Catalogo presente 2014 schimperna

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Estratto-Dialogo con Susanna Schimperna

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Dialogo con Susanna Schimpernadi Marco Filippa

(marco filippa)Susanna, sei instancabile. Scrivi, intervieni in te-levisione e nelle radio, pubblichi su face book pensieri che scatenano dibattiti e ragionamenti mai banali. Voglio riprendere un tuo ragionamen-to sull’evoluzione, sull’idea, di derivazione darwi-niana, che le cose abbiano una direzione, evolu-tiva appunto. Una freccia, che parte da sinistra andando destra (come la nostra scrittura) e pun-ta al miglioramento, ammettendo sempre e solo una trasformazione positiva. Poni un interessante interrogativo critico, vuoi svilupparlo?

(susanna schimperna)A me sembra che siamo tutti vittime - e con tutti intendo proprio tutti, anche quelli che consapevolmente non la pensano così - di una concezione da una parte progressista e dall'altra ciclica. Questo perché non ce la facciamo a non credere che esista una freccia del tempo che proceda in modo ir-reversibile trascinando con sé cambiamenti che "per forza" ci distaccano dal passato, ma allo stesso tempo ci pare che studiare la storia ci insegni che tutto prima o poi si ripropone, che esistono delle fasi a cui sia impossibile sottrarsi. Ci sono naturalmente anche i primitivisti, come l'anarchico John Zerzan, che auspicano e praticano un'esi-stenza semplice, in cui non ci sia per esem-pio posto per le tecnologie. Però gli stes-si primitivisti, se analizziamo bene la loro posizione, non prescindono dalle due dop-pie concezioni di progressismo obbligato e ciclicità. D'altra parte se non cercassimo spiegazioni e non avessimo pregiudizi non saremmo umani. Io posso criticare quanto voglio l'idea che lungo la strada che stiamo percorrendo non sarà possibile fermarci, ma dentro di me sento che sarà comunque così, e che se mai dovessimo invece fer-marci, anche questo avverrà perché parte di un piano generale evoluzionistico. Non so se questa propensione a credere all'evo-luzione si possa chiamare spirito religioso. Di fatto, abbiamo il rinforzo della scienza: le osservazioni astronomiche confermano che l'universo nasca da un big bang e poi si sia espanso. Il dubbio è solo se conti-nuerà a espandersi o a un certo punto co-mincerà a contrarsi, in una sorta di rewind. Un'evoluzione inarrestabile comunque, uno sviluppo. Ecco la stranezza: gli scienziati trovano ormai impossibile, quando parlano del tempo, ragionare in termini di passato-presente-futuro, eppure parallelamente ci raccontano questa realtà cosmica in cui il passato, il presente e il futuro esistono ec-

come. La verità è che tutto questo è nella nostra mente, e sarebbe più saggio convin-cerci che una realtà oggettiva non esista, o comunque non sia conoscibile da noi. «Is the Moon there when nobody looks?» si domandava Einstein (la Luna è davvero lì quando nessuno la guarda?). Solo che ri-uscire ad accettare questo richiederebbe una mente... non umana.Sulla mia instancabilità: io faccio davvero pochissimo, ma dato che faccio cose di va-rio tipo e che sono anche piuttosto veloce, trasmetto questa impressione... che appun-to è solo un'impressione, come quella che esista una freccia del tempo.

(marco filippa)Le impressioni che lasciamo, per definizione po-tremmo dire, sono indipendenti da noi e quindi, è un po’ come dire, che gli effetti che tutte le teorie e i pensieri avranno sugli altri sfuggono a regole certe, per fortuna… se poi pensiamo agli effetti dell’inevitabilità dell’interpretazione, anche solo al livello più immediato del linguaggio verbale… beh verrebbe da affermare: come non ci capia-mo mai. La ciclicità degli eventi finisce per assog-gettarci all’ambiguo concetto bipolare: evolutivo/involutivo; come se si trattasse di una sinusoide infinita, anche se forse lo è. Se penso alla storia dell’arte, ma vale per un’infinità di cose, assistia-mo alla pretesa ordinatrice di immaginare tanti tasselli conseguenziali che, secondo molti stori-ci, sarebbero riassumibili in due grandi famiglie concettuali: quella classica e quella romantica. Tutto regge fino a quando non arriva qualcuno (penso a Francis Bacon, per citare un nome) che non è ascrivibile necessariamente a una delle due “famiglie” ed è proprio come un figlio ano-malo e indipendente e le soluzioni sono in qual-che modo due: o lo osservi come anomalia, ar-rendendoti, oppure lo soffochi negandogli la vita. Mi sembra quello che accade quotidianamente in molte cose, cosa ne pensi?

(susanna schimperna)Penso che sempre meno ci sia la possibilità che si osservi qualcosa o qualcuno come un'anomalia. Basta che siano soltanto per-cepiti come tali e l'operazione di soffoca-mento è immediata, eseguita attraverso l'emarginazione, l'isolamento, l'indifferenza. Non credo nemmeno che tutto questo av-venga dopo una riflessione e con un'azione volontaria. E' un automatismo.

(marco filippa)Hai (purtroppo) ragione. Quello che un tempo, che fosse vero o meno, veniva definito “spiri-to critico” sembra sparito e si è portato dietro

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un’onda lunga che ci rende incapaci di analiz-zare con lo scopo di comprendere. Mi interessa l’arte ma non riesco e non voglio svincolarla, in alcun modo, dai processi di conoscenza e dai valori emozionali della vita e anche per questa ragione ospitiamo, in questo catalogo/rivista, te-matiche apparentemente lontane. Collabori con il quotidiano “Il Garantista” diretto da Piero San-sonetti e mi sembra che si tratti di un progetto/manifesto di cui abbiamo enormemente bisogno in questo momento. Vuoi parlarne?

(susanna schimperna)Nel mio ultimo libro Cattivi Pensieri - appun-ti e metodi per lo studio della felicità, scritto prima che nascesse "il Garantista", dico: «lo sguardo anarchico sul mondo è tanto sofi-sticato quanto ruvido, iperrealista, fuori da ogni ideologia, e quindi per accettare per-lomeno di confrontarsi con la sua radica-lità non basta una mente aperta, ci vuole un cuore coraggioso». Ecco: mente aperta e cuore coraggioso, che è un diverso modo di dire che processi di conoscenza e valori emozionali, come tu li chiami, non possono essere separati. Dobbiamo smettere di cre-dere al dualismo ragione/sentimento, che è un abuso non della ragione, ma dell'irragio-nevolezza. Nell'essere garantisti, per esem-pio (e qui mi riferisco al giornale), entrano ovviamente in gioco anche l'emotività, l'em-patia, la comprensione, la pietà. Mettersi nei panni dell'altro: che cos'altro potrebbe aiutarci di più a capire? Non possiamo cer-care le risposte soltanto nei libri.

(marco filippa)Dopo la prima intervista capii che la parola più adatta per definire questo nostro “parlare” era dialogo perché penso si tratti proprio di que-sto. Anche in questo caso, o forse più ancora in questo, le premesse che sento necessarie per proporti una riflessione (perché non si tratta ve-ramente di domande) occupano molto spazio. Penso però che possa solo aiutarci a entrare, in qualche modo, in una dimensione che si pre-oc-cupa, soltanto e soprattutto, di cercare una pro-spettiva di crescita umana e questo può avvenire, potenzialmente, se riusciamo ad ascoltarci sen-za avere la frenesia del giudicare e, il cuore co-raggioso come lo definisci amabilmente tu, apre nuove frontiere da superare per non sconfinare nell’irragionevolezza. Zygmunt Bauman, analizza il nostro tempo associandolo al concetto di liqui-dità, contrapposto alla solidità della prospettiva moderna. Alejandro Jodorowsky propone azioni psicomagiche per curare le nostre ferite. Spec-chiarsi negli altri, non sempre è piacevole ma ci

consente di misurare il nostro stato delle cose. Continuo, per certi versi ostinatamente, a crede-re nel dialogo come via per cercare di crescere e capire, perché gli altri sono comunque il mi-gliore specchio disponibile. I libri, come i dipinti, le fotografie, la musica, ecc. sono veicoli a vol-te importanti, ma se non nascono da una rea-le necessità umana rischiano di diventare solo superficie senza sostanza. Sai che sono un de-mocratico liberale ma anche un libertario e un qualche apparentamento storico-culturale con lo sguardo anarchico mi sembra ci sia. Le demo-crazie sono sempre più apparenti e quello che ne consegue è sotto gli occhi di tutti e la strage dei diritti, come direbbe Pannella, finisce per di-ventare strage di popoli. In questi giorni da Hong Kong ci arrivano notizie incoraggianti soprattut-to osservando che il leader/non leader di questo movimento che essenzialmente chiede libertà, ha diciassette anni. Detesto ogni giovanilismo a tutti i costi e contemporaneamente penso ai no-stri modelli gerontocratici mafioso/clientelari che hanno letteralmente rubato il futuro ai giovani… tanti spunti per una tua riflessione, come sempre aperta.

(susanna schimperna)Parliamo subito di questa espressione così comune, ormai: "strage di diritti". Non che non sia corretta, anche se ovviamente le stragi in democrazia avvengono in modo meno sanguinolento che nei regimi in cui per mettere a tacere i dissidenti si spa-ra (e nelle rivoluzioni in cui si ghigliottina e si tortura: a quando, a proposito, una se-ria riflessione sugli orrori, sui sadismi, sui massacri di vecchi, bambini e malati nella tanto osannata Rivoluzione francese?). Ma il fatto che ci troviamo a parlare di "dirit-ti" al plurale, come se ce ne fossero tanti, magistralmente e necessariamente cata-logati o catalogabili, a me suona talmen-te stonato, e dovrebbe, davvero, generare qualche domanda. I diritti sono al plurale perché abbiamo costruito una società fin-ta, che ha perso e sempre di più sta per-dendo la nozione elementare e istintiva del diritto alla vita, da cui consegue tutto il re-sto: libertà, salute, conoscenza. I ragazzi sì, ancora conservano quei nuclei di resisten-za che fanno urlare il bambino che genitori folli comprimono con un abbigliamento che sembra una camicia di forza, limitano nei movimenti, nutrono con schifezze, portano in luoghi malsani, puzzolenti, rumorosis-simi e orribili. A diciassette anni, secondo le ultime scoperte scientifiche, quel leader che nomini non è eccessivamente giova-

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ne: ha un anno di troppo, anzi, se vogliamo considerare solo il suo sviluppo intellettivo, che raggiungerebbe il picco a sedici anni. Tornando invece a quello che dici su cuo-re coraggioso e irragionevolezza, è difficile, difficilissimo, eppure è l'unica via possibile, riuscire a conciliare cuore e ragione, senti-mento e logica. Quando avremo imparato a farlo, ci accorgeremo che in realtà non c'era alcuna opposizione, che i sentimenti quan-do non sono malati (e sono malati spesso per colpa di una razionalità malata) seguo-no una logica, e che la logica è tale solo quando obbedisce a sentimenti non malati (e quindi è logica di vita, non di morte, e alla vita tende quando si applica alla risoluzione dei problemi). Una riflessione tristissima: nel tenere lontani i giovani dalle decisioni non c'è solo la preoccupazione degli adulti per il proprio potere, piccolo o grande che sia, ma l'idea - che può essere inconsape-vole, ma purtroppo è sempre giusta - che più anni passeranno e più i giovani si omo-logheranno, appiattiranno, spegneranno. Già la scuola, in questo senso, fa un bel la-voro, e quando dico "bel" sono ovviamente ironica.

(marco filippa)Ci lavoro nella scuola è condivido assolutamen-te il tuo giudizio. Da questo punto di vista è la struttura omologante per eccellenza. Tenta di produrre quello che vorrebbe, e dico tenta per-ché è un luogo della confusione per eccellenza e non uso impropriamente il termine produrre per-ché la scuola assoggetta il termine educazione a quello di omologazione. Continuo a voler pen-sare che un luogo sociale sia un luogo in cui le persone possono interagire con la loro libertà e quindi l’esatto contrario di una qualche forma di ordine precostituito. L’invenzione dei diritti nasce infatti negli ambiti rivoluzionari, con tutte le ne-fandezze indiscutibili a cui accenni. La malattia diffusa nei nostri mondi è palpabile e riconosci-bile, o almeno così a me sembra, nella crona-ca quotidiana, nell’improvviso esplodere di ten-denze criminali nella gente cosiddetta normale. Continuo a pensare che la creatività sia, come sostenne lo psicologo americano J.P.Guilford, un pensiero divergente. Quello che però penso è che la creatività non sia affatto relegabile sol-tanto a certi ambiti ma possa invece essere un modo di vivere e quindi di guardare alle cose e potremmo tranquillamente capovolgere il princi-pio: guardando le cose si sviluppa un modo di vivere. Siamo in una specie di vicolo cieco ma, forse, questa è propria un’occasione formidabile per trovare soluzioni nuove, quelle vecchie non

sono soluzioni altrimenti non saremmo finiti dove siamo finiti. Servono pensieri e quindi azioni, in un incessante conseguenzialità reciproca, per ri-nascere.

(susanna schimperna)D'accordo sull'analisi e anche sull'idea che mai come in questo momento, proprio mai nella storia, abbiamo avuto occasioni così incredibili di trovare soluzioni nuove. Però evidentemente la legge di compensazione funziona sempre, nel paleolitico e nell'era di internet, quindi quegli stimoli al creare, direi anche quelle condizioni, che in pas-sato c'erano, ora sono venute completa-mente a mancare. Per esempio, manca il tempo. E' completamente segmentato, è il nostro incubo, scandisce tutta la serie di doveri-piaceri quotidiani, scandisce i nostri programmi su base settimanale, mensile, semestrale. Appuntamenti precisi, pause pranzo al minuto, si incastra la palestra, ci si fa il conto di quanto tempo al mattino si possa dedicare alla doccia. Non esiste più nulla che sia flusso, niente ci permette una sospensione da questi ritmi innaturali. Ma lo sai che fino a pochi secoli fa, pochi ave-vano la nozione del tempo, del secolo in cui stavano vivendo? Inutile fare il discorso del-le fabbriche, dell'industrializzazione che ha sconvolto le nostre esistenze meccanizzan-do anche l'essere umano, perché sappiamo tutti come sia andata ma sappiamo anche che c'è ben altro: non solo l'operaio è vittima del minutaggio, lo siamo tutti, a tutte le età. Persino se ci prendiamo una settimana di vacanza. In questa situazione, io penso che la creatività incontri ostacoli proprio strut-turali. Il lampo di illuminazione che nasce da una vera osservazione delle cose, cioè un'osservazione frutto di curiosità, di caso, di ozio... il gusto di giocare con le ipotesi, di immaginare come potrebbe essere se... Ma ti sembra che tutto questo si possa fa-cilmente fare, ridotti come siamo sotto il giogo della scansione del tempo? Per me questo è uno dei problemi maggiori, e tu in-consapevolmente lo adombri, quando parli di "incessante conseguenzialità reciproca": non esiste alcuna conseguenzialità, perché c'è, in ogni campo, spezzettamento, fram-mentazione. C'è nella nostra testa, c'è nella nostra giornata. Come potrebbe non esser-ci nei nostri pensieri e nelle nostre azioni?

(marco filippa)Hai ragione Susanna. Pecco sempre di un’ingua-ribile ottimismo perché aspiro, come disciplina personale, a cercare visioni della realtà che ci

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aiutino a migliorare (è sottinteso che penso tu faccia esattamente la stessa cosa.) Continuerei a conversare all’infinito con te ma voglio prova-re a farti (forse) l’ultima domanda. Ho finito da poco di leggere il tuo splendido ultimo libro: Cat-tivi pensieri – appunti e metodi per lo studio della felicità che tra l’altro consiglio a tutti per l’immen-sa capacità, riprendo un tuo concetto espresso in una trasmissione televisiva, di addentrarsi con autentico metodo filosofico nelle cose della vita. Nel capitolo intitolato “Senza un Altrove del pen-siero nessun futuro è possibile” citi il critico Ber-nard Berenson e poni un interrogativo sulla qua-lità delle opere (letterarie, pittoriche e musicali) contemporanee. Convengo con te questo è un tempo frammentato e tutto ne risente, non può essere altrimenti. Vuoi approfondire?

(susanna schimperna)Tempo frammentato e pensiero unifica-to. Certo non sono la prima a ribellarmi al “pensiero unico”. Quante volte abbiamo sentito questa espressione? Da destra e da sinistra, da intellettuali e giornalisti. Tutti a scalmanarsi contro il pensiero unico, così come tutti a schernire la politically correct-ness. Ma prova a sostenere che i bianchi sono superiori ai neri, che l’omosessualità è una malattia oppure una benedizione, che le persone con imperfezioni fisiche sono segnate da Dio, che la tortura è necessa-ria. Idee orrende, vero? Eppure fino a poco tempo fa erano non solo in voga, ma erano di tutti, considerate veridiche, condivise dal colto e dall’ignorante. E allora, dato che io non credo affatto che di colpo queste idee si siano dissolte, voglio che si possano espri-mere e liberamente dibattere, senza censu-re e senza rischio di denunce. Idee repellen-ti? Pericolose? Cito il mio libro: “Se così è, esiste un solo modo di stemperarne la viru-lenza: permettere loro di fuoriuscire, di tro-vare accoglienza. Non saranno così eluse con rabbioso disprezzo (o magari in forza della legge), ma criticate aspramente ricor-rendo ad argomenti validi. Io sono nemica della norma che proibisce l’apologia del fa-scismo, tanto per essere chiari. E’ illiberale. Di più. E’ un’insensatezza, una resa. Soltan-to nella libertà ci si educa alla libertà. Mol-to semplice, eppure impossibile da accet-tare”. Aggiungo che persone diversissime tra loro, come Buscaroli (fascista) o Zerzan (anarchico), hanno delle idee talmente forti, e una visione talmente “altra” della società, che possono essere censurati solo dall’im-becillità di un sistema, il nostro, di fronte a cui quello descritto da Huxley ne “Il Mondo

Nuovo” impallidirebbe. Buscaroli dice cose tremende della resistenza, Zerzan inneggia a Unabomber. E dunque? Io voglio sapere, voglio ascoltare, voglio avere la possibili-tà di conoscere i loro punti di vista e rifiu-tarli. Sai perché in passato c’è stata tanta più arte, tanta più creatività? Perché magari non potevi criticare il dittatore, il re, il Papa, ma potevi concepire e far circolare le idee più bislacche. Lo sai che Michel Onfray per aver scritto un libro contro Freud e la psico-analisi è stato minacciato, ha subito attac-chi vergognosi, è un miracolo che non sia stato costretto a emigrare al Polo Nord? Erri de Luca, in Italia, denunciato per istigazione alla violenza per le sue idee sulla resistenza NoTav in Val di Susa… Oggi il mondo delle idee si è ristretto, giochiamo alla lana ca-prina con un minimalismo talmente ridicolo che si sprecano pagine e pagine sui giornali in polemiche su una mezza parola detta o non detta. Il problema è che ci stiamo auto-censurando, tutti. Perché, credendo che or-mai poco ci sia da fare a livello concreto, e troppo sia ormai acquisito a livello teorico, ci costringiamo a pensare entro schemi di cui nemmeno ci accorgiamo. Chiacchiere interminabili, ma su cosa? Da quanto non sentiamo e non facciamo discorsi che toc-cano il cuore e mettono in moto la mente, al di là dello stupido populismo che parla alla pancia e sollecita quanto di peggiore c’è in noi, l’invidia, il gusto dello scherno, la rab-bia, l’odio? Io vedo un deserto. Ma non per-ché non ci siano talenti, ce ne sono e moltis-simi. Però oggi i ragazzi devono lavorare nei call center, gli artisti fanno la fame se non sono bravi a finire in televisione per qual-che trovata “scandalosa”. Meglio quando i ragazzi lavoravano a bottega, allora. Sfrut-tati, ma col cervello libero. Sfruttati, ma con le orecchie e gli occhi aperti ad imparare dai maestri. Ci lamentiamo tanto, oggi. E però ho paura che non ci lamentiamo delle vere storture, non le cogliamo, non voglia-mo conoscerle. Se continueremo a impe-gnare tutte le nostre energie in una sterile lotta contro i politici (che da tempo non rap-presentano più nulla e nessuno, e contano poco più di zero), non ce la faremo. La vita è davvero altrove. Anzi, Altrove. Non c’è più l’Altrove geografico, né quello del Pensie-ro? Ricreiamoli. Prima di tutto dentro di noi e tra noi, nei rapporti umani, in un diverso approccio alla realtà, in un diverso modo di pensare, di vivere, di amare. Abbiamo cita-to tanti personaggi illustri, fammi citare un songwriter tra i miei preferiti, Cat Stevens.

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In un suo stupendo brano a un certo punto fa: “And love is all, he said”. E l’amore è tut-to, egli disse. Amore romantico, amore per la vita, amore per qualcosa. Si costruisce e si vive, si lotta e ci si riposa, si può sperare in un sonno sereno e in un risveglio allegro solo nell’amore, per amore. Il resto è robac-cia. Lasciamo che i cattivi pensieri ci tenga-no vivi, all’erta, curiosi, dubbiosi, mai sazi. Ma i cattivi sentimenti, quelli buttiamoli via. Ci rendono meschini, ci imbruttiscono. E ci fanno anche perdere un sacco di tempo.

(marco filippa)Giuro mi sono venute le lacrime leggendo gli ul-timi cattivi pensieri che hai scritto. Sono un co-labrodo da questo punto di vista ma, ed è una cosa che penso da molto tempo e che chiamo la forza della debolezza, un ossimoro e puoi ro-vesciarlo ma è quella cosa che mi fa sentire vivo e vero. Forse si tratta di un’illusione (di chiamarla illusione1) ma è proprio quello che dici, non pos-siamo porre barriere alle barriere ma solo apri-re porte, sempre perché soltanto così possiamo esplorare nuovi Altrove.

______________________1_Claudio Rocchi, La realtà non esiste, 1971)

Susanna Schimperna

Scrittrice, conduttrice televisiva e radiofonica. E’ nata e vive a Roma.