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CARTABIANCA incontrarsi per agire La rivista di COMUNDO | dicembre 2016 Eroi La straordinarietà dell’ordinario Perù La lotta di Máxima Acuña Filippine Un sorriso come risposta a tutto

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CARTABIANCAincontrarsi per agire La rivista di COMUNDO | dicembre 2016

EroiLa straordinarietà dell’ordinario

Perù La lotta di Máxima AcuñaFilippine Un sorriso come risposta a tutto

editoriale

cartabianca dicembre 20162

Arriviamo alla fine dell’anno ad occuparci di un tema che speriamo possa ispirare qualcuno:

cosa significa essere un eroe? Bisogna fare grandi cose per esserlo? Chi sono i nostri eroi? Pos-

siamo noi stessi essere degli eroi? In questo numero di CARTABIANCA trovate poca teoria, ma

tanti esempi concreti di chi sta contribuendo, a modo suo, a costruire un mondo più giusto.

Lavorare nel mondo della cooperazione allo sviluppo attraverso l’interscambio di persone fa

capire molto bene quanto sia impegnativo decidere di partire con COMUNDO per un’espe-

rienza all’estero. I cooperanti a volte sono giovani che non faticherebbero a trovare lavoro in

patria. Possono essere anche professionisti affermati che lasciano ottime situazioni lavorative

e personali. Altri partono per dare una svolta alla loro vita. Ci sono anche coloro che cercano

altrove (nel mondo e nel mondo del lavoro) soddisfazioni diverse da quelle che hanno qui. I

motivi per partire sono tanti e vari. Ma non si tratta mai di una scelta di comodo.

Ci vuole coraggio per partire, ma il punto non è quello. Ad essere eroico è il fatto di credere

che è possibile fare qualcosa per cambiare il mondo, e mettersi in moto per farlo. I coope-

ranti coinvolgono inoltre nel loro percorso tutta una rete di altre persone (familiari, amici,

conoscenti, colleghi di lavoro, membri del loro gruppo di sostegno), che possono così essere

informate e sensibilizzate e che magari iniziano a loro volta a fare parte del cambiamento.

Viviamo in un mondo interconnesso, in cui l’unica possibilità di sviluppo sostenibile deve

integrare il concetto di cittadinanza globale: abbiamo tutti il dovere di diventare cittadini

responsabili e attivi nei confronti del mondo. La cooperazione allo sviluppo attraverso l’inter-

scambio di persone è uno dei tanti strumenti a nostra disposizione per farlo.

Se un eroe è dunque colei o colui che compie un gesto di coraggio con lo scopo di proteggere

il bene altrui o comune, anche a rischio della propria sicurezza, possiamo dire che il nostro

mondo è fortunatamente popolato da numerose eroine ed eroi.

Buona lettura!

Priscilla De Lima

La serie fotografica:

Gli eroi sono persone comuni come tutti noi, ma possono anche essere personaggi così eccezionali da rendere quasi impossibile poterne catturare l’essenza in una semplice fotografia. Ecco perché per la serie fotografica di questo numero abbiamo chiesto l’intervento dell’artista lucernese Andreas Kiener (www.andreaskiener.ch). Con qualche schizzo e grazie ai colori, è riuscito a fissare sulla carta alcuni degli eroi di cui vi parliamo in questo numero di CARTABIANCA, conservandone le caratteristiche principali.

L’illustrazione in prima pagina rappresenta Maxima Acuña Chaupe, una contadina indigena che da anni lotta contro la miniera d‘oro Yanacocha in Perù. Il suo impegno a protezione della terra in cui vive le è valso quest‘anno l’assegnazione del Goldman Environmental Prize. Per lei ha significato però anche continue minacce e aggressioni fisiche. Alla cerimonia di consegna del premio, invece di un discorso di ringraziamento, ha cantato: «Sono una donna delle montagne, difendo i laghi e la terra, non ho paura».

Cara lettrice, caro lettore

sommario

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4 Un sorriso come risposta a tutto Gian e gli altri “eroi ai margini” nelle Filippine

6 La resistenza di Máxima Una donna delle montagne peruviane che non ha paura

7 Una straordinaria ordinarietà Anche vestirsi può diventare un gesto eroico

9 Sankara, mia madre ed io Da mito nazionale burkinabé a modello politico attuale

10 La vera pace nasce dalla terra Miguel Briceño e la sua lotta in Colombia

12 A Silvio

13 COMUNDO come finestra sul mondo

14 Il Cañon di tutti Dalla concorrenza alla cooperazione in Nicaragua

16 Contro la violenza sulle donne, ovunque e sempre

18 Sussistenza non è sinonimo di sopravvivenza20 COMUNDO si concentra ma non diminuisce l’impegno

dossier

riflessioni

per COMUNDO

i nostri cooperanti

DAISI

daCOMUNDO

i nostri cooperantiTurismo comunitarionella regione di SomotoPagina 14

DAISINorma Cruz e il suo impegno per i diritti umaniPagina 16

da COMUNDOMezzi di sussistenza: esempi concretiPagina 18

La vignetta di Daria

dossier

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Testo: Laura Rodesino

Eroi ai margini, che vivono nelle regioni più discoste e che affrontano sfide enormi. Dalle Filippine la storia della piccola Gian, una bimba che non piange mai

i eroi con le medaglie non ne ho. Nelle loro case non ci sono premi appesi e non hanno la foto con il Presidente a

Manila. Nessuno dice che è fiero di loro, nessuno li premia, nes-suno stringe loro la mano e dice «Bravo, continua così». Eppure continuano ad andare avanti, un po’ perché ci credono, un po’ perché non hanno scelta. Sono eroi impercettibili, eroi di provin-cia, eroi ai margini, eroi che vivono in case di bambù, di latta, di plastica. Sono i miei eroi e per me, sono quelli più veri.E sono tanti, talmente tanti che né io né il Dipartimento della sanità o quello della socialità siamo ancora riusciti a incontrarli tutti. Vivono nelle montagne, in villaggi raggiungibili solo a pie-di. Nella realtà delle Filippine, a volte è quasi meglio pensare che non esistano, perché per offrire loro i servizi che gli spettano, bisognerebbe camminare per ore. E qui a volte è più facile stare seduti in ufficio con il ventilatore elettrico.Non posso parlarvi di tutti, ma voglio portarvi la testimonianza di una di loro e della sua famiglia, perché possiate celebrare con noi i grandi risultati che stanno premiando i suoi sforzi.

Un filo sottile che collega mamma e figliaGian è una bambina di 6 anni. È solare e sorridente e quando sorride, apre la bocca tantissimo, ma proprio tanto! Io le dico sempre «Gian chiudi la bocca che ti entrano le zanzare», e que-sto la fa ridere e aprire la bocca ancora di più. Gian non piange mai. Non ne è capace. Io non riesco a capire quando ha fame, ha sete, ha male, è triste. Solo la sua mamma Anabel la capisce. È un sottile filo comunicativo tra mamma e figlia. È qualcosa di magico e unico, ma è anche un bel problema perché significa che solo Anabel può occuparsi di lei e capire i suoi bisogni.Gian apre la bocca tantissimo, non piange, non parla e non cammina perché quando aveva 11 mesi ha avuto un danno al cervello che le ha causato una condizione simile alla paralisi ce-rebrale. La sua mamma ha cercato di capire il perché, ma finora una risposta soddisfacente non le è ancora stata data. E non la riceverà probabilmente mai. Anabel ha capito che non esistono ricette magiche, che non ci sono medicine miracolose e che con la medicina tradizionale Gian non tornerà come prima. Ha ca-pito che solo con esercizi quotidiani, amore e collaborazione, la sua bambina potrà fare dei passi avanti.

Troppe barriere per andare a scuolaGian abita in una casa sulla strada principale nel villaggio di Agbannawag. La sua casa è di mattoni con il tetto di lamiera. C’è

Un sorriso come risposta a tutto

una sala che funge da camera e una cucina sul retro. Il gabinetto e l’accesso all’acqua sono separati dalla casa, vicino ai maiali. Gian è sempre vestita come una principessa, è sempre pulita, profumata e pettinata bene. La sua mamma ci tiene. Anabel ha un business molto in voga nelle Filippine: compra gran sacchi di vestiti usati, li lava, li controlla e li seleziona. Quelli decenti li vende o li usa per Gian e per il suo fratellino Qinchen, quelli inutilizzabili li taglia a strisce e produce degli zerbini che vende. Così racimola qualche soldo da accumulare al misero salario che papà Jimmy raccoglie lavorando nei campi di riso, per pagare le divise e i quaderni di scuola di Qinchen.Gian non va a scuola. Le barriere fisiche, sociali e attitudinali sono per ora ancora insormontabili. Ma con la sua mamma, la sua comunità e Napoleon, ci stiamo lavorando. Napoleon è il direttore della scuola elementare di Agbannawag e lotta da

anni per il fondamentale diritto dei bambini con disabilità di andare a scuola. Vuole aprire una scuola speciale, ma il governo non ha ancora erogato i fondi necessari. O lo ha fatto, ma sono stati congelati nelle tasche di qualche capetto sopra di lui. Ora, visto che dall’alto non piove niente, abbiamo deciso di costruire dal basso. Anabel, Napoleon e altri piccoli eroi hanno creato un comitato di riabilitazione comunitaria, per formarsi e formare persone motivate e in ambito riabilitativo, in modo da poter offrire terapie ai bambini disabili nella comunità e allo stesso tempo fare un po’ di lobbying ai piani più alti. Forse tra qual-che anno Gian avrà un posto a scuola, ma nel frattempo la sua mamma può allenarla a migliorare le sue competenze.

Mangiare un biscotto da sola è una grande vittoria!Conosco Gian da un anno. Dopo un anno di esercizi, giochi e allenamenti (in gruppo, individuali, a casa e al centro) Gian riesce ora a sostenere la testa e a portare alla bocca un biscotto. Da sola. È un grande passo e siamo tutti molto fieri di lei. Ora vorremmo che potesse star seduta da sola, senza scivolare giù dalla sedia. Potrebbe così andare alla messa con la sua famiglia o al mercato, utilizzando una sedia a rotelle che prima o poi qualche Dipartimento statale deciderà di fornirle.Ecco. Gian è uno dei miei eroi, assieme ad Anabel, Jimmy, Qin-chen, Napoleon e la comunità di Agbannawag.Non riceveranno mai una medaglia, non incontreranno mai il Presidente, nessuno dirà mai loro «Bravo, continua così». Ma sono sicura che non smetteranno mai di lottare per i loro diritti e per la loro dignità, ottenendo risultati grandiosi e immisurabili. Come mangiare un biscotto da soli, andare alla messa o aprire le porte della scuola a bambini che non sono capaci di piangere.

Laura Rodesino è cooperante di COMUNDO nelle Filippine da due anni. Come ergoterapista collabora con il centro di riabilitazione e sviluppo Lin-Hawa nella consulenza formativa al personale e ai famigliari di bambini disabili

Grazie a tanti piccoli eroi è nato un un comitato di riabilitazione comunitaria

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Gian è una bimba filippina di sei anni che lotta quotidianamente contro la disabilità

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di restare. Ma questo non è andato giù alla Yanacocha: presto sono arrivati i dipendenti della miniera, supportati da poliziotti in uniforme. Ci sono state minacce di morte, percosse, il bestia-me è stato fatto sparire o ucciso. Questi attacchi non sono stati puniti. Al contrario: la Yanacocha l’ha citata in giudizio per di-sturbo della quiete pubblica. Quando i soprusi sono aumentati – hanno fatto irruzione nella sua casa e la sua famiglia è stata picchiata – Máxima è andata in tribunale con il suo avvocato Mirtha Vasquez della ONG GRU-FIDES, un’organizzazione che fa parte di Red Muqui. Era il 2011. Tre anni dopo, la Corte Suprema di Cajamarca ha dato ragione alla Yanacocha. Máxima Acuña e la sua famiglia sono stati con-dannati a due anni e otto mesi di reclusione e a un risarcimento di 5’500 soles (circa 1’500 euro) alla compagnia mineraria.

Il verdetto contro la famiglia di Acuña Chaupe ha suscitato grande scalpore nell’opinione pubblica peruviana e latino americana. Sui social network si sono scatenate espressioni di solidarietà, ci sono state manifestazioni e lettere aperte al governo. «Todos somos Máxima», si può leggere sul blog della ONG GRUFIDES. Máxima Acuña si considera la protet-trice delle acque. «L’acqua è vita – dice –, non possiamo semplicemente venderla ad una società».

Premiata, assolta e minacciataDopo mesi di negoziati, Máxima Acuña è stata assolta nel 2014, ma le molestie non si sono fermate. Prima le forze di sicurezza della Yanacocha e dell’unità speciale peruviana Dinoes hanno distrutto gli edifici sul terreno della famiglia, poi i dipendenti dell’azienda hanno installato telecamere di sicurezza nei pressi della casa. Sembra che Máxima Acuña non si sia lasciata inti-midire. Eppure, quando noi e i nostri colleghi della Muqui Red quest’anno siamo andati a trovarla, lei e suo marito sembravano esausti. «È una tortura quotidiana – ha detto –. La sorveglian-za, gli abusi. Ci sono giorni in cui non ne posso davvero più».Nell’aprile del 2016 a San Francisco (USA), Máxima ha ricevuto il Goldman Environmental Prize, considerato il più importante pre-mio internazionale per gli attivisti ambientali. Alla cerimonia di premiazione, invece di pronunciare un discorso di ringraziamen-to, ha cantato una canzone della sua terra. «Sono una donna delle montagne, difendo i laghi e la terra, non ho paura». Il premio è sta-to certamente una soddisfazione, ma la Yanacocha non si è ferma-ta: nel mese di settembre Máxima Acuña è stata picchiata ancora una volta e ha dovuto essere ricoverata in ospedale. Ci auguriamo che la tenacia della piccola grande Máxima venga alla fine premia-ta. Lo auguriamo a lei e alla popolazione dell’altopiano.

Eva e Mattes Tempelmann lavorano in Perù per COMUNDO da due anni. Collaborano con l’organizzazione Red Muqui per lo sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente e i diritti della popolazione colpita dall’industria mineraria.

La contadina indigena Máxima Acuña Chaupe si batte da anni contro la miniera d’oro della Yanacocha in Perù. Quest’anno le è stato assegnato il Goldman Environ-mental Prize per il suo impegno

Testo: Eva Tempelmann

uando ci siamo trasferiti in Perù per lavorare come coo-peranti con l’organizzazione Red Muqui che si oppone allo sfruttamento minerario, avevamo già sentito par-

lare della miniera Yanacocha nel nord del Perù. È la più grande miniera d’oro del Sud America ed è una delle più grandi e più redditizie di tutto il mondo. Si estende per circa 250 chilometri quadrati su un paesaggio che prima era verde. Oggi la terra è la-cerata e grandi scavatrici estraggono ogni giorno fino a 500’000 tonnellate di pietra, alla ricerca dell’ambito metallo prezioso.La questione della Yanacocha è da sempre controversa. Per il governo peruviano e i suoi partner si tratta di un business di miliardi di dollari, ma la maggior parte della popolazione assi-ste con sgomento alla distruzione irreparabile del paesaggio e dei suoi mezzi di sostentamento. «La tesi secondo cui l’attività mineraria avrebbe messo in moto l’economia locale a Cajamar-ca si è rivelata sbagliata», dice Javier Jahncke, direttore di Red Muqui. Dopo vent’anni di attività mineraria, la regione è anco-ra una delle più povere del paese. Molte persone che speravano in un posto di lavoro hanno invece perso le loro risorse locali.

La protettrice dell’acquaTra i grandi oppositori a questo sfruttamento c’è la contadina Máxima Acuña Chaupe. Questa donna alta soltanto 1,50 m, con le lunghe trecce, tipiche delle donne indigene degli altipiani andini, negli ultimi anni è diventata il simbolo della resistenza contro l’industria mineraria in Perù. Da oltre cinque anni si oppone alla Yanacocha, che vuole acquistare il terreno su cui vive da 45 anni con la sua famiglia. Una causa che è divenuta il simbolo del connubio tra governo e imprese e della negazione dei diritti della popolazione civile.La Yanacocha da anni progetta di espandere ulteriormente la miniera d’oro. Ciò significherebbe la scomparsa delle lagune, acqua contaminata e la trasformazione del paesaggio intorno al villaggio di Sorochuco in una superficie vuota, arida e senza alberi. La società ha già acquistato 5’400 ettari di terra. Máxima Acuña ha invece rifiutato l’offerta della società statunitense Newmont, la più grande azionista della miniera di Yanacocha insieme a Buenaventura e alla Banca mondiale. Come il 60% della popolazione di questa zona, vive di agricoltura. Sul suo terreno coltiva patate, manioca, grano e avena, e ci fa pascolare il bestiame. «Sono nata e cresciuta qui e ho comprato il mio terreno nella speranza di passarci tutta la vita». Così ha deciso

La resistenza di Máxima

Q Sono una donna delle montagne. Difendo i laghi e la terra, non ho paura

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tastrofi, crisi economiche, sofferenza, ecc. Orrore e indignazione hanno lasciato il posto a stanchezza e indifferenza. Ci si sente sicuri perché distanti, reagendo solamente quando qualcosa suc-cede vicino a noi e ci tocca direttamente. Spesso, invece di riflet-tere sulle origini di tali fenomeni, si tende a chiudersi in sé stessi.

Tutti possiamo contribuire al cambiamentoSecondo COMUNDO tali sfide richiedono invece che gli indivi-dui possiedano una coscienza globale, che si interessino e siano consapevoli delle dinamiche globali e assumano comportamen-ti e decisioni responsabili e sostenibili, a livello personale e po-litico. Ed è proprio per questo che COMUNDO, oltre a inviare cooperanti in paesi del Sud, organizza un’infinità di attività di sensibilizzazione, di riflessione e anche azioni concrete rivolte alla popolazione svizzera. COMUNDO vorrebbe contribuire alla formazione di cittadini responsabili impegnati per la giustizia e la sostenibilità del pianeta; cittadini che rispettino e valorizzino la diversità, che difendano l’ambiente, il consumo responsabile, il rispetto dei diritti umani individuali e collettivi, la parità di genere, il dialogo come strumento per la risoluzione pacifica dei conflitti. Cittadini insomma che partecipino in modo attivo alla costruzione di una società equa, giusta e solidale.

Magari, leggendo questo lungo elenco di quanto fa di noi dei cittadini globali e responsabili, ci si spaventa di nuovo e ci si chiede «Ma come faccio io a fare tutto questo?». Semplice, pos-siamo fare come Sonia e come tanti altri cittadini e cittadine del nostro Paese: possiamo prestare maggiore attenzione a quel-lo che consumiamo, a come ci muoviamo, possiamo regalare qualche ora del nostro tempo come volontari con gli anziani, i disabili, i rifugiati … E chi non ha tempo da dedicare agli altri? Può sostenere finanziariamente organizzazioni come la nostra, diventare membro del gruppo di sostegno di un nostro coope-rante e seguire da vicino il suo impegno a favore di popolazioni svantaggiate, può abbonarsi alla nostra rivista CARTABIANCA restando informato sul nostro lavoro, ma anche sulle politiche allo sviluppo promosse dalla Svizzera e sostenerci in campagne come quella delle multinazionali responsabili.

Non servono competenze, ma relazioniInsomma di possibilità ce ne sono tante, basta farsi coraggio e prendere l’iniziativa. Si può cominciare con qualcosa anche se sembra piccola e insignificante, ma meglio questo che resta-re indifferenti e inattivi. Tante cose apparentemente piccole e insignificanti potrebbero portare a grandi cambiamenti della nostra società e contribuire a far riscoprire valori persi come la condivisione, la solidarietà … E per fare questo non ci vogliono chissà quali abilità e competenze, perché i valori principali del-la cittadinanza globale sono la solidarietà e la giustizia sociale, che non sono conoscenze ma essenzialmente relazioni che ri-chiedono maggiore empatia ed equità verso gli altri.

Come impegnarsi concretamente per una maggiore giustizia globale? La differenza sta anche nei piccoli gesti, così anche vestirsi può diventare un atto eroico

Testo: Corinne Sala

orrei presentarvi una donna straordinaria. Si chiama Sonia, vive a Vezia e lavora come impiegata di banca.

Probabilmente vi direbbe che è una persona piuttosto ordina-ria, ma in realtà sta facendo davvero la differenza. Ciò che la rende straordinaria è che – dopo aver ascoltato la testimonian-za di una nostra cooperante che per tre anni ha appoggiato un’organizzazione salvadoregna impegnata nella promozione dei diritti delle lavoratrici delle grandi imprese tessili – ha de-ciso di fare qualcosa di concreto. Sonia si è resa conto che dietro ai bei vestiti di marca che indossa giornalmente per andare al lavoro o fare sport, si nasconde una dura realtà di sfruttamen-to di manodopera a basso costo in condizioni di lavoro spesso disumane. In El Salvador come in tanti altri paesi del mondo. Non era assolutamente cosciente di questa realtà e così ha de-ciso di approfondire. Più scopriva, più si indignava e infine ha deciso che non poteva continuare a indossare vestiti prodotti grazie allo sfruttamento di altre donne. Sonia ha così cambiato completamente il suo modo di acquistare abiti, ha organizzato ritrovi per lo scambio di vestiti usati con le amiche e ha deciso di promuovere il commercio equo, aiutando volontariamente in una bottega del mondo della sua regione.

Migliaia di piccoli passiForse questo non vi sembrerà molto e vi chiederete: «A cosa serve?». Beh, pensiamo a cosa succederebbe se al mondo non ci fosse soltanto una Sonia, ma migliaia. Migliaia di normali citta-dini, non super eroi, che semplicemente si interessano di quello che succede davanti a casa loro e anche più lontano. Cittadini che non riescono più a far finta di niente davanti alle proble-matiche che affliggono il nostro pianeta. Cittadini che non ce la fanno più a vivere in una bolla di sapone di finto benessere e che non vogliono più restare indifferenti verso gli altri. Citta-dini che sono stufi di essere considerati semplici consumatori, i cui desideri sono creati ad hoc dalla pubblicità e dal mercato, ma che hanno deciso di agire e consumare in modo più respon-sabile e consapevole.È comprensibile che davanti all’immensità delle sfide mondia-li – pensiamo solamente all’entità dei 17 nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile da raggiungere entro il 2030 presentati nel numero di marzo di CARTABIANCA – non ci si possa che sentire piccoli e inadeguati. Inoltre, forse, ci siamo anche assuefatti al continuo bombardamento di notizie e immagini di guerre, ca-

Una straordinaria ordinarietà

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Basta interessarsi a cosa succede appena fuori da casa nostra

Thomas Sankara è stato presidente del Burkina Faso dal 1983 fino al suo assassinio nel 1987

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Né leggenda d’infanzia, né eroe nazionale: la figura del rivoluzionario capitano burkinabé come modello politico ancora attuale a trent’anni dalla morte

Testo: Maimouna Mayoraz

ono nata nel luglio 1987 in mezzo alle montagne val-lesane; nell’ottobre dello stesso anno, uno degli idoli di

mia madre moriva a Ouagadougou. Il suo nome, “Sankara”, è stato una costante della mia vita sin dalla nascita. Faceva parte delle cose che mia madre mi raccontava su quel paese lontano e diverso da cui veniva, un posto che pochi conoscevano, con un nome strano: il Burkina Faso. Era comunque chiaro che mia madre lo rispettava, quindi questo signore doveva essere un uomo importante che faceva cose buone.

Un mondo lontano, difficile da capireMia madre ci raccontava una marea di storie sulle peripezie della sua infanzia e della sua adolescenza. Sapeva usare le pa-role come nessun altro e ci faceva ridere talmente tanto da farci venire il mal di pancia, anche con racconti che proprio diver-tenti non erano. All’epoca della mia nascita aveva una ventina d’anni, ma aveva già vissuto mille vite. Il suo modo di parlare, il suo linguaggio, era leggermente diverso da quello delle altre persone intorno a me. Era semplice, convincente e allo stesso tempo pieno di immagini che si imprimevano nel mio animo di bambina. Provavo a cogliere la complessità del mondo nel quale era cresciuta, un mondo lontanissimo dal mio. E Thomas Sankara faceva parte di quel posto al quale appartenevo – un po’ – anch’io, ma che facevo fatica a capire.

Durante l’adolescenza, il mio rapporto con il paese di mia ma-dre si è inasprito. Continuavo a non capirlo. Vivevo male il fatto che i miei capelli ricci e la mia pelle color caramello facessero apparire dei punti interrogativi nello sguardo delle persone. In piena crisi di identità, ero combattuta tra il paese in cui vive-vo − quello che capivo − e l’altro, quello lontano che non rie-vocava molto in me alla fin fine, ma che mi veniva attribuito dagli altri, mio malgrado. Parallelamente, prendevo coscienza delle disuguaglianze del nostro mondo e mi trovavo davanti a una realtà molto oggettiva: c’erano dei paesi ricchi e dei paesi poveri. Io stessa abitavo in un paese che rientrava nella prima categoria mentre mia madre, come Thomas Sankara, veniva da uno della seconda. Ed è qui che la realtà soggettiva mi ha investita come un treno: immagini di bimbi che morivano di fame in città enormi e sporche con una guerra che minacciava di esplodere da un momento all’altro. Ecco l’Africa! Questa vi-sione del continente, alimentata dalla fantasia dei media, dai

Thomas Sankara, mia madre ed io

S

miei compagni e dai discorsi dei miei professori, aveva avuto la meglio sulle storie di mia madre. Di quelle ormai mi restavano solo le disgrazie, l’oscurità, i drammi.

Un viaggio che squarcia il veloPiù tardi, i miei studi universitari in scienze politiche hanno cominciato a squarciare il velo delle mie percezioni. Queste nuove teorie che ero occupata ad assimilare non sostituivano le immagini radicate in me, ma semplicemente davano loro un contesto, una spiegazione. Nel 2010 ho comprato il mio primo biglietto aereo con destina-zione Ouagadougou. Questo primo viaggio di tre mesi è stato uno shock: il velo si è squarciato fibra dopo fibra e ho imparato a conoscere il mio secondo paese, imparando così a conoscere mia madre. Sì, certo, il Burkina Faso è un paese povero in cui la sopravvivenza è per alcuni una lotta quotidiana, ma non solo! È molto di più. Persone vere, non stereotipi, abitano e popolano questa terra con i loro sogni, le loro realtà e le loro potenziali-tà, dandole una ricchezza e una complessità che le mie visioni sembravano ignorare. È in quel momento che Thomas Sankara, la cui immagine era dappertutto nel paese, è riapparso. Come una specie di mito nazionale, quasi una divinità.

Il mio impegno politico è emerso dopo qualche anno. Mi inte-ressavo ai movimenti di emancipazione e alle icone rivoluzio-narie più disparate, che hanno cominciato a popolare il mio immaginario dandomi degli spunti per analizzare il mondo e i meccanismi complessi che lo animano. E per caso, Sankara è riapparso nella mia vita, non più come un vago ricordo d’infan-zia o come una sorta di mito nazionale sbiadito, ma piuttosto come un modello politico. La rivoluzione antimperialista e progressista che ha condotto nell’ex Alto Volta ha trasformato il paese. Oratore straordina-rio, ritrovavo in lui il linguaggio di mia madre, semplice, imma-ginifico, potente. Il suo approccio allo sviluppo era pragmatico: mattoni contro i problemi legati agli alloggi, alberi contro la desertificazione e industrie nazionalizzate contro il neocolonia-lismo. Ha dato ai burkinabé la coscienza della propria potenza e la speranza di riuscire a imporre, insieme, le proprie rivendi-cazioni. 27 anni dopo, il paese degli uomini integri ha spodesta-to un dittatore e instaurato una democrazia. In una situazione intollerabile, le persone sono insorte e si sono organizzate per dare origine al cambiamento. E queste stesse persone hanno messo insieme figure diverse, valori, coraggio; ma una cosa è certa, ovvero che Thomas Sankara, o meglio lo spirito riversato nel paese dal 1983 al 1987, era in prima linea.

E per la prima volta io, figlia di una guerriera burkinabé cre-sciuta nel paese più ricco del mondo, mi sono fatta travolge-re dalla fierezza di appartenere a questa terra così come dalla speranza di potere, un giorno, contribuire a un’altra società. Grazie capitano Sankara!

Per saperne di più, la redazione vi consiglia il documentario di C. Cupelin: “Capitaine Thomas Sankara”

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cartabianca dicembre 201610

a località di El Porvenir, nel dipartimento di Meta, si trova in una regione nota come llanos orientales ed è

abitata in prevalenza da una popolazione rurale e indigena che ha conosciuto svariati conflitti armati, sociali e politici legati a questioni terriere. Negli anni ’30 persone di altre regioni l’han-no colonizzata per sfruttarne le terre, catturando la popolazio-ne indigena e obbligandola a lavorare come manodopera forza-ta nelle piantagioni di caucciù. Con l’acutizzarsi della violenza politica nel corso degli anni ’50, i flussi migratori verso questa regione si intensificarono: moltissimi contadini vennero in cer-ca di migliori condizioni sociali per sopravvivere. A seguito del-la violenza generalizzata dopo l’assassinio del leader liberale, inoltre, le comunità indigene che da sempre l’hanno abitata furono costrette a due riprese a sfollare.L’arrivo dei gruppi paramilitari di Víctor Carranza negli anni ’80 creò una nuova spirale di violenza. La situazione si compli-cò ulteriormente per gli abitanti di Porvenir poiché i paramili-tari avevano proprio lì il loro centro operativo. Secondo alcuni contadini, mantennero la loro base nella regione fino al 1989 quando le FARC (Forze armate rivoluzionarie colombiane), provenienti dal vicino dipartimento di Vichada, li cacciarono. Anche se in questo periodo il potere dei paramilitari diminuì, alcuni continuarono a operare. Anzi: nacquero nuovi gruppi, come l’Autodefensas Campesinas de Meta y Vichada, fondato nel 1994 e basato a Porvenir. Purtroppo anche dopo la presunta smobilitazione del 2005 le violenze continuarono: ancora oggi si riscontra la presenza di alcuni gruppi che hanno ripreso le armi e che si sono resi responsabili di sfollamenti, assassinii, estorsioni, stupri e reclutamento nella regione di Meta.

Miguel Briceño, il contadino autodidattaQuesto è il contesto in cui opera il nostro eroe Miguel Briceño, un contadino nato a Porvenir che da sempre ha avuto a cuore il destino e i diritti delle sua comunità. Nel 1991 ha cominciato a leggere la Costituzione da autodidatta, cercando le leggi che of-frono garanzie ai contadini ed è così che ha trovato una norma-tiva che prevede l’introduzione di una riforma agraria e misure di sviluppo rurale. Dopo questa scoperta, Miguel ha cercato il supporto di organizzazioni attive nella difesa dei diritti umani, prendendo contatto con la Corporación Claretiana, che assieme alla Corporación Jurídica Yira Casto e all’ufficio del senatore Iván Cepeda crearono un gruppo di lavoro.

Il contadino Miguel Briceño e la sua lotta per i diritti della popolazione rurale colombiana, tra la violenza dei parami-litari, le FARC e gli interessi delle multinazionali per la terra

Testo: Alejandro Quiceno

La vera pace nasce dalla terra

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Dal 2013 Miguel, assieme alle organizzazioni che lo sostengono, ha intrapreso varie azioni di denuncia, presentato domande per il riconoscimento dei diritti costituzionali della popolazione ru-rale e organizzato mobilitazioni non violente, riuscendo così a dimostrare l’appropriazione indebita delle terre di Porvenir da parte della famiglia Carranza. Il 30 luglio 2014 l’INCODER, l’i-stituto colombiano di sviluppo rurale, ha emesso una risoluzio-ne con la quale viene tolto il titolo di proprietà ai Carranza e ha pubblicato una relazione nella quale si riconoscono le irregola-rità amministrative commesse a scapito della comunità locale. Il processo di restituzione delle terre venne però interrotto nel 2015 con la chiusura dell’INCODER a causa dei numerosi casi di corruzione in cui era stato coinvolto. In particolare era stato accusato di sottrarre la terra alle comunità rurali e indigene per cederle a grandi latifondisti o industriali.

La lotta prosegueMiguel e la sua comunità non si danno però per vinti e han-no continuato a chiedere giustizia, anche a scapito della loro sicurezza. Sono infatti costantemente sotto minaccia. Ad oggi le terre continuano a essere occupate illegalmente da persone che godono della protezione dei paramilitari, una strategia per incutere paura e spingere la comunità ad andarsene.Perché tanta violenza contro un semplice contadino? La rispo-sta è semplice: la terra. Quella terra che per la sua posizione strategica è un bene prezioso. Si tratta infatti di un’enclave fra vari progetti agroindustriali di aziende multinazionali e colom-biane, crocevia fluviale e terrestre fra i dipartimenti di Vichada, Casanare e Meta.La violenza paramilitare da un lato e gli interessi delle multina-zionali dall’altro hanno impedito alla comunità di recuperare le terre. Ma Miguel Briceño prosegue nella sua lotta. Nel 2015 è stata istituita l’Agencia Nacional de Tierras con l’obiettivo di risolvere i conflitti in precedenza gestiti dall’INCODER. Anche il caso di Porvenir è stato riaperto, ma come spesso succede la macchina burocratica va a rilento. Anche perché in questo nuo-vo processo sono inclusi sia coloro che sono stati cacciati dalle terre sia gli attuali occupanti.La Colombia si trova ora in un momento di crisi: gli accordi di pace che potevano mettere fine a un conflitto armato che imperversa da cinquant’anni sono stati bocciati dalla popolazione. Miguel e la comunità continuano tuttavia a sperare che l’Agencia Nacional de Tierras deliberi in prima istanza e restituisca gli appezzamenti di terra ai legittimi proprietari. Se con un approccio inclusivo si prosegue nella soddisfazione di bisogni ignorati da tempo, sarà possibile costruire zone in cui vi è vera pace.

Alejandro Quiceno è un cooperante locale di COMUNDO attivo in Colombia dal giugno di quest’anno. Collabora con l’organizzazione partner Corporación Claretiana nel sostenere le comunità nella rivendicazione dei loro diritti, in particolare in relazione all’accesso alla terra.

Miguel Briceño è un contadino colombiano che si batte per i diritti terrieri delle popolazioni indigene

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riflessioni

annuncio della morte di Silvio mi arriva via mail. Una pagina in te-

desco, lingua che fatico anche solo a leg-gere, mi fa riavvolgere il nastro della vita a tanti anni fa. Era, se non ricordo male, il mese di luglio del 1984 quando, poco più che ventenne, in abiti militari e con molti progetti (confusi!) in mente, entrai nell’ufficio dei Missionari di Betlemme in Via Nassa a Lugano. Ad attendermi c’era un uomo alto, dai capelli un po’ imbiancati, con gli occhiali che mi sem-bravano troppo grandi e un sorriso del tipo «Stai tranquillo, tutto ok».

Un vero maestroQuesto fu il mio primo incontro con Sil-vio, dal quale tornai a casa con la consa-pevolezza che per me la strada da per-correre per poter fare un’esperienza di volontariato all’estero era ancora lunga e tortuosa. Mi piace credere che Silvio, forse, capì subito che per me un’espe-rienza all’estero fosse qualcosa di trop-po grande. Negli anni che seguirono mi accompagnò insieme ad altri “maestri” che trovai in STM (diventata nel 1998 Inter-Agire) come Gabriele Banchini (ex volontario, presidente dal 1980 al 1998) e Annamaria Courtin (ex volontaria anche lei, diventata poi membro di comitato e segretaria), nella scelta di fondare il mio impegno in Svizzera.

Uomo pacato, ma decisoSilvio era così, uomo pacato ma che sa-peva sostenere con decisione le sue opi-nioni. Opinioni però sempre sottoposte a critica in funzione delle idee dell’interlo-cutore. Questo modo di relazionare è sta-

Padre Silvio Bernasconi, ideatore di Solidarietà Terzo Mondo (STM) − l’associazione all’origine di Inter-Agire − è venuto a mancare da poche settimane. Il ricordo di chi l’ha conosciuto oltre trent’anni fa

Testo di Emilio Colomberotto

A Silvio

L’

to l’insegnamento più prezioso che ho ricevuto da lui e per il quale gli sarò per sempre debitore. Silvio riusciva sempre a farti sentire a tuo agio, al posto giusto e in un ambiente amichevole. Ricordo con tenerezza, affetto e nostalgia quando, durante i fine settimana di STM/Inter-A-gire, arrivava il momento − che, se non sbaglio, era chiamato “riflessione spiri-tuale” − Silvio gestiva il tutto e sapendo che la mia fede era ed è ancora impal-pabile, per usare un eufemismo, riusci-va a farmi sentire comunque a mio agio guardandomi, durante la “celebrazione”, spesso con benevolenza e amicizia. Mo-menti impagabili per me.

Era una persona “del dialogo”Come non ricordarlo poi nei momenti più informali come quando, dopo una cena con gli amici di Inter-Agire, nel ri-porre i piatti in credenza mi fece tutta una teoria sul come impilare i piatti e le fondine in modo da poterci far stare an-che i bicchieri ecc. Straordinario. Come straordinario era il suo modo di utilizza-re le parole più appropriate, pesandole adeguatamente e mettendole al posto giusto nel momento giusto. Aveva da

questo punto di vista un tempismo per-fetto. Silvio era una persona del “dialo-go”: con lui si poteva parlare di qualsiasi cosa. Quando si rendeva conto di non avere gli elementi sufficienti per conti-nuare a discutere rimaneva in silenzio guardandosi attorno con gli occhi vispi e interessati di chi non vuole perdersi nemmeno un attimo di ciò che sta capi-tando attorno a lui.Anni dopo, nel 1996, con molto imba-razzo gli chiesi se poteva celebrare il mio matrimonio. Mi guardò sorridente, era il suo sì. Anche in questa occasione mi traghettò con affetto verso l’esperienza nuova della costruzione di una famiglia. Fu l’ultimo nostro incontro. Ora, forse, non lo rivedrò più, ma se così non sarà sono certo che guardandomi da dietro i suoi “occhialoni” sorriderà e stringendo-mi alle spalle mi accompagnerà come ha sempre fatto. Ciao Silvio, grazie e stam-mi bene.

Emilio Colomberotto è stato membro di comitato e poi presidente di Inter-Agire dal 1999 al 2004.

Padre Silvio Bernasconi, uomo del dialogo

per COMUNDO

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rancesca Gusberti ci accoglie con un grande sorriso nel suo apparta-

mento in centro a Chiasso. I suoi modi cortesi, lo scopriamo presto, sono la testi-monianza di una gentilezza d’animo che scalda il cuore. Ha vissuto tutta la vita in un’area di pochi chilometri quadrati, ci racconta: dalla finestra della cucina si intravvedono la casa paterna e quella in cui è nata, entrambe dall’altra parte del-la Breggia, a Vacallo. Dalle grandi vetrate del salotto ammiriamo invece il vicino giardino. Si sta bene in questo ambiente ordinato e arredato con cura dei dettagli, pieno di fotografie e libri.

Il forte legame con il territorio e l’impe-gno per gli anziani genitori, con cui ha sempre vissuto, si coniugano armoniosa-mente con un interesse verso il mondo: negli anni ’50, giovanissima, ha trascorso un semestre alla Davies’s School di Lon-dra: «Un periodo bellissimo – ricorda −, Londra era una città meravigliosa!». Un altro luogo del cuore per lei è sicuramen-te Lourdes: per anni vi si è recata come volontaria, aiutando chi veniva a immer-gersi nelle Piscine di acqua santa. Alla base del suo interesse per gli altri un ruo-lo fondamentale ce l’ha infatti la cultura religiosa. Ce lo testimonia recitando una preghiera francescana: «O alto e glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio. Dammi una fede retta, speranza certa, carità perfetta e umiltà profonda. Dam-mi, Signore, senno e discernimento per compiere la tua vera e santa volontà». In questa preghiera c’è tutto, ci spiega con-vinta, perché ci pone anche di fronte ai nostri doveri: «Bisogna compierla questa “vera e santa volontà”!».

L’importanza del “fare”Francesca è una donatrice di lunga data per Inter-Agire/COMUNDO: ogni anno da

“Io non posso più partire, ma posso sempre aiutare chi lo fa”. Francesca Gusberti, nostra sostenitrice di lunga data, ci spiega perché ha scelto la nostra associazione

Testo e foto: Priscilla De Lima

COMUNDO come finestra sul mondo

F

ormai quarant’anni le proponiamo un progetto diverso, che lei accetta di soste-nere. Il suo interesse per l’allora Missione Betlemme Immensee è nato dopo la Di-chiarazione di Berna del 1968, ricorda: «Mi sono informata su chi l’avesse sottoscritta e ho trovato la MBI nell’area cattolica e ti-cinese». I principi fondatori della Dichiara-zione sono più che mai attuali: impegnarsi in favore di una globalizzazione equa e di uno sviluppo sostenibile, in modo che i diritti umani abbiano la priorità rispetto agli interessi e ai diritti economici. Tutto questo per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni sfavorite nei Paesi in via di sviluppo o emergenti. Le parole con cui Francesca spiega il suo decennale impegno a favore di COMUN-

DO sono ancora più esplicite: «Abbiamo la fortuna di vivere in un paese come la Svizzera, in una realtà come il Ticino: stiamo bene. Non c’è nessun merito in questo, solo fortuna. Il merito c’è invece nell’uso che si fa di questi doni». Il fata-lismo, insomma, non si addice a questa donna forte e delicata allo stesso tempo: «Religione e fede mi fanno vivere meglio. Però no, non credo bisogni accettare tutto quanto la vita ci mette di fronte: il Signo-re non vuole altro che la felicità dei suoi figli. Bisogna quindi essere un po’ Marta e un po’ Maria: ascoltare e fare il possibile». Lei infatti non ha accettato tutto, ha scelto quello che le permetteva di vivere secondo la sua natura: scelte fatte con at-tenzione per i dettagli ed empatia, con ri-spetto per le minoranze. «Mi interessano le piccole realtà, intime e a dimensione umana. Accorgersi delle cose piccole, dei dettagli, in un certo senso ti allarga».

Partire da quanto c’è giàNon si sposta più tanto ora, Francesca: «Cerco di non essere una vecchia zitella acida, ma gli anni si fanno un po’ senti-re…», ci dice scherzando. Conserva però tutta la sua voglia di imparare: si è appe-na iscritta a un corso di conversazione in francese: «Con l’avanzare dell’età – ha appena compiuto 81 anni, ndr – biso-gna tenere aperte porte e finestre verso il mondo». COMUNDO è forse una di que-ste aperture: «Quello che fate mi convin-ce. Io non partirò. Ma sostengo chi lo fa. Mi piace soprattutto il fatto di lavorare sulla base di quello che c’è già. Anche la moltiplicazione dei pani e dei pesci è stata fatta così: erano tre pesci e cinque pani, e su quello si è lavorato. Lo stesso dobbiamo fare tutti: lavorare su quello che c’è già».

«Non siamo al mondo solo per noi stessi»

i nostri cooperanti

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La principale attrattiva della regione di Somoto, nel nord del Nicaragua, creava dissapori

tra gli abitanti. Grazie al turismo comunitario promosso da Mirko Pichierri,

ora tutti ne beneficiano

Testo: Priscilla De LimaFoto: COMUNDO

Il Cañon di tutti D i indole modesta, quando ci rac-conta del progetto di ecoturismo

comunitario a Somoto, Mirko Pichierri impiega un po’ di tempo a sciogliersi. Difficile però non entusiasmarsi de-scrivendo tutto quanto sta succedendo nella regione, dopo la costituzione di COTUCPROMA (Cooperativa de turismo rural comunitario protectores del medio ambiente) a fine 2014: un’intera zona si sta organizzando attorno a un grosso progetto, trovando nuovi modi per af-frontare l’insicurezza generata dagli ef-fetti devastanti del cambiamento clima-tico. Grazie al suo sostegno si promuove un modello di turismo sostenibile e co-munitario, coinvolgendo le famiglie con-tadine più vulnerabili e valorizzando le risorse già presenti.

Guide turistiche, artigiani, rappresentanti delle istituzioni e delle comunità lavorano ora in rete

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Autorità, comunità locali e associazioni internazionali lavorano ora in sinergia:la combinazione ideale

COMUNDO in NicaraguaSe volesse sostenere finanziaria-mente il lavoro di COMUNDO in Nicaragua, lo può fare con una donazione: Conto postale: 69-2810-2IBAN: CH74 0900 000 6900 2810 2Specificare: Mirko Pichierri, Nicaragua

È possibile anche effettuare rapide e comode donazioni online: scelga direttamente il Paese o il progetto che vorrebbe sostenere sul nostro sito:➔ www.comundo.org/it/sostienici/sostenere_comundo

La flessibilità è indispensabileQuando è arrivato in Nicaragua nel 2014 i suoi obiettivi erano ben diversi: il suo primo progetto puntava all’elaborazione di prodotti agroalimentari locali per pro-muoverli nei supermercati. Dopo una ra-pida valutazione dei costi di produzione, si è ben presto capito che non c’era mer-cato per tale iniziativa. Con grande prova di flessibilità, durante il suo primo anno di interscambio Mirko Pichierri si è quindi occupato di un progetto legato alla con-servazione dell’ambiente: si sono piantati 60’000 alberi, si sono promosse delle cam-minate ambientali e si sono formati dei giovani ambientalisti. Questi mesi di lavo-ro hanno permesso di gettare le basi affin-ché l’associazione continuasse a vivere.

Il 2014 è stato un anno particolarmente difficile per il Paese: una siccità spaven-tosa e la malattia che ha colpito le pian-tagioni di caffè hanno portato 100’000 famiglie contadine in situazione di in-sicurezza alimentare. Bisognava quindi trovare delle fonti di reddito alternative e delle strategie per uscire dall’emergenza alimentare. UCANS (Unione di coopera-tive contadine del nord de Las Segovias), grazie al sostegno del nostro cooperante, si è quindi lanciata in una importante fase di ricerca e raccolta dati che è dura-ta diversi mesi, ma che ha permesso di avere un’immagine più completa della zona e delle sue potenzialità.

Dalla concorrenzaalla gestione comunitariaIn sostanza l’attrattiva turistica della municipalità di Somoto era all’origine di difficoltà e potenziali conflitti: la prin-cipale attrazione, il Cañon del Rio Coco che porta ogni anno quasi 30’000 visita-tori, creava un clima di tensioni, dissa-pori e rancori tra la popolazione locale: «Solo la località d’entrata del Cañon ne approfittava e si assisteva a una specie di corsa al turista, caratterizzata da molta

improvvisazione e mancanza di profes-sionalità: ognuno cercava di guadagnare il più possibile, favorendo solo la propria famiglia», ci spiega Mirko Pichierri.

Vi è stato quindi un enorme lavoro di comunicazione e sensibilizzazione per coinvolgere le comunità e i beneficiari, convincendoli a collaborare invece di far-si concorrenza. Il tutto in alleanza con le istituzioni locali. Ne è nata una coopera-tiva tra le più grandi in Nicaragua per nu-mero di associati (ben 68, 42 uomini e 26 donne), che riunisce guide turistiche, ar-tigiani, rappresentanti delle istituzioni e delle comunità. I pacchetti turistici sono stati elaborati con la partecipazione di tutti gli abitanti, stabilendo regole di ro-tazione, qualità dei servizi offerti, prezzi e politiche di sviluppo sociale, in modo da poter redistribuire i redditi economici a più attori e contribuire a uno sviluppo comunitario integrale.

L’ecoturismo come strumento strategico«Il grande limite delle associazioni loca-li sta nella scarsa capacità di formulare progetti, per poter impiegare efficace-mente i fondi che provengono dal nord», ci spiega Mirko Pichierri, di formazione chimico, con un master in politica inter-nazionale e cooperazione allo sviluppo e uno spiccato interesse per la gestione di progetti e il ciclo di vita dei prodot-ti. A Somoto si sono combinati proprio i fattori ideali: il turismo era infatti già contemplato nel piano di sviluppo dipar-timentale – in quel momento esistente ancora solamente sulla carta – e Mirko Pichierri è stato il collegamento ideale tra autorità, comunità locali e associazio-ni internazionali: «Questo ha permesso di ampliare notevolmente il progetto : le istituzioni si sono convertite in partner e cofinanziatori». Attualmente il progetto di turismo co-munitario e sostenibile è stato presenta-to all’assemblea dei deputati ed è stato riconosciuto come priorità nazionale, di-ventando uno strumento strategico per affrontare il problema del cambiamen-to climatico. Le famiglie più vulnerabi-li ad esempio sono state coinvolte nella costruzione di infrastrutture turistiche,

ricevendo in cambio un compenso che ha permesso loro di affrontare la crisi ali-mentare. In questo modo hanno costrui-to dei punti panoramici e due negozietti, che permettono di commercializzare i prodotti artigianali della regione.

La via è tracciataGrazie alla ricerca scientifica si è scoperto moltissimo e il progetto si sta sviluppando in tutte le direzioni: dall’archeologia alla gastronomia, dall’artigianato all’agricoltu-ra, dal turismo alla musica tradizionale… Tante iniziative distinte che si realizzano contemporaneamente e che contribuisco-no a completare l’offerta turistica della zona, sperando di aumentare il numero di pernottamenti attualmente fermi al 10%: le comunità rurali sono state abbellite gra-zie al progetto Murales, con cui si sono for-mati giovani artisti; la ricerca ha permesso il recupero e la tutela di siti con interesse geologico e archeologico nella regione, ora in fase di catalogazione; madri sole e giovani sono state formate in artigianato e gastronomia per permettere loro ottene-re un reddito economico complementare all’agricoltura di sussistenza…

La via è tracciata, le potenzialità sono enormi. Si va tutti nella stessa direzione. «Potremmo essere il primo sito in Ameri-ca centrale ad essere riconosciuto come degno di conservazione da parte dell’U-NESCO», precisa Mirko Pichierri.

DAISI

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na malattia degenerativa che in-tacca il sistema motorio e che le

fa perdere l’involucro che protegge le fi-bre nervose, pari a un cavo che trasmet-te la corrente. «È come se stessi andando in corto circuito», ha spiegato ridendo ai giornalisti Norma Cruz, vera e propria guerrigliera dei diritti umani, parlando della malattia che l’ha costretta a usare un deambulatore e poi una sedia a rotelle, che le causa forti dolori e che l’ha portata a lasciare il timone della Fundácion So-brevivientes nelle mani della figlia. Quel-la stessa figlia che è stata la ragione della nascita della fondazione, e che ora la diri-ge a pieno titolo. Ne parliamo con Ximena Calanchina, tra le fondatrici del gruppo Donne Amnesty International della Sviz-zera italiana (DAISI) che nel 2011 ha con-tribuito a portare Norma in Ticino, per tematizzare la questione della violenza di genere anche dalle nostre parti.

Facciamo un passo indietro. Chi è Norma Cruz?È un’amica e una compagna di lotte, un esempio di impegno trasversale in am-bito sociale e politico. Sicuramente non un’eroina, si offenderebbe di questo at-tributo. Come DAISI siamo pienamente d’accordo con lei nel sostenere che siamo tutte donne che fanno parte di una sto-ria. Donne comuni che possono fare tan-to, non un’eccezione alla regola dell’in-dividualismo.Quando Norma è venuta in Ticino, è sta-to per creare un ponte tra l’America La-tina e l’Europa sul tema della violenza contro le donne, per far passare il mes-saggio che tutte le donne del mondo, indipendentemente da dove nascono e

Una vita dedicata ai diritti umani, e ora una sfida che non si aspettava. Norma Cruz, fondatrice della Fundación Sobrevivientes,

ha passato la mano alla figlia Claudia María Hernández Cruz

Testo: Priscilla De LimaFoto: Fundación Sobrevivientes

Contro la violenza sulle donne, ovunque e sempre

U vivono, condividono qualcosa: il pro-blema dell’oppressione di genere. «Può succedere a tutte, indipendentemente dalla provenienza sociale, dall’istruzio-ne, dalla regione in cui vivono, di subire violenza da parte di un uomo. E non c’è differenza tra lo schiaffo di un contadino e quello di un professore», aveva raccon-tato Norma Cruz, durante le sue presen-tazioni alla stampa nel 2011.

Ci ricorda cos’è e com’è nata la Fundación?La Fundación è nata dopo che nel 1999 la figlia di Norma, Claudia María Hernández Cruz, è stata vittima di violenza sessuale da parte del patrigno. In quel momento in Guatemala si stavano preparando le elezioni e sia Norma sia il suo compagno erano figure di rilievo a livello politico. Lei non ha però avuto dubbi: ha denun-ciato i fatti e da subito è cominciata la sua lotta per aiutare le centinaia di vittime di violenze sessuali che volevano chiedere giustizia. La Fundación offre aiuto e pro-tezione a coloro che vogliono rompere il silenzio e garantisce sostegno alle fami-glie delle donne assassinate. Ha inoltre contribuito a migliorare la pratica investi-gativa, affinché non si archiviassero trop-po facilmente i casi di morte violenta e le sparizioni. Norma Cruz, col suo instanca-bile lavoro, ha permesso di portare il ter-mine femminicidio nell’agenda politica del Guatemala. Da lì sono partite diverse campagne, in America Latina ed Europa, grazie ai contatti che si sono creati.

Perché è stato importante portare la testimonianza di Norma Cruz in Ticino?Il percorso personale di Norma le ha di-mostrato che la violenza di genere in Guatemala non era e non è una questio-ne privata: dopo la scoperta dell’abuso subito da sua figlia ha cominciato un pro-cesso difficile e doloroso di ricerca di aiu-ti, sostegni, informazioni. Ha così capito che moltissime famiglie vivevano lo stes-so incubo. Con la sua travolgente energia ha quindi coinvolto tantissime persone nella lotta per questa causa: con grande coraggio e generosità, si è cominciato a occuparsi gli uni degli altri. Ecco, questo è il passo importante: anche in Ticino la violenza esiste e anche qui è vissuta in modo individuale. Per sradicarla bisogna però portarla fuori dalle quattro mura do-mestiche, dove spesso si consuma.

Perché parlarne ancora ora?Norma Cruz è ammalata. Non riesce più a camminare e spesso è costretta a let-to dai dolori. Ha dovuto fare un passo indietro. Questo però non le impedisce di continuare a sostenere la Fundación: si fa portare dalle sue guardie del corpo − da anni è costretta a farne uso, a cau-sa delle serie minacce di morte che ha ricevuto, ndr –e presenzia quando può. Sta incarnando fino all’ultimo lo spiri-to della Marcia mondiale delle donne: “Lotteremo sempre, finché il patriarcato non sarà completamente sradicato dalla faccia della terra”. È importante parlar-ne perché nonostante la sua fragilità ha ancora la forza grande di chi sta facen-do la cosa giusta, e quindi non si perde d’animo. «Ho imparato a fare quello che posso, senza chiedere troppo al mio cor-

«Ho ancora il mio cuore, la mia testa e la mia voce»

cartabianca dicembre 2016 17

po e con la consapevolezza che, anche con i miei limiti, ho ancora il mio cuore, la mia testa e la mia voce», ha dichiarato recentemente alla stampa.

Grazie ai suoi contatti in Europa, Norma Cruz potrebbe senz’altro farsi curare qui. Perché non lo fa?In tutti questi anni di lotta politica non ha mai lasciato il Guatemala, se non per lavoro: la sua esperienza e la sua presenza sono infatti state fondamentali per parla-re del fenomeno del femminicidio a livel-lo internazionale. Durante la campagna ticinese con DAISI, nel 2011, l’ho ospitata a casa mia. Una sera, conclusi tutti gli im-pegni di informazione e sensibilizzazio-ne, ci siamo fatte una passeggiata sul lun-

golago di Lugano. Abbiamo chiacchierato e camminato per un’ora, senza meta e senza fretta. Norma mi ha detto ridendo: «Allora è questo essere in vacanza!». Non si sentiva così rilassata, senza scorta e sen-za preoccupazioni, da così tanto tempo! È una donna che è sempre stata in prima linea, sempre impegnata a livello sociale e politico, con una grande sensibilità an-che etica e religiosa. Resta in Guatemala per fedeltà e coerenza, perché c’è ancora parecchio da fare. La sua malattia l’ha per esempio resa attenta alle enormi difficol-tà delle persone disabili, e chissà che non faccia qualcosa anche per questa fascia della popolazione. Resta nel suo paese anche perché lì ha la forza della rete che ha creato.

Quando l’abbiamo incontrata nel 2011 negli uffici di Inter-Agire a Bellinzona, Norma Cruz ci aveva colpito anche per il suo aspetto fisico: bassa di statura, di cor-poratura quasi minuta, si portava sulle spalle il peso di centinaia e centinaia di casi di violenza sulle donne ancora pen-denti e che erano stati denunciati grazie alla Fundación. «Sto cercando di non abi-tuarmi alla morte che mi circonda. Il gior-no in cui resterò indifferente, non potrò più lottare per la vita», aveva dichiarato. Quel giorno non è ancora arrivato.

È in corso una campagna per sostenerla, maggiori informazioni sulla pagina Face-book di DAISI.

«Per combattere la violenza, bisogna portarla fuori dalle mura domestiche»

da COMUNDO

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Il lavoro di COMUNDO si concentra in tre ambiti tematici: mezzi di sussistenza, ambiente , democrazia e pace. CARTABIANCA spiega che cosa significa concretamente questo per noi. Parte I: mezzi di sussistenza

Testo: Corinne Sala Foto: COMUNDO

Sussistenza non è sinonimo di sopravvivenzaCOMUNDO si impegna con un centina-io di cooperanti in progetti di coope-razione allo sviluppo in Asia, Africa e America Latina; è quindi la principale organizzazione svizzera di cooperazio-ne attraverso l’interscambio di perso-ne. Nel suo programma 2015–2020 ha deciso di focalizzare il proprio im-pegno nei seguenti tre ambiti: mezzi di sussistenza, ambiente, democrazia e pace. COMUNDO non finanzia progetti nel senso classico della cooperazione allo sviluppo, ma collabora in loco con organizzazioni partner che rafforzano la popolazione locale. Tramite i suoi cooperanti COMUNDO promuove una forma di cooperazione da pari a pari ca-ratterizzata da formazione di personale

locale, interscambio di competenze, raf-forzamento istituzionale e messa in rete.

Le esperienze accumulate al Sud rappre-sentano inoltre anche il fulcro delle atti-vità di sensibilizzazione e formazione che COMUNDO realizza in Svizzera. Per rag-giungere un’efficacia a livello nazionale o internazionale COMUNDO, a volte, aderi-sce anche a iniziative di incidenza politica come quella sulle multinazionali respon-sabili o l’alleanza svizzera per il clima.

Cosa sono i mezzi di sussistenza?Per COMUNDO “sussistenza” significa ga-rantire a tutti − senza distinzione di ge-nere, età, appartenenza etnica e religiosa, condizioni economiche, sociali, ecc. − ac-

Migliorare la qualità della propria abitazione è un progetto che va condiviso da tutti

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er promuovere l’accesso ad abi-tazioni dignitose anche alle fasce

di popolazione più vulnerabili di Co-chabamba, l’architetto Alain Vimercati accompagna la Fondazione Pro-Habitat in un progetto di miglioramento della qualità delle case in Bolivia. Negli ulti-mi 20 anni Cochabamba è cresciuta di un terzo, a causa della povertà sempre più persone abbandonano le campagne per venire ad abitare in città. Sono nati cosi sempre più quartieri periferici cao-tici, non pianificati, senza accesso a ser-vizi di base come acqua e elettricità, con case costruite con materiali di fortuna e condizioni igieniche che mettono seria-mente a rischio la salute di chi vi abita. Insieme agli abitanti di questi quartieri Alain pianifica come si possa migliorare tecnicamente la propria abitazione per

Tra la dozzina di ticinesi impegnati con COMUNDO, in questo numero vi presentiamo il lavoro concreto di tre cooperanti attivi nell’ambito della sussistenza.

Esempi concreti

cesso ai mezzi necessari per condurre una vita degna e autodeterminata. Mezzi che non si riducono soltanto a beni materiali come cibo, acqua potabile e abitazione, ma comprendono anche beni immateriali come ad esempio l’accesso a sanità, edu-cazione, formazione, protezione, affetto, comprensione, identità e altro ancora.

Sicurezza alimentare: tutti devono ave-re accesso in modo costante ad acqua potabile e un’alimentazione sufficiente, sana ed equilibrata. Per questo COMUN-DO sostiene organizzazioni partner che promuovono un’agricoltura biologica, orti urbani, l’educazione a un’alimenta-zione consapevole e all’igiene.

Assistenza sanitaria: tutti devono poter usufruire di cure mediche di qualità in ospedali facilmente accessibili, con suffi-

ciente personale e attrezzature appro-priate. Per questo COMUNDO sostiene organizzazioni partner che offrono cure adeguate anche a madri, bambini, per-sone con disabilità o pazienti con parti-colari esigenze e che danno importanza alla formazione continua del proprio personale.

Abitazioni dignitose: tutti devono poter vivere in abitazioni sicure e dignitose con accesso ai servizi di base e condizioni igie-niche tali da evitare rischi per la salute. Per questo COMUNDO sostiene organizza-zioni partner attive nell’“edilizia sociale”.

Formazione: tutti devono avere accesso a una formazione di base e professiona-le di qualità che permetta di acquisire le conoscenze e competenze necessarie per avere reali possibilità di inserimento nel

mercato del lavoro e garantire un reddito a sé stessi e alla propria famiglia. Per questo COMUNDO sostiene soprattutto organizza-zioni partner attive nella formazione pro-fessionale, ad esempio nell’ambito dell’ar-tigianato (falegname, fabbro, sarta …).

Opportunità di lavoro: tutti hanno di-ritto a un impiego dignitoso e remune-rato correttamente oppure all’accesso ai mezzi (finanziari e non) necessari per iniziare un’attività economica. Per questo COMUNDO collabora con organizzazioni partner che creano possibilità di lavoro o facilitano l’accesso al credito anche alle fasce più vulnerabili della società come donne, madri sole, lavoratori in proprio o persone con disabilità.

renderla più dignitosa e sicura. Li accom-pagna inoltre nelle procedure necessarie per rispettare le norme edilizie e garan-tire i diritti di proprietà. A nessuno vie-ne consegnata una casa chiave in mano: le famiglie devono procurarsi parte dei soldi, del materiale e della forza lavoro. Alain è convinto che questo approccio aiuta le persone ad aiutare se stesse: «L’e-sperienza insegna che il migliore inve-stimento è credere nel potenziale delle persone e sostenerle nelle loro ambizio-ni. Solo così la gente si può veramente rendere conto del valore delle case e del-le loro possibilità di cambiare qualcosa».

Per garantire una formazione di base di qualità, l’educatrice Nicole Attana-sio collabora con il nostro partner Fe y Alegría, un movimento di educazione popolare e promozione sociale che vuo-le garantire ai giovani un’educazione integrale di qualità. Nicole collabora di-rettamente con docenti, allievi e genito-ri di tre centri educativi di Fe y Alegría situati a Ciudad Sandino (periferia nord di Managua, Nicaragua) con l’obiettivo di migliorare la collaborazione scuola-fa-miglia e di coinvolgere tutti nella piani-ficazione e realizzazione di attività extra

scolastiche. Lo scopo è di potenziare lo sviluppo personale degli allievi e pro-muovere maggiore partecipazione so-ciale nella comunità. Principalmente si tratta di proposte ricreative come teatro, poesia e sport o attività che insegnano ai bambini a esercitare i propri diritti e doveri di cittadini (esempio: simulazioni di elezioni, creazione di commissioni di allievi, campagne di pulizia della scuola e comunità, ecc.).

Per garantire protezione, affetto e com-prensione a bambini in situazione di rischio o vittime di abusi, la psicologa 25enne di Caslano Jasmin Stern sostiene la fondazione Onesimo Bulilit di Manila, nelle Filippine. La fondazione gestisce un centro residenziale che accoglie bambini tra i 6 e 12 anni trascurati, abbandonati, di strada o abusati. Lo scopo è di offrire protezione, ascolto e comprensione trami-te servizi di elaborazione delle esperienze vissute, di scolarizzazione, di reinserimen-to o ricollocamento familiare e di accom-pagnamento verso l’autonomia. Jasmin in particolare sta sostenendo la fondazione, in stretta collaborazione con l’équipe lo-cale, di un programma di attenzione per bambini vittima di abuso sessuale.

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da COMUNDO

cartabianca dicembre 201620

CARTABIANCA

EditoreCOMUNDO / Bethlehem Mission ImmenseeKreuzbuchstrasse 446006 LuzernCARTABIANCA con Notizie Inter-Agiretrimestrale di approfondimento intercultu-rale, fondato nel 1898 con il nomeBETLEMME e pubblicato da COMUNDO/Inter-AgireRedazione Priscilla De LimaRedazione WENDEKREISSylvie Eigenmann e Nicole MaronRedazione ComundoNewsMaimouna MayorazVignetta Daria LeporiGrafica Thomas Lingg, Grafik & IllustrationFoto Marcel KaufmannStampa MulticolorPrint AG, Baar

1 numero: franchi 5.–Abbonamento (4 numeri): franchi 20.–Abbonamento estero: franchi 30.–La pubblicazione di articoli tratti daCARTABIANCA è possibile solo previoconsenso della redazione e citando lafonte. Articoli firmati riportano l’opinionedell’autore, che non è necessariamenteidentica a quella di COMUNDO/Inter-Agire.COMUNDO/Inter-Agire è titolaredel marchio ZEWO, l’ente che verifica chele donazioni ricevute sono utilizzateper lo scopo dichiarato,efficacemente e senza sprechi.Redazione CARTABIANCACOMUNDO/Inter-AgirePiazza Governo 46500 BellinzonaTel 058 854 12 10E-mail: [email protected]: www.comundo.orgPer la Svizzera:Conto postale 69-2810-2

Nel prossimo numero (marzo 2017)

Cosa vogliamo sapere• tra conoscenze e competenze• educazione sostenibile• modelli educativi a confronto

ome già anticipato nel 2014, dalla fine di quest’anno COMUNDO non

sarà più attivo nello Zimbabwe, in Ecuador e in Brasile. Le ragioni di tale decisione sono varie. Nello Zimbabwe la decisione di partire è sta-ta dettata dalla situazione politica del paese e dai relativi rischi per i cooperanti. In Ecua-dor è in corso, da alcuni anni, un processo di trasformazione che rende difficile il lavo-ro delle ONG, che sono sempre più sotto il controllo e l’influsso dello Stato. Il Brasile, in cui siamo stati presenti a lungo, è un paese emergente che ha vissuto negli ultimi anni un boom economico che rende i progetti di cooperazione allo sviluppo meno necessari e molto più costosi. Inoltre, in seguito alla separazione tra COMUNDO ed E-CHANGER, anche il Burkina Faso non sarà più un paese di destinazione. I progetti in corso in questo paese e quelli futuri saranno ripresi dal 2017 da E-CHANGER, che intende in seguito riatti-varsi anche in Brasile. Di conseguenza dal 2017, COMUNDO sarà attivo solo in sette paesi in Africa, America del Sud e Asia: si tratta di Bolivia, Colombia, Filippine, Kenya, Nicaragua, Perù e Zam-bia. Questa riduzione dei paesi di destina-zione non è tuttavia da interpretare come una diminuzione del nostro impegno. Non coinciderà infatti con un calo del numero dei cooperanti, ma porterà piuttosto a una concentrazione di più progetti in meno pa-esi. COMUNDO sarà rappresentato nei paesi con un totale di un centinaio di cooperanti.

COMUNDO si concentra, ma non diminuisce l’impegnoRiduciamo da undici a sette i nostri paesi di destinazione, ma senza abbassare il numero di cooperanti sul terreno. Lo scopo è aumentare l’impatto del nostro lavoro, concentrando le risorse

C

I nostri coordinatori locali dal 2017: Marta Pello (Bolivia) e Regalado Ente (Filippine) seduti. Jutta Wermelt (Kenya), José Ramiro Llatas Pérez (Perù), Federico Coppens (Nicaragua) e Mirjam Kalt (Colombia) in piedi. Manca Miriam von Borcke (Zambia)

Foto: Marcel Kaufmann/COMUNDO