto di inserzione del muscolo bicipite brachiale (responsabile della estensione dell’avambraccio) si trova solo qualche centimetro al di là del gomito.

5.6.4 ESEMPIO: L’EQUILIBRIO DI UN CORPO SOSPESO Il quadro della figura a lato pesa P = 40 N ed è appeso ad un sostegno mediante due fili che formano con l’orizzontale un angolo α = 20°. Calcolare le reazioni vinco-lari nei fili e quindi spiegare cosa accade alle reazioni vincolari quando cambia α. Per quale valore di α le reazioni vincolari sono uguali al peso?

Osserviamo intanto che, per ragioni di simmetria, le due reazioni vinco-lari devono essere uguali. Inoltre per l’equilibrio del punto di cerniera deve essere: 2T sin α = P Tenendo conto dei dati si ha dunque:

T = P

2 sin α = 40

2 sin 20 ≈ 58.5 N

Al crescere dell’angolo sin α aumenta e pertanto T diminuisce. Si ha P = T quando sin α = ½ il che accade a 30°. ☺

la mascella è una leva di III specie sempresvantaggiosa e ciò significa che i muscoli dellamandibola sono molto potenti

fulcro

potenza

resistenza

α

P

T T α

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 20

5.7 Il momento di una forza 5.7.1 APPROFONDIAMO LO STUDIO DEGLI EFFETTI PRODOTTI DALLE

FORZE Nei paragrafi precedente ci siamo posti il problema di determinare la ri-sultante di due forze parallele applicate ad un corpo rigido e, in quel contesto, abbiamo scoperto che la risultante sta su una retta parallela alla retta di applicazione delle due forze date a distanze inversamente pro-porzionali alle loro intensità. Come applicazione di questa particolare proprietà abbiamo esaminato il funzionamento delle leve. Ma quello delle leve è un caso particolare di un contesto generale che potremmo descrivere in questo modo: come si muove un corpo rigido quando ad esso sono applicate delle forze qualsiasi? In particolare come devono essere le forze affinché il corpo sia in equilibrio? L’ultima domanda sembra innocente e banale; la risultante delle forze deve essere nulla. Ma questa condizione che è certamente necessaria, non è sufficiente a determinare l’equilibrio come ci si può rendere conto applicando due forze uguali e contrarie ad un libro. Se le rette di appli-cazione sono diverse il libro ruota. L’argomento sarà affrontato con sufficiente generalità nel capitolo dedi-cato al moto dei corpi rigidi ma in questa fase cercheremo di affrontare almeno il problema dell’equilibrio.

5.7.2 IL MOMENTO DI UNA FORZA

Consideriamo una forza F→ che agisca su un corpo in grado di ruotare intorno ad un asse fisso O e supponiamo che tale forza agisca in un pia-no perpendicolare all’asse di rotazione (5):

ci si rende conto immediatamente che se si scompone la forza F→nel-le sue due componenti radiale e tangenziale la componente radiale è inefficace perché viene equilibrata dalla reazione del vincolo: dunque ciò che importa è il valore di Ft

→. da esperienze elementari (per esempio la apertura a spinta di una

porta) si scopre che forze tangenziali identiche producono effetti di-versi a seconda della distanza dall’asse di rotazione (abbiamo già vi-sto qualcosa di simile discutendo delle leve).

Per considerazioni di questo genere che sottintendono ragionamenti di natura energetica e che saranno ripresi nei capitoli sul moto dei corpi ri-gidi si arriva a dare la definizione di una nuova grandezza fisica vettoria-le detta Momento della forza rispetto ad un asse di rotazione. Si tratta di un vettore con la direzione dell’asse di rotazione, con verso entrante nel piano quando la forza determina rotazioni orarie ed uscente quando determina rotazioni antiorarie e con un modulo M pari a: M = F r sin γ = F b = Ft r (I.5.12)

5 Questa restrizione che adotteremo nel seguito non crea problemi perché se per caso non si realizza basterà scomporre la forza nelle sue due componenti perpendicolare all’asse e diretta come l’asse ed osservare che quella diretta come l’asse, se il corpo è vincolato, non produce effetti.

coppia di forze la risultante è nulla ma il corpo ruota

F1→

–F1→

r

F→

b

r→

γ

F→

Fr→

O

Ft→

momento di una forza rispetto a un asse si compongono la forza e la distanza in condi-zione di peripendicolarità

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 21

la distanza b tra la retta di applicazione della forza e il punto di cerniera è detta braccio del momento e vale r sin γ. In conclusione, il momento di una forza rispetto ad un certo asse è dato dal pro-dotto della forza per il suo braccio. Il punto O in cui l’asse di rotazione inter-seca il piano perpendicolare contenente la forza è detto polo. Come si vede dalla definizione il momento di una forza è una grandezza dipendente sia dalla forza sia dalla sua collocazione rispetto all’asse di rotazione. Due forze diverse possono avere lo stesso momento rispetto ad uno stesso asse, basta che il prodotto forza per braccio sia identico nei due casi. Se si tiene conto della definizione data di prodotto vettoriale si potrà scrivere che:

MO→ = F→ × r→ (I.5.13)

Il vantaggio a trattare il momento come grandezza vettoriale si ha quan-do si opera con forze non complanari. In quel caso i momenti possono essere composti solo utilizzando il prodotto vettore. Quando invece, come faremo nelle nostre applicazioni, si opererà in uno stesso piano, i momenti avranno tutti la stessa direzione e la loro composizione corri-sponderà ad una somma algebrica. per quanto riguarda il segno la cosa importante è quella di distinguere con segno diverso i momenti corrispondenti a rotazioni opposte mentre non esiste alcuna differenza nell’assegnare valore positivo alle une o alle altre. Se si assegna il segno + alle rotazioni orarie ciò corrisponderà a misurare la componente lungo l’asse z ortogonale al piano. La unità di misura del momento nel S.I. è il newton⋅metro (N⋅m). (6) Calcolare il momento risultante delle forze applicate all’asta della figura a lato, sup-posta di peso trascurabile, e vincolata nel punto F (fulcro). Dati: F1 = 80 N, F2 = F3= 40 N, F4 = 100 N, α = 30°, d = 60 cm. In che verso ruota l’asta?

Basta scrivere il momento risultante nel rispetto della convenzione sui segni (positivo per rotazioni antiorarie) e calcolare il braccio di F4 che vale 3d sin α. M = F1 d + F4 3d sin α – F2 d – F4 2d = 80×0.60 + 100×1.80×0.5 – 40×0.60 – 40×1.20 = 66.0 Nm Poiché il momento è positivo la rotazione è antioraria. ☺

5.7.3 LA COPPIA DI FORZE Nelle applicazioni meccaniche che coinvolgono corpi in rotazione è par-ticolarmente significativo il caso della coppia di forze, cioè di due forze paralle-le con retta di applicazione diversa stessa intensità e verso contrario. Una coppia di forze, applicata ad un corpo pur avendo risultante nulla, ne determina sempre una rotazione.

6 Nel capitolo dedicato all’energia vedremo che anche questa grandezza fisica (diversa dal momento) corrisponde al prodotto di una forza per una distanza. Per sottolineare la differenza per la energia si parlerà di Joule e per il momento di N m

forze diverse di identico momento: una inte-ressante interpretazione geometrica

α

F→4

d

F

F→3 F→2 F→1

d d

d

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 22

F→ H

O

b K

– F→

Come si vede dalla Figura il momento di una coppia di forze ha sempre lo stesso valore indipendentemente dalla posizione del polo considerato. Infatti, applicando la definizione e la convenzione sui segni si ha che:

M = F OK – F OH = F ( OK – OH ) = F b (I.5.13)

e tale quantità non dipende dalla posizione del punto O. Si dimostra che coppie di forze diverse, ma dotate di uno stesso momento, determi-nano effetti equivalenti.

5.7.4 L’EQUILIBRIO DEI CORPI RIGIDI Nei capitoli precedenti abbiamo già visto che un corpo puntiforme è in equilibrio se si annulla la risultante delle forze applicate ad esso. Ma que-sta condizione, nel caso dei corpi estesi, non è sufficiente a determinare l'equilibrio perché forze di risultante nulla sono in grado di determinare delle rotazioni(vengono a determinare almeno una coppia di forze). Si tratta pertanto di aggiungere alla condizione di annullamento della ri-sultante (la quale determina la assenza di accelerazioni di tipo traslazio-nale) quella di annullamento del momento risultante dato dalla somma dei momenti delle diverse forze agenti (la quale determina la assenza di accelerazioni di tipo rotazionale). Poiché però forze di risultante nulla si riducono al caso di una o più coppie di forze non sarà necessario specificare a quale asse di rotazione si riferiscono i momenti perché, come si è visto al punto precedente, i momenti delle coppie di forze sono indipendenti dalla scelta dell’asse. Concretamente, se si tratta di un corpo vincolato, è conveniente calcola-re tutti i momenti scegliendo come asse di rotazione il vincolo stesso perché in questo caso il momento delle reazioni vincolari risulta nullo e non occorre calcolarne separatamente il valore, come si vedrà nel pros-simo esempio e in quelli dei capitoli successivi.

5.7.5 ESERCIZI SVOLTI SULL'EQUILIBRIO Consideriamo una sbarra di lunghezza l e di massa m appoggiata ad una parete in modo che formi un angolo α con la parete stessa. Individuare le reazioni vincolari che agiscono sulla sbarra e il valore della forza orizzontale F che bisogna applicare al piede della sbarra affinché essa risulti in equilibrio.

La sbarra è appoggiata su vincoli piani i quali determinano pertanto la comparsa di reazioni vincolari N e N’ perpendicolari ai vincoli stessi. Per ragioni di simmetria possiamo individuare il punto di applicazione del peso (P = m g) a metà sbarra. Si avrà equilibrio se si annullano la risultante delle forze e la risultante dei momenti. Dall’annullamento della risultante delle forze segue che deve essere N = P e N’ = F. Se scegliamo come polo per il calcolo dei momenti il punto di appoggio sulla verticale sarà: N l sinα – mg l /2 sinα – F l cosα = 0 e poiché N = mg si ottiene: F = ½ mg tanα

per l’equilibrio deve essere ∑ F→ = 0 e ∑M = 0

il momento di una coppia non dipende dalpolo; gli effetti dipendono solo dal momento

N'→

α

N→

P→

F→

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 23

Si osservi che, preso atto della esistenza di due coppie di forze di mo-mento contrario, si ha equilibrio quando i due momenti sono uguali, cioè quando: mg l/2 sinα = F l cos α da cui F = ½ mg tan α Come si vede la forza da esercitare cresce al crescere di α e, dipendendo dalla tangente dell’angolo, cresce molto rapidamente tendendo ad infini-to quando l’angolo si approssima a 90°. ☺ Sono assegnati le forze F1

→, F2→ e F3

→come in figura con i seguenti dati F1= 5.00 N, F2= 3.25 N, F3= 4.00 N, α1 = 27.5°, α2 = 48.5°, l1 = 2.50 m, l2 = 1.50 m; determinare la ∑M delle forze rispetto al punto O indicato.

∑M = –F1⋅ b1 + F2⋅ b2 sinα2 + F3⋅ b3 = –F1⋅ l1 sinα1 + F2⋅ l2 sinα2 + F3⋅ 0 = –5.00 sin(27.5) + 3.25 sin(48.5) = –2.12 Nm ☺ Una sbarra di massa trascurabile e di lunghezza l = 2.50 m è incernierata in un suo

estremo ed è in equilibrio sotto l'azione di due forze F1→ e F2

→ collocate come in figu-ra. Sono date le seguenti informazioni F1= 25.5 N, l = 2.50 m, α = 36.5 °. Si chiede

di determinare F2 e le due forze verticali e orizzontali Fv e Fo eserci-tate dal vincolo per garantire l'equilibrio. Perché si poteva evitare di fornire il valore di l? Determinare infine l'angolo β formato dalla rea-

zione vincolare Fv→+ Fo

→con la sbarra.

Il problema si risolve imponendo l'annullamento della ri-sultante delle forze e dei momenti (conviene scegliere come polo il vincolo). Dalla risultante delle forze si ottiene: FO = F1 cos α mentre F2 = FV + F1 sin α Dalla risultante dei momenti si ha –F2 ½ l + F1 l sinα = 0 Si può sempli-ficare per l e così si vede che il risultato non dipende da l. Passando ai dati numerici si ha: F2 = 2 F1 sin α = 30.3 N FO = F1 cos α = 20.5 N FV = F2 – F1 sin α = 30.3 N

tan β = FV FO

= 1.48 e β = tan–1(1.48) = 55.9°

☺ Una struttura reticolare del tipo indicato in figura regge nel vertice C un carico di pe-so p molto maggiore dei pesi delle due sbarre (che possono essere trascurati). Indi-care con TA e TB le due forze esercitate dalle sbarre AC e BC

a) Completare la figura indicando TA e TB b) Dimostrare che per α = 62° e β = 35° si ha TA = 0.578 p e TB = 0.890 p (si

consiglia di utilizzare un sistema d'assi xCy) c) Generalizzare il problema determinando in forma simbolica TA e TB al varia-

re di α e β

F1→

F3→

F2→

l2

l1

α1 α2

O

F1

FV F2 ½ l

α FO

α

A

p

C

B

β

x

y

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 24

a) La sbarra AC lavora in trazione mentre BC in compressione e ciò consente di tracciare le due reazioni vincolari (si veda la figura suc-cessiva)

b) Affinché sia Rx = 0 e Ry = 0 deve essere TA sin α = TB sin β e TA cos α + TB cos β = p. Dalla prima equazione si ottiene TA = TB sin β sin α e sostituendo: TB

sin β sin α cos α + TB cos β = p che porta a:

TB

sin β

tan α + cos β = p e dunque TB = p

sin β

tan α + cos β

mentre TA = p

sin β

tan α + cos β

sin β sin α =

p

cos α +

sin αtanβ

Se si sostituiscono gli angoli forniti si ha:

TB = p

sin β

tan α + cos β =

p

sin 35

tan 62 + cos 35 = 0.890 p

TA = p

cos α +

sin αtanβ

= p

cos 62 +

sin 62tan35

= 0.578 p

α

A

p

C

B

β

x

y TB T

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Prima parte: Il moto e le forze - Cap. 5: La forza pag. 25

forza ⇔ interazione

chiarimenti terminologici

definizione operativa con il dinamometro

le interazioni fondamentali

deformazioni elastiche e plastiche

la forza: un vettore speciale

e le forze astronomiche ?

legge di Hooke σ = E ε

momento di una forza ed equilibrio rotazionale

coppia di forze

limite di elasticità modulo di elasticità

retta d'applicazione

punto d'applicazione

nei corpi rigidi è ammesso lo spostamento lungo la retta

risultante di forze parallele le leve nel corpo umano

l'equilibrio dei corpi rigidi

∑ F→

= 0 ∑M = 0