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4 - Sistemi Integrati | Volume 2 - 2019 Fotografia nel cinema: così il digitale cambia le regole del gioco Con le tecniche digitali di ripresa, i linguaggi sviluppati con la pellicola si sono pro- fondamente trasformati: inquadratura, luce, tempi e modi di ripresa seguono nuo- ve regole e offrono nuove possibilità. Paolo Ferrari, Cinematographer, commenta questo cambiamento, riferendosi anche al suo ultimo lavoro, Drive Me Home, gira- to con Canon Cinema EOS C300 Mark II. Instagram: #paoloferraricinematographer | canon.it Come l’avvento delle tecniche digitali di ripresa ha cambiato la fotografia nel cinema? In che modo il sensore, la gamma dinamica e i filtri ND di una camera digitale influenzano il lavoro del ‘Cinematographer’ (colui che è responsabile di prendere decisioni artistiche e tecniche relative all’immagine, curando le riprese e le luci di un film)? Perché il digitale ha dato nuova linfa vitale al cinema della realtà? Ce lo racconta Paolo Ferrari, professione Cinematographer, il primo in Italia ad aver sperimentato nel 1998 la ripresa digitale nella produzione di film. Un percorso di crescita il suo, nato ancora quando il ‘girato’ con le prime camere digitali, terminate le fasi di montaggio e post-produzione (color correction compre- so) veniva trasferito su pellicola negativa. Dalla pellicona negativa si ottenevano poi tutte le copie ‘positive’ per la proiezione in sala. Rimandiamo al box dedicato il racconto affascinante di come il digitale sia man mano, con fatica, e lunghi periodi di convivenza, andato a inserirsi nel mondo del cinema fino a scansare la pellicola. Vediamo subito invece, così come ce li ha spiegati lo stesso Ferrari, quali sono i principali elementi caratteristici delle camere digitali che stanno cambiando qualità, forza, resa artistica dell’immagine nel cinema e che, se opportunamente sfruttati, offrono infinite possibilità a un cinematographer di talento: - gamma dinamica: grazie alla sensibilità del sensore si riduce drasticamente l’utilizzo di luci aggiunte; - gamut più ampio: consente di riprendere i colori come li si vede nella realtà; - peso e le dimensioni contenute: rendono più liberi di girare per catturare immagini ‘vere’; - filtri ND integrati: consentono di ottenere un girato più armonioso; - autonomia delle batterie: permette di girare sequenze molto estese dalle quali ri- tagliare ‘l’attimo’ che conta; - efficienza del codec: il ridotto ingombro dei file che corrisponde a un minor numero di schede da registrare; A questi punti se ne aggiunga un ultimo, CASE STUDY | PAOLO FERRARI, CINEMA E DIGITALE Si parla di: Paolo Ferrari, cinema della realtà, cinecamere digitali, Cinema EOS Canon C300 Mark II IL PASSAGGIO DALL’ANALOGICO AL DIGITALE E L’ESPERIENZA DI “QUELLO CHE CERCHI” Il passaggio dall’analogico al digitale, racconta Paolo Ferrari, è stato un passaggio tutt’altro che netto: «In principio, la camera digitale si affiancava alla pellicola: nello stesso film, alcune riprese erano fatte in digitale, altre in analogico. D’altra parte pellicola e ‘video’, quello che oggi si chiama digitale, sono sempre coesistiti, soltanto che il ‘video’ per molto tempo è stato considerato lo stru- mento della televisione, restava lontano dal mondo del cinema». Ferrari ricorda quindi il suo primo approccio al digitale: «Era- vamo proprio agli inizi, ma fin da subito il digitale mi è apparso come un percorso con possibilità quasi infinite. Quando ho girato “Quello che cerchi”, di Marco S. Puccioni, le mie impressioni hanno trovato conferma: abbiamo usato diverse camere digitali, ognuna con una propria identità, stile, fluidità, colorimetria; era come avere a disposizione pennelli diversi. Negli anni ’80 e ’90, lavorando come assistente di Vittorio Storaro, avevo capito che, all’interno dello stesso film, l’uso di pellicole con emulsioni diverse contribuiva a rendere più precise le immagini dentro al racconto. Ora con il digitale si poteva fare lo stesso, e forse anche di più, variando non le pellicole ma le camere digitali. È stato in quel momento che ho capito che le camere digitali potevano condividere elementi caratteristici delle cineprese a pellicola, quindi in prospettiva ereditarne il ruolo. Ed era straordinario che questa scoperta fosse nata nella dimensione, oggi dimenticata in Italia, della ricerca».

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Fotografia nel cinema: così il digitale cambia le regole del giocoCon le tecniche digitali di ripresa, i linguaggi sviluppati con la pellicola si sono pro-fondamente trasformati: inquadratura, luce, tempi e modi di ripresa seguono nuo-ve regole e offrono nuove possibilità. Paolo Ferrari, Cinematographer, commenta questo cambiamento, riferendosi anche al suo ultimo lavoro, Drive Me Home, gira-to con Canon Cinema EOS C300 Mark II.

Instagram: #paoloferraricinematographer | canon.it

▶ Come l’avvento delle tecniche digitali di ripresa ha cambiato la fotografia nel cinema? In che modo il sensore, la gamma dinamica e i filtri ND di una camera digitale influenzano il lavoro del ‘Cinematographer’ (colui che è responsabile di prendere decisioni artistiche e tecniche relative all’immagine, curando le riprese e le luci di un film)? Perché il digitale ha dato nuova linfa vitale al cinema della realtà?

Ce lo racconta Paolo Ferrari, professione

Cinematographer, il primo in Italia ad aver sperimentato nel 1998 la ripresa digitale nella produzione di film. Un percorso di crescita il suo, nato ancora quando il ‘girato’ con le prime camere digitali, terminate le fasi di montaggio e post-produzione (color correction compre-so) veniva trasferito su pellicola negativa. Dalla pellicona negativa si ottenevano poi tutte le copie ‘positive’ per la proiezione in sala.

Rimandiamo al box dedicato il racconto affascinante di come il digitale sia man mano, con fatica, e lunghi periodi di convivenza, andato a inserirsi nel mondo del cinema fino a scansare la pellicola. Vediamo subito invece, così come ce li ha spiegati lo stesso Ferrari, quali sono i principali elementi caratteristici delle camere digitali che stanno cambiando qualità, forza, resa artistica dell’immagine nel cinema e che, se opportunamente sfruttati, offrono infinite possibilità a un cinematographer di talento:

- gamma dinamica: grazie alla sensibilità del sensore si riduce drasticamente l’utilizzo di luci aggiunte;

- gamut più ampio: consente di riprendere i colori come li si vede nella realtà;

- peso e le dimensioni contenute: rendono più liberi di girare per catturare immagini ‘vere’;

- filtri ND integrati: consentono di ottenere un girato più armonioso;

- autonomia delle batterie: permette di girare sequenze molto estese dalle quali ri-tagliare ‘l’attimo’ che conta;

- efficienza del codec: il ridotto ingombro dei file che corrisponde a un minor numero di schede da registrare;

A questi punti se ne aggiunga un ultimo,

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Si parla di:Paolo Ferrari, cinema della realtà, cinecamere digitali, Cinema EOS Canon C300 Mark II

IL PASSAGGIO DALL’ANALOGICO AL DIGITALE E L’ESPERIENZA DI “QUELLO CHE CERCHI”

Il passaggio dall’analogico al digitale, racconta Paolo Ferrari, è stato un passaggio tutt’altro che netto: «In principio, la camera digitale si affiancava alla pellicola: nello stesso film, alcune riprese erano fatte in digitale, altre in analogico. D’altra parte pellicola e ‘video’, quello che oggi si chiama digitale, sono sempre coesistiti, soltanto che il ‘video’ per molto tempo è stato considerato lo stru-mento della televisione, restava lontano dal mondo del cinema».

Ferrari ricorda quindi il suo primo approccio al digitale: «Era-vamo proprio agli inizi, ma fin da subito il digitale mi è apparso come un percorso con possibilità quasi infinite. Quando ho girato “Quello che cerchi”, di Marco S. Puccioni, le mie impressioni hanno trovato conferma: abbiamo usato diverse camere digitali, ognuna con una propria identità, stile, fluidità, colorimetria; era come avere a disposizione pennelli diversi. Negli anni ’80 e ’90, lavorando come assistente di Vittorio Storaro, avevo capito che, all’interno dello stesso film, l’uso di pellicole con emulsioni diverse contribuiva a rendere più precise le immagini dentro al racconto. Ora con il digitale si poteva fare lo stesso, e forse anche di più, variando non le pellicole ma le camere digitali. È stato in quel momento che ho capito che le camere digitali potevano condividere elementi caratteristici delle cineprese a pellicola, quindi in prospettiva ereditarne il ruolo. Ed era straordinario che questa scoperta fosse nata nella dimensione, oggi dimenticata in Italia, della ricerca».

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di natura non-tecnica: i costi di ripresa più contenuti, alla portata di produzioni indipen-denti, con budget ridotto.

Li affrontiamo nel corso dell’articolo attra-verso la voce e l’esperienza di Paolo Ferrari.

La gamma dinamica estesa, per ri-prendere la città di sera, senza luci aggiunte Il cinema della realtà (vedi box dedicato)

si pone l’obiettivo di raccontare i fatti della vita quotidiana così come ci appaiono: la luce che li rappresenta è quindi la luce reale. In alcune scene, però, quando la luce è scarsa, ad esempio di sera, bisogna ricorrere ad una illuminazione artificiale, con il rischio di falsare la realtà. È qui che fa la differenza la qualità del sensore di una cinecamera digitale, perché offre una sensibilità alle luci tenui di un ordine di grandezza maggiore rispetto alla pellicola.

Nell’esperienza di Paolo Ferrari questo tema di cambiamento si concretizza in una telecamera in particolare: «Testai la prima C300 (Canon Cinema EOS - ndr) appena uscì, credo nel 2013 - racconta Paolo Ferrari - Era

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IL CINEMA DEL REALE E LA SPINTA DATA DAL DIGITALENel cinema hanno sempre convissuto il cinema del reale - quel-

lo della semplice rappresentazione della realtà - e il cinema della finzione - dove avviene una manipolazione del reale, dove tutto viene ricostruito soprattutto per apparire. «L’introduzione della ri-presa digitale - commenta Ferrari - ha avuto impatto soprattutto sul cinema della realtà, restituendogli un’autorevolezza che prima non aveva: grazie al digitale diventa infatti possibile catturare la realtà e la luce della realtà con una verità che prima non si poteva raggiungere».

La luce diventa una nuova protagonista nei film: «Con le camere digitali - racconta Paolo Ferrari - Il cinema ha intrapreso una pre-cisa direzione dove la realtà e la luce reale diventano elementi principali, fondamentali, non più accessori o di secondo piano».

consuetudine con tutte le novità, ma ricordo che le caratteristiche di questo modello erano molto intriganti. Stavamo girando ‘Smoking’ di Michele Fornasero; negli USA, al crepuscolo davanti alla sede della Philip Morris, girammo una scena con la luce reale; il ‘girato’ aveva una caratteristica talmente palese di morbidezza, bellezza, pastosità dei colori, fedeltà della luce reale, da sembrare semplicemente la realtà, quello che stavo vedendo con i miei occhi; fu veramente una rivelazione, la conferma

“Drive me home” è il lungometraggio d’esordio del regista torinese Simone Catania. Presentato fuori concorso al Torino Film Festival 2018, è stato girato con Canon C300 Mark II

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PAOLO FERRARI, CINEMATOGRAPHERDal 1998 Paolo Ferrari è il primo sperimentatore delle tecniche

di ripresa digitali applicate al linguaggio del Cinema e della Luce. E’ stato allievo di Vittorio Storaro ed ha collaborato tra gli altri con: Giuseppe Bertolucci, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Daniele Segre, Carmine Amoroso, Mimmo Calopresti, Marco S. Puccioni, Massimo Martella, Daniele Costantini, Gianfranco Pannone, Mar-co Carniti, Simone Catania, Michele Fornasero. La sua filmografia comprende oltre 60 documentari e numerosi lungometraggi per il Cinema tra i quali:

- Quello che cerchi (origine: Beta Digitale, HD24P, DVCAM, Su-per8, film recording 35 mm), primo film digitale italiano - miglior cinematografia al Festival del Cinema Europeo di Lecce; ;

- Cover boy, l’ultima rivoluzione (digitale HDV – film recording 35 mm), miglior cinematografia alla mostra del cinema di Valen-cia-Spagna;

- Fatti della banda della Magliana (digital HD-DVCAM – Film recording 35 mm), premio AIC Miglior cinematografia;

- Sleeping around (digital HD e HDV – film recording 35mm), miglior cinematografia al festival del cinema indipendente di IBIZA;

- Smokings (Canon C300 e Canon 5D mark II), premio del pub-blico al DOC/it;

Dal 2013 fonda con Carmine Amoroso e Patrizia Zoratti la so-cietà di produzione indipendente Zutfilm che produce un primo film documentario per la regia di Carmine Amoroso dal titolo Porno&Libertà, (Canon C300 - Canon 5D mark II – Panasonic 200 – iPhone), Nastro D’argento miglior documentario 2017 , selezionato al Festival di Rotterdam 2016 e venduto in oltre 30 paesi nel mondo. Nel 2018 realizza Happy winter, (Canon C300 Mark I, DJI Osmo, DJI Drone) film documentario di esordio di Giovanni Totaro, nella selezione ufficiale di Venezia 74 fuori concorso e il film Drive me home (Canon C300 Mark II) esordio di Simone Catania presentato fuori concorso al Torino Film Festival 2018.

che finalmente avevo fra le mani un oggetto ‘diverso’, in grado di ereditare la tradizione dei primi cento anni di cinema; prendeva tutto il sapere della pellicola e lo inglobava in modo razionale e strutturato, all’interno di una cinepresa e non più di una telecamera».

Anche sul backstage di “Drive Me Home” c’è un episodio che vale la pena citare. «In pratica - racconta Paolo Ferrari - dovevamo girare una scena in alta montagna, di notte, una passeggiata di due personaggi avvolti dal buio. Non c’erano luci stradali, luci reali di riferimento, da cui poter verosimilmente aggiungere della luce; c’era solo luce della luna. Ho cominciato con diverse Luci al Led alimentate a batteria, cercando di illuminare intorno ai personaggi per poter avere un minimo di diaframma, sugli sfondi soprattutto; però mi sono subito reso conto che si era creata una situazione falsa, perché era luce non giustificata da nessun tipo di situazione presente. La mancanza di luci diegetiche creava un impedimento. Non avrebbe avuto senso nemmeno impiegare i palloni luminosi, che danno una luce diffusa generale attorno al punto da riprendere, perché si sarebbe persa l’idea della passeggiata al buio di notte.

Abbiamo quindi deciso di provare a procedere solo con la luce della luna - era una notte di plenilunio - ‘amplificata’ con una lastra di polistirolo posta di fronte ai personaggi; in aggiunta, nulla di più di una piccolissima luce led portatile a batteria per avere un po’ di ‘diaframma’ sul volto degli attori. In realtà, la

Sul set del film “Drive Me Home”

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luce che ‘la faceva da padrona’ era quella della luna. Abbiamo girato a 5mila ISO, quindi sfruttando la sensibilità del sensore. La resa finale è stata davvero soddisfacente». Sono entrambi esempi eloquenti di come in certe situazioni le potenzialità di una tecnologia possono cambiare l’illuminazione di una scena e la resa finale delle immagini di un film. «Chiaramente - dice Paolo Ferrari - se avessi avuto un’altra camera, questa scena l’avrei girata ugualmente, ma la grana avrebbe compromesso la realtà della scena, la resa sarebbe stata differente».

“Abbiamo deciso procedere solo con la luce della luna e una piccolissima luce led portatile. Abbiamo girato a 5mila ISO, sfruttando la sensibilità del sensore. La resa finale è stata davvero soddisfacente - Paolo Ferrari

Gamut più ampio per una fedeltà colorimetrica assolutaPer quanto riguarda la capacità del digitale

di riprodurre gli stessi colori della realtà, Ferrari racconta l’esperienza legata a un altro film: «Per Porno&Libertà di Carmine Amoroso [Nastro D’argento miglior documentario 2017-ndr] abbiamo girato una sequenza a Roma - racconta Paolo Ferrari - volutamente in una

notte di pioggia, all’interno di un’automobile. Un’inquadratura soggettiva: il protagonista del film guarda fuori dal finestrino. L’auto bagnata dall’acqua della pioggia. Testai la C300 Mark I a 5.000 ISO, un valore molto critico ma necessario per ottenere la miglior resa dalla luce naturale; le immagini riprese dalla camera che vedevo sul monitor e quelle stesse immagini che vedevo dal vivo con i miei occhi, a livello colorimetrico erano quasi identiche. Mi sorprese perché era la prima volta che assistevo ad una performance del genere. E la grana, il rumore video, era davvero ridotto. Se pensiamo che le pellicole utilizzate per il cinema non superavano i 500 ISO, è facile capire a quali enormi opportunità si può accedere oggi con una camera digitale».

Ingombro e peso ridotti: liberi di girare«L’anno scorso – racconta Paolo Ferrari

– abbiamo girato in Sicilia, sempre con la C300 Mark II, il film documentario “Terra bruciata” di Michele Pennetta. Seguivamo due protagonisti reali: un ragazzino di 13 anni e la sua famiglia che vive riciclando i metalli delle discariche abusive, e un ragazzo nigeriano arrivato in Italia dal mare. Un ambizioso parallelo fra due solitudini. Alcune scene erano riprese all’interno della casa del raccoglitore di ferro. Abbiamo allestito un set con una serie

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videointervista ...

Un frame di “Happy winter”, di Giovanni Todaro. Per togliere dalla sabbia il freddo senza alterare il senso dell’immagine è stato utilizzato un filtro Grad Soft Coral (orange) e un minimo intervento durante la fase di ‘color’ in postproduzione

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di luci a supporto. Quando siamo andati a rivedere il girato, ci siamo resi conto che la realtà non c’era più, e che i nostri personaggi reali erano stati distratti dal contesto tecnico che avevamo creato intorno a loro. Siamo tornati una settimana dopo e ho cambiato il mio atteggiamento; sono andato senza luci, solo con la camera e quello che si chiama un ‘motorino dei fuochi’. Nient’altro. Quel girato, che ci ha ampiamente soddisfatto, è stato reso possibile da due elementi: il nostro atteggiamento proiettato in avanti, libero da ogni impedimento tecnico, e una camera digitale di ridotte dimensioni, agile, non pesante, con un sensore luminoso al punto da permetterci di rinunciare al set di luci. Anche il fuoco remotato a distanza ha fatto la differenza - aggiunge Paolo Ferrari - perché mi ha dato la libertà di concentrarmi sulla luce e sull’inquadratura senza dover pensare nemmeno alla messa a fuoco».

Filtri ND integrati, per armonizzare la luce della scenaOggi, i tempi dedicati alla produzione sono

spesso molto compressi. Diventa quindi como-do, mentre si gira la scena, lavorare con i filtri integrati nelle camere, per modificare la luce in alcune parti dell’inquadratura, evitando così

di appesantire il lavoro di post-produzione.«Io utilizzo moltissimo, come retaggio cul-

turale dell’esperienza in pellicola, i filtri Grad Soft (degradè) sia ND che Coral (orange) ci spiega Paolo Ferrari- Nel ’98 ho abbando-nato la pellicola ma non il modo di lavorare della pellicola. I filtri Grad, che siano di natura neutra o colorimetrica, mi danno la possibi-lità di riequilibrare subito, già in ripresa, una parte dell’immagine per recuperare l’armonia complessiva, correggere una dominante solo in una parte dell’inquadratura. Perché prefe-risco intervenire subito, mentre giro? Perché l’idea di quello che voglio fare è viva in quel momento; dopo non è la stessa cosa, se agisco dopo sfocerò nell’artefatto; darò spazio a un’i-dea che è venuta dopo, un idea appiccicata ad una emozione che solo mentre stai girando è potente e chiara».

Un esempio semplice è legato a ‘Happy winter’ di Giovanni Todaro, dove tutto si svol-geva su una spiaggia di Mondello a Palermo: «Durante le prime riprese - racconta Paolo Ferrari - non mi aveva soddisfatto il colore della sabbia. La sabbia è un’immagine ben presen-te nella mia memoria biologica di quando ero bambino e andavo al mare; ricordavo il colore della sabbia molto più caldo, e volevo ritrovarlo nelle riprese. Invece quella sabbia era fredda, perché rifletteva la luce blu del cielo. Era mol-

Il peso e le dimensioni ridotte della Canon C300 facilitano la realizzazione di inquadrature ‘scomode’. Nella foto una scena di Drive me home

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ufficiale di Drive me home

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to difficile togliere dalla sabbia il freddo sen-za alterare il senso dell’immagine; avevamo fatto delle prove ma diventava sì calda, ma molto piatta, monocromatica. Abbiamo risol-to questo problema rendendo parzialmente più calda l’immagine con un filtro Grad Soft Coral (orange) e durante la fase di ‘color’ in postproduzione è bastato poco per raggiun-gere il risultato desiderato. Durante le riprese più larghe abbiamo utilizzato anche un filtro degradante neutro per indebolire la luce del cielo e ottenere un ‘diaframma’ nel suo com-plesso ben equilibrato. Proprio quello che ai tempi della pellicola si diceva ‘un negativo esposto bene’».

“Perché preferisco intervenire sulla luce subito, mentre giro? Perché l’idea di quello che voglio fare è viva in quel momento; dopo non è la stessa cosa, se agisco dopo sfocerò nell’artefatto - Paolo Ferrari

Autonomia elevata della batteria per cogliere la “scena perfetta” Cogliere l’espressione voluta, saper atten-

dere il momento, aspettare e non correre. Ci sono scene che richiedono concentrazione e pazienza quando vengono girate; ora, con le camere digitali, ci si può dedicare al momento tanto atteso perché l’autonomia delle batterie è molto estesa e l’efficienza dei codec riduce l’ingombro dei file registrare su scheda.

«Le batterie della C 300 Mark II mi durano anche una giornata intera, ne cambio una se ho girato ore e ore, con la camera sempre ac-cesa. Nel cinema del reale non avere frequenti cambi batteria è fondamentale perché devi essere sempre pronto, devi tenere la came-ra sempre accesa. Spegniamo la telecamera solo quando ci fermiamo per tanto tempo, ma è raro. Si tratta di una grande conquista che ha generato un cambiamento epocale, influenzando il concetto di tempo reale dentro la ripresa cinematografica; prima c’era “l’an-goscia” dello scorrere della pellicola, per i co-sti connessi, adesso siamo liberi, ci ritroviamo con la camera che resta accesa anche un’ora intera, a catturare momenti e dialoghi. Nel film ‘Happy winter’ di Giovanni Totaro di un’ora di girato soltanto un minuto è finito nel montag-gio: il minuto che però era fondamentale per raccontare quella ‘storia’. Questa possibilità ai

CANON LOG, ESPORRE IN MODO PERFETTO, PER NON TRO-VARSI SORPRESE DURANTE LA FASE DI ‘COLOR’

Un altro elemento molto importante per girare ‘un negativo esposto bene’ come si usava dire ai tempi della pellicola, è la presenza nella EOS C300 Mark II dei Canon Log, che offrono una gamma dinamica fino a 15 stop.

«L’unica mia ossessione che ho sempre avuto e che ho anco-ra paradossalmente, anche se non ce ne sarebbe più bisogno, è quella di esporre in modo perfetto, per non avere da nessuna parte dell’immagine una sovraesposizione di nessuno tipo; sap-piamo tutti che la sovraesposizione, anche nei nostri sensori per-formanti, durante la fase di ‘color’ può diventare un problema se supera un certo livello di bianco. In questo, ad esempio, la C300 Mark II è assolutamente comoda perché integra un ‘waveform’ molto performante che mi permette di gestire in modo semplice uno strumento complesso, che mi indica di non superare mai, anche nei casi estremi, quel livello ‘cento’ che mi permette di stare tranquillo durante la fase di ‘color’ perché ho un negativo performantissimo. Un altro discorso per me importante è il ga-mut, cioè dell’immagine logaritmica che mi dà Canon, il Log 3 per intenderci nell’ultima versione Mark II; debbo dire che quel Canon log è un altro degli elementi che mi fanno amare que-sta camera; io sono talmente abituato di quell’immagine, da sempre, anche prima di Canon, un’emozione quando l’ho visto per la prima volta. Io non uso la LUT, mi dà fastidio, ormai sono come un vetrino, mi sono abituato a vedere il mio view-finder, me lo vedo con il Canon Log, e sono abituato a fare il diafram-ma con quelle immagini; in poche parole non ho fatto altro che mettere davanti a me quello che si chiama un negativo; è come se io lavorassi su un negativo direttamente. Una questione, forse, più mia personale di metodo di lavoro, riesco più facilmente a definire il diaframma semplicemente guardando il Canon log. Non ho nemmeno più bisogno di misurarlo, non lo faccio ormai più da decenni, da quando ho lasciata la pellicola».

Paolo Ferrari, nella foto, è stato allievo di Vittorio Storaro

tempi della pellicola non c’era. Un altro cambio radicale del modo di riprendere, del modo di girare e del modo di fare cinema». ■