Carlo Sini - "La filosofia ha assorbito tutto il mio narcisismo"

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ULLA piccola altura di Velia (un tempo Elea) dove presumibilmente Parmenide mostrò la sua con- cezione dell’Essere, due ragazzi si baciano. Di lì a poco Carlo Sini terrà una lezione sul divenire e un’onda di studenti siederà chi sull’erba chi sulle sedie allestite per questo piccolo festival di filo- sofia sulla costa del Cilento. Nell’attesa vola nell’aria Bésame mucho. Non so perché quella can- zone. Il cui effetto è struggente e irreale. Ma le canzoni restituiscono attimi. E questo attimo, in cui Sini seduto guarda uno spicchio di mare e io guardo lui, sembra racchiudere qualcosa di irri- petibile. Sembra dirci che davvero è l’ultima notte e che qualcosa si è perso. Ma ancora siamo in tempo per parlarne. Sini è un maestro senza il desiderio di esserlo. Lo è diventato nei tan- tissimi anni che ha insegnato filoso- fia teoretica a Milano. Ironia socratica verrebbe da at- tribuire a quest’uomo che ha scritto libri bel- lissimi e parlato spesso come se fosse “la ùlti- ma vez” . «Parlare come se fosse l’ultima vol- la Repubblica DOMENICA 10 MAGGIO 2015 48 RCULT LA BIOGRAFIA Carlo Sini è un filosofo e professore universitario, nato a Bologna nel 1933. Ha insegnato filosofia teoretica all’Università di Milano per trent’anni, è stato nel Direttivo della Società Filosofica Italiana, socio dell’Accademia dei Lincei, autore di numerosi saggi ta è privilegio di pochi. Credo di essere riusci- to a farlo raramente. C’è una responsabilità terribile in ciò che si dice». Non so che replica- re. Dico solo che abbiamo ascoltato una canzone molto triste. Di una tristezza che libera la visione in mezzo a questa distesa di pietre e di erba. C’è un’ultima volta della filosofia? «Ogni volta è sempre anche l’ultima volta. Non solo perché il futuro è ignoto, ma perché ciò che accade porta con sé l’intero mondo, nella circostanza di quell’accade- re. Si potrebbe dire allora che il “sapore” della filosofia, o meglio di un pensiero, è legato all’attimo del tempo vis- suto che lo formula. E solo può tornare nella memoria il ricordo, cioè la testimonianza, di ciò che non è più». Ciascuno testimonia con il proprio passato? «Siamo testimoni fin dalla nascita. La responsabilità è già dentro le nostre radici». Lei dove è nato? «Anagraficamente a Bologna. La mia famiglia dopo la rotta di Caporetto fuggì da Venezia destinazione Roma. Mia madre aveva tre anni e quaranta di febbre. I suoi si fermarono a Bologna e lì, alla fine, decisero di restare. So- no figlio di due padri. Il primo andò via che avevo 13 an- ni. Mia madre si sposò con il secondo da cui ereditai il co- gnome». Non ha tenuto quello del suo padre vero? «Non potevo. Le leggi di famiglia lo impedivano. Lui era già sposato. Ero un N.N. E una mattina mi risvegliai “Sini”. C’eravamo trasferiti a Milano. Vi ho vissuto la guerra, i rifugi, le morti con un senso di superficiale alle- grezza. L’ultimo periodo fu terribile. Gli aerei mitraglia- vano a bassa quota. Si sentiva l’urlo dei motori. Il crepi- tio delle pallottole. Vivere o morire dipendeva spesso se eri su un marciapiede o sull’altro. Per due volte fui coin- volto dalle raffiche. Poi tutto ebbe fine». Ci fu Piazzale Loreto. «Arrivammo tardi. Con i miei eravamo partiti dalla pe- riferia di Milano. Ma quando giungemmo sul posto ave- vano rimosso i corpi. C’era una strana elettricità nell’a- ria. La folla aveva annusato il sangue. Se ne era impre- gnata. Come in un sacrificio estremo, fatto di ferocia e ri- valsa. Fu un bene dopotutto aver mancato quell’appun- tamento con la storia. Ho spesso pensato che la morte de- gli altri ci riguarda più di quanto siamo disposti ad ammettere. O ad accettare. Ricordo che negli anni del li- ceo – quelli in cui si passa dalla spensieratezza alle prime forme di impegno - pensavo alla nostra impotenza da- vanti alla morte. La vedevo come la sola relazione mo- 1956. Milano era sotto una tormenta di neve. E io senza più un maestro». Cosa vuol dire maestro? «Non l’ho mai capito veramente. Lo devi venerare? Lo devi sopprimere? La questione non è semplice alla fine ho creduto che la cosa migliore fosse di ricordarlo». Immagino alluda a Enzo Paci su cui ha scritto un libro di recente. «Sì, alla fine ne è uscita una elaborazione del lutto: la storia mia e di Paci fino alla sua morte». Che personaggio era? «Incantevole, se non altro per il fatto di lasciarti com- pletamente libero di fare ciò che volevi. Però poteva tra- scorrere ore a discutere. Restai affascinato dalla sua cul- tura incredibilmente vasta. Era amico di Sartre e quan- do fondò la rivista Aut Aut nel primo numero comparve una lettera di Thomas Mann a lui indirizzata. Questo da- va il tono della sua statura europea». Non era solo un accademico. «No. Poteva invitare alla Statale il regista Antonioni per parlare dell’alienazione, davanti a un corpo docente costernato per le scelte e geloso delle proprie prerogati- ve. Il suo antiaccademismo lo si vide anche nel contribu- nogamica dalla quale non ci si libera». Cosa le ha insegnato la scuola? «Poco o nulla. Ero uno studente svogliato. Fui a volte rimandato e perfino bocciato. Non amavo niente di quel mondo. Poi esplose una passione profonda, inspiegabi- le, per la musica. Chiesi ai miei di pagarmi lezioni di pia- noforte. Acconsentirono a patto che migliorassi il rendi- mento scolastico. Fu così, grazie alla musica, che arrivai all’università. Scelsi filosofia senza convinzione. Senza una ragione, salvo forse quella che il professore di liceo era il solo a trattarci come fossimo degli adulti». L’università andò meglio? «Decisamente. Cercai un approccio con Antonio Ban- fi. Ma lui c’era e non c’era. Come senatore del Pci era spes- so a Roma. Cominciai a frequentare Giovanni Emanuele Barié, allievo di Piero Martinetti. Fu lui a fondare la cat- tedra di filosofia a Milano. Un personaggio stravagante tra D’Annunzio e Nietzsche. Molto aristocratico. Era sta- to ufficiale di cavalleria e ferito durante uno scontro ae- reo. Per quei cieli macedoni gli avevano dato una meda- glia d’argento. Non so se ai suoi occhi era più importan- te l’onorificenza o i testi di Kant che ci leggeva diretta- mente in tedesco. Si sparò un colpo di pistola alla fine del Straparlando. Dalla passione per la musica alla cattedra di teoretica a Milano a “maestri” come Enzo Paci Lo studioso si racconta. Spinoziano convinto, dice: “Dio ha tanti ruoli e contribuisce al Pil della felicità” Carlo Sini “La filosofia ha assorbito tutto il mio narcisismo” ANTONIO GNOLI S Copia di f7dfb7a1ab8f161540a95ba200960e40

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Intervista di Antonio Gnoli (da «Repubblica» 2015-05-10).

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  • ULLApiccola alturadi Velia (un tempo Elea) dove presumibilmente Parmenide mostr la sua con-

    cezione dellEssere, due ragazzi si baciano. Di l a poco Carlo Sini terr una lezione sul divenire eunonda di studenti sieder chi sullerba chi sulle sedie allestite per questo piccolo festival di filo-sofia sulla costa del Cilento. Nellattesa vola nellaria Bsame mucho. Non so perch quella can-zone. Il cui effetto struggente e irreale. Ma le canzoni restituiscono attimi. E questo attimo, incui Sini seduto guarda uno spicchio di mare e io guardo lui, sembra racchiudere qualcosa di irri-petibile. Sembra dirci che davvero lultima notte e che qualcosa si perso. Ma ancora siamo intempo per parlarne. Sini un maestro senza ildesiderio di esserlo. Lo diventato nei tan-tissimi anni che ha insegnato filoso-

    fia teoretica a Milano. Ironia socratica verrebbe da at-tribuire a questuomo che ha scritto libri bel-lissimi e parlato spesso come se fosse la lti-ma vez . Parlare come se fosse lultima vol-

    la RepubblicaDOMENICA 10 MAGGIO 2015 48RCULT

    LA BIOGRAFIA

    Carlo Sini un filosofoe professore universitario,nato a Bologna nel 1933.Ha insegnato filosofiateoretica allUniversitdi Milano per trentanni, stato nel Direttivo dellaSociet Filosofica Italiana,socio dellAccademiadei Lincei, autoredi numerosi saggi

    ta privilegio di pochi. Credo di essere riusci-to a farlo raramente. C una responsabilitterribile in ci che si dice. Non so che replica-re. Dico solo che abbiamo ascoltato una canzone moltotriste. Di una tristezza che libera la visione in mezzo aquesta distesa di pietre e di erba.

    C unultima volta della filosofia?Ogni volta sempre anche lultima volta. Non solo

    perch il futuro ignoto, ma perch ci che accade portacon s lintero mondo, nella circostanza di quellaccade-re. Si potrebbe dire allora che il sapore della filosofia, omeglio di un pensiero, legato allattimo del tempo vis-suto che lo formula. E solo pu tornare nella memoria ilricordo, cio la testimonianza, di ci che non pi.

    Ciascuno testimonia con il proprio passato?Siamo testimoni fin dalla nascita. La responsabilit

    gi dentro le nostre radici.Lei dove nato?Anagraficamente a Bologna. La mia famiglia dopo la

    rotta di Caporetto fugg da Venezia destinazione Roma.Mia madre aveva tre anni e quaranta di febbre. I suoi sifermarono a Bologna e l, alla fine, decisero di restare. So-no figlio di due padri. Il primo and via che avevo 13 an-ni. Mia madre si spos con il secondo da cui ereditai il co-gnome.

    Non ha tenuto quello del suo padre vero?Non potevo. Le leggi di famiglia lo impedivano. Lui

    era gi sposato. Ero un N.N. E una mattina mi risvegliaiSini. Ceravamo trasferiti a Milano. Vi ho vissuto laguerra, i rifugi, le morti con un senso di superficiale alle-grezza. Lultimo periodo fu terribile. Gli aerei mitraglia-vano a bassa quota. Si sentiva lurlo dei motori. Il crepi-tio delle pallottole. Vivere o morire dipendeva spesso seeri su un marciapiede o sullaltro. Per due volte fui coin-volto dalle raffiche. Poi tutto ebbe fine.

    Ci fu Piazzale Loreto.Arrivammo tardi. Con i miei eravamo partiti dalla pe-

    riferia di Milano. Ma quando giungemmo sul posto ave-vano rimosso i corpi. Cera una strana elettricit nella-ria. La folla aveva annusato il sangue. Se ne era impre-gnata. Come in un sacrificio estremo, fatto di ferocia e ri-valsa. Fu un bene dopotutto aver mancato quellappun-tamento con la storia. Ho spesso pensato che la morte de-gli altri ci riguarda pi di quanto siamo disposti adammettere. O ad accettare. Ricordo che negli anni del li-ceo quelli in cui si passa dalla spensieratezza alle primeforme di impegno - pensavo alla nostra impotenza da-vanti alla morte. La vedevo come la sola relazione mo-

    1956. Milano era sotto una tormenta di neve. E io senzapi un maestro.

    Cosa vuol dire maestro?Non lho mai capito veramente. Lo devi venerare? Lo

    devi sopprimere? La questione non semplice alla fineho creduto che la cosa migliore fosse di ricordarlo.

    Immagino alluda a Enzo Paci su cui ha scritto un librodi recente.S, alla fine ne uscita una elaborazione del lutto: la

    storia mia e di Paci fino alla sua morte.Che personaggio era?Incantevole, se non altro per il fatto di lasciarti com-

    pletamente libero di fare ci che volevi. Per poteva tra-scorrere ore a discutere. Restai affascinato dalla sua cul-tura incredibilmente vasta. Era amico di Sartre e quan-do fond la rivista Aut Aut nel primo numero comparveuna lettera di Thomas Mann a lui indirizzata. Questo da-va il tono della sua statura europea.

    Non era solo un accademico.No. Poteva invitare alla Statale il regista Antonioni

    per parlare dellalienazione, davanti a un corpo docentecosternato per le scelte e geloso delle proprie prerogati-ve. Il suo antiaccademismo lo si vide anche nel contribu-

    nogamica dalla quale non ci si libera.Cosa le ha insegnato la scuola?Poco o nulla. Ero uno studente svogliato. Fui a volte

    rimandato e perfino bocciato. Non amavo niente di quelmondo. Poi esplose una passione profonda, inspiegabi-le, per la musica. Chiesi ai miei di pagarmi lezioni di pia-noforte. Acconsentirono a patto che migliorassi il rendi-mento scolastico. Fu cos, grazie alla musica, che arrivaialluniversit. Scelsi filosofia senza convinzione. Senzauna ragione, salvo forse quella che il professore di liceoera il solo a trattarci come fossimo degli adulti.

    Luniversit and meglio?Decisamente. Cercai un approccio con Antonio Ban-

    fi. Ma lui cera e non cera. Come senatore del Pci era spes-so a Roma. Cominciai a frequentare Giovanni EmanueleBari, allievo di Piero Martinetti. Fu lui a fondare la cat-tedra di filosofia a Milano. Un personaggio stravagantetra DAnnunzio e Nietzsche. Molto aristocratico. Era sta-to ufficiale di cavalleria e ferito durante uno scontro ae-reo. Per quei cieli macedoni gli avevano dato una meda-glia dargento. Non so se ai suoi occhi era pi importan-te lonorificenza o i testi di Kant che ci leggeva diretta-mente in tedesco. Si spar un colpo di pistola alla fine del

    Straparlando. Dalla passione per la musicaalla cattedra di teoretica a Milano a maestri come Enzo Paci

    Lo studioso si racconta. Spinoziano convinto, dice:

    Dio ha tanti ruoli e contribuisce al Pil della felicit

    Carlo

    SiniLa filosofia ha assorbitotutto il mio narcisismoANTONIO GNOLI

    S

    Copia di f7dfb7a1ab8f161540a95ba200960e40

  • la RepubblicaDOMENICA 10 MAGGIO 2015 49

    LULTIMO LIBROAllincontro con il suomaestro di filosofiaEnzo Paci (1911-1976),con cui studi alluniversitdi Milano e di cui statopoi assistente, ha dedicatolultimo libro, EnzoPaci. Il filosofo e la vita,pubblicato da Feltrinelli(pagg. 144, euro 14)

    I SAGGICollaboratore di Rai, Unit,Corriere della sera. Trai suoi saggi: Scrivere ilsilenzio (Castelvecchi), Ilmetodo e la via (Mimesis),Idoli della conoscenza(Raffaello Cortina)e Figure dellenciclopediafilosofica (Jaca Book)

    LA FILOSOFIACon gli incontri di Perugiachiamati Colloqui difilosofia da lui ideati hacontribuito a diffondere inItalia il pensiero diHeidegger e di Peirce. SociodellAccademia dei Lincei,ha tenuto corsi e seminariin tutto il mondo

    LUNIVERSITLaurea in filosofiaalluniversit di Milano,diventa assistente di EnzoPaci. Docente pressolAquila, torna a Milanoper ricoprire la cattedradi Filosofia teoretica,svolgendo poi la funzionedi Preside della facolt

    LE TAPPE

    DISEGNO

    DI RICCARDO

    MANNELLI

    to che diede allo sviluppo della casa editrice Il Saggiato-re.

    Fu un grande sogno editoriale partito dallambizioneculturale di Alberto Mondadori. Lo ha conosciuto?S, a me faceva pensare a un principe rinascimentale

    con la sua corte di intellettuali: oltre a Paci, Franco Forti-ni, Remo Cantoni, Giacomo Debenedetti, Giulio CarloArgan, Ernesto De Martino. In quegli anni, alla fine deiCinquanta e gran parte dei Sessanta, costoro diedero unimpulso nuovo alla cultura. Il solo appunto che si potevamuovere ad Alberto Mondadori che non aveva il sensodel denaro e per questo fall.

    Quel gruppo di intellettuali cre nuove tendenze,svecchi la cultura italiana. Ma alla fine non riusciro-no a riconoscersi in un progetto editoriale come inve-ce seppero fare Einaudi e pochi anni dopo Adelphi.Fu un limite dettato anche dalleccesso di personali-

    smi. Fortini, dietro la sua ruvidezza era anche un uomomolto disponibile. Peccato la sua litigiosit. Debenedet-ti viveva a Roma, con i suoi problemi di cattedra, De Mar-tino era splendidamente concentrato sui temi del Sud equanto a Paci fu il solo a tentare una saldatura con la po-litica, con Marx rivisto attraverso Husserl.

    Aveva lautorevolezza ma fall.Siamo un paese dove le teorie professate dagli intel-

    lettuali scadono spesso nel ribellismo. Paci non fu unec-cezione. Come non lo furono certi personaggi della no-stra vita pubblica. Altri ebbero un profilo pi dignitoso.

    A chi pensa?Pasolini. Mi piaceva quel modo di stare nella vita, pi

    che nei ragazzi di vita. Le sue parole non stonavano conquello che si vedeva intorno.

    Le parole a volte cantano.Mostrano il loro legame con la musica. Ma unaltra

    storia. La parola nasce dal ritmo, come la musica. La poe-sia utilizza il ritmo in modo letterale e la filosofia, che noncanta, si muove sulle tracce del ritmo e attraverso di es-so vede. Vede il Ritorno. Vede lEnigma.

    C molto Nietzsche vero. La verit la tomba dei filosofi.Nessuno la degna pi di uno sguardo.La signora decisamente invecchiata.Perch ha lasciato la musica?Presi il diploma di pianoforte, ma senza particolari

    ambizioni. Avevo il talento per andare avanti? Forse s.Ma non avevo il tempo per curarlo. La filosofia mi ha oc-cupato interamente. Assorbito tutto il mio narcisismo. buffo.

    Cosa buffo?Pensandoci non c mai stato un momento in cui ab-

    bia detto: da oggi smetto di suonare e di comporre. Ma accaduto. Ci sono cose che muoiono da s. Senza procla-mi, n decisioni, n sacrifici.

    Dicevamo di Nietzsche. In fondo un autore molto di-stante dai suoi maestri.Che maestri sarebbero se non avessimo il coraggio di

    metterceli alle spalle. Una delle ultime volte in cui in-contrai Paci, mi guard con infinito smarrimento. Luni-versit lo aveva messo in disparte. Mi disse: non mi fac-cia del male. Gli chiesi cosa intende professore? Dovreidirle: non mi deluda. Ma sarebbe poco visto il rapportoche c stato tra noi. Dopodich mi rimprover per esse-re passato da Marx e Husserl a Nietzsche e Heidegger.

    Le vite speculative dei filosofi sono tremendamenteserie.Ne parlavo spesso con il mio amico Jacques Derrida.Come vi siete conosciuti?La prima volta che lo incontrai fu a Palermo. Quando

    gli venne conferito il premio Nietzsche, assieme a Pop-per e al sottoscritto. Ci fu consegnata una targa doro. Suquella di Derrida il nome era scritto in modo errato. Ave-vano invertito le doppie. Non disse niente. Ma a tavolame la fece vedere di nascosto. Rideva divertito. Era un uo-mo spiritoso e sensibile.

    Tutto qui?Avevamo alcuni punti in comune, Peirce per esem-

    pio. E altri che ci dividevano. Ma in fondo in filosofia loscambio non pu avvenire in modo fecondo senza unaqualche reciproca ostinazione e sordit. Il nostro incon-tro pi lungo avvenne a Meina, non distante da Novara.Discutemmo per tre giorni. E alla fine scoprimmo unacerta assonanza con Spinoza. Potrei definirmi spinozia-no.

    Cosa significa?Spinoza fu il pi limpido tentativo di costruire una fi-

    losofia che si facesse carico della rivoluzione scientificamoderna, senza cadere nel feticismo scientifico.

    Ossia?Lasciamo alla scienza il compito della conoscenza

    oggettiva e destiniamo la filosofia alla costruzione di unsoggetto politico-morale che sia allaltezza della rivolu-zione copernicana.

    Traduca.Essere spinoziani non sentire il bisogno di una spie-

    gazione, di un senso, di una giustificazione che sia oltrequesto mondo. Nessuna superstizione.

    Niente al di l?Era laccusa di ateismo al povero Baruch.Non lha mai tentata Dio?Da bambino andavo in chiesa. Era la nostra educa-

    zione. Il nostro pane quotidiano. Poi tutto questo spa-rito. Anche a causa, forse, dellinettitudine dei preti. Nonho mai avuto nostalgia del sentimento religioso. Non ca-pisco le persone che si affannano a cercare un senso ol-tre: la vita basta a se stessa.

    Non c arroganza intellettuale in quel che dice?Non ho alcuna pretesa di imporre punti di vista sul

    mondo. Ma non ho nessun desiderio di accettare punti divista esterni al mondo. Poi evidente che Dio ha tanti al-tri ruoli e contribuisce al pil della felicit.

    Cos per lei una vita felice?Una vita davvero felice quella che realizza nella vec-

    chiaia il sogno della giovinezza. Mi sono stati dati tantitalenti e non li ho sprecati. Naturalmente questo diffi-cile dirselo. Devono essere gli altri a riconoscerlo. Piercediceva: il significato della tua vita non appartiene a te maagli altri. Penso sia vero. Sono io che riconosco i miei mae-stri. Non loro me.

    Li riconosce come?Con tutte le loro scarpe. Intendo secondo la loro vita

    reale: pregi, difetti, drammi. Paci, ricordo, aveva perso ilsenso della fame. Era stato rinchiuso a lungo in un cam-po di concentramento e l aveva disimparato a mangia-re. Aveva rimosso ogni stimolo. Paul Ricoeur, che fu conlui prigioniero, gli lasci sulla pancia mentre dormiva unpezzo di pane nero. Fu un gesto di affetto e di amicizia.Ma anche simbolico. Erano i giorni della liberazione. Al-cuni, come Ricoeur, partirono prima e altri dopo, comePaci. Raccont questo episodio lultima volta che lo vidi.Come fosse la ltima vez. Mor in un torrido luglio del1976. Mentre in treno tornavo a Milano.

    Lo incontrai a Palermoquando ci venne conferitoinsieme a Popper il premioNietzsche: una targa doroIl suo nome era scritto malema lui si divert molto

    Jacques Derrida

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    Alberto Mondadori

    Assomigliava ad un principerinascimentale con la suacorte di intellettuali: ArganFortini, Cantoni, De BenedettiDe Martino. Non aveva il sensodel denaro per questo fall

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