Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII....

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia della letteratura italiana del cav.Abate Girolamo Tiraboschi – Tomo 4. – Parte 1: Dall'anno MCLXXXIII fino all'anno MCCC.AUTORE: Tiraboschi, GirolamoTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo è presente in formato immagine sulsito The Internet Archive (http://www.archive.org/).Alcuni errori sono stati verificati e corretti sullabase dell'edizione di Milano, Società tipograficade' classici italiani, 1823, presente sul sito OPALdell'Università di Torino(http://www.opal.unito.it/psixsite/default.aspx).

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101338

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "San Tommaso d'Aquino”- 1476 – Polittico di Carlo Crivelli (circa 1435 –circa 1495) - National Gallery - London -

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DIRITTI D'AUTORE: no

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COPERTINA: [elaborazione da] "San Tommaso d'Aquino”- 1476 – Polittico di Carlo Crivelli (circa 1435 –circa 1495) - National Gallery - London -

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https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Polittico_del_1476,_s._tommaso_d%27aquino.jpg - Pubblico domi-nio.

TRATTO DA: Storia della letteratura italiana delcav. abate Girolamo Tiraboschi ... Tomo 4. [-9.]: 4:Dall'anno 1183 fino all'anno 1300. 1. - Firenze:presso Molini, Landi, e C. o, 1806. - VIII, 239, [1]p

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 25 marzo 2014

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:LIT004200 CRITICA LETTERARIA / Europea / Italiana

DIGITALIZZAZIONE:Ferdinando Chiodo, [email protected]

REVISIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Ferdinando Chiodo, [email protected] (ODT)Carlo F. Traverso (ePub)Ugo Santamaria (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected]

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https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Polittico_del_1476,_s._tommaso_d%27aquino.jpg - Pubblico domi-nio.

TRATTO DA: Storia della letteratura italiana delcav. abate Girolamo Tiraboschi ... Tomo 4. [-9.]: 4:Dall'anno 1183 fino all'anno 1300. 1. - Firenze:presso Molini, Landi, e C. o, 1806. - VIII, 239, [1]p

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 25 marzo 2014

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Prefazione.......................................................................7Indice, e Sommario del Tomo IV. Parte I.......................9Storia della letteratura italiana dall'anno MCLXXXIIIfino all'anno MCCC......................................................16LIBRO I. Mezzi adoperati a promuovere gli studj.......18

Capo I. Idea generale dello stato dell'Italia inquest'epoca...............................................................18Capo II. Favore e munificenza de' principi nel fomen-tare gli studj..............................................................37Capo III. Università ed altre pubbliche scuole.........78Capo IV. Biblioteche...............................................140Capo V. Viaggi........................................................150

LIBRO II. Scienze.......................................................185Capo I. Studj Sacri..................................................185Capo II. Filosofia e Matematica.............................262Capo III. Medicina..................................................337

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Prefazione.......................................................................7Indice, e Sommario del Tomo IV. Parte I.......................9Storia della letteratura italiana dall'anno MCLXXXIIIfino all'anno MCCC......................................................16LIBRO I. Mezzi adoperati a promuovere gli studj.......18

Capo I. Idea generale dello stato dell'Italia inquest'epoca...............................................................18Capo II. Favore e munificenza de' principi nel fomen-tare gli studj..............................................................37Capo III. Università ed altre pubbliche scuole.........78Capo IV. Biblioteche...............................................140Capo V. Viaggi........................................................150

LIBRO II. Scienze.......................................................185Capo I. Studj Sacri..................................................185Capo II. Filosofia e Matematica.............................262Capo III. Medicina..................................................337

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STORIADELLA

LETTERATURA ITALIANADEL CAV. ABATE

GIROLAMO TIRABOSCHI

TOMO IV. - PARTE I. DALL'ANNO MCLXXXIII FINO ALL'ANNO

MCCC.

www.liberliber.it

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STORIADELLA

LETTERATURA ITALIANADEL CAV. ABATE

GIROLAMO TIRABOSCHI

TOMO IV. - PARTE I. DALL'ANNO MCLXXXIII FINO ALL'ANNO

MCCC.

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PREFAZIONE

Innanzi a' precedenti tomi della mia Storia ho trattenutinon brevemente i lettori or su uno, or su altro argomentoche alla materia, di cui in essi dovea trattarsi, mi sem-brava opportuno. Innanzi a questo nulla mi si offre cherichiegga lungo proemio; nè io son tra quelli che pensa-no che una lunghissima prefazione aggiunga ornamentoe fama ad un libro.Io mi compiaccio nel vedermi omai giunto alla metàdella difficil carriera che ho presa a correre; poichè tuttal'opera non oltrepasserà, come credo, l'ottavo, o il nonovolume. Il favorevole accoglimento troppo maggiore diquel che io potessi sperare, con cui è stata ricevuta fino-ra questa mia Storia, mi accresce lena e coraggio a con-tinuarla; poichè ben dolce e piacevole è la fatica che rie-sce gradita a coloro per cui si sostiene. Mi si permettaperciò a questo luogo di attestarne la sincera mia ricono-scenza agli eruditi Italiani, a' quali nondimeno io temoche l'amore, e la stima da cui son giustamente compresiper la comune lor patria, abbia renduta questa mia operapiù pregevole per avventura, ch'ella non è per se stessa.I quai ringraziamenti io debbo singolarmente e a tutti gliautori di Giornali e di Novelle letterarie, che sembranoaver gareggiato a vicenda nell'animarmi al prosegui-mento del mio lavoro, e a più Accademie d'Italia, e a

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PREFAZIONE

Innanzi a' precedenti tomi della mia Storia ho trattenutinon brevemente i lettori or su uno, or su altro argomentoche alla materia, di cui in essi dovea trattarsi, mi sem-brava opportuno. Innanzi a questo nulla mi si offre cherichiegga lungo proemio; nè io son tra quelli che pensa-no che una lunghissima prefazione aggiunga ornamentoe fama ad un libro.Io mi compiaccio nel vedermi omai giunto alla metàdella difficil carriera che ho presa a correre; poichè tuttal'opera non oltrepasserà, come credo, l'ottavo, o il nonovolume. Il favorevole accoglimento troppo maggiore diquel che io potessi sperare, con cui è stata ricevuta fino-ra questa mia Storia, mi accresce lena e coraggio a con-tinuarla; poichè ben dolce e piacevole è la fatica che rie-sce gradita a coloro per cui si sostiene. Mi si permettaperciò a questo luogo di attestarne la sincera mia ricono-scenza agli eruditi Italiani, a' quali nondimeno io temoche l'amore, e la stima da cui son giustamente compresiper la comune lor patria, abbia renduta questa mia operapiù pregevole per avventura, ch'ella non è per se stessa.I quai ringraziamenti io debbo singolarmente e a tutti gliautori di Giornali e di Novelle letterarie, che sembranoaver gareggiato a vicenda nell'animarmi al prosegui-mento del mio lavoro, e a più Accademie d'Italia, e a

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quella particolarmente sì celebre di Cortona, checoll'aggregarmi a' lor socj me ne hanno accordata unatroppo onorevole ricompensa.A questi sentimenti che la gratitudine da me richiede, iodebbo aggiugnere, o a dir meglio, rinnovare una pre-ghiera da me altre volte già fatta. Questa mia Storia è in-dirizzata all'onore di tutta l'Italia; e tutti perciò io pregogli eruditi Italiani a volermi comunicare quelle notizie eque' lumi che posson giovare ad accrescerglielo sempremaggiore. Se ne' tomi finor pubblicati essi osserverannoch'io abbia commessi errori, o abbia commesse tai coseche nella Storia della Letteratura Italiana non dovessertacersi; e se riguardo a' tempi, de' quali debbo ancor ra-gionare, essi hanno monumenti, osservazioni, e scoperteche ne' libri stampati e non difficili a ritrovarsi nons'incontrino, niuna cosa mi potran fare più grata, che av-vertirmene cortesemente. Mi lusingo di aver già mostra-to abbastanza ch'io son ben lungi dal volermi arricchiredelle altrui spoglie, e che rendo volentieri ad ognunoquella gloria che gli si dee; ed essi potran perciò persua-dersi che userò in modo dei lumi da essi somministrati-mi, che ne rimanga loro tutta la lode.Io altro non bramo che di esporre nella vera sua luce,quanto debbano all'Italia le lettere e le scienze tutte, ac-ciocchè e alcuni tra gli stranieri apprendano a sentire e ascrivere con minor disprezzo degl'Italiani, e alcuni anco-ra tra gli Italiani cessino finalmente di essere ammiratoritroppo ciechi e adulatori troppo servili degli stranieri.

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quella particolarmente sì celebre di Cortona, checoll'aggregarmi a' lor socj me ne hanno accordata unatroppo onorevole ricompensa.A questi sentimenti che la gratitudine da me richiede, iodebbo aggiugnere, o a dir meglio, rinnovare una pre-ghiera da me altre volte già fatta. Questa mia Storia è in-dirizzata all'onore di tutta l'Italia; e tutti perciò io pregogli eruditi Italiani a volermi comunicare quelle notizie eque' lumi che posson giovare ad accrescerglielo sempremaggiore. Se ne' tomi finor pubblicati essi osserverannoch'io abbia commessi errori, o abbia commesse tai coseche nella Storia della Letteratura Italiana non dovessertacersi; e se riguardo a' tempi, de' quali debbo ancor ra-gionare, essi hanno monumenti, osservazioni, e scoperteche ne' libri stampati e non difficili a ritrovarsi nons'incontrino, niuna cosa mi potran fare più grata, che av-vertirmene cortesemente. Mi lusingo di aver già mostra-to abbastanza ch'io son ben lungi dal volermi arricchiredelle altrui spoglie, e che rendo volentieri ad ognunoquella gloria che gli si dee; ed essi potran perciò persua-dersi che userò in modo dei lumi da essi somministrati-mi, che ne rimanga loro tutta la lode.Io altro non bramo che di esporre nella vera sua luce,quanto debbano all'Italia le lettere e le scienze tutte, ac-ciocchè e alcuni tra gli stranieri apprendano a sentire e ascrivere con minor disprezzo degl'Italiani, e alcuni anco-ra tra gli Italiani cessino finalmente di essere ammiratoritroppo ciechi e adulatori troppo servili degli stranieri.

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INDICE, E SOMMARIO DELTOMO IV. PARTE I.

Storia della Letteratura Italiana dall'anno MCLXXXIIIfino all'anno MCCC.

LIBRO I.Mezzi adoperati a promuover gli studj.

CAPO I.

Idea generale dello stato dell'Italia in quest'epoca.I. La pace di Costanza in vece di render felici le città italiane èorigine di nuovi sconvolgimenti. II. Molte città vengon presto aguerra le une contro le altre. III. Guerre in Sicilia per la succes-sione a quel trono: morte di Arrigo re di Sicilia e imperadore. IV.Fazioni de' Guelfi e de' Gibellini quanto funeste all' Italia. V.Principj di Federigo II: sua assunzione all'impero. VI. Carattere diquesto principe. VII. Principio de' diversi dominj d'Italia: Vicendedella Sicilia dopo la morte di Federigo. VIII. Carlo d'Angiò occu-pa quel regno: Rodolfo eletto imperadore. IX. Vespri siciliani: se-rie dei re angiovini e aragonesi . X. Potenza de' marchesi di Mon-ferrato, dei Visconti, e degli Estensi. XI. Prospetto generale dellaletteratura italiana in quest'epoca.

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INDICE, E SOMMARIO DELTOMO IV. PARTE I.

Storia della Letteratura Italiana dall'anno MCLXXXIIIfino all'anno MCCC.

LIBRO I.Mezzi adoperati a promuover gli studj.

CAPO I.

Idea generale dello stato dell'Italia in quest'epoca.I. La pace di Costanza in vece di render felici le città italiane èorigine di nuovi sconvolgimenti. II. Molte città vengon presto aguerra le une contro le altre. III. Guerre in Sicilia per la succes-sione a quel trono: morte di Arrigo re di Sicilia e imperadore. IV.Fazioni de' Guelfi e de' Gibellini quanto funeste all' Italia. V.Principj di Federigo II: sua assunzione all'impero. VI. Carattere diquesto principe. VII. Principio de' diversi dominj d'Italia: Vicendedella Sicilia dopo la morte di Federigo. VIII. Carlo d'Angiò occu-pa quel regno: Rodolfo eletto imperadore. IX. Vespri siciliani: se-rie dei re angiovini e aragonesi . X. Potenza de' marchesi di Mon-ferrato, dei Visconti, e degli Estensi. XI. Prospetto generale dellaletteratura italiana in quest'epoca.

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CAPO II.Favore e munificenza de' principi nel fomentare gli studj.

I. Divisione dell'Italia in diversi dominj. II. Federigo II si può nonsenza ragione dire italiano. III. Quanto ei fosse versato in ognigenere di letteratura. IV. Protezione da lui accordata alle scienze.V. Notizie di Pier delle Vigne, suo cancelliere, quanto incerte. VI.Favola che narra il Tritemio. VII. Notizie di esso: suo gran favorepresso Federigo II. VIII. Onorevoli ambasciate a lui affidate. IX,Trovasi al Concilio di Lione. X. Diverse opinioni intorno alla di-sgrazia e alla morte di Pietro. XI. Si esamina qual sia la più veri-simile. XII. Riflessioni sul racconto che ne fa Matteo Paris. XIII.Lettere di Pier delle Vigne. XIV. Altre sue opere: se egli, o Fede-rigo II, fossero autori del libro De tribus impostoribus. XV, Impe-gno di Manfredo e di Corrado re di Sicilia nel promuover gli stu-dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favordelle lettere. XIX. Onorio III ne segue gli esempj. XX. E cosìpure Gregorio IX. XXI. E dopo lui Innocenzo IV, Alessandro IV,e Urbano IV. XXII. Diverse Università erette da Niccolò IV.XXIII. Azzo VII d'Este favorisce i poeti provenzali. XXIV. Forsealtre notizie di questo genere giaccion tuttora nelle biblioteche.

CAPO III.Università ed altre pubbliche scuole.

I. Prospetto generale delle scuole italiane di questo secolo. II. Ge-losia dell'università di Bologna di non perdere i suoi professori.III. Smembramento di essa per la fondazione dell'università di Vi-cenza, che presto cessa. IV. Turbolenze nell'Università di Bolo-gna: scuole pubbliche in Arezzo. V. Nuovo smembramentodell'università di Bologna per la fondazione di quella di Padova.VI. Fondazione della università di Napoli fatta da Federigo II.VII. Questi sopprime la università di Bologna; ma il suo editto

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CAPO II.Favore e munificenza de' principi nel fomentare gli studj.

I. Divisione dell'Italia in diversi dominj. II. Federigo II si può nonsenza ragione dire italiano. III. Quanto ei fosse versato in ognigenere di letteratura. IV. Protezione da lui accordata alle scienze.V. Notizie di Pier delle Vigne, suo cancelliere, quanto incerte. VI.Favola che narra il Tritemio. VII. Notizie di esso: suo gran favorepresso Federigo II. VIII. Onorevoli ambasciate a lui affidate. IX,Trovasi al Concilio di Lione. X. Diverse opinioni intorno alla di-sgrazia e alla morte di Pietro. XI. Si esamina qual sia la più veri-simile. XII. Riflessioni sul racconto che ne fa Matteo Paris. XIII.Lettere di Pier delle Vigne. XIV. Altre sue opere: se egli, o Fede-rigo II, fossero autori del libro De tribus impostoribus. XV, Impe-gno di Manfredo e di Corrado re di Sicilia nel promuover gli stu-dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favordelle lettere. XIX. Onorio III ne segue gli esempj. XX. E cosìpure Gregorio IX. XXI. E dopo lui Innocenzo IV, Alessandro IV,e Urbano IV. XXII. Diverse Università erette da Niccolò IV.XXIII. Azzo VII d'Este favorisce i poeti provenzali. XXIV. Forsealtre notizie di questo genere giaccion tuttora nelle biblioteche.

CAPO III.Università ed altre pubbliche scuole.

I. Prospetto generale delle scuole italiane di questo secolo. II. Ge-losia dell'università di Bologna di non perdere i suoi professori.III. Smembramento di essa per la fondazione dell'università di Vi-cenza, che presto cessa. IV. Turbolenze nell'Università di Bolo-gna: scuole pubbliche in Arezzo. V. Nuovo smembramentodell'università di Bologna per la fondazione di quella di Padova.VI. Fondazione della università di Napoli fatta da Federigo II.VII. Questi sopprime la università di Bologna; ma il suo editto

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non ha esecuzione. VIII. Fiore in cui ella era nel corso di questosecolo. IX. Stato dell'università di Padova ne' primi anni di questosecolo. X. Nuova università in Vercelli, a cui forse fu per qualcheanno trasportata quella di Padova. XI. Si ripiglia la serie delle vi-cende dell'università di Padova: carattere degli storici di essa.XII. Essa ancora dopo la metà del XIII secolo era in gran fama.XIII. Se ad essa fosse trasportata da Gregorio X quella di Bolo-gna. XIV. Interdetto per breve tempo posto sopra quella di Pado-va. XV. Premure di Federigo II per l'università di Napoli. XVI.Corrado figlio di Federigo II rinnova lo Studio in Salerno percontrapporlo a quello di Napoli. XVII. Il re Manfredi rende po-scia 1'università a Napoli. XVIII. Privilegi ad essa accordati daCarlo I. XIX. E poscia da Carlo II. XX. Se Federigo II fondassel'università di Ferrara. XXI. Ivi però erano fin dal sec. XIII pub-bliche scuole. XXII. Scuole pubbliche di giurisprudenza in Roma.XXIII. Università aperta in Piacenza. XXIV. Se fosse allora fon-data quella di Macerata. XXV. Quanto fossero celebri le scuolelegali di Modena. XXVI. Concorso numeroso di forestieri allemedesime. XXVII. Scuole reggiane, e loro celebrità. XXVIII.Scuole pubbliche in Parma. XXIX. Stato delle scuole milanesi, edelle pavesi. XXX. Scuole pubbliche in Trevigi. XXXI. Se l'uni-versità di Pisa tosse allora fondata: altre pubbliche scuole.

CAPO IV.Biblioteche.

I. Per qual ragione fossero anche in questo secolo poche e scarsele biblioteche. II. Copisti de' libri in diverse città. III. Prezzo deicodici: lusso in essi introdotto. IV. Notizie di alcune biblioteche.V. Biblioteche monastiche. VI. Vantaggi di queste benché scarsebiblioteche.

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non ha esecuzione. VIII. Fiore in cui ella era nel corso di questosecolo. IX. Stato dell'università di Padova ne' primi anni di questosecolo. X. Nuova università in Vercelli, a cui forse fu per qualcheanno trasportata quella di Padova. XI. Si ripiglia la serie delle vi-cende dell'università di Padova: carattere degli storici di essa.XII. Essa ancora dopo la metà del XIII secolo era in gran fama.XIII. Se ad essa fosse trasportata da Gregorio X quella di Bolo-gna. XIV. Interdetto per breve tempo posto sopra quella di Pado-va. XV. Premure di Federigo II per l'università di Napoli. XVI.Corrado figlio di Federigo II rinnova lo Studio in Salerno percontrapporlo a quello di Napoli. XVII. Il re Manfredi rende po-scia 1'università a Napoli. XVIII. Privilegi ad essa accordati daCarlo I. XIX. E poscia da Carlo II. XX. Se Federigo II fondassel'università di Ferrara. XXI. Ivi però erano fin dal sec. XIII pub-bliche scuole. XXII. Scuole pubbliche di giurisprudenza in Roma.XXIII. Università aperta in Piacenza. XXIV. Se fosse allora fon-data quella di Macerata. XXV. Quanto fossero celebri le scuolelegali di Modena. XXVI. Concorso numeroso di forestieri allemedesime. XXVII. Scuole reggiane, e loro celebrità. XXVIII.Scuole pubbliche in Parma. XXIX. Stato delle scuole milanesi, edelle pavesi. XXX. Scuole pubbliche in Trevigi. XXXI. Se l'uni-versità di Pisa tosse allora fondata: altre pubbliche scuole.

CAPO IV.Biblioteche.

I. Per qual ragione fossero anche in questo secolo poche e scarsele biblioteche. II. Copisti de' libri in diverse città. III. Prezzo deicodici: lusso in essi introdotto. IV. Notizie di alcune biblioteche.V. Biblioteche monastiche. VI. Vantaggi di queste benché scarsebiblioteche.

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CAPO V.Viaggi.

I. Utilità de' viaggi riguardo alle lettere. II. Viaggi di Marco Polo:in qual lingua fossero da lui scritti. III. Loro edizioni e versioni, ediversità che passa fra esse. IV. Viaggi in Tartaria e in Persia diNiccolò e Matteo, padre e zio di Marco. V. Passano alla corte delgran Kan de' Tartari, da cui spediti a Roma, tornan poscia a quellacorte con Marco. VI. Lor soggiorno di più anni a quella corte.VII. Lor viaggio all'Indie, e ritorno a Venezia. VIII. Confrontodelle Relazioni di Marco colla storia di que' paesi. IX. Vicendede' viaggiatori dopo il loro ritorno: prigionia di Marco. X. Qualfede debbasi alle descrizioni fatte da Marco Polo. XI. Rispostaalle accuse che da alcuni si danno alle Relazioni dei Polo. XII.Altre accuse, e risposte alle medesime. XIII. Elogi fatti alle Rela-zioni di Marco. XIV. Viaggi di Ricoldo da Montecroce. XV. Ten-tativo de' Genovesi per trovar la via per mare all'Indie orientali:scoperta delle Canarie.

LIBRO II.Scienze.

CAPO I.Studj sacri.

I. Nuove eresie: fondazione de' Predicatori e de' Minori. lI. Letto-re di teologia introdotto nella metropolitana di Milano. III. Se inBologna fossero scuole pubbliche di teologia. IV. Probabilmentevi erano, ma solo ne' monasteri. V. Anche in altre città erano so-miglianti scuole. VI. Notizie del celebre ab. Gioachino: diversitàdi opinioni intorno ad esso. VII. Epoche della sua vita: sue rare

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CAPO V.Viaggi.

I. Utilità de' viaggi riguardo alle lettere. II. Viaggi di Marco Polo:in qual lingua fossero da lui scritti. III. Loro edizioni e versioni, ediversità che passa fra esse. IV. Viaggi in Tartaria e in Persia diNiccolò e Matteo, padre e zio di Marco. V. Passano alla corte delgran Kan de' Tartari, da cui spediti a Roma, tornan poscia a quellacorte con Marco. VI. Lor soggiorno di più anni a quella corte.VII. Lor viaggio all'Indie, e ritorno a Venezia. VIII. Confrontodelle Relazioni di Marco colla storia di que' paesi. IX. Vicendede' viaggiatori dopo il loro ritorno: prigionia di Marco. X. Qualfede debbasi alle descrizioni fatte da Marco Polo. XI. Rispostaalle accuse che da alcuni si danno alle Relazioni dei Polo. XII.Altre accuse, e risposte alle medesime. XIII. Elogi fatti alle Rela-zioni di Marco. XIV. Viaggi di Ricoldo da Montecroce. XV. Ten-tativo de' Genovesi per trovar la via per mare all'Indie orientali:scoperta delle Canarie.

LIBRO II.Scienze.

CAPO I.Studj sacri.

I. Nuove eresie: fondazione de' Predicatori e de' Minori. lI. Letto-re di teologia introdotto nella metropolitana di Milano. III. Se inBologna fossero scuole pubbliche di teologia. IV. Probabilmentevi erano, ma solo ne' monasteri. V. Anche in altre città erano so-miglianti scuole. VI. Notizie del celebre ab. Gioachino: diversitàdi opinioni intorno ad esso. VII. Epoche della sua vita: sue rare

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virtù. VIII. Sue opere, e apologia di esse. IX. Varj pareri intornoalle sue profezie. X. Anche mentr'ei viveva se ne spargevano al-cune false. XI. Che debba credersi di quelle che sono inserite nel-le sue opere. XII. Giudizio datone dal Papebrochio. XIII. Quelleintorno a' romani pontefici son certamente supposte. XIV. Profes-sori italiani di teologia in Parigi. XV. Epoche della vita di s. Tom-maso d'Aquino. XVI. Esame di alcune circostanza di essa. XVII.Sue opere e loro carattere. XVIII. Elogi che ne han fatto alcuni il-lustri moderni scrittori. XIX Epoche della vita di s. Bonaventura.XX. Sue opere, e loro pregi. XXL Prepositivo e Desiderio profes-sori nella stessa università di Parigi. XXII. Rolando cremonesedomenicano. XXIII. Altri Domenicani italiani professori in Pari-gi. XXIV. Notizia del b. Gio. da Parma francescano; s'ei sial'autore dell'Evangelio eterno. XXV. Si continua 1'esame dellastessa quistione. XXVI. Teologi agostiniani in Parigi. Egidio daRoma. XXVII. Agostino Trionfo d'Ancona. XXVllI. Jacopo daViterbo. XXIX. Quanto sia gloriosa all'Italia questa serie de' suoiprofessori in Parigi. XXX. Chi fosse il primo autore delle Con-cordanze bibliche. XXXI. Scrittori contro le eresie: Moneta cre-monese. XXXII. F. Rainero Sacconi. XXXIII. Buonaccorso. XX-XIV. Scrittori contro gli orrori de' Greci: Buonaccorso bolognese.XXXV. Niccolò da Otranto sostenitore de' medesimi errori. XX-XVI. Alcuni scrittori sacri. XXXVII. Cronache monastiche. XX-XVIII. Scrittori delle Vite de' SS. F. Jacopo da Voragine.

CAPO II.Filosofia, Matematica.

I. Stato infelice della filosofia innanzi al sec. XIII. II. Jacopo che-rico veneziano è il primo nel tradurre in latino le opere d'Aristote-le. III. Altre traduzioni di esse: vicende della dottrina d'Aristotelein Francia. IV. Nuove traduzioni di Aristotele e di altri autori gre-ci ordinate da Federigo II o da Manfredi. V. Urbano IV promuove

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virtù. VIII. Sue opere, e apologia di esse. IX. Varj pareri intornoalle sue profezie. X. Anche mentr'ei viveva se ne spargevano al-cune false. XI. Che debba credersi di quelle che sono inserite nel-le sue opere. XII. Giudizio datone dal Papebrochio. XIII. Quelleintorno a' romani pontefici son certamente supposte. XIV. Profes-sori italiani di teologia in Parigi. XV. Epoche della vita di s. Tom-maso d'Aquino. XVI. Esame di alcune circostanza di essa. XVII.Sue opere e loro carattere. XVIII. Elogi che ne han fatto alcuni il-lustri moderni scrittori. XIX Epoche della vita di s. Bonaventura.XX. Sue opere, e loro pregi. XXL Prepositivo e Desiderio profes-sori nella stessa università di Parigi. XXII. Rolando cremonesedomenicano. XXIII. Altri Domenicani italiani professori in Pari-gi. XXIV. Notizia del b. Gio. da Parma francescano; s'ei sial'autore dell'Evangelio eterno. XXV. Si continua 1'esame dellastessa quistione. XXVI. Teologi agostiniani in Parigi. Egidio daRoma. XXVII. Agostino Trionfo d'Ancona. XXVllI. Jacopo daViterbo. XXIX. Quanto sia gloriosa all'Italia questa serie de' suoiprofessori in Parigi. XXX. Chi fosse il primo autore delle Con-cordanze bibliche. XXXI. Scrittori contro le eresie: Moneta cre-monese. XXXII. F. Rainero Sacconi. XXXIII. Buonaccorso. XX-XIV. Scrittori contro gli orrori de' Greci: Buonaccorso bolognese.XXXV. Niccolò da Otranto sostenitore de' medesimi errori. XX-XVI. Alcuni scrittori sacri. XXXVII. Cronache monastiche. XX-XVIII. Scrittori delle Vite de' SS. F. Jacopo da Voragine.

CAPO II.Filosofia, Matematica.

I. Stato infelice della filosofia innanzi al sec. XIII. II. Jacopo che-rico veneziano è il primo nel tradurre in latino le opere d'Aristote-le. III. Altre traduzioni di esse: vicende della dottrina d'Aristotelein Francia. IV. Nuove traduzioni di Aristotele e di altri autori gre-ci ordinate da Federigo II o da Manfredi. V. Urbano IV promuove

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molto gli studj filosofici. VI. Ordina a s. Tommaso di tradurre e dicomentare le opere di Aristotele. VII. Altre opere filosofiche di s.Tommaso. VIII. Opere matematiche di Campano novarese. IX.Opere astronomiche del medesimo e di altri. X. Leonardo Fibo-nacci porta in Italia i numeri arabici. XI. Giordano Nemorario os-sia del Bosco, fu di patria tedesco. XII. Astrologia giudiciaria fo-mentata da Federigo II. XIII. E da Ezzelino da Romano. XIV. No-tizie di Guido Bonatti, sua patria e suoi principj. XV. Predizionidelle quali egli si vanta. XVI. Altre cose ammirabili, ma favolose,che di lui si raccontano. XXII. Notizie che si ricavano dalle operedel Bonatti. XVIII. Se Guido sul fin de' suoi giorni entrassenell'Ordine de' Minori. XIX. Sua morte e sue opere. XX. Gherar-do cremonese da Sabbioneta dee distinguersi dall'altro Gherardocremonese più antico. XXI. Opere del primo. XXII. L'astrologiagiudiciaria insegnata in Padova e in Bologna. XXIII. Vitellionetedesco scrittor di ottica, ma vissuto molto in Italia. XXIV. Epocadell'invenzione degli occhiali sconosciuti agli antichi. XXV. Essaappartiene agli ultimi anni del sec. XIII. XXVI. L'inventore ne fuSalvino degli Armati. XXVII. La bussola nautica fu sconosciutaagli antichi. XXVIII L'invenzion di essa non si dee a' Cinesi.XXIX. Diversità di opinioni tra gli scrittori francesi nell'indicarnela più antica menzione. XXX. Testimonianze di alcuni scrittoridel secolo XIII, che ne ragionano. XXXI. Passo di Brunetto Lati-ni. XXXII. Non si pruova ch'essa fosse invenzione di Flavio Gio-ja d'Amalfi. XXXIII. Risposta ad alcuni argomenti in favor degliAmalfitani. XXXIV. Nè i Francesi, nè i Tedeschi, né gl'inglesi sene possono dire inventori. XXXV. Non è improbabile che questascoperta si debba agli Arabi. XXXVI. Scrittori di filosofia mora-le. XXXVII. Notizie di Albertano giudice e delle sue òpere. XX-XVIII. Scarso numero de' professori di filosofia in Bologna. XX-XIX. Anche in Padova se ne trovano assai pochi.

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molto gli studj filosofici. VI. Ordina a s. Tommaso di tradurre e dicomentare le opere di Aristotele. VII. Altre opere filosofiche di s.Tommaso. VIII. Opere matematiche di Campano novarese. IX.Opere astronomiche del medesimo e di altri. X. Leonardo Fibo-nacci porta in Italia i numeri arabici. XI. Giordano Nemorario os-sia del Bosco, fu di patria tedesco. XII. Astrologia giudiciaria fo-mentata da Federigo II. XIII. E da Ezzelino da Romano. XIV. No-tizie di Guido Bonatti, sua patria e suoi principj. XV. Predizionidelle quali egli si vanta. XVI. Altre cose ammirabili, ma favolose,che di lui si raccontano. XXII. Notizie che si ricavano dalle operedel Bonatti. XVIII. Se Guido sul fin de' suoi giorni entrassenell'Ordine de' Minori. XIX. Sua morte e sue opere. XX. Gherar-do cremonese da Sabbioneta dee distinguersi dall'altro Gherardocremonese più antico. XXI. Opere del primo. XXII. L'astrologiagiudiciaria insegnata in Padova e in Bologna. XXIII. Vitellionetedesco scrittor di ottica, ma vissuto molto in Italia. XXIV. Epocadell'invenzione degli occhiali sconosciuti agli antichi. XXV. Essaappartiene agli ultimi anni del sec. XIII. XXVI. L'inventore ne fuSalvino degli Armati. XXVII. La bussola nautica fu sconosciutaagli antichi. XXVIII L'invenzion di essa non si dee a' Cinesi.XXIX. Diversità di opinioni tra gli scrittori francesi nell'indicarnela più antica menzione. XXX. Testimonianze di alcuni scrittoridel secolo XIII, che ne ragionano. XXXI. Passo di Brunetto Lati-ni. XXXII. Non si pruova ch'essa fosse invenzione di Flavio Gio-ja d'Amalfi. XXXIII. Risposta ad alcuni argomenti in favor degliAmalfitani. XXXIV. Nè i Francesi, nè i Tedeschi, né gl'inglesi sene possono dire inventori. XXXV. Non è improbabile che questascoperta si debba agli Arabi. XXXVI. Scrittori di filosofia mora-le. XXXVII. Notizie di Albertano giudice e delle sue òpere. XX-XVIII. Scarso numero de' professori di filosofia in Bologna. XX-XIX. Anche in Padova se ne trovano assai pochi.

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CAPO III.Medicina.

I. Sollecitudine de' principi nel promuover lo studio della medici-na. II. Leggi perciò promulgate in Sicilia da Federigo II, e da Car-lo I. III. Celebrità in cui continuava ad essere la scuola salernita-na. IV. Professori di essa celebri: Pietro Musandino e Mauro. V.Altri professori ivi rinomati. VI. Collegi de' medici istituiti in al-cune città. VII. Quanto fiorisse lo studio della medicina in Bolo-gna. VIII. Alcuni dei più celebri professori ivi: Ugo da Lucca. IX.Rolando cremonese, Niccolò di Fernham, Sinigardo d'Arezzo. X.Taddeo d'Alderotto; notizie della sua vita. XI. Di quanta stima eigodesse. XII. Ricchezze insigni da lui raccolte colla sua arte.XIII. Suo testamento, sua morte e sue opere. XIV. Guglielmo daBrescia. XV. Bartolommeo da Varignana. XVI. Simone da Geno-va: risposta a un'accusa del Marchaud. XVII. Progressi della chi-rurgia; Ruggiero da Parma. XVIII. Rolando pure da Parma. XIX.Bruno da Longoburgo. XX Teodorico da Lucca domenicano, epoi vescovo. XXI. Guglielmo da Saliceto. XXII. Lanfranco mila-nese. XXIII. Giovanni Passavanti.

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CAPO III.Medicina.

I. Sollecitudine de' principi nel promuover lo studio della medici-na. II. Leggi perciò promulgate in Sicilia da Federigo II, e da Car-lo I. III. Celebrità in cui continuava ad essere la scuola salernita-na. IV. Professori di essa celebri: Pietro Musandino e Mauro. V.Altri professori ivi rinomati. VI. Collegi de' medici istituiti in al-cune città. VII. Quanto fiorisse lo studio della medicina in Bolo-gna. VIII. Alcuni dei più celebri professori ivi: Ugo da Lucca. IX.Rolando cremonese, Niccolò di Fernham, Sinigardo d'Arezzo. X.Taddeo d'Alderotto; notizie della sua vita. XI. Di quanta stima eigodesse. XII. Ricchezze insigni da lui raccolte colla sua arte.XIII. Suo testamento, sua morte e sue opere. XIV. Guglielmo daBrescia. XV. Bartolommeo da Varignana. XVI. Simone da Geno-va: risposta a un'accusa del Marchaud. XVII. Progressi della chi-rurgia; Ruggiero da Parma. XVIII. Rolando pure da Parma. XIX.Bruno da Longoburgo. XX Teodorico da Lucca domenicano, epoi vescovo. XXI. Guglielmo da Saliceto. XXII. Lanfranco mila-nese. XXIII. Giovanni Passavanti.

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STORIADELLA

LETTERATURA ITALIANADALL'ANNO MCLXXXIII FINO ALL'ANNO MCCC.

La letteratura italiana comincia omai ad offrirci unmeno spiacevole ed assai più ampio argomento di storia.Sette secoli appena han potuto darci materia bastante pelterzo tomo. Il quarto, in cui ora entriamo, si stenderàpoco oltre ad un secolo. E nondimeno non siamo ancorache ai primi sforzi fatti da' nostri maggiori per spogliarsidella antica rozzezza, e per giungere allo scoprimentodel vero. Ma questi sforzi medesimi vogliono essereesaminati con diligenza, perchè e piace e giova semprenon poco il vedere da quai tenui principj abbiano le cosepiù grandi avuta origine. Perciò ci conviene necessaria-mente cambiare in parte l'ordine e il metodo finor tenu-to; e dove in addietro ogni tomo ha comprese più epo-che, ed ogni epoca ha avuto il suo libro, in avvenireun'epoca sola, e di non molto lunga durata, occuperà tut-to un tomo, e i libri saranno assegnati al compartimentodelle materie. Nel I si tratterà in generale de' mezzi concui si promosser gli studj; nel II comprenderemo ciò cheappartiene alle Scienze; nel III finalmente avran luogole belle lettere e l'arti liberali. Così all'ordine delle cosecorrisponda l'esattezza delle ricerche, e possa questa mia

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STORIADELLA

LETTERATURA ITALIANADALL'ANNO MCLXXXIII FINO ALL'ANNO MCCC.

La letteratura italiana comincia omai ad offrirci unmeno spiacevole ed assai più ampio argomento di storia.Sette secoli appena han potuto darci materia bastante pelterzo tomo. Il quarto, in cui ora entriamo, si stenderàpoco oltre ad un secolo. E nondimeno non siamo ancorache ai primi sforzi fatti da' nostri maggiori per spogliarsidella antica rozzezza, e per giungere allo scoprimentodel vero. Ma questi sforzi medesimi vogliono essereesaminati con diligenza, perchè e piace e giova semprenon poco il vedere da quai tenui principj abbiano le cosepiù grandi avuta origine. Perciò ci conviene necessaria-mente cambiare in parte l'ordine e il metodo finor tenu-to; e dove in addietro ogni tomo ha comprese più epo-che, ed ogni epoca ha avuto il suo libro, in avvenireun'epoca sola, e di non molto lunga durata, occuperà tut-to un tomo, e i libri saranno assegnati al compartimentodelle materie. Nel I si tratterà in generale de' mezzi concui si promosser gli studj; nel II comprenderemo ciò cheappartiene alle Scienze; nel III finalmente avran luogole belle lettere e l'arti liberali. Così all'ordine delle cosecorrisponda l'esattezza delle ricerche, e possa questa mia

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qualunque fatica accrescere nuova gloria all'Italia, e ren-derla oggetto di ammirazione, e forse ancora d’invidia,alle straniere nazioni.

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qualunque fatica accrescere nuova gloria all'Italia, e ren-derla oggetto di ammirazione, e forse ancora d’invidia,alle straniere nazioni.

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LIBRO I.Mezzi adoperati a promuovere

gli studj.

CAPO I.Idea generale dello stato dell'Italia in

quest'epoca.

I. Non fu mai per avventura così lietal'Italia, come allor quando ella aveamaggior motivo di piangere le sue immi-nenti sventure. La pace di Costanza sta-bilita l'an. 1183 avea finalmente condottele città italiane, singolarmente di Lom-

bardia, a quella libera indipendenza, per cui esse aveva-no sostenute in addietro sì lunghe e sì ostinate guerre.Trattone il supremo dominio, e qualche diritto ad essonon necessariamente congiunto, che rimaneva all'impe-radore, esse poteano reggersi a lor piacere, scegliere ilor magistrati, far quelle leggi che più credessero oppor-tune, introdurre le arti, promuovere il commercio; eranoin somma a guisa di tante repubbliche, signore di lormedesime, e a cui per esser felici bastava il volerlo.Qual cosa potea omai sembrare che mancasse ancoraall'Italia per risorgere all'antica sua grandezza? E nondi-

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La pace di Co-stanza invece di render felici le città italiane è origine di nuovi sconvolgimenti.

LIBRO I.Mezzi adoperati a promuovere

gli studj.

CAPO I.Idea generale dello stato dell'Italia in

quest'epoca.

I. Non fu mai per avventura così lietal'Italia, come allor quando ella aveamaggior motivo di piangere le sue immi-nenti sventure. La pace di Costanza sta-bilita l'an. 1183 avea finalmente condottele città italiane, singolarmente di Lom-

bardia, a quella libera indipendenza, per cui esse aveva-no sostenute in addietro sì lunghe e sì ostinate guerre.Trattone il supremo dominio, e qualche diritto ad essonon necessariamente congiunto, che rimaneva all'impe-radore, esse poteano reggersi a lor piacere, scegliere ilor magistrati, far quelle leggi che più credessero oppor-tune, introdurre le arti, promuovere il commercio; eranoin somma a guisa di tante repubbliche, signore di lormedesime, e a cui per esser felici bastava il volerlo.Qual cosa potea omai sembrare che mancasse ancoraall'Italia per risorgere all'antica sua grandezza? E nondi-

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La pace di Co-stanza invece di render felici le città italiane è origine di nuovi sconvolgimenti.

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meno, onde sperava la sua maggior felicità, indi ellaebbe appunto la sua rovina. Gl'imperadori si considera-vano, ed erano veramente ancora sovrani d'Italia, ben-chè le avessero accordata la libertà; e volean pure mo-strarle a' fatti, ch'essi non ne avean perduto l'alto domi-nio. L'Italia non ricusava di render loro gli onori dovutialla maestà imperiale; ma volea in ciò ancora mostrarsilibera, e vegliava gelosamente, perchè la sua indipen-denza non sofferisse alcun danno. Ed ecco la prima ori-gine di nuove guerre tra l'Italia e l'Impero. Le città ita-liane inoltre erano ugualmente libere, ma non fortiugualmente. Questa disuguaglianza di forze destava nel-le più potenti città desiderio d'ingrandimento, e timoredi essere sopraffatte nelle più deboli. Quindi la gelosiadapprima e l'invidia, poscia le vicendevoli leghe, e final-mente le aspre e sanguinose guerre tra le une e le altre.Le discordie per ultimo tra 'l sacerdozio e l'impero, chein quest'epoca ancora furono assai frequenti, dividevanoin contrarj partiti anche le italiane repubbliche, ciascunadelle quali attenevasi a quella fazione a cui o la religio-ne, o l'interesse, o qualunque altro motivo stringevale;anzi una stessa città vedeasi spesso divisa in contrarjpartiti, e i cittadini prender gli uni contro gli altri le armie combattersi con più furore, che non avrebbon fattocontro i loro stranieri nemici. Per tal maniera ebbe a co-noscer l'Italia che quella libertà medesima da cui ella siprometteva sì gran vantaggi, le era troppo fatale, ed ellastessa perciò, sotto pretesto di conservarla, tornò a farsisoggetta. La necessità di avere autorevoli personaggi

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meno, onde sperava la sua maggior felicità, indi ellaebbe appunto la sua rovina. Gl'imperadori si considera-vano, ed erano veramente ancora sovrani d'Italia, ben-chè le avessero accordata la libertà; e volean pure mo-strarle a' fatti, ch'essi non ne avean perduto l'alto domi-nio. L'Italia non ricusava di render loro gli onori dovutialla maestà imperiale; ma volea in ciò ancora mostrarsilibera, e vegliava gelosamente, perchè la sua indipen-denza non sofferisse alcun danno. Ed ecco la prima ori-gine di nuove guerre tra l'Italia e l'Impero. Le città ita-liane inoltre erano ugualmente libere, ma non fortiugualmente. Questa disuguaglianza di forze destava nel-le più potenti città desiderio d'ingrandimento, e timoredi essere sopraffatte nelle più deboli. Quindi la gelosiadapprima e l'invidia, poscia le vicendevoli leghe, e final-mente le aspre e sanguinose guerre tra le une e le altre.Le discordie per ultimo tra 'l sacerdozio e l'impero, chein quest'epoca ancora furono assai frequenti, dividevanoin contrarj partiti anche le italiane repubbliche, ciascunadelle quali attenevasi a quella fazione a cui o la religio-ne, o l'interesse, o qualunque altro motivo stringevale;anzi una stessa città vedeasi spesso divisa in contrarjpartiti, e i cittadini prender gli uni contro gli altri le armie combattersi con più furore, che non avrebbon fattocontro i loro stranieri nemici. Per tal maniera ebbe a co-noscer l'Italia che quella libertà medesima da cui ella siprometteva sì gran vantaggi, le era troppo fatale, ed ellastessa perciò, sotto pretesto di conservarla, tornò a farsisoggetta. La necessità di avere autorevoli personaggi

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che le conducessero in guerra, e in pace le regolasserosaggiamente, determinò molte città italiane a sottoporsiad alcuni de' lor cittadini medesimi, che per nobiltà, perricchezze, o per forze fossero più potenti. E quindi pre-sero origine i diversi dominj in cui fu allora divisa l'Ita-lia, i quali però non ebbero fermo stabilimento, se nondopo ostinatissime guerre o tra i possenti rivali che aspi-ravano a tal dominio, o tra le città medesime che ubbidi-vano a diversi signori. Tal fu la condizion dell'Italianell'epoca di cui prendiamo a trattare. Ma ci convienesvolgerne partitamente le diverse vicende, che gioveran-no a meglio conoscere ciò che avrem poscia a dire dellostato dell’italiana letteratura.

II. Erano appena corsi due anni, dacchè lapace di Costanza avea renduta la tranquillitàall'Italia; quando i Cremonesi per addietroalleati di Federigo, sdegnatisi contro di lui,perchè l'an. 1185 avea rendute a' Milanesi

alcune terre da quelli sopra lor conquistate; cominciaro-no a dolersi di tal condotta; e per mostrarne risentimen-to, non intervennero alle solenni nozze che Federigo fe-steggiò l'anno seguente in Milano, tra il suo figliuoloArrigo e Costanza zia di Guglielmo II, allora re di Sici-lia. Di che adirato l'imperadore, raccolte le truppe de'Milanesi e di altre città, mosse contro di loro, e li mise asì mal partito, che convenne loro ricorrere alla pietà delsovrano, il quale alle preghiere di Sicardo lor vescovo

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Molte città vengon pre-sto a guerrale une con-tro le altre.

che le conducessero in guerra, e in pace le regolasserosaggiamente, determinò molte città italiane a sottoporsiad alcuni de' lor cittadini medesimi, che per nobiltà, perricchezze, o per forze fossero più potenti. E quindi pre-sero origine i diversi dominj in cui fu allora divisa l'Ita-lia, i quali però non ebbero fermo stabilimento, se nondopo ostinatissime guerre o tra i possenti rivali che aspi-ravano a tal dominio, o tra le città medesime che ubbidi-vano a diversi signori. Tal fu la condizion dell'Italianell'epoca di cui prendiamo a trattare. Ma ci convienesvolgerne partitamente le diverse vicende, che gioveran-no a meglio conoscere ciò che avrem poscia a dire dellostato dell’italiana letteratura.

II. Erano appena corsi due anni, dacchè lapace di Costanza avea renduta la tranquillitàall'Italia; quando i Cremonesi per addietroalleati di Federigo, sdegnatisi contro di lui,perchè l'an. 1185 avea rendute a' Milanesi

alcune terre da quelli sopra lor conquistate; cominciaro-no a dolersi di tal condotta; e per mostrarne risentimen-to, non intervennero alle solenni nozze che Federigo fe-steggiò l'anno seguente in Milano, tra il suo figliuoloArrigo e Costanza zia di Guglielmo II, allora re di Sici-lia. Di che adirato l'imperadore, raccolte le truppe de'Milanesi e di altre città, mosse contro di loro, e li mise asì mal partito, che convenne loro ricorrere alla pietà delsovrano, il quale alle preghiere di Sicardo lor vescovo

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Molte città vengon pre-sto a guerrale une con-tro le altre.

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accordò ad essi il perdono. Io ho voluto accennar questofatto, perchè si vegga quanto poco ebbero a tardar gl'Ita-liani per riconoscere che la pace di Costanza non eratroppo opportuna alla lor felicità. Ma non è mia inten-zione di parlare di ciascheduna delle guerre che desola-ron l'Italia di questi tempi; il che nè è necessario al mioargomento, e condurrebbe questa mia Storia a una so-verchia e inutile prolissità. Basti il riflettere che ne' soli17 ultimi anni del sec. XII, che immediatamente segui-rono alla pace di Costanza, oltre la guerra della Siciliadi cui parleremo fra poco, si videro guerre civili inFaenza tra 'l popolo e i nobili l'an. 1185, tra i Genovesi ei Pisani l'an. 1187, tra i Piacentini e i Parmigiani ed altrecittà loro alleate l'an. 1188 e il seguente; e in questo an-cora tra i Ferraresi e i Mantovani; nel 1191 e per 15 annidopo tra gli Astigiani e 'l marchese di Monferrato; l'an.1193 tra i Milanesi e i Lodigiani; e tumulti e guerre civi-li furono in quest'anno medesimo in Bologna e in Geno-va; e nel 1194 si riaccese la guerra tra' Genovesi e i Pi-sani, che durò poscia più anni; l'an. 1197 combatterono iVeronesi contro de' Padovani. Finalmente l'an. 1199moltissime città d'Italia si videro prender le armi le unecontro le altre all'occasione di una contesa tra i Parmi-giani e i Piacentini. Delle quali e di altre somigliantiguerre ch'io ho solo accennate veggansi gli Annali delch. Muratori, e gli altri storici italiani.

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accordò ad essi il perdono. Io ho voluto accennar questofatto, perchè si vegga quanto poco ebbero a tardar gl'Ita-liani per riconoscere che la pace di Costanza non eratroppo opportuna alla lor felicità. Ma non è mia inten-zione di parlare di ciascheduna delle guerre che desola-ron l'Italia di questi tempi; il che nè è necessario al mioargomento, e condurrebbe questa mia Storia a una so-verchia e inutile prolissità. Basti il riflettere che ne' soli17 ultimi anni del sec. XII, che immediatamente segui-rono alla pace di Costanza, oltre la guerra della Siciliadi cui parleremo fra poco, si videro guerre civili inFaenza tra 'l popolo e i nobili l'an. 1185, tra i Genovesi ei Pisani l'an. 1187, tra i Piacentini e i Parmigiani ed altrecittà loro alleate l'an. 1188 e il seguente; e in questo an-cora tra i Ferraresi e i Mantovani; nel 1191 e per 15 annidopo tra gli Astigiani e 'l marchese di Monferrato; l'an.1193 tra i Milanesi e i Lodigiani; e tumulti e guerre civi-li furono in quest'anno medesimo in Bologna e in Geno-va; e nel 1194 si riaccese la guerra tra' Genovesi e i Pi-sani, che durò poscia più anni; l'an. 1197 combatterono iVeronesi contro de' Padovani. Finalmente l'an. 1199moltissime città d'Italia si videro prender le armi le unecontro le altre all'occasione di una contesa tra i Parmi-giani e i Piacentini. Delle quali e di altre somigliantiguerre ch'io ho solo accennate veggansi gli Annali delch. Muratori, e gli altri storici italiani.

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III. Frattanto l'an. 1189 venne a morte Gu-glielmo II, re di Sicilia, in età di soli 36anni, ottimo principe, di cui ha scritta recen-temente con molta esattezza ed eleganza laStoria il dottiss. monsig. Testa arcivescovodi Monreale. Costanza moglie di Arrigo fi-gliuolo di Federigo, e coronato tre anni in-nanzi re di Italia in Milano, pretese di dover

col marito salire a quel trono. Ma i Siciliani proclamaro-no loro re l'unico che rimaneva della famiglia reale, cioèTancredi figliuol di Ruggieri, e cugino del defunto reGuglielmo. Quindi un'altra sanguinosa guerra s'accesein quelle provincie, alcune delle quali erano favorevoli aTancredi, altre ad Arrigo, il quale in questo frattempo,morto l'an. 1191 nelle acque del fiume Salef l'imp. Fede-rigo ch'era passato alla guerra di Terra Santa, succedet-tegli ne' paterni dominj, ed ebbe l'an. 1191 dal pontef.Celestino III la corona imperiale. La guerra fra Arrigo eTancredi durò sino all'an. 1194, in cui morì Tancredi, la-sciando erede delle sue sventure piuttosto che del suoregno il giovinetto suo figliuolo Guglielmo III sotto latutela di Sibilla sua moglie. Arrigo allora giunse più fa-cilmente ad ottenere la contrastata corona, e costrinsel'infelice reina col piccol suo figlio a darglisi nelle mani.La crudeltà di cui egli usò contro la fede data verso diessi, tenendoli di continuo in istretta prigione, e quellacon cui egli sfogò lo smoderato suo sdegno contro colo-ro che gli erano stati nimici, diede occasione a varie sol-levazioni nella Sicilia. Ma esse non ebbero altro effetto

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Guerre in Sicilia per la succes-sione a queltrono: mor-te di Arrigore di Siciliae imperado-re.

III. Frattanto l'an. 1189 venne a morte Gu-glielmo II, re di Sicilia, in età di soli 36anni, ottimo principe, di cui ha scritta recen-temente con molta esattezza ed eleganza laStoria il dottiss. monsig. Testa arcivescovodi Monreale. Costanza moglie di Arrigo fi-gliuolo di Federigo, e coronato tre anni in-nanzi re di Italia in Milano, pretese di dover

col marito salire a quel trono. Ma i Siciliani proclamaro-no loro re l'unico che rimaneva della famiglia reale, cioèTancredi figliuol di Ruggieri, e cugino del defunto reGuglielmo. Quindi un'altra sanguinosa guerra s'accesein quelle provincie, alcune delle quali erano favorevoli aTancredi, altre ad Arrigo, il quale in questo frattempo,morto l'an. 1191 nelle acque del fiume Salef l'imp. Fede-rigo ch'era passato alla guerra di Terra Santa, succedet-tegli ne' paterni dominj, ed ebbe l'an. 1191 dal pontef.Celestino III la corona imperiale. La guerra fra Arrigo eTancredi durò sino all'an. 1194, in cui morì Tancredi, la-sciando erede delle sue sventure piuttosto che del suoregno il giovinetto suo figliuolo Guglielmo III sotto latutela di Sibilla sua moglie. Arrigo allora giunse più fa-cilmente ad ottenere la contrastata corona, e costrinsel'infelice reina col piccol suo figlio a darglisi nelle mani.La crudeltà di cui egli usò contro la fede data verso diessi, tenendoli di continuo in istretta prigione, e quellacon cui egli sfogò lo smoderato suo sdegno contro colo-ro che gli erano stati nimici, diede occasione a varie sol-levazioni nella Sicilia. Ma esse non ebbero altro effetto

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Guerre in Sicilia per la succes-sione a queltrono: mor-te di Arrigore di Siciliae imperado-re.

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che d'innasprire maggiormente il feroce animo di Arrigoil quale però poco tempo ebbe a secondare la sua crudel-tà, morto in Messina l'an. 1197 (1) con grande allegrezzadella Sicilia, e d'altri paesi d'Italia, dice il ch. Muratori(Ann. d'Ital. ad h. an.), che l'avevano provato principecrudele e sanguinario, nè gli davano altro nome che ditiranno.

IV. La morte di Arrigo, e l'intervallo di diecianni, in cui vacò l'Impero, per la guerra chein Germania si accese fra Filippo duca diSvevia, e Ottone figliuolo di Arrigo Leoneduca di Sassonia e di Baviera, diede oppor-tuna occasione a molte città della Toscana,

che finallora erano state soggette all'autorità imperialedi scuoterne il giogo, e di reggersi nella forma medesi-ma delle città di Lombardia. Così il governo repubblica-no andava dilatandosi per l'Italia, dove al medesimotempo si facevano sempre più frequenti e più sanguino-se le guerre civili. Benchè gl'Italiani non prendessergran parte nella discordia tra' due concorrenti al trono,essa nondimeno servì a fomentare vie maggiormentequelle sì funeste fazioni che diceansi de' Guelfi e de' Gi-bellini, dandosi il nome de' primi a coloro che seguivano

1 Veggasi la descrizione de' magnifici sepolcri di Arrigo VI e di Costanza dilui moglie, e così pure di quello dell'altra Costanza moglie di Federigo II, edi quello del medesimo Federigo, dataci dall'eruditiss. sig. d. FrancesoDaniele nella bella sua opera de' Regali Sepolcri del Duomo di Palermomagnificamente stampata in Napoli l'an. 1784.

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Fazioni de'Guelfi e de'Gibelliniquanto fu-nesteall'Italia.

che d'innasprire maggiormente il feroce animo di Arrigoil quale però poco tempo ebbe a secondare la sua crudel-tà, morto in Messina l'an. 1197 (1) con grande allegrezzadella Sicilia, e d'altri paesi d'Italia, dice il ch. Muratori(Ann. d'Ital. ad h. an.), che l'avevano provato principecrudele e sanguinario, nè gli davano altro nome che ditiranno.

IV. La morte di Arrigo, e l'intervallo di diecianni, in cui vacò l'Impero, per la guerra chein Germania si accese fra Filippo duca diSvevia, e Ottone figliuolo di Arrigo Leoneduca di Sassonia e di Baviera, diede oppor-tuna occasione a molte città della Toscana,

che finallora erano state soggette all'autorità imperialedi scuoterne il giogo, e di reggersi nella forma medesi-ma delle città di Lombardia. Così il governo repubblica-no andava dilatandosi per l'Italia, dove al medesimotempo si facevano sempre più frequenti e più sanguino-se le guerre civili. Benchè gl'Italiani non prendessergran parte nella discordia tra' due concorrenti al trono,essa nondimeno servì a fomentare vie maggiormentequelle sì funeste fazioni che diceansi de' Guelfi e de' Gi-bellini, dandosi il nome de' primi a coloro che seguivano

1 Veggasi la descrizione de' magnifici sepolcri di Arrigo VI e di Costanza dilui moglie, e così pure di quello dell'altra Costanza moglie di Federigo II, edi quello del medesimo Federigo, dataci dall'eruditiss. sig. d. FrancesoDaniele nella bella sua opera de' Regali Sepolcri del Duomo di Palermomagnificamente stampata in Napoli l'an. 1784.

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Fazioni de'Guelfi e de'Gibelliniquanto fu-nesteall'Italia.

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il partito d'Ottone discendente da' principi Estensi Guel-fi, de' secondi a coloro che favorivan Filippo discenden-te dalla famiglia dei principi Gibellini, di che veggasi ilMuratori (Antiq. Ital. t. 4, diss. 51). Quando poi rinno-varonsi in questo secolo stesso le fatali guerre tra 'l sa-cerdozio e l'impero, gli stessi nomi furono usati a distin-guere i diversi partiti; e Guelfi dicevansi i seguaci de'papi, Gibellini i seguaci degli imperadori. Tutte le Storieitaliane di questo secolo ci dipingon gli orrori che furo-no l'effetto di sì ostinate discordie. Non sol vedeansi leune città contro l'altre rivolger l'armi; ma nelle città me-desime, anzi nelle stesse private famiglie, vedeansi con-trari partiti, i cittadini e i domestici mirarsi gli uni gli al-tri come nimici, insidiarsi, inseguirsi, cacciarsi a vicen-da. Non vi ha quasi alcuna tra le più ragguardevoli cittàd'Italia, che non abbia le sue Cronache esatte e minutedi ciò che in essa avvenne di questi tempi; e non vi haoggetto che sì spesso in tali storie ci venga innanzi,quanto i tradimenti, gli esilj, gli omicidj, le battaglie tra'cittadini medesimi. Nè io credo che vi abbia argomentoalcuno più di questo efficace a mostrarci che non vi ècosa a una repubblica più funesta della indipendenza to-tale de' cittadini.

V. Mentre l'Italia al principio del XIII seco-lo era così lacerata dalle guerre civili, cre-sceva in essa un principe che dovea un gior-no darle assai maggior occasione di tristez-

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Principj di Federigo II:sua assun-zione all'impero.

il partito d'Ottone discendente da' principi Estensi Guel-fi, de' secondi a coloro che favorivan Filippo discenden-te dalla famiglia dei principi Gibellini, di che veggasi ilMuratori (Antiq. Ital. t. 4, diss. 51). Quando poi rinno-varonsi in questo secolo stesso le fatali guerre tra 'l sa-cerdozio e l'impero, gli stessi nomi furono usati a distin-guere i diversi partiti; e Guelfi dicevansi i seguaci de'papi, Gibellini i seguaci degli imperadori. Tutte le Storieitaliane di questo secolo ci dipingon gli orrori che furo-no l'effetto di sì ostinate discordie. Non sol vedeansi leune città contro l'altre rivolger l'armi; ma nelle città me-desime, anzi nelle stesse private famiglie, vedeansi con-trari partiti, i cittadini e i domestici mirarsi gli uni gli al-tri come nimici, insidiarsi, inseguirsi, cacciarsi a vicen-da. Non vi ha quasi alcuna tra le più ragguardevoli cittàd'Italia, che non abbia le sue Cronache esatte e minutedi ciò che in essa avvenne di questi tempi; e non vi haoggetto che sì spesso in tali storie ci venga innanzi,quanto i tradimenti, gli esilj, gli omicidj, le battaglie tra'cittadini medesimi. Nè io credo che vi abbia argomentoalcuno più di questo efficace a mostrarci che non vi ècosa a una repubblica più funesta della indipendenza to-tale de' cittadini.

V. Mentre l'Italia al principio del XIII seco-lo era così lacerata dalle guerre civili, cre-sceva in essa un principe che dovea un gior-no darle assai maggior occasione di tristez-

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Principj di Federigo II:sua assun-zione all'impero.

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za e di pianto. Federigo figliuolo del defunto imperado-re Arrigo e di Costanza, nato in Jesi a' 26 di dicembrenel 1194, fu per opera di suo padre eletto re di Germaniae d'Italia, benchè fanciullo ancor di due anni. Ciò nonostante, morto Arrigo l'an. 1197, di lui non si fece alcunconto, e Filippo e Ottone, come si è detto, presero a con-tender tra loro per la corona. Perciò la reina Costanza,fatto a se venire in Sicilia il tenero figlio, gli ottenne dalpontef. Innocenzo III l'investitura di quel regno; mamorta ella frattanto l'an. 1198, Federigo ebbe a soffrireper più anni sollevazioni e guerre pericolose, nelle qualiei fu debitore singolarmente al pontef. Innocenzo, sepotè conservare il suo regno, e superare gli sforzi de'suoi rivali. L'an. 1209 ei prese in moglie Costanza fi-gliuola del re d'Aragona; e nel seguente anno ebbe a so-stener nuova guerra contro di Ottone V. Questi, poichèfu ucciso l'an. 1208 il suo rivale Filippo, era rimasto pa-cifico posseditore del regno, e l'anno seguente avea rice-vuta in Roma la corona imperiale. Ma poscia venuto adissension col pontefice, e veggendo che questi teneasistrettamente, unito col giovane re Federigo, contro di luimosse l'armi, e avrebbelo per avventura condotto a malpartito, se il pontef. Innocenzo non avesse indotti moltide' principi e dei vescovi d'Allemagna e dichiararsi infavore di Federigo. Il pericolo a cui allora Ottone si videesposto, costrinselo ad abbandonare la Sicilia, e a tor-narsene in Allemagna, ove l'an. 1212 recossi ancor Fe-derigo, giovinetto di 18 anni, ed ebbe in Magonza la co-rona reale. I due rivali proseguirono per più anni a con-

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za e di pianto. Federigo figliuolo del defunto imperado-re Arrigo e di Costanza, nato in Jesi a' 26 di dicembrenel 1194, fu per opera di suo padre eletto re di Germaniae d'Italia, benchè fanciullo ancor di due anni. Ciò nonostante, morto Arrigo l'an. 1197, di lui non si fece alcunconto, e Filippo e Ottone, come si è detto, presero a con-tender tra loro per la corona. Perciò la reina Costanza,fatto a se venire in Sicilia il tenero figlio, gli ottenne dalpontef. Innocenzo III l'investitura di quel regno; mamorta ella frattanto l'an. 1198, Federigo ebbe a soffrireper più anni sollevazioni e guerre pericolose, nelle qualiei fu debitore singolarmente al pontef. Innocenzo, sepotè conservare il suo regno, e superare gli sforzi de'suoi rivali. L'an. 1209 ei prese in moglie Costanza fi-gliuola del re d'Aragona; e nel seguente anno ebbe a so-stener nuova guerra contro di Ottone V. Questi, poichèfu ucciso l'an. 1208 il suo rivale Filippo, era rimasto pa-cifico posseditore del regno, e l'anno seguente avea rice-vuta in Roma la corona imperiale. Ma poscia venuto adissension col pontefice, e veggendo che questi teneasistrettamente, unito col giovane re Federigo, contro di luimosse l'armi, e avrebbelo per avventura condotto a malpartito, se il pontef. Innocenzo non avesse indotti moltide' principi e dei vescovi d'Allemagna e dichiararsi infavore di Federigo. Il pericolo a cui allora Ottone si videesposto, costrinselo ad abbandonare la Sicilia, e a tor-narsene in Allemagna, ove l'an. 1212 recossi ancor Fe-derigo, giovinetto di 18 anni, ed ebbe in Magonza la co-rona reale. I due rivali proseguirono per più anni a con-

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trastare tra loro; e per loro contrastavano insieme le cittàitaliane divise in diversi partiti, finchè l'an. 1218, mortoOttone, Federigo II rimase senza contrasto padron deltrono; e due anni appresso venuto in Italia, ebbe inRoma dal pontef. Onorio III successor d'Innocenzol'imperial diadema.

VI. Io debbo a questo luogo pregare chiun-que legge questa mia Storia, che mi sia leci-to il passar leggermente su i trent'anni delregno di questo principe. Tempi alla Chiesa

e all'Italia troppo funesti, in cui si videro gli angusti capidel sacerdozio e dell'impero gareggiar quasi continua-mente l'un contro l'altro; le città italiane altre sostenercon impegno il partito di Federigo, altre resistere con in-credibil fermezza a tutti gli sforzi imperiali, o perchècollegate co' romani pontefici, o perchè gelose dell'anti-ca lor libertà, di cui temevano che Federigo volesse spo-gliarle; e tutta in somma l'Italia, e la Lombardia singo-larmente, divenuta un orribil teatro di tumulti e di stragi.Onorio III, Gregorio IX e Innocenzo IV furono de' piùgrandi pontefici che occupasser la cattedra di Pietro. Fe-derigo II era di sì rare doti fornito, che avrebbe potutorender felice qualunque Stato in cui egli regnasse. Sottotali pontefici, e sotto un tale imperadore perchè mai fu sìinfelice la condizion dell'Italia? Volgiamo altrove losguardo da tante e sì luttuose calamità: e preghiamo ilcielo che sì torbidi tempi non mai ci tornino. Solo, a dar

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Carattere diquesto prin-cipe.

trastare tra loro; e per loro contrastavano insieme le cittàitaliane divise in diversi partiti, finchè l'an. 1218, mortoOttone, Federigo II rimase senza contrasto padron deltrono; e due anni appresso venuto in Italia, ebbe inRoma dal pontef. Onorio III successor d'Innocenzol'imperial diadema.

VI. Io debbo a questo luogo pregare chiun-que legge questa mia Storia, che mi sia leci-to il passar leggermente su i trent'anni delregno di questo principe. Tempi alla Chiesa

e all'Italia troppo funesti, in cui si videro gli angusti capidel sacerdozio e dell'impero gareggiar quasi continua-mente l'un contro l'altro; le città italiane altre sostenercon impegno il partito di Federigo, altre resistere con in-credibil fermezza a tutti gli sforzi imperiali, o perchècollegate co' romani pontefici, o perchè gelose dell'anti-ca lor libertà, di cui temevano che Federigo volesse spo-gliarle; e tutta in somma l'Italia, e la Lombardia singo-larmente, divenuta un orribil teatro di tumulti e di stragi.Onorio III, Gregorio IX e Innocenzo IV furono de' piùgrandi pontefici che occupasser la cattedra di Pietro. Fe-derigo II era di sì rare doti fornito, che avrebbe potutorender felice qualunque Stato in cui egli regnasse. Sottotali pontefici, e sotto un tale imperadore perchè mai fu sìinfelice la condizion dell'Italia? Volgiamo altrove losguardo da tante e sì luttuose calamità: e preghiamo ilcielo che sì torbidi tempi non mai ci tornino. Solo, a dar

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Carattere diquesto prin-cipe.

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qualche idea del carattere di Federigo II io riporterò quiciò che saggiamente ne dice un chiarissimo scrittor mo-derno, dico il sig. Denina che così ne ragiona (Rivol.d'Ital. t. 2. p. 119): Fra gl'imperadori pagani sarebbe sta-to Federigo II sicuramente de' più lodevoli, perciocchèl'ambizione e la licenza sua in fatto di femmine, e ilpoco pensier che si prese della religione, non gli sareb-bero state imputate a gran difetto; ed io non mi maravi-glio che certi scrittori molto indifferenti in ciò che ri-guarda la Fede cristiana, lo abbiano chiamato franca-mente un grand'eroe. La sua politica, il valor militarel'attività, l'accortezza, la severità negli ordini della giu-stizia, unite alla lunghezza del regno, poteano bastare astabilire ed accrescere qualunque impero. Ma egli siseppe troppo male accomodare alle circostanze de' tem-pi, o, per dir meglio, le circostanze del secolo in cui vis-se, non gli lasciarono acquistare dalle reali sue virtùquella gloria che potea sperare. Così egli (2). Noi di que-

2 Merita di esser qui riportato il carattere che dell'imp. Federigo II fa nellasua cronaca inedita f. Salimbene. "De fide Dei, dic'egli alle pagine 354,355; nihil habebat. Callidus homo fuit, versutus, avarus; luxuriosus,malitiosus, iracundus. Et valens homo fuit interdum, quando voluitbonitates et curialitates suas ostendere. Solatiosus, jucundus, industriosus,legere, scribere, et cantare sciebat, et cantilenas et cantiones invenire.Pulcher homo et bene fortis, sed mediae staturae fuit. Vidi enim cum etaliquando dilexi. Nam pro me scripsit f. Helie generali ministro OrdinisFratrum Minorum, ut amore Dei me redderet patri meo. Item multislinguis et variis loqui sciebat. Et ut breviter me expediam, si bene fuissetCatholicus, et dilexisset Deum et Ecclesiam et animam suam, paucoshabuisset in imperio pares in mundo". Son note le favole, che intorno allanascita di Federigo II si sparsero per l'Italia, e che furono da troppo creduliscrittori facilmente adottate. Fra Salimbene volle anche egli lasciarci la sua

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qualche idea del carattere di Federigo II io riporterò quiciò che saggiamente ne dice un chiarissimo scrittor mo-derno, dico il sig. Denina che così ne ragiona (Rivol.d'Ital. t. 2. p. 119): Fra gl'imperadori pagani sarebbe sta-to Federigo II sicuramente de' più lodevoli, perciocchèl'ambizione e la licenza sua in fatto di femmine, e ilpoco pensier che si prese della religione, non gli sareb-bero state imputate a gran difetto; ed io non mi maravi-glio che certi scrittori molto indifferenti in ciò che ri-guarda la Fede cristiana, lo abbiano chiamato franca-mente un grand'eroe. La sua politica, il valor militarel'attività, l'accortezza, la severità negli ordini della giu-stizia, unite alla lunghezza del regno, poteano bastare astabilire ed accrescere qualunque impero. Ma egli siseppe troppo male accomodare alle circostanze de' tem-pi, o, per dir meglio, le circostanze del secolo in cui vis-se, non gli lasciarono acquistare dalle reali sue virtùquella gloria che potea sperare. Così egli (2). Noi di que-

2 Merita di esser qui riportato il carattere che dell'imp. Federigo II fa nellasua cronaca inedita f. Salimbene. "De fide Dei, dic'egli alle pagine 354,355; nihil habebat. Callidus homo fuit, versutus, avarus; luxuriosus,malitiosus, iracundus. Et valens homo fuit interdum, quando voluitbonitates et curialitates suas ostendere. Solatiosus, jucundus, industriosus,legere, scribere, et cantare sciebat, et cantilenas et cantiones invenire.Pulcher homo et bene fortis, sed mediae staturae fuit. Vidi enim cum etaliquando dilexi. Nam pro me scripsit f. Helie generali ministro OrdinisFratrum Minorum, ut amore Dei me redderet patri meo. Item multislinguis et variis loqui sciebat. Et ut breviter me expediam, si bene fuissetCatholicus, et dilexisset Deum et Ecclesiam et animam suam, paucoshabuisset in imperio pares in mundo". Son note le favole, che intorno allanascita di Federigo II si sparsero per l'Italia, e che furono da troppo creduliscrittori facilmente adottate. Fra Salimbene volle anche egli lasciarci la sua

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sto imperadore dovrem favellare di nuovo nei capi se-guenti, e allora ne ragionerem con piacere, perciocchè inciò che appartiene al coltivare e al promuovere i buonistudj, egli fu uno de' più gran principi che vivessero inquesti secoli.

VII. Federigo lasciò di vivere nella Pu-glia l'an. 1250, dopo aver avuto il ramma-rico di non poter mai soggettare le cittàlombarde, e di veder l'anno innanzi fattoprigione dai Bolognesi Enzo suo figliuolnaturale da lui dichiarato re di Sardegna.La morte dell'imperadore, e l'interregno di

più anni, che le venne dietro, rendette l'Italia sempre piùindipendente da' monarchi d'Allemagna; e al medesimotempo cominciarono a formarsi le molte e varie signorieche poscia maggiormente si stesero, e si confermarononegli anni seguenti. I marchesi d'Este, la cui famiglia giàda più secoli era illustre e possente in Italia, i marchesidi Monferrato, i conti di Savoja, Oberto Pelavicino,Buoso di Doara, Ezzelino da Romano sì celebre per lasnaturata sua crudeltà, que' della Torre, que' della Scala,e i Caminesi, dei quali Gherardo e poi Ricciardo furonocapitani generali e vicarj cesarei di Trevigi, di Feltre, e

storiella, ch'ei però ci da solamente come tradizion popolare: "Est autemEsium civitas, in qua Fridericus imperator natus fuit, et divulgatum fuit deeo, quod esset filius cujusdam beccarii de civitate, pro eo quod dominaConstantia imperatrix multorum erat dierum et multum carnosa, quandodesponsavit eam imperator Henricus". Così egli a pag. 235.

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Principio de' diversi dominj di Italia: vi-cende della Si-cilia dopo la morte di Fede-rigo.

sto imperadore dovrem favellare di nuovo nei capi se-guenti, e allora ne ragionerem con piacere, perciocchè inciò che appartiene al coltivare e al promuovere i buonistudj, egli fu uno de' più gran principi che vivessero inquesti secoli.

VII. Federigo lasciò di vivere nella Pu-glia l'an. 1250, dopo aver avuto il ramma-rico di non poter mai soggettare le cittàlombarde, e di veder l'anno innanzi fattoprigione dai Bolognesi Enzo suo figliuolnaturale da lui dichiarato re di Sardegna.La morte dell'imperadore, e l'interregno di

più anni, che le venne dietro, rendette l'Italia sempre piùindipendente da' monarchi d'Allemagna; e al medesimotempo cominciarono a formarsi le molte e varie signorieche poscia maggiormente si stesero, e si confermarononegli anni seguenti. I marchesi d'Este, la cui famiglia giàda più secoli era illustre e possente in Italia, i marchesidi Monferrato, i conti di Savoja, Oberto Pelavicino,Buoso di Doara, Ezzelino da Romano sì celebre per lasnaturata sua crudeltà, que' della Torre, que' della Scala,e i Caminesi, dei quali Gherardo e poi Ricciardo furonocapitani generali e vicarj cesarei di Trevigi, di Feltre, e

storiella, ch'ei però ci da solamente come tradizion popolare: "Est autemEsium civitas, in qua Fridericus imperator natus fuit, et divulgatum fuit deeo, quod esset filius cujusdam beccarii de civitate, pro eo quod dominaConstantia imperatrix multorum erat dierum et multum carnosa, quandodesponsavit eam imperator Henricus". Così egli a pag. 235.

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Principio de' diversi dominj di Italia: vi-cende della Si-cilia dopo la morte di Fede-rigo.

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di Belluno, erano quelli che in questi tempi avean mag-gior nome, e a cui molte città erano soggette. Ma le con-tinue guerre ch'erano costretti a sostenere, non rendeva-no il lor dominio abbastanza sicuro. Le fazioni e i partitisi andavano per tal maniera fortificando vie maggior-mente, gli animi sempre più s'innasprivano, e i dannidell'Italia si facevano ogni giorno maggiori. FrattantoCorrado figliuolo di Federigo II, e da lui fatto già eleg-gere re di Germania, passò in Italia, l'an. 1251 per difen-dere il regno di Sicilia, in cui molte città eransi contro dilui sollevate. Manfredi figliuol naturale di Federigo, eprincipe adorno di pregi non ordinarj, come altrove ve-dremo, governava quelle provincie in nome del suo fra-tello Corrado, e seppe destramente impedire che la sol-levazione non si stendesse tropp'oltre. Corrado giuntoviridusse alla sua ubbidienza quasi tutto quel regno, mainsieme ingelosito del potere e della grazia di cui godeaManfredi, privollo quasi interamente di ogni autorità,senza che però Manfredi ne mostrasse risentimento disorte alcuna. Corrado morì nel fiore di sua età l'an.1254, lasciando erede di quel regno il suo figliuol Cor-radino fanciullo di due soli anni; e l'anno stesso morì ilpontef. Innocenzo IV che invano avea finallora usatoogni sforzo per toglier quelle provincie a Corrado. Man-fredi ad istanza de' grandi assunse la reggenza del regnoe la tutela di Corradino, e in pochi anni tutte si soggettòle città e le provincie del regno di qua e di là dal Faro;l'an. 1258 sparsa o per artifizio, o per errore la falsavoce che Corradino trasportato in Germania era morto,

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di Belluno, erano quelli che in questi tempi avean mag-gior nome, e a cui molte città erano soggette. Ma le con-tinue guerre ch'erano costretti a sostenere, non rendeva-no il lor dominio abbastanza sicuro. Le fazioni e i partitisi andavano per tal maniera fortificando vie maggior-mente, gli animi sempre più s'innasprivano, e i dannidell'Italia si facevano ogni giorno maggiori. FrattantoCorrado figliuolo di Federigo II, e da lui fatto già eleg-gere re di Germania, passò in Italia, l'an. 1251 per difen-dere il regno di Sicilia, in cui molte città eransi contro dilui sollevate. Manfredi figliuol naturale di Federigo, eprincipe adorno di pregi non ordinarj, come altrove ve-dremo, governava quelle provincie in nome del suo fra-tello Corrado, e seppe destramente impedire che la sol-levazione non si stendesse tropp'oltre. Corrado giuntoviridusse alla sua ubbidienza quasi tutto quel regno, mainsieme ingelosito del potere e della grazia di cui godeaManfredi, privollo quasi interamente di ogni autorità,senza che però Manfredi ne mostrasse risentimento disorte alcuna. Corrado morì nel fiore di sua età l'an.1254, lasciando erede di quel regno il suo figliuol Cor-radino fanciullo di due soli anni; e l'anno stesso morì ilpontef. Innocenzo IV che invano avea finallora usatoogni sforzo per toglier quelle provincie a Corrado. Man-fredi ad istanza de' grandi assunse la reggenza del regnoe la tutela di Corradino, e in pochi anni tutte si soggettòle città e le provincie del regno di qua e di là dal Faro;l'an. 1258 sparsa o per artifizio, o per errore la falsavoce che Corradino trasportato in Germania era morto,

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fecesi solennemente incoronare re di Sicilia, e pochianni dopo diede sua figliuola Costanza per moglie a Pie-tro figliuol di Jacopo re d'Aragona.

VIII. I romani pontefici Alessandro IV eUrbano IV non aveano mai voluto ricono-scer Manfredi re di Sicilia; e perchè le lorforze non eran bastevoli a privarlo del re-gno, Urbano ne fe' la profferta a Carlod'Angiò fratello di s. Luigi IX, re di Francia,

a cui verso il medesimo tempo il popol romano conferìla dignità onorevole di suo senatore. Egli venne perciòin Italia l'an. 1265, e nel seguente fu solennemente coro-nato in Roma re di Sicilia da Clemente IV ch'era l'annoinnanzi succeduto ad Urbano; e quindi mosso l'esercitocontro Manfredi, e venuto con lui a battaglia, questo in-felice re, abbandonato da' suoi, e gittatosi disperatamen-te nella mischia vi fu ucciso. Carlo rimase presto signo-re di tutto il regno, ed ebbe ancor nelle mani Sibilla mo-glie e Manfredino figliuol di Manfredi. Quindi ei prese acombattere singolarmente in Toscana il partito de' Gi-bellini, risoluto di sterminarlo. Le crudeltà e le violenzeusate dalle truppe di Carlo, il renderono odioso agl'Ita-liani, e molti perciò de' principali tra essi, chiamato dal-la Germania il giovane Corradino, l'opposero a Carlo.Ma il misero principe venuto con lui a battaglia, mentrevinto se ne fuggiva, arrestato e condotto prigione, fu perordin di Carlo pubblicamente decapitato in Napoli l'an.

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Carlo di Angiò oc-cupa quel regno. Ro-dolfo elettoimperatore.

fecesi solennemente incoronare re di Sicilia, e pochianni dopo diede sua figliuola Costanza per moglie a Pie-tro figliuol di Jacopo re d'Aragona.

VIII. I romani pontefici Alessandro IV eUrbano IV non aveano mai voluto ricono-scer Manfredi re di Sicilia; e perchè le lorforze non eran bastevoli a privarlo del re-gno, Urbano ne fe' la profferta a Carlod'Angiò fratello di s. Luigi IX, re di Francia,

a cui verso il medesimo tempo il popol romano conferìla dignità onorevole di suo senatore. Egli venne perciòin Italia l'an. 1265, e nel seguente fu solennemente coro-nato in Roma re di Sicilia da Clemente IV ch'era l'annoinnanzi succeduto ad Urbano; e quindi mosso l'esercitocontro Manfredi, e venuto con lui a battaglia, questo in-felice re, abbandonato da' suoi, e gittatosi disperatamen-te nella mischia vi fu ucciso. Carlo rimase presto signo-re di tutto il regno, ed ebbe ancor nelle mani Sibilla mo-glie e Manfredino figliuol di Manfredi. Quindi ei prese acombattere singolarmente in Toscana il partito de' Gi-bellini, risoluto di sterminarlo. Le crudeltà e le violenzeusate dalle truppe di Carlo, il renderono odioso agl'Ita-liani, e molti perciò de' principali tra essi, chiamato dal-la Germania il giovane Corradino, l'opposero a Carlo.Ma il misero principe venuto con lui a battaglia, mentrevinto se ne fuggiva, arrestato e condotto prigione, fu perordin di Carlo pubblicamente decapitato in Napoli l'an.

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Carlo di Angiò oc-cupa quel regno. Ro-dolfo elettoimperatore.

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1268 insieme con Federigo duca d'Austria, e molti altride più ragguardevoli suoi seguaci. Niuna cosa allora sitenne più contro il potere di Carlo che creato ancor per10 anni signore della repubblica fiorentina, e soggettatecoll'armi più altre provincie, poteasi quasi dire sovranodi tutta l'Italia. Eran frattanto corsi più anni, dacchè laGermania e l'impero non avean capo; e se taluno aveaneportato per qualche tempo il nome, non avea saputo so-stenerne l'autorità. Perciò per opera singolarmente diGregorio X i principi di Germania elessero l'an. 1273 inre de' Romani Rodolfo conte di Habspurch, da cui di-scende l'augustissima casa di Austria. L'autorità e il po-tere di Carlo fu per tal elezione sminuito alquanto in Ita-lia; ma una assai più fiera burrasca si andava contro dilui formando, che dopo alcuni anni venne a scoppiare.

IX. I Siciliani gemevano da molti anni sottoil troppo aspro governo de' nuovi loro si-gnori. Stanchi omai di soffrirlo e ricordevolidel diritto che avea a quel regno Pietro red'Aragona per la regina Costanza sua mo-

glie, e figlia del re Manfredi, pensarono d'implorarnel'ajuto. Giovanni di Procida fu l'orditor della gran tela.L'an. 1282 all'ora dei Vespri della seconda, o come altriscrivono, della terza Festa di Pasqua, tutta Palermo fu inarmi, e quanti vi eran Francesi furono trucidati. Messinane seguì presto l'esempio, e tutta l'isola si sollevò controCarlo. Questi accorse prontamente alla punizion de' ri-

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Vespri Sici-liani; serie dei re an-giovini e aragonesi.

1268 insieme con Federigo duca d'Austria, e molti altride più ragguardevoli suoi seguaci. Niuna cosa allora sitenne più contro il potere di Carlo che creato ancor per10 anni signore della repubblica fiorentina, e soggettatecoll'armi più altre provincie, poteasi quasi dire sovranodi tutta l'Italia. Eran frattanto corsi più anni, dacchè laGermania e l'impero non avean capo; e se taluno aveaneportato per qualche tempo il nome, non avea saputo so-stenerne l'autorità. Perciò per opera singolarmente diGregorio X i principi di Germania elessero l'an. 1273 inre de' Romani Rodolfo conte di Habspurch, da cui di-scende l'augustissima casa di Austria. L'autorità e il po-tere di Carlo fu per tal elezione sminuito alquanto in Ita-lia; ma una assai più fiera burrasca si andava contro dilui formando, che dopo alcuni anni venne a scoppiare.

IX. I Siciliani gemevano da molti anni sottoil troppo aspro governo de' nuovi loro si-gnori. Stanchi omai di soffrirlo e ricordevolidel diritto che avea a quel regno Pietro red'Aragona per la regina Costanza sua mo-

glie, e figlia del re Manfredi, pensarono d'implorarnel'ajuto. Giovanni di Procida fu l'orditor della gran tela.L'an. 1282 all'ora dei Vespri della seconda, o come altriscrivono, della terza Festa di Pasqua, tutta Palermo fu inarmi, e quanti vi eran Francesi furono trucidati. Messinane seguì presto l'esempio, e tutta l'isola si sollevò controCarlo. Questi accorse prontamente alla punizion de' ri-

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Vespri Sici-liani; serie dei re an-giovini e aragonesi.

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belli; ma mentre ei cominciava a domarli, ecco soprag-giungere con poderoso esercito il re d'Aragona. Carlonon potè sostenerne le forze; ed ebbe il dolore di vedereil suo figliuol primogenito fatto prigion dai nemici, etutta la Sicilia, e parte ancora della Calabria da essi oc-cupata, e al medesimo tempo l'antica sua autorità in Ita-lia venuta quasi al nulla. Egli non sopravvisse gran tem-po a tali sventure, e morì l'an. 1285, lasciando erede delregno l'infelice suo figlio Carlo II ch'era prigione in Si-cilia, e che in quest'anno fu trasportato in Catalogna.Egli ciò non ostante fu riconosciuto per re in Puglia, e ilgoverno del regno fu confidato a Roberto conte di Ar-tois. L'anno seguente fu coronato re di Sicilia in Paler-mo Jacopo figliuol del re Pietro, cui questi avea nomina-to già da alcuni anni suo successore nel tornarsene ch'eifece al natio suo regno. L'an. 1288 il re Carlo riebbe fi-nalmente la libertà, e venne a Napoli, e tenne quel regnofino all'an. 1309 in cui finì di vivere. Jacopo re di Sici-lia, poscia ancor d'Aragona, erasi già condotto l'an. 1295a cedere a Carlo tutta quell'isola, e le altre provinciech'egli avea occupate. Ma i Siciliani che troppo temeva-no il ricadere sotto il dominio francese, sollecitaronoFederigo fratello del re Jacopo, perchè venisse a occu-pare quel regno. Egli prontamente vi si condusse, e co-ronato in Palermo, seppe sostenersi, benchè con sommadifficoltà contro tutti gli sforzi di Carlo, e dello stessosuo fratello il re d'Aragona, finchè l'an. 1302 fermossitra essi, la pace, a condizione che il re Federigo avessela sola Sicilia, e che questa ancora, lui morto, passasse

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belli; ma mentre ei cominciava a domarli, ecco soprag-giungere con poderoso esercito il re d'Aragona. Carlonon potè sostenerne le forze; ed ebbe il dolore di vedereil suo figliuol primogenito fatto prigion dai nemici, etutta la Sicilia, e parte ancora della Calabria da essi oc-cupata, e al medesimo tempo l'antica sua autorità in Ita-lia venuta quasi al nulla. Egli non sopravvisse gran tem-po a tali sventure, e morì l'an. 1285, lasciando erede delregno l'infelice suo figlio Carlo II ch'era prigione in Si-cilia, e che in quest'anno fu trasportato in Catalogna.Egli ciò non ostante fu riconosciuto per re in Puglia, e ilgoverno del regno fu confidato a Roberto conte di Ar-tois. L'anno seguente fu coronato re di Sicilia in Paler-mo Jacopo figliuol del re Pietro, cui questi avea nomina-to già da alcuni anni suo successore nel tornarsene ch'eifece al natio suo regno. L'an. 1288 il re Carlo riebbe fi-nalmente la libertà, e venne a Napoli, e tenne quel regnofino all'an. 1309 in cui finì di vivere. Jacopo re di Sici-lia, poscia ancor d'Aragona, erasi già condotto l'an. 1295a cedere a Carlo tutta quell'isola, e le altre provinciech'egli avea occupate. Ma i Siciliani che troppo temeva-no il ricadere sotto il dominio francese, sollecitaronoFederigo fratello del re Jacopo, perchè venisse a occu-pare quel regno. Egli prontamente vi si condusse, e co-ronato in Palermo, seppe sostenersi, benchè con sommadifficoltà contro tutti gli sforzi di Carlo, e dello stessosuo fratello il re d'Aragona, finchè l'an. 1302 fermossitra essi, la pace, a condizione che il re Federigo avessela sola Sicilia, e che questa ancora, lui morto, passasse

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al re Carlo, o a' suoi discendenti.

X. Io ho voluto stendermi alquanto sulle vi-cende di questo regno, perchè esso fu il soloche in questo secolo avesse durevole consi-stenza. In tutto il rimanente d'Italia non viebbe che cambiamenti e rivoluzioni conti-nue, singolarmente verso la fine del secolo,

nel qual tempo tre sopra tutti si videro salire ad alto sta-to nella Lombardia, ed avervi ampio dominio. Gugliel-mo VII, marchese di Monferrato, ch'ebbe l'onore di ave-re in moglie una figlia di Alfonso re di Castiglia, e didare una sua figlia in moglie all'imperador greco Andro-nico Paleologo, fu per alcuni anni capitano e signore diPavia, di Novara, di Asti, di Torino, di Alba, d'Ivrea, diAlessandria, di Tortona, di Casale di Monferrato, e an-cor di Milano; ma ebbe una fine troppo disuguale a sìgrande potenza, perciocchè preso dagli Alessandrinil'an. 1290 e chiuso da essi in una gabbia, vi morì mise-ramente dopo due anni di prigionia, Ottone Visconti ar-civescovo, e poi anche signor di Milano, diede principioall'innalzamento della sua famiglia, e fe' dichiarar Mat-teo suo nipote vicario generale della Lombardia daAdolfo che l'an. 1292 era succeduto nella dignità di rede' Romani a Rodolfo; ed egli poscia dopo varie sinistrevicende stabilì e dilatò vie maggiormente il suo domi-nio, come vedremo altrove. Finalmente Obizzo d'Este, icui antenati aveano già da lungo tempo signoreggiata

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Potenza de' marchesi diMonferrato,dei Viscon-ti, e degli Estensi.

al re Carlo, o a' suoi discendenti.

X. Io ho voluto stendermi alquanto sulle vi-cende di questo regno, perchè esso fu il soloche in questo secolo avesse durevole consi-stenza. In tutto il rimanente d'Italia non viebbe che cambiamenti e rivoluzioni conti-nue, singolarmente verso la fine del secolo,

nel qual tempo tre sopra tutti si videro salire ad alto sta-to nella Lombardia, ed avervi ampio dominio. Gugliel-mo VII, marchese di Monferrato, ch'ebbe l'onore di ave-re in moglie una figlia di Alfonso re di Castiglia, e didare una sua figlia in moglie all'imperador greco Andro-nico Paleologo, fu per alcuni anni capitano e signore diPavia, di Novara, di Asti, di Torino, di Alba, d'Ivrea, diAlessandria, di Tortona, di Casale di Monferrato, e an-cor di Milano; ma ebbe una fine troppo disuguale a sìgrande potenza, perciocchè preso dagli Alessandrinil'an. 1290 e chiuso da essi in una gabbia, vi morì mise-ramente dopo due anni di prigionia, Ottone Visconti ar-civescovo, e poi anche signor di Milano, diede principioall'innalzamento della sua famiglia, e fe' dichiarar Mat-teo suo nipote vicario generale della Lombardia daAdolfo che l'an. 1292 era succeduto nella dignità di rede' Romani a Rodolfo; ed egli poscia dopo varie sinistrevicende stabilì e dilatò vie maggiormente il suo domi-nio, come vedremo altrove. Finalmente Obizzo d'Este, icui antenati aveano già da lungo tempo signoreggiata

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Potenza de' marchesi diMonferrato,dei Viscon-ti, e degli Estensi.

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Ferrara, l'an. 1288 fu chiamato a lor Signor da' Modene-si, e due anni appresso ancor da' Reggiani. Così si anda-van formando in Italia quei diversi Stati che poi nel se-colo susseguente con più fermezza si stabilirono. Lasciodi parlare delle altre città, e dei diversi signori ch'ebberoquasi tutte verso la fine di questo secolo, delle repubbli-che di Venezia, di Genova, di Firenze, di Pisa, e degliodj che tra lor si accesero, e delle guerre che tra le une ele altre città arsero continuamente, e delle diverse vicen-de a cui furon soggette. Ciò che ne abbiam dettopoc'anzi, basta a darne un'idea, quale al mio argomentoconviene; che non debbo parlare del civile stato d'Italia,se non quanto è necessario a meglio comprender lo statodell'italiana letteratura. Il dominio ecclesiastico final-mente fu anch'esso esposto a rivoluzioni e a cambia-menti non piccioli, di cui furon cagione e le dissensionitra 'l sacerdozio e l'impero, e la parte che i pontefici pre-sero nelle guerre de' re di Sicilia, e i frequenti tumultiche si sollevarono in Roma, e che diedero poscia occa-sione alla traslazion della sede in Avignone su' principjdel sec. XIV. Ma di molti de' pontefici di questa età do-vrem ragionare più in particolare nel capo seguente.

XI. Tal fu la condizion dell'Italia dagli ul-timi anni del sec. XII sino al compimentodel XIII; secolo pieno di tumulti e disconvolgimenti grandissimi, in cui non viebbe quasi città che non fosse soggetta a

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Prospetto ge-nerale della letteratura ita-liana in quest'epoca.

Ferrara, l'an. 1288 fu chiamato a lor Signor da' Modene-si, e due anni appresso ancor da' Reggiani. Così si anda-van formando in Italia quei diversi Stati che poi nel se-colo susseguente con più fermezza si stabilirono. Lasciodi parlare delle altre città, e dei diversi signori ch'ebberoquasi tutte verso la fine di questo secolo, delle repubbli-che di Venezia, di Genova, di Firenze, di Pisa, e degliodj che tra lor si accesero, e delle guerre che tra le une ele altre città arsero continuamente, e delle diverse vicen-de a cui furon soggette. Ciò che ne abbiam dettopoc'anzi, basta a darne un'idea, quale al mio argomentoconviene; che non debbo parlare del civile stato d'Italia,se non quanto è necessario a meglio comprender lo statodell'italiana letteratura. Il dominio ecclesiastico final-mente fu anch'esso esposto a rivoluzioni e a cambia-menti non piccioli, di cui furon cagione e le dissensionitra 'l sacerdozio e l'impero, e la parte che i pontefici pre-sero nelle guerre de' re di Sicilia, e i frequenti tumultiche si sollevarono in Roma, e che diedero poscia occa-sione alla traslazion della sede in Avignone su' principjdel sec. XIV. Ma di molti de' pontefici di questa età do-vrem ragionare più in particolare nel capo seguente.

XI. Tal fu la condizion dell'Italia dagli ul-timi anni del sec. XII sino al compimentodel XIII; secolo pieno di tumulti e disconvolgimenti grandissimi, in cui non viebbe quasi città che non fosse soggetta a

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Prospetto ge-nerale della letteratura ita-liana in quest'epoca.

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gravi sventure, e che non vedesse entro le sue propriemura spettacoli degni di orrore e di compassione. Inmezzo a un sì universale scompiglio, chi non crederebbeche le scienze e le arti non si giacessero interamente di-menticate? E nondimeno la loro sorte non fu così infeli-ce, come sembrava doversi aspettare. Tra' sovranich'ebbero signoria ed imperio in Italia, molti ve n'ebbeche avean in pregio le lettere; molti ancora che l'aveanocoltivate, e che fra le ardue cure de' pubblici affari nonsi sdegnavano di volgere ad esse qualche pensiero, e difomentarle col loro favore e colla loro munificenza. Sivider anche in tempi sì procellosi aprirsi nuove pubbli-che scuole, accogliersi benignamente da' principi i poetied altri uomini dotti, ricompensarsi le erudite loro fati-che, promuoversi con saggi provvedimenti i buoni studj,onorarsi in somma e fomentarsi generosamente le scien-ze. Questi erano efficacissimi mezzi per ricondurreall'antico suo splendore l'italiana letteratura; e qualchelieto effetto pur se ne vide. Ma la rea condizione de'tempi scemò di molto i vantaggi che potean da essi spe-rarsi. Molti si volsero con fervore a coltivare gli studj;ma scarso era ancora comunemente il numero dei buonilibri; e più scarsi erano ancora que' lumi che sarebberostati richiesti a discernere il vero dal falso. Lo stile per-ciò e la critica di questi tempi sembrano per lo più risen-tirsi non poco della barbarie e della rozzezza de' costumiche allor regnavano. E come poteva avvenire altrimenti?Come poteasi fra tanti tumulti trovar quell'agio e quellatranquillità, senza cui le lettere non fecero, nè faranno

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gravi sventure, e che non vedesse entro le sue propriemura spettacoli degni di orrore e di compassione. Inmezzo a un sì universale scompiglio, chi non crederebbeche le scienze e le arti non si giacessero interamente di-menticate? E nondimeno la loro sorte non fu così infeli-ce, come sembrava doversi aspettare. Tra' sovranich'ebbero signoria ed imperio in Italia, molti ve n'ebbeche avean in pregio le lettere; molti ancora che l'aveanocoltivate, e che fra le ardue cure de' pubblici affari nonsi sdegnavano di volgere ad esse qualche pensiero, e difomentarle col loro favore e colla loro munificenza. Sivider anche in tempi sì procellosi aprirsi nuove pubbli-che scuole, accogliersi benignamente da' principi i poetied altri uomini dotti, ricompensarsi le erudite loro fati-che, promuoversi con saggi provvedimenti i buoni studj,onorarsi in somma e fomentarsi generosamente le scien-ze. Questi erano efficacissimi mezzi per ricondurreall'antico suo splendore l'italiana letteratura; e qualchelieto effetto pur se ne vide. Ma la rea condizione de'tempi scemò di molto i vantaggi che potean da essi spe-rarsi. Molti si volsero con fervore a coltivare gli studj;ma scarso era ancora comunemente il numero dei buonilibri; e più scarsi erano ancora que' lumi che sarebberostati richiesti a discernere il vero dal falso. Lo stile per-ciò e la critica di questi tempi sembrano per lo più risen-tirsi non poco della barbarie e della rozzezza de' costumiche allor regnavano. E come poteva avvenire altrimenti?Come poteasi fra tanti tumulti trovar quell'agio e quellatranquillità, senza cui le lettere non fecero, nè faranno

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giammai felici progressi? Se i profondi geometri de' no-stri giorni si vedessero continuamente esposti al perico-lo o di civili sanguinosi tumulti, o d'improvvisi assaltinimici, per cui la stessa lor vita non fosse abbastanza si-cura, e mentre si stanno tranquillamente immersi in unaingegnosa dimostrazione, si udissero di repente allespalle rumor d'armi e d'armati, crediam noi forse che adimitazion d'Archimede si starebbero immobili o che nonanzi gitterebbono con dispetto e compassi e figure? Ortal era l'infelice condizion di coloro che in questi tempivolean pure coltivare gli studj. Il breve compendio distoria, che abbiam premesso, basta a mostrarcelo aperta-mente, senza ch'io mi trattenga a recarne altre prove.Che se ciò non ostante l'Italia non solo non fu inferioread alcuna delle straniere nazioni; che furono assai più diessa tranquille, ma forse ancora le superò di gran lungaquasi in ogni genere di letteratura, non deesi ella riputarcosa a lei sommamente gloriosa, che fra tanti ostacoli siavanzasse pur tanto? Ma noi ci arroghiamo un onore chealtri vorrà forse contenderci, e ci conviene perciò scon-volgere in ciascuna sua parte lo stato dell'italiana lettera-tura in quest'epoca.

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giammai felici progressi? Se i profondi geometri de' no-stri giorni si vedessero continuamente esposti al perico-lo o di civili sanguinosi tumulti, o d'improvvisi assaltinimici, per cui la stessa lor vita non fosse abbastanza si-cura, e mentre si stanno tranquillamente immersi in unaingegnosa dimostrazione, si udissero di repente allespalle rumor d'armi e d'armati, crediam noi forse che adimitazion d'Archimede si starebbero immobili o che nonanzi gitterebbono con dispetto e compassi e figure? Ortal era l'infelice condizion di coloro che in questi tempivolean pure coltivare gli studj. Il breve compendio distoria, che abbiam premesso, basta a mostrarcelo aperta-mente, senza ch'io mi trattenga a recarne altre prove.Che se ciò non ostante l'Italia non solo non fu inferioread alcuna delle straniere nazioni; che furono assai più diessa tranquille, ma forse ancora le superò di gran lungaquasi in ogni genere di letteratura, non deesi ella riputarcosa a lei sommamente gloriosa, che fra tanti ostacoli siavanzasse pur tanto? Ma noi ci arroghiamo un onore chealtri vorrà forse contenderci, e ci conviene perciò scon-volgere in ciascuna sua parte lo stato dell'italiana lettera-tura in quest'epoca.

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CAPO II.Favore e munificenza de' principi nel fomentare gli stu-

dj.

I. Era di questi tempi l'Italia, come sopra siè dimostrato, divisa in varie provincie, altredelle quali reggevansi con governo repub-blicano, altre aveano principi che o per anti-co diritto, o per libera elezione de' popoli

n'erano signori. Gl'imperadori, benchè per la pace diCostanza avessero in gran parte ceduto a' lor diritti so-pra essa, serbavano nondimeno l'alto dominio, e voleanmostrare di esserne ancora arbitri e sovrani. I re di Sici-lia aveano il loro regno composto di molte ed ampieprovincie di qua e di là dal Faro. Aveano il loro stato iromani pontefici, di cui per le donazioni de' cesari eransignori. Molte finalmente delle altre città che diceansilibere, si soggettavano spontaneamente al comando dialcuno de' più potenti e autorevoli cittadini, e già aveancominciato a formarsi que' diversi dominj che si rende-ron poscia così ragguardevoli e forti. Molti eran dunquecoloro che poteano col lor favore proteggere e fomenta-re le scienze, e molti di fatto furon tra essi, a cui moltodovette la letteratura italiana di questi tempi. Veggiamociò che di essi ci han tramandato le antiche Storie, e se-guiam l'ordine stesso che abbiamo or or divisato.

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Divisionedell'Italia indiversi do-minj.

CAPO II.Favore e munificenza de' principi nel fomentare gli stu-

dj.

I. Era di questi tempi l'Italia, come sopra siè dimostrato, divisa in varie provincie, altredelle quali reggevansi con governo repub-blicano, altre aveano principi che o per anti-co diritto, o per libera elezione de' popoli

n'erano signori. Gl'imperadori, benchè per la pace diCostanza avessero in gran parte ceduto a' lor diritti so-pra essa, serbavano nondimeno l'alto dominio, e voleanmostrare di esserne ancora arbitri e sovrani. I re di Sici-lia aveano il loro regno composto di molte ed ampieprovincie di qua e di là dal Faro. Aveano il loro stato iromani pontefici, di cui per le donazioni de' cesari eransignori. Molte finalmente delle altre città che diceansilibere, si soggettavano spontaneamente al comando dialcuno de' più potenti e autorevoli cittadini, e già aveancominciato a formarsi que' diversi dominj che si rende-ron poscia così ragguardevoli e forti. Molti eran dunquecoloro che poteano col lor favore proteggere e fomenta-re le scienze, e molti di fatto furon tra essi, a cui moltodovette la letteratura italiana di questi tempi. Veggiamociò che di essi ci han tramandato le antiche Storie, e se-guiam l'ordine stesso che abbiamo or or divisato.

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Divisionedell'Italia indiversi do-minj.

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II. Federigo I appena appartiene aquest'epoca; e di lui già abbiam detto abba-stanza nel tomo precedente. Arrigo che glisuccedette, non lasciò all'Italia troppo gradi-ta memoria di se medesimo; e le diede bensì

più pruove della sua ferocia e della sua crudeltà, ma difavore e di protezione per le lettere non diede saggio disorta alcuna. Noi il vedremo altrove cavalcare di mezzoa due celebri giureconsulti, e ad un di essi donare queldestriero medesimo cui egli montava. Ma questo onorerenduto alla giurisprudenza non ebbe origine che dal suointeresse, e dal piacere di udirsi da colui adulato. OttoneIV ancora non fece cosa per cui debba aver luogo ne' fa-sti dell'italiana letteratura. Ma Federigo II, se fu all'Italiafunesto per le guerre con cui di continuo la travagliò,molto ancora giovolle pel singolar favore di cui onorò lelettere, e ne promosse lo studio. Se il luogo della nascitasi può avere in conto di patria, possiam con ragione af-fermare che Federigo II fu italiano. Egli nacque l'an.1194 in Jesi, ove allor trovavasi la reina Costanza suamadre. Così espressamente afferma Riccardo da S. Ger-mano scrittore contemporaneo. Tunc imperatrix Exii Ci-vitate Marchiae filium peperit nomine Frideric. me. De.in festo S. Stephani (Chron. ad an. 1194. Script. rer. ital.vol. 7, p. 976). E l'Anonimo casinese, benchè non nomi-ni Jesi, dice nondimeno egli pure che nacque nella Mar-ca di Ancona (Chron. ad an. 1195, ib. vol. 5, p. 73). Lequali testimonianze a me sembra che debbano avere as-sai più forza, che non quelle di altri assai più recenti au-

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Federigo II si può non senza ra-gione dire italiano.

II. Federigo I appena appartiene aquest'epoca; e di lui già abbiam detto abba-stanza nel tomo precedente. Arrigo che glisuccedette, non lasciò all'Italia troppo gradi-ta memoria di se medesimo; e le diede bensì

più pruove della sua ferocia e della sua crudeltà, ma difavore e di protezione per le lettere non diede saggio disorta alcuna. Noi il vedremo altrove cavalcare di mezzoa due celebri giureconsulti, e ad un di essi donare queldestriero medesimo cui egli montava. Ma questo onorerenduto alla giurisprudenza non ebbe origine che dal suointeresse, e dal piacere di udirsi da colui adulato. OttoneIV ancora non fece cosa per cui debba aver luogo ne' fa-sti dell'italiana letteratura. Ma Federigo II, se fu all'Italiafunesto per le guerre con cui di continuo la travagliò,molto ancora giovolle pel singolar favore di cui onorò lelettere, e ne promosse lo studio. Se il luogo della nascitasi può avere in conto di patria, possiam con ragione af-fermare che Federigo II fu italiano. Egli nacque l'an.1194 in Jesi, ove allor trovavasi la reina Costanza suamadre. Così espressamente afferma Riccardo da S. Ger-mano scrittore contemporaneo. Tunc imperatrix Exii Ci-vitate Marchiae filium peperit nomine Frideric. me. De.in festo S. Stephani (Chron. ad an. 1194. Script. rer. ital.vol. 7, p. 976). E l'Anonimo casinese, benchè non nomi-ni Jesi, dice nondimeno egli pure che nacque nella Mar-ca di Ancona (Chron. ad an. 1195, ib. vol. 5, p. 73). Lequali testimonianze a me sembra che debbano avere as-sai più forza, che non quelle di altri assai più recenti au-

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Federigo II si può non senza ra-gione dire italiano.

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tori, allegate da alcuni scrittori siciliani, e singolarmentedal Mongitore (Bibl. sic. t. 1, art. Freder. II.), a provarch'ei nacque in Palermo. Egli fu ben colà trasportatol'an. 1198, ed ivi trattennesi fino all'an. 1212 in cui pas-sò in Germania, e quindi può la Sicilia arrogarsi a giustaragione il vanto di avergli data quella sì colta educazio-ne che lo rendette coltivatore insieme e fomentatore de'buoni studj.

III. E veramente tutti gli antichi storici ciparlano di Federigo, come di uno de' princi-pi più amanti della letteratura, che mai se-desser sul trono. Ricordano Malespini, chepur non gli si mostra troppo favorevole nel-

le sue Storie, dice ch'egli "fu uomo ardito e franco, e digrande valore e scienza, e di senno naturale fu savissi-mo, e seppe lingua latina, e il nostro parlare, e 'l tedesco,francese, greco, saracinesco, e fu copioso, largo e corte-se" (Stor. fiorent. c. 112, vol. 8 Script. rer. ital. p. 953). Esimilmente nella Cronaca di Francesco Pipino di lui sidice, ch'era principe satis literatus, linguarum doctus,omnium artium mechanicarum, quibus animum dederat,artifex peritus (Chron. c. 11, vol. 9. Script. rer. ital. p.661). Giovanni Villani, ancora, che deesi contarsi tra gliscrittori nulla parziali di Federigo, ripete nondimenoquasi le stesse parole che sopra abbiam riferite di Ricor-dano, dicendo che fu "savio di scrittura, e di senno natu-rale, universale in tutte le cose; seppe la lingua latina et

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Quanto ei fosse versa-to in ogni genere di letteratura.

tori, allegate da alcuni scrittori siciliani, e singolarmentedal Mongitore (Bibl. sic. t. 1, art. Freder. II.), a provarch'ei nacque in Palermo. Egli fu ben colà trasportatol'an. 1198, ed ivi trattennesi fino all'an. 1212 in cui pas-sò in Germania, e quindi può la Sicilia arrogarsi a giustaragione il vanto di avergli data quella sì colta educazio-ne che lo rendette coltivatore insieme e fomentatore de'buoni studj.

III. E veramente tutti gli antichi storici ciparlano di Federigo, come di uno de' princi-pi più amanti della letteratura, che mai se-desser sul trono. Ricordano Malespini, chepur non gli si mostra troppo favorevole nel-

le sue Storie, dice ch'egli "fu uomo ardito e franco, e digrande valore e scienza, e di senno naturale fu savissi-mo, e seppe lingua latina, e il nostro parlare, e 'l tedesco,francese, greco, saracinesco, e fu copioso, largo e corte-se" (Stor. fiorent. c. 112, vol. 8 Script. rer. ital. p. 953). Esimilmente nella Cronaca di Francesco Pipino di lui sidice, ch'era principe satis literatus, linguarum doctus,omnium artium mechanicarum, quibus animum dederat,artifex peritus (Chron. c. 11, vol. 9. Script. rer. ital. p.661). Giovanni Villani, ancora, che deesi contarsi tra gliscrittori nulla parziali di Federigo, ripete nondimenoquasi le stesse parole che sopra abbiam riferite di Ricor-dano, dicendo che fu "savio di scrittura, e di senno natu-rale, universale in tutte le cose; seppe la lingua latina et

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Quanto ei fosse versa-to in ogni genere di letteratura.

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la nostra vulgare, et tedesco, francesco, greco, et saraci-nesco (l. 6, c. 1). Queste testimonianze di autori che nonposson dirsi panegiristi di Federigo, ci rendon più facilea credere il grande elogio che ne fa un encomiatore diquesto monarca, cioè Niccolò di Jamsilla, scrittore egliancora contemporaneo. Egli ci narra di Federigo che fuassai studioso della filosofia, e che ne stese lo studio pertutto il regno; che quando egli prese a regnare in Sicilia,appena vi avea in quelle provincie alcun letterato; mach'egli vi aprì pubbliche scuole delle scienze e delle artitutte; che da ogni parte del mondo vi trasse celebri pro-fessori, assegnando del suo proprio erario e stipendio adessi, e mantenimento a' poveri giovani, perchè agiata-mente potessero coltivare gli studj; ch'egli stesso per ul-timo, poichè più che di ogni altra cosa piacevasi dellastoria naturale, scrisse un libro della Natura e del gover-no degli Uccelli, in cui diè a vedere quanto fosse in talescienza versato (Script. rer. ital. vol. 8, p. 495, ec.). Equesto libro di Federigo conservasi ancora stampato inColonia l'an. 1596, con alcune giunte fattevi dal re Man-fredi di lui figliuolo. Noi parleremo altrove della poesiaitaliana, in cui ancora esercitossi, questo monarca, e dicui si crede da alcuni ch'ei fosse il più antico scrittore.Così non avesse egli a questi giovevoli studj congiuntoancora quello della astrologia giudicaria, di cui fu ciecoseguace e credulo ammiratore. Ma questo fu comun di-fetto de’ più grandi uomini e de’ più potenti signori diquesta età.

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la nostra vulgare, et tedesco, francesco, greco, et saraci-nesco (l. 6, c. 1). Queste testimonianze di autori che nonposson dirsi panegiristi di Federigo, ci rendon più facilea credere il grande elogio che ne fa un encomiatore diquesto monarca, cioè Niccolò di Jamsilla, scrittore egliancora contemporaneo. Egli ci narra di Federigo che fuassai studioso della filosofia, e che ne stese lo studio pertutto il regno; che quando egli prese a regnare in Sicilia,appena vi avea in quelle provincie alcun letterato; mach'egli vi aprì pubbliche scuole delle scienze e delle artitutte; che da ogni parte del mondo vi trasse celebri pro-fessori, assegnando del suo proprio erario e stipendio adessi, e mantenimento a' poveri giovani, perchè agiata-mente potessero coltivare gli studj; ch'egli stesso per ul-timo, poichè più che di ogni altra cosa piacevasi dellastoria naturale, scrisse un libro della Natura e del gover-no degli Uccelli, in cui diè a vedere quanto fosse in talescienza versato (Script. rer. ital. vol. 8, p. 495, ec.). Equesto libro di Federigo conservasi ancora stampato inColonia l'an. 1596, con alcune giunte fattevi dal re Man-fredi di lui figliuolo. Noi parleremo altrove della poesiaitaliana, in cui ancora esercitossi, questo monarca, e dicui si crede da alcuni ch'ei fosse il più antico scrittore.Così non avesse egli a questi giovevoli studj congiuntoancora quello della astrologia giudicaria, di cui fu ciecoseguace e credulo ammiratore. Ma questo fu comun di-fetto de’ più grandi uomini e de’ più potenti signori diquesta età.

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IV. Un principe che in mezzo alle cure diffi-cili del governo, e tra le fiere procelle in cuifu di continuo avvolto, pur seppe sì felice-mente coltivare le scienze, non è maravigliache ne fosse insieme splendido protettore.

Io non debbo a questo luogo cercare ciò che debb'esserel'argomento di altri capi, e perciò non rammenterò io quinè le pubbliche scuole da lui fondate, nè i libri di Aristo-tile e di altri antichi filosofi da lui fatti recare in latino,nè altri utilissimi provvedimenti con cui egli adoperossia promuovere i buoni studi. Riferirò qui solo il senti-mento di Dante, il quale cercando per qual ragione a'suoi tempi ciò che scrivevasi in lingua italiana, si dices-se scritto in lingua siciliana, afferma ciò aver avuto ori-gine da' tempi di Federigo II e di Manfredi, amendue redi Sicilia, i quali, essendo principi liberali al sommo ecortesi, allettavano a venir presso loro tutti i più colti in-gegni di quell'età, per tal maniera che qualunque cosaessi dessero alla luce, pubblicavasi primieramente nellalor corte, e perchè essa era in Sicilia, siciliano diceasitutto ciò che ivi scriveasi in italiano; la qual maniera difavellare, conchiude Dante (De vulgari eloq. c. 12),usiam noi pure, nè i nostri posteri potran cambiarlagiammai. Nel che però ei non è stato troppo felice pro-feta. Era dunque a quei tempi la corte di Federigo quasiun luminoso teatro in cui i più belli spiriti italiani si ra-dunavano, e all'ombra della regal protezione esercita-vansi nei più ameni e nei più nobili studj. Qual frutto neavrebbe tratto l'Italia, se più pacifico e più lieto fosse

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Protezione da lui ac-cordata allescienze.

IV. Un principe che in mezzo alle cure diffi-cili del governo, e tra le fiere procelle in cuifu di continuo avvolto, pur seppe sì felice-mente coltivare le scienze, non è maravigliache ne fosse insieme splendido protettore.

Io non debbo a questo luogo cercare ciò che debb'esserel'argomento di altri capi, e perciò non rammenterò io quinè le pubbliche scuole da lui fondate, nè i libri di Aristo-tile e di altri antichi filosofi da lui fatti recare in latino,nè altri utilissimi provvedimenti con cui egli adoperossia promuovere i buoni studi. Riferirò qui solo il senti-mento di Dante, il quale cercando per qual ragione a'suoi tempi ciò che scrivevasi in lingua italiana, si dices-se scritto in lingua siciliana, afferma ciò aver avuto ori-gine da' tempi di Federigo II e di Manfredi, amendue redi Sicilia, i quali, essendo principi liberali al sommo ecortesi, allettavano a venir presso loro tutti i più colti in-gegni di quell'età, per tal maniera che qualunque cosaessi dessero alla luce, pubblicavasi primieramente nellalor corte, e perchè essa era in Sicilia, siciliano diceasitutto ciò che ivi scriveasi in italiano; la qual maniera difavellare, conchiude Dante (De vulgari eloq. c. 12),usiam noi pure, nè i nostri posteri potran cambiarlagiammai. Nel che però ei non è stato troppo felice pro-feta. Era dunque a quei tempi la corte di Federigo quasiun luminoso teatro in cui i più belli spiriti italiani si ra-dunavano, e all'ombra della regal protezione esercita-vansi nei più ameni e nei più nobili studj. Qual frutto neavrebbe tratto l'Italia, se più pacifico e più lieto fosse

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Protezione da lui ac-cordata allescienze.

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stato il regno di questo monarca!

V. Da lui non dee disgiungersi ilsuo fido cancelliere e ministro Pierdelle Vigne, da cui venne probabil-mente in gran parte il fervore e

l'impegno con cui egli avvivò e promosse le scienze. Fuquesti un de' più celebri uomini di quella età, che per lecariche illustri a cui dall'umil sua condizione fu solleva-to, per le gloriose ambasciate che per Federigo sostenne,pel suo sapere in poesia, in eloquenza, in leggi, e in altristudj, per la destrezza nel maneggio dei più ardui affari,e finalmente per le sinistre vicende a cui fu soggetto,diede grande argomento a' discorsi degli uomini e allepenne degli scrittori di questi tempi. E nondimeno, ben-chè appena vi abbia chi non parli di lui, niuno però tragli antichi ci ha lasciata un'esatta contezza della vita diquesto sì famoso ministro. Matteo Paris e Guido Bonattiche gli furono coetanei, Francesco Pipino e Benvenutoda Imola, autori del sec. XIV, sono i soli che alquantopiù stesamente ne abbiano favellato, come or ora vedre-mo. Ciò ch'è più strano, si è che ancor tra' moderni, ben-chè tre edizioni si sian fatte delle Lettere di Pier delleVigne, niuno però ha preso a scriverne con qualche dili-genza la Vita. E anche nei grandi Lessici del Bayle, delMarchand, del Chausepiè, non vedesi cenno alcuno diquesto grand'uomo. Solo nel Giornale de Letterati stam-pato in Firenze ho io veduto intorno a lui (t. 1, p. 60) un

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Notizie di Pier delle Vi-gne, suo cancelliere, quanto incerte.

stato il regno di questo monarca!

V. Da lui non dee disgiungersi ilsuo fido cancelliere e ministro Pierdelle Vigne, da cui venne probabil-mente in gran parte il fervore e

l'impegno con cui egli avvivò e promosse le scienze. Fuquesti un de' più celebri uomini di quella età, che per lecariche illustri a cui dall'umil sua condizione fu solleva-to, per le gloriose ambasciate che per Federigo sostenne,pel suo sapere in poesia, in eloquenza, in leggi, e in altristudj, per la destrezza nel maneggio dei più ardui affari,e finalmente per le sinistre vicende a cui fu soggetto,diede grande argomento a' discorsi degli uomini e allepenne degli scrittori di questi tempi. E nondimeno, ben-chè appena vi abbia chi non parli di lui, niuno però tragli antichi ci ha lasciata un'esatta contezza della vita diquesto sì famoso ministro. Matteo Paris e Guido Bonattiche gli furono coetanei, Francesco Pipino e Benvenutoda Imola, autori del sec. XIV, sono i soli che alquantopiù stesamente ne abbiano favellato, come or ora vedre-mo. Ciò ch'è più strano, si è che ancor tra' moderni, ben-chè tre edizioni si sian fatte delle Lettere di Pier delleVigne, niuno però ha preso a scriverne con qualche dili-genza la Vita. E anche nei grandi Lessici del Bayle, delMarchand, del Chausepiè, non vedesi cenno alcuno diquesto grand'uomo. Solo nel Giornale de Letterati stam-pato in Firenze ho io veduto intorno a lui (t. 1, p. 60) un

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Notizie di Pier delle Vi-gne, suo cancelliere, quanto incerte.

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articolo in cui con singolare esattezza e con vastissimaerudizione si esaminano le più importanti notizie che cene han lasciato gli antichi scrittori, e i difetti non piccio-li dell'edizioni sinora fatte delle sue Lettere. Mi sia leci-to dunque il fare qualche ricerca su questo argomentoche non è punto alieno dallo scopo di questa Storia, e ilraccogliere ciò che intorno a Pier delle Vigne mi è avve-nuto di ritrovare, benchè con qualche fatica, presso i piùantichi e i più accreditati scrittori.

VI. L'abate Tritemio ci narra intorno a Pierdelle Vigne la più leggiadra novella delmondo. Egli (Chron. Hirsaug. ad an. 1229),dopo aver detto che Pietro era tedesco, e na-

tio di Svevia, e dopo aver ragionato del molto ch'eglioperò a favor di Federico contro la Chiesa, soggiugneche avendo incorso per qualche motivo lo sdegno delsuo signore, fu per ordin di lui acciecato, e chiuso in unmonastero, ove egli passò più anni in un'amara contri-zione delle sue colpe. Dopo alcun tempo, siegue a narra-re il Tritemio, essendo Federico scomunicato, e veden-dosi da ogni parte assalito da' suoi nimici, e impotente adifendersi, fu costretto a ricorrere all'antico suo cancel-liere, e andò perciò al monastero in cui Pietro vivevarinchiuso; ed ivi, dopo avergli chiesto perdono del cru-del trattamento usatogli, il pregò di consiglio nella estre-mità a cui era condotto. Pietro allora esortollo a toglieretutti i vasi d'oro e d'argento, ch'erano nelle chiese, e a

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Favola che ne narra il Tritemio.

articolo in cui con singolare esattezza e con vastissimaerudizione si esaminano le più importanti notizie che cene han lasciato gli antichi scrittori, e i difetti non piccio-li dell'edizioni sinora fatte delle sue Lettere. Mi sia leci-to dunque il fare qualche ricerca su questo argomentoche non è punto alieno dallo scopo di questa Storia, e ilraccogliere ciò che intorno a Pier delle Vigne mi è avve-nuto di ritrovare, benchè con qualche fatica, presso i piùantichi e i più accreditati scrittori.

VI. L'abate Tritemio ci narra intorno a Pierdelle Vigne la più leggiadra novella delmondo. Egli (Chron. Hirsaug. ad an. 1229),dopo aver detto che Pietro era tedesco, e na-

tio di Svevia, e dopo aver ragionato del molto ch'eglioperò a favor di Federico contro la Chiesa, soggiugneche avendo incorso per qualche motivo lo sdegno delsuo signore, fu per ordin di lui acciecato, e chiuso in unmonastero, ove egli passò più anni in un'amara contri-zione delle sue colpe. Dopo alcun tempo, siegue a narra-re il Tritemio, essendo Federico scomunicato, e veden-dosi da ogni parte assalito da' suoi nimici, e impotente adifendersi, fu costretto a ricorrere all'antico suo cancel-liere, e andò perciò al monastero in cui Pietro vivevarinchiuso; ed ivi, dopo avergli chiesto perdono del cru-del trattamento usatogli, il pregò di consiglio nella estre-mità a cui era condotto. Pietro allora esortollo a toglieretutti i vasi d'oro e d'argento, ch'erano nelle chiese, e a

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Favola che ne narra il Tritemio.

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valersene a batter moneta, e a radunare soldati, e quindiad assalire con terribile esercito i suoi nimici. Federigoseguì il reo consiglio, che certo non era degno d'uom pe-nitente, quale, secondo il Tritemio, era allor Pietro. Maei ne venne a stato sempre peggiore, per modo che final-mente nel Concilio di Lione fu solennemente deposto.Ciò intesosi dall'abate del monastero di Pietro, eglil'interrogò perchè avesse dato a Federigo sì malvagioconsiglio; ed ei candidamente rispose che appunto pertrarne vendetta; sapendo ben egli che se l'imperadorel'avesse seguito, avrebbene da Dio ricevuto severo gasti-go. Così il Tritemio. Or chi crederebbe che in tutto que-sto racconto; se se ne tragga l'acciecamento di Pietro,non v'abbia ombra di verità? E nondimeno, perchè lanarrazion del Tritemio ha dello strano e del romanzesco,ella è stata con piacere adottata da altri scrittori, ai qualisembra che tanto più debban pregiarsi i racconti, quantopiù sono maravigliosi. Io spero che a' miei lettori saràpiù gradito il piacere che arreca la veduta di un verobenchè semplice oggetto, che quello che in noi producel'illusione de' sogni.

VII. Pier delle Vigne adunque primieramen-te non fu tedesco come il Tritemio affermasenza alcun fondamento, ma fu italiano, enativo di Capova, come raccogliesi oltre al-tri certissimi monumenti, da una lettera

scritta in lode di lui, mentre ancora vivea, da un cotal

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Notizie di esso; suo gran favorepresso Fe-derigo II.

valersene a batter moneta, e a radunare soldati, e quindiad assalire con terribile esercito i suoi nimici. Federigoseguì il reo consiglio, che certo non era degno d'uom pe-nitente, quale, secondo il Tritemio, era allor Pietro. Maei ne venne a stato sempre peggiore, per modo che final-mente nel Concilio di Lione fu solennemente deposto.Ciò intesosi dall'abate del monastero di Pietro, eglil'interrogò perchè avesse dato a Federigo sì malvagioconsiglio; ed ei candidamente rispose che appunto pertrarne vendetta; sapendo ben egli che se l'imperadorel'avesse seguito, avrebbene da Dio ricevuto severo gasti-go. Così il Tritemio. Or chi crederebbe che in tutto que-sto racconto; se se ne tragga l'acciecamento di Pietro,non v'abbia ombra di verità? E nondimeno, perchè lanarrazion del Tritemio ha dello strano e del romanzesco,ella è stata con piacere adottata da altri scrittori, ai qualisembra che tanto più debban pregiarsi i racconti, quantopiù sono maravigliosi. Io spero che a' miei lettori saràpiù gradito il piacere che arreca la veduta di un verobenchè semplice oggetto, che quello che in noi producel'illusione de' sogni.

VII. Pier delle Vigne adunque primieramen-te non fu tedesco come il Tritemio affermasenza alcun fondamento, ma fu italiano, enativo di Capova, come raccogliesi oltre al-tri certissimi monumenti, da una lettera

scritta in lode di lui, mentre ancora vivea, da un cotal

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Notizie di esso; suo gran favorepresso Fe-derigo II.

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Niccolò, e inserita tra le Lettere del medesimo Pietro (l.3, c. 45), ove si chiama Capova felice, per aver dato allaluce un tal uomo. Il Toppi (Bibl. napol. p. 258) lo dicenato di nobil famiglia. Ma egli soffrirà in pace che noicrediamo anzi a due antichi scrittori che ci assicuranoch'ei nacque di bassa stirpe, cioè a Francesco Pipino chevivea il principio del XIV secolo, e che racconta ch'egliera di vilissima condizione, infimissimo genere ortus (l.2 Chron. c. 39 Script. rer. ital. vol. 9, p. 660), che il pa-dre di lui era uomo affatto sconosciuto, e la madre pove-ra donnicciuola che sostenea sè e il figlio coll'accattareil pane; e Benvenuto da Imola, che ripete quasi le parolestesse di Pipino (Excerpta in Comoed. Dantis ap.Murat. Antiq. Ital. t. 1, p. 1051), se non che cambial'infimissimo in infimo. Anzi lo stesso Pietro in una sualettera (Martene Vet. Script. vol. 2, ep. 38) ringrazia Dioche con averlo condotto alla corte di Federigo gli abbiaaperta la via a sollevar la miseria della povera sua ma-dre, e di una sua ugualmente povera sorella. Tutte le cir-costanze suddette confermansi ancora più chiaramenteda un passo del celebre astrologo Guido Bonatti che vi-vea a quel tempo medesimo. Fuit, dic'egli (Astronom. p.220 ed. Basil. 1550), quidam de regno Apuliae, nationevilis, nomine Petrus de Vinea, qui cum esset scholarisBononiae, mendicabat, nec habebat quid comederet. Lasua povertà dunque non lo distolse dal coltivare gli studjin Bologna; e il fece con sì felice successo, che condottoa caso innanzi a Federigo, questi ne fu rapito per modo,che gli diè ricetto nella sua corte, ove, proseguendo ne-

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Niccolò, e inserita tra le Lettere del medesimo Pietro (l.3, c. 45), ove si chiama Capova felice, per aver dato allaluce un tal uomo. Il Toppi (Bibl. napol. p. 258) lo dicenato di nobil famiglia. Ma egli soffrirà in pace che noicrediamo anzi a due antichi scrittori che ci assicuranoch'ei nacque di bassa stirpe, cioè a Francesco Pipino chevivea il principio del XIV secolo, e che racconta ch'egliera di vilissima condizione, infimissimo genere ortus (l.2 Chron. c. 39 Script. rer. ital. vol. 9, p. 660), che il pa-dre di lui era uomo affatto sconosciuto, e la madre pove-ra donnicciuola che sostenea sè e il figlio coll'accattareil pane; e Benvenuto da Imola, che ripete quasi le parolestesse di Pipino (Excerpta in Comoed. Dantis ap.Murat. Antiq. Ital. t. 1, p. 1051), se non che cambial'infimissimo in infimo. Anzi lo stesso Pietro in una sualettera (Martene Vet. Script. vol. 2, ep. 38) ringrazia Dioche con averlo condotto alla corte di Federigo gli abbiaaperta la via a sollevar la miseria della povera sua ma-dre, e di una sua ugualmente povera sorella. Tutte le cir-costanze suddette confermansi ancora più chiaramenteda un passo del celebre astrologo Guido Bonatti che vi-vea a quel tempo medesimo. Fuit, dic'egli (Astronom. p.220 ed. Basil. 1550), quidam de regno Apuliae, nationevilis, nomine Petrus de Vinea, qui cum esset scholarisBononiae, mendicabat, nec habebat quid comederet. Lasua povertà dunque non lo distolse dal coltivare gli studjin Bologna; e il fece con sì felice successo, che condottoa caso innanzi a Federigo, questi ne fu rapito per modo,che gli diè ricetto nella sua corte, ove, proseguendo ne-

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gli intrapresi suoi studj, divenne sì esperto nell'uno enell'altro diritto, e formò uno stile sì elegante per queitempi nello scriver lettere e nel distender carte d'ognimaniera, che Federigo giunse a conferirgli le cariche diprotonotario della sua corte, di giudice, di consigliere, ea farlo intimo confidente di tutti i suoi disegni (Pipin. etBenven. l. c.). I giornalisti fiorentini, avendo veduto inuna carta dell'an. 1212 sottoscritto Pietro notaio e can-celliere, ne hanno tratto per conseguenza che fin daquell'anno godesse Pier delle Vigne il favor di Federigo(l. c. p. 67, ec.). Io non ho ragioni di negarlo. Ma parmiche l'identità del nome non basti a provarlo. Anzi al ve-dere che di lui non trovasi nelle Storie menzione alcunafino all'an. 1232, si rende difficile a credere che sin davent'anni addietro ei fosse accetto a questo monarca. Machecchesia del tempo in cui egli ottenne la grazia di Fe-derigo, è certo pur che l'ottenne; e giunse in essa tantooltre, che, come narrano il Pipino e Benvenuto di Imola,vedeasi nel Palazzo di Napoli una pittura in cui eraespresso Federigo assiso sul trono, Pietro sedente soprauna cattedra, e il popol tutto prostrato innanzi a Federi-go, in atto d'implorare giustizia con questi versi che ivierano scritti:

Caesar amor legum, Friderice piissime Regum,Caussarum telas nostras resolve querelas:

A cui Federigo sembrava rispondere, addittando Pietro,con questi versi:

Pro vestra lite Censorem juris adite:

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gli intrapresi suoi studj, divenne sì esperto nell'uno enell'altro diritto, e formò uno stile sì elegante per queitempi nello scriver lettere e nel distender carte d'ognimaniera, che Federigo giunse a conferirgli le cariche diprotonotario della sua corte, di giudice, di consigliere, ea farlo intimo confidente di tutti i suoi disegni (Pipin. etBenven. l. c.). I giornalisti fiorentini, avendo veduto inuna carta dell'an. 1212 sottoscritto Pietro notaio e can-celliere, ne hanno tratto per conseguenza che fin daquell'anno godesse Pier delle Vigne il favor di Federigo(l. c. p. 67, ec.). Io non ho ragioni di negarlo. Ma parmiche l'identità del nome non basti a provarlo. Anzi al ve-dere che di lui non trovasi nelle Storie menzione alcunafino all'an. 1232, si rende difficile a credere che sin davent'anni addietro ei fosse accetto a questo monarca. Machecchesia del tempo in cui egli ottenne la grazia di Fe-derigo, è certo pur che l'ottenne; e giunse in essa tantooltre, che, come narrano il Pipino e Benvenuto di Imola,vedeasi nel Palazzo di Napoli una pittura in cui eraespresso Federigo assiso sul trono, Pietro sedente soprauna cattedra, e il popol tutto prostrato innanzi a Federi-go, in atto d'implorare giustizia con questi versi che ivierano scritti:

Caesar amor legum, Friderice piissime Regum,Caussarum telas nostras resolve querelas:

A cui Federigo sembrava rispondere, addittando Pietro,con questi versi:

Pro vestra lite Censorem juris adite:

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Hic est: jura dabit, vel per me danda rogabit: Vinea cognomen, Petrus Judex est sibi nomen.

In fatti al dire di Benvenuto, egli era consapevole di tuttii segreti di Federigo, e gli faceva o abbracciare, o ab-bandonare un partito, come più gli piacesse ed ogni cosareggeva a suo talento. E qual fosse la maraviglia ch'eglicol suo sapere in tutti destava, scorgesi singolarmentedalla sopraccennata lettera di quel Niccolò, in cui sidanno a Pietro sì grandi elogi, che maggiori non furonmai dati ad alcuno; perciocchè ivi si dice, che la naturaavea in lui solo raccolti tutti que' pregi che divider sole-va in molti; che la sapienza, dopo aver lungamente cer-cato dove posarsi, erasi finalmente trasfusa in lui;ch'egli era un altro Mosè nell'imporre le leggi, un altroGiuseppe nel goder della grazia del suo sovrano; anziparagonandolo all'apostolo s. Pietro, sopra lui ancoraviene esaltato; e finalmente conchiudesi che Tullio stes-so non avrebbe eloquenza pari al merito e alle virtù diPietro. Grandi cose ci narra ancora il suddetto GuidoBonatti intorno al potere di cui Pietro godea presso diFederigo, e dice (l. c.) che credeasi beato colui cui eglionorasse del suo favore; che Federigo approvava tuttociò che faceasi da Pietro; e che Pietro stesso annullavale cose fatte da Federigo; che questi gli conferì il domi-nio, cioè come sembra doversi intendere, il governo del-la Puglia; e che Pietro ammassò tai tesori, che solo inoro avea, dice, 10000 libras augustanensium (3).3 Agostari o agostani erano una moneta d'oro di Federigo II, che equivaleva

a un fiorino d'oro e un quinto circa. Par dunque che voglia dire il Bonatti o

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Hic est: jura dabit, vel per me danda rogabit: Vinea cognomen, Petrus Judex est sibi nomen.

In fatti al dire di Benvenuto, egli era consapevole di tuttii segreti di Federigo, e gli faceva o abbracciare, o ab-bandonare un partito, come più gli piacesse ed ogni cosareggeva a suo talento. E qual fosse la maraviglia ch'eglicol suo sapere in tutti destava, scorgesi singolarmentedalla sopraccennata lettera di quel Niccolò, in cui sidanno a Pietro sì grandi elogi, che maggiori non furonmai dati ad alcuno; perciocchè ivi si dice, che la naturaavea in lui solo raccolti tutti que' pregi che divider sole-va in molti; che la sapienza, dopo aver lungamente cer-cato dove posarsi, erasi finalmente trasfusa in lui;ch'egli era un altro Mosè nell'imporre le leggi, un altroGiuseppe nel goder della grazia del suo sovrano; anziparagonandolo all'apostolo s. Pietro, sopra lui ancoraviene esaltato; e finalmente conchiudesi che Tullio stes-so non avrebbe eloquenza pari al merito e alle virtù diPietro. Grandi cose ci narra ancora il suddetto GuidoBonatti intorno al potere di cui Pietro godea presso diFederigo, e dice (l. c.) che credeasi beato colui cui eglionorasse del suo favore; che Federigo approvava tuttociò che faceasi da Pietro; e che Pietro stesso annullavale cose fatte da Federigo; che questi gli conferì il domi-nio, cioè come sembra doversi intendere, il governo del-la Puglia; e che Pietro ammassò tai tesori, che solo inoro avea, dice, 10000 libras augustanensium (3).3 Agostari o agostani erano una moneta d'oro di Federigo II, che equivaleva

a un fiorino d'oro e un quinto circa. Par dunque che voglia dire il Bonatti o

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VIII. La stima in cui Federigo avea il suocancelliere, si fece ancora palese negli arduiaffari e nelle onorevoli ambasciate che glicommise. Due volte fu da lui mandato alpontefice Gregorio IX per trattar delle cose

della Lombardia sconvolta dalle guerre, cioè l'an. 1232insiem con Arrigo da Muro, con Pietro da S. Germano,e con Benedetto da Isernia (Richard. de s. Germ. inChron. ad an. 1232, vol. 7 Script. rer. ital.); e l'an. 1237insieme col gran maestro dell'Ordine teutonico (Id. adan. 1237). Ma assai più glorioso per Pietro fu l'an 1239.Era Federigo entrato con grande accompagnamento inPadova, ove que' cittadini aveanlo ricevuto con festa epompa solenne. Nel dì delle Palme radunato tutto il po-polo nel prato detto della Valle, Federigo vi comparveassiso su alto trono, e avendo Pietro eloquentementeparlato alla moltitudine accorsa, vi si strinse amichevolealleanza tra il popolo padovano e l'imperadore (Rolan-din. de factis in Marchia Tarvis. l. 4, c. 9). Quand'eccogiungere avviso che Federigo era stato da Gregorio IXnel giovedi santo scomunicato pubblicamente. Federigotemendo da ciò sconcerto e sollevazione nel popolo, ra-dunò tosto i cittadini nel palazzo del pubblico, e standoegli seduto sul solio, levossi Pier delle Vigne, dice lostorico (ib. c. 10), giudice imperiale, e uomo fornito dimolta letteratura sacra e profana, e nella letteratura de'

che Pietro avea il valore di diecimila lire in tanti agostani, o che aveadiecimila libbre d'oro in tanti agostani. La prima spiegazione parmi la piùverisimile.

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Onorevoli ambasciate a lui affida-te.

VIII. La stima in cui Federigo avea il suocancelliere, si fece ancora palese negli arduiaffari e nelle onorevoli ambasciate che glicommise. Due volte fu da lui mandato alpontefice Gregorio IX per trattar delle cose

della Lombardia sconvolta dalle guerre, cioè l'an. 1232insiem con Arrigo da Muro, con Pietro da S. Germano,e con Benedetto da Isernia (Richard. de s. Germ. inChron. ad an. 1232, vol. 7 Script. rer. ital.); e l'an. 1237insieme col gran maestro dell'Ordine teutonico (Id. adan. 1237). Ma assai più glorioso per Pietro fu l'an 1239.Era Federigo entrato con grande accompagnamento inPadova, ove que' cittadini aveanlo ricevuto con festa epompa solenne. Nel dì delle Palme radunato tutto il po-polo nel prato detto della Valle, Federigo vi comparveassiso su alto trono, e avendo Pietro eloquentementeparlato alla moltitudine accorsa, vi si strinse amichevolealleanza tra il popolo padovano e l'imperadore (Rolan-din. de factis in Marchia Tarvis. l. 4, c. 9). Quand'eccogiungere avviso che Federigo era stato da Gregorio IXnel giovedi santo scomunicato pubblicamente. Federigotemendo da ciò sconcerto e sollevazione nel popolo, ra-dunò tosto i cittadini nel palazzo del pubblico, e standoegli seduto sul solio, levossi Pier delle Vigne, dice lostorico (ib. c. 10), giudice imperiale, e uomo fornito dimolta letteratura sacra e profana, e nella letteratura de'

che Pietro avea il valore di diecimila lire in tanti agostani, o che aveadiecimila libbre d'oro in tanti agostani. La prima spiegazione parmi la piùverisimile.

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Onorevoli ambasciate a lui affida-te.

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poeti versato assai; e prese per tema del suo ragiona-mento que' versi d'Ovidio: Leniter ex merito quidquid patiare, ferendum est;

Quae venit indigne poena, dolenda venit.

Quindi adattando queste parole alla presente occasione,persuase al popolo ch'essendo Federigo sì cortese signo-re, e sì amante della giustizia, che dopo Carlo Magnoniun altro a lui uguale avera retto l'impero, potevasi aragione doler della Chiesa: che egli non isdegnavasi diprotestare al popolo tutto, che se per giusto motivo fossestato scomunicato, era pronto a sottomettersi in ognimodo al pontefice, ma perchè era questa un pena ingiu-sta, non era perciò a stupire ch'egli ne facesse querela.Così proseguì Pietro a perorare in favore di Federigo, eottenne almeno che i Padovani non si sollevassero con-tro di lui. Non molto dopo trovandosi Azzo VII, mar-chese d'Este, al campo di Federigo, e avendo, per uncenno fattogli, sospettato che l'imperadore pensasse atogliergli la vita, ritirossi tosto in un castello. Federigo acui premeva di non averlo nimico, inviò a lui Pietro,dalla cui eloquenza si promettea ogni cosa, perchè lo al-lettasse a tornare. Ma questa, volta ei non fu abbastanzaefficace; e il marchese si stette, fermo nella sua risolu-zione (ib. c. 13). Nello stesso anno per ultimo Pietro re-catosi a Verona vi ricevette il giuramento di fedeltà, chequel popolo prestò a Federigo e a Corrado di lui figliuo-lo (Cron. Ver. ad an. 1239, Script. rer. ital. vol. 8). Piùaltre ambasciate sostenne Pietro negli anni seguenti

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poeti versato assai; e prese per tema del suo ragiona-mento que' versi d'Ovidio: Leniter ex merito quidquid patiare, ferendum est;

Quae venit indigne poena, dolenda venit.

Quindi adattando queste parole alla presente occasione,persuase al popolo ch'essendo Federigo sì cortese signo-re, e sì amante della giustizia, che dopo Carlo Magnoniun altro a lui uguale avera retto l'impero, potevasi aragione doler della Chiesa: che egli non isdegnavasi diprotestare al popolo tutto, che se per giusto motivo fossestato scomunicato, era pronto a sottomettersi in ognimodo al pontefice, ma perchè era questa un pena ingiu-sta, non era perciò a stupire ch'egli ne facesse querela.Così proseguì Pietro a perorare in favore di Federigo, eottenne almeno che i Padovani non si sollevassero con-tro di lui. Non molto dopo trovandosi Azzo VII, mar-chese d'Este, al campo di Federigo, e avendo, per uncenno fattogli, sospettato che l'imperadore pensasse atogliergli la vita, ritirossi tosto in un castello. Federigo acui premeva di non averlo nimico, inviò a lui Pietro,dalla cui eloquenza si promettea ogni cosa, perchè lo al-lettasse a tornare. Ma questa, volta ei non fu abbastanzaefficace; e il marchese si stette, fermo nella sua risolu-zione (ib. c. 13). Nello stesso anno per ultimo Pietro re-catosi a Verona vi ricevette il giuramento di fedeltà, chequel popolo prestò a Federigo e a Corrado di lui figliuo-lo (Cron. Ver. ad an. 1239, Script. rer. ital. vol. 8). Piùaltre ambasciate sostenne Pietro negli anni seguenti

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presso il pontef. Innocenzo IV a nome del suo signore.L'an. 1243 fu a lui inviato con Taddeo da Sessa per trat-tar della pace (Ricard. de s. Germ. Chron. vol. 7 Script.rer. ital. p. 1057); e nel seguente di nuovo collo stessoTaddeo e col conte di Tolosa pel medesimo fine, e po-scia un'altra volta nel medesimo anno insiem con Gual-tero da Sora (Nicol. de Curbio in Vita Innoc. IV parag.10, 12, t. 3, pars 1 Script. rer. ital.); ma sempre senza ef-fetto, non sembrando a Innocenzo che l'imperador pro-cedesse con quella sincerità che ad una stabil pace siconveniva. Nell'anno stesso veggiamo Pier delle Vigneaver parte in un altro fatto che, benchè non si facesseper ordine di Federigo, questi però col dissimularlo mo-strò chiaramente approvarlo. Questo fu l'arresto di s.Tommaso d'Aquino, allorquando essendo egli entratonell'Ordine de' Predicatori, e andando da Napoli a Romacol maestro general dell'ordine Giovanni Teutonico, fuda un suo fratello fermato a forza, e chiuso in castello.Tolomeo da Lucca scrittore contemporaneo, e confiden-te del santo afferma che Pier delle Vigne si unì a tal finecon Reginaldo fratello di s. Tommaso: "Et unus germa-nus fratris Thomae.... dictus dominus Reginaldus... sta-tim ut sensit fratrem suum advenisse, Federico dissimu-lante...... cum Petro de Vineis et suis famulis germanumsuum subtraxit praedicto magistro, impositoque in equo,violenta manu cum bona comitiva ipsum in Campaniammisit ad quoddam castrum ipsorum vocatum SanctiJoannis (Hist. eccl. l. 22, c. 20, Script. rer. ital. vol. 2, p.1151).

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presso il pontef. Innocenzo IV a nome del suo signore.L'an. 1243 fu a lui inviato con Taddeo da Sessa per trat-tar della pace (Ricard. de s. Germ. Chron. vol. 7 Script.rer. ital. p. 1057); e nel seguente di nuovo collo stessoTaddeo e col conte di Tolosa pel medesimo fine, e po-scia un'altra volta nel medesimo anno insiem con Gual-tero da Sora (Nicol. de Curbio in Vita Innoc. IV parag.10, 12, t. 3, pars 1 Script. rer. ital.); ma sempre senza ef-fetto, non sembrando a Innocenzo che l'imperador pro-cedesse con quella sincerità che ad una stabil pace siconveniva. Nell'anno stesso veggiamo Pier delle Vigneaver parte in un altro fatto che, benchè non si facesseper ordine di Federigo, questi però col dissimularlo mo-strò chiaramente approvarlo. Questo fu l'arresto di s.Tommaso d'Aquino, allorquando essendo egli entratonell'Ordine de' Predicatori, e andando da Napoli a Romacol maestro general dell'ordine Giovanni Teutonico, fuda un suo fratello fermato a forza, e chiuso in castello.Tolomeo da Lucca scrittore contemporaneo, e confiden-te del santo afferma che Pier delle Vigne si unì a tal finecon Reginaldo fratello di s. Tommaso: "Et unus germa-nus fratris Thomae.... dictus dominus Reginaldus... sta-tim ut sensit fratrem suum advenisse, Federico dissimu-lante...... cum Petro de Vineis et suis famulis germanumsuum subtraxit praedicto magistro, impositoque in equo,violenta manu cum bona comitiva ipsum in Campaniammisit ad quoddam castrum ipsorum vocatum SanctiJoannis (Hist. eccl. l. 22, c. 20, Script. rer. ital. vol. 2, p.1151).

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IX. Giunse finalmente l'an. 1245, in cui In-nocenzo radunato in Lione un generaleConcilio vi scomunicò di nuovo l'imperado-re, e il dichiarò caduto della sua dignità.

Pier delle Vigne v'intervenne mandato da Federigo, aperorar la sua causa, come espressamente affermano Ri-cordano Malespini (Istor. fior. c. 142) e Rolandino (l. 5,c. 14) scrittori contemporanei, e dopo loro Giovanni Vil-lani che in questo luogo lo chiama (l. 6, c. 24) saviocherico e aggiugne ch'egli col gran maestro dell'Ordineteutonico adoperossi, ma inutilmente, per frastornare ilpontefice dalla presa risoluzione. Federigo, poichè ebbedi ciò avuto avviso, per mezzo del fedel suo Pietro scris-se a s. Luigi re di Francia una lettera in sua discolpa,ch'è riferita da Francesco Pipino (Chron. c. 34) e daMatteo Paris che la dice indirizzata a' prelati e a' signorid'Inghilterra (Hist. Angl. ad an. 1246), e vedesi ancheinserita tra le lettere dello stesso Pietro (l. 1, c. 3).D'allora in poi non troviamo che Pietro fosse dall'impe-radore adoperato in alcuno affare; ed è probabile perciò,che non molto dopo il Concilio di Lione ei cominciassea decader dalla grazia del suo signore, e che poscia glivenisse in odio, per modo che fosse da lui fatto accieca-re. Per qual ragione ciò avvenisse, e quai ne fosser glieffetti, non è facile ad accertare; si varj sono e sì contra-rj tra loro i racconti degli storici antichi. Veggiam ciòch'essi ne dicono, e esaminiamo a cui debbasi maggiorfede.

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Trovasi al concilio di Lione.

IX. Giunse finalmente l'an. 1245, in cui In-nocenzo radunato in Lione un generaleConcilio vi scomunicò di nuovo l'imperado-re, e il dichiarò caduto della sua dignità.

Pier delle Vigne v'intervenne mandato da Federigo, aperorar la sua causa, come espressamente affermano Ri-cordano Malespini (Istor. fior. c. 142) e Rolandino (l. 5,c. 14) scrittori contemporanei, e dopo loro Giovanni Vil-lani che in questo luogo lo chiama (l. 6, c. 24) saviocherico e aggiugne ch'egli col gran maestro dell'Ordineteutonico adoperossi, ma inutilmente, per frastornare ilpontefice dalla presa risoluzione. Federigo, poichè ebbedi ciò avuto avviso, per mezzo del fedel suo Pietro scris-se a s. Luigi re di Francia una lettera in sua discolpa,ch'è riferita da Francesco Pipino (Chron. c. 34) e daMatteo Paris che la dice indirizzata a' prelati e a' signorid'Inghilterra (Hist. Angl. ad an. 1246), e vedesi ancheinserita tra le lettere dello stesso Pietro (l. 1, c. 3).D'allora in poi non troviamo che Pietro fosse dall'impe-radore adoperato in alcuno affare; ed è probabile perciò,che non molto dopo il Concilio di Lione ei cominciassea decader dalla grazia del suo signore, e che poscia glivenisse in odio, per modo che fosse da lui fatto accieca-re. Per qual ragione ciò avvenisse, e quai ne fosser glieffetti, non è facile ad accertare; si varj sono e sì contra-rj tra loro i racconti degli storici antichi. Veggiam ciòch'essi ne dicono, e esaminiamo a cui debbasi maggiorfede.

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Trovasi al concilio di Lione.

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X. Ricordano Malespini che fu contempora-neo a Pietro, così ne dice (Istor. fior. c. 131):"Dopo alquanto tempo l'imperadore feceambasciata al savio uomo maestro Pietrodelle Vigne, il buon dittatore, apponendoglitradimento; ma ciò gli fu fatto per invidia

del suo grande stato, per la qual cosa il maestro pergrande dolore si lasciò morire in prigione, e chi dissech'egli medesimo si tolse la vita". Le quali parole stessefurono poi copiate da Giovanni Villani (Istor. l. 6, c. 22).Qui non veggiamo, che Pietro si faccia reo di alcun de-litto; e la disgrazia in cui cadde, si attribuisce soloall'altrui invidia. Anzi qui non si fa parola di accieca-mento. Nella Cronaca di Piacenza pubblicata dal Mura-tori (vol. 16 Script. rer. ital. p. 465) questo si asserisce,ma senza recarne alcun motivo: Anno Christi MCCXL-VIII...... Fredericus Imperator fecit excaecari Petrum deVineis suum Cancellarium Rhetoricae eloquentiae mira-bilem. Così pure Guido Bonatti altro non dice (l. c.) senon che Pietro venne a miseria sì grande, che l'impera-dore il fe' acciecare; e ch'egli per disperazione, urtandoil capo ad un muro, come credeasi comunemente, si uc-cise (4). Più assai diffusamente ne parlano Francesco Pi-

4 Anche F. Salimbene attribuisce la disgrazia di Pier delle Vigne alla condot-ta da lui tenuta, quando l'anno 1245 fu dall'imp. Federigo II mandato alpontef. Innocenzo V. "Sed imperator", dic'egli a pag. 293, "nullius amici-tiam conservare sciebat...... Patuit hoc in Petro de Vineis, qui in Curia Im-peratoris maximus et consiliarus et dictator fuit, nec non ab Imperatore ap-pellatus est Logothea; et tamen eum de pulvere exaltaverat, et in eudempulverem eum postmodum fecit reverti. Nam radicem verbi invenit contra

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Diverse opinioni in-torno alla disgrazia e alla morte di Pietro.

X. Ricordano Malespini che fu contempora-neo a Pietro, così ne dice (Istor. fior. c. 131):"Dopo alquanto tempo l'imperadore feceambasciata al savio uomo maestro Pietrodelle Vigne, il buon dittatore, apponendoglitradimento; ma ciò gli fu fatto per invidia

del suo grande stato, per la qual cosa il maestro pergrande dolore si lasciò morire in prigione, e chi dissech'egli medesimo si tolse la vita". Le quali parole stessefurono poi copiate da Giovanni Villani (Istor. l. 6, c. 22).Qui non veggiamo, che Pietro si faccia reo di alcun de-litto; e la disgrazia in cui cadde, si attribuisce soloall'altrui invidia. Anzi qui non si fa parola di accieca-mento. Nella Cronaca di Piacenza pubblicata dal Mura-tori (vol. 16 Script. rer. ital. p. 465) questo si asserisce,ma senza recarne alcun motivo: Anno Christi MCCXL-VIII...... Fredericus Imperator fecit excaecari Petrum deVineis suum Cancellarium Rhetoricae eloquentiae mira-bilem. Così pure Guido Bonatti altro non dice (l. c.) senon che Pietro venne a miseria sì grande, che l'impera-dore il fe' acciecare; e ch'egli per disperazione, urtandoil capo ad un muro, come credeasi comunemente, si uc-cise (4). Più assai diffusamente ne parlano Francesco Pi-

4 Anche F. Salimbene attribuisce la disgrazia di Pier delle Vigne alla condot-ta da lui tenuta, quando l'anno 1245 fu dall'imp. Federigo II mandato alpontef. Innocenzo V. "Sed imperator", dic'egli a pag. 293, "nullius amici-tiam conservare sciebat...... Patuit hoc in Petro de Vineis, qui in Curia Im-peratoris maximus et consiliarus et dictator fuit, nec non ab Imperatore ap-pellatus est Logothea; et tamen eum de pulvere exaltaverat, et in eudempulverem eum postmodum fecit reverti. Nam radicem verbi invenit contra

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Diverse opinioni in-torno alla disgrazia e alla morte di Pietro.

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pino e Benvenuto da Imola. Il primo narra (Chron. c.39) che per accusa di tradimento, come alcuni dicono,fu dall'imperadore chiuso in carcere ed acciecato; e cheivi fra lo squallore finì la vita. Aggiugne che correvavoce ch'ei si fosse condotto male nella discordia tra 'lpapa e l'imperadore, che altri dicevano che Pietro loavesse tradito, sdegnato contro di lui, perchè Federigo,perduti avendo per quella discordia i suoi tesori, aveaglitolte le ricchezze da lui radunate, e che altri finalmentecredevano ch'ei si usasse della moglie di Federigo. So-miglianti diverse voci che correvan fra gli uomini intor-no alla disgrazia e alla morte di Pier delle Vigne, si an-noverano da Benvenuto da Imola, il qual però ne recaper principal cagione l'invidia de' cortigiani. "La troppafelicità", dic'egli (in Exceptis l. c.), "eccitò contro di luil'invidia e l'odio di molti; perciocchè gli altri cortigiani econsiglieri veggendosi tanto più abbassati, quanto più ei

eum, nec non et calumniam... Calumnia autem Imperatoris contra Petrumde Vinea fuit hujusmodi. Imperator miserat Judicem Tadeum et Petrum deVinea... et quosdam alios Lugdunum ad Papam Innocentium quartum, utimpedirent Papam ne festinaret ad deposititonem ipsius.... et preceperateis, quod nullus cum Papasine alio vel nisi presentibus aliis loqueretur. Po-stquam autem reversi sunt, accusaverunt Socii Petrum de Vinea, quod plu-ries sine eis familiare colloquium habuisset. Misit igitur Imperator, et feciteum capi, et mala morte mori". Quale fra tanti racconti che della disgraziae della morte di Pier delle Vigne ci sono lasciati dagli scrittori di que' tem-pi, sia il più verisimile, chi può accertarlo? Quello di F. Salimbene potreb-be ammettersi come non improbabile, se non avessimo una carta dell'an.1248, e perciò posterior di tre anni alla spedizione di Pietro, la qual ci mo-stra che questi era tuttora in quell'anno al seguito di Federigo II. Essa è sta-ta pubblicata dal ch. sig. proposto Reposati (Della Zecca di Gubbio tom. 1,par. 404).

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pino e Benvenuto da Imola. Il primo narra (Chron. c.39) che per accusa di tradimento, come alcuni dicono,fu dall'imperadore chiuso in carcere ed acciecato; e cheivi fra lo squallore finì la vita. Aggiugne che correvavoce ch'ei si fosse condotto male nella discordia tra 'lpapa e l'imperadore, che altri dicevano che Pietro loavesse tradito, sdegnato contro di lui, perchè Federigo,perduti avendo per quella discordia i suoi tesori, aveaglitolte le ricchezze da lui radunate, e che altri finalmentecredevano ch'ei si usasse della moglie di Federigo. So-miglianti diverse voci che correvan fra gli uomini intor-no alla disgrazia e alla morte di Pier delle Vigne, si an-noverano da Benvenuto da Imola, il qual però ne recaper principal cagione l'invidia de' cortigiani. "La troppafelicità", dic'egli (in Exceptis l. c.), "eccitò contro di luil'invidia e l'odio di molti; perciocchè gli altri cortigiani econsiglieri veggendosi tanto più abbassati, quanto più ei

eum, nec non et calumniam... Calumnia autem Imperatoris contra Petrumde Vinea fuit hujusmodi. Imperator miserat Judicem Tadeum et Petrum deVinea... et quosdam alios Lugdunum ad Papam Innocentium quartum, utimpedirent Papam ne festinaret ad deposititonem ipsius.... et preceperateis, quod nullus cum Papasine alio vel nisi presentibus aliis loqueretur. Po-stquam autem reversi sunt, accusaverunt Socii Petrum de Vinea, quod plu-ries sine eis familiare colloquium habuisset. Misit igitur Imperator, et feciteum capi, et mala morte mori". Quale fra tanti racconti che della disgraziae della morte di Pier delle Vigne ci sono lasciati dagli scrittori di que' tem-pi, sia il più verisimile, chi può accertarlo? Quello di F. Salimbene potreb-be ammettersi come non improbabile, se non avessimo una carta dell'an.1248, e perciò posterior di tre anni alla spedizione di Pietro, la qual ci mo-stra che questi era tuttora in quell'anno al seguito di Federigo II. Essa è sta-ta pubblicata dal ch. sig. proposto Reposati (Della Zecca di Gubbio tom. 1,par. 404).

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levavasi in alto, cominciarono ad apporgli falsi delitti.Altri dicevano ch'egli era divenuto più ricco dell'impera-dore medesimo; altri, che si arrogava la gloria di tuttociò che facevasi da Federigo; altri che scopriva i segretial romano pontefice, altri altre cose. Di che sdegnatol'imperadore, il fece acciecare, e chiudere in carcere. Edegli non soffrendo trattamento sì indegno, da se stesso siuccise". Aggiugne che alcuni scrivono che condotto in-sieme con Federigo per la Toscana, ed ivi chiuso nel ca-stello di s. Miniato, diè del capo nella parete, e caddemorto; ed altri narrano che stando egli in un palagio cheavea in Capova sua patria, mentre di colà passaval'imperadore, gittossi dalla finestra. Ma checchè ne dica-no altri, conchiude Benvenuto, io penso ch'ei si uccides-se in prigione, perchè non parmi verisimile che l'impera-dore, dopo averlo acciecato, il traesse seco; o gli lascias-se la libertà, potendo a ragion temere che egli, comun-que cieco, non macchinasse vendetta contro di lui.

XI Da tutte le cose fin qui riferite par-mi che si possa raccogliere probabil-mente che Pier delle Vigne non fu ve-

ramente reo d'alcun delitto ma che l'invidia de' cortigia-ni il trasse in rovina; che Federigo da essi ingannato ilfe' acciecare; e che Pietro disperatamente si diè da sestesso la morte. La diversità medesima de' sentimentidegli autori di quei tempi intorno al vero motivo delladisgrazia di Pietro mi sembra che renda probabile la mia

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Si esamina qual siala più verisimile.

levavasi in alto, cominciarono ad apporgli falsi delitti.Altri dicevano ch'egli era divenuto più ricco dell'impera-dore medesimo; altri, che si arrogava la gloria di tuttociò che facevasi da Federigo; altri che scopriva i segretial romano pontefice, altri altre cose. Di che sdegnatol'imperadore, il fece acciecare, e chiudere in carcere. Edegli non soffrendo trattamento sì indegno, da se stesso siuccise". Aggiugne che alcuni scrivono che condotto in-sieme con Federigo per la Toscana, ed ivi chiuso nel ca-stello di s. Miniato, diè del capo nella parete, e caddemorto; ed altri narrano che stando egli in un palagio cheavea in Capova sua patria, mentre di colà passaval'imperadore, gittossi dalla finestra. Ma checchè ne dica-no altri, conchiude Benvenuto, io penso ch'ei si uccides-se in prigione, perchè non parmi verisimile che l'impera-dore, dopo averlo acciecato, il traesse seco; o gli lascias-se la libertà, potendo a ragion temere che egli, comun-que cieco, non macchinasse vendetta contro di lui.

XI Da tutte le cose fin qui riferite par-mi che si possa raccogliere probabil-mente che Pier delle Vigne non fu ve-

ramente reo d'alcun delitto ma che l'invidia de' cortigia-ni il trasse in rovina; che Federigo da essi ingannato ilfe' acciecare; e che Pietro disperatamente si diè da sestesso la morte. La diversità medesima de' sentimentidegli autori di quei tempi intorno al vero motivo delladisgrazia di Pietro mi sembra che renda probabile la mia

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Si esamina qual siala più verisimile.

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opinione; perciocchè se Pietro fosse stato reo di gravefallo contro di Federigo, questi non avrebbe lasciato dipubblicarlo, e ne sarebbe rimasta tra' posteri certa fama.Dante, che pone l'anima di Pier delle Vigne all'Infernonascosta entro di un tronco, ne parla in modo, cheanch'egli sembra persuaso ch'ei fosse innocente, per-ciocchè lo introduce a ragionar per tal modo di se mede-simo (Inf. Canto 13): I' son colui che tenni ambo le chiavi

Del cuor di Federigo, e che le volsi Serrando, e disserrando, sì soavi,

Che del segreto suo quasi ogni uom tolsi, Fede portai al glorioso ufizio, Tanto ch'i' ne perde' le vene e' polsi.

La meretrice che mai dall'ospizio Di Cesare non torse gli occhi putti Morte comune e delle corti vizio,

Infiammò contro me gli animi tutti, E gl'infiammati infiammar sì Augusto, Che i lieti onor tornaro in tristi lutti.

L'animo mio per disdegnoso gusto, Credendo col morir fuggir disdegno, Ingiusto fece me contra me giusto.

Egli è vero che Benvenuto accenna alcune lettere scrittedal medesimo Pietro intorno alla sua sventura, nellequali ci sembra riconoscersi reo. Ma lo stesso Benvenu-to afferma che cotai lettere gli eran supposte: "Ipse Pe-trus in quibusdam epistolis, quas fecit de infelicitate sua,profitetur se nocentem. Dico breviter, quod illae episto-lae non fuerunt suae, licet videantur habere conformita-

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opinione; perciocchè se Pietro fosse stato reo di gravefallo contro di Federigo, questi non avrebbe lasciato dipubblicarlo, e ne sarebbe rimasta tra' posteri certa fama.Dante, che pone l'anima di Pier delle Vigne all'Infernonascosta entro di un tronco, ne parla in modo, cheanch'egli sembra persuaso ch'ei fosse innocente, per-ciocchè lo introduce a ragionar per tal modo di se mede-simo (Inf. Canto 13): I' son colui che tenni ambo le chiavi

Del cuor di Federigo, e che le volsi Serrando, e disserrando, sì soavi,

Che del segreto suo quasi ogni uom tolsi, Fede portai al glorioso ufizio, Tanto ch'i' ne perde' le vene e' polsi.

La meretrice che mai dall'ospizio Di Cesare non torse gli occhi putti Morte comune e delle corti vizio,

Infiammò contro me gli animi tutti, E gl'infiammati infiammar sì Augusto, Che i lieti onor tornaro in tristi lutti.

L'animo mio per disdegnoso gusto, Credendo col morir fuggir disdegno, Ingiusto fece me contra me giusto.

Egli è vero che Benvenuto accenna alcune lettere scrittedal medesimo Pietro intorno alla sua sventura, nellequali ci sembra riconoscersi reo. Ma lo stesso Benvenu-to afferma che cotai lettere gli eran supposte: "Ipse Pe-trus in quibusdam epistolis, quas fecit de infelicitate sua,profitetur se nocentem. Dico breviter, quod illae episto-lae non fuerunt suae, licet videantur habere conformita-

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tem cum stylo suo"; e aggiugne che, ancorchè da lui fos-sero state scritte, ei dovette usare di quelle espressioni,per placar l'animo di Federigo. E quindi è chiaro chepresso i più antichi scrittori del XIII secolo, e del se-guente fu opinione comune che Pier delle Vigne non do-vesse la sua rovina che al troppo invidiato suo esalta-mento.

XII. Non dobbiam però dissimulare il rac-conto assai diverso che di tal morte ci ha la-sciato un altro scrittore contemporaneo aPietro, cioè Matteo Paris (Hist. ad an.1249). Ecco ciò ch'ei ne narra. Giaceasi Fe-

derigo ammalato in Puglia, quando Pier delle Vigne pe'donativi d'Innocenzo IV pensò di valersi di questa op-portuna occasione a tradirlo. Sedotto perciò un medico,fe' porre il veleno in un medicamento che Federigo do-vea bere. L'imperadore ne fu avvertito quando già eraper appressare la tazza alle labbra; e rivoltosi a Pietro eal medico che gli stavan dappresso, spero io bene, lordisse, che voi non vorrete darmi il veleno. Pietro finsegran maraviglia del timore di Federigo, quasi con essooltraggiasse la lor fedeltà. Ma Federigo rivoltosi contorvo aspetto al medico, gli porse la tazza, e gli ordinòche egli prima per metà la bevesse; di che il medico at-territo, fingendo di sdrucciolare, lasciolla cadere a terra.Comandò allora l'imperadore che raccolto ciò che nellatazza era rimasto si desse a bere ad alcuni dannati a

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Riflessioni sul raccon-to che ne faMatteo Pa-ris.

tem cum stylo suo"; e aggiugne che, ancorchè da lui fos-sero state scritte, ei dovette usare di quelle espressioni,per placar l'animo di Federigo. E quindi è chiaro chepresso i più antichi scrittori del XIII secolo, e del se-guente fu opinione comune che Pier delle Vigne non do-vesse la sua rovina che al troppo invidiato suo esalta-mento.

XII. Non dobbiam però dissimulare il rac-conto assai diverso che di tal morte ci ha la-sciato un altro scrittore contemporaneo aPietro, cioè Matteo Paris (Hist. ad an.1249). Ecco ciò ch'ei ne narra. Giaceasi Fe-

derigo ammalato in Puglia, quando Pier delle Vigne pe'donativi d'Innocenzo IV pensò di valersi di questa op-portuna occasione a tradirlo. Sedotto perciò un medico,fe' porre il veleno in un medicamento che Federigo do-vea bere. L'imperadore ne fu avvertito quando già eraper appressare la tazza alle labbra; e rivoltosi a Pietro eal medico che gli stavan dappresso, spero io bene, lordisse, che voi non vorrete darmi il veleno. Pietro finsegran maraviglia del timore di Federigo, quasi con essooltraggiasse la lor fedeltà. Ma Federigo rivoltosi contorvo aspetto al medico, gli porse la tazza, e gli ordinòche egli prima per metà la bevesse; di che il medico at-territo, fingendo di sdrucciolare, lasciolla cadere a terra.Comandò allora l'imperadore che raccolto ciò che nellatazza era rimasto si desse a bere ad alcuni dannati a

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Riflessioni sul raccon-to che ne faMatteo Pa-ris.

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morte, ed essi in poco d'ora rimasero estinti. Fu dunquepalese il tradimento del medico e di Pietro. Federigo,condannato a morte il primo, fe' abbaccinar Pietro, ordi-nando ch'ei fosse dato in balia de' Pisani che erano suoinemici. Ma Pietro per sottrarsi a sì grande infamia, ur-tando improvisamente il capo a una colonna, si diè lamorte. Così Matteo, il cui racconto è stato adottato an-cor dal Giannone (Stor. di Napol. l. 17, c. 3 par. 1), forseperchè una circostanza di esso tornava bene al suo in-tento. Ma, a dir vero, oltre una cotal aria di favoloso,che a me par di scorgere in questo racconto, io non veg-go perchè debbasi maggior fede a Matteo, che a tanti al-tri storici. Ricordano Malespini fu egli pure scrittorecontemporaneo a Pietro; Dante e Francesco Pipino nonne furon molto lontani; e nondimeno di un tal delittonon fan parola. Il solo Matteo Paris, scrittore contempo-raneo, è vero, aggiugniamo ancora, se così si voglia,scrittore esatto, ma che finalmente vivea nell'Inghilterra,e non poteva perciò essere troppo bene istruito degli af-fari d'Italia, egli solo, dico, ci dà notizia di questo fatto.Le leggi di buona Critica a chi ci consigliano di darfede?

XIII. Di Pier delle Vigne abbiamo sei libridi Lettere, altre scritte in suo nome, altre, ele più, in nome di Federigo, intorno a che unnon leggero errore ha commesso il Mar-

chand (Dict. Hist. p. 313, note 7), per cui si direbbe qua-

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Lettere di Pier delle Vigne.

morte, ed essi in poco d'ora rimasero estinti. Fu dunquepalese il tradimento del medico e di Pietro. Federigo,condannato a morte il primo, fe' abbaccinar Pietro, ordi-nando ch'ei fosse dato in balia de' Pisani che erano suoinemici. Ma Pietro per sottrarsi a sì grande infamia, ur-tando improvisamente il capo a una colonna, si diè lamorte. Così Matteo, il cui racconto è stato adottato an-cor dal Giannone (Stor. di Napol. l. 17, c. 3 par. 1), forseperchè una circostanza di esso tornava bene al suo in-tento. Ma, a dir vero, oltre una cotal aria di favoloso,che a me par di scorgere in questo racconto, io non veg-go perchè debbasi maggior fede a Matteo, che a tanti al-tri storici. Ricordano Malespini fu egli pure scrittorecontemporaneo a Pietro; Dante e Francesco Pipino nonne furon molto lontani; e nondimeno di un tal delittonon fan parola. Il solo Matteo Paris, scrittore contempo-raneo, è vero, aggiugniamo ancora, se così si voglia,scrittore esatto, ma che finalmente vivea nell'Inghilterra,e non poteva perciò essere troppo bene istruito degli af-fari d'Italia, egli solo, dico, ci dà notizia di questo fatto.Le leggi di buona Critica a chi ci consigliano di darfede?

XIII. Di Pier delle Vigne abbiamo sei libridi Lettere, altre scritte in suo nome, altre, ele più, in nome di Federigo, intorno a che unnon leggero errore ha commesso il Mar-

chand (Dict. Hist. p. 313, note 7), per cui si direbbe qua-

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Lettere di Pier delle Vigne.

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si ch'ei non sapesse troppo ben di latino, perciocchè rap-portando un passo di un autor tedesco, il qual dice chequeste Lettere furono scritte da Pietro per la maggiorparte non ex sua sed ex imperatoris sui Friderici perso-na, ne raccoglie che l'imperador medesimo è autore del-la maggior parte di queste Lettere. Esse, dopo due piùantiche edizioni, sono state di nuovo date alla luce peropera di Gian Ridolfo Iselio in Basilea l'an. 1740. Ma igiornalisti fiorentini si dolgono, e a gran ragione, chequesta edizione sia assai meno esatta che non parea do-versi aspettare. Le Lettere di Pier delle Vigne sono unode' più bei monumenti del sec. XIII, e sarebbono som-mamente giovevoli ad illustrarne la storia. Ma a ciòfare, converrebbe ch'esse fossero distribuite secondol'ordine cronologico, che diligentemente fossero con-frontate co' diversi codici mss. che ne hanno alcune bi-blioteche, che ad esse si aggiugnessero tutte quelle che osono state già pubblicate da diversi autori, o si giaccionoancora inedite; e che si separassero quelle che furonoscritte da Pietro, da quelle che in niun modo gli si pos-sono attribuire. Or la recente edizione di Basilea non haalcuno di questi pregi. Le lettere sono confuse senza al-cuna distinzione di tempo; vi s'incontrano infiniti passioscuri ed intralciati, per modo che non se ne ritrae alcunsenso; non solo non si sono aggiunte le molte lettereinedite, trattene tre sole, ma non si è pure pensato ad in-serirvi quelle che da alcuni altri scrittori, e singolarmen-te da' pp. Martene e Durand (Collect. Vet. Script. vol. 2)sono già state date alla luce; e finalmente molte sono le

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si ch'ei non sapesse troppo ben di latino, perciocchè rap-portando un passo di un autor tedesco, il qual dice chequeste Lettere furono scritte da Pietro per la maggiorparte non ex sua sed ex imperatoris sui Friderici perso-na, ne raccoglie che l'imperador medesimo è autore del-la maggior parte di queste Lettere. Esse, dopo due piùantiche edizioni, sono state di nuovo date alla luce peropera di Gian Ridolfo Iselio in Basilea l'an. 1740. Ma igiornalisti fiorentini si dolgono, e a gran ragione, chequesta edizione sia assai meno esatta che non parea do-versi aspettare. Le Lettere di Pier delle Vigne sono unode' più bei monumenti del sec. XIII, e sarebbono som-mamente giovevoli ad illustrarne la storia. Ma a ciòfare, converrebbe ch'esse fossero distribuite secondol'ordine cronologico, che diligentemente fossero con-frontate co' diversi codici mss. che ne hanno alcune bi-blioteche, che ad esse si aggiugnessero tutte quelle che osono state già pubblicate da diversi autori, o si giaccionoancora inedite; e che si separassero quelle che furonoscritte da Pietro, da quelle che in niun modo gli si pos-sono attribuire. Or la recente edizione di Basilea non haalcuno di questi pregi. Le lettere sono confuse senza al-cuna distinzione di tempo; vi s'incontrano infiniti passioscuri ed intralciati, per modo che non se ne ritrae alcunsenso; non solo non si sono aggiunte le molte lettereinedite, trattene tre sole, ma non si è pure pensato ad in-serirvi quelle che da alcuni altri scrittori, e singolarmen-te da' pp. Martene e Durand (Collect. Vet. Script. vol. 2)sono già state date alla luce; e finalmente molte sono le

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lettere delle quali non si può credere autore Pier delleVigne, perciocchè furono scritte molti e molti anni dac-chè egli era già morto. Io tralascio di sconvolgere piùampiamente, e di recar le pruove di ciò che affermo per-chè innanzi a me già l'han fatto con singolar diligenza isopraddetti giornalisti, i quali aggiungono ancora comeconverrebbe condursi a darne una pregevole edizione.Alcune ne vediamo promesse (V. Fabr. Bibl. lat. med.inf. aetat. t. 5, p. 284), e desideriam sommamente chequalche uomo erudito insieme e diligente si accinga unavolta a quest'opera che ad illustrare la storia recherà aju-to e lume non ordinario.

XIV. Oltre le Lettere, raccolse Pier delleVigne e distese le Leggi del regno di Sici-lia, come dallo stesso lor titolo si racco-glie. Il Tritemio (De Script. eccl. c. 434)gli attribuisce un libro intorno alla Pode-stà imperiale. Il Volterrano (Anthropol. l.23) un altro intitolato della Consolazione,

da lui scritto a imitazione di Boezio. Di alcune poesieitaliane da lui composte ragioneremo altrove. Ma nonvuolsi tacere di un altro libro famoso non meno per lasua empietà che per l'incertezza della sua esistenza, dicui credesi da alcuni autor Pier delle Vigne. Egli è que-sto il celebre libro De tribus Impostoribus, su cui tantosi è disputato, e tuttavia si disputa, e disputerassi forseancora per lungo tempo, se mai sia stato al mondo, ben-

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Altre sue ope-re; se egli, o Federigo II fossero autori del libro De tribus impo-storibus.

lettere delle quali non si può credere autore Pier delleVigne, perciocchè furono scritte molti e molti anni dac-chè egli era già morto. Io tralascio di sconvolgere piùampiamente, e di recar le pruove di ciò che affermo per-chè innanzi a me già l'han fatto con singolar diligenza isopraddetti giornalisti, i quali aggiungono ancora comeconverrebbe condursi a darne una pregevole edizione.Alcune ne vediamo promesse (V. Fabr. Bibl. lat. med.inf. aetat. t. 5, p. 284), e desideriam sommamente chequalche uomo erudito insieme e diligente si accinga unavolta a quest'opera che ad illustrare la storia recherà aju-to e lume non ordinario.

XIV. Oltre le Lettere, raccolse Pier delleVigne e distese le Leggi del regno di Sici-lia, come dallo stesso lor titolo si racco-glie. Il Tritemio (De Script. eccl. c. 434)gli attribuisce un libro intorno alla Pode-stà imperiale. Il Volterrano (Anthropol. l.23) un altro intitolato della Consolazione,

da lui scritto a imitazione di Boezio. Di alcune poesieitaliane da lui composte ragioneremo altrove. Ma nonvuolsi tacere di un altro libro famoso non meno per lasua empietà che per l'incertezza della sua esistenza, dicui credesi da alcuni autor Pier delle Vigne. Egli è que-sto il celebre libro De tribus Impostoribus, su cui tantosi è disputato, e tuttavia si disputa, e disputerassi forseancora per lungo tempo, se mai sia stato al mondo, ben-

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Altre sue ope-re; se egli, o Federigo II fossero autori del libro De tribus impo-storibus.

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chè pur siavi qualche libro che di qualche empio moder-no scrittore è stato con tal titolo pubblicato, e siavi an-cora chi creda che un libro di somigliante argomento,ch'è corso non ha molt'anni, sia uscito dalla penna di unautore recente troppo famoso per la sua empietà, nonmeno che pel suo ingegno. Io non voglio a questo luogocercare se ne' tempi addietro sia mai stato composto epubblicato un tal libro, di che si offrirà più opportunaoccasione, ove dovrò trattare di Pietro Aretino, a cuiquesto libro da alcuni si attribuisce. Qui mi basterà ilmostrare chè nè Pier delle Vigne, nè Federigo II, comeda alcuni si dice, non ne furono autori; e parmi che ciòpossa mostrarsi con quell'argomento medesimo di cuialcuni si son valuti ad affermarlo. Mentre Federigo vi-vea, corse voce ch'egli avesse empiamente asserito, treimpostori essere stati al mondo, che co' loro raggiril'avevan sedotto, Mosè, Gesù Cristo, e Maometto. Inuna lettera scritta da Pier delle Vigne in nome del suopadrone a tutti i prelati (l. 1, c. 31) l'imperadore si duoleche Gregorio IX con tal calunnia lo avesse infamato; ein una nota dall'editore aggiunta alla medesima lettera sinarra sull'autorità di un'antica Cronaca della Turingia,che il langravio di questa provincia fu in ciò l'accusatoredi Federigo. E pare che tale accusa ottenesse fede, per-ciocchè veggiamo che il cardinal di Aragona fa reo Fe-derigo di sì atroce delitto (Script. rer. ital. t. 3; par. 1 p.585), e Gregorio IX in una lettera scritta all'arcivescovodi Cantorberì, e a' prelati di lui suffraganei in cui reca imotivi della scomunica da lui fulminata contro di Fede-

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chè pur siavi qualche libro che di qualche empio moder-no scrittore è stato con tal titolo pubblicato, e siavi an-cora chi creda che un libro di somigliante argomento,ch'è corso non ha molt'anni, sia uscito dalla penna di unautore recente troppo famoso per la sua empietà, nonmeno che pel suo ingegno. Io non voglio a questo luogocercare se ne' tempi addietro sia mai stato composto epubblicato un tal libro, di che si offrirà più opportunaoccasione, ove dovrò trattare di Pietro Aretino, a cuiquesto libro da alcuni si attribuisce. Qui mi basterà ilmostrare chè nè Pier delle Vigne, nè Federigo II, comeda alcuni si dice, non ne furono autori; e parmi che ciòpossa mostrarsi con quell'argomento medesimo di cuialcuni si son valuti ad affermarlo. Mentre Federigo vi-vea, corse voce ch'egli avesse empiamente asserito, treimpostori essere stati al mondo, che co' loro raggiril'avevan sedotto, Mosè, Gesù Cristo, e Maometto. Inuna lettera scritta da Pier delle Vigne in nome del suopadrone a tutti i prelati (l. 1, c. 31) l'imperadore si duoleche Gregorio IX con tal calunnia lo avesse infamato; ein una nota dall'editore aggiunta alla medesima lettera sinarra sull'autorità di un'antica Cronaca della Turingia,che il langravio di questa provincia fu in ciò l'accusatoredi Federigo. E pare che tale accusa ottenesse fede, per-ciocchè veggiamo che il cardinal di Aragona fa reo Fe-derigo di sì atroce delitto (Script. rer. ital. t. 3; par. 1 p.585), e Gregorio IX in una lettera scritta all'arcivescovodi Cantorberì, e a' prelati di lui suffraganei in cui reca imotivi della scomunica da lui fulminata contro di Fede-

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rigo, e ch'è riferita da Matteo Paris, questo ancor espri-me: Iste Rex pestilentiae a tribus Baratatoribus, ut ejusverbis utamur, Christo Jesu, et Moyse, et Mahometo, to-tum mundum fuisse deceptum, ec. (Hist. ad an. 1239), elo stesso Matteo Paris afferma che di ciò correva voce:Fertur eudem Fridericum Imperatorem dixisse, licetnon sit recitabile, tres praestigiatores callide et versute,ut dominarentur in mundo, totius populi sibi cmtempo-ranei universitatem seduxisse, videlicet Moysen, Jesum,et Mahometum (ad an. 1238). Il che pure raccontasi dapiù altri autori di quel tempo citati dal Marchand (Dict.hist. Art. Impost. note B). Era dunque sparsa la voce diquesta orrenda bestemmia pronunciata da Federigo, maquesta voce medesima ci fa veder, s'io non erro, che nèFederigo nè il suo cancelliere non iscrisser su ciò alcunlibro. Perciocchè gli storici mentovati, e lo stesso Gre-gorio IX dicon bensì che dalla bocca di Federigo uscissesì brutale empietà; ma chè su essa o egli, o alcun altropubblicasse un libro, niuno il dice. E sembra nondime-no, che se fosse corso un tal libro per le mani degli uo-mini, nè gli storici, nè molto meno Gregorio IX, l'avreb-bon dissimulato. Federigo nella sopraccitata lettera siprotesta di non aver mai proferita cotal bestemmia, e fa,per così dire, una solenne professione di fede intornoalla divinità di Cristo e alla santità di Mosè; e tali proba-bilmente erano i veri suoi sentimenti, e l'accusa controdi lui divolgata non avea forse bastevole fondamento.Ma poichè pure correva allora tal voce, presso moltiessa dovette ottener fede, e quindi quando si pubblicò

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rigo, e ch'è riferita da Matteo Paris, questo ancor espri-me: Iste Rex pestilentiae a tribus Baratatoribus, ut ejusverbis utamur, Christo Jesu, et Moyse, et Mahometo, to-tum mundum fuisse deceptum, ec. (Hist. ad an. 1239), elo stesso Matteo Paris afferma che di ciò correva voce:Fertur eudem Fridericum Imperatorem dixisse, licetnon sit recitabile, tres praestigiatores callide et versute,ut dominarentur in mundo, totius populi sibi cmtempo-ranei universitatem seduxisse, videlicet Moysen, Jesum,et Mahometum (ad an. 1238). Il che pure raccontasi dapiù altri autori di quel tempo citati dal Marchand (Dict.hist. Art. Impost. note B). Era dunque sparsa la voce diquesta orrenda bestemmia pronunciata da Federigo, maquesta voce medesima ci fa veder, s'io non erro, che nèFederigo nè il suo cancelliere non iscrisser su ciò alcunlibro. Perciocchè gli storici mentovati, e lo stesso Gre-gorio IX dicon bensì che dalla bocca di Federigo uscissesì brutale empietà; ma chè su essa o egli, o alcun altropubblicasse un libro, niuno il dice. E sembra nondime-no, che se fosse corso un tal libro per le mani degli uo-mini, nè gli storici, nè molto meno Gregorio IX, l'avreb-bon dissimulato. Federigo nella sopraccitata lettera siprotesta di non aver mai proferita cotal bestemmia, e fa,per così dire, una solenne professione di fede intornoalla divinità di Cristo e alla santità di Mosè; e tali proba-bilmente erano i veri suoi sentimenti, e l'accusa controdi lui divolgata non avea forse bastevole fondamento.Ma poichè pure correva allora tal voce, presso moltiessa dovette ottener fede, e quindi quando si pubblicò

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veramente, o si credette che fosse pubblicato un libro ditale argomento potè facilmente credersi da alcuni che oFederigo medesimo, o il suo fido Pier delle Vigne nefosse stato l'autore (5). Il suddetto Marchand ha fatta suquesto argomento una lunga non meno che erudita dis-sertazione, in cui annovera tutti quelli che di ciò hannoscritto, e raccoglie quanto essi ne han detto. Egli ancora

5 M. de la Monnoye ha aggiunta all'edizione della Menagiana fatta in Am-sterdam in quattro volumi una dissertazione diretta a provare che il libroDe tribus Impostoribus non è altro che una chimera, la qual non ha maiavuta esistenza. A questa fu contrapposta un'altra dissertazione stampataall'Aja nel 1716, in cui per distruggere l'opinione di m. de la Monnoyel'autor anonimo parla a lungo di un codice da lui veduto nel 1706 in Franc-fort sul Meno, scritto in carattere antico, e assai difficile a leggersi, senzafrontespizio, ma che avea in principio questa direzione: Othoni Illustrissi-mo Amico meo charissimo F. I. D. S., e cominciava con queste parole:"Quod de tribus famosissimis deceptoribus in ordinem jussu meo digessitdoctissimus illevir, qui cum sermonem de illa re in Museo meo habuisti,escribi curavi, atque Codicem illum stilo aequo vero ac puro scriptum adte ut primum mitto, ec.". Egli dunque pretende che quelle parole F. I. D. S.voglian significare Fridericus Imperator Dicit Salutem; che quell'Ottone acui egli scrive, sia Ottone duca di Baviera, e che l'uom dottissimo ivi no-minato sia probabilmente Pier delle Vigne. Ma a farci meglio conoscerel'autorità di questo codice, sarebbe stato necessario l'esaminar bene, e ildescrivere esattamente la forma de' caratteri, per conoscere a qual secoloesso appartenga, e inoltre il riportarne qualche notabil frammento, perchèsi potesse meglio ravvisarne lo stile. Certo la pruova tratta dalle accennatelettere iniziali, e dal nome di Ottone, è troppo debole e incerta. Io ho con-frontato il breve estratto che di quest'opuscolo ci dà il suddetto autore colcodice recente di un altro opuscolo col medesimo titolo, che ha questa bi-blioteca estense, il quale è tratto dalla rarissima edizione fattane colla datadel 1598, di cui si è parlato in questo Giornale di Modena (t. 7, p. 199,ec.); e i due opuscoli sembran del tutto diversi l'uno dall'altro. Di un'altraedizione di un libro dello stesso argomento fatta nel 1538 diremo altrove(t. 7, par. 2, t. 8). Ma niuna si può provare che contenga un'opera dell'imp.Federigo.

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veramente, o si credette che fosse pubblicato un libro ditale argomento potè facilmente credersi da alcuni che oFederigo medesimo, o il suo fido Pier delle Vigne nefosse stato l'autore (5). Il suddetto Marchand ha fatta suquesto argomento una lunga non meno che erudita dis-sertazione, in cui annovera tutti quelli che di ciò hannoscritto, e raccoglie quanto essi ne han detto. Egli ancora

5 M. de la Monnoye ha aggiunta all'edizione della Menagiana fatta in Am-sterdam in quattro volumi una dissertazione diretta a provare che il libroDe tribus Impostoribus non è altro che una chimera, la qual non ha maiavuta esistenza. A questa fu contrapposta un'altra dissertazione stampataall'Aja nel 1716, in cui per distruggere l'opinione di m. de la Monnoyel'autor anonimo parla a lungo di un codice da lui veduto nel 1706 in Franc-fort sul Meno, scritto in carattere antico, e assai difficile a leggersi, senzafrontespizio, ma che avea in principio questa direzione: Othoni Illustrissi-mo Amico meo charissimo F. I. D. S., e cominciava con queste parole:"Quod de tribus famosissimis deceptoribus in ordinem jussu meo digessitdoctissimus illevir, qui cum sermonem de illa re in Museo meo habuisti,escribi curavi, atque Codicem illum stilo aequo vero ac puro scriptum adte ut primum mitto, ec.". Egli dunque pretende che quelle parole F. I. D. S.voglian significare Fridericus Imperator Dicit Salutem; che quell'Ottone acui egli scrive, sia Ottone duca di Baviera, e che l'uom dottissimo ivi no-minato sia probabilmente Pier delle Vigne. Ma a farci meglio conoscerel'autorità di questo codice, sarebbe stato necessario l'esaminar bene, e ildescrivere esattamente la forma de' caratteri, per conoscere a qual secoloesso appartenga, e inoltre il riportarne qualche notabil frammento, perchèsi potesse meglio ravvisarne lo stile. Certo la pruova tratta dalle accennatelettere iniziali, e dal nome di Ottone, è troppo debole e incerta. Io ho con-frontato il breve estratto che di quest'opuscolo ci dà il suddetto autore colcodice recente di un altro opuscolo col medesimo titolo, che ha questa bi-blioteca estense, il quale è tratto dalla rarissima edizione fattane colla datadel 1598, di cui si è parlato in questo Giornale di Modena (t. 7, p. 199,ec.); e i due opuscoli sembran del tutto diversi l'uno dall'altro. Di un'altraedizione di un libro dello stesso argomento fatta nel 1538 diremo altrove(t. 7, par. 2, t. 8). Ma niuna si può provare che contenga un'opera dell'imp.Federigo.

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confessa che non si può attribuire un tal libro nè a Fede-rigo II, nè a Pier delle Vigne; ma come mai ha egli potu-to scrivere (l. c. nota F) che i giornalisti fiorentini da noimentovati poc'anzi hanno adottata la contraria opinio-ne? Essi dicono (l. c. p. 76), è vero, che questo libro sisuole comunemente attribuire a Pier delle Vigne. Ma seil Marchand avesse continuata per poco la lettura del lorGiornale, avrebbe veduto che non molto dopo essi sog-giungono: Noi però stimiamo che nè l'imp. Federigo, nèper ordine del medesimo, Pietro delle Vigne compones-se un libro di tale argomento. Ma di questo celebre can-celliere basti aver detto fin qui, e ripigliamo omai il ra-gionamento intorno ai sovrani che in questo tempo pro-mossero e fomentaron gli studj.

XV. Rodolfo, Adolfo e Alberto, che l'undopo l'altro dopo la morte di Federigo II fu-rono re de' Romani, ma non presero mai lacorona imperiale, poco, o niun pensiero eb-bero delle cose d'Italia, e molto menodell'italiana letteratura. Ma nel regno di Si-cilia Federigo ebbe per successore Manfredi

che prima la governò col titolo di reggente, poscia neprese l'assoluto dominio, come nel precedente capo si èdetto. Niccolò di Jamsilla ne fa un elogio sì luminoso(Script. rer. ital. vol. 8, p. 497), che del più saggio prin-cipe non potrebbe farsi maggiore; nè egli lascia di fre-giarlo di quegli ornamenti che a quel tempo dovean pa-

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Impegno diManfrendi e di Corra-do re di Si-cilia nel promuover gli studj.

confessa che non si può attribuire un tal libro nè a Fede-rigo II, nè a Pier delle Vigne; ma come mai ha egli potu-to scrivere (l. c. nota F) che i giornalisti fiorentini da noimentovati poc'anzi hanno adottata la contraria opinio-ne? Essi dicono (l. c. p. 76), è vero, che questo libro sisuole comunemente attribuire a Pier delle Vigne. Ma seil Marchand avesse continuata per poco la lettura del lorGiornale, avrebbe veduto che non molto dopo essi sog-giungono: Noi però stimiamo che nè l'imp. Federigo, nèper ordine del medesimo, Pietro delle Vigne compones-se un libro di tale argomento. Ma di questo celebre can-celliere basti aver detto fin qui, e ripigliamo omai il ra-gionamento intorno ai sovrani che in questo tempo pro-mossero e fomentaron gli studj.

XV. Rodolfo, Adolfo e Alberto, che l'undopo l'altro dopo la morte di Federigo II fu-rono re de' Romani, ma non presero mai lacorona imperiale, poco, o niun pensiero eb-bero delle cose d'Italia, e molto menodell'italiana letteratura. Ma nel regno di Si-cilia Federigo ebbe per successore Manfredi

che prima la governò col titolo di reggente, poscia neprese l'assoluto dominio, come nel precedente capo si èdetto. Niccolò di Jamsilla ne fa un elogio sì luminoso(Script. rer. ital. vol. 8, p. 497), che del più saggio prin-cipe non potrebbe farsi maggiore; nè egli lascia di fre-giarlo di quegli ornamenti che a quel tempo dovean pa-

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Impegno diManfrendi e di Corra-do re di Si-cilia nel promuover gli studj.

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rere ammirabili, cioè col ricercar sottilmente diverse eti-mologie del nome di Manfredi, e coll'additare in esse lepiù ampie lodi del suo eroe. Or, fra le altre cose, egliesalta lo studio della filosofia, a cui anche in età fanciul-lesca ardentemente si volse, seguendo gli esempj delsuo genitor Federigo. Somiglianti encomj ne fa SabaMalaspina, scrittore egli ancora contemporaneo, dicen-do (Hist. l. 1, c. 1, ib. p. 787) che fece grandi progressinelle arti liberali, talchè sembrava ammaestrato nelle piùcelebri scuole, e che coll'assidua applicazione acquistos-si un incredibil sapere. Io non dubito punto che in cotalielogi non vi abbia esagerazione oltre il bisogno. Manondimeno non può negarsi ch'ei non fosse sollecito dellieto stato della letteratura. Noi vedremo nel capo se-guente ciò ch'egli adoprò a vantaggio delle pubblichescuole di Napoli, che da lui furono riformate, e poste inpiù perfetto sistema, ed altrove vedremo ch'egli fececontinuare la traduzione delle Opere di Aristotele, co-minciata per ordine di Federigo. Qui basti l'accennareuna lettera da lui scritta all'occasion del mandare ch'eifece a Napoli un professore di diritto canonico, la qualeè stata pubblicata da' pp. Martene e Durand (Collect.Vet. Script. t. 2, p. 1218). Perciocchè in essa egli ben dàa vedere quanto desiderasse che gli studi fossero con ar-dor coltivati, dicendo che tra gli altri ornamenti di cui vaglorioso il suo regno ei brama che le arti liberali e lescienze vi fioriscano felicemente, acciocchè que' popoliche dal clima stesso natio sortita aveano agli studj la piùfelice disposizione, siano in essi opportunamente istrui-

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rere ammirabili, cioè col ricercar sottilmente diverse eti-mologie del nome di Manfredi, e coll'additare in esse lepiù ampie lodi del suo eroe. Or, fra le altre cose, egliesalta lo studio della filosofia, a cui anche in età fanciul-lesca ardentemente si volse, seguendo gli esempj delsuo genitor Federigo. Somiglianti encomj ne fa SabaMalaspina, scrittore egli ancora contemporaneo, dicen-do (Hist. l. 1, c. 1, ib. p. 787) che fece grandi progressinelle arti liberali, talchè sembrava ammaestrato nelle piùcelebri scuole, e che coll'assidua applicazione acquistos-si un incredibil sapere. Io non dubito punto che in cotalielogi non vi abbia esagerazione oltre il bisogno. Manondimeno non può negarsi ch'ei non fosse sollecito dellieto stato della letteratura. Noi vedremo nel capo se-guente ciò ch'egli adoprò a vantaggio delle pubblichescuole di Napoli, che da lui furono riformate, e poste inpiù perfetto sistema, ed altrove vedremo ch'egli fececontinuare la traduzione delle Opere di Aristotele, co-minciata per ordine di Federigo. Qui basti l'accennareuna lettera da lui scritta all'occasion del mandare ch'eifece a Napoli un professore di diritto canonico, la qualeè stata pubblicata da' pp. Martene e Durand (Collect.Vet. Script. t. 2, p. 1218). Perciocchè in essa egli ben dàa vedere quanto desiderasse che gli studi fossero con ar-dor coltivati, dicendo che tra gli altri ornamenti di cui vaglorioso il suo regno ei brama che le arti liberali e lescienze vi fioriscano felicemente, acciocchè que' popoliche dal clima stesso natio sortita aveano agli studj la piùfelice disposizione, siano in essi opportunamente istrui-

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ti. Corrado ancora fratel di Manfredi, a cui, come a fi-gliuol legittimo di Federigo, di ragione toccava il regno,e che in fatti prima di lui ne fu per qualche tempo signo-re, pensò a giovare alla letteraria educazion di que' po-poli colle pubbliche scuole ch'egli rinnovò e riformò inSalerno, come vedremo nel capo seguente. Così il regnodi Sicilia ebbe a questi tempi la sorte di aver sovrani chevolendo provveder saggiamente alla felicità de' lor sud-diti, si adoperarono a rinnovar quell'ardore nel coltiva-mento de' buoni studj, per cui i Siciliani si eran rendutisì celebri nelle antiche età, e per cui in questo secolo an-cora salirono in gran fama, come dovrem vedere trattan-do de' poeti italiani.

XVI. Carlo I d'Angiò, e Carlo II di lui fi-gliuolo, che signoreggiaron quel regno diqua dal Faro, non furono meno splendidiprotettori delle scienze e de' dotti, come ve-

dremo singolarmente nel favellar delle scuole di questoregno. Di Pietro, e di Jacopo d'Aragona, che furon so-vrani in Sicilia, non leggiamo che accordassero allescienze protezione ed onore; e le guerre quasi continueche dovettero sostenere, non l'avrebbe probabilmenteloro permesso, quando pure l'avesser voluto. E comequeste furono egualmente fatali anche al regno di Napo-li, così è probabile che in queste parti ancora la munifi-cenza de' dotti principi non ottenesse quel lieto effettoche poteva sperarsene. Ben cominciò allora a rivedersi

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Lo stesso fanno CarloI e Carlo II.

ti. Corrado ancora fratel di Manfredi, a cui, come a fi-gliuol legittimo di Federigo, di ragione toccava il regno,e che in fatti prima di lui ne fu per qualche tempo signo-re, pensò a giovare alla letteraria educazion di que' po-poli colle pubbliche scuole ch'egli rinnovò e riformò inSalerno, come vedremo nel capo seguente. Così il regnodi Sicilia ebbe a questi tempi la sorte di aver sovrani chevolendo provveder saggiamente alla felicità de' lor sud-diti, si adoperarono a rinnovar quell'ardore nel coltiva-mento de' buoni studj, per cui i Siciliani si eran rendutisì celebri nelle antiche età, e per cui in questo secolo an-cora salirono in gran fama, come dovrem vedere trattan-do de' poeti italiani.

XVI. Carlo I d'Angiò, e Carlo II di lui fi-gliuolo, che signoreggiaron quel regno diqua dal Faro, non furono meno splendidiprotettori delle scienze e de' dotti, come ve-

dremo singolarmente nel favellar delle scuole di questoregno. Di Pietro, e di Jacopo d'Aragona, che furon so-vrani in Sicilia, non leggiamo che accordassero allescienze protezione ed onore; e le guerre quasi continueche dovettero sostenere, non l'avrebbe probabilmenteloro permesso, quando pure l'avesser voluto. E comequeste furono egualmente fatali anche al regno di Napo-li, così è probabile che in queste parti ancora la munifi-cenza de' dotti principi non ottenesse quel lieto effettoche poteva sperarsene. Ben cominciò allora a rivedersi

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Lo stesso fanno CarloI e Carlo II.

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in Italia il lusso e la mollezza, che la barbarie dell'etàprecedenti n'avea sbandito. La descrizione che Saba Ma-laspina ha inserita nelle sue Storie (l. 5, c. 4) delle solen-ni feste celebrate da Carlo I in Napoli, poichè fu pacifi-co possessor di quel regno, ci danno una tale idea di ma-gnificenza e di pompa, che appena sembra potersi im-maginar lusso e sfoggio maggiore. Se ciò recasse giova-mento all'Italia, io lascierò che il decidano i moderni po-litici trattatori di tale argomento.

XVII. I romani pontefici di questa età siadoperarono essi ancora e come sovrani del-le provincie loro soggette, e come capi e pa-stori della Chiesa di Cristo, perchè gli studinon si giacessero trasandati, e quelli in par-

ticolar modo che agli ecclesiastici son più necessarj. Perisfuggire la lunghezza io parlerò di alcuni solo tra loro,che nel coltivare e nel fomentare le lettere si renderonpiù illustri, e recarono alla Chiesa maggior giovamento.Innocenzo III che tenne la santa sede dall'an. 1198 finoal 1216 era uomo, come si narra da un antico scrittoredella sua Vita pubblicata prima dal Baluzio (Ante Epist.Innoc. III) e poscia dal Muratori (Script. rer. ital. t. 3,pars 1, p. 486), di acuto ingegno e di profonda memo-ria; dotto nelle sacre non meno che nelle profane scien-ze, ed eloquente nel ragionare, o egli usasse la linguadel volgo, o quella de' dotti. Avea egli atteso agli studj,come soggiugne il medesimo autore, prima in Roma,

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Profondo sapere di Innocenzo III papa.

in Italia il lusso e la mollezza, che la barbarie dell'etàprecedenti n'avea sbandito. La descrizione che Saba Ma-laspina ha inserita nelle sue Storie (l. 5, c. 4) delle solen-ni feste celebrate da Carlo I in Napoli, poichè fu pacifi-co possessor di quel regno, ci danno una tale idea di ma-gnificenza e di pompa, che appena sembra potersi im-maginar lusso e sfoggio maggiore. Se ciò recasse giova-mento all'Italia, io lascierò che il decidano i moderni po-litici trattatori di tale argomento.

XVII. I romani pontefici di questa età siadoperarono essi ancora e come sovrani del-le provincie loro soggette, e come capi e pa-stori della Chiesa di Cristo, perchè gli studinon si giacessero trasandati, e quelli in par-

ticolar modo che agli ecclesiastici son più necessarj. Perisfuggire la lunghezza io parlerò di alcuni solo tra loro,che nel coltivare e nel fomentare le lettere si renderonpiù illustri, e recarono alla Chiesa maggior giovamento.Innocenzo III che tenne la santa sede dall'an. 1198 finoal 1216 era uomo, come si narra da un antico scrittoredella sua Vita pubblicata prima dal Baluzio (Ante Epist.Innoc. III) e poscia dal Muratori (Script. rer. ital. t. 3,pars 1, p. 486), di acuto ingegno e di profonda memo-ria; dotto nelle sacre non meno che nelle profane scien-ze, ed eloquente nel ragionare, o egli usasse la linguadel volgo, o quella de' dotti. Avea egli atteso agli studj,come soggiugne il medesimo autore, prima in Roma,

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Profondo sapere di Innocenzo III papa.

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poscia in Parigi, e finalmente in Bologna, e così nella fi-losofia come nella teologia si era lasciati addietro i suoicondiscepoli; il che si scuopre ne' libri ch'egli in diversitempi compose. Perciocchè innanzi al pontificato egliscrisse i libri della Miseria della condizione umana, delMistero della Messa, e de' Quattro generi di nozze. Fattoposcia pontefice scrisse sermoni e lettere decretali, lequali mostrano quanto nel divino e nell'umano diritto eifosse versato. Così il suddetto autore. Abbiamo in fattituttora le opere sopraccennate di questo pontefice, giac-chè quella ancor delle Nozze è stata pubblicata dal dot-tissimo p. ab. Trombelli ne' suoi Aneddoti; e più altreancora ne abbiamo che si annoverano dagli scrittori del-le ecclesiastiche biblioteche (V. Cave Hist. Script. eccl.),e le quali ci mostrano veracemente che Innocenzo III fuuno de' più dotti uomini del suo secolo. Ma nelle leggiera egli per singolar maniera versato e ben il dava a ve-dere nelle frequenti occasioni che gli si offerivano. Trevolte ogni settimana, come narra il medesimo sopracci-tato scrittore (l. c. p. 601), ei radunava pubblico conci-storo, il che da lungo tempo non si era usato. In esso,udite le parti, ei commetteva ad altri le cause minori,serbava a se le maggiori, e di esse disputava con inge-gno e con dottrina sì grande, che tutti ne faceano le ma-raviglie; e molti dottissimi uomini, e celebri giurecon-sulti venivano a Roma sol per udirlo; e più istruivansi intai concistori, che non avrebber fatto nelle pubblichescuole; e allora singolarmente che udivanlo proferir lesentenze; perciocchè con sottigliezza ed eloquenza sì

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poscia in Parigi, e finalmente in Bologna, e così nella fi-losofia come nella teologia si era lasciati addietro i suoicondiscepoli; il che si scuopre ne' libri ch'egli in diversitempi compose. Perciocchè innanzi al pontificato egliscrisse i libri della Miseria della condizione umana, delMistero della Messa, e de' Quattro generi di nozze. Fattoposcia pontefice scrisse sermoni e lettere decretali, lequali mostrano quanto nel divino e nell'umano diritto eifosse versato. Così il suddetto autore. Abbiamo in fattituttora le opere sopraccennate di questo pontefice, giac-chè quella ancor delle Nozze è stata pubblicata dal dot-tissimo p. ab. Trombelli ne' suoi Aneddoti; e più altreancora ne abbiamo che si annoverano dagli scrittori del-le ecclesiastiche biblioteche (V. Cave Hist. Script. eccl.),e le quali ci mostrano veracemente che Innocenzo III fuuno de' più dotti uomini del suo secolo. Ma nelle leggiera egli per singolar maniera versato e ben il dava a ve-dere nelle frequenti occasioni che gli si offerivano. Trevolte ogni settimana, come narra il medesimo sopracci-tato scrittore (l. c. p. 601), ei radunava pubblico conci-storo, il che da lungo tempo non si era usato. In esso,udite le parti, ei commetteva ad altri le cause minori,serbava a se le maggiori, e di esse disputava con inge-gno e con dottrina sì grande, che tutti ne faceano le ma-raviglie; e molti dottissimi uomini, e celebri giurecon-sulti venivano a Roma sol per udirlo; e più istruivansi intai concistori, che non avrebber fatto nelle pubblichescuole; e allora singolarmente che udivanlo proferir lesentenze; perciocchè con sottigliezza ed eloquenza sì

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grande egli arringava, che ciascheduna parte credevasivincitrice, quando l'udiva allegare le sue ragioni, nè al-cun sì dotto avvocato gli venne mai innanzi, che non te-messe l'averlo contrario. Nel sentenziare poi era egli sìamante del giusto, che non mai ebbe riguardo a persona,nè mai si distolse dal diritto sentiero. Quindi da ogniparte del mondo tante e sì importanti cause venivano altribunal d'Innocenzo, che ugual numero non aveanneavuto tutti insieme i pontefici di molti secoli addietro.Molte in fatti a questo luogo ne annovera lo stesso scrit-tore che dalle più lontane provincie d'Europa furon tra-smesse a Roma, perchè il pontefice ne giudicasse. E ve-ramente le Lettere e le Decretali d'Innocenzo cel mostra-no uomo nelle divine al pari che nelle umane leggi pro-fondamente versato. Ma di esse noi dovrem ragionare aluogo più opportuno.

XVIII. Il solo esempio di un sì dotto ponte-fice bastar poteva ad avvivare il fervore nelcoltivamento degli studj. Egli però vi ag-giunse innoltre il promuoverli con ogni sor-ta di mezzi più opportuni. Vedrem nel capo

seguente gli onori con cui distinse l'università di Bolo-gna. Quella ancor di Parigi riconosce da lui in certa ma-niera il suo stabilimento; perciocchè le più antiche leggidi essa, che ancor ci rimangono, son quelle che l'an.1215 prescritte furono da Roberto di Courçon legatod'Innocenzo in Francia (Crevier Hist. de l'Univ. de Paris

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Leggi da lui promul-gate in fa-vor delle lettere.

grande egli arringava, che ciascheduna parte credevasivincitrice, quando l'udiva allegare le sue ragioni, nè al-cun sì dotto avvocato gli venne mai innanzi, che non te-messe l'averlo contrario. Nel sentenziare poi era egli sìamante del giusto, che non mai ebbe riguardo a persona,nè mai si distolse dal diritto sentiero. Quindi da ogniparte del mondo tante e sì importanti cause venivano altribunal d'Innocenzo, che ugual numero non aveanneavuto tutti insieme i pontefici di molti secoli addietro.Molte in fatti a questo luogo ne annovera lo stesso scrit-tore che dalle più lontane provincie d'Europa furon tra-smesse a Roma, perchè il pontefice ne giudicasse. E ve-ramente le Lettere e le Decretali d'Innocenzo cel mostra-no uomo nelle divine al pari che nelle umane leggi pro-fondamente versato. Ma di esse noi dovrem ragionare aluogo più opportuno.

XVIII. Il solo esempio di un sì dotto ponte-fice bastar poteva ad avvivare il fervore nelcoltivamento degli studj. Egli però vi ag-giunse innoltre il promuoverli con ogni sor-ta di mezzi più opportuni. Vedrem nel capo

seguente gli onori con cui distinse l'università di Bolo-gna. Quella ancor di Parigi riconosce da lui in certa ma-niera il suo stabilimento; perciocchè le più antiche leggidi essa, che ancor ci rimangono, son quelle che l'an.1215 prescritte furono da Roberto di Courçon legatod'Innocenzo in Francia (Crevier Hist. de l'Univ. de Paris

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Leggi da lui promul-gate in fa-vor delle lettere.

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t. 1, p. 296); e più altre Bolle ancor egli le indirizzò, ac-cordandole privilegi, e prescrivendole regolamenti (Bu-laeus Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 23, 60, ec; Crevier t. 1, p.284, 268, 315, ec.). Ma ei non fu pago di provvedere alvantaggio d'alcune scuole e a tutta la Chiesa rivolse lepremurose sue sollecitudini. Quindi, avendo radunatol'an. 1215 il quarto concilio lateranese, vi fe' pubblicarealcune leggi opportunissime per diradar sempre più letenebre della ignoranza del clero non ancora ben dissi-pate, e per condurre a più fiorente stato la Chiesa. Il dot-to p. Tomassin le ha unite insieme (De Eccles. discipl. t.1, l. 1, c. 10, n. 1). In esse rinnovansi quelle che già daaltri sinodi erano state prescritte, e che da noi ancora sisono a' luoghi loro accennate; ma che forse non si osser-vavano esattamente; e insieme alcune altre nuove se neprescrivono. Si ordina adunque che il vescovo insiemecol capitolo in ogni chiesa cattedrale nomini un precet-tor di gramatica ad istruzione de' chierici; che in tutte lealtre chiese ancora si faccia lo stesso, ove le rendite sia-no a ciò sufficienti, che nelle chiese metropolitane in-noltre v'abbia un teologo, il quale al clero e ad altri an-cora spieghi la sacra Scrittura, e gli istruisca in tutto ciòche alla cura dell'anime è necessario; che i gramatici e iteologi godano ciascheduno di una prebenda, acciocchèabbian di che vivere onestamente; e che ove la povertàdella chiesa metropolitana non le permetta di assegnarea tal fine ad amendue i professori una prebenda, essal'assegni al teologo, e qualche altra chiesa o della città, odella diocesi l'assegni al gramatico. Così Innocenzo

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t. 1, p. 296); e più altre Bolle ancor egli le indirizzò, ac-cordandole privilegi, e prescrivendole regolamenti (Bu-laeus Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 23, 60, ec; Crevier t. 1, p.284, 268, 315, ec.). Ma ei non fu pago di provvedere alvantaggio d'alcune scuole e a tutta la Chiesa rivolse lepremurose sue sollecitudini. Quindi, avendo radunatol'an. 1215 il quarto concilio lateranese, vi fe' pubblicarealcune leggi opportunissime per diradar sempre più letenebre della ignoranza del clero non ancora ben dissi-pate, e per condurre a più fiorente stato la Chiesa. Il dot-to p. Tomassin le ha unite insieme (De Eccles. discipl. t.1, l. 1, c. 10, n. 1). In esse rinnovansi quelle che già daaltri sinodi erano state prescritte, e che da noi ancora sisono a' luoghi loro accennate; ma che forse non si osser-vavano esattamente; e insieme alcune altre nuove se neprescrivono. Si ordina adunque che il vescovo insiemecol capitolo in ogni chiesa cattedrale nomini un precet-tor di gramatica ad istruzione de' chierici; che in tutte lealtre chiese ancora si faccia lo stesso, ove le rendite sia-no a ciò sufficienti, che nelle chiese metropolitane in-noltre v'abbia un teologo, il quale al clero e ad altri an-cora spieghi la sacra Scrittura, e gli istruisca in tutto ciòche alla cura dell'anime è necessario; che i gramatici e iteologi godano ciascheduno di una prebenda, acciocchèabbian di che vivere onestamente; e che ove la povertàdella chiesa metropolitana non le permetta di assegnarea tal fine ad amendue i professori una prebenda, essal'assegni al teologo, e qualche altra chiesa o della città, odella diocesi l'assegni al gramatico. Così Innocenzo

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provvedea saggiamente all'istruzione del clero; da cuiposcia il popol tutto dovea essere istruito.

XIX. Onorio III, successor d'Innocen-zo III, dall'an. 1216 fino al 1227 per-chè più facilmente si potessero esegui-

re le leggi del suo antecessore, ordinò che i capitolimandassero alle pubbliche università alcuni giovani ca-nonici che in esse si venisser formando agli studj lorproprj; e acciocchè avesser più agio a ben istruirsi, cosìa' chierici che studiavano, come a' professori di teologia,accordò l'esenzione dalla residenza, intorno a che abbia-mo una Bolla di questo papa pubblicata da' pp. Martenee Durand (Collect. Vet. Script. vol. 1, p. 1146). E bendied'egli a vedere quanto gli stesse a cuore che il cleronon si giacesse nell'ignoranza; perciocchè, come abbia-mo da un'antica Cronaca, un vescovo fu da lui deposto,solo perchè era rozzo nella gramatica: Deposuit episco-pum, qui Donatum non legerat (Memorial. Potest. Re-giens. vol. 8 Script. rer. ital. p. 1083). Per l'università diParigi ei non fu meno sollecito del suo predecessore, emolte furon le Bolle da lui spedite o ad accrescerne illustro, o a toglierne gli abusi, le quali son rammentatedal Du Boulai (Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 93, 96 ec.) e dalCrevier (Hist. de l'Univ. de Paris t. 1, p. 287, 291, 316,331, ec.). Nè minore fu l'impegno che egli ebbe perl'università di Bologna, di che dovrem ragionare nelcapo seguente. Credesi finalmente ch'ei fosse l'istitutore

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Onorio III ne seguegli esempj.

provvedea saggiamente all'istruzione del clero; da cuiposcia il popol tutto dovea essere istruito.

XIX. Onorio III, successor d'Innocen-zo III, dall'an. 1216 fino al 1227 per-chè più facilmente si potessero esegui-

re le leggi del suo antecessore, ordinò che i capitolimandassero alle pubbliche università alcuni giovani ca-nonici che in esse si venisser formando agli studj lorproprj; e acciocchè avesser più agio a ben istruirsi, cosìa' chierici che studiavano, come a' professori di teologia,accordò l'esenzione dalla residenza, intorno a che abbia-mo una Bolla di questo papa pubblicata da' pp. Martenee Durand (Collect. Vet. Script. vol. 1, p. 1146). E bendied'egli a vedere quanto gli stesse a cuore che il cleronon si giacesse nell'ignoranza; perciocchè, come abbia-mo da un'antica Cronaca, un vescovo fu da lui deposto,solo perchè era rozzo nella gramatica: Deposuit episco-pum, qui Donatum non legerat (Memorial. Potest. Re-giens. vol. 8 Script. rer. ital. p. 1083). Per l'università diParigi ei non fu meno sollecito del suo predecessore, emolte furon le Bolle da lui spedite o ad accrescerne illustro, o a toglierne gli abusi, le quali son rammentatedal Du Boulai (Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 93, 96 ec.) e dalCrevier (Hist. de l'Univ. de Paris t. 1, p. 287, 291, 316,331, ec.). Nè minore fu l'impegno che egli ebbe perl'università di Bologna, di che dovrem ragionare nelcapo seguente. Credesi finalmente ch'ei fosse l'istitutore

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Onorio III ne seguegli esempj.

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della carica del maestro del sacro palazzo, e che a que-sto ufficio prima d'ogni altro nominasse s. Domenico.Di questo santo racconta Giovanni Colonna, scrittore,contemporaneo (V. Acta SS. t. 1, aug. in Vita s. Domin.parag. 29), che essendo in Roma, e spiegando nellepubbliche scuole le Pistole di s. Paolo, gran follad'uomini accorreva ad udirlo, fra' quali vedevansi anco-ra molti prelati; e che da tutti ei veniva appellato mae-stro. Or di qua scrivono parecchi antichi autori citati daipp. Quetif e Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 21), eda' continuatori degli Atti de' Santi (l. c.), che prendesseorigine la carica mentovata, e che s. Domenico fosse daOnorio III chiamato alla sua corte, acciocchè egli, e que'che poscia gli succederono, vi tenesser lezioni di sacraScrittura e di altri somiglianti argomenti; il che fu a que'primi tempi, per detto de' mentovati dottissimi scrittoridomenicani, il principale impiego de' maestri del sacropalazzo.

XX. Gli elogi che il cardinal d'Aragona fadel pontef. Gregorio IX, successore di Ono-rio, dall'an. 1227 fino al 1241, potranno for-se sembrare esagerati alquanto; perciocchè

egli il dice fornito di perspicace ingegno e di vasta me-moria, egregiamente istruito così nell'arti liberali comenel sacro e nel civile diritto, e fiume di tulliana eloquen-za (Script. rer. ital. t. 3, pars 1, p. 575). Ma le cose dalui operate a pro degli studj ci mostrano chiaramente

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E così pureGregorioIX.

della carica del maestro del sacro palazzo, e che a que-sto ufficio prima d'ogni altro nominasse s. Domenico.Di questo santo racconta Giovanni Colonna, scrittore,contemporaneo (V. Acta SS. t. 1, aug. in Vita s. Domin.parag. 29), che essendo in Roma, e spiegando nellepubbliche scuole le Pistole di s. Paolo, gran follad'uomini accorreva ad udirlo, fra' quali vedevansi anco-ra molti prelati; e che da tutti ei veniva appellato mae-stro. Or di qua scrivono parecchi antichi autori citati daipp. Quetif e Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 21), eda' continuatori degli Atti de' Santi (l. c.), che prendesseorigine la carica mentovata, e che s. Domenico fosse daOnorio III chiamato alla sua corte, acciocchè egli, e que'che poscia gli succederono, vi tenesser lezioni di sacraScrittura e di altri somiglianti argomenti; il che fu a que'primi tempi, per detto de' mentovati dottissimi scrittoridomenicani, il principale impiego de' maestri del sacropalazzo.

XX. Gli elogi che il cardinal d'Aragona fadel pontef. Gregorio IX, successore di Ono-rio, dall'an. 1227 fino al 1241, potranno for-se sembrare esagerati alquanto; perciocchè

egli il dice fornito di perspicace ingegno e di vasta me-moria, egregiamente istruito così nell'arti liberali comenel sacro e nel civile diritto, e fiume di tulliana eloquen-za (Script. rer. ital. t. 3, pars 1, p. 575). Ma le cose dalui operate a pro degli studj ci mostrano chiaramente

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E così pureGregorioIX.

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ch'egli aveali in pregio, e conosceane l'utilità e l'impor-tanza. Il Corpo del Diritto canonico per ordin di lui rac-colto ne' cinque libri delle Decretali è certa pruova dellasollecitudine con cui egli ebbe a cuore di promuovere eil perfezionar questa scienza. L'università di Parigi, perle domestiche turbolenze venuta quasi al nulla l'an.1229, non ebbe altro sostegno, per usar le parole di m.Crevier (Hist. de l'Univ. de Paris t. 1, p. 343), che pres-so il papa. Egli adoperossi con sommo impegno pressola corte di Francia, perchè ella fosse ristabilita; egli ac-chetò le discordie e le dissensioni, per cui essa minac-ciava rovina; egli prescrisse opportuni regolamenti per-chè ella salisse di nuovo all'antico onore (ib., ec.; Bu-laeus Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 135, ec.). L'università an-cor di Bologna fu da lui sommamente onorata coll'indi-rizzare che ad essa fece la Collezione delle Decretali perordin di lui data alla luce, come a suo luogo vedremo. Enon è a dubitare che molto più non avrebbe fatto egli egli altri romani pontefici di questi tempi, se le turbolen-ze continue in cui essi vissero, singolarmente a' tempi diFederigo II, non gli avesser costretti a volgere altrove ilpensiero.

XXI. Innocenzo IV che dopo il brevissi-mo pontificato di Celestino IV fu elettopontefice l'an. 1243, e visse fino al1254, fu uno de' più dotti uomini che al-lor vivessero, nel diritto canonico; e di

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E dopo lui Inno-cenzo IV, Ales-sandro IV e Ur-bano V.

ch'egli aveali in pregio, e conosceane l'utilità e l'impor-tanza. Il Corpo del Diritto canonico per ordin di lui rac-colto ne' cinque libri delle Decretali è certa pruova dellasollecitudine con cui egli ebbe a cuore di promuovere eil perfezionar questa scienza. L'università di Parigi, perle domestiche turbolenze venuta quasi al nulla l'an.1229, non ebbe altro sostegno, per usar le parole di m.Crevier (Hist. de l'Univ. de Paris t. 1, p. 343), che pres-so il papa. Egli adoperossi con sommo impegno pressola corte di Francia, perchè ella fosse ristabilita; egli ac-chetò le discordie e le dissensioni, per cui essa minac-ciava rovina; egli prescrisse opportuni regolamenti per-chè ella salisse di nuovo all'antico onore (ib., ec.; Bu-laeus Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 135, ec.). L'università an-cor di Bologna fu da lui sommamente onorata coll'indi-rizzare che ad essa fece la Collezione delle Decretali perordin di lui data alla luce, come a suo luogo vedremo. Enon è a dubitare che molto più non avrebbe fatto egli egli altri romani pontefici di questi tempi, se le turbolen-ze continue in cui essi vissero, singolarmente a' tempi diFederigo II, non gli avesser costretti a volgere altrove ilpensiero.

XXI. Innocenzo IV che dopo il brevissi-mo pontificato di Celestino IV fu elettopontefice l'an. 1243, e visse fino al1254, fu uno de' più dotti uomini che al-lor vivessero, nel diritto canonico; e di

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E dopo lui Inno-cenzo IV, Ales-sandro IV e Ur-bano V.

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lui però e delle opere di lui scritte su questo argomento,e delle pubbliche scuole di giurisprudenza da lui erettein Roma, e dell'università da lui fondata in Piacenza, ri-serbiamo ad altri luoghi il parlare. Io passo ancora sottosilenzio i privilegi che da lui furono conceduti alle uni-versità di Tolosa e di Valenza in Ispagna (Rainald. Ann.eccl. ad an. 1246, n. 76). Qui osserverem solamente cheper riguardo alla università di Parigi egli, per usar leespressioni del moderno storico della medesima, "supe-rò ancora tutti i suoi predecessori nel beneficarla (Cre-vier t. 1, p. 360), ed essendo egli stesso amator dellescienze e dotto giureconsulto, recavasi a dovere l'ono-rarla di singolar protezione (ib. p. 363). Veggansi da luiaccennate, e stesamente riferite dal Du Boulay (t. 3, p.195, 241, ec.), le molte Bolle promulgate a vantaggiodella medesima". E tanto era l'impegno d'Innocenzo IVnel fomentare gli studj, che ovunque ei si trovasse, sta-biliva nel suo palazzo medesimo quasi una compita uni-versità. In secundo anno sui pontificatus, dice Niccolòdi Curbio suo cappellano e seguace in tutti i suoi viaggi,apud Lugdunum in sua curia generale studium ordina-vit tam de theologia, quam de decretis, decretalibus pa-riter et legibus ad eruditionem videlicet rudium, ec.(Script. rer. ital. t. 3, pars 1, p. 592). E parlando di Na-poli, ove Innocenzo erasi trasferito e ove anche morì,ubi, dice generale studium theologiae, decretalium, de-cretorum atque legum in palatio suo, sicut ubique fece-rat, ordinavit (ib. p. 592)". Assai men favorevoli si mo-strano i due suddetti scrittori ad Alessando IV, il quale

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lui però e delle opere di lui scritte su questo argomento,e delle pubbliche scuole di giurisprudenza da lui erettein Roma, e dell'università da lui fondata in Piacenza, ri-serbiamo ad altri luoghi il parlare. Io passo ancora sottosilenzio i privilegi che da lui furono conceduti alle uni-versità di Tolosa e di Valenza in Ispagna (Rainald. Ann.eccl. ad an. 1246, n. 76). Qui osserverem solamente cheper riguardo alla università di Parigi egli, per usar leespressioni del moderno storico della medesima, "supe-rò ancora tutti i suoi predecessori nel beneficarla (Cre-vier t. 1, p. 360), ed essendo egli stesso amator dellescienze e dotto giureconsulto, recavasi a dovere l'ono-rarla di singolar protezione (ib. p. 363). Veggansi da luiaccennate, e stesamente riferite dal Du Boulay (t. 3, p.195, 241, ec.), le molte Bolle promulgate a vantaggiodella medesima". E tanto era l'impegno d'Innocenzo IVnel fomentare gli studj, che ovunque ei si trovasse, sta-biliva nel suo palazzo medesimo quasi una compita uni-versità. In secundo anno sui pontificatus, dice Niccolòdi Curbio suo cappellano e seguace in tutti i suoi viaggi,apud Lugdunum in sua curia generale studium ordina-vit tam de theologia, quam de decretis, decretalibus pa-riter et legibus ad eruditionem videlicet rudium, ec.(Script. rer. ital. t. 3, pars 1, p. 592). E parlando di Na-poli, ove Innocenzo erasi trasferito e ove anche morì,ubi, dice generale studium theologiae, decretalium, de-cretorum atque legum in palatio suo, sicut ubique fece-rat, ordinavit (ib. p. 592)". Assai men favorevoli si mo-strano i due suddetti scrittori ad Alessando IV, il quale

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dopo la morte d'Innocenzo resse la Chiesa fino all'an.1261, perciocchè egli nelle lunghe ed ostinate conteseche si risvegliarono in Parigi tra quella università e iMendicanti, dichiarossi per questi, e costantemente so-stenne i loro diritti. A me non appartiene nè l'esaminarnè 'l decidere tal controversia che nulla monta all'italia-na letteratura. Giova sperar nondimeno che l'universitàstessa possa in qualche modo placare il suo sdegno con-tro questo pontefice al ricordarsi ch'egli mandò due suoinipoti allo studio della teologia in Parigi (Bulaeus t. 3,p. 307), mostrando così qual conto ei facesse di que'dottissimi professori. Io rammento volentieri tutti questicontrassegni di favore e di stima, che diedero i nominatipontefici, tutti italiani di nascita, all'università di Parigi,perchè torna in lode ancor dell'Italia il vedere che uncorpo si ragguardevole avesse tra noi quella fama cheben gli era dovuta, e che gl'Italiani stessi contribuissernon poco ad accrescergli onore e nome. Ma spero che iFrancesi medesimi non si sdegneranno di confessare cheagl'Italiani debbono in qualche parte la gloria a cui quel-la celebre università giunse fin da quei tempi, e che hasempre poscia non sol conservata, ma renduta ancorapiù grande e più luminosa. E noi pure confesseremo consincera riconoscenza di esser molto tenuti al pontef. Ur-bano IV, francese di nascita, che nel breve suo pontifica-to dall'an. 1261 al 1264 adoperossi con sommo impegnoperchè gli studj filosofici risorgessero a migliore statofra noi, come vedremo ove ragionando di essi produrre-mo un bel monumento finora inedito tratto dalla biblio-

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dopo la morte d'Innocenzo resse la Chiesa fino all'an.1261, perciocchè egli nelle lunghe ed ostinate conteseche si risvegliarono in Parigi tra quella università e iMendicanti, dichiarossi per questi, e costantemente so-stenne i loro diritti. A me non appartiene nè l'esaminarnè 'l decidere tal controversia che nulla monta all'italia-na letteratura. Giova sperar nondimeno che l'universitàstessa possa in qualche modo placare il suo sdegno con-tro questo pontefice al ricordarsi ch'egli mandò due suoinipoti allo studio della teologia in Parigi (Bulaeus t. 3,p. 307), mostrando così qual conto ei facesse di que'dottissimi professori. Io rammento volentieri tutti questicontrassegni di favore e di stima, che diedero i nominatipontefici, tutti italiani di nascita, all'università di Parigi,perchè torna in lode ancor dell'Italia il vedere che uncorpo si ragguardevole avesse tra noi quella fama cheben gli era dovuta, e che gl'Italiani stessi contribuissernon poco ad accrescergli onore e nome. Ma spero che iFrancesi medesimi non si sdegneranno di confessare cheagl'Italiani debbono in qualche parte la gloria a cui quel-la celebre università giunse fin da quei tempi, e che hasempre poscia non sol conservata, ma renduta ancorapiù grande e più luminosa. E noi pure confesseremo consincera riconoscenza di esser molto tenuti al pontef. Ur-bano IV, francese di nascita, che nel breve suo pontifica-to dall'an. 1261 al 1264 adoperossi con sommo impegnoperchè gli studj filosofici risorgessero a migliore statofra noi, come vedremo ove ragionando di essi produrre-mo un bel monumento finora inedito tratto dalla biblio-

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teca Ambrosiana di Milano, da cui si scuopre quanto alui debbano i detti studj.

XXII. Niccolò IV ancora, che sedette sullacattedra di s. Pietro dall'an. 1288 fino al1292, a varie straniere provincie fece cono-scere quanto gli stesse a cuore che le scien-ze vi fossero coltivate. Egli eresse in pubbli-

ca università le scuole che già da alcuni secoli erano inMontpellier; all'università di Lisbona fondata dal reDionigi accordò privilegi ed onori; e permise la fonda-zione di una nuova università in Gray nella contea diBorgogna, di che si veggano i monumenti presso il Ri-naldi (Ann. eccl. ad an. 1289, n. 51; ad an. 1290, n. 52;ad. an. 1291, n. 62), e nelle Note del ch. p. AntonfeliceMattei Conventuale alla Vita di questo pontefice scrittada Girolamo Rossi (p. 88). Più altre pruove potrei a que-sto luogo arrecare della munificenza di questi e di altripontefici col fomentare gli studj; leggi a tal fine promul-gate, scuole ed università erette, uomini dotti chiamatialla corte, e onorati della lor protezione, ed altri similimonumenti della loro sollecitudine. Ma molti di questifatti ci si offriranno a esaminare ne' capi e ne' libri se-guenti; e il saggio che qui ne abbiam dato, basta s'io malnon avviso, a mostrare che tra tutti i sovrani che furonodi questi tempi in Italia, i romani pontefici in singolarmaniera si segnalarono nell'usar di ogni possibile mezzoper toglier gli uomini dall'ignoranza, in cui giaceansi co-

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Diverse università erette da Niccolò V.

teca Ambrosiana di Milano, da cui si scuopre quanto alui debbano i detti studj.

XXII. Niccolò IV ancora, che sedette sullacattedra di s. Pietro dall'an. 1288 fino al1292, a varie straniere provincie fece cono-scere quanto gli stesse a cuore che le scien-ze vi fossero coltivate. Egli eresse in pubbli-

ca università le scuole che già da alcuni secoli erano inMontpellier; all'università di Lisbona fondata dal reDionigi accordò privilegi ed onori; e permise la fonda-zione di una nuova università in Gray nella contea diBorgogna, di che si veggano i monumenti presso il Ri-naldi (Ann. eccl. ad an. 1289, n. 51; ad an. 1290, n. 52;ad. an. 1291, n. 62), e nelle Note del ch. p. AntonfeliceMattei Conventuale alla Vita di questo pontefice scrittada Girolamo Rossi (p. 88). Più altre pruove potrei a que-sto luogo arrecare della munificenza di questi e di altripontefici col fomentare gli studj; leggi a tal fine promul-gate, scuole ed università erette, uomini dotti chiamatialla corte, e onorati della lor protezione, ed altri similimonumenti della loro sollecitudine. Ma molti di questifatti ci si offriranno a esaminare ne' capi e ne' libri se-guenti; e il saggio che qui ne abbiam dato, basta s'io malnon avviso, a mostrare che tra tutti i sovrani che furonodi questi tempi in Italia, i romani pontefici in singolarmaniera si segnalarono nell'usar di ogni possibile mezzoper toglier gli uomini dall'ignoranza, in cui giaceansi co-

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Diverse università erette da Niccolò V.

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munemente. E molto più avrebbon essi probabilmenteoperato, se l'avesse loro permesso la troppo rea condi-zione de' tempi, la quale ancor fu cagione che dalle in-dustrie da essi per ciò usate non raccogliesseroquell'ampio e copioso frutto che in più felici tempiavrebbon raccolto.

XXIII. Nelle altre parti d'Italia o ancor nonv'erano sovrani che avessero ampio e stabildominio, o se ve n'avea alcuni, questi occu-pati comunemente o in estendere semprepiù la lor signoria, o in difenderla contro i

domestici e contro gli esterni nimici, ben altro aveano inche occuparsi, che in coltivare, o in promuover gli studj.L'astrologia giudiciaria trovò presso molti di essi ricettoe favore, come altrove vedremo, perchè essi la giudica-vano efficace a prevedere, e fors'anche a prevenire le si-nistre vicende, di cui erano minacciati. "Più lodevole fuil favore con cui alcuni di essi, come altrove vedremo,fomentarono lo studio della poesia provenzale, che diquesto tempo avea molti seguaci in Italia". E di uno sin-golarmente tra' principi italiani di questa età sappiamoche fu splendido protettore dei poeti provenzali, che al-lora erano i più famosi. Fu questi Azzo VII d'Este mar-chese di Ferrara, di cui in una manoscritta Raccolta diPoesie provenzali scritta l'an. 1254, che conservasi inquesta biblioteca Estense, si dice che riceveva e trattavamagnificamente nella sua corte i suddetti poeti che in

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Azzo VII d'Este favo-risce i poetiprovenzali.

munemente. E molto più avrebbon essi probabilmenteoperato, se l'avesse loro permesso la troppo rea condi-zione de' tempi, la quale ancor fu cagione che dalle in-dustrie da essi per ciò usate non raccogliesseroquell'ampio e copioso frutto che in più felici tempiavrebbon raccolto.

XXIII. Nelle altre parti d'Italia o ancor nonv'erano sovrani che avessero ampio e stabildominio, o se ve n'avea alcuni, questi occu-pati comunemente o in estendere semprepiù la lor signoria, o in difenderla contro i

domestici e contro gli esterni nimici, ben altro aveano inche occuparsi, che in coltivare, o in promuover gli studj.L'astrologia giudiciaria trovò presso molti di essi ricettoe favore, come altrove vedremo, perchè essi la giudica-vano efficace a prevedere, e fors'anche a prevenire le si-nistre vicende, di cui erano minacciati. "Più lodevole fuil favore con cui alcuni di essi, come altrove vedremo,fomentarono lo studio della poesia provenzale, che diquesto tempo avea molti seguaci in Italia". E di uno sin-golarmente tra' principi italiani di questa età sappiamoche fu splendido protettore dei poeti provenzali, che al-lora erano i più famosi. Fu questi Azzo VII d'Este mar-chese di Ferrara, di cui in una manoscritta Raccolta diPoesie provenzali scritta l'an. 1254, che conservasi inquesta biblioteca Estense, si dice che riceveva e trattavamagnificamente nella sua corte i suddetti poeti che in

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Azzo VII d'Este favo-risce i poetiprovenzali.

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gran numero colà si recavano. Questo bel monumento èstato già pubblicato dal Muratori (Antich. estens. par. 2,c. 1) e noi ne parleremo più stesamente, ove dovremoragionare della poesia provenzale. Qui basti averlo ac-cennato, per dimostrare che gli augusti principi estensierano già da cinque secoli addietro protettori e mecenatiamplissimi delle bell'arti, e davano in certo modo a' lordiscendenti quei luminosi esempj di liberalità e di ma-gnificenza, che questi dovean poscia non solo emulare,ma superare ancor di gran lunga ne' secoli avvenire.

XXIV. Ma qui non deesi ommettere unariflessione che dalle cose fin qui riferitediscende naturalmente. Il monumentooror mentovato, da cui comprovasi quan-to splendido protettor delle lettere fosse ilmarchese Azzo VII di Este, giacevasi in

questa biblioteca, e niun saprebbe che gli si dovesse tallode, se esso non fosse stato dato alla luce. Di UrbanoIV ancor noi non sapremmo che si fosse adoperato a farrisorger lo studio della filosofia, se non mi fosse venutoalle mani il monumento poc'anzi accennato. Or chi saquanti altri di tai monumenti si giaccian polverosi e ne-gletti nelle biblioteche, i quali se fossero dissotterrati,nuove e rare notizie verrebonsi probabilmente a scopriree ad accrescer con ciò di assai la gloria dell'italiana let-teratura? Molto si è già scoperto, molto si è pubblicatoin questi ultimi anni. Ma pur sappiamo che molti tesori

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Forse altre no-tizie di questo genere giacciontuttora nelle bi-blioteche.

gran numero colà si recavano. Questo bel monumento èstato già pubblicato dal Muratori (Antich. estens. par. 2,c. 1) e noi ne parleremo più stesamente, ove dovremoragionare della poesia provenzale. Qui basti averlo ac-cennato, per dimostrare che gli augusti principi estensierano già da cinque secoli addietro protettori e mecenatiamplissimi delle bell'arti, e davano in certo modo a' lordiscendenti quei luminosi esempj di liberalità e di ma-gnificenza, che questi dovean poscia non solo emulare,ma superare ancor di gran lunga ne' secoli avvenire.

XXIV. Ma qui non deesi ommettere unariflessione che dalle cose fin qui riferitediscende naturalmente. Il monumentooror mentovato, da cui comprovasi quan-to splendido protettor delle lettere fosse ilmarchese Azzo VII di Este, giacevasi in

questa biblioteca, e niun saprebbe che gli si dovesse tallode, se esso non fosse stato dato alla luce. Di UrbanoIV ancor noi non sapremmo che si fosse adoperato a farrisorger lo studio della filosofia, se non mi fosse venutoalle mani il monumento poc'anzi accennato. Or chi saquanti altri di tai monumenti si giaccian polverosi e ne-gletti nelle biblioteche, i quali se fossero dissotterrati,nuove e rare notizie verrebonsi probabilmente a scopriree ad accrescer con ciò di assai la gloria dell'italiana let-teratura? Molto si è già scoperto, molto si è pubblicatoin questi ultimi anni. Ma pur sappiamo che molti tesori

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Forse altre no-tizie di questo genere giacciontuttora nelle bi-blioteche.

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si stanno ancora nascosti in alcune biblioteche. Possia-mo noi sperare che il pubblico possa finalmente goder-ne? A me sembra certo che sia questa una delle più utilifatiche in cui un uom dotto possa occuparsi.

CAPO III.Università ed altre pubbliche scuole.

I. Io non so se spettacolo più giocondo in-sieme e più capriccioso si vedesse mai diquello che, ne' tempi di cui scriviamo, videl'Italia. Le università, fatte, per così dir,viaggiatrici, non aver stabil dimora, ma oraspiegar le tende in una città e farvi pompa

de' lor tesori, ora involarsene improvvisamente e trasfe-rirsi altrove; i pubblici professori costretti con giura-menti a non abbandonare i lor posti, andar nondimenoqua e là errando e strascicar seco la folla de' lor discepo-li ammiratori, la cessazion degli studj imposta per solen-ne castigo, e le scuole non altrimenti che se fossero cosesacre, sottoposte all'ecclesiastico interdetto. Niuna cosaci mostra meglio la barbarie e la rozzezza di questi tem-pi; poichè que' mezzi medesimi che si ponevano in ope-ra a sradicarla, non si sapevano usare che in manierabarbara e rozza. Spero che non riuscirà discaro a chilegge il venir meco esaminando cotali vicende; e mi lu-singo di essermi adoperato con qualche particolar dili-genza a raccogliere su questo argomento le più sicure e

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Prospetto generale delle scuoleitaliane di questo se-colo.

si stanno ancora nascosti in alcune biblioteche. Possia-mo noi sperare che il pubblico possa finalmente goder-ne? A me sembra certo che sia questa una delle più utilifatiche in cui un uom dotto possa occuparsi.

CAPO III.Università ed altre pubbliche scuole.

I. Io non so se spettacolo più giocondo in-sieme e più capriccioso si vedesse mai diquello che, ne' tempi di cui scriviamo, videl'Italia. Le università, fatte, per così dir,viaggiatrici, non aver stabil dimora, ma oraspiegar le tende in una città e farvi pompa

de' lor tesori, ora involarsene improvvisamente e trasfe-rirsi altrove; i pubblici professori costretti con giura-menti a non abbandonare i lor posti, andar nondimenoqua e là errando e strascicar seco la folla de' lor discepo-li ammiratori, la cessazion degli studj imposta per solen-ne castigo, e le scuole non altrimenti che se fossero cosesacre, sottoposte all'ecclesiastico interdetto. Niuna cosaci mostra meglio la barbarie e la rozzezza di questi tem-pi; poichè que' mezzi medesimi che si ponevano in ope-ra a sradicarla, non si sapevano usare che in manierabarbara e rozza. Spero che non riuscirà discaro a chilegge il venir meco esaminando cotali vicende; e mi lu-singo di essermi adoperato con qualche particolar dili-genza a raccogliere su questo argomento le più sicure e

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Prospetto generale delle scuoleitaliane di questo se-colo.

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le più esatte notizie. Io non parlerò qui de' celebri pro-fessori di diverse scienze, che furono in questo secolol'ornamento delle italiane università; ma solo dello statoin cui esse erano, delle vicende a cui soggiacquero, edelle nuove scuole che in più città furono aperte. De'professori e degli altri coltivatori delle scienze e dell'artiragioneremo partitamente secondo le diverse lor classine' libri seguenti.

II. L'università di Bologna, che fra tuttele scuole di Italia era là più cospicua e lapiù rinomata, fu ancora più d'ogni altrasoggetta a tali vicende; e queste diederoorigine alla nascita di altre università

che crebbero poscia a gran fama. Per meglio intendereciò che a tai fatti appartiene, è a riflettere che i Bologne-si erano sommamente gelosi che i lor professori legalinon abbandonasser Bologna per recarsi a tenere scuolain altre città. Il Piacentino e Ruggiero beneventano,come abbiamo altrove narrato (t. 3, l. 4, c. 7, n. 27, 28),aveane dato l'esempio, passando il primo a Mantova, eposcia a Montpellier, il secondo a Modena. Di questacittà singolarmente parean temere i Bolognesi, come an-cora di Reggio, o perchè le scuole di giurisprudenza vifosser più rinomate che altrove, o perchè la lor vicinan-za potesse ed essi recar qualche danno. Di qua nacqueuna cotal opinione che alcuni tra' dottor bolognesi diquesto secolo presero a sostener francamente come veri-

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Gelosia dell'uni-versità di Bolo-gna di non per-dere i suoi pro-fessori.

le più esatte notizie. Io non parlerò qui de' celebri pro-fessori di diverse scienze, che furono in questo secolol'ornamento delle italiane università; ma solo dello statoin cui esse erano, delle vicende a cui soggiacquero, edelle nuove scuole che in più città furono aperte. De'professori e degli altri coltivatori delle scienze e dell'artiragioneremo partitamente secondo le diverse lor classine' libri seguenti.

II. L'università di Bologna, che fra tuttele scuole di Italia era là più cospicua e lapiù rinomata, fu ancora più d'ogni altrasoggetta a tali vicende; e queste diederoorigine alla nascita di altre università

che crebbero poscia a gran fama. Per meglio intendereciò che a tai fatti appartiene, è a riflettere che i Bologne-si erano sommamente gelosi che i lor professori legalinon abbandonasser Bologna per recarsi a tenere scuolain altre città. Il Piacentino e Ruggiero beneventano,come abbiamo altrove narrato (t. 3, l. 4, c. 7, n. 27, 28),aveane dato l'esempio, passando il primo a Mantova, eposcia a Montpellier, il secondo a Modena. Di questacittà singolarmente parean temere i Bolognesi, come an-cora di Reggio, o perchè le scuole di giurisprudenza vifosser più rinomate che altrove, o perchè la lor vicinan-za potesse ed essi recar qualche danno. Di qua nacqueuna cotal opinione che alcuni tra' dottor bolognesi diquesto secolo presero a sostener francamente come veri-

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Gelosia dell'uni-versità di Bolo-gna di non per-dere i suoi pro-fessori.

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tà, di cui senza gran fallo non si potesse pur dubitare,cioè che i privilegi dalle leggi romane accordati ai pro-fessor delle leggi, si potessero bensì godere da' profes-sor bolognesi, ma da' modenesi e da' reggiani non già;Doctores Bononiae, dice Odofredo (in l. Si duas ff deexcus. tutor.), habent excusationem a tutelis, non quidocent, Mutinae vel Regii; anzi egli stesso altrove, edanche il celebre Accorso giunser tant'oltre come mostrail dottissimo p. Sarti (De Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p.75), che a guisa di plenipotenziarj della giurisprudenzafissarono autorevolmente i limiti, di là da' quali non po-teasi godere di tai privilegi, e decisero ch'essi non sistendevano oltre il fiumicello Avesa che allora correvafuori della città di Bologna, ed or la taglia quasi permezzo. Ma questa lor decisione che non avea fonda-mento a cui appoggiarsi, non ottenne fede che appresso idecisori medesimi. Nè era essa freno bastevole a tratte-nere i professori, sicchè non si recassero ove poteanosperare o premio, o onor maggiore. Convenne dunquepensare a mezzo più efficace, e si obbligarono i profes-sori a stringersi con giuramento a non tenere scuola al-trove che in Bologna. Il Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p.901, ec.) e il p. Sarti (l. cit. t. 1, pars 2, p. 64) han pub-blicate alcune formole di tai giuramenti fatti a tal fine daalcuni giureconsulti, co' quali non sol promettono di nontenere altrove la loro scuola, ma ancora di non procurarein qualunque sia maniera, che gli scolari sen vadano adaltre città. Essi appartengono agli anni 1189, 1198,1199, 1213. Ma i giuramenti ancora non sempre ebbero

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tà, di cui senza gran fallo non si potesse pur dubitare,cioè che i privilegi dalle leggi romane accordati ai pro-fessor delle leggi, si potessero bensì godere da' profes-sor bolognesi, ma da' modenesi e da' reggiani non già;Doctores Bononiae, dice Odofredo (in l. Si duas ff deexcus. tutor.), habent excusationem a tutelis, non quidocent, Mutinae vel Regii; anzi egli stesso altrove, edanche il celebre Accorso giunser tant'oltre come mostrail dottissimo p. Sarti (De Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p.75), che a guisa di plenipotenziarj della giurisprudenzafissarono autorevolmente i limiti, di là da' quali non po-teasi godere di tai privilegi, e decisero ch'essi non sistendevano oltre il fiumicello Avesa che allora correvafuori della città di Bologna, ed or la taglia quasi permezzo. Ma questa lor decisione che non avea fonda-mento a cui appoggiarsi, non ottenne fede che appresso idecisori medesimi. Nè era essa freno bastevole a tratte-nere i professori, sicchè non si recassero ove poteanosperare o premio, o onor maggiore. Convenne dunquepensare a mezzo più efficace, e si obbligarono i profes-sori a stringersi con giuramento a non tenere scuola al-trove che in Bologna. Il Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p.901, ec.) e il p. Sarti (l. cit. t. 1, pars 2, p. 64) han pub-blicate alcune formole di tai giuramenti fatti a tal fine daalcuni giureconsulti, co' quali non sol promettono di nontenere altrove la loro scuola, ma ancora di non procurarein qualunque sia maniera, che gli scolari sen vadano adaltre città. Essi appartengono agli anni 1189, 1198,1199, 1213. Ma i giuramenti ancora non sempre ebbero

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forza bastevole a fermare i professori in Bologna; e noivedremo che Pillio dopo aver giurato, come gli altri,senza farsi coscienza del suo giuramento sen venne aModena.

III. Dapprima però erano i soli professoriche abbandonavan Bologna, e gli scolari,almeno per la maggior parte ivi si tratte-nevano. Ma l'an. 1204 avvenne cosa cheai Bolognesi dovette riuscire assai spia-cevole e grave. Perciocchè alcuni profes-

sori con gran numero di scolari passarono da Bologna aVicenza; ed ivi aprirono scuola. Le antiche Cronache diquesta città ci han lasciata memoria dello studio che iviallora fu aperto. Sub isto, dice Gherardo Maurisio, venitstudium scholarium in civitate Vicentiae, et duravitusque ad Potestariam Domini Drudi (Script. rer. ital.vol. 8, p. 15). E Antonio Godi similmente a quest'anno:Studium Generale fuit in civitate Vicentiae, Doctoresquein contracta, sancti Viti manebant, ut etiam hodie apudPriorem Sancti Viti apparent privilegia collationis studii(ib. p. 75). Quai fossero questi privilegi noi nol sappia-mo; ma altri monumenti spettanti alla università di Vi-cenza sono stati dati alla luce dagli eruditissimi annalisticamaldolesi da' quali ricavasi che l'an. 1205 il capitolodi Vicenza concedette agli scolari la chiesa di s. Vito(Ann. camald. vol. 4 p. 199), e che essi poscia rifabbri-catala ne dier l'anno seguente la cura a' monaci camal-

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Smembramentodi essa per la fondazione del-la università di Vicenza, che presto cessa.

forza bastevole a fermare i professori in Bologna; e noivedremo che Pillio dopo aver giurato, come gli altri,senza farsi coscienza del suo giuramento sen venne aModena.

III. Dapprima però erano i soli professoriche abbandonavan Bologna, e gli scolari,almeno per la maggior parte ivi si tratte-nevano. Ma l'an. 1204 avvenne cosa cheai Bolognesi dovette riuscire assai spia-cevole e grave. Perciocchè alcuni profes-

sori con gran numero di scolari passarono da Bologna aVicenza; ed ivi aprirono scuola. Le antiche Cronache diquesta città ci han lasciata memoria dello studio che iviallora fu aperto. Sub isto, dice Gherardo Maurisio, venitstudium scholarium in civitate Vicentiae, et duravitusque ad Potestariam Domini Drudi (Script. rer. ital.vol. 8, p. 15). E Antonio Godi similmente a quest'anno:Studium Generale fuit in civitate Vicentiae, Doctoresquein contracta, sancti Viti manebant, ut etiam hodie apudPriorem Sancti Viti apparent privilegia collationis studii(ib. p. 75). Quai fossero questi privilegi noi nol sappia-mo; ma altri monumenti spettanti alla università di Vi-cenza sono stati dati alla luce dagli eruditissimi annalisticamaldolesi da' quali ricavasi che l'an. 1205 il capitolodi Vicenza concedette agli scolari la chiesa di s. Vito(Ann. camald. vol. 4 p. 199), e che essi poscia rifabbri-catala ne dier l'anno seguente la cura a' monaci camal-

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Smembramentodi essa per la fondazione del-la università di Vicenza, che presto cessa.

Page 82: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favor delle

dolesi (ib. in App. p. 263). Dal primo di questi due do-cumenti raccogliesi ch'erano in quell'anno rettori dellauniversità Roberto inglese, Guglielmo Cancellino pro-venzale, Guarnieri tedesco, e Manfredo cremonese. Ilche ci mostra che a questa nuova università vi avea con-corso di stranieri d'ogni nazione. E ciò più chiaramenteancora si vede in un altro monumento pubblicato da'medesimi autori (ib. p. 213), in cui gli scolari l'anno1209, dovendo abbandonare Vicenza, cedono intera-mente a' Camaldolesi la stessa chiesa; perciocchè ivi tut-ti i seguenti son nominati, i cui nomi io recherò in latinoperchè le patrie di alcuni, forse per gli error della copiadifficilmente si potrebbon recar nella nostra lingua: "do-minus Cazzavillanus et Lanfrancus doctores et magistrilegum, magister Gufredus.... dominus Martinus de Bo-hemia, dominus Engelbertus teutonicus, dominus Mi-chael rector de Hungaria, dominus Jacobus de Betunode Francia, dominus Gofredus de Bergonia, dominusNicolaus prepositus in Polonia, et magister Menendus" equesti nominano per lor deputati "dominum Ivonemcancellarium Poloniae, dominum Simeonem archidiaco-num atrebatensem, dominum Thomasium canonicumcapuanum, dominum Herboldum teutonicum de Con-fluentia, dominum Desiderium archidiaconum de Unga-ria, dominum Stevanum canonicum trisentinum de Bur-gundia, dominun Benedictum de Ungaria, dominumMattheum de Hispania, dominum Zanettonem de Man-tua et dominum Johannem canonicum ferrariensem deVerona". Che tutti, o la maggior parte di questi abbando-

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dolesi (ib. in App. p. 263). Dal primo di questi due do-cumenti raccogliesi ch'erano in quell'anno rettori dellauniversità Roberto inglese, Guglielmo Cancellino pro-venzale, Guarnieri tedesco, e Manfredo cremonese. Ilche ci mostra che a questa nuova università vi avea con-corso di stranieri d'ogni nazione. E ciò più chiaramenteancora si vede in un altro monumento pubblicato da'medesimi autori (ib. p. 213), in cui gli scolari l'anno1209, dovendo abbandonare Vicenza, cedono intera-mente a' Camaldolesi la stessa chiesa; perciocchè ivi tut-ti i seguenti son nominati, i cui nomi io recherò in latinoperchè le patrie di alcuni, forse per gli error della copiadifficilmente si potrebbon recar nella nostra lingua: "do-minus Cazzavillanus et Lanfrancus doctores et magistrilegum, magister Gufredus.... dominus Martinus de Bo-hemia, dominus Engelbertus teutonicus, dominus Mi-chael rector de Hungaria, dominus Jacobus de Betunode Francia, dominus Gofredus de Bergonia, dominusNicolaus prepositus in Polonia, et magister Menendus" equesti nominano per lor deputati "dominum Ivonemcancellarium Poloniae, dominum Simeonem archidiaco-num atrebatensem, dominum Thomasium canonicumcapuanum, dominum Herboldum teutonicum de Con-fluentia, dominum Desiderium archidiaconum de Unga-ria, dominum Stevanum canonicum trisentinum de Bur-gundia, dominun Benedictum de Ungaria, dominumMattheum de Hispania, dominum Zanettonem de Man-tua et dominum Johannem canonicum ferrariensem deVerona". Che tutti, o la maggior parte di questi abbando-

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nata avesser Bologna per venire a Vicenza, non ne ab-biamo monumento sicuro. Ma al vedere nominati traessi Cacciavillano e Melendo ossia Menendo, che eranogià stati professori in Bologna, il primo di diritto civile,di canonico il secondo, si rende evidente, come osservail medesimo p. Sarti (l. c. t. 1, pars 1, p. 306), che daquesta città eran essi e i loro scolari insieme partiti perandare a Vicenza. Qual ragione a ciò gl'inducesse, nonce n'è rimasta memoria. Furono probabilmente dissen-sioni e turbolenze interne che diedero occasione a que-sto smembramento, il quale però ebbe poco felice suc-cesso; perciocchè, come è manifesto dalle cose già det-te, l'università di Vicenza ebbe principio l'an. 1204, el'an. 1209 ebbe fine; ed è probabile che i professori nonmeno che gli scolari, conoscendo per avventura più op-portuno il soggiorno in Bologna, colà ritornassero. "Madopo la metà del secolo procurò di nuovo il comun diVicenza per opera singolarmente del piissimo suo ve-scovo il b. Bartolommeo da Breganze dell'Ordine de'Predicatori di avere altri pubblici professori. E il sig.Giambattista Verci ha dati in luce i decreti fatti da quelcomune a' 14 d'agosto del 1261, co' quali vengon con-dotti a lettori del diritto canonico Arnoldo collo stipen-dio di 500 lire, a patto però ch'egli abbia almeno ventiscolari, Giovanni spagnuolo a leggere il Decreto collostipendio di 200 lire, Aldrovando degli Ulciporzi berga-masco a leggere l'Inforziato collo stipendio di 120 lire, eun certo Raulo a leggere medicina collo stipendio di 150lire (Stor. della Marca Trivig. t. 2, Docum. p. 49, ec.)".

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nata avesser Bologna per venire a Vicenza, non ne ab-biamo monumento sicuro. Ma al vedere nominati traessi Cacciavillano e Melendo ossia Menendo, che eranogià stati professori in Bologna, il primo di diritto civile,di canonico il secondo, si rende evidente, come osservail medesimo p. Sarti (l. c. t. 1, pars 1, p. 306), che daquesta città eran essi e i loro scolari insieme partiti perandare a Vicenza. Qual ragione a ciò gl'inducesse, nonce n'è rimasta memoria. Furono probabilmente dissen-sioni e turbolenze interne che diedero occasione a que-sto smembramento, il quale però ebbe poco felice suc-cesso; perciocchè, come è manifesto dalle cose già det-te, l'università di Vicenza ebbe principio l'an. 1204, el'an. 1209 ebbe fine; ed è probabile che i professori nonmeno che gli scolari, conoscendo per avventura più op-portuno il soggiorno in Bologna, colà ritornassero. "Madopo la metà del secolo procurò di nuovo il comun diVicenza per opera singolarmente del piissimo suo ve-scovo il b. Bartolommeo da Breganze dell'Ordine de'Predicatori di avere altri pubblici professori. E il sig.Giambattista Verci ha dati in luce i decreti fatti da quelcomune a' 14 d'agosto del 1261, co' quali vengon con-dotti a lettori del diritto canonico Arnoldo collo stipen-dio di 500 lire, a patto però ch'egli abbia almeno ventiscolari, Giovanni spagnuolo a leggere il Decreto collostipendio di 200 lire, Aldrovando degli Ulciporzi berga-masco a leggere l'Inforziato collo stipendio di 120 lire, eun certo Raulo a leggere medicina collo stipendio di 150lire (Stor. della Marca Trivig. t. 2, Docum. p. 49, ec.)".

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IV. Un altro simile smembramento credeil p. Sarti (l. c. p. 120) che avvenisse l'an.1215, e lo argomenta da un passo di Rof-fredo da Benevento, il quale afferma diesser passato da Bologna ad Arezzo inToscana e di avervi tenuta scuola di leg-

ge: "Cum essem Aretii, ibique in cathedra residerem,post transmigrationem Bononiae, ego Rofredus bene-ventanus Juris civilis professor an Dn. MCCXV, menseoctobris, ec." (proem. in Quaest. Sabbat.). Da questopasso il suddetto dottissimo autor congettura che Roffre-do ancora, seguendo l'esempio di Cacciavillano e di Me-lendo, partendosi da Bologna, traesse seco un gran nu-mero di scolari. Quindi facendosi a ricercar l'origine ditale trasmigrazione, crede ch'ella si debba ripetere dalleturbolenze onde quell'università fu sconvolta in questianni medesimi e che non ebbero fine che l'an. 1224. Egliin fatti ha dato alla luce (pars 2, p. 57, ec.) più lettere diOnorio III, scritte nel I e nel IV anno del suo pontificato,cioè tra l'anno 1216 e l'anno 1220, su questo argomento.Perciocchè i Bolognesi non paghi del giuramento che,come sopra abbiam detto, esigevano da' professori, unaltro ancor ne esigevano dagli scolari, con cui si strin-gessero a non procurar in alcun modo che lo studio diBologna fosse trasferito altrove, nè che alcuno tra gliscolari passasse alle scuole di altre città. Sembrava ciòagli scolari, e sembrava ancora al pontef. Onorio, unaviolenza fatta a quella libertà di cui gli scolari doveano abuon diritto godere; ed essi perciò ricusavano di sotto-

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Turbolenze nel-la università di Bologna: scuolepubbliche in Arezzo.

IV. Un altro simile smembramento credeil p. Sarti (l. c. p. 120) che avvenisse l'an.1215, e lo argomenta da un passo di Rof-fredo da Benevento, il quale afferma diesser passato da Bologna ad Arezzo inToscana e di avervi tenuta scuola di leg-

ge: "Cum essem Aretii, ibique in cathedra residerem,post transmigrationem Bononiae, ego Rofredus bene-ventanus Juris civilis professor an Dn. MCCXV, menseoctobris, ec." (proem. in Quaest. Sabbat.). Da questopasso il suddetto dottissimo autor congettura che Roffre-do ancora, seguendo l'esempio di Cacciavillano e di Me-lendo, partendosi da Bologna, traesse seco un gran nu-mero di scolari. Quindi facendosi a ricercar l'origine ditale trasmigrazione, crede ch'ella si debba ripetere dalleturbolenze onde quell'università fu sconvolta in questianni medesimi e che non ebbero fine che l'an. 1224. Egliin fatti ha dato alla luce (pars 2, p. 57, ec.) più lettere diOnorio III, scritte nel I e nel IV anno del suo pontificato,cioè tra l'anno 1216 e l'anno 1220, su questo argomento.Perciocchè i Bolognesi non paghi del giuramento che,come sopra abbiam detto, esigevano da' professori, unaltro ancor ne esigevano dagli scolari, con cui si strin-gessero a non procurar in alcun modo che lo studio diBologna fosse trasferito altrove, nè che alcuno tra gliscolari passasse alle scuole di altre città. Sembrava ciòagli scolari, e sembrava ancora al pontef. Onorio, unaviolenza fatta a quella libertà di cui gli scolari doveano abuon diritto godere; ed essi perciò ricusavano di sotto-

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Turbolenze nel-la università di Bologna: scuolepubbliche in Arezzo.

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porsi a tal giuramento; e Onorio adoperossi con sommoimpegno perchè essi non vi si soggettassero; e in unalettera fra le altre scritta agli scolari romani, della Cam-pagna e della Toscana, che trovavansi in Bologna, in-giunse loro di uscire dalla città, anzichè stringersi contal giuramento, e finalmente, dopo lunghi contrasti, ot-tenne che in ciò non fossero molestati. E non è impossi-bile veramente che in tal occasione Ruifredo con moltide' suoi scolari passasse ad Arezzo. Ma poichè non sap-piamo se tai turbolenze cominciassero fin da' tempid'Innocenzo III che viveva ancora l'an. 1215, non tro-vandone noi menzione che nelle lettere di Onorio III, epoichè inoltre Roffredo, non accenna ragione alcuna delsuo passaggio ad Arezzo, nè dice ch'ei seco conducessescolari, può essere ancora che per qualunque altra ragio-ne colà passasse Roffredo, e vi passasse senza scolari, oalmeno con sì scarso numero di essi, che la università diBologna non ne avesse danno. Certo è nondimeno chein Arezzo era in questo secolo un pubblico studio; e ilcav. Lorenzo Guazzesi ha dato alla luce (Opere t. 2, p.107) gli Statuti che pel regolamento di esso furono pub-blicati l'an. 1255, e tra essi veggiamo il seguente in cuisi nominano le diverse scienze che oltre la legge vis'insegnavano: "Item nullus audeat legere ordinarie incivitate Aretina nec in grammatica, nec in dialectica,nec in medicina, nisi sit legitime et publice et in generaliconventu examinatus et probatus. In essi ancora si ordi-na che ne sia rettore da Ognissanti fino al 1 di gennajoMartino da Fano, che era stato uno de' compilatori de'

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porsi a tal giuramento; e Onorio adoperossi con sommoimpegno perchè essi non vi si soggettassero; e in unalettera fra le altre scritta agli scolari romani, della Cam-pagna e della Toscana, che trovavansi in Bologna, in-giunse loro di uscire dalla città, anzichè stringersi contal giuramento, e finalmente, dopo lunghi contrasti, ot-tenne che in ciò non fossero molestati. E non è impossi-bile veramente che in tal occasione Ruifredo con moltide' suoi scolari passasse ad Arezzo. Ma poichè non sap-piamo se tai turbolenze cominciassero fin da' tempid'Innocenzo III che viveva ancora l'an. 1215, non tro-vandone noi menzione che nelle lettere di Onorio III, epoichè inoltre Roffredo, non accenna ragione alcuna delsuo passaggio ad Arezzo, nè dice ch'ei seco conducessescolari, può essere ancora che per qualunque altra ragio-ne colà passasse Roffredo, e vi passasse senza scolari, oalmeno con sì scarso numero di essi, che la università diBologna non ne avesse danno. Certo è nondimeno chein Arezzo era in questo secolo un pubblico studio; e ilcav. Lorenzo Guazzesi ha dato alla luce (Opere t. 2, p.107) gli Statuti che pel regolamento di esso furono pub-blicati l'an. 1255, e tra essi veggiamo il seguente in cuisi nominano le diverse scienze che oltre la legge vis'insegnavano: "Item nullus audeat legere ordinarie incivitate Aretina nec in grammatica, nec in dialectica,nec in medicina, nisi sit legitime et publice et in generaliconventu examinatus et probatus. In essi ancora si ordi-na che ne sia rettore da Ognissanti fino al 1 di gennajoMartino da Fano, che era stato uno de' compilatori de'

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medesimi.

V. Assai maggiore fu il danno che l'uni-versità di Bologna sostenne l'an. 1222,perciocchè ella vide non solo un grannumero di professori, e di scolari fuggirdal suo seno, ma recatisi altrove darprincipio a un'altra celebre università

che minacciava di disputarle il primato. Fu questa launiversità di Padova. Era già ivi stata in addietro qual-che scuola di legge come abbiamo mostrato nel prece-dente tomo (t. 3, l. 4, c. 7, n. 28); ma o essa era cessata,o non era tale che potesse darlesi il nome di studio pub-blico; il quale in quest'anno solo sembra che avesse co-minciamento. Hoc anno, dicono alcune antiche Crona-che di quella città pubblicate dal Muratori (Script. rer.ital. vol. 8, p. 372, 421, 459, 736), translatum est stu-dium scholarium de Bononia Paduam. Questo trasferi-mento sembra a prima vista indicarci che cessasser lescuole in Bologna, e che in lor vece si aprissero quelledi Padova, ed alcuni hanno perciò pensato che ciò avve-nisse per ordine di Federigo II sdegnato contro de' Bolo-gnesi, perchè in quell'anno come abbiamo dalle anticheCronache di Bologna (Script. rer. ital. vol. 18, p. 109;Sigon. de Regno ital. l. 16), espugnarono suo malgradola città d'Imola, ne spianaron le fosse, e ne portaron secoin trionfo le porte. Io non so come il ch. Muratori (An-tiq. Ital. vol. 3, p. 908) che avea pur pubblicato le sudet-

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Nuovo smembra-mento dell'uni-versità di Bolo-gna per la fonda-zione di quella diPadova.

medesimi.

V. Assai maggiore fu il danno che l'uni-versità di Bologna sostenne l'an. 1222,perciocchè ella vide non solo un grannumero di professori, e di scolari fuggirdal suo seno, ma recatisi altrove darprincipio a un'altra celebre università

che minacciava di disputarle il primato. Fu questa launiversità di Padova. Era già ivi stata in addietro qual-che scuola di legge come abbiamo mostrato nel prece-dente tomo (t. 3, l. 4, c. 7, n. 28); ma o essa era cessata,o non era tale che potesse darlesi il nome di studio pub-blico; il quale in quest'anno solo sembra che avesse co-minciamento. Hoc anno, dicono alcune antiche Crona-che di quella città pubblicate dal Muratori (Script. rer.ital. vol. 8, p. 372, 421, 459, 736), translatum est stu-dium scholarium de Bononia Paduam. Questo trasferi-mento sembra a prima vista indicarci che cessasser lescuole in Bologna, e che in lor vece si aprissero quelledi Padova, ed alcuni hanno perciò pensato che ciò avve-nisse per ordine di Federigo II sdegnato contro de' Bolo-gnesi, perchè in quell'anno come abbiamo dalle anticheCronache di Bologna (Script. rer. ital. vol. 18, p. 109;Sigon. de Regno ital. l. 16), espugnarono suo malgradola città d'Imola, ne spianaron le fosse, e ne portaron secoin trionfo le porte. Io non so come il ch. Muratori (An-tiq. Ital. vol. 3, p. 908) che avea pur pubblicato le sudet-

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Nuovo smembra-mento dell'uni-versità di Bolo-gna per la fonda-zione di quella diPadova.

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te Cronache, e dopo di lui il Facciolati (De Gymn. pa-tav. Syntagm. p. 2) che doveva averle vedute, abbiampotuto asserire che tale è l'opinione di quegli antichiscrittori; il racconto dei quali perciò è stato rigettato dalFacciolati, perchè, ei dice, Federigo non si dichiarò ne-mico dell'università di Bologna che l'an. 1225, e allorala trasferì a Napoli, non già a Padova. I detti antichiscrittori non fanno alcun cenno di Federigo, e solo dico-no che lo studio fu trasportato a Padova, senza accen-narne ragione. Quindi non si ha motivo per cui rivocarein dubbio l'autorità di queste Cronache antiche; ma nondeesi credere che ciò avvenisse per ordine di Federigo;nè che tutti i professori partissero da Bologna per recarsia Padova. Egli non era sì amico de' Padovani, che voles-se onorarli cotanto; e noi veggiamo innoltre che le scuo-le ancor durarono a Bologna, dove certamente era l'uni-versità l'an. 1225, come vedrassi frappoco. Più probabileè adunque che molti de' professor bolognesi, e moltissi-mi per conseguenza de' loro scolari, da Bologna sponta-neamente passassero a Padova. Era in fatti a quei tempiin Bologna Giordano vescovo di Padova, a cui inquest'anno medesimo il pontefice Onorio III commise didecidere insieme con Guglielmo normanno dottor dileggi e con Guglielmo guascone professor delle decreta-li una controversia tra l'abate di s. Stefano e i Crociferiin Bologna (Sart. pars 2, p. 118). Or le conferenze che ilvescovo di Padova dovette perciò tenere con Guglielmoguascone, risvegliarono probabilmente nel primo il pen-siero di condur seco a Padova quest'uomo dotto insiem

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te Cronache, e dopo di lui il Facciolati (De Gymn. pa-tav. Syntagm. p. 2) che doveva averle vedute, abbiampotuto asserire che tale è l'opinione di quegli antichiscrittori; il racconto dei quali perciò è stato rigettato dalFacciolati, perchè, ei dice, Federigo non si dichiarò ne-mico dell'università di Bologna che l'an. 1225, e allorala trasferì a Napoli, non già a Padova. I detti antichiscrittori non fanno alcun cenno di Federigo, e solo dico-no che lo studio fu trasportato a Padova, senza accen-narne ragione. Quindi non si ha motivo per cui rivocarein dubbio l'autorità di queste Cronache antiche; ma nondeesi credere che ciò avvenisse per ordine di Federigo;nè che tutti i professori partissero da Bologna per recarsia Padova. Egli non era sì amico de' Padovani, che voles-se onorarli cotanto; e noi veggiamo innoltre che le scuo-le ancor durarono a Bologna, dove certamente era l'uni-versità l'an. 1225, come vedrassi frappoco. Più probabileè adunque che molti de' professor bolognesi, e moltissi-mi per conseguenza de' loro scolari, da Bologna sponta-neamente passassero a Padova. Era in fatti a quei tempiin Bologna Giordano vescovo di Padova, a cui inquest'anno medesimo il pontefice Onorio III commise didecidere insieme con Guglielmo normanno dottor dileggi e con Guglielmo guascone professor delle decreta-li una controversia tra l'abate di s. Stefano e i Crociferiin Bologna (Sart. pars 2, p. 118). Or le conferenze che ilvescovo di Padova dovette perciò tenere con Guglielmoguascone, risvegliarono probabilmente nel primo il pen-siero di condur seco a Padova quest'uomo dotto insiem

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con altri, e di aprirvi pubbliche scuole. In fatti in un co-dice antico allegato dal p. Sarti (ib. p. 220), vedesi unalettera, di cui non si esprime la data, scritta da Padovada Guglielmo guascone che qui dicesi guasco, a Pietrospagnuolo che in questo tempo medesimo era professoredelle decretali in Bologna: Magistro Petro HyspanoDoct. Decret. Bononie commoranti Guillelmus GuascusDoct. Decret, Padue. In questa lettera Guglielmo lo in-vita a recarsi a Padova, perciocchè Padue, egli dice,multitudinem habebitis auditorum, ubi loci viget ameni-tas, et venalium magna copia reperitur. Se Pietro se-guisse il consiglio di Guglielmo, nol possiamo accerta-re. Ma tutto ciò che sinora abbiam detto, ci fa vederchiaramente in qual maniera avesse principio l'universi-tà di Padova, a cui è probabile che all'occasione delleturbolenze da noi poc'anzi accennate di quella di Bolo-gna molti professori si trasferissero insiem co' loro sco-lari. E forse a questa occasione vi venne il celebre Al-berto Magno, poichè è certo, come dimostrano i pp.Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 162),ch'egli studiava in Padova (6), quando dal b. Giordano furicevuto nell'Ordine de' Predicatori, il che accadde ap-

6 Alcuni scrittori francesi, e italiani, e fra i primi m. Portal (Hist. de l'Ana-tom., ec. t. 1, p. 195) invece di Padova han nominata Pavia, parlando dellescuole alle quali fu dall'Allemagna mandato Alberto Magno, e della loroautorità si è valuto il sig. Siro Comi nell'ingegnoso sforzo da lui fatto in fa-vore dell'antichità dell'università di Pavia (Philelphus Archigymn. Ticin.vindicatus p. 137). Ma lo stesso Alberto citato dai pp. Quetif ed Echarddice chiaramente Padova, e non Pavia, nè si è recata ragione alcuna per cuisi pruovi doversi fare un tal cambiamento.

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con altri, e di aprirvi pubbliche scuole. In fatti in un co-dice antico allegato dal p. Sarti (ib. p. 220), vedesi unalettera, di cui non si esprime la data, scritta da Padovada Guglielmo guascone che qui dicesi guasco, a Pietrospagnuolo che in questo tempo medesimo era professoredelle decretali in Bologna: Magistro Petro HyspanoDoct. Decret. Bononie commoranti Guillelmus GuascusDoct. Decret, Padue. In questa lettera Guglielmo lo in-vita a recarsi a Padova, perciocchè Padue, egli dice,multitudinem habebitis auditorum, ubi loci viget ameni-tas, et venalium magna copia reperitur. Se Pietro se-guisse il consiglio di Guglielmo, nol possiamo accerta-re. Ma tutto ciò che sinora abbiam detto, ci fa vederchiaramente in qual maniera avesse principio l'universi-tà di Padova, a cui è probabile che all'occasione delleturbolenze da noi poc'anzi accennate di quella di Bolo-gna molti professori si trasferissero insiem co' loro sco-lari. E forse a questa occasione vi venne il celebre Al-berto Magno, poichè è certo, come dimostrano i pp.Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 162),ch'egli studiava in Padova (6), quando dal b. Giordano furicevuto nell'Ordine de' Predicatori, il che accadde ap-

6 Alcuni scrittori francesi, e italiani, e fra i primi m. Portal (Hist. de l'Ana-tom., ec. t. 1, p. 195) invece di Padova han nominata Pavia, parlando dellescuole alle quali fu dall'Allemagna mandato Alberto Magno, e della loroautorità si è valuto il sig. Siro Comi nell'ingegnoso sforzo da lui fatto in fa-vore dell'antichità dell'università di Pavia (Philelphus Archigymn. Ticin.vindicatus p. 137). Ma lo stesso Alberto citato dai pp. Quetif ed Echarddice chiaramente Padova, e non Pavia, nè si è recata ragione alcuna per cuisi pruovi doversi fare un tal cambiamento.

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punto o in quest'anno medesimo 1222, o, come sembraa' suddetti scrittor più probabile, nel seguente. Il Papa-dopoli e il Facciolati non han fatta parola di questo sì fa-moso alunno della loro università, il qual pure dovea es-sere rammentato tra' primi. Di essa noi torneremo a par-lare in questo capo medesimo. Ora ci conviene prose-guire la narrazione delle altre vicende a cui l'universitàdi Bologna fu in questi anni soggetta.

VI. Era ancor fresca la piagache dalla diserzione de' profes-sori e degli scolari passati a Pa-

dova ella avea ricevuta, quando un'assai più fiera burra-sca levossele contro, da cui parea ch'ella dovesse rima-nere interamente sommersa. Avea Federigo II formato ildisegno di aprir in Napoli una pubblica università; per-ciocchè, benchè ivi fossero state in addietro alcunescuole, nondimeno non vi si professavan le scienze inquella estensione che a un sì florido regno parea conve-nire. Perciò, come abbiam nella Storia di Riccardo da s.Germano (Script. rer. ital. vol. 7, p. 997), nel mese di lu-glio dall'an. 1224 egli mandò lettere circolari per tutto ilregno: Mense Julii pro ordinando studio NeapolitanoImperator ubique per regnum mittit literas generales. Infatti fra le lettere di Pier dalle Vigne scritte in nome diFederigo quattro ne abbiamo (l. 3, c. 10, 11, 12, 13) suquesto argomento, che probabilmente appartengono aquest'anno. La prima è scritta a maestro Pietro ibernese;

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Fondazione della università diNapoli fatta da Federigo II.

punto o in quest'anno medesimo 1222, o, come sembraa' suddetti scrittor più probabile, nel seguente. Il Papa-dopoli e il Facciolati non han fatta parola di questo sì fa-moso alunno della loro università, il qual pure dovea es-sere rammentato tra' primi. Di essa noi torneremo a par-lare in questo capo medesimo. Ora ci conviene prose-guire la narrazione delle altre vicende a cui l'universitàdi Bologna fu in questi anni soggetta.

VI. Era ancor fresca la piagache dalla diserzione de' profes-sori e degli scolari passati a Pa-

dova ella avea ricevuta, quando un'assai più fiera burra-sca levossele contro, da cui parea ch'ella dovesse rima-nere interamente sommersa. Avea Federigo II formato ildisegno di aprir in Napoli una pubblica università; per-ciocchè, benchè ivi fossero state in addietro alcunescuole, nondimeno non vi si professavan le scienze inquella estensione che a un sì florido regno parea conve-nire. Perciò, come abbiam nella Storia di Riccardo da s.Germano (Script. rer. ital. vol. 7, p. 997), nel mese di lu-glio dall'an. 1224 egli mandò lettere circolari per tutto ilregno: Mense Julii pro ordinando studio NeapolitanoImperator ubique per regnum mittit literas generales. Infatti fra le lettere di Pier dalle Vigne scritte in nome diFederigo quattro ne abbiamo (l. 3, c. 10, 11, 12, 13) suquesto argomento, che probabilmente appartengono aquest'anno. La prima è scritta a maestro Pietro ibernese;

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Fondazione della università diNapoli fatta da Federigo II.

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e in essi, dopo avergli esposto il suo disegno di aprireuna università in Napoli, la qual città, oltre più altrelodi, egli chiama madre e sede antica di studio, lo invitaa recarvisi, e a tenervi scuola, promettendogli l'annualestipendio di dodici once d'oro. La seconda contiene ungenerale invito a tutti gli scolari, acciocchè vengano allanuova università da sè aperta, a' quali promette ricom-pense e premj non ordinarj; vi si fa menzione di Robertodi Varano, e del suddetto Pietro ibernese, ch'ivi doveanotenere scuola di leggi; si vieta che niun de' suoi sudditipossa uscire dal regno per motivo di studio, o nel regnostesso studiare altrove che in Napoli, e si comanda chechiunque si trovasse attualmente fuori del regno per talmotivo, per la prossima festa di s. Michele vi faccia ri-torno; e finalmente varie leggi si stabiliscono pel regola-mento delle scuole medesime e degli scolari. La terza èindirizzata al capitano ossia giustiziere del regno a cui sicommette che pubblichi il generale invito alla medesimauniversità. La quarta per ultimo è scritta al giustizieredella Terra di Lavoro, il quale troppo scrupolosamenteesatto nella esecuzione del reale decreto con cui vieta-vansi tutte le altre scuole del regno, credeva che quelleancor di gramatica vi fosser comprese; e Federigo per-ciò gli scrive che di queste non dee intendersi il suoeditto, ma sol di quelle ove s'insegnavan le scienze. Diquesta università da Federigo aperta in Napoli fa men-zione ancora Niccolò di Jamsilla nel precedente capo danoi citato, col dire che Federigo avendo osservato pochiuomini dotti essere in quel regno, vi aprì scuole di tutte

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e in essi, dopo avergli esposto il suo disegno di aprireuna università in Napoli, la qual città, oltre più altrelodi, egli chiama madre e sede antica di studio, lo invitaa recarvisi, e a tenervi scuola, promettendogli l'annualestipendio di dodici once d'oro. La seconda contiene ungenerale invito a tutti gli scolari, acciocchè vengano allanuova università da sè aperta, a' quali promette ricom-pense e premj non ordinarj; vi si fa menzione di Robertodi Varano, e del suddetto Pietro ibernese, ch'ivi doveanotenere scuola di leggi; si vieta che niun de' suoi sudditipossa uscire dal regno per motivo di studio, o nel regnostesso studiare altrove che in Napoli, e si comanda chechiunque si trovasse attualmente fuori del regno per talmotivo, per la prossima festa di s. Michele vi faccia ri-torno; e finalmente varie leggi si stabiliscono pel regola-mento delle scuole medesime e degli scolari. La terza èindirizzata al capitano ossia giustiziere del regno a cui sicommette che pubblichi il generale invito alla medesimauniversità. La quarta per ultimo è scritta al giustizieredella Terra di Lavoro, il quale troppo scrupolosamenteesatto nella esecuzione del reale decreto con cui vieta-vansi tutte le altre scuole del regno, credeva che quelleancor di gramatica vi fosser comprese; e Federigo per-ciò gli scrive che di queste non dee intendersi il suoeditto, ma sol di quelle ove s'insegnavan le scienze. Diquesta università da Federigo aperta in Napoli fa men-zione ancora Niccolò di Jamsilla nel precedente capo danoi citato, col dire che Federigo avendo osservato pochiuomini dotti essere in quel regno, vi aprì scuole di tutte

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le scienze, e da ogni parte del mondo chiamò professorifissando ampi stipendj non solo ad essi, ma a quegliscolari ancora che per povertà non potessero coltivaregli studi (Script. rer. ital. vol. 8, p. 496) (7).

VII. Fin qui l'impegno di Federigo persollevare a gran nome la università diNapoli altro danno recar non poteva aBologna che quello di toglierle gli scolariche per avventura ivi fossero, nativi diquel regno. Ma l'anno seguente egli volse

il pensiero ad opprimerla interamente, sperando forseche sulle rovine di essa sarebbesi felicemente innalzataquella di Napoli. Avea Federigo onorata in addietro del-la sua protezione questa università; e l'an. 1220 avendopubblicata una costituzione in favor della chiesa roma-na, aveala inviata a' dottori e agli scolari bolognesi, per-chè da essi fosse, ciò che di fatto seguì, inserita ne' Libri

7 Della università di Napoli più distinte notizie si posson vedere nella storiadi essa del sig. Giangiuseppe Origlia stampata in Napoli nel 1758, operache non mi era nota quando io scrissi i primi tomi della mia Storia. Eglicon buoni argomenti dimostra che non fu veramente una nuova fondazionedi università, che Federigo II facesse, ma anzi una riforma e un notabilemiglioramento di quella che già aveano ivi stabilita i Normanni, la qualeperò non si pruova che avesse veramente la forma di università, e che fos-se onorata di quei privilegi che a tali corpi convengono. Ei produce moltipregevoli monumenti dell'impegno di Federigo II a favore di questa uni-versità; e delle diverse vicende alle quali fu allora soggetta; e benchè nontutte le cose da lui asserite reggano alle pruove di una saggia critica, moltiperò sono i lumi che da quest'opera noi raccogliamo riguardo a questo ar-gomento.

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Questi soppri-me l'università di Bologna; mail suo editto non ha esecu-zione.

le scienze, e da ogni parte del mondo chiamò professorifissando ampi stipendj non solo ad essi, ma a quegliscolari ancora che per povertà non potessero coltivaregli studi (Script. rer. ital. vol. 8, p. 496) (7).

VII. Fin qui l'impegno di Federigo persollevare a gran nome la università diNapoli altro danno recar non poteva aBologna che quello di toglierle gli scolariche per avventura ivi fossero, nativi diquel regno. Ma l'anno seguente egli volse

il pensiero ad opprimerla interamente, sperando forseche sulle rovine di essa sarebbesi felicemente innalzataquella di Napoli. Avea Federigo onorata in addietro del-la sua protezione questa università; e l'an. 1220 avendopubblicata una costituzione in favor della chiesa roma-na, aveala inviata a' dottori e agli scolari bolognesi, per-chè da essi fosse, ciò che di fatto seguì, inserita ne' Libri

7 Della università di Napoli più distinte notizie si posson vedere nella storiadi essa del sig. Giangiuseppe Origlia stampata in Napoli nel 1758, operache non mi era nota quando io scrissi i primi tomi della mia Storia. Eglicon buoni argomenti dimostra che non fu veramente una nuova fondazionedi università, che Federigo II facesse, ma anzi una riforma e un notabilemiglioramento di quella che già aveano ivi stabilita i Normanni, la qualeperò non si pruova che avesse veramente la forma di università, e che fos-se onorata di quei privilegi che a tali corpi convengono. Ei produce moltipregevoli monumenti dell'impegno di Federigo II a favore di questa uni-versità; e delle diverse vicende alle quali fu allora soggetta; e benchè nontutte le cose da lui asserite reggano alle pruove di una saggia critica, moltiperò sono i lumi che da quest'opera noi raccogliamo riguardo a questo ar-gomento.

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Questi soppri-me l'università di Bologna; mail suo editto non ha esecu-zione.

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legali, come da alcuni codici mss. dimostra il p. Sarti(pars 1, p. 106), confutando l'opinion di chi scrisse cheFederigo l'avesse indirizzata all'università di Pavia. Everso questo tempo medesimo è probabile che Federigoscrivesse l'onorevole lettera alla stessa università invian-dole le Opere di Aristotile tradotte in latino, di che a piùopportuno luogo più stesamente ragioneremo. Ma l'an.1222 ei concepì grande sdegno contro de' Bolognesi perl'espugnazione ch'essi avean fatta d'Imola, come sopra siè detto; e quindi nacque in lui probabilmente il pensierodi togliere a quella città il maggior pregio di cui ella an-dasse adorna. All'occasione pertanto dalla nuova univer-sità aperta in Napoli, egli l'an. 1125, come abbiamo nel-le antiche Cronache bolognesi (Script. rer. ital. vol. 18,p. 109, 254), vietò che in Bologna si tenessero scuole, eagli scolari tutti ordinò che si recassero a Napoli. Un talcomando avrebbe in altri tempi recato l'intero sterminiodi quella fiorente università. Ma in quest'anno appuntocominciarono le città lombarde a rinnovare l'antica lorlega, per opporsi a Federigo II, da cui temevanol'oppressione della lor libertà (Murat. Ann. d'Ital. ad h.an.). Essa fu poi conchiusa e solennemente pubblicatal'an. seguente. Bologna era tra le città collegate (id. adan. 1225); ed ella perciò dovette ridersi del comando diFederigo; nè vi ha alcun monumento che ci dimostri chenè molto nè scarso numero di professori, o di scolaripartisse perciò da Bologna. Anzi Federigo, costretto acedere al tempo, nel primo di febbraio dell'an. 1227pubblicò un diploma dato a luce dal Muratori (Antiq.

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legali, come da alcuni codici mss. dimostra il p. Sarti(pars 1, p. 106), confutando l'opinion di chi scrisse cheFederigo l'avesse indirizzata all'università di Pavia. Everso questo tempo medesimo è probabile che Federigoscrivesse l'onorevole lettera alla stessa università invian-dole le Opere di Aristotile tradotte in latino, di che a piùopportuno luogo più stesamente ragioneremo. Ma l'an.1222 ei concepì grande sdegno contro de' Bolognesi perl'espugnazione ch'essi avean fatta d'Imola, come sopra siè detto; e quindi nacque in lui probabilmente il pensierodi togliere a quella città il maggior pregio di cui ella an-dasse adorna. All'occasione pertanto dalla nuova univer-sità aperta in Napoli, egli l'an. 1125, come abbiamo nel-le antiche Cronache bolognesi (Script. rer. ital. vol. 18,p. 109, 254), vietò che in Bologna si tenessero scuole, eagli scolari tutti ordinò che si recassero a Napoli. Un talcomando avrebbe in altri tempi recato l'intero sterminiodi quella fiorente università. Ma in quest'anno appuntocominciarono le città lombarde a rinnovare l'antica lorlega, per opporsi a Federigo II, da cui temevanol'oppressione della lor libertà (Murat. Ann. d'Ital. ad h.an.). Essa fu poi conchiusa e solennemente pubblicatal'an. seguente. Bologna era tra le città collegate (id. adan. 1225); ed ella perciò dovette ridersi del comando diFederigo; nè vi ha alcun monumento che ci dimostri chenè molto nè scarso numero di professori, o di scolaripartisse perciò da Bologna. Anzi Federigo, costretto acedere al tempo, nel primo di febbraio dell'an. 1227pubblicò un diploma dato a luce dal Muratori (Antiq.

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Ital. t. 3, p. 909), in cui rivocò i decreti già da lui fatticontro le città lombarde, e nominatamente quello con-cernente l'università di Bologna: et specialiter constitu-tionem factam de studio et studentibus Bononiae. Cosìquesta celebre università in mezzo alle frequenti scosse;dalle quali o per le domestiche turbolenze, o per l'odiode' suoi nemici fu travagliata, si stette sempre ferma ecostante; e vicina più volte a rimaner quasi oppressa, ri-sorse sempre più lieta e più fiorente di prima.

VIII. In tutto questo secolo non troviamoaltre vicende, a cui ella fosse esposta, tratto-ne qualche pontificio interdetto, di cui frapoco ragioneremo; ma abbiamo moltissimimonumenti che ci dimostrano in qual fama

ella fosse, e quanto numeroso fosse il concorso che daogni parte faceasi a quelle scuole. Odofredo raccontache a' tempi di Azzo, il quale ivi fioriva al principio delXIII secolo, egli vide in Bologna fino a diecimila scola-ri: Erant hic tunc temporis bene X millia scholares (inAuthent. Habita c. Ne filius pro patre). Fra questi ven'avea molti per nascita e per dignità ragguardevoli, efra le altre cose osserva e prova con autentici monumen-ti il p. Sarti (pars 1; p. 453, nota d), che molti da questescuole furono tratti per essere sollevati alle cattedre ve-scovili. Ma niuna cosa meglio ci mostra il grido che pertutta Europa era sparso dell'università di Bologna, quan-to i Cataloghi degli scolari illustri, che dall'an. 1265 fino

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Fiore in cuiella era nel corso di questo se-colo.

Ital. t. 3, p. 909), in cui rivocò i decreti già da lui fatticontro le città lombarde, e nominatamente quello con-cernente l'università di Bologna: et specialiter constitu-tionem factam de studio et studentibus Bononiae. Cosìquesta celebre università in mezzo alle frequenti scosse;dalle quali o per le domestiche turbolenze, o per l'odiode' suoi nemici fu travagliata, si stette sempre ferma ecostante; e vicina più volte a rimaner quasi oppressa, ri-sorse sempre più lieta e più fiorente di prima.

VIII. In tutto questo secolo non troviamoaltre vicende, a cui ella fosse esposta, tratto-ne qualche pontificio interdetto, di cui frapoco ragioneremo; ma abbiamo moltissimimonumenti che ci dimostrano in qual fama

ella fosse, e quanto numeroso fosse il concorso che daogni parte faceasi a quelle scuole. Odofredo raccontache a' tempi di Azzo, il quale ivi fioriva al principio delXIII secolo, egli vide in Bologna fino a diecimila scola-ri: Erant hic tunc temporis bene X millia scholares (inAuthent. Habita c. Ne filius pro patre). Fra questi ven'avea molti per nascita e per dignità ragguardevoli, efra le altre cose osserva e prova con autentici monumen-ti il p. Sarti (pars 1; p. 453, nota d), che molti da questescuole furono tratti per essere sollevati alle cattedre ve-scovili. Ma niuna cosa meglio ci mostra il grido che pertutta Europa era sparso dell'università di Bologna, quan-to i Cataloghi degli scolari illustri, che dall'an. 1265 fino

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Fiore in cuiella era nel corso di questo se-colo.

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il 1294 la frequentarono, tratti dagli antichi registri, epubblicati dal medesimo p. Sarti (pars 2, p. 234, ec.).Oltre gl'Italiani d'ogni provincia, noi vi veggiamo Fran-cesi, Fiamminghi, Tedeschi, Portoghesi, Spagnuoli, In-glesi, e Scozzesi in gran numero, e molti di essi onoraticol titolo di canonici, di priori, di proposti, o, di altreragguardevoli cariche. E in un monumento dell'an. 1240pubblicato dagli annalisti camaldolesi (Ann. camald.vol. 4, p. 349) troviamo espressa menzione de' Francesi,de' Fiamminghi, di que' di Poitiers, degli Spagnuoli,degl'Inglesi, e de' Normanni, ch'erano in Bologna. Tuttele scienze aveano i lor professori, e noi dovremo parlarede' più illustri tra essi quando tratteremo di ciaschedunascienza partitamente. Ciò che intorno ad essi qui dob-biamo osservare, si è che fin verso la fine di questo se-colo essi non aveano stipendio alcuno dal pubblico era-rio, ma ciaschedun di loro contrattava co' suoi scolari, epatteggiava con loro della sua mercede; ed è piacevole aleggersi ciò che dice su questo proposito il faceto eschietto Odofredo ch'era professore di leggi prima ches'introducesse l'uso dello stipendio fisso, e determinato.Soleva egli oltre le ordinarie lezioni tenerne ancora al-cune straordinarie per maggior vantaggio de' suoi scola-ri, i quali perciò dovean anche pagargli una straordinariamercede. Ma Odofredo dopo alcun tempo conobbe cheil frutto non corrispondea alla fatica, e perciò con questeparole diè fine alla spiegazione dell'antico Digesto: "Etdico vobis, quod in anno sequenti intendo docere ordi-narie bene et legaliter, sicut unquam feci; extraordinarie

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il 1294 la frequentarono, tratti dagli antichi registri, epubblicati dal medesimo p. Sarti (pars 2, p. 234, ec.).Oltre gl'Italiani d'ogni provincia, noi vi veggiamo Fran-cesi, Fiamminghi, Tedeschi, Portoghesi, Spagnuoli, In-glesi, e Scozzesi in gran numero, e molti di essi onoraticol titolo di canonici, di priori, di proposti, o, di altreragguardevoli cariche. E in un monumento dell'an. 1240pubblicato dagli annalisti camaldolesi (Ann. camald.vol. 4, p. 349) troviamo espressa menzione de' Francesi,de' Fiamminghi, di que' di Poitiers, degli Spagnuoli,degl'Inglesi, e de' Normanni, ch'erano in Bologna. Tuttele scienze aveano i lor professori, e noi dovremo parlarede' più illustri tra essi quando tratteremo di ciaschedunascienza partitamente. Ciò che intorno ad essi qui dob-biamo osservare, si è che fin verso la fine di questo se-colo essi non aveano stipendio alcuno dal pubblico era-rio, ma ciaschedun di loro contrattava co' suoi scolari, epatteggiava con loro della sua mercede; ed è piacevole aleggersi ciò che dice su questo proposito il faceto eschietto Odofredo ch'era professore di leggi prima ches'introducesse l'uso dello stipendio fisso, e determinato.Soleva egli oltre le ordinarie lezioni tenerne ancora al-cune straordinarie per maggior vantaggio de' suoi scola-ri, i quali perciò dovean anche pagargli una straordinariamercede. Ma Odofredo dopo alcun tempo conobbe cheil frutto non corrispondea alla fatica, e perciò con questeparole diè fine alla spiegazione dell'antico Digesto: "Etdico vobis, quod in anno sequenti intendo docere ordi-narie bene et legaliter, sicut unquam feci; extraordinarie

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non credo legere, quia scholares non sunt boni pagato-res, quia volunt scire, sed nolunt solvere, juxta illud:Scire volunt omnes, mercedem solvere nemo. Non habeovobis plura dicere; eatis cum benedictione Domini" (adfin. Comment. Dig. vet.). Benchè nondimeno, come diceOdofredo, gli scolari bolognesi non fosser troppo splen-didi pagatori, egli si arricchì non poco, e quando vennea morte, egli doveva ancor ricever da essi la somma aque' tempi assai ragguardevole di 400 lire, come con au-tentici monumenti prova il p. Sarti (pars 1, p. 149). Gar-zia spagnuolo fu il primo a cui l'an. 1280 fu dal pubblicoassegnato non un annuale stipendio, ma un capitale di150 lire (id. p. 401). Si ordinò poscia che fra' professoridi legge due ve ne avesse; uno di legge civile, l'altro dicanonica, a cui il pubblico assegnasse stipendio; e i pri-mi a tal fine scelti l'an. 1289 furono Dino da Mugelloper la legge civile, e Altogrado di Lendinara per la ca-nonica; e al primo si assegnarono 100 annue lire, 150 alsecondo (id. p. 410). Crebbe poi coll'andar del tempo ilnumero de' professori stipendiati dal pubblico; e final-mente si giunse a fissare a ciascheduno il suo determi-nato stipendio. Ma io penso che que' celebri antichi dot-tori più che delle ricchezze e degli stipendj si pregiasse-ro dell'onore di essere ascritti a un sì ragguardevole cor-po, qual era questa università, a cui da ogni parte si ren-devano onori, e si facevano elogi. In fatti, come Federi-go II ad essa indirizzò le sue leggi, perchè fossero inse-rite nel Corpo della Giurisprudenza, così i romani pon-tefici ad essa indirizzarono le lor Decretali, come vedre-

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non credo legere, quia scholares non sunt boni pagato-res, quia volunt scire, sed nolunt solvere, juxta illud:Scire volunt omnes, mercedem solvere nemo. Non habeovobis plura dicere; eatis cum benedictione Domini" (adfin. Comment. Dig. vet.). Benchè nondimeno, come diceOdofredo, gli scolari bolognesi non fosser troppo splen-didi pagatori, egli si arricchì non poco, e quando vennea morte, egli doveva ancor ricever da essi la somma aque' tempi assai ragguardevole di 400 lire, come con au-tentici monumenti prova il p. Sarti (pars 1, p. 149). Gar-zia spagnuolo fu il primo a cui l'an. 1280 fu dal pubblicoassegnato non un annuale stipendio, ma un capitale di150 lire (id. p. 401). Si ordinò poscia che fra' professoridi legge due ve ne avesse; uno di legge civile, l'altro dicanonica, a cui il pubblico assegnasse stipendio; e i pri-mi a tal fine scelti l'an. 1289 furono Dino da Mugelloper la legge civile, e Altogrado di Lendinara per la ca-nonica; e al primo si assegnarono 100 annue lire, 150 alsecondo (id. p. 410). Crebbe poi coll'andar del tempo ilnumero de' professori stipendiati dal pubblico; e final-mente si giunse a fissare a ciascheduno il suo determi-nato stipendio. Ma io penso che que' celebri antichi dot-tori più che delle ricchezze e degli stipendj si pregiasse-ro dell'onore di essere ascritti a un sì ragguardevole cor-po, qual era questa università, a cui da ogni parte si ren-devano onori, e si facevano elogi. In fatti, come Federi-go II ad essa indirizzò le sue leggi, perchè fossero inse-rite nel Corpo della Giurisprudenza, così i romani pon-tefici ad essa indirizzarono le lor Decretali, come vedre-

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mo parlando del diritto canonico, acciocchè per opera diessa si comunicassero, direi quasi al mondo tutto. Insomma era Bologna fino da questi tempi un luminosoteatro di tutte le scienze, in cui quasi tutti i più celebriuomini venivano a far pompa del lor sapere insegnando,e a cui da ogni parte d'Europa accorrevano in folla i gio-vani bramosi d'essere istruiti. Quindi il pontef. OnorioIII in una della sue lettere ad essa scritte, e pubblicatedal p. Sarti (pars 2, p. 57), parlando co' Bolognesi ram-menta loro che "per lo studio delle scienze la lor città,oltre altri infiniti vantaggi che ne traeva, era divenutasopra l'altre famosa e per tutto il mondo n'era celebre ilnome; ch'essa era divenuta a guisa di un'altra Betlem,ossia casa del pane, il quale ivi rompevasi a' fanciulli,che da essa uscivano i condottieri destinati a reggere ilpopol di Dio, poichè coloro che ivi s'istruivano, eran po-scia prescelti al governo delle anime; ch'essa finalmentedal piccolo stato in cui era dapprima, venuta pel concor-so degli stranieri in grandi ricchezze, superava omai tut-te le altre città di quella provincia".

IX. Mentre in tal modo fioriva felicemen-te, e rendeasi vieppiù famosa l'universitàdi Bologna, le altre due, cioè quelle di Pa-dova e di Napoli, erette quasi per conten-derle il primo vanto, faceano esse pure lie-

ti progressi benchè fossero assai lungi dall'avere quelnome di cui godeva la prima. Quai fossero i principj di

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Stato dell'uni-versità di Pa-dova ne' primianni di questosecolo.

mo parlando del diritto canonico, acciocchè per opera diessa si comunicassero, direi quasi al mondo tutto. Insomma era Bologna fino da questi tempi un luminosoteatro di tutte le scienze, in cui quasi tutti i più celebriuomini venivano a far pompa del lor sapere insegnando,e a cui da ogni parte d'Europa accorrevano in folla i gio-vani bramosi d'essere istruiti. Quindi il pontef. OnorioIII in una della sue lettere ad essa scritte, e pubblicatedal p. Sarti (pars 2, p. 57), parlando co' Bolognesi ram-menta loro che "per lo studio delle scienze la lor città,oltre altri infiniti vantaggi che ne traeva, era divenutasopra l'altre famosa e per tutto il mondo n'era celebre ilnome; ch'essa era divenuta a guisa di un'altra Betlem,ossia casa del pane, il quale ivi rompevasi a' fanciulli,che da essa uscivano i condottieri destinati a reggere ilpopol di Dio, poichè coloro che ivi s'istruivano, eran po-scia prescelti al governo delle anime; ch'essa finalmentedal piccolo stato in cui era dapprima, venuta pel concor-so degli stranieri in grandi ricchezze, superava omai tut-te le altre città di quella provincia".

IX. Mentre in tal modo fioriva felicemen-te, e rendeasi vieppiù famosa l'universitàdi Bologna, le altre due, cioè quelle di Pa-dova e di Napoli, erette quasi per conten-derle il primo vanto, faceano esse pure lie-

ti progressi benchè fossero assai lungi dall'avere quelnome di cui godeva la prima. Quai fossero i principj di

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Stato dell'uni-versità di Pa-dova ne' primianni di questosecolo.

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quella di Padova, si è da noi veduto poc'anzi. Scarse sonle notizie che di que' tempi ci son rimaste. Veggiamnondimeno in alcuni monumenti dell'an. 1226, che si ac-cennano dal Facciolati (De Gymn. patav. Syntagm. p. 3),nominarsi maestro Rufino decretista, e maestro Jacopodecretalista. Chi fosse Jacopo, nol possiamo congettura-re per la moltitudine di quelli che troviamo appellati conquesto nome. Rufino, s'io non mi inganno, era quel des-so stato già professor del diritto canonico in Bologna, emandato dall'università al pontef. Onorio III per solleci-tarlo ad annullare i decreti de' quali abbiam parlato inaddietro, contrarj alla libertà degli scolari (Sart. t. 1,pars 1, p. 288). Egli è probabile in fatti che Rufino, veg-gendo le difficoltà che in questo affar s'incontravano,mosso da dispetto e da sdegno si unisse agli altri profes-sori che da Bologna eransi trasportati a Padova, e cheivi aprisse scuola. Il Facciolati cita alcuni scrittori (l. c.)de' quali però niuno è più antico del sec. XV, che affer-mano che Federigo II l'an. 1241, sdegnato di nuovo con-tro de' Bolognesi, tolse loro le scuole, e ne fe' dono aiPadovani. Ma egli stesso, non osa di addottare, comeprivo di fondamento, cotal racconto, e noi abbiam giàmostrato che la università di Padova avea avuto più an-tico principio. E crede bensì verisimile (ib. p. 10) cheall'occasione dell'interdetto, a cui Alessandro V condan-nò Bologna, molti abbandonassero quelle scuole, e si re-cassero a Padova. Di un tale interdetto parla il Muratoriall'an. 1260 (Ann. di Ital. ad an. 1260), e dice che Ales-sandro privolla ancor dello studio e ne reca in pruova le

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quella di Padova, si è da noi veduto poc'anzi. Scarse sonle notizie che di que' tempi ci son rimaste. Veggiamnondimeno in alcuni monumenti dell'an. 1226, che si ac-cennano dal Facciolati (De Gymn. patav. Syntagm. p. 3),nominarsi maestro Rufino decretista, e maestro Jacopodecretalista. Chi fosse Jacopo, nol possiamo congettura-re per la moltitudine di quelli che troviamo appellati conquesto nome. Rufino, s'io non mi inganno, era quel des-so stato già professor del diritto canonico in Bologna, emandato dall'università al pontef. Onorio III per solleci-tarlo ad annullare i decreti de' quali abbiam parlato inaddietro, contrarj alla libertà degli scolari (Sart. t. 1,pars 1, p. 288). Egli è probabile in fatti che Rufino, veg-gendo le difficoltà che in questo affar s'incontravano,mosso da dispetto e da sdegno si unisse agli altri profes-sori che da Bologna eransi trasportati a Padova, e cheivi aprisse scuola. Il Facciolati cita alcuni scrittori (l. c.)de' quali però niuno è più antico del sec. XV, che affer-mano che Federigo II l'an. 1241, sdegnato di nuovo con-tro de' Bolognesi, tolse loro le scuole, e ne fe' dono aiPadovani. Ma egli stesso, non osa di addottare, comeprivo di fondamento, cotal racconto, e noi abbiam giàmostrato che la università di Padova avea avuto più an-tico principio. E crede bensì verisimile (ib. p. 10) cheall'occasione dell'interdetto, a cui Alessandro V condan-nò Bologna, molti abbandonassero quelle scuole, e si re-cassero a Padova. Di un tale interdetto parla il Muratoriall'an. 1260 (Ann. di Ital. ad an. 1260), e dice che Ales-sandro privolla ancor dello studio e ne reca in pruova le

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antiche Cronache di quella città da lui medesimo pubbli-cate (vol. 18 Script. rer. ital.). Io consultandole non hoavuta la sorte di trovarvi tal cosa. Solo in quella di Mat-teo Griffoni se ne fa motto (ib. p. 114), ma all'an. 1255,non al 1260, come il Muratori afferma. Civitas Bono-niae fuit excommunicata per quemdam Capellanum Do-mini Papae, occasione Domini Brancaleonis de Andalò.Checchessia di ciò, è certo che Bologna versoquest'anno fu punita coll'interdetto, e in esso fu compre-sa ancora l'università. Ma questa non dovette soffrirnequasi alcun danno, perciocchè, per testimonianza diOdofredo che allora vi era professor di leggi, il solo ef-fetto che ne seguì, fu il differirsi il cominciamento dellescuole fino ad Ognissanti. Ecco le parole di questo scrit-tore, che hanno sempre una nativa piacevolissima sem-plicità. "Or Signori" (così spesso egli parla nel passareda una ad altra cosa), "debemus; regratiar Deo et BeataeVirgini Matri ejus, quod hunc librum complevimus; et sitardae incepimus, tarde finivimus, propter interdictumhujus Civitatis, quae erat interdicta occasione obsidum,quos habebat Dominus Castellanus de Andalò, unde in-cepimus in Vigilia omnium Sanctorum istum librum,quod non vidi fieri alias nisi in eo anno, in quo decessitDominus Azzo, quia amore sui fuit tardatum Studiumusque in Festum omnium Sanctorum (ad fin. Comment.in 2 Cod. Part.). Se dunque altro effetto non ebbe questointerdetto che il differirsi il cominciamento delle scuoledalla festa di s. Michele, in cui solevano aprirsi, fino adOgnissanti, non pare che ne potesse venire o gran danno

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antiche Cronache di quella città da lui medesimo pubbli-cate (vol. 18 Script. rer. ital.). Io consultandole non hoavuta la sorte di trovarvi tal cosa. Solo in quella di Mat-teo Griffoni se ne fa motto (ib. p. 114), ma all'an. 1255,non al 1260, come il Muratori afferma. Civitas Bono-niae fuit excommunicata per quemdam Capellanum Do-mini Papae, occasione Domini Brancaleonis de Andalò.Checchessia di ciò, è certo che Bologna versoquest'anno fu punita coll'interdetto, e in esso fu compre-sa ancora l'università. Ma questa non dovette soffrirnequasi alcun danno, perciocchè, per testimonianza diOdofredo che allora vi era professor di leggi, il solo ef-fetto che ne seguì, fu il differirsi il cominciamento dellescuole fino ad Ognissanti. Ecco le parole di questo scrit-tore, che hanno sempre una nativa piacevolissima sem-plicità. "Or Signori" (così spesso egli parla nel passareda una ad altra cosa), "debemus; regratiar Deo et BeataeVirgini Matri ejus, quod hunc librum complevimus; et sitardae incepimus, tarde finivimus, propter interdictumhujus Civitatis, quae erat interdicta occasione obsidum,quos habebat Dominus Castellanus de Andalò, unde in-cepimus in Vigilia omnium Sanctorum istum librum,quod non vidi fieri alias nisi in eo anno, in quo decessitDominus Azzo, quia amore sui fuit tardatum Studiumusque in Festum omnium Sanctorum (ad fin. Comment.in 2 Cod. Part.). Se dunque altro effetto non ebbe questointerdetto che il differirsi il cominciamento delle scuoledalla festa di s. Michele, in cui solevano aprirsi, fino adOgnissanti, non pare che ne potesse venire o gran danno

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all'università di Bologna, o gran vantaggio a quella diPadova.

X. Il vedere che dall'an. 1226 fin verso il1260 non si trova, ch'io sappia, menzio-ne di studio pubblico e generale in Pado-va, mi fa nascer sospetto ch'esso ancorafosse soggetto ad alcuna di quelle vicen-de che travagliarono l'università di Bolo-

gna. Non potrebbesi credere per avventura ch'esso fosseo interamente, o in gran parte trasportato altrove? Ioproporrò qui il fondamento su cui parmi che ciò si possacon qualche probabilità affermare; e lascerò che ne giu-dichin gli eruditi. Il sig. ab. Zaccaria ha dato alla luce unmonumento (Iter literar. pars 1, p. 142) tratto dall'archi-vio della città di Vercelli, di cui ha ancora parlato l'eru-ditissimo sig. Jacopo Durandi (Dell'antica condiz. delVercell. p. 49). Esso è de' 4 di aprile dell'an. 1228, e furogato in Padova in hospitio Magistri Raynaldi et Petride Boxevilla. Due messi della comunità di Vercelli spe-diti dal podestà Rainaldo Trotto a nome della stessa co-munità stabiliscono i patti per l'erezione di un pubblicostudio nella suddetta città co' rettori degli scolari di di-verse nazioni, ch'erano in Padova cioè de' Francesi,degl'Inglesi, de' Normanni, degl'Italiani, e de' Provenza-li, degli Spagnuoli, dei Catalani. Molti sono gli articoliche tra questi lettori e i messi della comunità di Vercellisi veggono concertati; fra gli altri, che il podestà e la

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Nuova universi-tà in Vercelli, in cui forse fu per qualche anno trasportata quel-la di Padova.

all'università di Bologna, o gran vantaggio a quella diPadova.

X. Il vedere che dall'an. 1226 fin verso il1260 non si trova, ch'io sappia, menzio-ne di studio pubblico e generale in Pado-va, mi fa nascer sospetto ch'esso ancorafosse soggetto ad alcuna di quelle vicen-de che travagliarono l'università di Bolo-

gna. Non potrebbesi credere per avventura ch'esso fosseo interamente, o in gran parte trasportato altrove? Ioproporrò qui il fondamento su cui parmi che ciò si possacon qualche probabilità affermare; e lascerò che ne giu-dichin gli eruditi. Il sig. ab. Zaccaria ha dato alla luce unmonumento (Iter literar. pars 1, p. 142) tratto dall'archi-vio della città di Vercelli, di cui ha ancora parlato l'eru-ditissimo sig. Jacopo Durandi (Dell'antica condiz. delVercell. p. 49). Esso è de' 4 di aprile dell'an. 1228, e furogato in Padova in hospitio Magistri Raynaldi et Petride Boxevilla. Due messi della comunità di Vercelli spe-diti dal podestà Rainaldo Trotto a nome della stessa co-munità stabiliscono i patti per l'erezione di un pubblicostudio nella suddetta città co' rettori degli scolari di di-verse nazioni, ch'erano in Padova cioè de' Francesi,degl'Inglesi, de' Normanni, degl'Italiani, e de' Provenza-li, degli Spagnuoli, dei Catalani. Molti sono gli articoliche tra questi lettori e i messi della comunità di Vercellisi veggono concertati; fra gli altri, che il podestà e la

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Nuova universi-tà in Vercelli, in cui forse fu per qualche anno trasportata quel-la di Padova.

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stessa communità assegneranno agli scolari 500 ospizjde' migliori che v'abbia in Vercelli, e più ancora, se piùne abbisogneranno; che i giorni dappoichè i professorisaranno eletti, il podestà di Vercelli manderà suoi messiad invitarli a tenere scuola nella detta città; che la comu-nità di Vercelli assegnerà a' professori un competentestipendio a giudizio di due scolari e di due cittadini, o,quand'essi sian discordi, ad arbitrio del vescovo, il qualestipendio dovrà fissarsi prima della solennità d'Ognis-santi, e pagarsi loro prima della festa di s. Tommaso;che i professori saranno un teologo, tre maestri di legge,due decretisti, due decretalisti, due medici, due dialetti-ci, due gramatici; che l'elezione di questi si farà da quat-tro de' rettori delle diverse nazioni poc'anzi nominati;che la comunità di Vercelli avrà due copiatori, i qualiprovvedano agli scolari le copie de' necessarj libri, cuiessi pagheranno secondo le tasse che si fisseran da' ret-tori; che il podestà della stessa città di Vercelli manderàsuoi messi alle altre città d'Italia, ed altrove ancora, secosì piaccia, per avvertirle che lo studio era fissato inVercelli: ad significandum studium esse firmatum Ver-cellis, e per invitarvi scolari; finalmente i suddetti rettorie gli scolari di Padova a nome di tutti gli altri scolaridelle loro nazioni promettono a' messi della comunità diVercelli, che si adopereranno sinceramente, perchè tantiscolari vadano a Vercelli, quanti ne fa d'uopo ad abitarei suddetti 500 ospizj, e perchè tutto lo studio di Padovasi trasporti a Vercelli, e vi stia per lo spazio di 9 anni;ma se essi nol potranno ottenere, non siam tenuti a nul-

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stessa communità assegneranno agli scolari 500 ospizjde' migliori che v'abbia in Vercelli, e più ancora, se piùne abbisogneranno; che i giorni dappoichè i professorisaranno eletti, il podestà di Vercelli manderà suoi messiad invitarli a tenere scuola nella detta città; che la comu-nità di Vercelli assegnerà a' professori un competentestipendio a giudizio di due scolari e di due cittadini, o,quand'essi sian discordi, ad arbitrio del vescovo, il qualestipendio dovrà fissarsi prima della solennità d'Ognis-santi, e pagarsi loro prima della festa di s. Tommaso;che i professori saranno un teologo, tre maestri di legge,due decretisti, due decretalisti, due medici, due dialetti-ci, due gramatici; che l'elezione di questi si farà da quat-tro de' rettori delle diverse nazioni poc'anzi nominati;che la comunità di Vercelli avrà due copiatori, i qualiprovvedano agli scolari le copie de' necessarj libri, cuiessi pagheranno secondo le tasse che si fisseran da' ret-tori; che il podestà della stessa città di Vercelli manderàsuoi messi alle altre città d'Italia, ed altrove ancora, secosì piaccia, per avvertirle che lo studio era fissato inVercelli: ad significandum studium esse firmatum Ver-cellis, e per invitarvi scolari; finalmente i suddetti rettorie gli scolari di Padova a nome di tutti gli altri scolaridelle loro nazioni promettono a' messi della comunità diVercelli, che si adopereranno sinceramente, perchè tantiscolari vadano a Vercelli, quanti ne fa d'uopo ad abitarei suddetti 500 ospizj, e perchè tutto lo studio di Padovasi trasporti a Vercelli, e vi stia per lo spazio di 9 anni;ma se essi nol potranno ottenere, non siam tenuti a nul-

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la: "quod bona fide sine fraude dabunt operam, quod totscolares veniant Vercellis, et morentur ibi in Studio, quisint sufficientes ad praedicta quingenta hospicia condu-cenda, et quod universum Studium Padue veniet Vercel-lis et moretur ibi, usque ad octo annos: si tamen facerenon poterint, non teneantur". Qui dunque abbiamo imessi della città di Vercelli spediti a Padova a contratta-re con que' rettori delle pubbliche scuole l'aprimento diun nuovo studio nella loro città; abbiamo i patti che fra irettori medesimi e i suddetti messi si stabiliscono; ab-biam la promessa degli stessi rettori di usar d'ogni mez-zo perchè tutto lo studio di Padova si trasferisca a Ver-celli. Non è egli dunque evidente che fu tra essi trattatodi trasportare a Vercelli o tutti, o almeno in gran parte iprofessori e gli scolari ch'erano in Padova? Ma questotrasporto seguì egli in fatti? Non vi ha documento che cene assicuri. Ma poichè, come si è detto, dall'an. 1228 incui il suddetto trattato fu stabilito, fin verso l'an. 1260non trovasi menzione di università di Padova, a me sem-bra probabile assai che il trattato fosse eseguito, e chequello studio o interamente, o in gran parte fosse tra-sportato a Vercelli. Forse ancora esso vi si mantenne ol-tre gli otto anni ch'erano pattuiti. Ciò ch'è certo si è, chei Vercellesi chiesero a Federigo II un professor di leggi,e abbiamo ancor la lettera con cui egli loro il concede(Martene Vet. Script. Cellect. vol. 2, p. 1141), benchè,essendo ella senza data, non si possa conoscere a qualanno appartenga. È certo parimenti che l'an. 1231 quellauniversità sussisteva, perciocchè in una carta de' 28 di

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la: "quod bona fide sine fraude dabunt operam, quod totscolares veniant Vercellis, et morentur ibi in Studio, quisint sufficientes ad praedicta quingenta hospicia condu-cenda, et quod universum Studium Padue veniet Vercel-lis et moretur ibi, usque ad octo annos: si tamen facerenon poterint, non teneantur". Qui dunque abbiamo imessi della città di Vercelli spediti a Padova a contratta-re con que' rettori delle pubbliche scuole l'aprimento diun nuovo studio nella loro città; abbiamo i patti che fra irettori medesimi e i suddetti messi si stabiliscono; ab-biam la promessa degli stessi rettori di usar d'ogni mez-zo perchè tutto lo studio di Padova si trasferisca a Ver-celli. Non è egli dunque evidente che fu tra essi trattatodi trasportare a Vercelli o tutti, o almeno in gran parte iprofessori e gli scolari ch'erano in Padova? Ma questotrasporto seguì egli in fatti? Non vi ha documento che cene assicuri. Ma poichè, come si è detto, dall'an. 1228 incui il suddetto trattato fu stabilito, fin verso l'an. 1260non trovasi menzione di università di Padova, a me sem-bra probabile assai che il trattato fosse eseguito, e chequello studio o interamente, o in gran parte fosse tra-sportato a Vercelli. Forse ancora esso vi si mantenne ol-tre gli otto anni ch'erano pattuiti. Ciò ch'è certo si è, chei Vercellesi chiesero a Federigo II un professor di leggi,e abbiamo ancor la lettera con cui egli loro il concede(Martene Vet. Script. Cellect. vol. 2, p. 1141), benchè,essendo ella senza data, non si possa conoscere a qualanno appartenga. È certo parimenti che l'an. 1231 quellauniversità sussisteva, perciocchè in una carta de' 28 di

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gennaio del detto anno, che leggesi nel codice de' Bi-scioni a fol. 40 si trova scritto: "Item omnes mercantiaesint hinc inde ab utraque parte apertae et liberae sinecontradictione utriusque civitatis, salvis conditionibusScolarium commorantium apud Vercellas, usque adtempus conditionum promissarum scolaribus, si tamenusque ad illud tempus Studium generale in Civitate Var-cellarum permanserit". Delle quali notizie io son debito-re alla gentilezza degli eruditissimi p. ab. Frova can.reg. lateranese, e p. m. Giuseppe Allegranza domenica-no che mi ha comunicate le riflessioni dal primo fatte suquesto bel documento. È certo ancora che l'an. 1234 erain Vercelli studio pubblico; perciocchè Jacopo Carnarioproposto di quella chiesa nel suo testamento fatto a' 13novembre del detto anno, e dato alla luce dal ch. propo-sto Irico, fa menzione degli scolari, comandando che ciòche avanza di certe sue entrate "in usus pauperum, etmaxime Scholarium audientium Sacram Paginam ex-pendantur, ita quoti Eleemosinarius..... ad minus tresScholares pauperes audientes Theologiam, si Doctor inTheologia Vercellis fuerit, eligat, quorum quilibet singu-lis Dominicis percipiat quindecim panes sicalis, ec."(Hist. Tridin. p. 84, ec.). Quindi lasciando i suoi libri diteologia a' Domenicani di quella città, comanda ch'essinon possan prestarli ad alcuno, trattine certi pochi ch'einomina, e tra essi Magistro, qui Vercellis de Theologiadoceret, e finalmente ordina che i suoi libri appartenentia fisica e ad arti si distribuiscano agli scolari poveri del-la stessa città: Libri autem Phisicae et Artium distri-

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gennaio del detto anno, che leggesi nel codice de' Bi-scioni a fol. 40 si trova scritto: "Item omnes mercantiaesint hinc inde ab utraque parte apertae et liberae sinecontradictione utriusque civitatis, salvis conditionibusScolarium commorantium apud Vercellas, usque adtempus conditionum promissarum scolaribus, si tamenusque ad illud tempus Studium generale in Civitate Var-cellarum permanserit". Delle quali notizie io son debito-re alla gentilezza degli eruditissimi p. ab. Frova can.reg. lateranese, e p. m. Giuseppe Allegranza domenica-no che mi ha comunicate le riflessioni dal primo fatte suquesto bel documento. È certo ancora che l'an. 1234 erain Vercelli studio pubblico; perciocchè Jacopo Carnarioproposto di quella chiesa nel suo testamento fatto a' 13novembre del detto anno, e dato alla luce dal ch. propo-sto Irico, fa menzione degli scolari, comandando che ciòche avanza di certe sue entrate "in usus pauperum, etmaxime Scholarium audientium Sacram Paginam ex-pendantur, ita quoti Eleemosinarius..... ad minus tresScholares pauperes audientes Theologiam, si Doctor inTheologia Vercellis fuerit, eligat, quorum quilibet singu-lis Dominicis percipiat quindecim panes sicalis, ec."(Hist. Tridin. p. 84, ec.). Quindi lasciando i suoi libri diteologia a' Domenicani di quella città, comanda ch'essinon possan prestarli ad alcuno, trattine certi pochi ch'einomina, e tra essi Magistro, qui Vercellis de Theologiadoceret, e finalmente ordina che i suoi libri appartenentia fisica e ad arti si distribuiscano agli scolari poveri del-la stessa città: Libri autem Phisicae et Artium distri-

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buantur pauperibus Scholaribus vercellens. Il sopracci-tato sig. Durandi riferisce sull'autorità del Cusano scrit-tor vercellese contemporaneo, che l'an. 1630 "StefanoAlessandri nobile vercellese proprietario del sito dellaSapienza (in cui erano le scuole pubbliche di Vercelli),avendo ivi fatto qualche escavazione, vi ritrovò, oltre amolte fondamenta di casa, anche molti finissimi marmied avanzi di statue, e discoperse il principio d'una spa-ziosa scala cogli scaglioni di marmo nero disposti conbell'ordine". Queste eran forse vestigia dell'università diVercelli, la quale, com'egli aggiunge, si mantenne finverso l'an. 1400, ma forse ancora erano avanzi di altripiù antichi edifizj. Se verrà un giorno in cui qualcheVercellese erudito si faccia a ricercar diligentemente icopiosissimi e ricchissimi archivj di quella sì illustre cit-tà che ne' tempi addietro ha gareggiato colle più potentid'Italia, altre più certe notizie si potranno probabilmentescoprire intorno a questa università(8). Ma per ora ci èforza l'appagarci del poco che ne abbiamo potuto direcongetturando.

8 Il sig. Siro Comi, altrove da me lodato, afferma che da Pavia e da Milanofu lo studio generale trasportato a Vercelli (Philelphus Archigymn. Ticin.Vindicatus p. 132) l'an. 1225. Ma a dir vero, non avrei osato di credere cheun colto erudito scrittore, come egli è, avesse potuto ciò asserire sull'auto-rità delle Cronache di s. Francesco, ch'è il solo documento a cui un tal rac-conto si appoggia, come si vedrà ancora ad altra occasione.

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buantur pauperibus Scholaribus vercellens. Il sopracci-tato sig. Durandi riferisce sull'autorità del Cusano scrit-tor vercellese contemporaneo, che l'an. 1630 "StefanoAlessandri nobile vercellese proprietario del sito dellaSapienza (in cui erano le scuole pubbliche di Vercelli),avendo ivi fatto qualche escavazione, vi ritrovò, oltre amolte fondamenta di casa, anche molti finissimi marmied avanzi di statue, e discoperse il principio d'una spa-ziosa scala cogli scaglioni di marmo nero disposti conbell'ordine". Queste eran forse vestigia dell'università diVercelli, la quale, com'egli aggiunge, si mantenne finverso l'an. 1400, ma forse ancora erano avanzi di altripiù antichi edifizj. Se verrà un giorno in cui qualcheVercellese erudito si faccia a ricercar diligentemente icopiosissimi e ricchissimi archivj di quella sì illustre cit-tà che ne' tempi addietro ha gareggiato colle più potentid'Italia, altre più certe notizie si potranno probabilmentescoprire intorno a questa università(8). Ma per ora ci èforza l'appagarci del poco che ne abbiamo potuto direcongetturando.

8 Il sig. Siro Comi, altrove da me lodato, afferma che da Pavia e da Milanofu lo studio generale trasportato a Vercelli (Philelphus Archigymn. Ticin.Vindicatus p. 132) l'an. 1225. Ma a dir vero, non avrei osato di credere cheun colto erudito scrittore, come egli è, avesse potuto ciò asserire sull'auto-rità delle Cronache di s. Francesco, ch'è il solo documento a cui un tal rac-conto si appoggia, come si vedrà ancora ad altra occasione.

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XI. Se l'università eretta in Vercelli sop-presse per qualche tempo quella di Pado-va, questa tornò poscia a risorgere piùgloriosa di prima verso l'an. 1260, per-ciocchè in quest'anno medesimo veg-giam creato il primo rettore della mede-sima, che secondo il ch. Facciolati fu

Ansaldo spagnuolo (Fast. Gymnas. patav. pars 1, p. 1).Il Papadopoli al contrario, scrittor più antico del Faccio-lati, lo chiama Gonsaldo; e dice ch'ei fu rettore non l'an.1260, ma l'an. 1263. A chi di essi crederem noi? Amen-due affermano che ciò si raccoglie da' registri della stes-sa università, ma niun di essi ne arreca le espresse paro-le. Così pure negli anni seguenti sono spesso questi dueautori tra lor contrarj, e noi non sappiamo chi di essimeriti maggior fede. Egli è certo a dolersi che una sì fa-mosa università non abbia ancora avuto uno storico dili-gente ed esatto. L'eruditiss. procuratore e poscia doge diVenezia Marco Foscarini ne faceva a' suoi tempi quere-la, mentre già era uscita quella di Niccolò Comneno Pa-padopoli, di cui egli dice (Letterat. venez. p. 48, nota129) che non ha corrisposto all'espettazione e al desi-derio de' dotti. Egli sperava che il coltissimo Facciolatiavrebbe soddisfatto felicemente alla brama comune.Egli in fatti ha dati prima i dodici Sintagmi intorno aquella università (Patavii 1752 in 8); poscia i Fasti dellamedesima divisi in tre parti (ib. 1757 in 4). Amendue leopere sono scritte con quella eleganza che poteasi aspet-tare da sì pulito scrittore. Ma gli eruditi si dolgono che

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Si ripiglia la se-rie delle vicendedell'università diPadova: caratte-re degli storici di essa.

XI. Se l'università eretta in Vercelli sop-presse per qualche tempo quella di Pado-va, questa tornò poscia a risorgere piùgloriosa di prima verso l'an. 1260, per-ciocchè in quest'anno medesimo veg-giam creato il primo rettore della mede-sima, che secondo il ch. Facciolati fu

Ansaldo spagnuolo (Fast. Gymnas. patav. pars 1, p. 1).Il Papadopoli al contrario, scrittor più antico del Faccio-lati, lo chiama Gonsaldo; e dice ch'ei fu rettore non l'an.1260, ma l'an. 1263. A chi di essi crederem noi? Amen-due affermano che ciò si raccoglie da' registri della stes-sa università, ma niun di essi ne arreca le espresse paro-le. Così pure negli anni seguenti sono spesso questi dueautori tra lor contrarj, e noi non sappiamo chi di essimeriti maggior fede. Egli è certo a dolersi che una sì fa-mosa università non abbia ancora avuto uno storico dili-gente ed esatto. L'eruditiss. procuratore e poscia doge diVenezia Marco Foscarini ne faceva a' suoi tempi quere-la, mentre già era uscita quella di Niccolò Comneno Pa-padopoli, di cui egli dice (Letterat. venez. p. 48, nota129) che non ha corrisposto all'espettazione e al desi-derio de' dotti. Egli sperava che il coltissimo Facciolatiavrebbe soddisfatto felicemente alla brama comune.Egli in fatti ha dati prima i dodici Sintagmi intorno aquella università (Patavii 1752 in 8); poscia i Fasti dellamedesima divisi in tre parti (ib. 1757 in 4). Amendue leopere sono scritte con quella eleganza che poteasi aspet-tare da sì pulito scrittore. Ma gli eruditi si dolgono che

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Si ripiglia la se-rie delle vicendedell'università diPadova: caratte-re degli storici di essa.

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all'eleganza dell'espressione ei non abbia congiuntal'esattezza delle ricerche. La moderna critica scrupolosavuol sapere a qual fondamento si appoggi ciò che narralo storico, e si corruccia alquanto contro coloro chesembrano esiger fede sulla semplice loro parola. Se que-sto colto scrittore avesse fatto uso maggiore de' registridell'università, se avesse recate le loro stesse parole, seci avesse data maggior copia di monumenti antichi, laletteratura gliene sarebbe tenuta assai. Ma convien sof-ferire pazientemente ciò a che non può recarsi riparo.Noi verrem dunque accennando le principali cose ch'einarra, e sol prenderemo ad esaminarle, ove possiamo al-tronde raccogliere più sicure notizie.

XII. Io non mi tratterrò ad annove-rare i pochi rettori che dal Papado-poli e dal Facciolati si dicono averein questo secolo governata la sud-

detta università. I loro nomi non son celebri per alcunaltro riguardo, e non giova perciò l'occuparci in farne uninutil catalogo. Degno è però d'osservarsi che si veggo-no alcuni anni due rettori al medesimo tempo, uno de'Cisalpini, come dicevansi, l'altro de' Transalpini (Fac-ciol. Fasti pars 1, p. 5), il che ci scuopre che grande ividovea essere il numero degli stranieri, com'era stato in-nanzi al mentovato trasporto a Vercelli. Il Facciolati ac-cenna ancora parecchi opportuni provvedimenti dati inquesti anni pel regolamento delle scuole e degli scolari

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Essa ancora dopo la metà del XIII secolo era in gran fama.

all'eleganza dell'espressione ei non abbia congiuntal'esattezza delle ricerche. La moderna critica scrupolosavuol sapere a qual fondamento si appoggi ciò che narralo storico, e si corruccia alquanto contro coloro chesembrano esiger fede sulla semplice loro parola. Se que-sto colto scrittore avesse fatto uso maggiore de' registridell'università, se avesse recate le loro stesse parole, seci avesse data maggior copia di monumenti antichi, laletteratura gliene sarebbe tenuta assai. Ma convien sof-ferire pazientemente ciò a che non può recarsi riparo.Noi verrem dunque accennando le principali cose ch'einarra, e sol prenderemo ad esaminarle, ove possiamo al-tronde raccogliere più sicure notizie.

XII. Io non mi tratterrò ad annove-rare i pochi rettori che dal Papado-poli e dal Facciolati si dicono averein questo secolo governata la sud-

detta università. I loro nomi non son celebri per alcunaltro riguardo, e non giova perciò l'occuparci in farne uninutil catalogo. Degno è però d'osservarsi che si veggo-no alcuni anni due rettori al medesimo tempo, uno de'Cisalpini, come dicevansi, l'altro de' Transalpini (Fac-ciol. Fasti pars 1, p. 5), il che ci scuopre che grande ividovea essere il numero degli stranieri, com'era stato in-nanzi al mentovato trasporto a Vercelli. Il Facciolati ac-cenna ancora parecchi opportuni provvedimenti dati inquesti anni pel regolamento delle scuole e degli scolari

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Essa ancora dopo la metà del XIII secolo era in gran fama.

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(ib. p. 2, ec.; Syntagm. p. 10, ec.), e fra gli altri, che agliscolari poveri dovesse il pubblico dare a prestanza il ne-cessario denaro; che a' professori di legge si pagassel'annuale stipendio di 300 lire; che i medici non potesse-ro abbandonare i sentimenti d'Ippocrate e di Galeno, nè ifilosofi que' d'Aristotile; che i professori a' quali si paga-va stipendio dal pubblico erario, dovessero insegnareancora privatamente; e che se alcuno di loro ardisse dichiedere altra paga a' suoi scolari, fosse immediatamen-te tolto dal ruolo de' professori. Questi e somiglianti altridecreti che dal Facciolati si accennano, ci sono una certapruova dello stato in cui era a' quei tempi questa univer-sità. Un bel monumento ne abbiamo nella Cronaca diRolandino pubblicata dal Muratori, perciocchè egli nar-ra nel fine di essa (Script. rer. ital. vol. 8, p. 360), chel'an. 1262 a' 13 di aprile la sua Cronaca fu recitata nelchiostro di s. Urbano in Padova innanzi a' professori eagli scolari della università e che da essi fu solennemen-te lodata, approvata ed autenticata; ed egli nomina mae-stro Giovanni e maestro Zambonino, o come legge il co-dice di questa Estense biblioteca, Giovanni Zamboni,dottori in fisica, cioè nella medicina e nella scienza na-turale, maestro Tredecino professore di logica, e i mae-stri Rolandino, Morando, Zunta; Domenico padovano, eLucchesio professori di grammatica e di rettorica. Nè èa credere che tutti i professori sian qui nominati, per-ciocchè non veggiamo farsi menzione de' canonisti, iquali pur certamente vi erano, come e da ciò che abbiamdetto raccogliesi chiaramente, e proverassi ancora con

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(ib. p. 2, ec.; Syntagm. p. 10, ec.), e fra gli altri, che agliscolari poveri dovesse il pubblico dare a prestanza il ne-cessario denaro; che a' professori di legge si pagassel'annuale stipendio di 300 lire; che i medici non potesse-ro abbandonare i sentimenti d'Ippocrate e di Galeno, nè ifilosofi que' d'Aristotile; che i professori a' quali si paga-va stipendio dal pubblico erario, dovessero insegnareancora privatamente; e che se alcuno di loro ardisse dichiedere altra paga a' suoi scolari, fosse immediatamen-te tolto dal ruolo de' professori. Questi e somiglianti altridecreti che dal Facciolati si accennano, ci sono una certapruova dello stato in cui era a' quei tempi questa univer-sità. Un bel monumento ne abbiamo nella Cronaca diRolandino pubblicata dal Muratori, perciocchè egli nar-ra nel fine di essa (Script. rer. ital. vol. 8, p. 360), chel'an. 1262 a' 13 di aprile la sua Cronaca fu recitata nelchiostro di s. Urbano in Padova innanzi a' professori eagli scolari della università e che da essi fu solennemen-te lodata, approvata ed autenticata; ed egli nomina mae-stro Giovanni e maestro Zambonino, o come legge il co-dice di questa Estense biblioteca, Giovanni Zamboni,dottori in fisica, cioè nella medicina e nella scienza na-turale, maestro Tredecino professore di logica, e i mae-stri Rolandino, Morando, Zunta; Domenico padovano, eLucchesio professori di grammatica e di rettorica. Nè èa credere che tutti i professori sian qui nominati, per-ciocchè non veggiamo farsi menzione de' canonisti, iquali pur certamente vi erano, come e da ciò che abbiamdetto raccogliesi chiaramente, e proverassi ancora con

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più certezza quando parlando della giurisprudenza ec-clesiastica nomineremo alcuni in essa famosi, che inquesta università tennero scuola.

XIII. Una nuova traslazione, oltre leindicate poc'anzi dell'università di Bo-logna a Padova fatta per ordine di Gre-gorio X l'an. 1274 rammentasi dal Fac-ciolati (l. c. p. 6) colla testimonianza di

Engelberto abate scrittor di que' tempi, il quale in unalettera pubblicata dal p. Pez (Thes. Anecdot. t. 1, p. 430)racconta di se medesimo, che dopo il general conciliotenuto quell'anno in Lione, venne a Padova "ove fiori-va", dic'egli, "un grande studio generale; essendo tra-sportati colà da Bologna i professori e gli scolari perl'aspra guerra che i Bolognesi faceano a' Forlivesi, percui il papa Gregorio indirizzò i canoni di quel concilionon già, com'era il costume, all'università di Bologna,ma a quella di Padova, come evidentemente si manifestada' titoli stessi de' detti canoni". Aggiugne che per cin-que anni egli studiò ivi la logica e la filosofia alla scuoladi Guglielmo da Brescia, che ivi era professore stipen-diato, e che poscia per quattro anni attese alla teologianel convento dell'Ordine de' Predicatori in quella stessacittà. E veramente che in quell'anno ardesse guerra tra'Bolognesi e i Forlivesi, leggesi ancora nelle anticheCronache di Bologna (Script. rer. ital. vol. 18, p. 124).Che il pontefice punisse coll'interdetto questa città, e

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Se ad essa fosse trasportata da Gre-gorio X quella di Bologna.

più certezza quando parlando della giurisprudenza ec-clesiastica nomineremo alcuni in essa famosi, che inquesta università tennero scuola.

XIII. Una nuova traslazione, oltre leindicate poc'anzi dell'università di Bo-logna a Padova fatta per ordine di Gre-gorio X l'an. 1274 rammentasi dal Fac-ciolati (l. c. p. 6) colla testimonianza di

Engelberto abate scrittor di que' tempi, il quale in unalettera pubblicata dal p. Pez (Thes. Anecdot. t. 1, p. 430)racconta di se medesimo, che dopo il general conciliotenuto quell'anno in Lione, venne a Padova "ove fiori-va", dic'egli, "un grande studio generale; essendo tra-sportati colà da Bologna i professori e gli scolari perl'aspra guerra che i Bolognesi faceano a' Forlivesi, percui il papa Gregorio indirizzò i canoni di quel concilionon già, com'era il costume, all'università di Bologna,ma a quella di Padova, come evidentemente si manifestada' titoli stessi de' detti canoni". Aggiugne che per cin-que anni egli studiò ivi la logica e la filosofia alla scuoladi Guglielmo da Brescia, che ivi era professore stipen-diato, e che poscia per quattro anni attese alla teologianel convento dell'Ordine de' Predicatori in quella stessacittà. E veramente che in quell'anno ardesse guerra tra'Bolognesi e i Forlivesi, leggesi ancora nelle anticheCronache di Bologna (Script. rer. ital. vol. 18, p. 124).Che il pontefice punisse coll'interdetto questa città, e

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Se ad essa fosse trasportata da Gre-gorio X quella di Bologna.

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che le scuole ancora vi fossero comprese, le Cronachenol dicono. L'autorità di uno scrittore contemporaneo, equasi testimonio di ciò che racconta, sembra a dir verosì grande che non si possa muoverle contro alcuna diffi-coltà; e secondo le leggi ordinarie di critica, dovrebbesiquesto fatto avere come certissimo e indubitato. Mal'autorità di qualunque scrittore dee, secondo le stesseleggi, cedere a quella degli autentici monumenti. Or noiabbiamo ancora la lettera di Gregorio X, con cui all'uni-versità di Bologna manda i canoni di quel concilio. Essaè stata tratta da un antico codice e data alla luce dal can.Campi (Stor. eccl. di Piacenza t. 2, p. 458) e poscia dalBoemero (Juris Canon. t. 2, p. 353); ed essa basta aconfutare ciò che Engelberto asserisce, che Gregorionon le indirizzasse, secondo l'usato costume, i decretidel Concilio di Lione e a mostrare l'insussistenza delmentovato interdetto; poichè a una università così da luipunita non avrebbe il pontefice conceduta questa onore-vole distinzione. Potrebbesi forse dir nondimeno chefosse veramente quella università interdetta inquest'anno per qualche tempo; e che poscia riconciliatisii Bolognesi col papa, questi, a contrassegno della suagrazia loro renduta, inviasse alla loro università i mento-vati decreti. Io osservo in fatti che nel Catalogodegl'illustri scolari di essa pubblicato dal p. Sarti, e danoi rammentato poc'anzi, all'an. 1274 non ne troviamoalcuno, e assai pochi al seguente; il che potrebbe indi-carci ch'ella cessasse di fatti nel suddetto primo anno, eche poi nel vegnente si riaprisse, benchè con picciol nu-

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che le scuole ancora vi fossero comprese, le Cronachenol dicono. L'autorità di uno scrittore contemporaneo, equasi testimonio di ciò che racconta, sembra a dir verosì grande che non si possa muoverle contro alcuna diffi-coltà; e secondo le leggi ordinarie di critica, dovrebbesiquesto fatto avere come certissimo e indubitato. Mal'autorità di qualunque scrittore dee, secondo le stesseleggi, cedere a quella degli autentici monumenti. Or noiabbiamo ancora la lettera di Gregorio X, con cui all'uni-versità di Bologna manda i canoni di quel concilio. Essaè stata tratta da un antico codice e data alla luce dal can.Campi (Stor. eccl. di Piacenza t. 2, p. 458) e poscia dalBoemero (Juris Canon. t. 2, p. 353); ed essa basta aconfutare ciò che Engelberto asserisce, che Gregorionon le indirizzasse, secondo l'usato costume, i decretidel Concilio di Lione e a mostrare l'insussistenza delmentovato interdetto; poichè a una università così da luipunita non avrebbe il pontefice conceduta questa onore-vole distinzione. Potrebbesi forse dir nondimeno chefosse veramente quella università interdetta inquest'anno per qualche tempo; e che poscia riconciliatisii Bolognesi col papa, questi, a contrassegno della suagrazia loro renduta, inviasse alla loro università i mento-vati decreti. Io osservo in fatti che nel Catalogodegl'illustri scolari di essa pubblicato dal p. Sarti, e danoi rammentato poc'anzi, all'an. 1274 non ne troviamoalcuno, e assai pochi al seguente; il che potrebbe indi-carci ch'ella cessasse di fatti nel suddetto primo anno, eche poi nel vegnente si riaprisse, benchè con picciol nu-

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mero di scolari. Ma a dir vero, io penso che l'universitàdi Bologna non fosse già dal pontefice punita coll'inter-detto l'an. 1274, ma ch'essa fosse in gran parte discioltadall'interne discordie; perciocchè io veggo che inquest'anno appunto, essendo stato il partito de' Lamber-tacci superato ed oppresso, molti de' professori e degliscolari che il seguivano, costretti furono a uscir di Bolo-gna (Sart. pars 1, p. 180, 188, 206, ec.); e non è perciòimprobabile che molti in quella occasione passassero aPadova.

XIV. Ma se l'università di Pa-dova rallegrossi per alcun tem-po delle sventure di quella di

Bologna, essa ancora ebbe fra non molto a pianger lesue; perciocchè l'an. 1289, come abbiamo in un'anticaCronaca pubblicata dal Muratori (Script. rer. ital. vol. 8,p. 384), furono interdetti li Padovani per il Legato, peraver fatti alcuni Statuti contra molti; cioè, come spiegail Facciolati (l. c.), per aver pubblicate leggi contrariealla dignità del clero e alla ecclesiastica immunità. Aquesto interdetto dovette ancor soggiacere, secondo ilcostume, l'università. Due anni dopo però, come affermail medesimo Facciolati, e mi giova credere che nonl'affermi se non dopo averne osservati autentici docu-menti, riconciliati col pontef. Niccolò IV i Padovani,questi permise ancora il riaprimento delle pubblichescuole. I nomi de' professori che in esse insegnarono, si

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Interdetto per breve tempo postosopra quella di Padova.

mero di scolari. Ma a dir vero, io penso che l'universitàdi Bologna non fosse già dal pontefice punita coll'inter-detto l'an. 1274, ma ch'essa fosse in gran parte discioltadall'interne discordie; perciocchè io veggo che inquest'anno appunto, essendo stato il partito de' Lamber-tacci superato ed oppresso, molti de' professori e degliscolari che il seguivano, costretti furono a uscir di Bolo-gna (Sart. pars 1, p. 180, 188, 206, ec.); e non è perciòimprobabile che molti in quella occasione passassero aPadova.

XIV. Ma se l'università di Pa-dova rallegrossi per alcun tem-po delle sventure di quella di

Bologna, essa ancora ebbe fra non molto a pianger lesue; perciocchè l'an. 1289, come abbiamo in un'anticaCronaca pubblicata dal Muratori (Script. rer. ital. vol. 8,p. 384), furono interdetti li Padovani per il Legato, peraver fatti alcuni Statuti contra molti; cioè, come spiegail Facciolati (l. c.), per aver pubblicate leggi contrariealla dignità del clero e alla ecclesiastica immunità. Aquesto interdetto dovette ancor soggiacere, secondo ilcostume, l'università. Due anni dopo però, come affermail medesimo Facciolati, e mi giova credere che nonl'affermi se non dopo averne osservati autentici docu-menti, riconciliati col pontef. Niccolò IV i Padovani,questi permise ancora il riaprimento delle pubblichescuole. I nomi de' professori che in esse insegnarono, si

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Interdetto per breve tempo postosopra quella di Padova.

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posson vedere registrati dal medesimo autore. Noi parle-remo a suo luogo di quelli che in ciascheduna scienzafuron più illustri. Or ci convien passare a quella di Na-poli, che fu l'altra università eretta per così dire, a gareg-giar con Bologna.

XV. Per qual maniera ella fosse apertada Federigo II, e quanto egli si adope-rasse perchè da ogni parte d'Italia vi ac-corressero scolari, già l'abbiam veduto

in questo capo medesimo. La rovina dell'università diBologna, ch'egli con ciò meditava, non ebbe effetto. Seciò non ostante egli avesse il piacere di veder fino da'suoi principj quella di Napoli popolosa e fiorente, nonabbiam monumento che cel dimostri. Ma egli è certoche, se i principj di questa nuova università furon felici,ella rimase presto a cagion delle guerre desolata e deser-ta e l'an. 1234 essa era del tutto disciolta; e fu d'uopoperciò, che Federigo II nuovi ordini pubblicasse per ri-condurla a stato migliore. Ne abbiamo la testimonianzapresso Riccardo da S. Germano scrittore contempora-neo, il quale a quest'anno (che per errore di stampa dice-si 1233, ma deesi leggere 1234, come dal contesto rac-cogliesi) così dice (Script. rer. ital. vol. 7, p. 1035):"Studium quod Neapoli per Imperatorem statutum fue-rat, quod extitit turbatione inter Ecclesiam et Imperiumsecuta penitus dissolutum, per imperatorem Neapoli re-formatur". Qual fosse il successo di questa riforma, non

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Premure di Fede-rico II per l'uni-versità di Napoli.

posson vedere registrati dal medesimo autore. Noi parle-remo a suo luogo di quelli che in ciascheduna scienzafuron più illustri. Or ci convien passare a quella di Na-poli, che fu l'altra università eretta per così dire, a gareg-giar con Bologna.

XV. Per qual maniera ella fosse apertada Federigo II, e quanto egli si adope-rasse perchè da ogni parte d'Italia vi ac-corressero scolari, già l'abbiam veduto

in questo capo medesimo. La rovina dell'università diBologna, ch'egli con ciò meditava, non ebbe effetto. Seciò non ostante egli avesse il piacere di veder fino da'suoi principj quella di Napoli popolosa e fiorente, nonabbiam monumento che cel dimostri. Ma egli è certoche, se i principj di questa nuova università furon felici,ella rimase presto a cagion delle guerre desolata e deser-ta e l'an. 1234 essa era del tutto disciolta; e fu d'uopoperciò, che Federigo II nuovi ordini pubblicasse per ri-condurla a stato migliore. Ne abbiamo la testimonianzapresso Riccardo da S. Germano scrittore contempora-neo, il quale a quest'anno (che per errore di stampa dice-si 1233, ma deesi leggere 1234, come dal contesto rac-cogliesi) così dice (Script. rer. ital. vol. 7, p. 1035):"Studium quod Neapoli per Imperatorem statutum fue-rat, quod extitit turbatione inter Ecclesiam et Imperiumsecuta penitus dissolutum, per imperatorem Neapoli re-formatur". Qual fosse il successo di questa riforma, non

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Premure di Fede-rico II per l'uni-versità di Napoli.

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ci è giunto a notizia. Federigo non lasciò certamente disostenerla colla sua protezione. "Ne abbiamo in pruovaalcune altre lettere circolari scritte da Federigo l'an.1239, e pubblicate dall'Origlia (Stor. dello Stud. di Nap.t. 1, p. 94, ec.), le quali ci mostrano questo principesempre più impegnato a' vantaggi di questa università,alla quale ei vuole che abbiano libero accesso tutti i suoisudditi italiani e oltramontani, trattine quelli che a lui sierano ribellati, e che si concedan loro immunità, privile-gi ed onori, onde viemaggiormente si animino al colti-vamento de' buoni studj". A lui in ciò si congiunse il suofedel cancellier Pier delle Vigne, di cui abbiamo una let-tera (l. 4, c. 8) scritta agli scolari di quella università perconsolarli nella morte di uno de' lor professori, cioè diGualtieri gramatico. Questa lettera è stata da alcuni at-tribuita per errore a Pietro di Blois, come altrove abbia-mo osservato. Un bel monumento a questa universitàappartenente ha pubblicato il p. abate della Noce (inNot. ad prolog. l. 4 Chron. Casin.). Avea Federigo IIl'an. 1240, come narra Riccardo da s. Germano (l. c. p.1045), sbanditi dal regno tutti i religiosi domenicani efrancescani, ordinando che due soli restassero in cia-scheduna casa per custodirla. Convien dire ch'essi fosse-ro i professori di sagra Scrittura e di Teologia in Napoli,perciocchè l'università scrisse una lettera ad Erasmomonaco di Monte Casino, professore della scienza teo-logica, in cui, dopo avere esposto che, per la partenzade' religiosi suddetti, disseccate erano le sorgenti a cuisoleasi attingere l'acqua salutare della sagra Scrittura e

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ci è giunto a notizia. Federigo non lasciò certamente disostenerla colla sua protezione. "Ne abbiamo in pruovaalcune altre lettere circolari scritte da Federigo l'an.1239, e pubblicate dall'Origlia (Stor. dello Stud. di Nap.t. 1, p. 94, ec.), le quali ci mostrano questo principesempre più impegnato a' vantaggi di questa università,alla quale ei vuole che abbiano libero accesso tutti i suoisudditi italiani e oltramontani, trattine quelli che a lui sierano ribellati, e che si concedan loro immunità, privile-gi ed onori, onde viemaggiormente si animino al colti-vamento de' buoni studj". A lui in ciò si congiunse il suofedel cancellier Pier delle Vigne, di cui abbiamo una let-tera (l. 4, c. 8) scritta agli scolari di quella università perconsolarli nella morte di uno de' lor professori, cioè diGualtieri gramatico. Questa lettera è stata da alcuni at-tribuita per errore a Pietro di Blois, come altrove abbia-mo osservato. Un bel monumento a questa universitàappartenente ha pubblicato il p. abate della Noce (inNot. ad prolog. l. 4 Chron. Casin.). Avea Federigo IIl'an. 1240, come narra Riccardo da s. Germano (l. c. p.1045), sbanditi dal regno tutti i religiosi domenicani efrancescani, ordinando che due soli restassero in cia-scheduna casa per custodirla. Convien dire ch'essi fosse-ro i professori di sagra Scrittura e di Teologia in Napoli,perciocchè l'università scrisse una lettera ad Erasmomonaco di Monte Casino, professore della scienza teo-logica, in cui, dopo avere esposto che, per la partenzade' religiosi suddetti, disseccate erano le sorgenti a cuisoleasi attingere l'acqua salutare della sagra Scrittura e

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della Teologia, il prega a recarsi egli colà, e a soccorrereal bisogno in cui trovavasi quello studio. Questa letteraconservasi ancora nel monastero suddetto donde il so-praccennato scrittore l'ha data alla luce.

XVI. Dopo la morte di Federigo,avvenuta l'an. 1250, veggiamo im-provvisamente aperto un altro studiogenerale in Salerno da Corrado dilui figliuolo che gli succedette, ma

che presto gli tenne dietro, morendo l'an. 1254. Il p.Martene ha pubblicato l'Editto di questo re (Collect.ampliss. t. 2, p. 1208), nel cui principio senza far mottodella università di Napoli, loda solo generalmentel'impegno dei suoi predecessori per fomentar le scienzein quel regno, da cui dice che non solo i sudditi, ma glistranieri ancora avean raccolto gran frutto; quindi sog-giugne che ha risoluto di riformare lo studio generalenella città di Salerno, cui chiama sede e madre antica distudio; e invita perciò tutti i professori e gli scolari a re-carsi a quella città, concedendo loro que' privilegi di cui,dic'egli secondo l'erudizione ordinaria di quell'età, finda' tempi d'Augusto solean godere negli studj di Napolie di Salerno. L'erezione o il ristoramento che voglia dir-si, di questa università, da cui quella di Napoli non po-tea ricavarne che grave danno, e così contraria al co-mando di Federigo, il quale fuor di Napoli non volevaaltre pubbliche scuole in tutto quel regno, sembra a pri-

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Corrado figlio di Fe-derigo II rinnova lo studio in Salerno per contrapporlo a quello di Napoli.

della Teologia, il prega a recarsi egli colà, e a soccorrereal bisogno in cui trovavasi quello studio. Questa letteraconservasi ancora nel monastero suddetto donde il so-praccennato scrittore l'ha data alla luce.

XVI. Dopo la morte di Federigo,avvenuta l'an. 1250, veggiamo im-provvisamente aperto un altro studiogenerale in Salerno da Corrado dilui figliuolo che gli succedette, ma

che presto gli tenne dietro, morendo l'an. 1254. Il p.Martene ha pubblicato l'Editto di questo re (Collect.ampliss. t. 2, p. 1208), nel cui principio senza far mottodella università di Napoli, loda solo generalmentel'impegno dei suoi predecessori per fomentar le scienzein quel regno, da cui dice che non solo i sudditi, ma glistranieri ancora avean raccolto gran frutto; quindi sog-giugne che ha risoluto di riformare lo studio generalenella città di Salerno, cui chiama sede e madre antica distudio; e invita perciò tutti i professori e gli scolari a re-carsi a quella città, concedendo loro que' privilegi di cui,dic'egli secondo l'erudizione ordinaria di quell'età, finda' tempi d'Augusto solean godere negli studj di Napolie di Salerno. L'erezione o il ristoramento che voglia dir-si, di questa università, da cui quella di Napoli non po-tea ricavarne che grave danno, e così contraria al co-mando di Federigo, il quale fuor di Napoli non volevaaltre pubbliche scuole in tutto quel regno, sembra a pri-

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Corrado figlio di Fe-derigo II rinnova lo studio in Salerno per contrapporlo a quello di Napoli.

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ma vista difficile a intendersi. Ma esaminando le storiedi questi tempi, troviamo il motivo per cui probabilmen-te Corrado venne in questo pensiero. Napoli erasi controdi lui sollevata, e gli convenne perciò assediarla nel1252, nè potè soggettarla se non dopo averla travagliatacon durissima fame che costrinse finalmente i cittadiniad arrendersegli nel settembre, o nell'ottobre dell'annoseguente (Murat. Ann. d'Ital. ad an. 1253). Per qual ma-niera egli allora trattasse i vinti Napoletani, lo abbiamoin una parlata da essi fatta nel seguente anno a Innocen-zo IV, quando egli, dopo la morte di Corrado entrò inquella città; perciocchè essi raccontano (Bartholom. deNeocastr. c. 3 Script. rer. ital. vol. 13, p. 1017) che losdegnato monarca molti ne avea fatti uccidere, che le lormogli erano state condotte schiave in lontani paesi, che iprincipali tra' cittadini erano stati esiliati, e che avea fat-ta spianare le mura e le torri della città. Egli è perciò as-sai probabile che lo sdegno di cui ardea Corrado controdi Napoli, il conducesse a toglierle l'ornamento dellepubbliche scuole, e a trasportarle a Salerno, o almeno adaprire in Salerno una nuova università che sostenuta dalsuo favore oscurasse e facesse cadere in rovina quella diNapoli. Ma Corrado venne a morte lo stesso an. 1254; eperciò sembra che il suo disegno non potesse recarsi adeffetto; e l'università di Salerno si ridusse presto a sem-plice scuola di medicina.

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ma vista difficile a intendersi. Ma esaminando le storiedi questi tempi, troviamo il motivo per cui probabilmen-te Corrado venne in questo pensiero. Napoli erasi controdi lui sollevata, e gli convenne perciò assediarla nel1252, nè potè soggettarla se non dopo averla travagliatacon durissima fame che costrinse finalmente i cittadiniad arrendersegli nel settembre, o nell'ottobre dell'annoseguente (Murat. Ann. d'Ital. ad an. 1253). Per qual ma-niera egli allora trattasse i vinti Napoletani, lo abbiamoin una parlata da essi fatta nel seguente anno a Innocen-zo IV, quando egli, dopo la morte di Corrado entrò inquella città; perciocchè essi raccontano (Bartholom. deNeocastr. c. 3 Script. rer. ital. vol. 13, p. 1017) che losdegnato monarca molti ne avea fatti uccidere, che le lormogli erano state condotte schiave in lontani paesi, che iprincipali tra' cittadini erano stati esiliati, e che avea fat-ta spianare le mura e le torri della città. Egli è perciò as-sai probabile che lo sdegno di cui ardea Corrado controdi Napoli, il conducesse a toglierle l'ornamento dellepubbliche scuole, e a trasportarle a Salerno, o almeno adaprire in Salerno una nuova università che sostenuta dalsuo favore oscurasse e facesse cadere in rovina quella diNapoli. Ma Corrado venne a morte lo stesso an. 1254; eperciò sembra che il suo disegno non potesse recarsi adeffetto; e l'università di Salerno si ridusse presto a sem-plice scuola di medicina.

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Page 114: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favor delle

XVII. Abbiamo in fatti l'Editto pubblica-to a tal fine dal re Manfredi fratello e suc-cessor di Corrado, in cui dopo aver ram-mentate le sollecitudini di Federigo suopadre per l'università di Napoli, afferma

ch'essa per le vicende dei tempi era assai decaduta; e co-manda perciò, ch'ella sia ristabilita nell'antico splendore,e che in niun altro luogo del regno si possano tenerescuole, trattane quella di medicina in Salerno, e a' pro-fessori e agli scolari conferma e concede di nuovo tuttique' privilegi che da suo padre erano stati lor conceduti.Abbiamo ancora una lettera dello stesso Manfredi scrittaa un professor del decreto, di cui non esprime il nome,nella quale il destina a tenere scuola di canoni nella stes-sa università di Napoli. Amendue questi monumentich'erano già stati pubblicati dal Baluzio (Miscell. ed.Lucens. t. 3, p. 104), sono stati di nuovo dati alla lucedal p. Martene (Collect. ampliss. t. 2, p. 1218). Niun diessi ha aggiunta la data dell'anno in cui da Manfredi fu-ron segnati; ma sembra probabile che ciò avvenisse nonsolo dappoichè egli ebbe ricuperata Napoli, il che av-venne l'an. 1256, ma anche dappoichè egli ebbe preso ilnome e le insegne reali l'an. 1258. Ma anche le solleci-tudini di Manfredi non pare che ottenessero il bramatoeffetto; al che dovette non poco contribuire l'aver egliavuta sempre contraria la corte di Roma, da cui fu po-scia condotto in Italia Carlo d'Angiò, che vinto ed ucci-so in battaglia Manfredi, divenne pacifico posseditoredel regno.

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Il re Manfredi rende poscia l'università a Napoli.

XVII. Abbiamo in fatti l'Editto pubblica-to a tal fine dal re Manfredi fratello e suc-cessor di Corrado, in cui dopo aver ram-mentate le sollecitudini di Federigo suopadre per l'università di Napoli, afferma

ch'essa per le vicende dei tempi era assai decaduta; e co-manda perciò, ch'ella sia ristabilita nell'antico splendore,e che in niun altro luogo del regno si possano tenerescuole, trattane quella di medicina in Salerno, e a' pro-fessori e agli scolari conferma e concede di nuovo tuttique' privilegi che da suo padre erano stati lor conceduti.Abbiamo ancora una lettera dello stesso Manfredi scrittaa un professor del decreto, di cui non esprime il nome,nella quale il destina a tenere scuola di canoni nella stes-sa università di Napoli. Amendue questi monumentich'erano già stati pubblicati dal Baluzio (Miscell. ed.Lucens. t. 3, p. 104), sono stati di nuovo dati alla lucedal p. Martene (Collect. ampliss. t. 2, p. 1218). Niun diessi ha aggiunta la data dell'anno in cui da Manfredi fu-ron segnati; ma sembra probabile che ciò avvenisse nonsolo dappoichè egli ebbe ricuperata Napoli, il che av-venne l'an. 1256, ma anche dappoichè egli ebbe preso ilnome e le insegne reali l'an. 1258. Ma anche le solleci-tudini di Manfredi non pare che ottenessero il bramatoeffetto; al che dovette non poco contribuire l'aver egliavuta sempre contraria la corte di Roma, da cui fu po-scia condotto in Italia Carlo d'Angiò, che vinto ed ucci-so in battaglia Manfredi, divenne pacifico posseditoredel regno.

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Il re Manfredi rende poscia l'università a Napoli.

Page 115: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favor delle

XVIII. Tra i monumenti pubblicati dal sud-detto p. Martene abbiamo una lettera di unpapa a un re di Sicilia (ib. p. 1274), in cui loesorta, perchè essendo omai terminate leturbolenze da cui era stato in addietro scon-

volto quel regno, ei si rivolga a riformare e far di nuovofiorire felicemente l'università di Napoli. Ivi non siesprime il nome nè del papa nè del re; ma io penso chenon sia difficile lo stabilire a chi essa appartenga. L'an.1266 Carlo entrò al possesso di quel regno; e parmi per-ciò verisimile che il pontef. Clemente IV che allora oc-cupava la cattedra di s. Pietro, gli scrivesse in quell'annostesso la lettera mentovata. In fatti tra' Capitoli pubbli-cati dal re Roberto a regolamento di quel regno veggia-mo un amplissimo privilegio di Carlo I (Capitul. Regnitit. Privileg. Colleg. Neap. Stud.), segnato in quest'annomedesimo a favore dell'università di Napoli; col qualegrandi privilegi ei concede a' professori non meno cheagli scolari, e quello singolarmente di avere un giusti-ziere o giudice loro proprio, che renda ad essi giustizia,e che provveda a tutti i loro vantaggi e a' lor bisogni; ilqual giudice tre assessori dovea avere, uno oltramontanoper gli scolari d'Oltremonti, che colà si recassero, unoitaliano per quelli di diverse provincie d'Italia, il terzoregnicolo pe' nazionali. Il Giannone aggiunge (Stor. diNap. t. 3, l. 20, c. 1, parag. 2) che vi chiamò da ogniparte celebri professori; di che non possiam dubitare.Ma ei nomina tra gli altri Jacopo da Belviso, il qualenon visse che più anni dopo, e di cui parleremo nel tomo

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Privilegi adessa accor-dati da Car-lo I.

XVIII. Tra i monumenti pubblicati dal sud-detto p. Martene abbiamo una lettera di unpapa a un re di Sicilia (ib. p. 1274), in cui loesorta, perchè essendo omai terminate leturbolenze da cui era stato in addietro scon-

volto quel regno, ei si rivolga a riformare e far di nuovofiorire felicemente l'università di Napoli. Ivi non siesprime il nome nè del papa nè del re; ma io penso chenon sia difficile lo stabilire a chi essa appartenga. L'an.1266 Carlo entrò al possesso di quel regno; e parmi per-ciò verisimile che il pontef. Clemente IV che allora oc-cupava la cattedra di s. Pietro, gli scrivesse in quell'annostesso la lettera mentovata. In fatti tra' Capitoli pubbli-cati dal re Roberto a regolamento di quel regno veggia-mo un amplissimo privilegio di Carlo I (Capitul. Regnitit. Privileg. Colleg. Neap. Stud.), segnato in quest'annomedesimo a favore dell'università di Napoli; col qualegrandi privilegi ei concede a' professori non meno cheagli scolari, e quello singolarmente di avere un giusti-ziere o giudice loro proprio, che renda ad essi giustizia,e che provveda a tutti i loro vantaggi e a' lor bisogni; ilqual giudice tre assessori dovea avere, uno oltramontanoper gli scolari d'Oltremonti, che colà si recassero, unoitaliano per quelli di diverse provincie d'Italia, il terzoregnicolo pe' nazionali. Il Giannone aggiunge (Stor. diNap. t. 3, l. 20, c. 1, parag. 2) che vi chiamò da ogniparte celebri professori; di che non possiam dubitare.Ma ei nomina tra gli altri Jacopo da Belviso, il qualenon visse che più anni dopo, e di cui parleremo nel tomo

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Privilegi adessa accor-dati da Car-lo I.

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seguente. A render però famosa l'università di Napoli diquesti tempi, può bastare il solo s. Tommaso d'Aquino,che dal re Carlo fu ad essa chiamato collo stipendio,come afferma il Giannone, di un'oncia d'oro al mese. Dilui dovremo parlare nel libro seguente.

XIX. Non meno sollecito de' felici progressidell'università di Napoli fu Carlo II, figliuo-lo e successore del primo. Il Giannone ac-

cenna (ivi l. 21, c. 5) parecchie leggi da lui pubblicateper accrescerne i privilegi, e per tenere in vigore l'anticalegge, che fuor di Napoli non vi avesse altra pubblicascuola di scienze. Ei nomina ancora molti celebri pro-fessori che con ampj stipendj furon da lui chiamati arenderla sempre più illustre; ma perchè la più parte diessi appartengono al secolo susseguente, ci riserberemoa parlarne altrove (9). Qui solo è ad avvertire che questoscrittore ha errato, affermando che il celebre giurecon-sulto Dino dal Mugello l'an. 1296 venne a tenere scuolain Napoli invitato da Carlo collo stipendio annuale dicento once d'oro. Dino fu bensì invitato con questa sì li-

9 Diversi altri bei monumenti della protezione da Carlo I e da Carlo II, re diNapoli accordata all'università di quella lor capitale sono stati pubblicatidal soprallodato sig. Giangiuseppe Origlia (Stor. Dello Stud. di Nap. t. 1,p. 131, ec. 162, ec.) il quale annovera ancora molti de' professori che adessa furon chiamati. Jacopo di Belviso non da Carlo I, ma da Carlo II fuchiamato a Napoli, come a suo luogo diremo. Lo stesso Origlia ha pubbli-cato il Decreto del re Carlo I, con cui nel 1274 ordinò che a s. Tommasod'Aquino si contassero ogni anno dodici once d'oro, finchè egli fosse inquella università professore di teologia (ivi p. 144).

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E poscia daCarlo II.

seguente. A render però famosa l'università di Napoli diquesti tempi, può bastare il solo s. Tommaso d'Aquino,che dal re Carlo fu ad essa chiamato collo stipendio,come afferma il Giannone, di un'oncia d'oro al mese. Dilui dovremo parlare nel libro seguente.

XIX. Non meno sollecito de' felici progressidell'università di Napoli fu Carlo II, figliuo-lo e successore del primo. Il Giannone ac-

cenna (ivi l. 21, c. 5) parecchie leggi da lui pubblicateper accrescerne i privilegi, e per tenere in vigore l'anticalegge, che fuor di Napoli non vi avesse altra pubblicascuola di scienze. Ei nomina ancora molti celebri pro-fessori che con ampj stipendj furon da lui chiamati arenderla sempre più illustre; ma perchè la più parte diessi appartengono al secolo susseguente, ci riserberemoa parlarne altrove (9). Qui solo è ad avvertire che questoscrittore ha errato, affermando che il celebre giurecon-sulto Dino dal Mugello l'an. 1296 venne a tenere scuolain Napoli invitato da Carlo collo stipendio annuale dicento once d'oro. Dino fu bensì invitato con questa sì li-

9 Diversi altri bei monumenti della protezione da Carlo I e da Carlo II, re diNapoli accordata all'università di quella lor capitale sono stati pubblicatidal soprallodato sig. Giangiuseppe Origlia (Stor. Dello Stud. di Nap. t. 1,p. 131, ec. 162, ec.) il quale annovera ancora molti de' professori che adessa furon chiamati. Jacopo di Belviso non da Carlo I, ma da Carlo II fuchiamato a Napoli, come a suo luogo diremo. Lo stesso Origlia ha pubbli-cato il Decreto del re Carlo I, con cui nel 1274 ordinò che a s. Tommasod'Aquino si contassero ogni anno dodici once d'oro, finchè egli fosse inquella università professore di teologia (ivi p. 144).

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E poscia daCarlo II.

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beral proferta da Carlo, ma egli non volle partir da Bo-logna, come dalle pubbliche antiche memorie che iviancor si conservano, dimostra l'esattissimo p. Sarti (DeProf. Bonon. t. 1, pars 1, p. 234). Se le premure con cuiquesti sovrani cercarono di illustrare la loro università,la rendessero assai popolosa, io non ne trovo indicio, omemoria alcuna. Il solo Regno però potea inviarle co-pioso numero di scolari, ed è anche probabile che dallaFrancia molti vi si recassero, tratti dalla speranza di ot-tenere più facilmente da' re francesi onori e premi. Cer-to, come osserva il Giannone, Napoli dovette in granparte alla sua università l'onore di essere consideratacome la capitale del Regno, del qual pregio cominciòella a godere a' tempi di Federigo II.

XX. Un'altra università ancora dee a Federi-go II, se crediamo ad alcuni scrittori, la suaorigine, cioè quella di Ferrara, ove pure sivuole che Federigo di Bologna la trasferis-se; talchè quasi parrebbe che la principale

occupazione di questo monarca fosse stata il condurre ingiro per tutta l'Italia le scuole pubbliche. Leandro Alber-ti fu il primo, ch'io sappia, ad affermarlo con quella au-torevole sicurezza che lecita era una volta agli scrittoridi storia, a' quali niuno ardiva di chieder conto su qualfondamento narrassero tale e tal altra cosa. Dopol'Alberti più altri scrittori ripeteron lo stesso: e in fatti,se quegli avea potuto dirlo, perchè nol potevano essi an-

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Se FederigoII fondasse l'università di Ferrara.

beral proferta da Carlo, ma egli non volle partir da Bo-logna, come dalle pubbliche antiche memorie che iviancor si conservano, dimostra l'esattissimo p. Sarti (DeProf. Bonon. t. 1, pars 1, p. 234). Se le premure con cuiquesti sovrani cercarono di illustrare la loro università,la rendessero assai popolosa, io non ne trovo indicio, omemoria alcuna. Il solo Regno però potea inviarle co-pioso numero di scolari, ed è anche probabile che dallaFrancia molti vi si recassero, tratti dalla speranza di ot-tenere più facilmente da' re francesi onori e premi. Cer-to, come osserva il Giannone, Napoli dovette in granparte alla sua università l'onore di essere consideratacome la capitale del Regno, del qual pregio cominciòella a godere a' tempi di Federigo II.

XX. Un'altra università ancora dee a Federi-go II, se crediamo ad alcuni scrittori, la suaorigine, cioè quella di Ferrara, ove pure sivuole che Federigo di Bologna la trasferis-se; talchè quasi parrebbe che la principale

occupazione di questo monarca fosse stata il condurre ingiro per tutta l'Italia le scuole pubbliche. Leandro Alber-ti fu il primo, ch'io sappia, ad affermarlo con quella au-torevole sicurezza che lecita era una volta agli scrittoridi storia, a' quali niuno ardiva di chieder conto su qualfondamento narrassero tale e tal altra cosa. Dopol'Alberti più altri scrittori ripeteron lo stesso: e in fatti,se quegli avea potuto dirlo, perchè nol potevano essi an-

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Se FederigoII fondasse l'università di Ferrara.

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cora? Il sig. Ferrante Borsetti che l'an. 1735 ci diedeun'erudita Storia di quella università, non temè egli an-cora d'asserirlo (Hist. Gymn. Ferrar. pars 1 p. 9, ec.).Ma i leggitori del nostro secolo non son sì docili come inostri maggiori, e la critica, di cui si pregian d'esser for-niti, li rende talvolta difficili e fastidiosi. Contro la Sto-ria del Borsetti fu pubblicato dal celebre arciprete Giro-lanno Baruffaldi un Supplemento sotto il nome di Jaco-po Guarini, in cui si rilevarono parecchi errori che inessa eran corsi, e molte ommissioni che si eran fatte. Frale altre cose si rigettò come favolosa l'origine dell'uni-versità di Ferrara, qual narravasi dal Borsetti e da altriscrittori. E certo essi non ci arrecano nè l'autorità di cro-nache antiche, nè alcun editto di Federigo, nè verun al-tro autentico documento onde si provi ciò ch'essi affer-mano. Anzi, se il Borsetti avesse posto mente alla storiadi questi tempi, avrebbe veduto che la sua opinione nonpuò in alcun modo difendersi. A' tempi di Federigo IIera signor di Ferrara Azzo VII, marchese d'Este, il qualegli fu sempre nemico, trattone il breve spazio di tre anni,cioè dal 1237 fino al 1240 in cui fu costretto a collegarsicon lui. In questi tre anni soli Ferrara ubbidì a Federigo,e poscia nel 1240 ritornò sotto il dominio di Azzo che iltenne fino alla sua morte seguita l'an. 1264 (Murat. Ann.d'Ital. ad hos ann.) Or il trasporto della università di Bo-logna a Ferrara, si fissa dal mentovato scrittore all'an.1241, quando questa città era nelle mani di Azzo, e que-sti già erasi dichiarato di nuovo contro di Federigo. Nonbasta egli ciò a mostrarci che non potè Federigo, nè è a

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cora? Il sig. Ferrante Borsetti che l'an. 1735 ci diedeun'erudita Storia di quella università, non temè egli an-cora d'asserirlo (Hist. Gymn. Ferrar. pars 1 p. 9, ec.).Ma i leggitori del nostro secolo non son sì docili come inostri maggiori, e la critica, di cui si pregian d'esser for-niti, li rende talvolta difficili e fastidiosi. Contro la Sto-ria del Borsetti fu pubblicato dal celebre arciprete Giro-lanno Baruffaldi un Supplemento sotto il nome di Jaco-po Guarini, in cui si rilevarono parecchi errori che inessa eran corsi, e molte ommissioni che si eran fatte. Frale altre cose si rigettò come favolosa l'origine dell'uni-versità di Ferrara, qual narravasi dal Borsetti e da altriscrittori. E certo essi non ci arrecano nè l'autorità di cro-nache antiche, nè alcun editto di Federigo, nè verun al-tro autentico documento onde si provi ciò ch'essi affer-mano. Anzi, se il Borsetti avesse posto mente alla storiadi questi tempi, avrebbe veduto che la sua opinione nonpuò in alcun modo difendersi. A' tempi di Federigo IIera signor di Ferrara Azzo VII, marchese d'Este, il qualegli fu sempre nemico, trattone il breve spazio di tre anni,cioè dal 1237 fino al 1240 in cui fu costretto a collegarsicon lui. In questi tre anni soli Ferrara ubbidì a Federigo,e poscia nel 1240 ritornò sotto il dominio di Azzo che iltenne fino alla sua morte seguita l'an. 1264 (Murat. Ann.d'Ital. ad hos ann.) Or il trasporto della università di Bo-logna a Ferrara, si fissa dal mentovato scrittore all'an.1241, quando questa città era nelle mani di Azzo, e que-sti già erasi dichiarato di nuovo contro di Federigo. Nonbasta egli ciò a mostrarci che non potè Federigo, nè è a

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credere che volesse in questo anno onorare una città chenon era sua, e ch'egli anzi dovea considerare come nimi-ca? E non è parimente punto probabile che in que' treanni in cui egli fu signor di Ferrara, le concedesse un talprivilegio, poichè l'amicizia tra lui e Azzo fu sforzata eapparente più che sincera; e ben dovea egli conoscereche troppo fermo non era il dominio ch'egli avea diquella città.

XXI. Ma benchè sia favolosa l'erezionedell'università di Ferrara fatta da FederigoII, non vuolsi però negare che pubblichescuole vi fossero in questo secolo stesso, Neabbiamo un'autentica pruova negli antichi

Statuti mss. di questa città dell'an. 1264, ne' quali legge-si il privilegio già pubblicato dal Muratori (Antiq. Ital. t.3, p. 910), in cui concedesi a' professori, che non siantenuti ad andare in guerra: "Quod omnes docentes inScientia legum et Medicinae et Artibus Grammaticae etDialecticae ire ad exercitum, aut aliquam facere caval-catam, non cogantur. Quod statutum vendicat sibi lo-cum. in Doctoribus continue docentibus". Qui veggiamnominati professori di quasi tutte le scienze, delle qualiallora teneasi scuola; e sol vi mancano que' del dirittocanonico e delle sacre lettere. Un documento ancora ar-recasi dal Borsetti (l. c. p. 13), da cui si raccoglie chesino all'an. 1297 le scuole che diconsi delle arti eranostate nel convento dell'Ordine de' Predicatori, ove la co-

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Ivi però erano fin dal sec. XIIpubbliche scuole.

credere che volesse in questo anno onorare una città chenon era sua, e ch'egli anzi dovea considerare come nimi-ca? E non è parimente punto probabile che in que' treanni in cui egli fu signor di Ferrara, le concedesse un talprivilegio, poichè l'amicizia tra lui e Azzo fu sforzata eapparente più che sincera; e ben dovea egli conoscereche troppo fermo non era il dominio ch'egli avea diquella città.

XXI. Ma benchè sia favolosa l'erezionedell'università di Ferrara fatta da FederigoII, non vuolsi però negare che pubblichescuole vi fossero in questo secolo stesso, Neabbiamo un'autentica pruova negli antichi

Statuti mss. di questa città dell'an. 1264, ne' quali legge-si il privilegio già pubblicato dal Muratori (Antiq. Ital. t.3, p. 910), in cui concedesi a' professori, che non siantenuti ad andare in guerra: "Quod omnes docentes inScientia legum et Medicinae et Artibus Grammaticae etDialecticae ire ad exercitum, aut aliquam facere caval-catam, non cogantur. Quod statutum vendicat sibi lo-cum. in Doctoribus continue docentibus". Qui veggiamnominati professori di quasi tutte le scienze, delle qualiallora teneasi scuola; e sol vi mancano que' del dirittocanonico e delle sacre lettere. Un documento ancora ar-recasi dal Borsetti (l. c. p. 13), da cui si raccoglie chesino all'an. 1297 le scuole che diconsi delle arti eranostate nel convento dell'Ordine de' Predicatori, ove la co-

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Ivi però erano fin dal sec. XIIpubbliche scuole.

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munità di Ferrara avea a tal fine prese a pigione alcunestanze, e donde in quell'anno furono trasferite altrove.Tutto ciò ci dimostra che scuole pubbliche di leggi, dimedicina, di gramatica ossia di belle lettere, e di dialet-tica, erano fin da questo secolo in Ferrara; benchè nonvi abbia alcun monumento che le mostri formate conimperiale, o con pontificia autorità. Anzi il non trovarsiquasi più alcuna memoria di queste scuole fino all'an.1391, nel quale Bonifacio IX sollevolle all'onore e a'privilegi delle altre università, ci fa congetturare ch'essenon fossero nè per valore di professori nè per numero discolari molto famose. E non fu nondimeno piccolo pre-gio l'avere pubbliche scuole, quali ch'esse si fossero, inquesti tempi in cui molte anche illustri città n'erano qua-si del tutto prive.

XXII. Come i romani pontefici gareg-giarono cogl'imperadori nel promuo-ver le scienze, così non furon men diessi solleciti nell'aprire a comun van-

taggio pubbliche scuole. Roma fu il principale oggettodelle loro premure. Gli studj sacri vi erano stati felice-mente coltivati ne' secoli addietro, come più volte abbia-mo osservato. Ma il diritto civile e canonico occupava-no di questi tempi l'ingegno e lo studio di quasi tutti co-loro che voleano col lor sapere acquistarsi gran nome.Conveniva dunque all'onore di Roma, che ve ne fosseroscuole, affinchè la corte pontificia e i tribunali ecclesia-

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Scuole pubblichedi giurisprudenzain Roma.

munità di Ferrara avea a tal fine prese a pigione alcunestanze, e donde in quell'anno furono trasferite altrove.Tutto ciò ci dimostra che scuole pubbliche di leggi, dimedicina, di gramatica ossia di belle lettere, e di dialet-tica, erano fin da questo secolo in Ferrara; benchè nonvi abbia alcun monumento che le mostri formate conimperiale, o con pontificia autorità. Anzi il non trovarsiquasi più alcuna memoria di queste scuole fino all'an.1391, nel quale Bonifacio IX sollevolle all'onore e a'privilegi delle altre università, ci fa congetturare ch'essenon fossero nè per valore di professori nè per numero discolari molto famose. E non fu nondimeno piccolo pre-gio l'avere pubbliche scuole, quali ch'esse si fossero, inquesti tempi in cui molte anche illustri città n'erano qua-si del tutto prive.

XXII. Come i romani pontefici gareg-giarono cogl'imperadori nel promuo-ver le scienze, così non furon men diessi solleciti nell'aprire a comun van-

taggio pubbliche scuole. Roma fu il principale oggettodelle loro premure. Gli studj sacri vi erano stati felice-mente coltivati ne' secoli addietro, come più volte abbia-mo osservato. Ma il diritto civile e canonico occupava-no di questi tempi l'ingegno e lo studio di quasi tutti co-loro che voleano col lor sapere acquistarsi gran nome.Conveniva dunque all'onore di Roma, che ve ne fosseroscuole, affinchè la corte pontificia e i tribunali ecclesia-

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Scuole pubblichedi giurisprudenzain Roma.

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stici fossero provveduti d'uomini in queste scienze ver-sati. Perciò Innocenzo IV con una sua legge inserita nel-le Decretali (l. 6, c. Sup. Specula, tit. de Privilegiis) co-mandò che vi si aprissero pubbliche scuole di legge ca-nonica e civile, e che esse godessero di tutti que' privile-gi che alle altre università solevano esser comuni. Quin-di, come avverte il p. Caraffa (Hist. Gymnas. Rom. t. 1,p. 132) da noi altre volte citato, da molti si considera In-nocenzo IV come il primo fondatore della università diRoma (10). La gloria però di averla condotta a stato mi-10 A' tempi dello stesso pontef. Innocenzo IV nel Concilio generale tenuto in

Lione l'an. 1245 si ordinò che in tutte le chiese cattedrali, e nelle altre an-cora che avessero bastevoli entrate, si stabilisse dal vescovo e dal capitoloun maestro che istruisse i chierici ed altri poveri scolari nella gramatica, eche perciò gli fosse assegnata una prebenda. E quanto fosse sollecito Inno-cenzo della osservanza di questa legge, cel mostra un Breve da lui scrittoaffine di provveder di prebenda un maestro in Venezia. Esso conservasinell'archivio vaticano, e mi è stato comunicato dal ch. Sig. Ab. GaetanoMarini a cui di più altri documenti è debitrice questa mia storia. "Venerabi-li Fratri......Episcopo Castellam., ec. Ne propter rerum inopiam Scholari-bus et Clericis subtraheretur utilitas discipline dudum in generali Conciliopia fuit previsione statutum, ut non solum in qualibet Cathedrali Ecclesia,sed etiam in aliis, quarum sufficere poterunt facultates, constituatur Magi-ster idoneus a Prelato cum capitulo seu majori et saniore parte Capituli eli-gendus, qui Clericos ipsius Ecclesiae aliosque Scolares pauperes gratis inGrammatica facultate peritia sufficientem notitiam obtinientes, mandamus,quatenus eidem Magistro ibidem in eadem facultate docenti provideas jux-ta predicti Statuti tenorem auctoritate nostra vel facias provideri. Contra-dictores etc. Non obstante si aliqui in Indulto Apostolico excommunicariaut interdici, vel suspendi non possint, seu ad provisionem cujuspiamcoarctari, seu qualibet indulgentia Sedis ejusdem sub quamcumque formaverborum obtenta, per quam in presentibus non expressam, vel totaliternon insertam id impediri valeat vel differri. Alioquin Ven. Fr. Nostro Epi-scopo Mantuano et dilecto filio Plebano Sancti Silvestri de Venetiis damusnostris litteris in mandatis, ut ipsi super hoc mandatum Apostolicum exe-quantur. Datum Assisii II. Idus Maji anno XI".

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stici fossero provveduti d'uomini in queste scienze ver-sati. Perciò Innocenzo IV con una sua legge inserita nel-le Decretali (l. 6, c. Sup. Specula, tit. de Privilegiis) co-mandò che vi si aprissero pubbliche scuole di legge ca-nonica e civile, e che esse godessero di tutti que' privile-gi che alle altre università solevano esser comuni. Quin-di, come avverte il p. Caraffa (Hist. Gymnas. Rom. t. 1,p. 132) da noi altre volte citato, da molti si considera In-nocenzo IV come il primo fondatore della università diRoma (10). La gloria però di averla condotta a stato mi-10 A' tempi dello stesso pontef. Innocenzo IV nel Concilio generale tenuto in

Lione l'an. 1245 si ordinò che in tutte le chiese cattedrali, e nelle altre an-cora che avessero bastevoli entrate, si stabilisse dal vescovo e dal capitoloun maestro che istruisse i chierici ed altri poveri scolari nella gramatica, eche perciò gli fosse assegnata una prebenda. E quanto fosse sollecito Inno-cenzo della osservanza di questa legge, cel mostra un Breve da lui scrittoaffine di provveder di prebenda un maestro in Venezia. Esso conservasinell'archivio vaticano, e mi è stato comunicato dal ch. Sig. Ab. GaetanoMarini a cui di più altri documenti è debitrice questa mia storia. "Venerabi-li Fratri......Episcopo Castellam., ec. Ne propter rerum inopiam Scholari-bus et Clericis subtraheretur utilitas discipline dudum in generali Conciliopia fuit previsione statutum, ut non solum in qualibet Cathedrali Ecclesia,sed etiam in aliis, quarum sufficere poterunt facultates, constituatur Magi-ster idoneus a Prelato cum capitulo seu majori et saniore parte Capituli eli-gendus, qui Clericos ipsius Ecclesiae aliosque Scolares pauperes gratis inGrammatica facultate peritia sufficientem notitiam obtinientes, mandamus,quatenus eidem Magistro ibidem in eadem facultate docenti provideas jux-ta predicti Statuti tenorem auctoritate nostra vel facias provideri. Contra-dictores etc. Non obstante si aliqui in Indulto Apostolico excommunicariaut interdici, vel suspendi non possint, seu ad provisionem cujuspiamcoarctari, seu qualibet indulgentia Sedis ejusdem sub quamcumque formaverborum obtenta, per quam in presentibus non expressam, vel totaliternon insertam id impediri valeat vel differri. Alioquin Ven. Fr. Nostro Epi-scopo Mantuano et dilecto filio Plebano Sancti Silvestri de Venetiis damusnostris litteris in mandatis, ut ipsi super hoc mandatum Apostolicum exe-quantur. Datum Assisii II. Idus Maji anno XI".

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gliore, e di averla più ampiamente stesa a tutte le scien-ze, deesi a Bonifacio VIII che al principio del secolosusseguente la rendette assai più illustre, come a suoluogo vedremo.

XXIII. Allo stesso pontef. Innocenzo IVdovette la sua origine l'università di Piacen-za, cui nel sec. XIV vedremo gareggiare innumero e in valore di professori colle più il-

lustri. Nell'antica Cronaca di Piacenza se ne parla in po-che parole all'an. 1243. Circa hoc tempus InnocentiusIV Papa concessit Placentinis privilegium de studio ge-nerali (Script. rer. ital., vol. 16, p. 464). Se ne fa men-zione ancora negli Annali piacentini del sec. XV pubbli-cati dal Muratori (ib. vol. 20, p. 938), dove recasi intera-mente il Breve perciò spedito da Innocenzo al vescovo eal clero di Piacenza, il quale è stato pubblicato da più al-tri storici piacentini, e più recentemente e con maggioresattezza dal ch. proposto Poggiali (Mem. di Piac. t. 5,p. 220). Esso è segnato a' 6 di febbraio dell'an. V. delsuo pontificato, cioè dall'an. 1248, e in esso alla richie-sta del vescovo, e per ornamento e vantaggio sempremaggiore di quella città che gli si manteneva costante-mente fedele, permette che vi si apra uno studio genera-le, e che i professori e gli scolari vi godano di tutti que'privilegi che proprj erano delle università di Parigi e diBologna e di altri studj. Con qual successo sorgessequesta nuova università, e qual nome ottenesse fra le al-

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Università aperta in Piacenza.

gliore, e di averla più ampiamente stesa a tutte le scien-ze, deesi a Bonifacio VIII che al principio del secolosusseguente la rendette assai più illustre, come a suoluogo vedremo.

XXIII. Allo stesso pontef. Innocenzo IVdovette la sua origine l'università di Piacen-za, cui nel sec. XIV vedremo gareggiare innumero e in valore di professori colle più il-

lustri. Nell'antica Cronaca di Piacenza se ne parla in po-che parole all'an. 1243. Circa hoc tempus InnocentiusIV Papa concessit Placentinis privilegium de studio ge-nerali (Script. rer. ital., vol. 16, p. 464). Se ne fa men-zione ancora negli Annali piacentini del sec. XV pubbli-cati dal Muratori (ib. vol. 20, p. 938), dove recasi intera-mente il Breve perciò spedito da Innocenzo al vescovo eal clero di Piacenza, il quale è stato pubblicato da più al-tri storici piacentini, e più recentemente e con maggioresattezza dal ch. proposto Poggiali (Mem. di Piac. t. 5,p. 220). Esso è segnato a' 6 di febbraio dell'an. V. delsuo pontificato, cioè dall'an. 1248, e in esso alla richie-sta del vescovo, e per ornamento e vantaggio sempremaggiore di quella città che gli si manteneva costante-mente fedele, permette che vi si apra uno studio genera-le, e che i professori e gli scolari vi godano di tutti que'privilegi che proprj erano delle università di Parigi e diBologna e di altri studj. Con qual successo sorgessequesta nuova università, e qual nome ottenesse fra le al-

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Università aperta in Piacenza.

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tre, non ce n'è rimasta notizia, e di essa non dovrem piùfavellare che verso la fine del secol seguente; al qualtempo il fioritissimo stato in cui vedremo ch'ella era, cidarà argomento a congetturare che anche ne' tempi ad-dietro ella fosse assai rinomata.

XXIV. Se crediamo all'Ughelli (Ital.Sacra, V. 2 in Ep. Macer.), Niccolò IVfondò l'an. 1290 una pubblica univer-sità in Macerata, che fu poscia da Pao-

lo III riformata e rinnovata l'an. 1540. Ma io non veggoqual fondamento si arrechi di tal fatto. E certo non parverisimile che non essendo ancor Macerata di questitempi città vescovile, il pontefice le volesse concedereun tale onore. Innoltre, se ciò fosse stato, Paolo II nelrinnovare quella università avrebbe fatta menzione delprimo fondatore di essi. Or nella Bolla perciò da luipubblicata, di ciò non vi ha cenno; anzi ci mostra che al-lora per la prima volta furono quelle pubbliche scuolefondate, e con pontificia autorità confermate. Con mag-gior fondamento deesi somigliante lode a BonifacioVIII eletto papa l'an. 1295, il quale fondò l'università diFermo; ma come ciò non avvenne che l'an. 1303, riser-biamo il ragionarne ad altri tempi.

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Se fosse allora fon-data quella di Ma-cerata.

tre, non ce n'è rimasta notizia, e di essa non dovrem piùfavellare che verso la fine del secol seguente; al qualtempo il fioritissimo stato in cui vedremo ch'ella era, cidarà argomento a congetturare che anche ne' tempi ad-dietro ella fosse assai rinomata.

XXIV. Se crediamo all'Ughelli (Ital.Sacra, V. 2 in Ep. Macer.), Niccolò IVfondò l'an. 1290 una pubblica univer-sità in Macerata, che fu poscia da Pao-

lo III riformata e rinnovata l'an. 1540. Ma io non veggoqual fondamento si arrechi di tal fatto. E certo non parverisimile che non essendo ancor Macerata di questitempi città vescovile, il pontefice le volesse concedereun tale onore. Innoltre, se ciò fosse stato, Paolo II nelrinnovare quella università avrebbe fatta menzione delprimo fondatore di essi. Or nella Bolla perciò da luipubblicata, di ciò non vi ha cenno; anzi ci mostra che al-lora per la prima volta furono quelle pubbliche scuolefondate, e con pontificia autorità confermate. Con mag-gior fondamento deesi somigliante lode a BonifacioVIII eletto papa l'an. 1295, il quale fondò l'università diFermo; ma come ciò non avvenne che l'an. 1303, riser-biamo il ragionarne ad altri tempi.

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Se fosse allora fon-data quella di Ma-cerata.

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XXV. Mentre in tal maniera i sommipontefici e gl'imperadori coll'aprire e colproteggere in ogni parte le pubblichescuole cercavano di richiamar l'Italianaletteratura all'antico suo lustro, tra quelle

città ancora che reggeansi come repubbliche, ve n'ebbealcune che non vollero rimaner prive di tai vantaggi, eperciò fondarono scuole e chiamarono professori e conprivilegi allettarono ancor gli stranieri a frequentarle.Abbiam già altrove veduto che verso la metà del XII se-colo erano assai rinomate le modenesi scuole legali (V.t. 3, l. 4, c. 7, n. 27), e che il famoso Ruggieri da Bene-vento fu ivi per qualche tempo professore di legge. Ab-biam pure veduto in questo capo medesimo che Bolognagelosa delle sue proprie glorie, e temendo che la vicinaModena potesse in parte rapirgliele, verso l'an. 1189 co-minciò ad esigere da' suoi professori un giuramento concui si astringessero a non abbandonar quelle scuole perrecarsi altrove. Ma il celebre Pillio, di cui favelleremopiù a lungo tra' professori del diritto civile, non ostantetal giuramento, a quel tempo medesimo sen venne aModena, allettato da presso a 100 marche d'argento, chegli furon promesse, e ch'erano troppo opportune a' debitidi cui trovavasi carico. Il Muratori ha creduto (Antiq.Ital. t. 3, p. 903), che questo fosse l'annuale stipendio aPillio promesso dai Modenesi. Ma come osserva l'esat-tiss. p. Sarti (De Prof. Bonon. t. 1 pars 1, p. 74), le paro-le di Pillio, ove narra tal fatto, non indicano stipendio diogni anno, ma un dono, e come un capitale da impiegare

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Quanto fossercelebri le scuolelegali di Mode-na.

XXV. Mentre in tal maniera i sommipontefici e gl'imperadori coll'aprire e colproteggere in ogni parte le pubblichescuole cercavano di richiamar l'Italianaletteratura all'antico suo lustro, tra quelle

città ancora che reggeansi come repubbliche, ve n'ebbealcune che non vollero rimaner prive di tai vantaggi, eperciò fondarono scuole e chiamarono professori e conprivilegi allettarono ancor gli stranieri a frequentarle.Abbiam già altrove veduto che verso la metà del XII se-colo erano assai rinomate le modenesi scuole legali (V.t. 3, l. 4, c. 7, n. 27), e che il famoso Ruggieri da Bene-vento fu ivi per qualche tempo professore di legge. Ab-biam pure veduto in questo capo medesimo che Bolognagelosa delle sue proprie glorie, e temendo che la vicinaModena potesse in parte rapirgliele, verso l'an. 1189 co-minciò ad esigere da' suoi professori un giuramento concui si astringessero a non abbandonar quelle scuole perrecarsi altrove. Ma il celebre Pillio, di cui favelleremopiù a lungo tra' professori del diritto civile, non ostantetal giuramento, a quel tempo medesimo sen venne aModena, allettato da presso a 100 marche d'argento, chegli furon promesse, e ch'erano troppo opportune a' debitidi cui trovavasi carico. Il Muratori ha creduto (Antiq.Ital. t. 3, p. 903), che questo fosse l'annuale stipendio aPillio promesso dai Modenesi. Ma come osserva l'esat-tiss. p. Sarti (De Prof. Bonon. t. 1 pars 1, p. 74), le paro-le di Pillio, ove narra tal fatto, non indicano stipendio diogni anno, ma un dono, e come un capitale da impiegare

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Quanto fossercelebri le scuolelegali di Mode-na.

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pel suo sostentamento. In fatti 100 marche corrispondo-no ad 800 once d'argento, come computa il Panciroli(De cl. Legum Interp. l. 2, c. 21) a 680 scudi, somma aquei tempi assai ragguardevole per un capitale, ma quasiincredibile per un annuale assegnamento. Più altri cele-bri professori di legge furon chiamati da' Modenesi a te-nere scuola tra loro, come Alberto Galeotti, Alberto daPavia, Guido da Suzzara, ed altri, dei quali a suo luogoragioneremo. Intorno a che dee correggersi un errore delch. Muratori che tra gl'illustri professori modenesi haannoverato ancora il famoso Azzo; errore nato da unpasso del soprannomato Pillio che per essere stampatonella Somma di Azzo, a questo è stato attribuito, comedimostra il p. Sarti (l. c. p. 93).

XXVI. Se scuole, o professori ancor di altrescienze fossero di que' tempi in Modena,non ne abbiam espressa memoria. Ma poi-chè da varj monumenti raccogliesi che gran-de era ivi il numero degli scolari anche stra-

nieri, par verisimile che non vi fosse la scuola sola dileggi. L'Ughelli accenna un Breve di Onorio III (Ital.Sacra, vol. 2 in Ep. Mut.) segnato dell'an. VIII del suopontificato, cioè al fine del 1224 o al principio del se-guente, in cui concede autorità a Guglielmo vescovo diModena di assolvere que' cherici che ivi si trovasseroper motivo de' loro studj, i quali si fosser l'un l'altro leg-germente feriti. Il qual privilegio sembra indicarci che

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Concorso numeroso di forestierialle mede-sime.

pel suo sostentamento. In fatti 100 marche corrispondo-no ad 800 once d'argento, come computa il Panciroli(De cl. Legum Interp. l. 2, c. 21) a 680 scudi, somma aquei tempi assai ragguardevole per un capitale, ma quasiincredibile per un annuale assegnamento. Più altri cele-bri professori di legge furon chiamati da' Modenesi a te-nere scuola tra loro, come Alberto Galeotti, Alberto daPavia, Guido da Suzzara, ed altri, dei quali a suo luogoragioneremo. Intorno a che dee correggersi un errore delch. Muratori che tra gl'illustri professori modenesi haannoverato ancora il famoso Azzo; errore nato da unpasso del soprannomato Pillio che per essere stampatonella Somma di Azzo, a questo è stato attribuito, comedimostra il p. Sarti (l. c. p. 93).

XXVI. Se scuole, o professori ancor di altrescienze fossero di que' tempi in Modena,non ne abbiam espressa memoria. Ma poi-chè da varj monumenti raccogliesi che gran-de era ivi il numero degli scolari anche stra-

nieri, par verisimile che non vi fosse la scuola sola dileggi. L'Ughelli accenna un Breve di Onorio III (Ital.Sacra, vol. 2 in Ep. Mut.) segnato dell'an. VIII del suopontificato, cioè al fine del 1224 o al principio del se-guente, in cui concede autorità a Guglielmo vescovo diModena di assolvere que' cherici che ivi si trovasseroper motivo de' loro studj, i quali si fosser l'un l'altro leg-germente feriti. Il qual privilegio sembra indicarci che

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Concorso numeroso di forestierialle mede-sime.

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copioso ivi fosse il numero degli scolari. Più chiaramen-te ancora ciò si conferma dall'antica Cronaca modenesepubblicata dal Muratori, in cui si dice (Script. rer. ital.vol. 15, p. 560) che l'an. 1232 il podestà Gherardo Albi-no da Parma rendette a Modena il suo studio: Dictotempore recuperatum fuit studium Scholarium Mutinaeper dictum Dominum Potestatem. Per qual ragione e dachi le pubbliche scuole di Modena fossero state in ad-dietro o soppresse, o trasportate altrove, non trovo chine abbia lasciata memoria. Ma queste parole ci mostra-no che avean esse sofferte alcune di quelle burrasche acui le altre università furono in questi tempi soggette.Comunque ciò fosse, il vederle qui nominate con quellavoce di studio, con cui abbiam veduto che si nominavaancora l'università di Bologna, ci fa conoscere ch'esseerano per numero di professori e di scolari famose. Veg-giamo in fatti che da Parma singolarmente ve n'accorre-va gran copia; perciocchè nell'antica Cronaca di questacittà, pubblicata dal Muratori, raccontasi (ib. vol. 9, p.771) che l'an. 1247 quelli tra' Modenesi, ch'erano delpartito di Federigo II, sorpresero e condusser prigioni 50soldati parmigiani che trovavansi in Modena, e tutti gliscolari pur parmigiani che attendevano ivi agli studj, espogliatili d'armi, di cavalli, di libri e d'ogni altra cosa elegatili nelle mani e ne' piedi li mandarono a Federigo."Pars Imperialis Mutinae cepit ct carceravitcinquantinam militum de Parma.... et omnes Scholaresde Parma, qui tunc erant Mutinae ad studendum, cepit etspoliavit omnibus equis, armis, libris et rebus eorum.

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copioso ivi fosse il numero degli scolari. Più chiaramen-te ancora ciò si conferma dall'antica Cronaca modenesepubblicata dal Muratori, in cui si dice (Script. rer. ital.vol. 15, p. 560) che l'an. 1232 il podestà Gherardo Albi-no da Parma rendette a Modena il suo studio: Dictotempore recuperatum fuit studium Scholarium Mutinaeper dictum Dominum Potestatem. Per qual ragione e dachi le pubbliche scuole di Modena fossero state in ad-dietro o soppresse, o trasportate altrove, non trovo chine abbia lasciata memoria. Ma queste parole ci mostra-no che avean esse sofferte alcune di quelle burrasche acui le altre università furono in questi tempi soggette.Comunque ciò fosse, il vederle qui nominate con quellavoce di studio, con cui abbiam veduto che si nominavaancora l'università di Bologna, ci fa conoscere ch'esseerano per numero di professori e di scolari famose. Veg-giamo in fatti che da Parma singolarmente ve n'accorre-va gran copia; perciocchè nell'antica Cronaca di questacittà, pubblicata dal Muratori, raccontasi (ib. vol. 9, p.771) che l'an. 1247 quelli tra' Modenesi, ch'erano delpartito di Federigo II, sorpresero e condusser prigioni 50soldati parmigiani che trovavansi in Modena, e tutti gliscolari pur parmigiani che attendevano ivi agli studj, espogliatili d'armi, di cavalli, di libri e d'ogni altra cosa elegatili nelle mani e ne' piedi li mandarono a Federigo."Pars Imperialis Mutinae cepit ct carceravitcinquantinam militum de Parma.... et omnes Scholaresde Parma, qui tunc erant Mutinae ad studendum, cepit etspoliavit omnibus equis, armis, libris et rebus eorum.

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Deinde Milites; et Scholares ligatis catenis ferreismanibus et pedibus, misit omnes in manibus dictiquondam Imperatoris". E forse, se verrà un giorno in cuidiligentemente si ricerchin gli archivj di questa città, ese ne traggano le opportune notizie, monumenti ancorpiù pregevoli si scopriranno intorno all'antica universitàmodenese, e si vedrà che fin da' più antichi tempi ellacominciò a godere di quella fama a cui in quest'annomedesimo 1773 in cui scrivo tai cose, l'ha richiamatacon sì felice successo la provvida mente e la splendidamunificenza del gloriosissimo nostro sovrano FrancescoIII.

XXVII. La città di Reggio ancora avea finoda questi tempi pubbliche scuole; benchè lenotizie che ce ne sono rimaste non ci spie-ghino precisamente quali esse fossero. Un

monumento dell'an. 1188 tratto dall'archivio di quellacittà è stato dato alla luce dal co. Niccola Taccoli dili-gente e faticoso raccoglitore di antiche Memorie ad essaspettanti (Mem. stor. di Reggio t. 3, p. 227). Jacopo diMandra si obbliga a quella comunità a recarsi colà insie-me co' suoi scolari per tenervi scuola, cominciando dallaprossima festa di s. Michele fino ad un anno intero, epromette che non andrà a tenere scuola altrove senzafarne parola col podestà e co' consoli: "quia a s. Michae-le proximo usque ad unum annum veniet Rhegium, cumScholaribus causa scholam tenendi, et tenebit; nec in

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Scuole reg-giane e lorocelebrità.

Deinde Milites; et Scholares ligatis catenis ferreismanibus et pedibus, misit omnes in manibus dictiquondam Imperatoris". E forse, se verrà un giorno in cuidiligentemente si ricerchin gli archivj di questa città, ese ne traggano le opportune notizie, monumenti ancorpiù pregevoli si scopriranno intorno all'antica universitàmodenese, e si vedrà che fin da' più antichi tempi ellacominciò a godere di quella fama a cui in quest'annomedesimo 1773 in cui scrivo tai cose, l'ha richiamatacon sì felice successo la provvida mente e la splendidamunificenza del gloriosissimo nostro sovrano FrancescoIII.

XXVII. La città di Reggio ancora avea finoda questi tempi pubbliche scuole; benchè lenotizie che ce ne sono rimaste non ci spie-ghino precisamente quali esse fossero. Un

monumento dell'an. 1188 tratto dall'archivio di quellacittà è stato dato alla luce dal co. Niccola Taccoli dili-gente e faticoso raccoglitore di antiche Memorie ad essaspettanti (Mem. stor. di Reggio t. 3, p. 227). Jacopo diMandra si obbliga a quella comunità a recarsi colà insie-me co' suoi scolari per tenervi scuola, cominciando dallaprossima festa di s. Michele fino ad un anno intero, epromette che non andrà a tenere scuola altrove senzafarne parola col podestà e co' consoli: "quia a s. Michae-le proximo usque ad unum annum veniet Rhegium, cumScholaribus causa scholam tenendi, et tenebit; nec in

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Scuole reg-giane e lorocelebrità.

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aliquam terram erit pro schola tenenda nisi fecerit para-bola Potestatis vel Consulum". Chi fosse questo Jacopoove, e quale scuola tenesse prima di venire a Reggio,quale scienza insegnasse, in questa città. e se oltre il pat-tuito anno più oltre ancora vi si trattenesse, di tutto ciòsiamo all'oscuro; e solo da questo monumento noi rac-cogliamo che scuole pubbliche erano in Reggio di questitempi. Di esse si fa menzione ancora in una Decretaled'Innocenzo III (Decret. Greg. l. 1, t. 6, c. 36) scrittadopo la morte di Sicardo vescovo di Cremona, che av-venne l'an. 1215, perciocchè in essa egli nomina un ca-nonico di Cremona, che in Reggio attendeva agli studj:Rhegii disciplinis scolasticis insistentem; il che ci mo-stra che da stranieri ancora e da ragguardevoli personag-gi esse erano frequentate. Ma questo documento ancornon ci mostra di quali scienze esse fossero. Certo vi erascuola di legge, poichè parlando del celebre giurecon-sulto Guido da Suzzara, vedremo che l'an. 1270 ei fucon onorevoli e vantaggiosi patti condotto da' Reggiania professore nella loro città, oltre alcuni altri che simil-mente vi tennero scuola di legge. Anzi dal monumentoche allor recheremo, si vedrà che il vescovo di quellacittà avea diritto di conferire la laurea in questa scienza.Ed è probabile che altre scuole ancora vi fossero ad in-segnar altre scienze.

XXVIII. Parma ancora ebbe nel sec. XIII lesue pubbliche scuole e se ne fa menzione in

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Scuole pub-bliche inParma.

aliquam terram erit pro schola tenenda nisi fecerit para-bola Potestatis vel Consulum". Chi fosse questo Jacopoove, e quale scuola tenesse prima di venire a Reggio,quale scienza insegnasse, in questa città. e se oltre il pat-tuito anno più oltre ancora vi si trattenesse, di tutto ciòsiamo all'oscuro; e solo da questo monumento noi rac-cogliamo che scuole pubbliche erano in Reggio di questitempi. Di esse si fa menzione ancora in una Decretaled'Innocenzo III (Decret. Greg. l. 1, t. 6, c. 36) scrittadopo la morte di Sicardo vescovo di Cremona, che av-venne l'an. 1215, perciocchè in essa egli nomina un ca-nonico di Cremona, che in Reggio attendeva agli studj:Rhegii disciplinis scolasticis insistentem; il che ci mo-stra che da stranieri ancora e da ragguardevoli personag-gi esse erano frequentate. Ma questo documento ancornon ci mostra di quali scienze esse fossero. Certo vi erascuola di legge, poichè parlando del celebre giurecon-sulto Guido da Suzzara, vedremo che l'an. 1270 ei fucon onorevoli e vantaggiosi patti condotto da' Reggiania professore nella loro città, oltre alcuni altri che simil-mente vi tennero scuola di legge. Anzi dal monumentoche allor recheremo, si vedrà che il vescovo di quellacittà avea diritto di conferire la laurea in questa scienza.Ed è probabile che altre scuole ancora vi fossero ad in-segnar altre scienze.

XXVIII. Parma ancora ebbe nel sec. XIII lesue pubbliche scuole e se ne fa menzione in

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Scuole pub-bliche inParma.

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un codice di Statuti compilati al tempo di Giberto daGente, che si conserva nell'archivio di quella comunità,e in cui si legge questa rubrica: "De scolaribus et eorumbonis manutenendis et recuperandis. Quod Potestas te-neatur Scolares, qui morantur in Civitate Parme, eos eteorum bona, bona fide manutenere, et rationem eis face-re, et eorum res recuperare, si fuerint ablate in Episco-patu Parme, et hoc Capitulum fuit factum in MCC.XXVI". Di fatto nella Cronaca ms. di f. Salimbene par-migiano, scritta in questo secol medesimo, ei fa menzio-ne di alcuni che ivi erano stati istruiti negli studj grama-ticali. Così di un certo f. Bartolommeo Guiscolo da Par-ma dice ch'egli era stato in seculo in grammatica Rex, edi f. Gherardino da Borgo s. Donnino, di cui, diremo piùsotto, afferma che in seculo docuit in Grammatica, e diGherardo da Cassia narra, che "fecit librum de dictami-ne; fuit enim magnus dictator nobilioris styli"; e di sestesso per ultimo dice che quando entrò nell'Ordine di s.Francesco l'an. 1238 era già in gramatica eruditus et at-tritus. Nè sol di gramatica, ma eranvi scuole di legge; eil p. Affò, a cui debbo tutte queste notizie, ha pubblicatoun passo della suddetta Cronaca di f. Salimbene, da cuisi raccoglie che Obizzo da Sanvitale, che fu poi vescovodi Parma, avea ivi atteso alla giurisprudenza sotto Gio-vanni di Donna Rifida (Raccolta ferrar. di Opusc. t. 15,p. 151), e in un altro passo lo stesso cronista afferma cheil pontefice Martino IV aliquando in Parma leges au-dierat a Domino Uberto de Bobio. Anzi eravi ancora uncollegio di giudici e di notai, che secondo l'antica Cro-

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un codice di Statuti compilati al tempo di Giberto daGente, che si conserva nell'archivio di quella comunità,e in cui si legge questa rubrica: "De scolaribus et eorumbonis manutenendis et recuperandis. Quod Potestas te-neatur Scolares, qui morantur in Civitate Parme, eos eteorum bona, bona fide manutenere, et rationem eis face-re, et eorum res recuperare, si fuerint ablate in Episco-patu Parme, et hoc Capitulum fuit factum in MCC.XXVI". Di fatto nella Cronaca ms. di f. Salimbene par-migiano, scritta in questo secol medesimo, ei fa menzio-ne di alcuni che ivi erano stati istruiti negli studj grama-ticali. Così di un certo f. Bartolommeo Guiscolo da Par-ma dice ch'egli era stato in seculo in grammatica Rex, edi f. Gherardino da Borgo s. Donnino, di cui, diremo piùsotto, afferma che in seculo docuit in Grammatica, e diGherardo da Cassia narra, che "fecit librum de dictami-ne; fuit enim magnus dictator nobilioris styli"; e di sestesso per ultimo dice che quando entrò nell'Ordine di s.Francesco l'an. 1238 era già in gramatica eruditus et at-tritus. Nè sol di gramatica, ma eranvi scuole di legge; eil p. Affò, a cui debbo tutte queste notizie, ha pubblicatoun passo della suddetta Cronaca di f. Salimbene, da cuisi raccoglie che Obizzo da Sanvitale, che fu poi vescovodi Parma, avea ivi atteso alla giurisprudenza sotto Gio-vanni di Donna Rifida (Raccolta ferrar. di Opusc. t. 15,p. 151), e in un altro passo lo stesso cronista afferma cheil pontefice Martino IV aliquando in Parma leges au-dierat a Domino Uberto de Bobio. Anzi eravi ancora uncollegio di giudici e di notai, che secondo l'antica Cro-

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naca di quella città fu l'an. 1295 scomunicato dal sud-detto vescovo Obizzo (Script. rer. ital. vol. 9, p. 429).Esso venne poi meno; e solo l'an. 1412, fu ristabilito dalmarch. Niccolò d'Este, mentre era signor di Parma. Ederavi ancora un collegio di medici perciocchè negli Sta-tuti di esso, che furono riformati l'an. 1440 così si legge:"Examinatis diligenter statutis, quibus tunc presentesCivitatis Doctores antiquissimi anno Nativitatis ChristiMCCXCIIII. et moderniores presentes tempore quo fe-lix studium secundo viguit, scilicet anno Christi MCCC-CXV, inter se observabant, ec." E vi si trova di fatto nel-lo statuto XII il modo con cui esaminavansi quei che vo-levano essere laureati. Cessò poscia lo studio fra nonmolto tempo; e avendo i Parmigiani circa il 1327 prega-to il pontef. Giovanni XXII a volerlo rinnovare, questiordinò al suo legato di Lombardia, che, se non era persorgerne danno alla università di Bologna, soddisfacesseal lor desiderio. Ma la cosa non ebbe effetto, e lo studionon fu riaperto che al principio del sec. XV".

XXIX. Qual fosse lo stato delle scuolemilanesi di questo secolo, il ricaviamoda un passo della Cronaca di f. Buonvi-cino da Riva del terz'Ordine degli Umi-

liati che allor vivea, e di cui io ho lungamente parlatonelle mie Ricerche su' Monumenti di quella religione(Vetera Humiliat. Monum. t. 1, p. 297, ec.). Avea egliscritta l'an. 1288 una Cronaca della città di Milano colla

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Stato delle scuole milanesi, e delle pavesi.

naca di quella città fu l'an. 1295 scomunicato dal sud-detto vescovo Obizzo (Script. rer. ital. vol. 9, p. 429).Esso venne poi meno; e solo l'an. 1412, fu ristabilito dalmarch. Niccolò d'Este, mentre era signor di Parma. Ederavi ancora un collegio di medici perciocchè negli Sta-tuti di esso, che furono riformati l'an. 1440 così si legge:"Examinatis diligenter statutis, quibus tunc presentesCivitatis Doctores antiquissimi anno Nativitatis ChristiMCCXCIIII. et moderniores presentes tempore quo fe-lix studium secundo viguit, scilicet anno Christi MCCC-CXV, inter se observabant, ec." E vi si trova di fatto nel-lo statuto XII il modo con cui esaminavansi quei che vo-levano essere laureati. Cessò poscia lo studio fra nonmolto tempo; e avendo i Parmigiani circa il 1327 prega-to il pontef. Giovanni XXII a volerlo rinnovare, questiordinò al suo legato di Lombardia, che, se non era persorgerne danno alla università di Bologna, soddisfacesseal lor desiderio. Ma la cosa non ebbe effetto, e lo studionon fu riaperto che al principio del sec. XV".

XXIX. Qual fosse lo stato delle scuolemilanesi di questo secolo, il ricaviamoda un passo della Cronaca di f. Buonvi-cino da Riva del terz'Ordine degli Umi-

liati che allor vivea, e di cui io ho lungamente parlatonelle mie Ricerche su' Monumenti di quella religione(Vetera Humiliat. Monum. t. 1, p. 297, ec.). Avea egliscritta l'an. 1288 una Cronaca della città di Milano colla

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Stato delle scuole milanesi, e delle pavesi.

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descrizione della medesima. Essa è perita, ma un prege-vol frammento ce n'è stato serbato da Galvano Fiammascrittore del secolo susseguente (Manip. Flor. c. 336, ec.Script. rer. ital. vol. 11, p. 711, ec.), in cui appunto con-tiensi la descrizione dello stato in cui allora era Milano,della quale abbiam pure un estratto negli antichi Annalimilanesi (vol. 16 Script. rer. ital. p. 680). Essa è assaipiacevole a leggersi, poichè vi si vede non solo il nume-ro delle porte delle case, delle piazze, de' cittadini, maancora la quantità de' viveri di diverse sorte, che ognigiorno vi si consumava, il numero degli artefici di cia-scheduna professione, ed altre somiglianti notizie, lequali sono state di fresco con esattezza illustrate dal dili-gentiss. co. Giorgio Giulini (Mem. di Mil. t. 8, p. 392,ec.). Or in essa noi troviamo ch'erano di quei tempo inMilano 200 giudici ossia giureconsulti, 400 notai; 600notai imperiali, 200 medici e, ciò che più appartiene alnostro argomento, 80 maestri di scuola, Magistri Scho-larum, qui pueros instruunt, LXXX. Di quali scienze essifosser maestri non si dice, ma quella espressione quipueros instruunt, ci fa sospettare che non si debbano in-tendere queste parole se non di scuole gramaticali edelementari proprie de' fanciulli. Direm noi dunque chein Milano, ove era pure si gran numero di giureconsultie di medici, non fossero scuole di giurisprudenza e dimedicina? Crederem noi che, mentre in tante altre cittàminori assai di Milano erano scuole di quasi tutte lescienze, questa città non avesse che 80 pedanti, e per al-tre scienze non vi fossero professori? Io confesso che

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descrizione della medesima. Essa è perita, ma un prege-vol frammento ce n'è stato serbato da Galvano Fiammascrittore del secolo susseguente (Manip. Flor. c. 336, ec.Script. rer. ital. vol. 11, p. 711, ec.), in cui appunto con-tiensi la descrizione dello stato in cui allora era Milano,della quale abbiam pure un estratto negli antichi Annalimilanesi (vol. 16 Script. rer. ital. p. 680). Essa è assaipiacevole a leggersi, poichè vi si vede non solo il nume-ro delle porte delle case, delle piazze, de' cittadini, maancora la quantità de' viveri di diverse sorte, che ognigiorno vi si consumava, il numero degli artefici di cia-scheduna professione, ed altre somiglianti notizie, lequali sono state di fresco con esattezza illustrate dal dili-gentiss. co. Giorgio Giulini (Mem. di Mil. t. 8, p. 392,ec.). Or in essa noi troviamo ch'erano di quei tempo inMilano 200 giudici ossia giureconsulti, 400 notai; 600notai imperiali, 200 medici e, ciò che più appartiene alnostro argomento, 80 maestri di scuola, Magistri Scho-larum, qui pueros instruunt, LXXX. Di quali scienze essifosser maestri non si dice, ma quella espressione quipueros instruunt, ci fa sospettare che non si debbano in-tendere queste parole se non di scuole gramaticali edelementari proprie de' fanciulli. Direm noi dunque chein Milano, ove era pure si gran numero di giureconsultie di medici, non fossero scuole di giurisprudenza e dimedicina? Crederem noi che, mentre in tante altre cittàminori assai di Milano erano scuole di quasi tutte lescienze, questa città non avesse che 80 pedanti, e per al-tre scienze non vi fossero professori? Io confesso che

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per una parte ciò mi sembra impossibile; ma per l'altra iltesto di Buonvicino cel rende quasi indubitabile, per-ciocchè un uomo che dice persino che erano in Milano4000 forni e 1000 osterie e 400 macellai non avrebbecerto taciuti i professori di sì nobili scienze o non gliavrebbe nominati così alla rinfusa col titolo di maestri,che fanno scuola a' fanciulli. Lo stesso Galvano Fiam-ma che in una sua Cronaca ms. ci ha data una somi-gliante descrizion dello stato in cui era Milano verso lametà del secol seguente, fa espressa menzione, come al-lora vedremo, dei professori di legge, di medicina, di fi-losofia, e così sembra che avrebbe dovuto fare ancorBuonvicino se tali professori ai suoi tempi vi fosserostati. Convien dire che le funeste vicende a cui nel sec.XII era stata soggetta questa città, e le continue guerreda cui in questo ella fu travagliata, non le permettesserodi rivolgere efficacemente il pensiero a far fiorire lescienze; e che perciò costretti fossero i Milanesi che vo-levano in esse istruirsi, ad andarsene altrove. E poichèanche in Pavia non si trova vestigio di professori e discuole in questo secolo(11), avranno i Pavesi e i Milanesi

11 Il poc'anzi lodato sig. Siro Comi mi corregge amichevolmente, perchè quiho asserito, secondo lui, nullum hocmet saeculo tertio decimo nequo doc-torum neque scholarum ticinensium vestigium occurrere; e pruova di fattoche in Pavia eran non pochi giureconsulti avvocati, ec. (Philelphus Archi-gym. Ticin. Vindic. p. 149). A me sembra però che avendo io asserito sol-tanto che in Pavia non si trova vestigio di professori e di scuole in questosecolo, la mia asserzione non sia distrutta col dimostrare che in Pavia era-no molti giureconsulti ed avvocati e dottori; giacchè io ragiono solo discuole e di professori che dalle cattedre insegnano; e possono in una cittàtrovarsi molti giureconsulti, senza che perciò vi siano pubbliche scuole.

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per una parte ciò mi sembra impossibile; ma per l'altra iltesto di Buonvicino cel rende quasi indubitabile, per-ciocchè un uomo che dice persino che erano in Milano4000 forni e 1000 osterie e 400 macellai non avrebbecerto taciuti i professori di sì nobili scienze o non gliavrebbe nominati così alla rinfusa col titolo di maestri,che fanno scuola a' fanciulli. Lo stesso Galvano Fiam-ma che in una sua Cronaca ms. ci ha data una somi-gliante descrizion dello stato in cui era Milano verso lametà del secol seguente, fa espressa menzione, come al-lora vedremo, dei professori di legge, di medicina, di fi-losofia, e così sembra che avrebbe dovuto fare ancorBuonvicino se tali professori ai suoi tempi vi fosserostati. Convien dire che le funeste vicende a cui nel sec.XII era stata soggetta questa città, e le continue guerreda cui in questo ella fu travagliata, non le permettesserodi rivolgere efficacemente il pensiero a far fiorire lescienze; e che perciò costretti fossero i Milanesi che vo-levano in esse istruirsi, ad andarsene altrove. E poichèanche in Pavia non si trova vestigio di professori e discuole in questo secolo(11), avranno i Pavesi e i Milanesi

11 Il poc'anzi lodato sig. Siro Comi mi corregge amichevolmente, perchè quiho asserito, secondo lui, nullum hocmet saeculo tertio decimo nequo doc-torum neque scholarum ticinensium vestigium occurrere; e pruova di fattoche in Pavia eran non pochi giureconsulti avvocati, ec. (Philelphus Archi-gym. Ticin. Vindic. p. 149). A me sembra però che avendo io asserito sol-tanto che in Pavia non si trova vestigio di professori e di scuole in questosecolo, la mia asserzione non sia distrutta col dimostrare che in Pavia era-no molti giureconsulti ed avvocati e dottori; giacchè io ragiono solo discuole e di professori che dalle cattedre insegnano; e possono in una cittàtrovarsi molti giureconsulti, senza che perciò vi siano pubbliche scuole.

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probabilmente dovuto recarsi o a Bologna, o ad alcunaltra delle città ove le scienze fiorivano felicemente. Infatti nel Catalogo degl'illustri Scolari di quella universi-tà pubblicato dal p. Sarti, veggiam nominati parecchiMilanesi, come Ortone Oldone di Casate (De Prof. Bon.t. 1, pars 2, p. 247) all'an. 1286, Roberto Visconti cano-nico ordinario della chiesa metropolitana (ib. p. 250)all'an. 1292, e nel seguente Pietro da Pirovano (ib. p.251) e più altri in altri anni.

XXX. Fra le città italiane nelle qualinel sec. XIII era un pubblico studio,vuolsi annoverar Trevigi. Nell'archivio

di quella comunità conservasi un codice degli Statuticompilati nell'an. 1231, a cui poscia se ne sono aggiuntipiù altri fino al 1263. E in essi alla rubr. MCXXXIV silegge: "Ad honorem Dei et gloriosae Virginis Mariae, etin augmento et statu Civitatis Tarvisii, et hominum to-tius ejusdem districtus, statuimus et ordinamus, quodPotestas infra duos menses, postquam in regimen Civi-tatis Tar. intraverit, teneatur ac debeat Consilium faceregenerale ad utramque campanam coadunatum super stu-dio Scholarium in Civit. Tar. reducendo, et perseverandoin ea quantitate facultatum, prout melius per ipsum Con-silium. super eo fuerit firmatum". E in un altro codicedel secolo stesso: "Statuitur Medicinae Artis peritum etPhysices accerseri debere, qui non sit de districtu Tarvi-sii et qui debeat legere et studere in Arte Physice, et te-

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Scuole pubbliche in Trevigi.

probabilmente dovuto recarsi o a Bologna, o ad alcunaltra delle città ove le scienze fiorivano felicemente. Infatti nel Catalogo degl'illustri Scolari di quella universi-tà pubblicato dal p. Sarti, veggiam nominati parecchiMilanesi, come Ortone Oldone di Casate (De Prof. Bon.t. 1, pars 2, p. 247) all'an. 1286, Roberto Visconti cano-nico ordinario della chiesa metropolitana (ib. p. 250)all'an. 1292, e nel seguente Pietro da Pirovano (ib. p.251) e più altri in altri anni.

XXX. Fra le città italiane nelle qualinel sec. XIII era un pubblico studio,vuolsi annoverar Trevigi. Nell'archivio

di quella comunità conservasi un codice degli Statuticompilati nell'an. 1231, a cui poscia se ne sono aggiuntipiù altri fino al 1263. E in essi alla rubr. MCXXXIV silegge: "Ad honorem Dei et gloriosae Virginis Mariae, etin augmento et statu Civitatis Tarvisii, et hominum to-tius ejusdem districtus, statuimus et ordinamus, quodPotestas infra duos menses, postquam in regimen Civi-tatis Tar. intraverit, teneatur ac debeat Consilium faceregenerale ad utramque campanam coadunatum super stu-dio Scholarium in Civit. Tar. reducendo, et perseverandoin ea quantitate facultatum, prout melius per ipsum Con-silium. super eo fuerit firmatum". E in un altro codicedel secolo stesso: "Statuitur Medicinae Artis peritum etPhysices accerseri debere, qui non sit de districtu Tarvi-sii et qui debeat legere et studere in Arte Physice, et te-

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Scuole pubbliche in Trevigi.

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nere scholas in Civitate Tarvisii.... Statuimus, quod Do-minus Bonencontrus Doctor Legum possit et debeat sta-re et habitare in Civitate Tarvisii ad docendum Scolaresin legibus, et teneatur praebere consilium, in omnibusfactis Comunis Tarvisii, si requisitus fuerit et habere de-beat a Comuni Tarvisii pro suo salario et labore quolibetanno quatuor libras Venetas gross. h. e. Ducatos Venetosaureos circiter 44". Questi bei monumenti mi sono statigentilmente comunicati dall'eruditissimo sig. co. Ram-baldo degli Azzoni Avogaro canonico della cattedral diTrevigi. Questo studio però non dovette nel corso diquesto secolo aver gran nome in Italia, e sol nel seguen-te divenne assai più illustre, come a suo luogo si osser-verà. Anche in Bassano troviam nel corso del sec. XIIIqualche maestro di gramatica, e singolarmente un certoGloi che vedesi nominato in una carta dell'an. 1233, ch'èstato pubblicata dal ch. sig. Giambattista Verci nella suastoria degli Eccelini (t. 3, p. 244), il quale ha posciapubblicato un Decreto della comunità di Bassano intor-no a quelle pubbliche scuole del 1260 (Stor. della Mar-ca Trivig. t. 2, App. p. 32).

XXXI. Non giova ch'io mi trattenga più alungo a ricercare minutamente in quali al-tre città fossero pubbliche scuole. Ho ram-mentate finora quelle di cui mi è avvenutodi trovar monumenti che ci comprovinoche vi era non solo qualche scuola, ma un

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Se la universi-tà di Pisa fos-se allora fon-data: altre pubbliche scuole.

nere scholas in Civitate Tarvisii.... Statuimus, quod Do-minus Bonencontrus Doctor Legum possit et debeat sta-re et habitare in Civitate Tarvisii ad docendum Scolaresin legibus, et teneatur praebere consilium, in omnibusfactis Comunis Tarvisii, si requisitus fuerit et habere de-beat a Comuni Tarvisii pro suo salario et labore quolibetanno quatuor libras Venetas gross. h. e. Ducatos Venetosaureos circiter 44". Questi bei monumenti mi sono statigentilmente comunicati dall'eruditissimo sig. co. Ram-baldo degli Azzoni Avogaro canonico della cattedral diTrevigi. Questo studio però non dovette nel corso diquesto secolo aver gran nome in Italia, e sol nel seguen-te divenne assai più illustre, come a suo luogo si osser-verà. Anche in Bassano troviam nel corso del sec. XIIIqualche maestro di gramatica, e singolarmente un certoGloi che vedesi nominato in una carta dell'an. 1233, ch'èstato pubblicata dal ch. sig. Giambattista Verci nella suastoria degli Eccelini (t. 3, p. 244), il quale ha posciapubblicato un Decreto della comunità di Bassano intor-no a quelle pubbliche scuole del 1260 (Stor. della Mar-ca Trivig. t. 2, App. p. 32).

XXXI. Non giova ch'io mi trattenga più alungo a ricercare minutamente in quali al-tre città fossero pubbliche scuole. Ho ram-mentate finora quelle di cui mi è avvenutodi trovar monumenti che ci comprovinoche vi era non solo qualche scuola, ma un

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Se la universi-tà di Pisa fos-se allora fon-data: altre pubbliche scuole.

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pubblico studio di tutte, o di quasi tutte le scienze. Se neho tralasciata alcuna, ciò è avvenuto solo perchè non misi sono offerte memorie dalle quali raccolgasi che non lemancasse tal pregio. Delle scuole di gramatica e delleecclesiastiche è omai inutile il cercarne partitamente,poichè è credibile che appena vi fosse città che nonavesse le sue. Io vorrei bensì poter sostenere l'opinionedel cav. dal Borgo, che ha pubblicata l'erudita sua dis-sertazione sull'origine dell'università di Pisa, per dimo-strare che assai prima del sec. XIV essa ebbe comincia-mento. Ma a dir vero, egli ha bensì chiaramente provatoche molti uomini dotti furono innanzi a quel tempo inPisa, e singolarmente molti valorosi giureconsulti, e chevi fosse ancor un collegio delle arti. Ma che vi fosseroscuole pubbliche di molte altre scienze, com'erano inBologna, in Padova e altrove, non parmi ch'egli l'abbiaprovato; e in tutti i monumenti da lui prodotti io veggonominati dottori e professori di legge; di studio, di uni-versità, di maestri d'altre scienze non vi trovo vestigio.Quindi si può al più affermare che fosse in Pisa qualchescuola di legge; ma che vi fosse studio, coma allor di-ceasi, generale, a me non sembra che si possa finora af-fermare. In Pistoja ancora fu aperto in questo secolo stu-dio di leggi, poichè, parlando de' giureconsulti, vedremoche l'an, 1279 vi fu chiamato il celebre Dino dal Mugel-lo. Ma non sappiamo se altre scuole ancora vi fossero."Pare che anche Siena avesse fin dal sec. XIII la suauniversità, o almeno le sue pubbliche scuole. Il ch. p.Guglielmo dalla Valle (Lettere sanesi t. 1, p. 139) reca

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pubblico studio di tutte, o di quasi tutte le scienze. Se neho tralasciata alcuna, ciò è avvenuto solo perchè non misi sono offerte memorie dalle quali raccolgasi che non lemancasse tal pregio. Delle scuole di gramatica e delleecclesiastiche è omai inutile il cercarne partitamente,poichè è credibile che appena vi fosse città che nonavesse le sue. Io vorrei bensì poter sostenere l'opinionedel cav. dal Borgo, che ha pubblicata l'erudita sua dis-sertazione sull'origine dell'università di Pisa, per dimo-strare che assai prima del sec. XIV essa ebbe comincia-mento. Ma a dir vero, egli ha bensì chiaramente provatoche molti uomini dotti furono innanzi a quel tempo inPisa, e singolarmente molti valorosi giureconsulti, e chevi fosse ancor un collegio delle arti. Ma che vi fosseroscuole pubbliche di molte altre scienze, com'erano inBologna, in Padova e altrove, non parmi ch'egli l'abbiaprovato; e in tutti i monumenti da lui prodotti io veggonominati dottori e professori di legge; di studio, di uni-versità, di maestri d'altre scienze non vi trovo vestigio.Quindi si può al più affermare che fosse in Pisa qualchescuola di legge; ma che vi fosse studio, coma allor di-ceasi, generale, a me non sembra che si possa finora af-fermare. In Pistoja ancora fu aperto in questo secolo stu-dio di leggi, poichè, parlando de' giureconsulti, vedremoche l'an, 1279 vi fu chiamato il celebre Dino dal Mugel-lo. Ma non sappiamo se altre scuole ancora vi fossero."Pare che anche Siena avesse fin dal sec. XIII la suauniversità, o almeno le sue pubbliche scuole. Il ch. p.Guglielmo dalla Valle (Lettere sanesi t. 1, p. 139) reca

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l'autorità già prodotta dal Gigli (Diario sanese par. 2, p.75) di un'antica Cronaca in cui si narra che l'an. 1248 al-cuni messi de' Sanesi portaverunt literas Comunis perTusciam invitando, ut Scholares venirent ad Studium inCivitate Senarum, ed ha ancora accennati altri documen-ti che in que' pubblici archivi conservansi, e nei quali sifa menzione dello stipendio da quel comune pagato adalcuni pubblici professori. Finalmente nelle Giunte fattedal p. Oldoino alle Vite de' Cardinali del Ciacconio si famenzione del card. Pietro Capoccio a' tempi d'Innocen-zo IV, di cui si dice (Hist. Cardinal. t. 2, p. 126) che co'suoi proprj beni fondò in Perugia il collegio della Sa-pienza, in cui si mantenessero 40 giovani, affin di am-maestrarli nelle belle lettere e nelle scienze. Ma questalode deesi al card. Niccolò Capoccio che fiorì nel sec.seguente, come a suo luogo vedremo. Ivi però fino daquesto secolo erano certamente pubbliche scuole; per-ciocchè dagli Atti di quella città si raccoglie che l'an.1276 fu ivi aperta una scuola di legge, di gramatica, dilogica, e di altre arti, e che nel settembre del detto annofurono spediti ambasciadori alle terre vicine ad invitan-dum omnes Scholares venire, volentes Perusii; e che po-scia in un consiglio tenuto nel 1296 a' 4 di settembre fu-rono conceduti diversi privilegi agli scolari forestieri e a'lor servidori. E il ch. sig. Annibale Mariotti, a cui debboqueste notizie, mi avverte che gli storici perugini preten-dono che fin dal 1058 Angelo da Camerino fosse iviprofessore di medicina; e che anzi il Pellini in una lette-ra ms. ch'ei conserva presso di sè, afferma di averne

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l'autorità già prodotta dal Gigli (Diario sanese par. 2, p.75) di un'antica Cronaca in cui si narra che l'an. 1248 al-cuni messi de' Sanesi portaverunt literas Comunis perTusciam invitando, ut Scholares venirent ad Studium inCivitate Senarum, ed ha ancora accennati altri documen-ti che in que' pubblici archivi conservansi, e nei quali sifa menzione dello stipendio da quel comune pagato adalcuni pubblici professori. Finalmente nelle Giunte fattedal p. Oldoino alle Vite de' Cardinali del Ciacconio si famenzione del card. Pietro Capoccio a' tempi d'Innocen-zo IV, di cui si dice (Hist. Cardinal. t. 2, p. 126) che co'suoi proprj beni fondò in Perugia il collegio della Sa-pienza, in cui si mantenessero 40 giovani, affin di am-maestrarli nelle belle lettere e nelle scienze. Ma questalode deesi al card. Niccolò Capoccio che fiorì nel sec.seguente, come a suo luogo vedremo. Ivi però fino daquesto secolo erano certamente pubbliche scuole; per-ciocchè dagli Atti di quella città si raccoglie che l'an.1276 fu ivi aperta una scuola di legge, di gramatica, dilogica, e di altre arti, e che nel settembre del detto annofurono spediti ambasciadori alle terre vicine ad invitan-dum omnes Scholares venire, volentes Perusii; e che po-scia in un consiglio tenuto nel 1296 a' 4 di settembre fu-rono conceduti diversi privilegi agli scolari forestieri e a'lor servidori. E il ch. sig. Annibale Mariotti, a cui debboqueste notizie, mi avverte che gli storici perugini preten-dono che fin dal 1058 Angelo da Camerino fosse iviprofessore di medicina; e che anzi il Pellini in una lette-ra ms. ch'ei conserva presso di sè, afferma di averne

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avuto nella mani un trattato De Regimine preservativoin peste, in cui egli dichiara che nel detto anno ei legge-va in Perugia. Ma il sig. Mariotti stesso saggiamentenon si fida a tale autorità, e molto più che un Angelo daCamerino fu medico di Bonifacio VIII sulla fine del sec.XIII. Veggansi intorno a ciò le riflessioni dello stessosig. Mariotti nell'opera degli Archiatri pontificj del ch.ab. Gaetano Marini (t. 1, p. 41).

CAPO IV.Biblioteche.

I. Le università e le altre pubbliche Scuoleche abbiamo vedute in tante città d'Italiaerette felicemente, e salite anche presso lestraniere nazioni in altissima stima, ci po-trebbon persuader facilmente che si co-minciasse in questo secol medesimo a for-

mar pubbliche e private biblioteche necessarie a' profes-sori non meno che agli scolari. In fatti come poteansicoltivare senza un tal mezzo gli studi? Anche in mezzoalla luce, di cui veggiamo a' giorni nostri risplendere lescienze tutte, appena può uno sperare di acquistarsi inesse gran nome se non sia copiosamente fornito di libriche ad esse il conducano per più breve e più agevol sen-tiero. Quanto più dovea ciò esser ne' tempi di cui scri-viamo, ne' quali sì folte eran le tenebre e sì universal

137

Per qual ra-gione fossero anche in que-sto secolo po-che e scarse lebiblioteche.

avuto nella mani un trattato De Regimine preservativoin peste, in cui egli dichiara che nel detto anno ei legge-va in Perugia. Ma il sig. Mariotti stesso saggiamentenon si fida a tale autorità, e molto più che un Angelo daCamerino fu medico di Bonifacio VIII sulla fine del sec.XIII. Veggansi intorno a ciò le riflessioni dello stessosig. Mariotti nell'opera degli Archiatri pontificj del ch.ab. Gaetano Marini (t. 1, p. 41).

CAPO IV.Biblioteche.

I. Le università e le altre pubbliche Scuoleche abbiamo vedute in tante città d'Italiaerette felicemente, e salite anche presso lestraniere nazioni in altissima stima, ci po-trebbon persuader facilmente che si co-minciasse in questo secol medesimo a for-

mar pubbliche e private biblioteche necessarie a' profes-sori non meno che agli scolari. In fatti come poteansicoltivare senza un tal mezzo gli studi? Anche in mezzoalla luce, di cui veggiamo a' giorni nostri risplendere lescienze tutte, appena può uno sperare di acquistarsi inesse gran nome se non sia copiosamente fornito di libriche ad esse il conducano per più breve e più agevol sen-tiero. Quanto più dovea ciò esser ne' tempi di cui scri-viamo, ne' quali sì folte eran le tenebre e sì universal

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Per qual ra-gione fossero anche in que-sto secolo po-che e scarse lebiblioteche.

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l'ignoranza! La difficoltà nondimeno di trovar copie deibuoni libri, e il caro prezzo a cui conveniva comprarle,appena rendea possibile il raccoglierne quella copia chea ricondurre gli uomini al buon gusto da tanto temposmarrito, e a scoprir loro le verità che stavansi ancorainvolte in un'oscurissima notte, era necessaria. Io nontrovo in fatti memoria nè di personaggio alcuno, nè dialcuna città che a questi tempi pensasse ad aprireun'ampia, universale e pubblica biblioteca e ad agevola-re e a promuovere per tal maniera gli studj. Anzi io ri-fletto che il nome di biblioteca era talvolta usato a spie-gare non altro che i libri della sacra Scrittura, come os-serva il du Cange (Glossar. med. et inf. Latin. ad voc.Bibliotheca). Così nel testamento di Jacopo da Bertino-ro, fatto in Bologna l'an. 1199, e pubblicato dal p. Sarti(De Prof. Bonon. t. 1, pars 2, p. 145), ove veggiamoch'ei lascia due biblioteche alle chiese di s. Vittore e dis. Giovanni in Monte, deesi intendere in questo senso.Tanto era allor grande la scarsezza de' libri che col do-nare una Biblia credeasi di fare uno splendido donativo.

II. Ad ogni modo era pur necessario l'averde' libri e conveniva perciò trovar manieracon cui provvederne chi ne fosse bramoso.A tal fine io penso che in tutte quelle città

che aveano pubbliche scuole, fosse un sufficiente nume-ro di scrittori che si occupassero in far copie de' libri piùnecessari per poscia venderli agli scolari. Osservo in fat-

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Copisti de' li-bri in diverse città.

l'ignoranza! La difficoltà nondimeno di trovar copie deibuoni libri, e il caro prezzo a cui conveniva comprarle,appena rendea possibile il raccoglierne quella copia chea ricondurre gli uomini al buon gusto da tanto temposmarrito, e a scoprir loro le verità che stavansi ancorainvolte in un'oscurissima notte, era necessaria. Io nontrovo in fatti memoria nè di personaggio alcuno, nè dialcuna città che a questi tempi pensasse ad aprireun'ampia, universale e pubblica biblioteca e ad agevola-re e a promuovere per tal maniera gli studj. Anzi io ri-fletto che il nome di biblioteca era talvolta usato a spie-gare non altro che i libri della sacra Scrittura, come os-serva il du Cange (Glossar. med. et inf. Latin. ad voc.Bibliotheca). Così nel testamento di Jacopo da Bertino-ro, fatto in Bologna l'an. 1199, e pubblicato dal p. Sarti(De Prof. Bonon. t. 1, pars 2, p. 145), ove veggiamoch'ei lascia due biblioteche alle chiese di s. Vittore e dis. Giovanni in Monte, deesi intendere in questo senso.Tanto era allor grande la scarsezza de' libri che col do-nare una Biblia credeasi di fare uno splendido donativo.

II. Ad ogni modo era pur necessario l'averde' libri e conveniva perciò trovar manieracon cui provvederne chi ne fosse bramoso.A tal fine io penso che in tutte quelle città

che aveano pubbliche scuole, fosse un sufficiente nume-ro di scrittori che si occupassero in far copie de' libri piùnecessari per poscia venderli agli scolari. Osservo in fat-

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Copisti de' li-bri in diverse città.

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ti che nel monumento appartenente all'università erettain Vercelli, di cui nel capo precedente si è favellato tra ipatti stabiliti fra quella comunità e i professori di Pado-va, che colà dovean recarsi, questo si esprime che vi ab-bia due copiatori, i quali provvedano agli scolari le co-pie pe' libri opportuni per l'uno e per l'altro diritto e perla teologia, e le vendano a quel prezzo che da' rettorisarà fissato: "Item habebit Commune Vercellarum duosExemplatores, quibus taliter providebit, quod eos scola-res habere possint, qui habeant exemplantia in utroqueJure et in Theologia competentia et correcta tam in textuquam in glossa; ita quod solutio fiat a scolaribus proexemplis secundum quod convenit ad taxationem Recto-rum". Ma che eran mai due copiatori al bisogno di unauniversità e di una città intera? Nella descrizione, cheabbiam poc'anzi accennata, della città di Milano fattaverso il fine di questo secolo da Buonvicino da Riva, sitrova memoria ancora del numero de' copiatori che iviera: Scriptores Librorum L. Il qual numero non era certoproporzionato a una sì popolosa città, qual era alloraMilano, ove, secondo la descrizione medesima conta-vansi duecentomila abitanti.

III. Maggiore assai dovea essere in Bolognail numero de' copiatori, poichè assai mag-giore vi era il numero degli scolari e de' pro-fessori. Nè sol gli uomini, ma le donne an-

cora esercitavansi in tale impiego come con vari monu-

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Prezzo de' codici: lus-so in essi introdotto.

ti che nel monumento appartenente all'università erettain Vercelli, di cui nel capo precedente si è favellato tra ipatti stabiliti fra quella comunità e i professori di Pado-va, che colà dovean recarsi, questo si esprime che vi ab-bia due copiatori, i quali provvedano agli scolari le co-pie pe' libri opportuni per l'uno e per l'altro diritto e perla teologia, e le vendano a quel prezzo che da' rettorisarà fissato: "Item habebit Commune Vercellarum duosExemplatores, quibus taliter providebit, quod eos scola-res habere possint, qui habeant exemplantia in utroqueJure et in Theologia competentia et correcta tam in textuquam in glossa; ita quod solutio fiat a scolaribus proexemplis secundum quod convenit ad taxationem Recto-rum". Ma che eran mai due copiatori al bisogno di unauniversità e di una città intera? Nella descrizione, cheabbiam poc'anzi accennata, della città di Milano fattaverso il fine di questo secolo da Buonvicino da Riva, sitrova memoria ancora del numero de' copiatori che iviera: Scriptores Librorum L. Il qual numero non era certoproporzionato a una sì popolosa città, qual era alloraMilano, ove, secondo la descrizione medesima conta-vansi duecentomila abitanti.

III. Maggiore assai dovea essere in Bolognail numero de' copiatori, poichè assai mag-giore vi era il numero degli scolari e de' pro-fessori. Nè sol gli uomini, ma le donne an-

cora esercitavansi in tale impiego come con vari monu-

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Prezzo de' codici: lus-so in essi introdotto.

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menti dimostra il p. Sarti (ib. pars 1, p. 186) il quale aciò attribuisce gli errori e le scorrezioni che in tanti anti-chi codici si ritrovano. Soleasi ivi affiggere pubblica-mente il Catalogo de' libri ch'erano in vendita, come orasi usa talvolta da' nostri librai; e un di tali catalogi, cheappartiene però al secolo susseguente, è stato pubblicatodal medesimo p. Sarti (ib. pars 2, p. 214). In esso sispiega il numero de' quinterni, onde ciascun libro eracomposto; e a ciascuno si fissa il prezzo che dovea pa-garsi da chi volesse usarne o a leggerlo, o a copiarlo: acagion d'esempio: Lecturam Domini Hostiensis: CLVIquinterni taxati Lib. II. Fol. X. Il suddetto Catalogo nonè che di libri appartenenti all'uno e all'altro diritto; e for-se ciascuna scienza avea, catalogi de' libri ad essa op-portuni. Ma il farli copiare non era cosa da tutti; per-ciocchè non picciolo era il prezzo che perciò richiedea-si. Ne' monumenti citati dal p. Sarti (ib. pars 1, p. 187)veggiamo che per copiar l'Inforziato furono pattuite 22lire bolognesi, e 80 lire per una Biblia, prezzo a que'tempi grandissimo, in cui tre lire bolognesi corrisponde-vano a due fiorini d'oro (ib. p. 481), il valor de' quali eraallora tanto maggior del nostro. E per iscrivere un Mes-sale ornato a lettere d'oro ed a pitture troviam in un mo-numento dell'an. 1240 presso gli annalisti camaldolesi,che parecchi monaci contribuirono oltre a 200 fiorini(Ann. camald. vol. 4, p. 348). Ciò non ostante anche ne'libri s'introdusse ben presto il lusso, e si cominciarono adorare le lettere iniziali, e ad ornare di capricciose figurei contorni delle pagine. Odofredo, sempre leggiadro ne'

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menti dimostra il p. Sarti (ib. pars 1, p. 186) il quale aciò attribuisce gli errori e le scorrezioni che in tanti anti-chi codici si ritrovano. Soleasi ivi affiggere pubblica-mente il Catalogo de' libri ch'erano in vendita, come orasi usa talvolta da' nostri librai; e un di tali catalogi, cheappartiene però al secolo susseguente, è stato pubblicatodal medesimo p. Sarti (ib. pars 2, p. 214). In esso sispiega il numero de' quinterni, onde ciascun libro eracomposto; e a ciascuno si fissa il prezzo che dovea pa-garsi da chi volesse usarne o a leggerlo, o a copiarlo: acagion d'esempio: Lecturam Domini Hostiensis: CLVIquinterni taxati Lib. II. Fol. X. Il suddetto Catalogo nonè che di libri appartenenti all'uno e all'altro diritto; e for-se ciascuna scienza avea, catalogi de' libri ad essa op-portuni. Ma il farli copiare non era cosa da tutti; per-ciocchè non picciolo era il prezzo che perciò richiedea-si. Ne' monumenti citati dal p. Sarti (ib. pars 1, p. 187)veggiamo che per copiar l'Inforziato furono pattuite 22lire bolognesi, e 80 lire per una Biblia, prezzo a que'tempi grandissimo, in cui tre lire bolognesi corrisponde-vano a due fiorini d'oro (ib. p. 481), il valor de' quali eraallora tanto maggior del nostro. E per iscrivere un Mes-sale ornato a lettere d'oro ed a pitture troviam in un mo-numento dell'an. 1240 presso gli annalisti camaldolesi,che parecchi monaci contribuirono oltre a 200 fiorini(Ann. camald. vol. 4, p. 348). Ciò non ostante anche ne'libri s'introdusse ben presto il lusso, e si cominciarono adorare le lettere iniziali, e ad ornare di capricciose figurei contorni delle pagine. Odofredo, sempre leggiadro ne'

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suoi racconti, narra di un cotale che mandato da suo pa-dre a studiare in Parigi coll'assegno annuale di 100 lire,egli tutte gittavale in far adornare e dipingere i suoi li-bri, e in farsi calzar di nuovo ogni sabato: "Dixit Paterfilio.... Vade Parisius vel Bononiam, et mittam tibi an-nuatim centum libras. Iste quid fecit? Ivit Parisius, et fe-cit libros suos babuinare de literis aureis.... ibat ad cer-donem, et faciebat se calceari omni die Sabati (De Se-nat. Consult. Macedon.)". La voce babuinare coniatadal nostro Odofredo, indica, come ognuno vede, quellestrane figure, di cui si veggon talvolta fregiati gli antichiCodici; ed è tratta dalla volgar voce Babbuini. Nè solonegli ornamenti, ma nella mole ancora de' libri vedeasinon rare volte un eccessivo lusso. Daniello Merlacoscrittor inglese alla fine del XII secolo descrive alcuniscolari, cui egli chiama bestiali, da lui veduti, i quali se-dendo con gran maestà nelle scuole faceansi porre in-nanzi su due, o tre tavole volumi d'immensa mole fre-giati ad oro: "Videbam quosdam bestiales in Scholisgravi auctoritate sedes occupare habentes contra sescamma duo vel tria, et descriptos Codices importabilesaureis literis Ulpiani traditiones repraesentantes (Ap.Wood Hist. Univ. Oxon. ad an. 1189)". Perciò lo stessoOdofredo parlando de' tempi suoi, dice che i copiatoriallora erano pittori: Hodie scriptores non sunt scripto-res, sed pictores. (Ap. Sarti l. c. p. 187). E veramente gliscrittori bolognesi erano singolarmente famosi per l'ele-ganza e bellezza del lor carattere, nel che superavanoancora que' di Parigi, come dimostra il p. Sarti (ib.) da

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suoi racconti, narra di un cotale che mandato da suo pa-dre a studiare in Parigi coll'assegno annuale di 100 lire,egli tutte gittavale in far adornare e dipingere i suoi li-bri, e in farsi calzar di nuovo ogni sabato: "Dixit Paterfilio.... Vade Parisius vel Bononiam, et mittam tibi an-nuatim centum libras. Iste quid fecit? Ivit Parisius, et fe-cit libros suos babuinare de literis aureis.... ibat ad cer-donem, et faciebat se calceari omni die Sabati (De Se-nat. Consult. Macedon.)". La voce babuinare coniatadal nostro Odofredo, indica, come ognuno vede, quellestrane figure, di cui si veggon talvolta fregiati gli antichiCodici; ed è tratta dalla volgar voce Babbuini. Nè solonegli ornamenti, ma nella mole ancora de' libri vedeasinon rare volte un eccessivo lusso. Daniello Merlacoscrittor inglese alla fine del XII secolo descrive alcuniscolari, cui egli chiama bestiali, da lui veduti, i quali se-dendo con gran maestà nelle scuole faceansi porre in-nanzi su due, o tre tavole volumi d'immensa mole fre-giati ad oro: "Videbam quosdam bestiales in Scholisgravi auctoritate sedes occupare habentes contra sescamma duo vel tria, et descriptos Codices importabilesaureis literis Ulpiani traditiones repraesentantes (Ap.Wood Hist. Univ. Oxon. ad an. 1189)". Perciò lo stessoOdofredo parlando de' tempi suoi, dice che i copiatoriallora erano pittori: Hodie scriptores non sunt scripto-res, sed pictores. (Ap. Sarti l. c. p. 187). E veramente gliscrittori bolognesi erano singolarmente famosi per l'ele-ganza e bellezza del lor carattere, nel che superavanoancora que' di Parigi, come dimostra il p. Sarti (ib.) da

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cui io ho tratte quasi tutte le minute notizie che su ciòson venuto finora sponendo. Ad esse io debbo aggiu-gnere la menzione di un bel monumento pubblicatodall'eruditiss. p. abate Frova vercellese, cioè il Catalogode' libri che il card. Guala, di cui parleremo nel libro se-guente, lasciò in dono l'an. 1227 al monastero di s. An-drea in Vercelli da lui fondato (Guale Bicherii card. Vitap. 175). Esso è assai copioso singolarmente di libri sa-cri; ma ciò che fa al nostro proposito, si è che veggiamoche al titolo di molti tra essi si aggiugne la nota ancordel carattere in cui erano scritti, e questa ci mostra quaifossero allora i caratteri più pregiati, e quanto vanamen-te si ornassero cotai codici. Eccone alcuni fra gli altri:"Bibliotheca magna" (cioè un corpo della Sacra Scrittu-ra), de littera Parisiensi cooperta purpura, et ornata fiori-bus aureis, et litterae capitales aureae.... item alia Bi-bliotheca de littera Boloniensi cum corio rubeo item bi-bliotheca de littera Anglicana.... item in bibliotheca par-va pretiosissima de littera Parisiensi cum litteris aureiset ornamento purpureo.... item Exodus, Leviticus... delittera antiqua... item XII. Prophete in uno volumine delittera Lombarda... item moralia B. Gregorii super Jobde bona littera antiqua Aretina". Qual ampio campo sioffre qui agli studiosi delle antichità de' bassi secoli a ri-cercare qual diversità passasse fra questi caratteri, ecome essi l'un dall'altro si distinguessero! A me basta ilriflettere fin dove giugnesse il lusso in que' tempi rozzi

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cui io ho tratte quasi tutte le minute notizie che su ciòson venuto finora sponendo. Ad esse io debbo aggiu-gnere la menzione di un bel monumento pubblicatodall'eruditiss. p. abate Frova vercellese, cioè il Catalogode' libri che il card. Guala, di cui parleremo nel libro se-guente, lasciò in dono l'an. 1227 al monastero di s. An-drea in Vercelli da lui fondato (Guale Bicherii card. Vitap. 175). Esso è assai copioso singolarmente di libri sa-cri; ma ciò che fa al nostro proposito, si è che veggiamoche al titolo di molti tra essi si aggiugne la nota ancordel carattere in cui erano scritti, e questa ci mostra quaifossero allora i caratteri più pregiati, e quanto vanamen-te si ornassero cotai codici. Eccone alcuni fra gli altri:"Bibliotheca magna" (cioè un corpo della Sacra Scrittu-ra), de littera Parisiensi cooperta purpura, et ornata fiori-bus aureis, et litterae capitales aureae.... item alia Bi-bliotheca de littera Boloniensi cum corio rubeo item bi-bliotheca de littera Anglicana.... item in bibliotheca par-va pretiosissima de littera Parisiensi cum litteris aureiset ornamento purpureo.... item Exodus, Leviticus... delittera antiqua... item XII. Prophete in uno volumine delittera Lombarda... item moralia B. Gregorii super Jobde bona littera antiqua Aretina". Qual ampio campo sioffre qui agli studiosi delle antichità de' bassi secoli a ri-cercare qual diversità passasse fra questi caratteri, ecome essi l'un dall'altro si distinguessero! A me basta ilriflettere fin dove giugnesse il lusso in que' tempi rozzi

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ed incolti(12).

IV. Non ci dee dunque recar maraviglia chesì rare fossero di questi tempi le private e lepubbliche biblioteche. Della Vaticana nontrovasi, ch'io sappia, in tutto questo secol

memoria alcuna, e i dottissimi Assemani che hanno congrande esattezza formato il Catalogo de' Bibliotecarjdella sede apostolica, non ne hanno in questo spazio ditempo rinvenuto pur uno. Nelle altre chiese cattedraliche secondo l'antica lodevole istituzione da noi ram-mentata più volte, dovean avere la loro biblioteca, sin-golarmente di libri sacri, è probabile che almen qualchevestigio ne rimanesse; benchè moltissimi dovettero es-sere i libri che all'occasione delle continue guerre e dellefierissime dissensioni da cui fu travagliata l'Italia intera-mente perirono. "Di una biblioteca in Perugia, ma riccasolo di libri legum tam divine quam humane, mi assicuratrovarsi memoria ne' monumenti di quella città all'anno1208 l'altre volte lodato sig. Annibale Mariotti". Tra'privati poi appena era possibile che si trovasse chi aves-se ricchezze sufficienti a formare una copiosa bibliote-ca. Il p. Sarti chiama assai bene provveduta (ib. p. 186)la biblioteca di Cervotto Accorso, ch'egli probabilmenteavea avuta in dono dal celebre giureconsulto Accorso

12 Sarebbesi qui dovuto trattare dell'invenzione della carta di lino, che sem-bra appartenere al secolo di cui parliamo. Ma ne ho riserbato il discorso alsecolo susseguente in cui l'uso ne divenne più universale.

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Notizie di alcune bi-blioteche.

ed incolti(12).

IV. Non ci dee dunque recar maraviglia chesì rare fossero di questi tempi le private e lepubbliche biblioteche. Della Vaticana nontrovasi, ch'io sappia, in tutto questo secol

memoria alcuna, e i dottissimi Assemani che hanno congrande esattezza formato il Catalogo de' Bibliotecarjdella sede apostolica, non ne hanno in questo spazio ditempo rinvenuto pur uno. Nelle altre chiese cattedraliche secondo l'antica lodevole istituzione da noi ram-mentata più volte, dovean avere la loro biblioteca, sin-golarmente di libri sacri, è probabile che almen qualchevestigio ne rimanesse; benchè moltissimi dovettero es-sere i libri che all'occasione delle continue guerre e dellefierissime dissensioni da cui fu travagliata l'Italia intera-mente perirono. "Di una biblioteca in Perugia, ma riccasolo di libri legum tam divine quam humane, mi assicuratrovarsi memoria ne' monumenti di quella città all'anno1208 l'altre volte lodato sig. Annibale Mariotti". Tra'privati poi appena era possibile che si trovasse chi aves-se ricchezze sufficienti a formare una copiosa bibliote-ca. Il p. Sarti chiama assai bene provveduta (ib. p. 186)la biblioteca di Cervotto Accorso, ch'egli probabilmenteavea avuta in dono dal celebre giureconsulto Accorso

12 Sarebbesi qui dovuto trattare dell'invenzione della carta di lino, che sem-bra appartenere al secolo di cui parliamo. Ma ne ho riserbato il discorso alsecolo susseguente in cui l'uso ne divenne più universale.

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Notizie di alcune bi-blioteche.

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suo padre. Ma tutta questa biblioteca di cui egli stessoha pubblicato il Catalogo, riducesi finalmente a ventivolumi tutti di scrittori legali. Egli ha pur pubblicato ilCatalogo della biblioteca che da Buonagiunta figliuol diPopone e dottore in legge canonica fu donata a' monacicistercensi nella diocesi di Volterra l'an. 1262, (ib. pars2), ed essa ancora consiste ne' Corpi del Diritto civile ecanonico, e in alcuni pochi chiosatori e comentatori. Piùcopiosa è probabile che fosse quella dell'imp. FederigoII, di cui egli fa cenno in una sua lettera: "Librorum vo-lumina, quorum multifarie multisque modis distinctachirographa nostrarum armaria divitiarum locupletant(De Vineis Epist. l. 3, c. 67). Ma d'essa non troviam chici dia più distinto ragguaglio. Buon numero di libri aveapure raccolto il suddetto card. Guala, come raccogliesidal Catalogo poc'anzi accennato, ove tutti si annovera-no. Essi però, trattine alcuni legali, appartengono tuttialle scienze sacre. Il proposto di Vercelli Jacopo Carna-rio, di cui nel capo precedente si è ragionato, avea eglipure non piccola copia di libri, come dal suo testamentoivi mentovato si apprende; perciocchè veggiamo ch'eilascia, libri di teologia al convento di s. Paolo dell'Ordi-ne de' Predicatori in quella città con alcune condizioniche si esprimono; i libri di leggi e di canoni e alcuni altriteologici comandi che si diano a certo cherico Giovannidi Raddo; e che i libri di fisica e delle arti si distribui-scano gratuitamente ai poveri cherici e studenti dellastessa città.

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suo padre. Ma tutta questa biblioteca di cui egli stessoha pubblicato il Catalogo, riducesi finalmente a ventivolumi tutti di scrittori legali. Egli ha pur pubblicato ilCatalogo della biblioteca che da Buonagiunta figliuol diPopone e dottore in legge canonica fu donata a' monacicistercensi nella diocesi di Volterra l'an. 1262, (ib. pars2), ed essa ancora consiste ne' Corpi del Diritto civile ecanonico, e in alcuni pochi chiosatori e comentatori. Piùcopiosa è probabile che fosse quella dell'imp. FederigoII, di cui egli fa cenno in una sua lettera: "Librorum vo-lumina, quorum multifarie multisque modis distinctachirographa nostrarum armaria divitiarum locupletant(De Vineis Epist. l. 3, c. 67). Ma d'essa non troviam chici dia più distinto ragguaglio. Buon numero di libri aveapure raccolto il suddetto card. Guala, come raccogliesidal Catalogo poc'anzi accennato, ove tutti si annovera-no. Essi però, trattine alcuni legali, appartengono tuttialle scienze sacre. Il proposto di Vercelli Jacopo Carna-rio, di cui nel capo precedente si è ragionato, avea eglipure non piccola copia di libri, come dal suo testamentoivi mentovato si apprende; perciocchè veggiamo ch'eilascia, libri di teologia al convento di s. Paolo dell'Ordi-ne de' Predicatori in quella città con alcune condizioniche si esprimono; i libri di leggi e di canoni e alcuni altriteologici comandi che si diano a certo cherico Giovannidi Raddo; e che i libri di fisica e delle arti si distribui-scano gratuitamente ai poveri cherici e studenti dellastessa città.

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V. Delle biblioteche monastiche di questosecolo appena abbiamo notizia alcuna.L'essersi in quelle serbati sino a' giorni

nostri non pochi codici, alcuni scritti a questa medesimaetà, altri ancora assai più antichi, ci mostra che i monacicontinuarono ad averne sollecita cura, e ad accrescerledi nuovi libri. Ma se se ne tragga la copiosa bibliotecapoc'anzi accennata che il card. Guala donò al monasterodi s. Andrea in Vercelli, non sappiamo precisamente dialcuno che imitasse in ciò gli esempj di alcuni de' mona-ci de' secoli addietro, che tanto si erano adoperati per ar-ricchire le loro biblioteche. La storia monastica general-mente parlando, dopo il sec. XII non è stata finora abba-stanza illustrata; e non possiamo a meno di non dolerciche la grand'opera del p. Mabillon non oltrepassi l'an.1157, e non sia stata da alcuno continuata. Il che se ungiorno avvenisse, ci si offrirebbe forse pei monaci anchein questo argomento più ampia materia di lode. Egli èvero però, che, come le nuove religioni che sorsero inquesto secolo, e principalmente i chiarissimi ordini de'Predicatori e de' Minori, rivolsero a sè gli sguardi di tut-ta l'Europa, e furono, benchè contro lor voglia, cagioneche gli ordini antichi cominciassero ad essere in minorestima, perchè minore era il bisogno che di essi si avea,così, novelli ordini stessi veggendosi destinati a imita-zion degli antichi ad istruire gli uomini, e a combattergli errori e i vizj, presero ad emular nobilmente non solle loro virtù, ma ancor l'indefesso travaglio nel fornirsidi quella scienza che a' lor ministeri era necessariamente

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Bibliotechemonastiche.

V. Delle biblioteche monastiche di questosecolo appena abbiamo notizia alcuna.L'essersi in quelle serbati sino a' giorni

nostri non pochi codici, alcuni scritti a questa medesimaetà, altri ancora assai più antichi, ci mostra che i monacicontinuarono ad averne sollecita cura, e ad accrescerledi nuovi libri. Ma se se ne tragga la copiosa bibliotecapoc'anzi accennata che il card. Guala donò al monasterodi s. Andrea in Vercelli, non sappiamo precisamente dialcuno che imitasse in ciò gli esempj di alcuni de' mona-ci de' secoli addietro, che tanto si erano adoperati per ar-ricchire le loro biblioteche. La storia monastica general-mente parlando, dopo il sec. XII non è stata finora abba-stanza illustrata; e non possiamo a meno di non dolerciche la grand'opera del p. Mabillon non oltrepassi l'an.1157, e non sia stata da alcuno continuata. Il che se ungiorno avvenisse, ci si offrirebbe forse pei monaci anchein questo argomento più ampia materia di lode. Egli èvero però, che, come le nuove religioni che sorsero inquesto secolo, e principalmente i chiarissimi ordini de'Predicatori e de' Minori, rivolsero a sè gli sguardi di tut-ta l'Europa, e furono, benchè contro lor voglia, cagioneche gli ordini antichi cominciassero ad essere in minorestima, perchè minore era il bisogno che di essi si avea,così, novelli ordini stessi veggendosi destinati a imita-zion degli antichi ad istruire gli uomini, e a combattergli errori e i vizj, presero ad emular nobilmente non solle loro virtù, ma ancor l'indefesso travaglio nel fornirsidi quella scienza che a' lor ministeri era necessariamente

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Bibliotechemonastiche.

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richiesta. Quindi, come negli scorsi secoli avean fatto imonaci, si diedero essi pure a raccoglier libri, e a forma-re biblioteche. Io ne recherò solo l'esempio de' conventidi s. Croce e di s. Maria Novella amendue in Firenze, ilprimo de' Minori, il secondo de' Predicatori. Perciocchèquanto al primo alcuni monumenti sono stati dati allaluce dall'eruditiss. ab. Lorenzo Mehus (Vita Ambros. ca-mald. p. 339, ec.) dai quali raccogliesi che que' religiosicominciarono fino da questo secolo a far raccolta di co-dici a vantaggio de' lor fratelli, e conservansi ancor lememorie di coloro che ne fecero acquisto, e de' donich'essi ne fecero al lor convento. E quanto al secondoancora egli stesso nomina alcuni di que' religiosi (ib. p.341) che ne furon per somigliante maniera benemeriticol gittare, per così dire, i primi fondamenti della copio-sa biblioteca che in esso poi si venne formando.

VI. Questo è ciò solo che intorno alle bi-blioteche di questo secolo mi è riuscito dirinvenire. Assai più copioso argomento cidaranno esse nel secol seguente, ove vedre-mo cominciare a destarsi in molti Italiani

un'ardente brama di trar dalle tenebre, fra cui giacevano,tanti libri che l'ignoranza de' secoli trapassati avea quasifatti dimenticare. Noi dobbiamo ad essi in gran parte,progressi che dopo tali scoperte si son fatti in tutte lescienze. Ma essi ancora dovettero a' lor maggiori il poterconseguire ciò che bramavano; perciocchè se quelli an-

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Vantaggi di queste ben-chè scarse biblioteche.

richiesta. Quindi, come negli scorsi secoli avean fatto imonaci, si diedero essi pure a raccoglier libri, e a forma-re biblioteche. Io ne recherò solo l'esempio de' conventidi s. Croce e di s. Maria Novella amendue in Firenze, ilprimo de' Minori, il secondo de' Predicatori. Perciocchèquanto al primo alcuni monumenti sono stati dati allaluce dall'eruditiss. ab. Lorenzo Mehus (Vita Ambros. ca-mald. p. 339, ec.) dai quali raccogliesi che que' religiosicominciarono fino da questo secolo a far raccolta di co-dici a vantaggio de' lor fratelli, e conservansi ancor lememorie di coloro che ne fecero acquisto, e de' donich'essi ne fecero al lor convento. E quanto al secondoancora egli stesso nomina alcuni di que' religiosi (ib. p.341) che ne furon per somigliante maniera benemeriticol gittare, per così dire, i primi fondamenti della copio-sa biblioteca che in esso poi si venne formando.

VI. Questo è ciò solo che intorno alle bi-blioteche di questo secolo mi è riuscito dirinvenire. Assai più copioso argomento cidaranno esse nel secol seguente, ove vedre-mo cominciare a destarsi in molti Italiani

un'ardente brama di trar dalle tenebre, fra cui giacevano,tanti libri che l'ignoranza de' secoli trapassati avea quasifatti dimenticare. Noi dobbiamo ad essi in gran parte,progressi che dopo tali scoperte si son fatti in tutte lescienze. Ma essi ancora dovettero a' lor maggiori il poterconseguire ciò che bramavano; perciocchè se quelli an-

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Vantaggi di queste ben-chè scarse biblioteche.

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che nel tempo della più incolta barbarie non avesseroserbato pur qualche copia delle opere degli antichi auto-ri, ogni loro sforzo in cercarne sarebbe tornato a nulla. El'essersi per la maggior parte gli antichi libri scoperti inItalia, come a suo luogo vedremo, ci mostra che gl'Ita-liani furon in ciò più degli altri solleciti, e che, benchèpiù di tutti fossero travagliati ed oppressi da gravissimecalamità, men di tutti però si lasciarono avvolgere inquella nube foltissima d'ignoranza, da cui il mondo tuttofu per più secoli ingombrato.

CAPO V.Viaggi.

I. Non v'ha chi non sappia quanto a pro-muovere e a perfezionare le scienze giovinoi viaggi, quando al viaggiar si congiungauna riflession diligente su' costumi, sulleleggi, sugli studj e sull'arti de' popoli, fra'

quali si passa. Come una città non può esser ricca senzaun industrioso commercio, per cui ella faccia sue le ric-chezze straniere, così le scienze non posson fiorire feli-cemente, se i dotti ai loro proprj lumi non aggiungan glialtrui. E benchè ciò si ottenga in gran parte col profittarede' libri che ci vengono dagli stranieri, il recarsi nondi-meno tra essi, e il ricercare minutamente lo stato el'indole loro, e l'esaminar le ragioni della felice, o infeli-

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Utilità de' viaggi ri-guardo alle lettere.

che nel tempo della più incolta barbarie non avesseroserbato pur qualche copia delle opere degli antichi auto-ri, ogni loro sforzo in cercarne sarebbe tornato a nulla. El'essersi per la maggior parte gli antichi libri scoperti inItalia, come a suo luogo vedremo, ci mostra che gl'Ita-liani furon in ciò più degli altri solleciti, e che, benchèpiù di tutti fossero travagliati ed oppressi da gravissimecalamità, men di tutti però si lasciarono avvolgere inquella nube foltissima d'ignoranza, da cui il mondo tuttofu per più secoli ingombrato.

CAPO V.Viaggi.

I. Non v'ha chi non sappia quanto a pro-muovere e a perfezionare le scienze giovinoi viaggi, quando al viaggiar si congiungauna riflession diligente su' costumi, sulleleggi, sugli studj e sull'arti de' popoli, fra'

quali si passa. Come una città non può esser ricca senzaun industrioso commercio, per cui ella faccia sue le ric-chezze straniere, così le scienze non posson fiorire feli-cemente, se i dotti ai loro proprj lumi non aggiungan glialtrui. E benchè ciò si ottenga in gran parte col profittarede' libri che ci vengono dagli stranieri, il recarsi nondi-meno tra essi, e il ricercare minutamente lo stato el'indole loro, e l'esaminar le ragioni della felice, o infeli-

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Utilità de' viaggi ri-guardo alle lettere.

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ce lor condizione, giova per maravigliosa maniera ad ar-ricchire la mente di pregevoli cognizioni. La geografia,la storia naturale, molte parti ancora della fisica e dellamatematica, la storia civile ancora e la ecclesiastica, etutte le belle arti non sarebbon certo fra noi in quella sìbella luce in cui le veggiamo, se fosser lor mancate leosservazioni e le scoperte di dottissimi viaggiatori. Inquesto libro adunque in cui si tratta dei mezzi, onde fuavvivata e promossa l'italiana letteratura, parmi opportu-no il ragionare ancora de' viaggi che dagl'Italiani s'intra-presero. Verrà un tempo in cui vedremo viaggiatori ita-liani trionfar dell'oceano, approdare a spiagge non piùconosciute, e ponendo le straniere nazioni al possesso diricchissimi regni, lasciarne ad esse tutto il vantaggio, edappagarsi della gloria di averle loro additate. Nel secolodi cui scriviamo, non dobbiam vederne che tenui comin-ciamenti, tali però, che serviron di norma a quelli chelor vennero appresso. Io non parlerò nè de' viaggi chefuron fatti per motivo sol di pietà, o per la conquista oper la visita di luoghi santi, nè di quelli che altro finenon ebbero che di chiamare alla Fede le genti che n'eranprive. Cotai viaggiatori son degni della nostra venera-zione; ma i loro viaggi non entran nel piano di questaStoria. Io parlo solo di quelli che furono intrapresi perosservare paesi e popoli sconosciuti, o di quelli che in-trapresi forse per altro fine, giovarono nondimeno per ladiligenza che in essi usarono i viaggiatori, all'istruziondegli uomini e all'avanzamento delle scienze.

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ce lor condizione, giova per maravigliosa maniera ad ar-ricchire la mente di pregevoli cognizioni. La geografia,la storia naturale, molte parti ancora della fisica e dellamatematica, la storia civile ancora e la ecclesiastica, etutte le belle arti non sarebbon certo fra noi in quella sìbella luce in cui le veggiamo, se fosser lor mancate leosservazioni e le scoperte di dottissimi viaggiatori. Inquesto libro adunque in cui si tratta dei mezzi, onde fuavvivata e promossa l'italiana letteratura, parmi opportu-no il ragionare ancora de' viaggi che dagl'Italiani s'intra-presero. Verrà un tempo in cui vedremo viaggiatori ita-liani trionfar dell'oceano, approdare a spiagge non piùconosciute, e ponendo le straniere nazioni al possesso diricchissimi regni, lasciarne ad esse tutto il vantaggio, edappagarsi della gloria di averle loro additate. Nel secolodi cui scriviamo, non dobbiam vederne che tenui comin-ciamenti, tali però, che serviron di norma a quelli chelor vennero appresso. Io non parlerò nè de' viaggi chefuron fatti per motivo sol di pietà, o per la conquista oper la visita di luoghi santi, nè di quelli che altro finenon ebbero che di chiamare alla Fede le genti che n'eranprive. Cotai viaggiatori son degni della nostra venera-zione; ma i loro viaggi non entran nel piano di questaStoria. Io parlo solo di quelli che furono intrapresi perosservare paesi e popoli sconosciuti, o di quelli che in-trapresi forse per altro fine, giovarono nondimeno per ladiligenza che in essi usarono i viaggiatori, all'istruziondegli uomini e all'avanzamento delle scienze.

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II. Il celebre Marco Polo, e Niccolò, e Maf-fio o Matteo il primo padre, il secondo ziodi Marco, sono gli unici celebri viaggiatoriche in questo secolo noi troviamo. Marco ciha data la descrizione de' loro viaggi. Essafu stampata in Venezia l'an. 1496, poi fu in-serita da Giambattista Ramusio nel secondo

tomo della sua Raccolta di Navigazioni e di Viaggi pub-blicato l'an. 1559, e finalmente di nuovo impressa in Ve-nezia l'an. 1597 (V. Zeno Annot. alla Bibl. del Fontani-ni, t. 2, p. 270). Di un'altra edizione fattane in Trevisol'an. 1590, che si rammenta nella Storia generale de'Viaggi (t. 27 ed. in 12, p. 9), io non trovo autor italianoche faccia menzione. Ne abbiamo ancora alcune edizio-ni latine assai tra loro diverse, che si annoverano nellaStoria sopraccitata. A me spiace singolarmente di nonaver potuto vedere quella fattane in Berlino da AndreaMuller l'an. 1675, a cui egli ha aggiunte note e disserta-zioni erudite. Il Ramusio afferma che Marco la scrissestandosi in prigione in Genova in lingua latina: "sicco-me dic'egli (praef. p. 7), accostumano li Genovesi inmaggior parte fino oggi di scrivere le loro facende, nonpotendo con la penna esprimere la loro pronuncia natu-rale"; ed aggiunge di aver veduta una copia di quest'ope-ra "scritta la prima volta latinamente di maravigliosa an-tichità, e forse copiata dallo originale di mano di essoMesser Marco". Della prigionia di Marco ragioneremoappresso. Qui solo è ad esaminare ciò che afferma il Ra-musio, cioè che Marco scrivesse la sua relazione in lati-

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Viaggi di Marco Polo: in quale lin-gua fosseroda lui scrit-ti.

II. Il celebre Marco Polo, e Niccolò, e Maf-fio o Matteo il primo padre, il secondo ziodi Marco, sono gli unici celebri viaggiatoriche in questo secolo noi troviamo. Marco ciha data la descrizione de' loro viaggi. Essafu stampata in Venezia l'an. 1496, poi fu in-serita da Giambattista Ramusio nel secondo

tomo della sua Raccolta di Navigazioni e di Viaggi pub-blicato l'an. 1559, e finalmente di nuovo impressa in Ve-nezia l'an. 1597 (V. Zeno Annot. alla Bibl. del Fontani-ni, t. 2, p. 270). Di un'altra edizione fattane in Trevisol'an. 1590, che si rammenta nella Storia generale de'Viaggi (t. 27 ed. in 12, p. 9), io non trovo autor italianoche faccia menzione. Ne abbiamo ancora alcune edizio-ni latine assai tra loro diverse, che si annoverano nellaStoria sopraccitata. A me spiace singolarmente di nonaver potuto vedere quella fattane in Berlino da AndreaMuller l'an. 1675, a cui egli ha aggiunte note e disserta-zioni erudite. Il Ramusio afferma che Marco la scrissestandosi in prigione in Genova in lingua latina: "sicco-me dic'egli (praef. p. 7), accostumano li Genovesi inmaggior parte fino oggi di scrivere le loro facende, nonpotendo con la penna esprimere la loro pronuncia natu-rale"; ed aggiunge di aver veduta una copia di quest'ope-ra "scritta la prima volta latinamente di maravigliosa an-tichità, e forse copiata dallo originale di mano di essoMesser Marco". Della prigionia di Marco ragioneremoappresso. Qui solo è ad esaminare ciò che afferma il Ra-musio, cioè che Marco scrivesse la sua relazione in lati-

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Viaggi di Marco Polo: in quale lin-gua fosseroda lui scrit-ti.

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no. Per vero dire, la ragione che il Ramusio ne arreca,parmi leggiadra assai. Dunque perchè i Genovesi, se-condo ch'ei dice, non possono scrivere in italiano, Mar-co Polo che non era genovese, ma veneziano, doveascrivere in latino? La conseguenza non mi par molto le-gittima. S'egli avesse detto che i Genovesi non intende-vano l'italiano, avrebbe recata una più probabil ragione.Ma i Genovesi non gli concederanno sì facilmente che ilor maggiori al fin del secolo XIII non intendessero, nèsapessero scrivere in lingua italiana. Per altra parte ècerto che pochi anni dopo la pubblicazion di quest'operaella fu recata in latino da Francesco Pipino dell'Ord. de'Predicatori, della qual versione conservansi copie scrittea mano in alcune biblioteche, ed una fra le altre in per-gamena ne ha questa biblioteca estense da me consulta-ta, e di cui varrommi talvolta in questo capo medesimo.Il traduttore, nella prefazione che premette alla sua ver-sione afferma chiaramente che Marco aveala scritta initaliano: "Librum prudentis, honorabilis, ac fidelis viriDomini Marchi Pauli de Venetiis de conditionibus etconsuetudinibus orientalium regionum ab eo in vulgarefideliter editum et conscriptum compellor ego fraterFrancischinus Pipinus de Bononia ordinis fratrum prae-dicatorum a plurimis patribus et dominis; meis veridicaet fideli translatione de vulgari ad latinum reducere". Eil Ramusio non troverà molti che credano a ciò ch'eidice, che il Pipino credesse essere stata quest'operascritta in lingua italiana, perchè non gli venne fatto ditrovare alcun esemplare latino. La lingua latina era allo-

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no. Per vero dire, la ragione che il Ramusio ne arreca,parmi leggiadra assai. Dunque perchè i Genovesi, se-condo ch'ei dice, non possono scrivere in italiano, Mar-co Polo che non era genovese, ma veneziano, doveascrivere in latino? La conseguenza non mi par molto le-gittima. S'egli avesse detto che i Genovesi non intende-vano l'italiano, avrebbe recata una più probabil ragione.Ma i Genovesi non gli concederanno sì facilmente che ilor maggiori al fin del secolo XIII non intendessero, nèsapessero scrivere in lingua italiana. Per altra parte ècerto che pochi anni dopo la pubblicazion di quest'operaella fu recata in latino da Francesco Pipino dell'Ord. de'Predicatori, della qual versione conservansi copie scrittea mano in alcune biblioteche, ed una fra le altre in per-gamena ne ha questa biblioteca estense da me consulta-ta, e di cui varrommi talvolta in questo capo medesimo.Il traduttore, nella prefazione che premette alla sua ver-sione afferma chiaramente che Marco aveala scritta initaliano: "Librum prudentis, honorabilis, ac fidelis viriDomini Marchi Pauli de Venetiis de conditionibus etconsuetudinibus orientalium regionum ab eo in vulgarefideliter editum et conscriptum compellor ego fraterFrancischinus Pipinus de Bononia ordinis fratrum prae-dicatorum a plurimis patribus et dominis; meis veridicaet fideli translatione de vulgari ad latinum reducere". Eil Ramusio non troverà molti che credano a ciò ch'eidice, che il Pipino credesse essere stata quest'operascritta in lingua italiana, perchè non gli venne fatto ditrovare alcun esemplare latino. La lingua latina era allo-

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ra dagli scrittori usata assai più dell'Italiana, e perciò sa-rebbe stato più facile ad avvenire che si smarrisser gliesemplari italiani, che non i latini. Ma non giova il trat-tenersi più oltre su tal quistione ch'è stata interamentedecisa dall'eruditissimo e diligentissimo Apostolo Zeno(l. c.) coll'autorità di un codice di oltre a 300 anni da luiveduto nella libreria del senator Jacopo Soranzo in Ve-nezia. Esso contiene i Viaggi del Polo, non divisi in li-bri, come poscia si è fatto, ma solo in capi; e sono scrittiin volgare e antico dialetto veneziano che ha tutti i ca-ratteri di originale. Vi si premette il prologo di un altroscrittore anonimo nel medesimo dialetto in cui dopoaver dette più lodi del Polo si aggiugne: "le qual ziandodestegnudo in charzere de' Zenovesi, tutte ste cose fezeschrivere per missier Rustigielo cittadin de Pixa, lo qualera nella dicta prixone con el dito mixier Marcho Polo".

III. Non par dunque che rimanga luo-go a dubitare se Marco scrivesse in la-tino o in italiano, ossia nel suo volgardialetto. Su questo originale si fecer

poi le diverse edizioni, e versioni latine e italiane; dellequali veggasi il soprallodato Apostolo Zeno. Io non mitrattengo a ricercarne più oltre, sì perchè altre non ne hoio vedute che la italiana del Ramusio, la latina mano-scritta del Pipino, e un'altra pure latina, ma in gran partediversa, che di Simone Grineo è stata inserita nella suaopera intitolata Novus Orbis stampata in Basilea l'an.

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Loro edizioni e ver-sioni e diversità chepassa fra esse.

ra dagli scrittori usata assai più dell'Italiana, e perciò sa-rebbe stato più facile ad avvenire che si smarrisser gliesemplari italiani, che non i latini. Ma non giova il trat-tenersi più oltre su tal quistione ch'è stata interamentedecisa dall'eruditissimo e diligentissimo Apostolo Zeno(l. c.) coll'autorità di un codice di oltre a 300 anni da luiveduto nella libreria del senator Jacopo Soranzo in Ve-nezia. Esso contiene i Viaggi del Polo, non divisi in li-bri, come poscia si è fatto, ma solo in capi; e sono scrittiin volgare e antico dialetto veneziano che ha tutti i ca-ratteri di originale. Vi si premette il prologo di un altroscrittore anonimo nel medesimo dialetto in cui dopoaver dette più lodi del Polo si aggiugne: "le qual ziandodestegnudo in charzere de' Zenovesi, tutte ste cose fezeschrivere per missier Rustigielo cittadin de Pixa, lo qualera nella dicta prixone con el dito mixier Marcho Polo".

III. Non par dunque che rimanga luo-go a dubitare se Marco scrivesse in la-tino o in italiano, ossia nel suo volgardialetto. Su questo originale si fecer

poi le diverse edizioni, e versioni latine e italiane; dellequali veggasi il soprallodato Apostolo Zeno. Io non mitrattengo a ricercarne più oltre, sì perchè altre non ne hoio vedute che la italiana del Ramusio, la latina mano-scritta del Pipino, e un'altra pure latina, ma in gran partediversa, che di Simone Grineo è stata inserita nella suaopera intitolata Novus Orbis stampata in Basilea l'an.

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Loro edizioni e ver-sioni e diversità chepassa fra esse.

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1537, sì perchè io sfuggo di entrare in cotai minute ri-cerche che non sono di questa mia opera, e che la con-durrebbono a un'eccessiva lunghezza. Solo debbo avver-tire che pel confronto ch'io ho fatto delle tre suddetteversioni, e per quello che di più altre han fatto e il sud-detto Zeno ed altri scrittori da lui citati, si vede una no-tabile diversità tra le une e le altre; il che ci mostra che itraduttori hanno alterata non poco quest'opera, o colcambiare i sentimenti dell'autore da essi non ben intesi,o coll'aggiugnerli cose ch'egli non avea scritte. Gli acca-demici della Crusca ne citano nel lor Vocabolario un te-sto a penna, che da essi si annovera tra i libri di lingua, eche dal Salviati (Avvert. t. 1, l. 2, c. 12) si dice scrittol'an. 1298. Il Zeno a ragione riflette che ciò non può es-sere; poichè nell'antico codice Soranzo, da noi mentova-to poc'anzi, si afferma che Marco scrisse la sua Storial'an. 1299. Esso però debb'essere assai antico; ed è abramare che un giorno esca alla luce.

IV. Premesse queste brevi notizie intornoalle varie versioni di questi viaggi, veniamoomai ad accennare compendiosamente le vi-cende de' nostri tre viaggiatori da Marconarrate ne' primi capi della sua opera. Nic-colò e Matteo Polo fratelli postisi in nave aVenezia viaggiarono a Costantinopoli, ove

allora era imperadore Balduino II di questo nome. Ma inqual anno essi partissero precisamente non si può diffi-

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Viaggi in Tartaria e in Persia di Niccolò e Matteo, pa-dre e zio di Marco.

1537, sì perchè io sfuggo di entrare in cotai minute ri-cerche che non sono di questa mia opera, e che la con-durrebbono a un'eccessiva lunghezza. Solo debbo avver-tire che pel confronto ch'io ho fatto delle tre suddetteversioni, e per quello che di più altre han fatto e il sud-detto Zeno ed altri scrittori da lui citati, si vede una no-tabile diversità tra le une e le altre; il che ci mostra che itraduttori hanno alterata non poco quest'opera, o colcambiare i sentimenti dell'autore da essi non ben intesi,o coll'aggiugnerli cose ch'egli non avea scritte. Gli acca-demici della Crusca ne citano nel lor Vocabolario un te-sto a penna, che da essi si annovera tra i libri di lingua, eche dal Salviati (Avvert. t. 1, l. 2, c. 12) si dice scrittol'an. 1298. Il Zeno a ragione riflette che ciò non può es-sere; poichè nell'antico codice Soranzo, da noi mentova-to poc'anzi, si afferma che Marco scrisse la sua Storial'an. 1299. Esso però debb'essere assai antico; ed è abramare che un giorno esca alla luce.

IV. Premesse queste brevi notizie intornoalle varie versioni di questi viaggi, veniamoomai ad accennare compendiosamente le vi-cende de' nostri tre viaggiatori da Marconarrate ne' primi capi della sua opera. Nic-colò e Matteo Polo fratelli postisi in nave aVenezia viaggiarono a Costantinopoli, ove

allora era imperadore Balduino II di questo nome. Ma inqual anno essi partissero precisamente non si può diffi-

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Viaggi in Tartaria e in Persia di Niccolò e Matteo, pa-dre e zio di Marco.

Page 153: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favor delle

nire perchè gran varietà ritrovasi su questo punto ne'varj codici e nelle varie edizioni. Il codice estense ch'èper altro pregevolissimo, qui certamente non è a seguir-si; perciocchè dice che ciò avvenne l'anno 1201, mentreBalduino II non cominciò a regnare che l'an. 1228. An-che nell'edizion del Grineo è corso errore, poichè vi sisegna l'an. 1269, nel quale dopo più anni di viaggio tor-narono i due fratelli in Italia. Più verisimile sembra ciòche dicesi nell'edizion del Ramusio, la qual nota l'an.1250, e questo è ancor confermato dal codice Soranzoche segna lo stesso anno. Niccolò partendo lasciò incin-ta la moglie che alcuni mesi dopo diè alla luce Marco.Da Costantinopoli tragittarono pel Ponto Eusino a Sol-dadia città dell'Armenia, quindi per terra passarono allacorte di un gran Signore de' Tartari, detto Barka, in unacittà che nell'edizione del Ramusio si dice Bolgora edAssara, nel codice Soranzo Barchachan, nel codiceestense e nell'edizion del Grineo non si nomina. Le qualidiversità io fo qui rilevare, non perchè abbia intenzionedi proseguire ad annoiare i lettori con questi confronti,ma solo perchè si veda quanto sian tra lor discordanti icodici, e quanto sia perciò ragionevole il credere chemolti errori, de' quali il Polo vien incolpato, debbansianzi attribuire a' copisti, i quali nel trascrivere, o nel tra-durre quest'opera hanno creduto che fosse loro permessoil farvi tutti que' cambiamenti che lor sembrassero op-portuni. Grandi presenti offrirono essi a Barka, da cuipure furono con regal munificenza premiati. Ma quan-do, dopo essersi ivi arrestati un anno, pensavano di far

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nire perchè gran varietà ritrovasi su questo punto ne'varj codici e nelle varie edizioni. Il codice estense ch'èper altro pregevolissimo, qui certamente non è a seguir-si; perciocchè dice che ciò avvenne l'anno 1201, mentreBalduino II non cominciò a regnare che l'an. 1228. An-che nell'edizion del Grineo è corso errore, poichè vi sisegna l'an. 1269, nel quale dopo più anni di viaggio tor-narono i due fratelli in Italia. Più verisimile sembra ciòche dicesi nell'edizion del Ramusio, la qual nota l'an.1250, e questo è ancor confermato dal codice Soranzoche segna lo stesso anno. Niccolò partendo lasciò incin-ta la moglie che alcuni mesi dopo diè alla luce Marco.Da Costantinopoli tragittarono pel Ponto Eusino a Sol-dadia città dell'Armenia, quindi per terra passarono allacorte di un gran Signore de' Tartari, detto Barka, in unacittà che nell'edizione del Ramusio si dice Bolgora edAssara, nel codice Soranzo Barchachan, nel codiceestense e nell'edizion del Grineo non si nomina. Le qualidiversità io fo qui rilevare, non perchè abbia intenzionedi proseguire ad annoiare i lettori con questi confronti,ma solo perchè si veda quanto sian tra lor discordanti icodici, e quanto sia perciò ragionevole il credere chemolti errori, de' quali il Polo vien incolpato, debbansianzi attribuire a' copisti, i quali nel trascrivere, o nel tra-durre quest'opera hanno creduto che fosse loro permessoil farvi tutti que' cambiamenti che lor sembrassero op-portuni. Grandi presenti offrirono essi a Barka, da cuipure furono con regal munificenza premiati. Ma quan-do, dopo essersi ivi arrestati un anno, pensavano di far

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ritorno a Venezia, una improvvisa guerra che si accesetra lui e un altro re tartaro detto Allau, e che finì collasconfitta di Barka, gli costrinse a gittarsi per le vie nonbattute. Perciò venuti per lungo giro a Ouchacha, o,come leggono più altre versioni, Gathaca, e quindi pas-sato il fiume Tigri, e corso per 17 giorni un solitario de-serto, giunsero a Bocara nella Persia, ove per 3 anni fe-cer dimora.

V. Frattanto un messo spedito daAllau a Kublay gran signore, o,come dicesi, gran Kan de' Tartaripassò per Bocara; e avendovi cono-sciuti i due Veneziani che già avea-

no appresa la lingua tartara, invitolli a venir seco allacorte di Kublay. Essi nol rifiutarono, e presi a lor segui-to alcuni che seco condotti avean da Venezia, si poseroin viaggio col messo, e dopo un anno giunsero alla cortedi Kublay. Accolti onorevolmente da questo potentemonarca, furon da lui interrogati non sol delle cosed'Europa, ma della lor religione ancora, ed essi sepperosì ben soddisfare alle dimande del re, ch'egli determi-nossi a inviargli in suo nome ambasciadori al sommopontefice, chiedendogli 100 dotti Cristiani che venisseroad istruire tutti i suoi popoli nella vera fede. A tal finediè loro sue lettere per lo stesso pontefice e insieme unatavoletta d'oro improntata del suo sigillo, perchè i go-vernatori de' luoghi del suo impero, per cui dovean pas-

154

Passano alla corte del gran Kan dei Tartari, da cui spediti a Roma tornan poscia a quella corte con Marco.

ritorno a Venezia, una improvvisa guerra che si accesetra lui e un altro re tartaro detto Allau, e che finì collasconfitta di Barka, gli costrinse a gittarsi per le vie nonbattute. Perciò venuti per lungo giro a Ouchacha, o,come leggono più altre versioni, Gathaca, e quindi pas-sato il fiume Tigri, e corso per 17 giorni un solitario de-serto, giunsero a Bocara nella Persia, ove per 3 anni fe-cer dimora.

V. Frattanto un messo spedito daAllau a Kublay gran signore, o,come dicesi, gran Kan de' Tartaripassò per Bocara; e avendovi cono-sciuti i due Veneziani che già avea-

no appresa la lingua tartara, invitolli a venir seco allacorte di Kublay. Essi nol rifiutarono, e presi a lor segui-to alcuni che seco condotti avean da Venezia, si poseroin viaggio col messo, e dopo un anno giunsero alla cortedi Kublay. Accolti onorevolmente da questo potentemonarca, furon da lui interrogati non sol delle cosed'Europa, ma della lor religione ancora, ed essi sepperosì ben soddisfare alle dimande del re, ch'egli determi-nossi a inviargli in suo nome ambasciadori al sommopontefice, chiedendogli 100 dotti Cristiani che venisseroad istruire tutti i suoi popoli nella vera fede. A tal finediè loro sue lettere per lo stesso pontefice e insieme unatavoletta d'oro improntata del suo sigillo, perchè i go-vernatori de' luoghi del suo impero, per cui dovean pas-

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Passano alla corte del gran Kan dei Tartari, da cui spediti a Roma tornan poscia a quella corte con Marco.

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sare, somministrasser loro tutto ciò di che potessero ab-bisognare viaggiando, e aggiunse loro a compagno unode' principali suoi cortigiani, il quale infermatosi dopo20 giorni di viaggio nol potè proseguire. I due fratelli ilcontinuarono, e finalmente dopo tre anni arrivarono aGiazza porto dell'Armenia minore; donde postisi di nuo-vo in cammino giunsero ad Acri, non già ad Ancona,come leggesi nell'edizion del Grineo. In questa edizionmedesima e nel codice estense si dice che il loro arrivoad Acri fu nell'aprile del 1272; ma da ciò che ora diremoè evidente che deesi qui seguire l'edizion del Ramusio,che segna l'anno 1269. Perciocchè ivi giunti udirono cheil pontef. Clemente IV poco tempo innanzi era morto;ed egli appunto era morto a' 29 di novembre dell'an.1268. Era allora in Acri legato pontificio Tedaldo de' Vi-sconti di Piacenza, arcidiacono di Liegi; a cui i dueviaggiatori essendo venuti innanzi, furon da lui consi-gliati ad aspettare la creazione del nuovo papa. Essi frat-tanto fecer ritorno a Venezia, ove Niccolò trovò la mo-glie defonta, il figlio Marco già giunto ad età giovanile.Se fosse certo quanti anni allora contasse Marco sarebbeancor certo l'anno della prima partenza de' due fratellima qui ancora i codici e le edizioni variano notabilmen-te. Nell'edizion del Ramusio si dice ch'egli avea 19 anni,il che combina colla lor partenza nel 1250. In un mano-scritto di Berlino citato nella Storia de' Viaggi (l. c. p. 4)si legge 17; nel codice estense e nell'edizion del Grineosi legge 15; onde qui ancora non possiamo accertar cosaalcuna. Due anni stettero essi in Venezia attendendo

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sare, somministrasser loro tutto ciò di che potessero ab-bisognare viaggiando, e aggiunse loro a compagno unode' principali suoi cortigiani, il quale infermatosi dopo20 giorni di viaggio nol potè proseguire. I due fratelli ilcontinuarono, e finalmente dopo tre anni arrivarono aGiazza porto dell'Armenia minore; donde postisi di nuo-vo in cammino giunsero ad Acri, non già ad Ancona,come leggesi nell'edizion del Grineo. In questa edizionmedesima e nel codice estense si dice che il loro arrivoad Acri fu nell'aprile del 1272; ma da ciò che ora diremoè evidente che deesi qui seguire l'edizion del Ramusio,che segna l'anno 1269. Perciocchè ivi giunti udirono cheil pontef. Clemente IV poco tempo innanzi era morto;ed egli appunto era morto a' 29 di novembre dell'an.1268. Era allora in Acri legato pontificio Tedaldo de' Vi-sconti di Piacenza, arcidiacono di Liegi; a cui i dueviaggiatori essendo venuti innanzi, furon da lui consi-gliati ad aspettare la creazione del nuovo papa. Essi frat-tanto fecer ritorno a Venezia, ove Niccolò trovò la mo-glie defonta, il figlio Marco già giunto ad età giovanile.Se fosse certo quanti anni allora contasse Marco sarebbeancor certo l'anno della prima partenza de' due fratellima qui ancora i codici e le edizioni variano notabilmen-te. Nell'edizion del Ramusio si dice ch'egli avea 19 anni,il che combina colla lor partenza nel 1250. In un mano-scritto di Berlino citato nella Storia de' Viaggi (l. c. p. 4)si legge 17; nel codice estense e nell'edizion del Grineosi legge 15; onde qui ancora non possiamo accertar cosaalcuna. Due anni stettero essi in Venezia attendendo

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l'elezione del nuovo pontefice. Ma differendosi questaancora, poichè la sede apostolica vacò allora quasi treanni, essi temendo che Kublay non si sdegnasse di sìlungo ritardo, preso seco il giovane Marco navigaronoad Acri, e avute lettere di Tedaldo pel suddetto monarca,ripresero il loro viaggio verso la Tartaria. Ma appenaeran partiti da Acri, ecco giunger messi dallo stesso Te-daldo; perciocchè eragli giunto l'avviso ch'egli stessoera stato eletto pontefice. Egli che avea preso il nome diGregorio X, diede loro altre due lettere per Kublay, enon potendo inviargli quel gran numero di ministrievangelici che quegli chiedea, scelse due religiosidell'Ord. de' Predicatori, Niccolò da Vicenza, e Gugliel-mo da Tripoli, i quali co' tre Veneziani si posero in viag-gio. Ciò dovette accadere al fine dell'an. 1271, o al prin-cipio del 1272.

VI. Giunti a Giazza in Armenia, trova-rono che il soldano di Babilonia avea aquella provincia recata guerra; di che at-territi i due religiosi ivi si arrestarono. I

tre Veneziani più coraggiosi proseguirono arditamente illor cammino e dopo tre anni e mezzo di pericoloso e di-sastroso viaggio giunsero ad una città detta Clemensa oClemeniso, ove allora risiedeva Kublay. Questi avea giàspedito loro incontro pel viaggio di 40 giorni, chi onore-volmente gli accompagnasse; e poichè furono giunti, gliaccolse con somme dimostrazioni di allegrezza e di ono-

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Lor soggiorno di più anni a quella corte.

l'elezione del nuovo pontefice. Ma differendosi questaancora, poichè la sede apostolica vacò allora quasi treanni, essi temendo che Kublay non si sdegnasse di sìlungo ritardo, preso seco il giovane Marco navigaronoad Acri, e avute lettere di Tedaldo pel suddetto monarca,ripresero il loro viaggio verso la Tartaria. Ma appenaeran partiti da Acri, ecco giunger messi dallo stesso Te-daldo; perciocchè eragli giunto l'avviso ch'egli stessoera stato eletto pontefice. Egli che avea preso il nome diGregorio X, diede loro altre due lettere per Kublay, enon potendo inviargli quel gran numero di ministrievangelici che quegli chiedea, scelse due religiosidell'Ord. de' Predicatori, Niccolò da Vicenza, e Gugliel-mo da Tripoli, i quali co' tre Veneziani si posero in viag-gio. Ciò dovette accadere al fine dell'an. 1271, o al prin-cipio del 1272.

VI. Giunti a Giazza in Armenia, trova-rono che il soldano di Babilonia avea aquella provincia recata guerra; di che at-territi i due religiosi ivi si arrestarono. I

tre Veneziani più coraggiosi proseguirono arditamente illor cammino e dopo tre anni e mezzo di pericoloso e di-sastroso viaggio giunsero ad una città detta Clemensa oClemeniso, ove allora risiedeva Kublay. Questi avea giàspedito loro incontro pel viaggio di 40 giorni, chi onore-volmente gli accompagnasse; e poichè furono giunti, gliaccolse con somme dimostrazioni di allegrezza e di ono-

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Lor soggiorno di più anni a quella corte.

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re; e con singolar riverenza ricevè non meno le letteredel pontefice, che l'olio della lampada che ardeva innan-zi il sacro sepolcro di Gerusalemme, da lui richiesto, eda essi recatogli. Al giovane Marco fece onorevole ac-coglienza, e pose lui insieme col padre e col zio tra' suoicortigiani. Marco apprese in poco tempo quattro diverselingue di que' paesi; e si avanzò tant'oltre nella graziadel suo signore, che fu da lui inviato per gravi affari inprovincie assai lontane, alle quali non poteasi arrivareche con un viaggio di sei mesi. Egli soddisfece felice-mente a' comandi di Kublay, e insieme ricercò ed osser-vò esattamente la situazione e i costumi de' paesi peiquali viaggiava; talchè tornato a Kublay, questi prende-va non ordinario piacere nell'udirlo ragionar delle coseche avea vedute. Per 17 anni stette egli col padre e colzio a quella corte, e fu spesso mandato or in una, or inun'altra lontana provincia; il che gli diede occasione diconoscere sempre più l'indole e la natura di que' paesi ede' loro abitanti; ed egli stesso ci narra che ogni cosa an-dava diligentemente scrivendo, e che di queste memoriesi valse poscia a compilare i suoi libri.

VII. La lunga assenza dalla patria aveane ri-svegliato gran desiderio ne' nostri tre viag-giatori; ed essi perciò chiesero il lor conge-do a Kublay. Egli, che assai gli amava, nonavrebbe voluto che partissero dalla sua cor-

te. Quando sopraggiunsero tre ambasciatori di Argon re

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Loro viag-gio all'Indie, e ritorno a Venezia.

re; e con singolar riverenza ricevè non meno le letteredel pontefice, che l'olio della lampada che ardeva innan-zi il sacro sepolcro di Gerusalemme, da lui richiesto, eda essi recatogli. Al giovane Marco fece onorevole ac-coglienza, e pose lui insieme col padre e col zio tra' suoicortigiani. Marco apprese in poco tempo quattro diverselingue di que' paesi; e si avanzò tant'oltre nella graziadel suo signore, che fu da lui inviato per gravi affari inprovincie assai lontane, alle quali non poteasi arrivareche con un viaggio di sei mesi. Egli soddisfece felice-mente a' comandi di Kublay, e insieme ricercò ed osser-vò esattamente la situazione e i costumi de' paesi peiquali viaggiava; talchè tornato a Kublay, questi prende-va non ordinario piacere nell'udirlo ragionar delle coseche avea vedute. Per 17 anni stette egli col padre e colzio a quella corte, e fu spesso mandato or in una, or inun'altra lontana provincia; il che gli diede occasione diconoscere sempre più l'indole e la natura di que' paesi ede' loro abitanti; ed egli stesso ci narra che ogni cosa an-dava diligentemente scrivendo, e che di queste memoriesi valse poscia a compilare i suoi libri.

VII. La lunga assenza dalla patria aveane ri-svegliato gran desiderio ne' nostri tre viag-giatori; ed essi perciò chiesero il lor conge-do a Kublay. Egli, che assai gli amava, nonavrebbe voluto che partissero dalla sua cor-

te. Quando sopraggiunsero tre ambasciatori di Argon re

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Loro viag-gio all'Indie, e ritorno a Venezia.

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dell'Indie, per chiedere in moglie pel loro sovrano a Ku-blay una giovane principessa di sua famiglia di 17 annidetta Kogatim, che discendeva dalla sua stirpe medesi-ma. Or mentre essi apparecchiavansi a tornare all'Indie,conosciuti i tre Veneziani e inteso il desiderio che avea-no di tornare alla lor patria chiesero a Kublay, che peronorar maggiormente il lor sovrano e le nozze della gio-vane principessa li destinasse a compagni del loro viag-gio. Egli, benchè di mal animo, pur finalmente il permi-se, e dati loro gran contrassegni del suo favore, e ag-giunti ad essi alcuni suoi ambasciatori al papa e ad altriprincipi cristiani, li congedò. Dopo una navigazion di tremesi, giunsero a un'isola detta Jana o Java, e quindi na-vigando pel mare dell'Indie, dopo il viaggio di un anno emezzo, come si legge nel codice estense, giunsero allacorte di Argon; dove o perchè così volesse lo stesso Ar-gon, come si legge nell'edizion del Grineo, o perchèquesti frattanto fosse morto, come nelle altre edizioni sidice, la principessa fu data per moglie al principe di luifigliuolo che nell'edizion del Ramusio si chiama Casan.Quindi i tre Veneziani, ricevute le tavolette d'oro, perchèfossero onorevolmente ricevuti ovunque approdassero,con molte ricchezze e con onorevole accompagnamentopostisi in cammino, giunsero finalmente a Costantino-poli, e quindi a Venezia l'an. 1295.

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dell'Indie, per chiedere in moglie pel loro sovrano a Ku-blay una giovane principessa di sua famiglia di 17 annidetta Kogatim, che discendeva dalla sua stirpe medesi-ma. Or mentre essi apparecchiavansi a tornare all'Indie,conosciuti i tre Veneziani e inteso il desiderio che avea-no di tornare alla lor patria chiesero a Kublay, che peronorar maggiormente il lor sovrano e le nozze della gio-vane principessa li destinasse a compagni del loro viag-gio. Egli, benchè di mal animo, pur finalmente il permi-se, e dati loro gran contrassegni del suo favore, e ag-giunti ad essi alcuni suoi ambasciatori al papa e ad altriprincipi cristiani, li congedò. Dopo una navigazion di tremesi, giunsero a un'isola detta Jana o Java, e quindi na-vigando pel mare dell'Indie, dopo il viaggio di un anno emezzo, come si legge nel codice estense, giunsero allacorte di Argon; dove o perchè così volesse lo stesso Ar-gon, come si legge nell'edizion del Grineo, o perchèquesti frattanto fosse morto, come nelle altre edizioni sidice, la principessa fu data per moglie al principe di luifigliuolo che nell'edizion del Ramusio si chiama Casan.Quindi i tre Veneziani, ricevute le tavolette d'oro, perchèfossero onorevolmente ricevuti ovunque approdassero,con molte ricchezze e con onorevole accompagnamentopostisi in cammino, giunsero finalmente a Costantino-poli, e quindi a Venezia l'an. 1295.

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VIII. Questa è in breve la descrizione de'suoi viaggi e delle sue vicende, che MarcoPolo ci ha lasciata ne' primi dieci capi delprimo suo libro. Io ho voluto prendermi lanojosa briga di confrontare le cose ch'ei nar-ra, e che qui si sono accennate, colla storia

de' paesi medesimi de' quali egli ragiona, valendomi sin-golarmente della Storia Universale degli eruditi Inglesiche hanno esaminati con singolar diligenza i più antichie i più autorevoli scrittori. Nè io perciò verrò qui sfog-giando in una stucchevole erudizione della storia de'Tartari, de' Mogoli, de' Persiani e di altri barbari popoli,che annojerebbe troppo i lettori. Solo perchè si veggache Marco è uno storico esatto e fedele, osserverò bre-vemente che la più parte de' fatti ch'egli ci narra, si tro-vano ancor narrati nella Storia suddetta, in cui pure nonsi fa alcun uso di questo scrittore, ma solo degli storiciorientali, e di que' che gli hanno attentamente esaminati.Ivi veggiam la guerra di Barka signor del paese che di-cesi la gran Bucharia, di cui è capitale Bogar chedebb'esser la Bolgara di Marco Polo, contro di Abaka si-gnor dell'Iran (Hist. Univers. t. 22, p. 638; t. 20, p. 570),il quale avea un fratello detto Alaò-ddin, donde proba-bilmente è venuto l'Allau del Polo; guerra che finì collasconfitta di Barka, il quale poco appresso morì l'an.1265, il che combina ottimamente coll'epoca del viaggiode' due fratelli veneziani. Kublay detto altrimenti Hu-pi-lay, fu uno de' più possenti signori dell'Asia. Eletto im-perador de' Mogoli, de' Tartari e de' Cinesi l'an. 1260

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Confronto delle Rela-zioni di Marco collastoria di quei paesi.

VIII. Questa è in breve la descrizione de'suoi viaggi e delle sue vicende, che MarcoPolo ci ha lasciata ne' primi dieci capi delprimo suo libro. Io ho voluto prendermi lanojosa briga di confrontare le cose ch'ei nar-ra, e che qui si sono accennate, colla storia

de' paesi medesimi de' quali egli ragiona, valendomi sin-golarmente della Storia Universale degli eruditi Inglesiche hanno esaminati con singolar diligenza i più antichie i più autorevoli scrittori. Nè io perciò verrò qui sfog-giando in una stucchevole erudizione della storia de'Tartari, de' Mogoli, de' Persiani e di altri barbari popoli,che annojerebbe troppo i lettori. Solo perchè si veggache Marco è uno storico esatto e fedele, osserverò bre-vemente che la più parte de' fatti ch'egli ci narra, si tro-vano ancor narrati nella Storia suddetta, in cui pure nonsi fa alcun uso di questo scrittore, ma solo degli storiciorientali, e di que' che gli hanno attentamente esaminati.Ivi veggiam la guerra di Barka signor del paese che di-cesi la gran Bucharia, di cui è capitale Bogar chedebb'esser la Bolgara di Marco Polo, contro di Abaka si-gnor dell'Iran (Hist. Univers. t. 22, p. 638; t. 20, p. 570),il quale avea un fratello detto Alaò-ddin, donde proba-bilmente è venuto l'Allau del Polo; guerra che finì collasconfitta di Barka, il quale poco appresso morì l'an.1265, il che combina ottimamente coll'epoca del viaggiode' due fratelli veneziani. Kublay detto altrimenti Hu-pi-lay, fu uno de' più possenti signori dell'Asia. Eletto im-perador de' Mogoli, de' Tartari e de' Cinesi l'an. 1260

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Confronto delle Rela-zioni di Marco collastoria di quei paesi.

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(ib. t. 17, p. 441), tentò ancora, ma con poco felice suc-cesso, di sottomettere il Giappone. Ebbe in pregio lescienze e i loro coltivatori: coraggioso in guerra, pru-dente nel governo del suo impero, splendido, magnifico,liberale, fu uno de' più gran principi che regnassero inquelle provincie; e non è perciò a stupire ch'egli onoras-se tanto i nostri veneti viaggiatori, e che ambisse di farsiconoscere per mezzo loro a' principi cristiani, ed ancheal romano pontefice, benchè probabilmente ei non aves-se pensiero alcuno di abbracciarne la religione, come siconosce ancor dal discorso che di ciò egli tenne conMarco Polo, e che da questo scrittore si riferisce (l. 2, c.2). Veggiamo in fatti che, dopo la metà di questo secolo,si ebbe più volte speranza di ricondurre i Tartari alla Re-ligion cristiana, e che perciò più volte vi furono inviatioperai evangelici (Raynaldi Ann. eccl. ad an. 1260,1288, 1291). Anzi abbiamo un Breve scritto a tal fine daNiccolò IV l'an. 1289 a Cobyla o Cobla gran Kan de'Tartari (id. ad an. 1289), ch'è appunto Kublay di cui ab-biamo ragionato. Pare ancora che il Polo, tornato in Ita-lia, desse qualche nuova speranza al pontefice, ch'era al-lora Bonifacio VIII, di vedere la gran Tartaria ridottaalla Fede cristiana. Io l'argomento da un codice della Bi-blioteca Riccardiana (Cat. Bibl. riccard. p. 7), di cui do-vrem di nuovo parlare altrove, e che contiene un com-pendio della nostra Religione fatto dal celebre Egidio daRoma per ordine di Bonifacio, e ch'era destinato ad usodel gran Signore de' Tartari: "Capitula Fidei Cristianaecomposita ab Ægidio de consensu et mandato SS. P. D.

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(ib. t. 17, p. 441), tentò ancora, ma con poco felice suc-cesso, di sottomettere il Giappone. Ebbe in pregio lescienze e i loro coltivatori: coraggioso in guerra, pru-dente nel governo del suo impero, splendido, magnifico,liberale, fu uno de' più gran principi che regnassero inquelle provincie; e non è perciò a stupire ch'egli onoras-se tanto i nostri veneti viaggiatori, e che ambisse di farsiconoscere per mezzo loro a' principi cristiani, ed ancheal romano pontefice, benchè probabilmente ei non aves-se pensiero alcuno di abbracciarne la religione, come siconosce ancor dal discorso che di ciò egli tenne conMarco Polo, e che da questo scrittore si riferisce (l. 2, c.2). Veggiamo in fatti che, dopo la metà di questo secolo,si ebbe più volte speranza di ricondurre i Tartari alla Re-ligion cristiana, e che perciò più volte vi furono inviatioperai evangelici (Raynaldi Ann. eccl. ad an. 1260,1288, 1291). Anzi abbiamo un Breve scritto a tal fine daNiccolò IV l'an. 1289 a Cobyla o Cobla gran Kan de'Tartari (id. ad an. 1289), ch'è appunto Kublay di cui ab-biamo ragionato. Pare ancora che il Polo, tornato in Ita-lia, desse qualche nuova speranza al pontefice, ch'era al-lora Bonifacio VIII, di vedere la gran Tartaria ridottaalla Fede cristiana. Io l'argomento da un codice della Bi-blioteca Riccardiana (Cat. Bibl. riccard. p. 7), di cui do-vrem di nuovo parlare altrove, e che contiene un com-pendio della nostra Religione fatto dal celebre Egidio daRoma per ordine di Bonifacio, e ch'era destinato ad usodel gran Signore de' Tartari: "Capitula Fidei Cristianaecomposita ab Ægidio de consensu et mandato SS. P. D.

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Bonifacii VIII transmissa ab ipso D. Papa ad TartarumMajorem volentem Christianam colere Fidem". Ma nonveggiamo che ne seguisse effetto alcuno. Di Argon redell'Indie orientali non trovo contezza. Ma sembra certoche qui debba intendersi Argon re dell'Iran, paese chia-mato da Marco colla general voce di India. Egli in fattisalì a quel trono l'an. 1284, e morì l'an. 1291 (Hist. Uni-vers. t. 17, p. 644, ec.); il qual anno pure accordasi amaraviglia coll'epoca de' nostri tre viaggiatori. Egli ebbeancora un figlio appellato Casan o Kazan (ib. p. 650),che quasi 5 anni dopo la morte del padre gli succedettenel trono. Di amendue questi principi troviamo spessomenzione nella storia ecclesiastica di questi tempi, eveggiam che amendue furon più volte pressati ad ab-bracciare la Religion cristiana ad esempio di altri di lorfamiglia, e benchè il padre non vi s'inducesse il figlioperò più anni dopo ricevette il battesimo (Raynaldi adan. 1285, 1288, 1289, 1291, 1301). Finalmente io trovoche Chengkin figliuolo di Kublay, e destinato a succe-dergli, ebbe per moglie la principessa Kokochin, ech'essa rimase vedova per la morte del suo marito mortol'an. 1285 (Hist. Univ. l. c. p. 485). E mi sembra perciòprobabile, benchè ciò nelle Storie non si racconti, ch'ellasia la Kogatim, di cui parla Marco, destinata dopo lamorte del principe suo marito in isposa ad Argon, e dataposcia a Casan di lui figliuolo; la quale, benchè non fos-se nata dalla famiglia di Kublay, come Argon bramava,eravi nondimeno entrata colle sue nozze. Egli è dunqueevidente che i viaggi di Marco Polo non furon da lui fin-

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Bonifacii VIII transmissa ab ipso D. Papa ad TartarumMajorem volentem Christianam colere Fidem". Ma nonveggiamo che ne seguisse effetto alcuno. Di Argon redell'Indie orientali non trovo contezza. Ma sembra certoche qui debba intendersi Argon re dell'Iran, paese chia-mato da Marco colla general voce di India. Egli in fattisalì a quel trono l'an. 1284, e morì l'an. 1291 (Hist. Uni-vers. t. 17, p. 644, ec.); il qual anno pure accordasi amaraviglia coll'epoca de' nostri tre viaggiatori. Egli ebbeancora un figlio appellato Casan o Kazan (ib. p. 650),che quasi 5 anni dopo la morte del padre gli succedettenel trono. Di amendue questi principi troviamo spessomenzione nella storia ecclesiastica di questi tempi, eveggiam che amendue furon più volte pressati ad ab-bracciare la Religion cristiana ad esempio di altri di lorfamiglia, e benchè il padre non vi s'inducesse il figlioperò più anni dopo ricevette il battesimo (Raynaldi adan. 1285, 1288, 1289, 1291, 1301). Finalmente io trovoche Chengkin figliuolo di Kublay, e destinato a succe-dergli, ebbe per moglie la principessa Kokochin, ech'essa rimase vedova per la morte del suo marito mortol'an. 1285 (Hist. Univ. l. c. p. 485). E mi sembra perciòprobabile, benchè ciò nelle Storie non si racconti, ch'ellasia la Kogatim, di cui parla Marco, destinata dopo lamorte del principe suo marito in isposa ad Argon, e dataposcia a Casan di lui figliuolo; la quale, benchè non fos-se nata dalla famiglia di Kublay, come Argon bramava,eravi nondimeno entrata colle sue nozze. Egli è dunqueevidente che i viaggi di Marco Polo non furon da lui fin-

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ti a capriccio, e che le più autentiche Storie ci conferma-no la verità di ciò ch'ei ne racconta. E basti il saggio finqui recato a provarlo; senza ch'io prenda a esaminaretutti gli altri punti di storia, che da Marco qua e làs'accennano nella sua Relazione. Solo non vuol passarsisotto silenzio un errore di cui vien da molti accusato, eda cui, secondo il Foscarini (Letterat. venez. p. 414),sembra più difficile lo scusarlo, cioè l'aver segnataall'an. 1162 la vittoria da Gencis-kan riportata sopraUm-kan, e che da' più esatti scrittori si segna all'anno1202. Il soprallodato autore difende Marco coll'allegarele lezioni notabilmente diverse de' diversi codici e dellediverse edizioni intorno a quest'anno, e col riflettere cheavendo il Villani segnata questa vittoria all'an. 1202,pare ch'egli altronde non potesse saperlo, che da' viaggidel Polo, e che questi perciò così abbia veramente scrit-to. Ma parmi di poter aggiungere ancora che nel codiceestense si pone l'elezione di Gencis-kan all'an. 1187, ilche pure è nell'edizion del Grineo; ma nell'estense inol-tre i primi dissapori con Um-kan si segnano all'an. 1200,dal che probabilmente deducesi che, secondo lo stessoMarco, la disfatta di Um-kan avvenne appunto versol'an. 1202.

IX. Rimane a vedere s'ei sia statougualmente fedele e sincero nella de-scrizion che ci ha data de' paesi da luicorsi viaggiando. Ma prima di entrare

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Vicende de' viag-giatori dopo il lororitorno: prigionia di Marco.

ti a capriccio, e che le più autentiche Storie ci conferma-no la verità di ciò ch'ei ne racconta. E basti il saggio finqui recato a provarlo; senza ch'io prenda a esaminaretutti gli altri punti di storia, che da Marco qua e làs'accennano nella sua Relazione. Solo non vuol passarsisotto silenzio un errore di cui vien da molti accusato, eda cui, secondo il Foscarini (Letterat. venez. p. 414),sembra più difficile lo scusarlo, cioè l'aver segnataall'an. 1162 la vittoria da Gencis-kan riportata sopraUm-kan, e che da' più esatti scrittori si segna all'anno1202. Il soprallodato autore difende Marco coll'allegarele lezioni notabilmente diverse de' diversi codici e dellediverse edizioni intorno a quest'anno, e col riflettere cheavendo il Villani segnata questa vittoria all'an. 1202,pare ch'egli altronde non potesse saperlo, che da' viaggidel Polo, e che questi perciò così abbia veramente scrit-to. Ma parmi di poter aggiungere ancora che nel codiceestense si pone l'elezione di Gencis-kan all'an. 1187, ilche pure è nell'edizion del Grineo; ma nell'estense inol-tre i primi dissapori con Um-kan si segnano all'an. 1200,dal che probabilmente deducesi che, secondo lo stessoMarco, la disfatta di Um-kan avvenne appunto versol'an. 1202.

IX. Rimane a vedere s'ei sia statougualmente fedele e sincero nella de-scrizion che ci ha data de' paesi da luicorsi viaggiando. Ma prima di entrare

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Vicende de' viag-giatori dopo il lororitorno: prigionia di Marco.

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in questo esame, vuolsi cercare ove e quando prendesseegli a scriverla. Di ciò ei non parla; e nulla pur si dicenella prefazione premessa da Francesco Pipino alla suatraduzione, qual essa è nel codice estense, benchè inquella che si vede tradotta in lingua italiana, e pubblica-ta dal Ramusio, ciò pure si accenni. Nel proemio pre-messo al codice Soranzo si dice solo, come già abbiamoosservato, che Marco si accinse a questa opera, essendoprigion di guerra in Genova. Il Ramusio nella sua prefa-zione racconta assai più stesamente la stessa cosa. Eidice prima che i tre viaggiatori, tornati a casa, non pote-rono sì facilmente esser da' loro parenti riconosciuti tan-to eran essi cambiati nelle sembianze; quindi descrive alungo una magnifica festa ch'essi diedero, in cui spiega-rono le gran ricchezze che seco avean portate in abiti, ein tal maniera accertarono tutti ch'essi erano que' mede-simi che 26 anni addietro aveano abbandonata Venezia.Aggiugne che facendosi molti a chieder novelle a Marcodelle cose da lor vedute, e delle ricchezze di que' granprincipi d'Asia, e non sapendo Marco usar altri numerinel ragionare, che di milioni e milioni, la casa Polon'ebbe il soprannome di Milione; ed egli afferma diaverla veduta così nominata ne' libri pubblici; e che lacorte della lor casa chiamavasi anche a suo tempo delMilione. Ma Apostolo Zeno (Bibl. t. 2, p. 186) cita altriscrittori che ripeton l'origine di tal soprannome dalle im-mense ricchezze da essi raccolte, e riportate da' loroviaggj. Racconta poscia il Ramusio che "non molti mesi,dappoichè furono giunti a Venezia, sendo venuta nuova,

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in questo esame, vuolsi cercare ove e quando prendesseegli a scriverla. Di ciò ei non parla; e nulla pur si dicenella prefazione premessa da Francesco Pipino alla suatraduzione, qual essa è nel codice estense, benchè inquella che si vede tradotta in lingua italiana, e pubblica-ta dal Ramusio, ciò pure si accenni. Nel proemio pre-messo al codice Soranzo si dice solo, come già abbiamoosservato, che Marco si accinse a questa opera, essendoprigion di guerra in Genova. Il Ramusio nella sua prefa-zione racconta assai più stesamente la stessa cosa. Eidice prima che i tre viaggiatori, tornati a casa, non pote-rono sì facilmente esser da' loro parenti riconosciuti tan-to eran essi cambiati nelle sembianze; quindi descrive alungo una magnifica festa ch'essi diedero, in cui spiega-rono le gran ricchezze che seco avean portate in abiti, ein tal maniera accertarono tutti ch'essi erano que' mede-simi che 26 anni addietro aveano abbandonata Venezia.Aggiugne che facendosi molti a chieder novelle a Marcodelle cose da lor vedute, e delle ricchezze di que' granprincipi d'Asia, e non sapendo Marco usar altri numerinel ragionare, che di milioni e milioni, la casa Polon'ebbe il soprannome di Milione; ed egli afferma diaverla veduta così nominata ne' libri pubblici; e che lacorte della lor casa chiamavasi anche a suo tempo delMilione. Ma Apostolo Zeno (Bibl. t. 2, p. 186) cita altriscrittori che ripeton l'origine di tal soprannome dalle im-mense ricchezze da essi raccolte, e riportate da' loroviaggj. Racconta poscia il Ramusio che "non molti mesi,dappoichè furono giunti a Venezia, sendo venuta nuova,

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come Lampa Doria Capitano dell'armata de' Genovesiera venuto con settanta galee fino all'Isola di Curzola, ed'ordine del Principe e della Illustrissima Signoria fatteche furono armare molte galee con ogni prestezza nellaCittà, fu fatto per il suo valore sopracomito d'una Mes-ser Marco Polo; qual insieme con l'altre essendo il Capi-tano Generale Messer Andrea Dandolo nominato il Cal-vo, molto forte e valoroso gentilhuomo, andò a trovarl'armata Genovese, con la qual combattendo il giorno dinostra Donna di Settembre, ed essendo rotta (come è co-mune la sorte del combattere) la nostra armata, fu preso.Perciocchè avendosi voluto mettere avanti colla sua ga-lea nella prima banda ad investir l'armata nemica, et va-lorosamente et con grande animo combattendo per lapatria e per la salute de' suoi, non seguitato dagli altri ri-mase ferito et prigione". Fin qui il Ramusio, il qualecontinua poscia a narrare delle cortesi accoglienze cheMarco ebbe in Genova, e come ad istanza de' Genovesi,fattesi venir da Venezia le sue memorie, prese a scriverele relazioni de' suoi viaggi, e come pochi anni appressoegli ottenne ancora la libertà. Dell'anno in cui morisseroegli e Niccolò e Maffio, il Ramusio non fa parola. Orquanto alla prigionia di Marco, e all'occasione in cuiegli scrisse la storia de' suoi viaggi, l'autorità da noimentovata poc'anzi del codice Soranzo, basta a persua-dercene. Io veggo in fatti che la battaglia dei Genovesicontro de' Veneziani, qual narrasi dal Ramusio, tale an-cor si rammenta e da Giorgio Stella antico storico geno-vese (Script. rer. ital. vol. 18, p. 985), e da Andrea Dan-

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come Lampa Doria Capitano dell'armata de' Genovesiera venuto con settanta galee fino all'Isola di Curzola, ed'ordine del Principe e della Illustrissima Signoria fatteche furono armare molte galee con ogni prestezza nellaCittà, fu fatto per il suo valore sopracomito d'una Mes-ser Marco Polo; qual insieme con l'altre essendo il Capi-tano Generale Messer Andrea Dandolo nominato il Cal-vo, molto forte e valoroso gentilhuomo, andò a trovarl'armata Genovese, con la qual combattendo il giorno dinostra Donna di Settembre, ed essendo rotta (come è co-mune la sorte del combattere) la nostra armata, fu preso.Perciocchè avendosi voluto mettere avanti colla sua ga-lea nella prima banda ad investir l'armata nemica, et va-lorosamente et con grande animo combattendo per lapatria e per la salute de' suoi, non seguitato dagli altri ri-mase ferito et prigione". Fin qui il Ramusio, il qualecontinua poscia a narrare delle cortesi accoglienze cheMarco ebbe in Genova, e come ad istanza de' Genovesi,fattesi venir da Venezia le sue memorie, prese a scriverele relazioni de' suoi viaggi, e come pochi anni appressoegli ottenne ancora la libertà. Dell'anno in cui morisseroegli e Niccolò e Maffio, il Ramusio non fa parola. Orquanto alla prigionia di Marco, e all'occasione in cuiegli scrisse la storia de' suoi viaggi, l'autorità da noimentovata poc'anzi del codice Soranzo, basta a persua-dercene. Io veggo in fatti che la battaglia dei Genovesicontro de' Veneziani, qual narrasi dal Ramusio, tale an-cor si rammenta e da Giorgio Stella antico storico geno-vese (Script. rer. ital. vol. 18, p. 985), e da Andrea Dan-

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dolo (diverso dal capitano mentovato poc'anzi) nella suaCronaca di Venezia (ib. vol. 12 p. 407). Marco Polo nonvi si nomina, perciocchè ei non era uomo di sì alto statodi farne distinta menzione; ma i nomi de' capitanidell'una e dell'altra parte, e il giorno e il luogo della bat-taglia, e l'infelice esito della stessa, concordano piena-mente. Solo sembravi aver differenza nell'anno; percioc-chè il Ramusio, dice che ciò avvenne pochi mesi dopo ilritorno di Marco, seguito nel 1295, e secondo i suddettidue storici la battaglia seguì nel 1292. Ma questo non èerrore sì grave che dobbiam rivocare in dubbio la so-stanza del fatto, e sembra perciò indubitabile che allacortesia da' Genovesi usata coll'infelice Marco noi siamdebitori dell'opera ch'egli a loro istanza compose. Mapassiamo omai a cercare qual fede si debba alle relazio-ni di Marco.

X. Io son ben lungi dal voler proporre lerelazioni di Marco Polo come interamenteveraci, senza falsità, senza errore, senzaesagerazione di sorte alcuna. Non concede-rei sì agevolmente tal lode agli stessi viag-

giatori moderni, che pure sì grandi cose ci dicono dellaloro sincerità e della loro esattezza. Essi giurano tuttiugualmente di aver veduta ogni cosa co' loro proprj oc-chi. E nondimeno si contraddicono spesso nella più leg-giadra maniera del mondo. Noi frattanto, che non ci sen-tiamo in lena d'intraprendere sì lunghi viaggi ci stiam

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Qual fede debbasi alle descrizioni fatte da Mar-co Polo.

dolo (diverso dal capitano mentovato poc'anzi) nella suaCronaca di Venezia (ib. vol. 12 p. 407). Marco Polo nonvi si nomina, perciocchè ei non era uomo di sì alto statodi farne distinta menzione; ma i nomi de' capitanidell'una e dell'altra parte, e il giorno e il luogo della bat-taglia, e l'infelice esito della stessa, concordano piena-mente. Solo sembravi aver differenza nell'anno; percioc-chè il Ramusio, dice che ciò avvenne pochi mesi dopo ilritorno di Marco, seguito nel 1295, e secondo i suddettidue storici la battaglia seguì nel 1292. Ma questo non èerrore sì grave che dobbiam rivocare in dubbio la so-stanza del fatto, e sembra perciò indubitabile che allacortesia da' Genovesi usata coll'infelice Marco noi siamdebitori dell'opera ch'egli a loro istanza compose. Mapassiamo omai a cercare qual fede si debba alle relazio-ni di Marco.

X. Io son ben lungi dal voler proporre lerelazioni di Marco Polo come interamenteveraci, senza falsità, senza errore, senzaesagerazione di sorte alcuna. Non concede-rei sì agevolmente tal lode agli stessi viag-

giatori moderni, che pure sì grandi cose ci dicono dellaloro sincerità e della loro esattezza. Essi giurano tuttiugualmente di aver veduta ogni cosa co' loro proprj oc-chi. E nondimeno si contraddicono spesso nella più leg-giadra maniera del mondo. Noi frattanto, che non ci sen-tiamo in lena d'intraprendere sì lunghi viaggi ci stiam

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Qual fede debbasi alle descrizioni fatte da Mar-co Polo.

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dubbiosi ed incerti e dopo aver lette cento descrizionidello stesso paese, non ne caviamo spesso altro frutto,che di conchiudere che non ne sappiam nulla. Or se an-che i viaggiatori moderni, i quali son pure tanto più coltidegli antichi, non hanno però ancor rinunciato al natiodiritto di vendere fole, perchè vorrem noi che del dirittomedesimo non godesse ancora il nostro Marco? Appenaè possibile a un viaggiatore l'osservare, l'esaminare,l'accertare ogni cosa. Spesso non può guardare un og-getto che alla sfuggita; e ancorchè il rimiri con attenzio-ne, spesso non può farne prontamente in iscritto la de-scrizione. Ciò non ostante ei vuol comparire esatto; eparla perciò di ogni cosa minutamente; e a ciò ch'eglinon ha potuto o diligentemente osservare, o ritener fe-delmente, supplisce colla sua fantasia. Io dunque non mifarò a difendere Marco Polo in tutto ciò ch'egli racconta;anzi concederò senza pena che molte cose egli abbiaesagerate, o fors'anche finte a capriccio. Ma non temeròancor di affermare che gli errori de' quali egli possa es-sere a ragione accusato, non son poi tanti, quanti da al-cuni si crede. Coloro a' quali le relazioni di Marco sem-brano piene di falsità e d'imposture, misurano spesso itempi antichi da' nostri; e perchè ne' paesi, de' quali egliragiona, non trovasi ora ciò ch'egli afferma d'avervi tro-vato, gridan tosto all'errore. Ma egli è certo che ben di-versa era la condizione di quelle provincie a' tempi dicui ragiona il Polo, da quella ch'è il presente. Anzi av-viene non rare volte, che con più diligenti ricerche sivenga a scoprire che la cosa è veramente, come da lui si

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dubbiosi ed incerti e dopo aver lette cento descrizionidello stesso paese, non ne caviamo spesso altro frutto,che di conchiudere che non ne sappiam nulla. Or se an-che i viaggiatori moderni, i quali son pure tanto più coltidegli antichi, non hanno però ancor rinunciato al natiodiritto di vendere fole, perchè vorrem noi che del dirittomedesimo non godesse ancora il nostro Marco? Appenaè possibile a un viaggiatore l'osservare, l'esaminare,l'accertare ogni cosa. Spesso non può guardare un og-getto che alla sfuggita; e ancorchè il rimiri con attenzio-ne, spesso non può farne prontamente in iscritto la de-scrizione. Ciò non ostante ei vuol comparire esatto; eparla perciò di ogni cosa minutamente; e a ciò ch'eglinon ha potuto o diligentemente osservare, o ritener fe-delmente, supplisce colla sua fantasia. Io dunque non mifarò a difendere Marco Polo in tutto ciò ch'egli racconta;anzi concederò senza pena che molte cose egli abbiaesagerate, o fors'anche finte a capriccio. Ma non temeròancor di affermare che gli errori de' quali egli possa es-sere a ragione accusato, non son poi tanti, quanti da al-cuni si crede. Coloro a' quali le relazioni di Marco sem-brano piene di falsità e d'imposture, misurano spesso itempi antichi da' nostri; e perchè ne' paesi, de' quali egliragiona, non trovasi ora ciò ch'egli afferma d'avervi tro-vato, gridan tosto all'errore. Ma egli è certo che ben di-versa era la condizione di quelle provincie a' tempi dicui ragiona il Polo, da quella ch'è il presente. Anzi av-viene non rare volte, che con più diligenti ricerche sivenga a scoprire che la cosa è veramente, come da lui si

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trova descritta. Quindi a ragione afferma l'eruditiss. Fo-scarini (Letterat. venez. p. 414) che "avendo i libri di luiincontrate innumerabili censure... dopo avutesi più certenotizie della China e dell'Indie ne fu assolto dal consen-so de' dotti". E similmente l'esattissimo Zeno (Bibl. t. 1,p. 273 nota): "Gli ultimi viaggiatori gli hanno rendutapiena giustizia, e i suoi racconti non sono più favolosi,dice il Colomesio, dappoichè le nuove relazioni hanconfermata quella di lui. Nessuno però lo stabilì in con-cetto di sincero e veridico, quanto la comparsa del Viag-gio anteriore di più secoli al suo fatto da due Maometta-ni, e pubblicato in Parigi dall'ab. Eusebio Renaudot conbellissimi riscontri di questi con quello inseriti nelle benragionate sue Annotazioni a quel Viaggio". E perchènon credasi che gl'Italiani a scriver così siansi indottidall'amor della patria, recherò qui ancora il sentimentodegli eruditi Inglesi autori della Storia Universale. "Sitrovano in quest'opera, dicono essi (t. 21, p. 4), moltecose straordinarie ed anche false, ch'ei riferiscesull'altrui relazione; ma ciò ch'ei dice per sua propriasperienza, è curioso del pari che esatto. Egli non solo hafatto conoscer meglio la Cina, che non si facesse in ad-dietro, ma ha data ancora la descrizione del Giappone,di molte isole dell'Indie orientali, del Madagascar, e del-le coste d'Africa, talchè poteasi raccogliere dalle sueopere, che il passaggio diretto all'Indie pel mare era nonsol possibile, ma praticabile". E poco appresso, dopoaver detto che molte cose da lui e da altri antichi viag-giatori riferite credeansi false, soggiungono (p. 5 nota):

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trova descritta. Quindi a ragione afferma l'eruditiss. Fo-scarini (Letterat. venez. p. 414) che "avendo i libri di luiincontrate innumerabili censure... dopo avutesi più certenotizie della China e dell'Indie ne fu assolto dal consen-so de' dotti". E similmente l'esattissimo Zeno (Bibl. t. 1,p. 273 nota): "Gli ultimi viaggiatori gli hanno rendutapiena giustizia, e i suoi racconti non sono più favolosi,dice il Colomesio, dappoichè le nuove relazioni hanconfermata quella di lui. Nessuno però lo stabilì in con-cetto di sincero e veridico, quanto la comparsa del Viag-gio anteriore di più secoli al suo fatto da due Maometta-ni, e pubblicato in Parigi dall'ab. Eusebio Renaudot conbellissimi riscontri di questi con quello inseriti nelle benragionate sue Annotazioni a quel Viaggio". E perchènon credasi che gl'Italiani a scriver così siansi indottidall'amor della patria, recherò qui ancora il sentimentodegli eruditi Inglesi autori della Storia Universale. "Sitrovano in quest'opera, dicono essi (t. 21, p. 4), moltecose straordinarie ed anche false, ch'ei riferiscesull'altrui relazione; ma ciò ch'ei dice per sua propriasperienza, è curioso del pari che esatto. Egli non solo hafatto conoscer meglio la Cina, che non si facesse in ad-dietro, ma ha data ancora la descrizione del Giappone,di molte isole dell'Indie orientali, del Madagascar, e del-le coste d'Africa, talchè poteasi raccogliere dalle sueopere, che il passaggio diretto all'Indie pel mare era nonsol possibile, ma praticabile". E poco appresso, dopoaver detto che molte cose da lui e da altri antichi viag-giatori riferite credeansi false, soggiungono (p. 5 nota):

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"ma quelli che poscia hanno esaminate più da vicino lastoria, le scienze, la geografia di que' paesi, hanno rico-nosciuto che vi era del vero in molte cose da questiviaggiatori narrate, le quali prima sembravano incredibi-li".

XI. Sarebbe impresa da non uscirne giam-mai l'accingersi a esaminare tutte le accuseche da molti si danno alle relazioni di Mar-co Polo. Gioverà nondimeno l'averne unsaggio, perchè si vegga che spesso autorianche dottissimi troppo facilmente accusanaltri di negligenza e di errore. Io scelgo per-

ciò la critica che ne han fatta i moderni inglesi autoridella Storia de' Viaggi. Convien confessare, dicono essi(Hist. des Voyag. t. 27, p. 13, ec.) "che le relazioni diMarco Polo son piene di errori". Veggiam quai siano iprincipali. "I nomi sono scritti con sì poca esattezza, chespesso non si può sapere a quai luoghi appartengano;difficoltà che spesso si accresce dall'affettazione ch'egliusa di dare i nomi mogolici alle provincie e alle cittàdella Cina". Se noi avessimo l'originale di Marco, po-tremmo accertare com'egli avesse segnati i nomi dellecittà e delle provincie. Ma noi veggiamo la grandissimadiversità che passa tra i diversi esemplari e manoscritti estampati che abbiam di quest'opera; e veggiamo quantoessi sono stati guasti dall'ignoranza de' copiatori. Perchèdunque attribuire a Marco un difetto di cui probabilmen-

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Risposta alle accuse che da al-cuni si dan-no alle Re-lazioni del Polo.

"ma quelli che poscia hanno esaminate più da vicino lastoria, le scienze, la geografia di que' paesi, hanno rico-nosciuto che vi era del vero in molte cose da questiviaggiatori narrate, le quali prima sembravano incredibi-li".

XI. Sarebbe impresa da non uscirne giam-mai l'accingersi a esaminare tutte le accuseche da molti si danno alle relazioni di Mar-co Polo. Gioverà nondimeno l'averne unsaggio, perchè si vegga che spesso autorianche dottissimi troppo facilmente accusanaltri di negligenza e di errore. Io scelgo per-

ciò la critica che ne han fatta i moderni inglesi autoridella Storia de' Viaggi. Convien confessare, dicono essi(Hist. des Voyag. t. 27, p. 13, ec.) "che le relazioni diMarco Polo son piene di errori". Veggiam quai siano iprincipali. "I nomi sono scritti con sì poca esattezza, chespesso non si può sapere a quai luoghi appartengano;difficoltà che spesso si accresce dall'affettazione ch'egliusa di dare i nomi mogolici alle provincie e alle cittàdella Cina". Se noi avessimo l'originale di Marco, po-tremmo accertare com'egli avesse segnati i nomi dellecittà e delle provincie. Ma noi veggiamo la grandissimadiversità che passa tra i diversi esemplari e manoscritti estampati che abbiam di quest'opera; e veggiamo quantoessi sono stati guasti dall'ignoranza de' copiatori. Perchèdunque attribuire a Marco un difetto di cui probabilmen-

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Risposta alle accuse che da al-cuni si dan-no alle Re-lazioni del Polo.

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te ei non è punto colpevole? Che s'egli adopra le vocimogoliche a spiegar le città e le provincie cinesi, checolpa ne ha egli, il qual verisimilmente non sapea la lin-gua cinese, e usava di que' nomi che udiva usarsi daquelli con cui trattava? Innoltre i detti autori il riprendo-no perchè non ha segnata la latitudine de' luoghi (13).Questo vuol dire che il nostro Marco non era nè astrono-mo nè geometra; e io non veggo perchè debba a lui farsidelitto di cosa ch` era allora comune a quasi tutti gli uo-mini. Quante altre relazioni hanno essi inserite nella lorRaccolta de' Viaggi, che hanno questo difetto medesi-mo, nè essi perciò le han creduti inutili? Passano quindia darci un saggio delle favole e degli errori di cui Marcoha ingombrati i suoi Viaggi; e il primo si è ciò ch'ei nar-ra avvenuto ne' funerali di Mangu-Khan, cioè che se-condo il costume che aveano i Tartari di trucidar coloroche incontravan per via, quando portavano a seppelliresul monte Alchai i cadaveri de' loro monarchi, furono inquella occasion trucidati ventimila uomini. Al che essioppongono la rarità degli abitanti della Tartaria, ove di-cono, si potrebbe viaggiare tre settimane senza incon-trare la decima parte di ventimila uomini. Ma chi assi-cura questi dotti scrittori, che Marco abbia scritto venti-mila? Così veramente si legge nell'edizion del Grineo, e

13 Io non so intendere come il sig. Landi nel suo compendio della mia Storiapossa rimproverarmi (t. 2, p. 333) di aver omesse le obbiezioni che si fan-no a Marco Polo, cioè di non aver segnata la latitudin dei luoghi, il che ioho qui osservato espressamente, di aver nominati i paesi di Og e Magog, edi aver creduto alla magia de' Tartari, delle quali cose ho pur fatto cennopoco appresso.

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te ei non è punto colpevole? Che s'egli adopra le vocimogoliche a spiegar le città e le provincie cinesi, checolpa ne ha egli, il qual verisimilmente non sapea la lin-gua cinese, e usava di que' nomi che udiva usarsi daquelli con cui trattava? Innoltre i detti autori il riprendo-no perchè non ha segnata la latitudine de' luoghi (13).Questo vuol dire che il nostro Marco non era nè astrono-mo nè geometra; e io non veggo perchè debba a lui farsidelitto di cosa ch` era allora comune a quasi tutti gli uo-mini. Quante altre relazioni hanno essi inserite nella lorRaccolta de' Viaggi, che hanno questo difetto medesi-mo, nè essi perciò le han creduti inutili? Passano quindia darci un saggio delle favole e degli errori di cui Marcoha ingombrati i suoi Viaggi; e il primo si è ciò ch'ei nar-ra avvenuto ne' funerali di Mangu-Khan, cioè che se-condo il costume che aveano i Tartari di trucidar coloroche incontravan per via, quando portavano a seppelliresul monte Alchai i cadaveri de' loro monarchi, furono inquella occasion trucidati ventimila uomini. Al che essioppongono la rarità degli abitanti della Tartaria, ove di-cono, si potrebbe viaggiare tre settimane senza incon-trare la decima parte di ventimila uomini. Ma chi assi-cura questi dotti scrittori, che Marco abbia scritto venti-mila? Così veramente si legge nell'edizion del Grineo, e

13 Io non so intendere come il sig. Landi nel suo compendio della mia Storiapossa rimproverarmi (t. 2, p. 333) di aver omesse le obbiezioni che si fan-no a Marco Polo, cioè di non aver segnata la latitudin dei luoghi, il che ioho qui osservato espressamente, di aver nominati i paesi di Og e Magog, edi aver creduto alla magia de' Tartari, delle quali cose ho pur fatto cennopoco appresso.

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nel codice estense; ma nell'edizion del Ramusio si leggediecimila (l. 1, c. 44). Ed ecco già il numero diminuitodella metà. E forse il Polo scrisse anche meno. Ma dia-mo ancora ch'egli scrivesse diecimila. Se i suddetti scrit-tori avessero riflettuto che Mangu-Khan morì non giànella Tartaria, ma nella Cina, la quale ognun sa quantosia e fosse anche allor popolata; se avessero riflettutoche morì ucciso nell'assalto dato a una piazza (Hist.Univers. t. 17, p. 440), e che perciò i suoi soldati doveanessere accesi d'un fiero sdegno contro i Cinesi; se aves-sero riflettuto per ultimo al lungo viaggio che convenivalor fare, per recare al consueto sepolcro il lor monarca,non avrebber forse creduto favoloso il racconto di Mar-co Polo. Lasciamo alcune altre cose di niun conto,ch'essi riprendono in Marco, come il nominarsi da lui ipaesi di Og e Magog, i quali per altro anche dagli storiciinglesi sono stati situati nella Tartaria (ib. p. 13), e i pro-digi magici ch'ei narra seguir talvolta alla tavola delKan, i quali però egli non dice di aver veduti, come as-seriscono i raccoglitori de' Viaggi, per quanto pare,sull'altrui relazione; ed altre simili minutezze non degnedi essere esaminate. Lasciam, dico, da parte cotali ine-zie, e vegniamo a più gravi accuse.

XII. Marco Polo, dicono i medesimiautori, tra gl'infiniti errori di cui haempito il suo libro, afferma ancora cheGencis-Kan era re de' Tartari, e tribu-

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Altre accuse, e ri-sposta alle mede-sime.

nel codice estense; ma nell'edizion del Ramusio si leggediecimila (l. 1, c. 44). Ed ecco già il numero diminuitodella metà. E forse il Polo scrisse anche meno. Ma dia-mo ancora ch'egli scrivesse diecimila. Se i suddetti scrit-tori avessero riflettuto che Mangu-Khan morì non giànella Tartaria, ma nella Cina, la quale ognun sa quantosia e fosse anche allor popolata; se avessero riflettutoche morì ucciso nell'assalto dato a una piazza (Hist.Univers. t. 17, p. 440), e che perciò i suoi soldati doveanessere accesi d'un fiero sdegno contro i Cinesi; se aves-sero riflettuto per ultimo al lungo viaggio che convenivalor fare, per recare al consueto sepolcro il lor monarca,non avrebber forse creduto favoloso il racconto di Mar-co Polo. Lasciamo alcune altre cose di niun conto,ch'essi riprendono in Marco, come il nominarsi da lui ipaesi di Og e Magog, i quali per altro anche dagli storiciinglesi sono stati situati nella Tartaria (ib. p. 13), e i pro-digi magici ch'ei narra seguir talvolta alla tavola delKan, i quali però egli non dice di aver veduti, come as-seriscono i raccoglitori de' Viaggi, per quanto pare,sull'altrui relazione; ed altre simili minutezze non degnedi essere esaminate. Lasciam, dico, da parte cotali ine-zie, e vegniamo a più gravi accuse.

XII. Marco Polo, dicono i medesimiautori, tra gl'infiniti errori di cui haempito il suo libro, afferma ancora cheGencis-Kan era re de' Tartari, e tribu-

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Altre accuse, e ri-sposta alle mede-sime.

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tario di Ung-Kan ossia del Prete-Gianni. Se tutti gli er-rori di Marco sono somiglianti a questo, non vi ebbemai scrittore più di lui veritiero. Non era egli forse Gen-cis-Kan principe de' Mogoli? E questo tratto di paesenon comprendevasi egli nella Tartaria? Leggasi la de-scrizione di quel vasto impero fatta dagli autori dellaStoria Universale (ib. p. 229), e vedrassi che i Tartarioccidentali chiamansi indifferentemente Tartari e Mogo-li. Leggasi la medesima Storia (ib. p. 288), e vedrassiche Gencis-Kan unitosi cogli altri Kan de Mogoli, ricu-sò di pagare il consueto tribuno a Vang-Kan ch'è appun-to l'Ung-Kan di Marco Polo, e ch'è quel desso che fu inquel secolo conosciuto sotto il nome di Prete-Gianni (ib.p. 278). Che vi ha dunque di falso in queste parole delnostro scrittore? E come mai i suddetti scrittori han po-tuto così di leggieri accusarli di errore? Più ragionevolesembrar potrebbe il rimprovero ch'essi fanno a Marco,di aver errato nella serie de' successori di Gencis-Kan,perciocchè Marco nomina Kui, Barkim, Allau, Mangu,e Kublay; e le Storie più esatte nominano Oktay, Kayuk,Mangu, e Kublay. Ma in primo luogo chi può accertarecome siano stati da Marco scritti que' nomi, e quanto gliabbiano contraffatti i copisti? In fatti nell'edizione delRamusio si leggono diversamente i nomi de' primi tresuccessori di Gencis-Kan, e diconsi Cyn, Banthyn, edEsu. Innoltre veggiam sovente che i gran Signori de'Tartari aveano diversi nomi presso le diverse nazioni acui comandavano. Così Cayuk dicevasi ancora Quey-yeu (ib. p. 428) e Kublay dicevasi ancora Hu-pi-lay (ib.

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tario di Ung-Kan ossia del Prete-Gianni. Se tutti gli er-rori di Marco sono somiglianti a questo, non vi ebbemai scrittore più di lui veritiero. Non era egli forse Gen-cis-Kan principe de' Mogoli? E questo tratto di paesenon comprendevasi egli nella Tartaria? Leggasi la de-scrizione di quel vasto impero fatta dagli autori dellaStoria Universale (ib. p. 229), e vedrassi che i Tartarioccidentali chiamansi indifferentemente Tartari e Mogo-li. Leggasi la medesima Storia (ib. p. 288), e vedrassiche Gencis-Kan unitosi cogli altri Kan de Mogoli, ricu-sò di pagare il consueto tribuno a Vang-Kan ch'è appun-to l'Ung-Kan di Marco Polo, e ch'è quel desso che fu inquel secolo conosciuto sotto il nome di Prete-Gianni (ib.p. 278). Che vi ha dunque di falso in queste parole delnostro scrittore? E come mai i suddetti scrittori han po-tuto così di leggieri accusarli di errore? Più ragionevolesembrar potrebbe il rimprovero ch'essi fanno a Marco,di aver errato nella serie de' successori di Gencis-Kan,perciocchè Marco nomina Kui, Barkim, Allau, Mangu,e Kublay; e le Storie più esatte nominano Oktay, Kayuk,Mangu, e Kublay. Ma in primo luogo chi può accertarecome siano stati da Marco scritti que' nomi, e quanto gliabbiano contraffatti i copisti? In fatti nell'edizione delRamusio si leggono diversamente i nomi de' primi tresuccessori di Gencis-Kan, e diconsi Cyn, Banthyn, edEsu. Innoltre veggiam sovente che i gran Signori de'Tartari aveano diversi nomi presso le diverse nazioni acui comandavano. Così Cayuk dicevasi ancora Quey-yeu (ib. p. 428) e Kublay dicevasi ancora Hu-pi-lay (ib.

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p. 441), e Timur di lui nipote avea anche il nome diChingison (ib. p. 499); e similmente più altri. Comepossiamo noi dunque dal vedere nominati diversamentei primi successori di Gencis-Kan inferire che MarcoPolo abbia in ciò preso errore? Ma frattanto, mentovatiscrittori da questi pretesi abbagli del nostro viaggiatoretraggono una conseguenza con cui per poco non cel rap-presentano come un solenne impostore, cioè ch'egli nonsia mai entrato nè nella Tartaria, nè nella Cina, nè nelKatay. Noi abbiam dimostrato ch'essi non sono statitroppo felici nell'accusar Marco Polo. Se dunque nonson provate le accuse con cui essi han cercato di mo-strarlo scrittore infedele e mal istruito, cade per se me-desima a terra la conseguenza che ne deducono. Macom'è possibile dicono essi, e con quest'ultimo argo-mento conchiudono la lor accusa contro di Marco Polo,com'è possibile che, s'ei fu alla Cina, non vedesse lagran muraglia famosa di divisione tra quell'impero e laTartaria, e non ne facesse parola nelle sue relazioni? Ionon mi farò a cercare per qual parte vi entrasse il Polo,benchè forse al cercarne con diligenza si rinverrebbeche gli scrittori inglesi non provano abbastanza che einon vi potesse entrar che per la gran muraglia. Ma senzaciò, egli è pur certo che Marco ci parla assai della Cina.Dunque s'ei non la vide, ne cercò almeno o da' libri, oda quelli che vi avean viaggiato. Or com'è possibile,dirò io ancora, che in niun libro, ei trovasse menzionedella prodigiosa muraglia, o che niuno gliene parlasse?com'è possibile che avendo sapute tante altre più minute

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p. 441), e Timur di lui nipote avea anche il nome diChingison (ib. p. 499); e similmente più altri. Comepossiamo noi dunque dal vedere nominati diversamentei primi successori di Gencis-Kan inferire che MarcoPolo abbia in ciò preso errore? Ma frattanto, mentovatiscrittori da questi pretesi abbagli del nostro viaggiatoretraggono una conseguenza con cui per poco non cel rap-presentano come un solenne impostore, cioè ch'egli nonsia mai entrato nè nella Tartaria, nè nella Cina, nè nelKatay. Noi abbiam dimostrato ch'essi non sono statitroppo felici nell'accusar Marco Polo. Se dunque nonson provate le accuse con cui essi han cercato di mo-strarlo scrittore infedele e mal istruito, cade per se me-desima a terra la conseguenza che ne deducono. Macom'è possibile dicono essi, e con quest'ultimo argo-mento conchiudono la lor accusa contro di Marco Polo,com'è possibile che, s'ei fu alla Cina, non vedesse lagran muraglia famosa di divisione tra quell'impero e laTartaria, e non ne facesse parola nelle sue relazioni? Ionon mi farò a cercare per qual parte vi entrasse il Polo,benchè forse al cercarne con diligenza si rinverrebbeche gli scrittori inglesi non provano abbastanza che einon vi potesse entrar che per la gran muraglia. Ma senzaciò, egli è pur certo che Marco ci parla assai della Cina.Dunque s'ei non la vide, ne cercò almeno o da' libri, oda quelli che vi avean viaggiato. Or com'è possibile,dirò io ancora, che in niun libro, ei trovasse menzionedella prodigiosa muraglia, o che niuno gliene parlasse?com'è possibile che avendo sapute tante altre più minute

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cose di questo impero, di questa ch'è una delle più am-mirabili, non abbia saputo nulla? Trovino i censori delPolo un'opportuna ragione a spiegare come mai egli,avendo per relazione intese tante altre cose della Cina,abbia ignorata questa; ed essi vedranno che questa stes-sa ragione gioverà forse a spiegare come avendovi egliviaggiato, non ne abbia fatta parola. In somma il silen-zio di Marco Polo intorno alla famosa muraglia è miste-rioso ugualmente, o egli abbia veduta la Cina co' suoiproprj occhi, o l'abbia veduta solo cogli occhi altrui. Ecome esso non basta a negare ch'egli non abbia avuta re-lazione e notizia dello stato di quell'impero, così non ba-sta a negare che egli non v'abbia viaggiato. E chi sa an-cora se ci sia giunta intera l'opera, qual fu da lui scritta,o se qualche parte non se ne sia smarrita?

XIII. Abbiam finora esaminati i rimproveriche gli autori della Raccolta de' Viaggi hanfatti al nostro veneto viaggiatore; non giàper provare che le sue relazioni non conten-gano fole ed errori; ma per mostrare che

non son sì spregevoli, come altri ha creduto. Per altrogià abbiam confessato noi pure, che molte cose false emolte ridicole egli ha inserite ne' suoi Viaggi, o perchèda lui non esaminate abbastanza, o perchè troppo facil-mente credute. Ma ciò non ostante non può negarsi cheil viaggio de' tre Veneziani non abbia recato grandissimogiovamento, e che la loro impresa non debba conside-

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Elogi fatti alle Rela-zioni di Marco.

cose di questo impero, di questa ch'è una delle più am-mirabili, non abbia saputo nulla? Trovino i censori delPolo un'opportuna ragione a spiegare come mai egli,avendo per relazione intese tante altre cose della Cina,abbia ignorata questa; ed essi vedranno che questa stes-sa ragione gioverà forse a spiegare come avendovi egliviaggiato, non ne abbia fatta parola. In somma il silen-zio di Marco Polo intorno alla famosa muraglia è miste-rioso ugualmente, o egli abbia veduta la Cina co' suoiproprj occhi, o l'abbia veduta solo cogli occhi altrui. Ecome esso non basta a negare ch'egli non abbia avuta re-lazione e notizia dello stato di quell'impero, così non ba-sta a negare che egli non v'abbia viaggiato. E chi sa an-cora se ci sia giunta intera l'opera, qual fu da lui scritta,o se qualche parte non se ne sia smarrita?

XIII. Abbiam finora esaminati i rimproveriche gli autori della Raccolta de' Viaggi hanfatti al nostro veneto viaggiatore; non giàper provare che le sue relazioni non conten-gano fole ed errori; ma per mostrare che

non son sì spregevoli, come altri ha creduto. Per altrogià abbiam confessato noi pure, che molte cose false emolte ridicole egli ha inserite ne' suoi Viaggi, o perchèda lui non esaminate abbastanza, o perchè troppo facil-mente credute. Ma ciò non ostante non può negarsi cheil viaggio de' tre Veneziani non abbia recato grandissimogiovamento, e che la loro impresa non debba conside-

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Elogi fatti alle Rela-zioni di Marco.

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rarsi come una delle più ardite e delle più vantaggiose.Nè mi farò io qui a ripetere gli elogi, di cui molti scritto-ri hanno onorato Marco, che potrebbon forse sembrardettati da una troppo credula ammirazione. Sol tra gliantichi nominerò il celebre Pietro d'Abano, che gli fucoetaneo, e che ebbe occasione di favellargli. Egli narraalcune cose che da lui gli furono raccontate, e così dicedi Marco: De ipsa quoque cum aliis retulit mihi MarcusVenetus omnium, quos unquam scitum, orbis major cir-cuitor, et diligens indagator (Conciliat. diss. 67). Ma la-sciando cotali encomj, io recherò qui il sentimento deipiù volte mentovati raccoglitori de' Viaggi, i quali nonessendo certo troppo favorevoli al Polo non possonoaversi in conto di sospetti, o di pregiudicati (l. c. p. 11,ec.). "Il Rubruquis (viaggiator francese che alcuni anniprima dei Poli corse la Tartaria), e il Polo sono i più ce-lebri tra gli antichi nostri viaggiatori nella Tartaria. Lelor relazioni hanno infinitamente giovato alla geografia,perchè uno ci ha fatto conoscere le parti settentrionalidella Tartaria, l'altro le meridionali. Il Rubruquis vi haaggiunte notizie esatte intorno a' costumi de' Mogoli.Ma egli non viaggiò fuorchè per deserti. Il Polo al con-trario traversò provincie fertili e popolose. Il Rubruquisnon passò oltre a Karakarum. Il Polo per vie diverses'avanzò fino all'estremità orientale del continente. Eidescrive con ordine le provincie e le città della piccolaTartaria, del Tangut, del Katay, e de' paesi vicini allaTartaria; l'altro non ce ne dà che idee imperfette e confu-se. Il Polo non si ferma nel continente. Entra nell'oceano

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rarsi come una delle più ardite e delle più vantaggiose.Nè mi farò io qui a ripetere gli elogi, di cui molti scritto-ri hanno onorato Marco, che potrebbon forse sembrardettati da una troppo credula ammirazione. Sol tra gliantichi nominerò il celebre Pietro d'Abano, che gli fucoetaneo, e che ebbe occasione di favellargli. Egli narraalcune cose che da lui gli furono raccontate, e così dicedi Marco: De ipsa quoque cum aliis retulit mihi MarcusVenetus omnium, quos unquam scitum, orbis major cir-cuitor, et diligens indagator (Conciliat. diss. 67). Ma la-sciando cotali encomj, io recherò qui il sentimento deipiù volte mentovati raccoglitori de' Viaggi, i quali nonessendo certo troppo favorevoli al Polo non possonoaversi in conto di sospetti, o di pregiudicati (l. c. p. 11,ec.). "Il Rubruquis (viaggiator francese che alcuni anniprima dei Poli corse la Tartaria), e il Polo sono i più ce-lebri tra gli antichi nostri viaggiatori nella Tartaria. Lelor relazioni hanno infinitamente giovato alla geografia,perchè uno ci ha fatto conoscere le parti settentrionalidella Tartaria, l'altro le meridionali. Il Rubruquis vi haaggiunte notizie esatte intorno a' costumi de' Mogoli.Ma egli non viaggiò fuorchè per deserti. Il Polo al con-trario traversò provincie fertili e popolose. Il Rubruquisnon passò oltre a Karakarum. Il Polo per vie diverses'avanzò fino all'estremità orientale del continente. Eidescrive con ordine le provincie e le città della piccolaTartaria, del Tangut, del Katay, e de' paesi vicini allaTartaria; l'altro non ce ne dà che idee imperfette e confu-se. Il Polo non si ferma nel continente. Entra nell'oceano

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orientale e naviga intorno all'Indie, viaggio, di cui nonv'ha esempio tra' Greci e tra' Romani antichi. Scende interra, continua il suo viaggio intorno alla Persia e allaTurchia. Alle cose da lui vedute aggiugne le apprese peraltrui relazione. Finalmente ci riporta alla patria infinitilumi su tutte le contrade marittime dell'Asia e dell'Afri-ca, dal Giappone all'Occidente fino al Capo di BuonaSperanza". Quindi prosieguono a dire ciò che narra ilRamusio, che a' suoi tempi serbavasi ancora in Venezianel monastero di s. Michele di Murano una Carta geo-grafica disegnata e delineata dallo stesso Marco, in cuivedeasi espresso il Capo che fu poi detto di Buona Spe-ranza, e l'isola di Madagascar e che da ciò si raccoglieche i Portoghesi nelle prime loro spedizioni non iscopri-rono che una parte de' paesi scoperti due secoli prima daMarco, e che anzi egli servì loro di guida. "Solo al prin-cipio del XVII secolo, conchiudono essi, cominciaronogli Europei a seguir le tracce del Polo nella Tartaria, maa passi sì lenti, che dopo il viaggio di esso fino a quellidegli ultimi missionarj gesuiti appena aveano visitata laterza parte de' paesi da lui descritti". Così per confessio-ne ancora di chi rimira i Viaggi di Marco Polo comepieni di favole e in gran parte finti a capriccio, questonostro Italiano co' suoi due compagni furono i primi apenetrare in quelle sconosciute provincie, e a segnare ilsentiero che più secoli dopo dovea battersi da altri. Iodebbo qui avvertire che la Carta geografica dal Ramusioattribuita a Marco Polo è opera non già di Marco, ma diun monaco camaldolese del monastero medesimo, detto

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orientale e naviga intorno all'Indie, viaggio, di cui nonv'ha esempio tra' Greci e tra' Romani antichi. Scende interra, continua il suo viaggio intorno alla Persia e allaTurchia. Alle cose da lui vedute aggiugne le apprese peraltrui relazione. Finalmente ci riporta alla patria infinitilumi su tutte le contrade marittime dell'Asia e dell'Afri-ca, dal Giappone all'Occidente fino al Capo di BuonaSperanza". Quindi prosieguono a dire ciò che narra ilRamusio, che a' suoi tempi serbavasi ancora in Venezianel monastero di s. Michele di Murano una Carta geo-grafica disegnata e delineata dallo stesso Marco, in cuivedeasi espresso il Capo che fu poi detto di Buona Spe-ranza, e l'isola di Madagascar e che da ciò si raccoglieche i Portoghesi nelle prime loro spedizioni non iscopri-rono che una parte de' paesi scoperti due secoli prima daMarco, e che anzi egli servì loro di guida. "Solo al prin-cipio del XVII secolo, conchiudono essi, cominciaronogli Europei a seguir le tracce del Polo nella Tartaria, maa passi sì lenti, che dopo il viaggio di esso fino a quellidegli ultimi missionarj gesuiti appena aveano visitata laterza parte de' paesi da lui descritti". Così per confessio-ne ancora di chi rimira i Viaggi di Marco Polo comepieni di favole e in gran parte finti a capriccio, questonostro Italiano co' suoi due compagni furono i primi apenetrare in quelle sconosciute provincie, e a segnare ilsentiero che più secoli dopo dovea battersi da altri. Iodebbo qui avvertire che la Carta geografica dal Ramusioattribuita a Marco Polo è opera non già di Marco, ma diun monaco camaldolese del monastero medesimo, detto

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Mauro, come prova in una sua dissertazione il ch. p. d.Abondio Collina dello stesso Ordine (Comm. Acad. Bo-non. 2, pars 3, p. 378), e di cui pure diremo altrove.

XIV. Assai men celebre nelle Storie è unaltro viaggiator italiano di questo secolo,perchè la Relazion da lui scritta non è maistata data alle stampe. Fu questi Ricoldo

detto da Montecroce dell'Ord. de' Predicatori, e fiorenti-no di patria, il quale avendo viaggiato gran partedell'Asia per condurre alla Religion cristiana i Saracini,scrisse la descrizion de' paesi da lui veduti, de' lor costu-mi, e delle sette da essi seguite, e morì poscia in Firenzenel convento di S. Maria Novella l'an. 1309. I pp. Quetifed Echard dicono (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 504) dinon aver veduto alcun codice di tal descrizione in lingualatina, in cui la scrisse Ricoldo, ma solo una traduzionemanoscritta in francese dell'an. 1351, di cui dan qualchesaggio. Un codice nell'original lingua latina se ne con-serva nella biblioteca del capitolo di Magonza, da cui ilGudeno (Sylloge Monum. p. 383) ne ha pubblicata laprefazione e il principio. Questo sembra anzi prometter-ci una descrizione ascetica che erudita. Nondimeno è acredere che vi siano sparse per entro quelle notizie an-cora che possono giovare alla storia; e così in fatti si af-ferma nella prefazione premessa alla traduzion francese.Nè vuolsi tacere che nella sua prefazione Ricoldo narradi avere, essendo ancor secolare, viaggiato assai in lon-

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Viaggi di Ri-coldo de Mon-tecroce.

Mauro, come prova in una sua dissertazione il ch. p. d.Abondio Collina dello stesso Ordine (Comm. Acad. Bo-non. 2, pars 3, p. 378), e di cui pure diremo altrove.

XIV. Assai men celebre nelle Storie è unaltro viaggiator italiano di questo secolo,perchè la Relazion da lui scritta non è maistata data alle stampe. Fu questi Ricoldo

detto da Montecroce dell'Ord. de' Predicatori, e fiorenti-no di patria, il quale avendo viaggiato gran partedell'Asia per condurre alla Religion cristiana i Saracini,scrisse la descrizion de' paesi da lui veduti, de' lor costu-mi, e delle sette da essi seguite, e morì poscia in Firenzenel convento di S. Maria Novella l'an. 1309. I pp. Quetifed Echard dicono (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 504) dinon aver veduto alcun codice di tal descrizione in lingualatina, in cui la scrisse Ricoldo, ma solo una traduzionemanoscritta in francese dell'an. 1351, di cui dan qualchesaggio. Un codice nell'original lingua latina se ne con-serva nella biblioteca del capitolo di Magonza, da cui ilGudeno (Sylloge Monum. p. 383) ne ha pubblicata laprefazione e il principio. Questo sembra anzi prometter-ci una descrizione ascetica che erudita. Nondimeno è acredere che vi siano sparse per entro quelle notizie an-cora che possono giovare alla storia; e così in fatti si af-ferma nella prefazione premessa alla traduzion francese.Nè vuolsi tacere che nella sua prefazione Ricoldo narradi avere, essendo ancor secolare, viaggiato assai in lon-

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Viaggi di Ri-coldo de Mon-tecroce.

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tane provincie per motivo di erudizione: maxime cum inmente mea revolverim, quas longas et laboriosas pere-grinationes assumpseram, adhuc secularis existens, utaddiscerem illas seculares scientias, quas liberales ap-pellant. Di lui abbiamo alle stampe una breve confuta-zione dell'Alcorano, intorno alla quale e ad altre coseche a questo viaggiatore appartengono, veggansi i sud-detti pp. Quetif ed Echard.

XV. A questi viaggiatori italiani io debboper ultimo aggiungere un ardito, benchèinfelice, tentativo fatto in questo secolostesso da' Genovesi per trovare la via ma-rittima alle Indie orientali, che fu poi sco-perta due secoli dopo dai Portoghesi. Diquesto memorabil fatto niuno, ch'io sappia,ha parlato de' moderni scrittori de' Viaggi e

delle Navigazioni. Ne troviamo però memoria nelle sto-rie genovesi del Foglietta, il quale all'an. 1292 narra untal fatto, e nomina i due magnanimi capitani che a ciò siaccinsero, cioè Thedisio Doria e Ugolino Vivaldi. "Tedi-sius Auria et Ugolinus Vivaldus duabus triremibus pri-vatim comparatis, et instructis... aggressi sunt mariti-mam viam ad eum diem orbis ignotam ad Indiam pate-faciendi, fretumque Herculeum egressi cursum in Occi-dentem direxerunt quorum hominum... qut fuerint casus,nulla ad nos unquam fama pervenit" (Hist. Genuens. l.5). Il veder narrata una sì ardita impresa sol dal Fogliet-

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Tentativo de' Genovesi per trovar la via per mare alle Indie orienta-li: scoperta delle Canarie.

tane provincie per motivo di erudizione: maxime cum inmente mea revolverim, quas longas et laboriosas pere-grinationes assumpseram, adhuc secularis existens, utaddiscerem illas seculares scientias, quas liberales ap-pellant. Di lui abbiamo alle stampe una breve confuta-zione dell'Alcorano, intorno alla quale e ad altre coseche a questo viaggiatore appartengono, veggansi i sud-detti pp. Quetif ed Echard.

XV. A questi viaggiatori italiani io debboper ultimo aggiungere un ardito, benchèinfelice, tentativo fatto in questo secolostesso da' Genovesi per trovare la via ma-rittima alle Indie orientali, che fu poi sco-perta due secoli dopo dai Portoghesi. Diquesto memorabil fatto niuno, ch'io sappia,ha parlato de' moderni scrittori de' Viaggi e

delle Navigazioni. Ne troviamo però memoria nelle sto-rie genovesi del Foglietta, il quale all'an. 1292 narra untal fatto, e nomina i due magnanimi capitani che a ciò siaccinsero, cioè Thedisio Doria e Ugolino Vivaldi. "Tedi-sius Auria et Ugolinus Vivaldus duabus triremibus pri-vatim comparatis, et instructis... aggressi sunt mariti-mam viam ad eum diem orbis ignotam ad Indiam pate-faciendi, fretumque Herculeum egressi cursum in Occi-dentem direxerunt quorum hominum... qut fuerint casus,nulla ad nos unquam fama pervenit" (Hist. Genuens. l.5). Il veder narrata una sì ardita impresa sol dal Fogliet-

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Tentativo de' Genovesi per trovar la via per mare alle Indie orienta-li: scoperta delle Canarie.

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ta, e taciuta nelle antiche Cronache genovesi, mi avreb-be forse tenuto alquanto dubbioso e sospeso. Ma fortu-natamente mi è riuscito di trovarne memoria presso unoscrittore contemporaneo: e io debbo questa scoperta allasofferenza che ho avuta di scorrer tutta l'opera di Pietroda Abano, intitolata il Conciliatore, per trarne quelle no-tizie storiche che mi avvenisse di rinvenirvi. Ei dunqueparlando di que' paesi dice che circa trent'anni innanzi(egli scriveva al principio del secolo seguente) i Geno-vesi; apparecchiate e ben provvedute due galee, ardironcon esse di uscir dallo stretto di Gibilterra, e ingolfarsinel vasto oceano; ma che più non se n'avea avuta notiziaalcuna, e quindi addita la strada terrestre che allor tenea-si per andare alle Indie, cioè di entrare nella Tartaria an-dando verso settentrione, e di piegar quindi a levante e amezzogiorno. Ecco le parole di questo scrittore: "Parumante ista tempora Januenses duas paravere omnibus ne-cessariis munitas galeas, qui per Gades Herculis in fineHispaniae situatas transiere. Quid autem illis contigerit.jam spatio fere trigesimo ignoratur anno. Transitus ta-men nunc patens est per magnos Tartaros eundo versusaquilonem deinde se in orientem et meridiem congiran-do" (Conciliat. diss. 67). Ed è probabile che questi me-desimi Genovesi, o altri dal loro esempio eccitati, fosse-ro quelli che scopriron prima d'ogni altro le isole Cana-rie, dette ancor Fortunate. Perciocchè egli è certo ch'essefurono scoperte verso questo tempo medesimo, e che fu-rono scoperte dai Genovesi. Ne abbiamo una indubitabi-le testimonianza presso il Petrarca, il quale parlando di

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ta, e taciuta nelle antiche Cronache genovesi, mi avreb-be forse tenuto alquanto dubbioso e sospeso. Ma fortu-natamente mi è riuscito di trovarne memoria presso unoscrittore contemporaneo: e io debbo questa scoperta allasofferenza che ho avuta di scorrer tutta l'opera di Pietroda Abano, intitolata il Conciliatore, per trarne quelle no-tizie storiche che mi avvenisse di rinvenirvi. Ei dunqueparlando di que' paesi dice che circa trent'anni innanzi(egli scriveva al principio del secolo seguente) i Geno-vesi; apparecchiate e ben provvedute due galee, ardironcon esse di uscir dallo stretto di Gibilterra, e ingolfarsinel vasto oceano; ma che più non se n'avea avuta notiziaalcuna, e quindi addita la strada terrestre che allor tenea-si per andare alle Indie, cioè di entrare nella Tartaria an-dando verso settentrione, e di piegar quindi a levante e amezzogiorno. Ecco le parole di questo scrittore: "Parumante ista tempora Januenses duas paravere omnibus ne-cessariis munitas galeas, qui per Gades Herculis in fineHispaniae situatas transiere. Quid autem illis contigerit.jam spatio fere trigesimo ignoratur anno. Transitus ta-men nunc patens est per magnos Tartaros eundo versusaquilonem deinde se in orientem et meridiem congiran-do" (Conciliat. diss. 67). Ed è probabile che questi me-desimi Genovesi, o altri dal loro esempio eccitati, fosse-ro quelli che scopriron prima d'ogni altro le isole Cana-rie, dette ancor Fortunate. Perciocchè egli è certo ch'essefurono scoperte verso questo tempo medesimo, e che fu-rono scoperte dai Genovesi. Ne abbiamo una indubitabi-le testimonianza presso il Petrarca, il quale parlando di

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esse dice: Eo siquidem et patrum memoria Genuensiumarmata classis penetravit (De Vit. Solit. l. 2, sect. 6, c.3). Io mi maraviglio che gl'Inglesi autori della Storia de'Viaggi non abbian fatta parola di questa scoperta, e cheabbian creduto che le isole Canarie solo nel sec. XV sirendesser note agli Europei. E nondimeno potean legge-re in quasi tutti gli storici di quei tempi la solenne, ben-chè inutile, pompa, con cui Clemente VI l'an. 1344 con-ferì la sovranità di quell'isole al principe Luigi di Spa-gna, che non potè mai giungerne al possesso (RainaldiAnn. eccl. ad h. an.; Petrarcha ib. ec.). Egli è dunqueevidente che agl'Italiani, e specialmente a' Genovesi, sidee la lode di aver tentata una sì difficile impresa; e nonè a stupire che quella città medesima che avea già pro-dotti uomini di sì raro coraggio, producesse poi anchedue secoli appresso il primo e immortale discopritoredel nuovo mondo (14).14 Il sig. Ab. Lampillas che vuole togliere quasi del tutto agl'Italiani la gloria

della scoperta del nuovo mondo, si maraviglia che gli "scrittori italiani at-tribuiscano così francamente ai Genovesi questo scoprimento (delle Cana-rie), mentre appena si trova autore di quei che ci narrano questi viaggi, ilquale faccia menzione de' Genovesi, e quei pochi che gli nominano, ag-giungono ad essi i Catalani, i quali in quei tempi non erano meno famosidei Genovesi nelle navigazioni" (Saggio par. 2, t. 1, p. 232, ec.). Iom'aspettava ch'ei citasse gli autori da lui qui accennati, e autori che fosserovicini a que' tempi, ne' quali furono scoperte le Canarie. Ma veggo ch'egliallega sol l'opera intitolata Fasti Novi Orbis, scritta più secoli dopo, e larecente Storia del Robertson; opere i cui autori, ove non citino scrittori as-sai più antichi, non bastan certo a persuaderci della verità delle cose ch'essinarrano avvenute tanto tempo addietro. Ma per qual ragione il sig. Ab.Lampillas parlando delle Canarie se la prende solo contro il sig. Ab. Betti-nelli, e non fa menzione di me, che pure ho dato a' Genovesi la gloria diquella scoperta? Dovremmo forse credere che l'autorità da me citata del

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esse dice: Eo siquidem et patrum memoria Genuensiumarmata classis penetravit (De Vit. Solit. l. 2, sect. 6, c.3). Io mi maraviglio che gl'Inglesi autori della Storia de'Viaggi non abbian fatta parola di questa scoperta, e cheabbian creduto che le isole Canarie solo nel sec. XV sirendesser note agli Europei. E nondimeno potean legge-re in quasi tutti gli storici di quei tempi la solenne, ben-chè inutile, pompa, con cui Clemente VI l'an. 1344 con-ferì la sovranità di quell'isole al principe Luigi di Spa-gna, che non potè mai giungerne al possesso (RainaldiAnn. eccl. ad h. an.; Petrarcha ib. ec.). Egli è dunqueevidente che agl'Italiani, e specialmente a' Genovesi, sidee la lode di aver tentata una sì difficile impresa; e nonè a stupire che quella città medesima che avea già pro-dotti uomini di sì raro coraggio, producesse poi anchedue secoli appresso il primo e immortale discopritoredel nuovo mondo (14).14 Il sig. Ab. Lampillas che vuole togliere quasi del tutto agl'Italiani la gloria

della scoperta del nuovo mondo, si maraviglia che gli "scrittori italiani at-tribuiscano così francamente ai Genovesi questo scoprimento (delle Cana-rie), mentre appena si trova autore di quei che ci narrano questi viaggi, ilquale faccia menzione de' Genovesi, e quei pochi che gli nominano, ag-giungono ad essi i Catalani, i quali in quei tempi non erano meno famosidei Genovesi nelle navigazioni" (Saggio par. 2, t. 1, p. 232, ec.). Iom'aspettava ch'ei citasse gli autori da lui qui accennati, e autori che fosserovicini a que' tempi, ne' quali furono scoperte le Canarie. Ma veggo ch'egliallega sol l'opera intitolata Fasti Novi Orbis, scritta più secoli dopo, e larecente Storia del Robertson; opere i cui autori, ove non citino scrittori as-sai più antichi, non bastan certo a persuaderci della verità delle cose ch'essinarrano avvenute tanto tempo addietro. Ma per qual ragione il sig. Ab.Lampillas parlando delle Canarie se la prende solo contro il sig. Ab. Betti-nelli, e non fa menzione di me, che pure ho dato a' Genovesi la gloria diquella scoperta? Dovremmo forse credere che l'autorità da me citata del

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LIBRO II.Scienze.

CAPO I.Studj Sacri.

I. Le leggi da' romani pontefici,e da' generali e da' particolariConcilj pubblicate a fomentare

e ad avvivare gli studj, delle quali nel precedente libro siè ragionato, eran rivolte singolarmente a' vantaggi dellaChiesa e del clero. La scostumatezza in cui questo eravissuto ne' secoli addietro, attribuivasi, e con ragione,all'ignoranza e all'ozio in cui esso giacea; e si speravaperciò, che ove avvenisse di rivolgerlo a coltivare lescienze che a' sacri ministri son necessarie, sarebbesipiù di leggeri ottenuta la riforma ancor dei costumi. Eben fu opportuno questo consiglio; perchè in questo se-colo stesso nuove sette d'eretici si vider sorgere da ogniparte, e spargersi ovunque, e divolgare i loro errori. Val-desi, Albigesi, Catari, Patarini ed altri di diversi nomi,

Petrarca, il quale chiaramente lo afferma, e quella di Pietro d'Abano, chepiù oscuramente lo indica, gli desser noia? e ch'egli perciò, mostrando dinon aver veduto quel passo della mia storia, dissimulasse la difficoltà? Ionon credo il sig. Ab. Lampillas capace di usar quest'arte, e perciò lo pregoa dirci per qual ragione dobbiam credere piuttosto alla testimonianza delloscrittore de' Fasti e del Robertson, che a quella di Pietro d'Abano, e del Pe-trarca, tanto più vicini a que' tempi.

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Nuove eresie: fondazione de' Predicatori e de' Minori.

LIBRO II.Scienze.

CAPO I.Studj Sacri.

I. Le leggi da' romani pontefici,e da' generali e da' particolariConcilj pubblicate a fomentare

e ad avvivare gli studj, delle quali nel precedente libro siè ragionato, eran rivolte singolarmente a' vantaggi dellaChiesa e del clero. La scostumatezza in cui questo eravissuto ne' secoli addietro, attribuivasi, e con ragione,all'ignoranza e all'ozio in cui esso giacea; e si speravaperciò, che ove avvenisse di rivolgerlo a coltivare lescienze che a' sacri ministri son necessarie, sarebbesipiù di leggeri ottenuta la riforma ancor dei costumi. Eben fu opportuno questo consiglio; perchè in questo se-colo stesso nuove sette d'eretici si vider sorgere da ogniparte, e spargersi ovunque, e divolgare i loro errori. Val-desi, Albigesi, Catari, Patarini ed altri di diversi nomi,

Petrarca, il quale chiaramente lo afferma, e quella di Pietro d'Abano, chepiù oscuramente lo indica, gli desser noia? e ch'egli perciò, mostrando dinon aver veduto quel passo della mia storia, dissimulasse la difficoltà? Ionon credo il sig. Ab. Lampillas capace di usar quest'arte, e perciò lo pregoa dirci per qual ragione dobbiam credere piuttosto alla testimonianza delloscrittore de' Fasti e del Robertson, che a quella di Pietro d'Abano, e del Pe-trarca, tanto più vicini a que' tempi.

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Nuove eresie: fondazione de' Predicatori e de' Minori.

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ma non molto diversi nelle ree loro opinioni, presero acombatter la Chiesa. L'Italia ancora ne fu inondata, emolti si lasciarono miseramente infettare dal lor veleno.Era dunque d'uopo che la Chiesa fosse fornita d'uominidotti che facessero argine al rovinoso torrente, ecoll'efficacia del loro zelo non meno, che del loro saperegl'impedissero lo stendersi e dilatarsi ampiamente. LaProvvidenza che veglia sempre sollecita a contrapporreai nuovi mali rimedj nuovi, fe' sorgere il cominciamentodi questo secolo due Ordini regolari, i quali all'eserciziodelle più ardue virtù congiungessero un'istancabile ap-plicazione agli studj, e fossero perciò opportuni a edifi-care insieme e ad istruire il mondo. Parlo de' due chia-rissimi Ordini de' Predicatori e de' Minori, che, nati qua-si al medesimo tempo, si vider presto produrre copiosis-simi frutti di santità e di scienza, e risvegliare le maravi-glie, e riscuoter gli applausi di tutti i saggi. Di quelli cheper santità singolarmente furono illustri, non è diquest'opera il tenere ragionamento. Io debbo sol ricerca-re de' loro studj, e molti di essi dovrem rammentare conlode in questo capo medesimo, da' quali le scienze sacrericeveron ne' tempi di cui ora scriviamo, luce e orna-mento maggiore, che non avesser negli ultimi secoli ad-dietro. Il loro esempio giovò ad accendere in altri unalodevole emulazione; e perciò da questo secolo in poi sividero coltivati gli studj sacri e da numero assai mag-giore di persone, e con assai maggiore impegno di pri-ma. Io debbo però rinnovar qui le proteste già da me fat-te più volte; che non è mia intenzione di ragionare di

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ma non molto diversi nelle ree loro opinioni, presero acombatter la Chiesa. L'Italia ancora ne fu inondata, emolti si lasciarono miseramente infettare dal lor veleno.Era dunque d'uopo che la Chiesa fosse fornita d'uominidotti che facessero argine al rovinoso torrente, ecoll'efficacia del loro zelo non meno, che del loro saperegl'impedissero lo stendersi e dilatarsi ampiamente. LaProvvidenza che veglia sempre sollecita a contrapporreai nuovi mali rimedj nuovi, fe' sorgere il cominciamentodi questo secolo due Ordini regolari, i quali all'eserciziodelle più ardue virtù congiungessero un'istancabile ap-plicazione agli studj, e fossero perciò opportuni a edifi-care insieme e ad istruire il mondo. Parlo de' due chia-rissimi Ordini de' Predicatori e de' Minori, che, nati qua-si al medesimo tempo, si vider presto produrre copiosis-simi frutti di santità e di scienza, e risvegliare le maravi-glie, e riscuoter gli applausi di tutti i saggi. Di quelli cheper santità singolarmente furono illustri, non è diquest'opera il tenere ragionamento. Io debbo sol ricerca-re de' loro studj, e molti di essi dovrem rammentare conlode in questo capo medesimo, da' quali le scienze sacrericeveron ne' tempi di cui ora scriviamo, luce e orna-mento maggiore, che non avesser negli ultimi secoli ad-dietro. Il loro esempio giovò ad accendere in altri unalodevole emulazione; e perciò da questo secolo in poi sividero coltivati gli studj sacri e da numero assai mag-giore di persone, e con assai maggiore impegno di pri-ma. Io debbo però rinnovar qui le proteste già da me fat-te più volte; che non è mia intenzione di ragionare di

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tutti quelli che qualche opera scrivessero di tale argo-mento. Se tutti quelli che ci diedero Somme, Quistioni,Dichiarazioni, ed altri somiglianti trattati, dovessero quiaver luogo, io verrei a formare una sterile e noiosa Bi-blioteca, non una Storia dei progressi delle scienze.L'ampiezza stessa della materia mi costringe ad usare dibrevità, e a sceglier ciò solo che sia più importante a sa-pere, e perciò più utile a ricercare. Io parlerò dunquesolo di quelli a' quali siamo in singolar modo tenuti, per-chè co' loro studj recarono e vantaggio alle scienze, eonor all'Italia. Ma prima di ogni altra cosa gioverà l'esa-minar brevemente qual fosse in generale lo stato dellescienze sacre nel secolo di cui parliamo.

II. La legge pubblicata nel IV Conciliolateranese sotto Innocenzo III, che ognichiesa metropolitana avesse un teologo, ilquale al clero non men che al popolo op-portunamente spiegasse i dogmi e i pre-

cetti della Religione, in molte chiese è probabile che sirecasse ad effetto. Ma è probabile ancora che le pubbli-che calamità non permettessero ad altre l'eseguirla sìprontamente. Troviamo in fatti che solo verso la fine diquesto secolo fu istituito nella chiesa di Milano il lettoredi teologia dall'arcivesc. Ottone Visconti morto l'an.1295, di cui racconta Galvano Fiamma (Manip Flor. c.331, vol. 11, Script. rer. ital. p. 714), che col suo patri-monio fondò tre prebende; ed una di esse pro uno Lec-

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Lettore di teo-logia introdot-to nella metro-politana di Mi-lano.

tutti quelli che qualche opera scrivessero di tale argo-mento. Se tutti quelli che ci diedero Somme, Quistioni,Dichiarazioni, ed altri somiglianti trattati, dovessero quiaver luogo, io verrei a formare una sterile e noiosa Bi-blioteca, non una Storia dei progressi delle scienze.L'ampiezza stessa della materia mi costringe ad usare dibrevità, e a sceglier ciò solo che sia più importante a sa-pere, e perciò più utile a ricercare. Io parlerò dunquesolo di quelli a' quali siamo in singolar modo tenuti, per-chè co' loro studj recarono e vantaggio alle scienze, eonor all'Italia. Ma prima di ogni altra cosa gioverà l'esa-minar brevemente qual fosse in generale lo stato dellescienze sacre nel secolo di cui parliamo.

II. La legge pubblicata nel IV Conciliolateranese sotto Innocenzo III, che ognichiesa metropolitana avesse un teologo, ilquale al clero non men che al popolo op-portunamente spiegasse i dogmi e i pre-

cetti della Religione, in molte chiese è probabile che sirecasse ad effetto. Ma è probabile ancora che le pubbli-che calamità non permettessero ad altre l'eseguirla sìprontamente. Troviamo in fatti che solo verso la fine diquesto secolo fu istituito nella chiesa di Milano il lettoredi teologia dall'arcivesc. Ottone Visconti morto l'an.1295, di cui racconta Galvano Fiamma (Manip Flor. c.331, vol. 11, Script. rer. ital. p. 714), che col suo patri-monio fondò tre prebende; ed una di esse pro uno Lec-

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Lettore di teo-logia introdot-to nella metro-politana di Mi-lano.

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tore qui in Ecclesia Majori Theologiam legat. Lo stessosi narra da Francesco Pipino (Cron. c. 27, ib. vol. 9, p.701), il quale aggiugne che Ottone gli assegnò lo stipen-dio annuale di 100 lire. Ma in una Cronaca ms. di Am-brogio Taegio, domenicano esso pure, come i due suc-cennati scrittori, citata dal Muratori (Script. rer. ital. vol.9, p. 59), si dice che lo stipendio da Ottone assegnato fudi 100 fiorentini; ch'egli diè quella cattedra a' religiosidel suo Ordine, i quali ancor ne godevano, mentr'egliscrivea, cioè circa il principio del sec. XVI, e che il pri-mo ad essa trascelto fu f. Stefanardo da Vimercate, dicui ragionerem fra gli storici. Delle altre chiese metro-politane non mi è avvenuto di trovar certa contezza aqual tempo vi s'introducesse il lettore di sacra teologia;e se ciò avvenisse subito dopo la promulgazion del De-creto del Concilio lateranese, o alcuni anni più tardi. Perriguardo alle altre chiese cattedrali, intorno alle qualinulla erasi in esso determinato su questo punto, non vis'introdusse il teologo, che due secoli appresso, come al-trove vedremo.

III. Oltre le scuole teologiche ch'erano nellechiese metropolitane, le università ancoraaveano fin da que' tempi probabilmente leloro. Molti nondimeno negano questo vantoa quella che pur tra tutte è la più antica, cioè

a quella di Bologna; e affermano che solo l'an. 1362 vifu introdotto lo studio della teologia. Il fondamento di

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Se in Bolo-gna fosseroscuole pub-bliche di teologia.

tore qui in Ecclesia Majori Theologiam legat. Lo stessosi narra da Francesco Pipino (Cron. c. 27, ib. vol. 9, p.701), il quale aggiugne che Ottone gli assegnò lo stipen-dio annuale di 100 lire. Ma in una Cronaca ms. di Am-brogio Taegio, domenicano esso pure, come i due suc-cennati scrittori, citata dal Muratori (Script. rer. ital. vol.9, p. 59), si dice che lo stipendio da Ottone assegnato fudi 100 fiorentini; ch'egli diè quella cattedra a' religiosidel suo Ordine, i quali ancor ne godevano, mentr'egliscrivea, cioè circa il principio del sec. XVI, e che il pri-mo ad essa trascelto fu f. Stefanardo da Vimercate, dicui ragionerem fra gli storici. Delle altre chiese metro-politane non mi è avvenuto di trovar certa contezza aqual tempo vi s'introducesse il lettore di sacra teologia;e se ciò avvenisse subito dopo la promulgazion del De-creto del Concilio lateranese, o alcuni anni più tardi. Perriguardo alle altre chiese cattedrali, intorno alle qualinulla erasi in esso determinato su questo punto, non vis'introdusse il teologo, che due secoli appresso, come al-trove vedremo.

III. Oltre le scuole teologiche ch'erano nellechiese metropolitane, le università ancoraaveano fin da que' tempi probabilmente leloro. Molti nondimeno negano questo vantoa quella che pur tra tutte è la più antica, cioè

a quella di Bologna; e affermano che solo l'an. 1362 vifu introdotto lo studio della teologia. Il fondamento di

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Se in Bolo-gna fosseroscuole pub-bliche di teologia.

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questa opinione è la Bolla d'Innocenzo VI pubblicata dalGhirardacci (Stor. di Bologna par. 2, l. 24, p. 262) edall'Ughelli (Ital. Sacra t. 2 in Episc. Bonon.), e in parteancor dal Sigonio (De Episc. Bonon. l. 3 ad an. 1363),segnata a' 29 di giugno del X anno del suo pontificato,che corrisponde al suddetto an. 1362. In essa il pontefi-ce, dopo aver lodati i vantaggi che dalla università diBologna e dalle scuole di diritto civile e canonico e del-le arti liberali derivavansi nel mondo tutto, soggiugnech'era a sperare che frutto ancor maggiore se ne sarebberaccolto, se vi si potessero stendere più ampiamente iteologici studj: "speramus ipsius theologicas palmas, siillius studium posset ibidem amplius propagari, etc." ecomanda perciò, che siavi in avvenire uno studio gene-rale della medesima facoltà: "Ordinamus, quod in dictacivitate deinceps studium generale in eadem theologicafacultate existat". Questo è il documento a cui appoggia-ti alcuni scrittori moderni, ed Ermanno Conringio fra glialtri (Antiq. academ. diss. 3, parag. 31), hanno pensatoche solo a questi tempi si fondasse nell'università di Bo-logna la cattedra teologica. Gli scrittor bolognesi al con-trario, e fra essi il ch. p. abate Fattorini continuatore del-la Storia di quella università cominciata dal p. Sarti (DeProf. Bonon. vol. 1, pars 2, p. 1), affermano che la Bollad'Innocenzo intender si dee non della prima fondazione,ma di ampliamento maggiore della facoltà teologica, edel privilegio di conferire anche per essa i gradi e glionori consueti; e rammentano infatti alcuni professori diteologia, che furono assai prima in Bologna, e singolar-

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questa opinione è la Bolla d'Innocenzo VI pubblicata dalGhirardacci (Stor. di Bologna par. 2, l. 24, p. 262) edall'Ughelli (Ital. Sacra t. 2 in Episc. Bonon.), e in parteancor dal Sigonio (De Episc. Bonon. l. 3 ad an. 1363),segnata a' 29 di giugno del X anno del suo pontificato,che corrisponde al suddetto an. 1362. In essa il pontefi-ce, dopo aver lodati i vantaggi che dalla università diBologna e dalle scuole di diritto civile e canonico e del-le arti liberali derivavansi nel mondo tutto, soggiugnech'era a sperare che frutto ancor maggiore se ne sarebberaccolto, se vi si potessero stendere più ampiamente iteologici studj: "speramus ipsius theologicas palmas, siillius studium posset ibidem amplius propagari, etc." ecomanda perciò, che siavi in avvenire uno studio gene-rale della medesima facoltà: "Ordinamus, quod in dictacivitate deinceps studium generale in eadem theologicafacultate existat". Questo è il documento a cui appoggia-ti alcuni scrittori moderni, ed Ermanno Conringio fra glialtri (Antiq. academ. diss. 3, parag. 31), hanno pensatoche solo a questi tempi si fondasse nell'università di Bo-logna la cattedra teologica. Gli scrittor bolognesi al con-trario, e fra essi il ch. p. abate Fattorini continuatore del-la Storia di quella università cominciata dal p. Sarti (DeProf. Bonon. vol. 1, pars 2, p. 1), affermano che la Bollad'Innocenzo intender si dee non della prima fondazione,ma di ampliamento maggiore della facoltà teologica, edel privilegio di conferire anche per essa i gradi e glionori consueti; e rammentano infatti alcuni professori diteologia, che furono assai prima in Bologna, e singolar-

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mente Rolando Bandinelli che fu poscia papa Alessan-dro III, di cui noi pure abbiam già favellato. A dir vero,le parole stesse della Bolla sopraccennata sembranoconfermare la loro opinione, perciocchè ivi si nominasolo ampliazione e accrescimento: si illius studium pos-set ibidem amplius propagari. Ma in un antico codicedella stessa università citato dal Ghirardacci edall'Ughelli e dal p. Costanzo Rabbi agostiniano si usandiverse espressioni, e vi si dice che l'an 1364 venneroalcuni celebri professori a Bologna ad fundandum et in-choandum Bononiae studium, theologicae facultatis; lequali parole sembrano indicare cominciamento di cosadel tutto nuova. E a dir vero, sì scarso è il numero de'teologi, dei quali ha tessuto il Catalogo il sopraccitato p.Fattorini, e intorno ad essi ancora sì poche son le notizieche ne ha potuto raccogliere, che sembra da ciò ancorconfermarsi l'opinione contraria.

IV. Che direm noi dunque in questa di-versità di espressioni e di pareri? Crede-rem noi che per quasi tre secoli l'univer-sità di Bologna sì celebre in tutto il mon-do, non avesse pubblici studj di teologia?

Io confesso che non potrò mai persuadermelo. Ma parmiche si possano di leggeri conciliare insieme le due con-trarie opinioni. Io penso perciò, che nel corpo stessodell'università di Bologna non vi fosse cattedra di teolo-gia; e ciò mi sembra evidente dal non trovarsi monu-

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Probabilmente vi erano, ma solo nei mona-steri.

mente Rolando Bandinelli che fu poscia papa Alessan-dro III, di cui noi pure abbiam già favellato. A dir vero,le parole stesse della Bolla sopraccennata sembranoconfermare la loro opinione, perciocchè ivi si nominasolo ampliazione e accrescimento: si illius studium pos-set ibidem amplius propagari. Ma in un antico codicedella stessa università citato dal Ghirardacci edall'Ughelli e dal p. Costanzo Rabbi agostiniano si usandiverse espressioni, e vi si dice che l'an 1364 venneroalcuni celebri professori a Bologna ad fundandum et in-choandum Bononiae studium, theologicae facultatis; lequali parole sembrano indicare cominciamento di cosadel tutto nuova. E a dir vero, sì scarso è il numero de'teologi, dei quali ha tessuto il Catalogo il sopraccitato p.Fattorini, e intorno ad essi ancora sì poche son le notizieche ne ha potuto raccogliere, che sembra da ciò ancorconfermarsi l'opinione contraria.

IV. Che direm noi dunque in questa di-versità di espressioni e di pareri? Crede-rem noi che per quasi tre secoli l'univer-sità di Bologna sì celebre in tutto il mon-do, non avesse pubblici studj di teologia?

Io confesso che non potrò mai persuadermelo. Ma parmiche si possano di leggeri conciliare insieme le due con-trarie opinioni. Io penso perciò, che nel corpo stessodell'università di Bologna non vi fosse cattedra di teolo-gia; e ciò mi sembra evidente dal non trovarsi monu-

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Probabilmente vi erano, ma solo nei mona-steri.

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mento alcuno che di essa faccia menzione, nè memoriadi alcun professore, di cui espressamente si dica che nel-la università di Bologna leggesse teologia, nè alcun in-dicio di laurea, o d'altro onor accademico conferito peressa. Ma penso insieme che Bologna non fosse priva ditale studio. Il p. Sarti ha mostrato che sin da' tempi piùantichi erano in Bologna fioritissime scuole, non solonella metropolitana, ma ancor ne' monasteri di s. Felicee di s. Procolo (De Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 3). Orqueste io credo che fosser le scuole nelle quali insegna-vansi le scienze sacre. Quando poi, furono introdotti inBologna i due Ordini di s. Domenico e di s. Francesco,ne' loro chiostri è probabile che si tenessero tali scuole.E de' primi singolarmente lo ha provato il p. Fattorini(ib. pars 2, p. 2) con un documento dell'an. 1268, in cuidelle loro scuole si fa menzione: Actum in domo Fra-trum Praedicatorum juxta scholas ipsorum Fratrum. Ein un altro del 1302 Actum Bonon. in domo FratrumProedicatorum sub porticit domus scholarum. In questescuole adunque dovetter tenere le loro lezioni e RolandoBandinelli, detto poi Alessandro III, e quegli altri po-chissimi, e per la più parte non molto noti teologi che siannoverano dal suddetto p. Fattorini, a' quali però nondee tacersi il celebre taumaturgo s. Antonio da Padova,di cui con qual fondamento si dica che leggesse teologiain Bologna, si vegga presso il medesimo autore (ib. p.9). Di s. Tommaso, di cui pur si racconta lo stesso, par-leremo tra poco. In tal maniera erano in Bologna pubbli-che e rinomate scuole di teologia, ma separate dall'uni-

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mento alcuno che di essa faccia menzione, nè memoriadi alcun professore, di cui espressamente si dica che nel-la università di Bologna leggesse teologia, nè alcun in-dicio di laurea, o d'altro onor accademico conferito peressa. Ma penso insieme che Bologna non fosse priva ditale studio. Il p. Sarti ha mostrato che sin da' tempi piùantichi erano in Bologna fioritissime scuole, non solonella metropolitana, ma ancor ne' monasteri di s. Felicee di s. Procolo (De Prof. Bonon. t. 1, pars 1, p. 3). Orqueste io credo che fosser le scuole nelle quali insegna-vansi le scienze sacre. Quando poi, furono introdotti inBologna i due Ordini di s. Domenico e di s. Francesco,ne' loro chiostri è probabile che si tenessero tali scuole.E de' primi singolarmente lo ha provato il p. Fattorini(ib. pars 2, p. 2) con un documento dell'an. 1268, in cuidelle loro scuole si fa menzione: Actum in domo Fra-trum Praedicatorum juxta scholas ipsorum Fratrum. Ein un altro del 1302 Actum Bonon. in domo FratrumProedicatorum sub porticit domus scholarum. In questescuole adunque dovetter tenere le loro lezioni e RolandoBandinelli, detto poi Alessandro III, e quegli altri po-chissimi, e per la più parte non molto noti teologi che siannoverano dal suddetto p. Fattorini, a' quali però nondee tacersi il celebre taumaturgo s. Antonio da Padova,di cui con qual fondamento si dica che leggesse teologiain Bologna, si vegga presso il medesimo autore (ib. p.9). Di s. Tommaso, di cui pur si racconta lo stesso, par-leremo tra poco. In tal maniera erano in Bologna pubbli-che e rinomate scuole di teologia, ma separate dall'uni-

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versità, a cui poscia dovettero essere incorporate e con-giunte per la Bolla d'Innocenzo VI da noi mentovatapoc'anzi.

V. Nelle altre città è probabile che la teolo-gia avesse i suoi professori o nelle universii-tà, ove esse eran fondate, o presso i regolari,e singolarmente ne' conventi de' Predicatori,come in Bologna. In fatti nei capitoli stabili-

ti per l'erezione dell'università di Vercelli abbiam veduto(sup. l. 1, c. 3, n. 10) che tra' professori che vi doveanotenere scuola, vi è nominato espressamente il teologo.Al contrario in Padova sembra che l'università non aves-se teologi, perchè abbiam parimenti osservato (ib. n. 13)che l'ab. Engelberto verso l'an. 1280, dopo avere studia-ta la filosofia a quella università passò allo studio dellateologia nel convento che in quella città medesima avea-no i Predicatori. E sembra che in tale stato durasser lecose fin verso l'an. 1360, perciocchè allor solamente fuin quella università introdotta la cattedra teologica,come mostra il Facciolati (Fasti Gymnas. patav. pars 1,p. 17), e noi a suo luogo vedremo. Così pure si è dimo-strato (l. c. n. 15) che allor quando i Predicatori e i Mi-nori furono da Federigo II cacciati da tutto il regno diNapoli, quella università ebbe ricorso ad Erasmo mona-co casinese, perchè venisse a tenervi scuola di teologia.In tal maniera o nelle università, o nelle scuole de' Re-golari, o nelle chiese metropolitane, o cattedrali eranvi

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Anche in altre città erano somi-glianti scuole.

versità, a cui poscia dovettero essere incorporate e con-giunte per la Bolla d'Innocenzo VI da noi mentovatapoc'anzi.

V. Nelle altre città è probabile che la teolo-gia avesse i suoi professori o nelle universii-tà, ove esse eran fondate, o presso i regolari,e singolarmente ne' conventi de' Predicatori,come in Bologna. In fatti nei capitoli stabili-

ti per l'erezione dell'università di Vercelli abbiam veduto(sup. l. 1, c. 3, n. 10) che tra' professori che vi doveanotenere scuola, vi è nominato espressamente il teologo.Al contrario in Padova sembra che l'università non aves-se teologi, perchè abbiam parimenti osservato (ib. n. 13)che l'ab. Engelberto verso l'an. 1280, dopo avere studia-ta la filosofia a quella università passò allo studio dellateologia nel convento che in quella città medesima avea-no i Predicatori. E sembra che in tale stato durasser lecose fin verso l'an. 1360, perciocchè allor solamente fuin quella università introdotta la cattedra teologica,come mostra il Facciolati (Fasti Gymnas. patav. pars 1,p. 17), e noi a suo luogo vedremo. Così pure si è dimo-strato (l. c. n. 15) che allor quando i Predicatori e i Mi-nori furono da Federigo II cacciati da tutto il regno diNapoli, quella università ebbe ricorso ad Erasmo mona-co casinese, perchè venisse a tenervi scuola di teologia.In tal maniera o nelle università, o nelle scuole de' Re-golari, o nelle chiese metropolitane, o cattedrali eranvi

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Anche in altre città erano somi-glianti scuole.

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uomini dotti che istruivano pubblicamente nello studiodella sacra Scrittura e della teologia. Ma passiamo omaia vedere chi siano quelli che in tali scienze furono inquesto secolo più rinomati.

VI. Io darò il primo luogo ad uno che,benchè non tenesse scuola di teologia, nèci abbia in questo argomento lasciate ope-re di cui ora si faccia gran conto, fu nondi-meno uom dotto, ma più ancora che pelsuo sapere, è famoso per le profezie a luiattribuite, dico al celebre abate Gioachi-

mo. Non vi ha personaggio per avventura di cui si sianformati sì contrari giudizj. Alcuni cel rappresentanocome uom santo e dotato di soprannatural dono di pro-fezia; altri ne fanno un ipocrita e un impostore; altri ildescrivono come uom dabbene, ma semplice, e che lu-singavasi di aver lumi dal cielo a conoscer le cose avve-nire. Intorno alle quali diverse opinioni si posson vederele Memorie degli Scrittori Cosentini del march. Salvato-re Spiriti che le ha diligentemente raccolte (p. 15, nota2). Tutti però gli autori da lui allegati sono moderni, enon hanno perciò autorità maggiore de' fondamenti a cuiessi appoggiano il lor parere. Di essi adunque io nonvarrommi; nè crederò che ad affermar qualche cosa in-torno all'abate Gioachimo mi basti, il vederla narrata odall'abate Gregorio Lauro cisterciense che l'an. 1660 nepubblicò in Napoli l'Apologia e la Vita, o da Jacopo

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Notizie del celeb. ab. Gioachimo: diversità di opinioni in-torno ad esso.

uomini dotti che istruivano pubblicamente nello studiodella sacra Scrittura e della teologia. Ma passiamo omaia vedere chi siano quelli che in tali scienze furono inquesto secolo più rinomati.

VI. Io darò il primo luogo ad uno che,benchè non tenesse scuola di teologia, nèci abbia in questo argomento lasciate ope-re di cui ora si faccia gran conto, fu nondi-meno uom dotto, ma più ancora che pelsuo sapere, è famoso per le profezie a luiattribuite, dico al celebre abate Gioachi-

mo. Non vi ha personaggio per avventura di cui si sianformati sì contrari giudizj. Alcuni cel rappresentanocome uom santo e dotato di soprannatural dono di pro-fezia; altri ne fanno un ipocrita e un impostore; altri ildescrivono come uom dabbene, ma semplice, e che lu-singavasi di aver lumi dal cielo a conoscer le cose avve-nire. Intorno alle quali diverse opinioni si posson vederele Memorie degli Scrittori Cosentini del march. Salvato-re Spiriti che le ha diligentemente raccolte (p. 15, nota2). Tutti però gli autori da lui allegati sono moderni, enon hanno perciò autorità maggiore de' fondamenti a cuiessi appoggiano il lor parere. Di essi adunque io nonvarrommi; nè crederò che ad affermar qualche cosa in-torno all'abate Gioachimo mi basti, il vederla narrata odall'abate Gregorio Lauro cisterciense che l'an. 1660 nepubblicò in Napoli l'Apologia e la Vita, o da Jacopo

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Notizie del celeb. ab. Gioachimo: diversità di opinioni in-torno ad esso.

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Greco dello stesso ordine, che parimenti ne scrisse laVita stampata in Cosenza l'an. 1612. Potrebbonsi questiautori aver per sospetti; e inoltre furono troppo lungi da'tempi di Gioachimo, perchè si debba lor credere, se nonrecano monumenti più antichi a confermar ciò che nar-rano. Con critica e con esattezza maggiore ne ha esami-nata la vita, le opere, e i costumi il p. Papebrochio dellaComp. di Gesù (Acta SS. maii t. 6 ad d. 29), fondando lesue ricerche su più antichi e più autentici documenti. Edi questi mi gioverò io pure nel ricercar brevemente ciòche appartiene a quest'uom sì famoso, aggiugnendoviancora l'autorità d'altri scrittori che il p. Papebrochionon potè consultare, perchè non erano ancor pubblicati.Degno singolarmente d'aversi in pregio è un breve rag-guaglio delle virtù di Gioachimo, scritto da Luca primamonaco e discepolo e confidente dello stesso Gioachi-mo, e poscia arcivescovo di Cosenza, pubblicato dopol'Ughelli da' suddetto Papebrochio; a cui la schietta sem-plicità con cui è scritto, e la dignità dell'autore concilia-no fede.

VII. In qual anno nascesse Gioachimo,non si può precisamente affermare, e di-scordano in ciò gli scrittori moderni, altride' quali il fan nato al principio del XII se-

colo, altri solo l'an. 1145. Il p. Papebrochio crede chel'opinione meno improbabile sia quella che ne fissa lanascita circa l'an. 1130. Se crediamo a' moderni soprac-

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Epoche della sua vita: sue rare virtù.

Greco dello stesso ordine, che parimenti ne scrisse laVita stampata in Cosenza l'an. 1612. Potrebbonsi questiautori aver per sospetti; e inoltre furono troppo lungi da'tempi di Gioachimo, perchè si debba lor credere, se nonrecano monumenti più antichi a confermar ciò che nar-rano. Con critica e con esattezza maggiore ne ha esami-nata la vita, le opere, e i costumi il p. Papebrochio dellaComp. di Gesù (Acta SS. maii t. 6 ad d. 29), fondando lesue ricerche su più antichi e più autentici documenti. Edi questi mi gioverò io pure nel ricercar brevemente ciòche appartiene a quest'uom sì famoso, aggiugnendoviancora l'autorità d'altri scrittori che il p. Papebrochionon potè consultare, perchè non erano ancor pubblicati.Degno singolarmente d'aversi in pregio è un breve rag-guaglio delle virtù di Gioachimo, scritto da Luca primamonaco e discepolo e confidente dello stesso Gioachi-mo, e poscia arcivescovo di Cosenza, pubblicato dopol'Ughelli da' suddetto Papebrochio; a cui la schietta sem-plicità con cui è scritto, e la dignità dell'autore concilia-no fede.

VII. In qual anno nascesse Gioachimo,non si può precisamente affermare, e di-scordano in ciò gli scrittori moderni, altride' quali il fan nato al principio del XII se-

colo, altri solo l'an. 1145. Il p. Papebrochio crede chel'opinione meno improbabile sia quella che ne fissa lanascita circa l'an. 1130. Se crediamo a' moderni soprac-

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Epoche della sua vita: sue rare virtù.

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citati scrittori, ei nacque in Celico, villaggio della dioce-si di Cosenza da Mauro notaio e da Gemma. Giovinettoancor secolare, ma in abito dimesso e vile, qual era pro-prio de' religiosi, recossi a visitare divotamente i luoghisanti di Palestina. Tornato poscia alla patria, si consacròa Dio, scegliendo a tal fine l'ordine cisterciense, e in piùmonasteri della Calabria ebbe sua stanza, e fu abate diquel di Curazio. Poscia fondò la celebre Badia di Fiore,che divenne capo di una particolare e più austera con-gregazione dello stesso ordine, ed ebbe sotto di se nonpicciol numero di monasteri. Veggasi l'erudita Storiadella stessa Badia scritta dal sopraddetto p. Papebrochio(l. c.) che ha ancor pubblicati di nuovo i varj privilegi dicui fu arricchita dall'imperadrice Costanza, da FederigoIl di lei figliuolo e da altri, i quai monumenti erano giàstati dati alla luce dal p. abate Lauro, e dall'Ughelli (Ital.Sacra t. 9). Gioachimo la resse fino all'an. 1207, nelquale, o al più tardi nel cominciar del seguente, eglimorì, come prova il Papebrochio dai monumenti diquest'anno medesimo, in cui si vede nominato l'abateMatteo di lui successore. Delle rare virtù di cui egli fuadorno, ci ha lasciato un'autorevol testimonianza il sud-detto arcivesc. Luca nella mentovata sua Relazione incui non narra se non le cose da lui stesso vedute. Eglidescrive il dimesso e logoro abito di cui Gioachimo usa-va, la singolar divozione con cui offeriva il divin sagrifi-cio, nel qual atto, benchè fosse comunemente pallido esparuto, tutto accendevasi il volto d'un santo ardore;l'austerità de' digiuni con cui macerava la sua carne, la

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citati scrittori, ei nacque in Celico, villaggio della dioce-si di Cosenza da Mauro notaio e da Gemma. Giovinettoancor secolare, ma in abito dimesso e vile, qual era pro-prio de' religiosi, recossi a visitare divotamente i luoghisanti di Palestina. Tornato poscia alla patria, si consacròa Dio, scegliendo a tal fine l'ordine cisterciense, e in piùmonasteri della Calabria ebbe sua stanza, e fu abate diquel di Curazio. Poscia fondò la celebre Badia di Fiore,che divenne capo di una particolare e più austera con-gregazione dello stesso ordine, ed ebbe sotto di se nonpicciol numero di monasteri. Veggasi l'erudita Storiadella stessa Badia scritta dal sopraddetto p. Papebrochio(l. c.) che ha ancor pubblicati di nuovo i varj privilegi dicui fu arricchita dall'imperadrice Costanza, da FederigoIl di lei figliuolo e da altri, i quai monumenti erano giàstati dati alla luce dal p. abate Lauro, e dall'Ughelli (Ital.Sacra t. 9). Gioachimo la resse fino all'an. 1207, nelquale, o al più tardi nel cominciar del seguente, eglimorì, come prova il Papebrochio dai monumenti diquest'anno medesimo, in cui si vede nominato l'abateMatteo di lui successore. Delle rare virtù di cui egli fuadorno, ci ha lasciato un'autorevol testimonianza il sud-detto arcivesc. Luca nella mentovata sua Relazione incui non narra se non le cose da lui stesso vedute. Eglidescrive il dimesso e logoro abito di cui Gioachimo usa-va, la singolar divozione con cui offeriva il divin sagrifi-cio, nel qual atto, benchè fosse comunemente pallido esparuto, tutto accendevasi il volto d'un santo ardore;l'austerità de' digiuni con cui macerava la sua carne, la

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singolare umiltà con cui egli stesso esercitava i più viliuffici del monastero, la carità generosa con cui sovveni-va a' poveri, e altre somiglianti virtù che da lui si espon-gono senza quella affettata esagerazione che talvolta in-contrasi nelle leggende, e che ci rende difficili a credertutto ciò che in esse si narra. Di prodigj da lui operati,l'arcivesc. Luca altro non ci racconta, se non ciò ch'eglisperimentò in se stesso; perciocchè, dice, gli fu da luisciolta la lingua che prima avea impedita e tarda, e chefu da lui risanato da una malattia che l'avea condottoagli estremi. Molti altri miracoli dall'abate Gioachimo ein vita e dopo morte operati si leggono in una Relazionedistesa da Jacopo Greco, pubblicata dall'abate Lauro, epoi dal Papebrochio, quali però, come confessa l'editoremedesimo, dalla sede apostolica non sono ancora statiapprovati. Noi non abbisogniamo di essi per credere chel'abate Gioachino fosse uomo di santi costumi; e perciòancor abbiam qui tralasciate molte altre cose che di luici raccontano, i moderni scrittori sopraccennati; nonperchè vogliamo negarle, ma perchè potrebbon credersinon abbastanza provate. La Relazione dell'arcivesc.Luca basta a persuaderci che Gioachimo, ben lungidall'essere quell'impostore che fu da alcuni creduto, erauomo di rare e singolari virtù, e degno di quel culto pri-vato con cui è onorato dalla sua congregazione, e a cuila sede apostolica non si è opposta giammai.

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singolare umiltà con cui egli stesso esercitava i più viliuffici del monastero, la carità generosa con cui sovveni-va a' poveri, e altre somiglianti virtù che da lui si espon-gono senza quella affettata esagerazione che talvolta in-contrasi nelle leggende, e che ci rende difficili a credertutto ciò che in esse si narra. Di prodigj da lui operati,l'arcivesc. Luca altro non ci racconta, se non ciò ch'eglisperimentò in se stesso; perciocchè, dice, gli fu da luisciolta la lingua che prima avea impedita e tarda, e chefu da lui risanato da una malattia che l'avea condottoagli estremi. Molti altri miracoli dall'abate Gioachimo ein vita e dopo morte operati si leggono in una Relazionedistesa da Jacopo Greco, pubblicata dall'abate Lauro, epoi dal Papebrochio, quali però, come confessa l'editoremedesimo, dalla sede apostolica non sono ancora statiapprovati. Noi non abbisogniamo di essi per credere chel'abate Gioachino fosse uomo di santi costumi; e perciòancor abbiam qui tralasciate molte altre cose che di luici raccontano, i moderni scrittori sopraccennati; nonperchè vogliamo negarle, ma perchè potrebbon credersinon abbastanza provate. La Relazione dell'arcivesc.Luca basta a persuaderci che Gioachimo, ben lungidall'essere quell'impostore che fu da alcuni creduto, erauomo di rare e singolari virtù, e degno di quel culto pri-vato con cui è onorato dalla sua congregazione, e a cuila sede apostolica non si è opposta giammai.

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VIII. Ma più che i costumi, si biasimano damolti le opere e le profezie dell'abate Gioa-chimo. Separiamo per amor di chiarezzal'una cosa dall'altra, e diciam prima

dell'opere. Io non le rammenterò qui una ad una, poichèse ne può vedere il catalogo presso i mentovati scrittori,e presso il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 4, p. 41)e il Nicodemo (Addiz. alla Bibl. napol. p. 91), che anno-verano ancora le loro edizioni, e segnano quelle che nonson pubblicate. Mi basterà l'accennare che molte d'essesono Comenti su varj libri della sacra Scrittura, altresono ascetiche, altre contengono le celebri sue Profezie.Ciò ch'è degno d'essere osservato, si è che Gioachimo siaccinse a comentar la sacra Scrittura per espresso volerede' romani pontefici. L'arcivesc. Luca racconta ch'eglinel II anno del pontificato di Lucio III, cioè l'an. 1183,venuto innanzi al pontefice, prese a parlare nel Conci-storo dell'interpretazione della Scrittura, e della concor-dia del Vecchio e del Nuovo Testamento; che ottenne dalui licenza di scrivere su tal argomento; e che prese astendere i suoi Comenti sopra l'Apocalissi, e sopra laconcordia de' due Testamenti. Il Greco, e dopo lui il Pa-pebrochio, han pubblicato un Breve di Clemente IIIscritto l'an. 1188 allo stesso abate Gioachimo, in cui loesorta a condurre a fine le suddette due opere, ed eglipure rammenta il comando che di ciò avuto avea, nonsol da Lucio III, ma anche da Urbano III, di lui succes-sore. La stima in cui questi romani pontefici ebberoGioachimo, è una chiara ripruova ch'egli era conosciuto

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Sue opere, e apologia di esse.

VIII. Ma più che i costumi, si biasimano damolti le opere e le profezie dell'abate Gioa-chimo. Separiamo per amor di chiarezzal'una cosa dall'altra, e diciam prima

dell'opere. Io non le rammenterò qui una ad una, poichèse ne può vedere il catalogo presso i mentovati scrittori,e presso il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 4, p. 41)e il Nicodemo (Addiz. alla Bibl. napol. p. 91), che anno-verano ancora le loro edizioni, e segnano quelle che nonson pubblicate. Mi basterà l'accennare che molte d'essesono Comenti su varj libri della sacra Scrittura, altresono ascetiche, altre contengono le celebri sue Profezie.Ciò ch'è degno d'essere osservato, si è che Gioachimo siaccinse a comentar la sacra Scrittura per espresso volerede' romani pontefici. L'arcivesc. Luca racconta ch'eglinel II anno del pontificato di Lucio III, cioè l'an. 1183,venuto innanzi al pontefice, prese a parlare nel Conci-storo dell'interpretazione della Scrittura, e della concor-dia del Vecchio e del Nuovo Testamento; che ottenne dalui licenza di scrivere su tal argomento; e che prese astendere i suoi Comenti sopra l'Apocalissi, e sopra laconcordia de' due Testamenti. Il Greco, e dopo lui il Pa-pebrochio, han pubblicato un Breve di Clemente IIIscritto l'an. 1188 allo stesso abate Gioachimo, in cui loesorta a condurre a fine le suddette due opere, ed eglipure rammenta il comando che di ciò avuto avea, nonsol da Lucio III, ma anche da Urbano III, di lui succes-sore. La stima in cui questi romani pontefici ebberoGioachimo, è una chiara ripruova ch'egli era conosciuto

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Sue opere, e apologia di esse.

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qual uomo di virtù e di sapere non ordinario. Per ciò cheappartiene ad Urbano III, leggiam nella Vita che nescrisse Bernardo di Guidone, pubblicata dal Muratori(Script. rer. ital. t. 3, pars 1, p. 476), che Gioachimovenne dalla Calabria a Verona l'an. 1185, ove allora erail pontefice, e a lui presentossi, per quanto sembra, perofferirgli parte delle sue opere; nella qual occasione egliprobabilmente fu da lui esortato a continuarne il lavoro.Aggiugne Bernardo, che dicevasi comunemente cheGioachimo dapprima fosse stato uomo di corto intendi-mento; ma che poscia avesse dal ciel ricevuto unostraordinario lume ad intendere e ad interpretare i piùdifficili passi della Scrittura. Lo stesso, e quasi collestesse parole, raccontasi da Francesco Pipino (Chron. c.15, Script. rer. ital. vol. 9, p. 598). Ciò non ostante ladottrina di Gioachimo non fu in ogni sua parte giudicatacattolica. Avea egli scritto un libro contro ciò che sulmistero della Trinità avea insegnato il celebre Pier lom-bardo; il qual libro più anni dopo la morte di Gioachimoesaminato nel general concilio lateranese l'an. 1215 sot-to Innocenzo III fu condennato. Ma due cose, a discolpadi Gioachimo si debbon riflettere. La prima si è ch'eglisoggettò spontaneamente tutte le sue opere alla sedeapostolica; e perciò Onorio III, successor d'Innocenzo,con due suoi Brevi, uno dell'I, l'altro del V anno del suopontificato, che sono stati pubblicati dal Greco e dal Pa-pebrochio, diffinì che Gioachimo dovea esser tenutouomo cattolico, e seguace della retta Fede, e ordinò cheniuna molestia perciò si recasse a' monaci della Congre-

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qual uomo di virtù e di sapere non ordinario. Per ciò cheappartiene ad Urbano III, leggiam nella Vita che nescrisse Bernardo di Guidone, pubblicata dal Muratori(Script. rer. ital. t. 3, pars 1, p. 476), che Gioachimovenne dalla Calabria a Verona l'an. 1185, ove allora erail pontefice, e a lui presentossi, per quanto sembra, perofferirgli parte delle sue opere; nella qual occasione egliprobabilmente fu da lui esortato a continuarne il lavoro.Aggiugne Bernardo, che dicevasi comunemente cheGioachimo dapprima fosse stato uomo di corto intendi-mento; ma che poscia avesse dal ciel ricevuto unostraordinario lume ad intendere e ad interpretare i piùdifficili passi della Scrittura. Lo stesso, e quasi collestesse parole, raccontasi da Francesco Pipino (Chron. c.15, Script. rer. ital. vol. 9, p. 598). Ciò non ostante ladottrina di Gioachimo non fu in ogni sua parte giudicatacattolica. Avea egli scritto un libro contro ciò che sulmistero della Trinità avea insegnato il celebre Pier lom-bardo; il qual libro più anni dopo la morte di Gioachimoesaminato nel general concilio lateranese l'an. 1215 sot-to Innocenzo III fu condennato. Ma due cose, a discolpadi Gioachimo si debbon riflettere. La prima si è ch'eglisoggettò spontaneamente tutte le sue opere alla sedeapostolica; e perciò Onorio III, successor d'Innocenzo,con due suoi Brevi, uno dell'I, l'altro del V anno del suopontificato, che sono stati pubblicati dal Greco e dal Pa-pebrochio, diffinì che Gioachimo dovea esser tenutouomo cattolico, e seguace della retta Fede, e ordinò cheniuna molestia perciò si recasse a' monaci della Congre-

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gazione da lui fondata. L'altra si è che lo stesso Gioachi-mo in altre sue opere scrisse di questo augusto misteronella più esatta maniera che sia possibile, sicchè egli oritrattò in tal modo ciò che altrove avea scritto men giu-stamente, o spiegò in senso opportuno ciò che primaavea scritto in maniera oscura, e che potea facilmenteintendersi in senso reo. Intorno a che veggasi il Pape-brochio che questo punto ha illustrato con singolar dili-genza, e che dopo avere esaminate le opere da lui scrit-te, ne ha esaltato assai la profonda dottrina, la forza concui combatte gli errori, la chiarezza delle espressioni edelle immagini con cui spiega ogni cosa singolarmentenell'opera intitolata del Salterio di dieci corde, in cuiegli dice che Giachimo vinse se stesso; e solo si duoleche le edizioni ne siano per lo più scorrette, per modoche spesso non se ne rileva il senso. Degna ancorad'essere letta una bella dissertazione del dottissimo p.Natale Alessandro, intorno alla condanna del libro diGioachimo (Hist. eccl. saec. 13, c. 3, parag. 5, art. 3).

IX. La santità de' costumi di Gioachimo, dicui sopra abbiam ragionato basta essa sola arenderci non improbabile che Dio la illu-strasse con soprannatural luce a conoscer lecose avvenire. Ma non basta il mostrare che

ciò potesse avvenire: convien cercare se avvenisse difatto. Or questo è il punto su cui vi ha tra gli scrittori di-scordia maggiore, e, ciò ch'è più degno di maraviglia,

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Varj pareriintorno allesue profe-zie.

gazione da lui fondata. L'altra si è che lo stesso Gioachi-mo in altre sue opere scrisse di questo augusto misteronella più esatta maniera che sia possibile, sicchè egli oritrattò in tal modo ciò che altrove avea scritto men giu-stamente, o spiegò in senso opportuno ciò che primaavea scritto in maniera oscura, e che potea facilmenteintendersi in senso reo. Intorno a che veggasi il Pape-brochio che questo punto ha illustrato con singolar dili-genza, e che dopo avere esaminate le opere da lui scrit-te, ne ha esaltato assai la profonda dottrina, la forza concui combatte gli errori, la chiarezza delle espressioni edelle immagini con cui spiega ogni cosa singolarmentenell'opera intitolata del Salterio di dieci corde, in cuiegli dice che Giachimo vinse se stesso; e solo si duoleche le edizioni ne siano per lo più scorrette, per modoche spesso non se ne rileva il senso. Degna ancorad'essere letta una bella dissertazione del dottissimo p.Natale Alessandro, intorno alla condanna del libro diGioachimo (Hist. eccl. saec. 13, c. 3, parag. 5, art. 3).

IX. La santità de' costumi di Gioachimo, dicui sopra abbiam ragionato basta essa sola arenderci non improbabile che Dio la illu-strasse con soprannatural luce a conoscer lecose avvenire. Ma non basta il mostrare che

ciò potesse avvenire: convien cercare se avvenisse difatto. Or questo è il punto su cui vi ha tra gli scrittori di-scordia maggiore, e, ciò ch'è più degno di maraviglia,

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Varj pareriintorno allesue profe-zie.

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tra' medesimi scrittori antichi, de' quali solo io cerco. Si-cardo vescovo di Cremona, che vivea al tempo medesi-mo di Gioachimo, afferma (in Chron. ad. an. 1194,Script. rer. ital. vol. 7, p. 617) ch'egli ebbe veracementespirito di profezia. "His temporibus quidam exstitit Joa-chim Apulus Abbas, qui spiritum habuit prophetandi etprophetavit de morte Imperatoris Henrici et futura deso-latione Siculi Regni, et defectu Romani Imperii, quodmanifestissime declaratum est". Al contrario RuggieroHoweden, che pur vivea al medesimo tempo, ne parlacome di un falso profeta e venditor di menzogne; e nereca in prova la predizione ch'ei narra fatta da lui in Si-cilia l'an. 1190 a Riccardo re d'Inghilterra e a Filippo redi Francia sul felice esito della guerra sacra, per cui essimovevano (Ann. Anglic. ad an. 1190). Di questo fattoragioneremo trappoco. Or basti averlo accennato per di-mostrare quanto diverse fossero le opinioni intorno aGioachimo, mentre ancor egli vivea. S. Tommaso mede-simo non ne giudicò troppo favorevolmente dicendo (in4 Sentent. Dist. 43, qu. 1, art. 3) che Gioachimo avea inalcune cose predetto il vero per sola forza di naturale in-tendimento, e che in altre erasi ingannato. Anzi in unaVita di questo santo dottore scritta da Guglielmo di Toc-co vissuto al principio del XIV secolo, e ch'è stata pub-blicata dal p. Bollando (Acta SS. martii ad d. 7), si narrache avendo egli osservato che d'alcuni detti dell'abateGioachimo abusavan gli Eretici, presa una copiadell'opere da lui scritte segnò con una linea quelle paro-le e que' passi che contenevano errore. Il che però forse,

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tra' medesimi scrittori antichi, de' quali solo io cerco. Si-cardo vescovo di Cremona, che vivea al tempo medesi-mo di Gioachimo, afferma (in Chron. ad. an. 1194,Script. rer. ital. vol. 7, p. 617) ch'egli ebbe veracementespirito di profezia. "His temporibus quidam exstitit Joa-chim Apulus Abbas, qui spiritum habuit prophetandi etprophetavit de morte Imperatoris Henrici et futura deso-latione Siculi Regni, et defectu Romani Imperii, quodmanifestissime declaratum est". Al contrario RuggieroHoweden, che pur vivea al medesimo tempo, ne parlacome di un falso profeta e venditor di menzogne; e nereca in prova la predizione ch'ei narra fatta da lui in Si-cilia l'an. 1190 a Riccardo re d'Inghilterra e a Filippo redi Francia sul felice esito della guerra sacra, per cui essimovevano (Ann. Anglic. ad an. 1190). Di questo fattoragioneremo trappoco. Or basti averlo accennato per di-mostrare quanto diverse fossero le opinioni intorno aGioachimo, mentre ancor egli vivea. S. Tommaso mede-simo non ne giudicò troppo favorevolmente dicendo (in4 Sentent. Dist. 43, qu. 1, art. 3) che Gioachimo avea inalcune cose predetto il vero per sola forza di naturale in-tendimento, e che in altre erasi ingannato. Anzi in unaVita di questo santo dottore scritta da Guglielmo di Toc-co vissuto al principio del XIV secolo, e ch'è stata pub-blicata dal p. Bollando (Acta SS. martii ad d. 7), si narrache avendo egli osservato che d'alcuni detti dell'abateGioachimo abusavan gli Eretici, presa una copiadell'opere da lui scritte segnò con una linea quelle paro-le e que' passi che contenevano errore. Il che però forse,

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come osserva opportunamente il p. Papebrochio, s.Tommaso fece soltanto perchè si avvertisse a non pren-dere in reo senso que' passi, non già perchè ei li credesseveramente infetti di errore. Non molto dopo i tempi di s.Tommaso, Dante parlò di lui, come di vero profeta.

Il calavrese abate GioachimoDi profetico spirito dotato (Parad. c. 12, v. 140).

Or se gli antichi scrittori che vissero insieme, o nonmolto dopo Gioachimo, non poterono accordarsi nel for-marne il carattere, qual maraviglia che discordin tra loroi moderni? Più dunque che ai loro detti, convien riflette-re ai fatti, e ricercare se l'abate Gioachimo abbia fattemai profezie e se esse si siano avverate.

X. In ciò ancora io non seguirò i moderniscrittori che non bastano a persuadermi,ma sol gli antichi, che sembrano assai piùdegni di fede. Ma che, dovrem noi dire,se anche nei fatti veggiamo in essi con-

traddizioni e inverisimiglianze grandissime? L'Anonimovaticano pubblicato dopo altri dal Muratori, ci narra unaleggiadra novella (Script. rer. ital. vol. 8, p. 778). ArrigoV, imperadore, essendo andato in Calabria, l'abate Gioa-chimo gli venne innanzi, e gli disse che l'imperadriceCostanza di lui moglie, benchè non se ne fosse ancoravveduta, era incinta, ma che avrebbe partorito un de-monio; volendo così indicare Federigo II. Chi non vede

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Anche mentr'ei viveva, se ne spargevano al-cune false.

come osserva opportunamente il p. Papebrochio, s.Tommaso fece soltanto perchè si avvertisse a non pren-dere in reo senso que' passi, non già perchè ei li credesseveramente infetti di errore. Non molto dopo i tempi di s.Tommaso, Dante parlò di lui, come di vero profeta.

Il calavrese abate GioachimoDi profetico spirito dotato (Parad. c. 12, v. 140).

Or se gli antichi scrittori che vissero insieme, o nonmolto dopo Gioachimo, non poterono accordarsi nel for-marne il carattere, qual maraviglia che discordin tra loroi moderni? Più dunque che ai loro detti, convien riflette-re ai fatti, e ricercare se l'abate Gioachimo abbia fattemai profezie e se esse si siano avverate.

X. In ciò ancora io non seguirò i moderniscrittori che non bastano a persuadermi,ma sol gli antichi, che sembrano assai piùdegni di fede. Ma che, dovrem noi dire,se anche nei fatti veggiamo in essi con-

traddizioni e inverisimiglianze grandissime? L'Anonimovaticano pubblicato dopo altri dal Muratori, ci narra unaleggiadra novella (Script. rer. ital. vol. 8, p. 778). ArrigoV, imperadore, essendo andato in Calabria, l'abate Gioa-chimo gli venne innanzi, e gli disse che l'imperadriceCostanza di lui moglie, benchè non se ne fosse ancoravveduta, era incinta, ma che avrebbe partorito un de-monio; volendo così indicare Federigo II. Chi non vede

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Anche mentr'ei viveva, se ne spargevano al-cune false.

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in questo racconto la semplicità o l'impostura del narra-tore? L'arcivesc. Luca, che vale egli solo assai più chetutti gli altri scrittori insieme, racconta che Costanzaavea per Gioachimo un rispetto e una venerazion singo-lare; e che un giorno avendolo ella fatto chiamare perconfessarsegli, l'abate che la vide seduta sulla consuetasua sedia avvisolla che ricordevole dell'umiltà conve-niente a que1 sagramento, sedesse in terra, ch'ella pron-tamente ubbidì. Questo racconto non è punto improbabi-le, e si confà ottimamente al carattere virtuoso, ma nonfanatico, di Gioachimo. Ma egli certo non avrebbe par-lato mai di Federigo in quella sì ingiuriosa maniera chegli fa usare l'Anonimo Vaticano e ancorchè avesse volu-to predire i mali che da lui si sarebbero recati alla Chie-sa, l'avrebbe fatto con più rispettose espressioni. Io per-ciò non dubito punto che una tal profezia sia stata conia-ta da alcun del partito contrario a Federigo II; e troppofacilmente adottata dal detto Anonimo. Il che cominciaa mostrarci che alcuni si son presi il trastullo di fingereprofezie dell'abate Gioachimo, ch'egli non avea mai fat-te. Ciò cominciò a farsi fin da quando egli vivea; e tale,credo col p. Pagi (Crit. ad Ann. Baron. ad an. 1190) chefosse quella cui Ruggero Howeden scrittore contempo-raneo racconta fatta ai re Riccardo e Filippo, cioè chefra 7 anni sarebbe stata espugnata Gerusalemme. In fattilo stesso Ruggero narra che Gioachimo avea prima ri-sposto che non era ancor giunto il tempo di espugnareGerusalemme, e che poco, o nulla avrebbono i cristianicon quella spedizione ottenuto. E che tale fosse, e non

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in questo racconto la semplicità o l'impostura del narra-tore? L'arcivesc. Luca, che vale egli solo assai più chetutti gli altri scrittori insieme, racconta che Costanzaavea per Gioachimo un rispetto e una venerazion singo-lare; e che un giorno avendolo ella fatto chiamare perconfessarsegli, l'abate che la vide seduta sulla consuetasua sedia avvisolla che ricordevole dell'umiltà conve-niente a que1 sagramento, sedesse in terra, ch'ella pron-tamente ubbidì. Questo racconto non è punto improbabi-le, e si confà ottimamente al carattere virtuoso, ma nonfanatico, di Gioachimo. Ma egli certo non avrebbe par-lato mai di Federigo in quella sì ingiuriosa maniera chegli fa usare l'Anonimo Vaticano e ancorchè avesse volu-to predire i mali che da lui si sarebbero recati alla Chie-sa, l'avrebbe fatto con più rispettose espressioni. Io per-ciò non dubito punto che una tal profezia sia stata conia-ta da alcun del partito contrario a Federigo II; e troppofacilmente adottata dal detto Anonimo. Il che cominciaa mostrarci che alcuni si son presi il trastullo di fingereprofezie dell'abate Gioachimo, ch'egli non avea mai fat-te. Ciò cominciò a farsi fin da quando egli vivea; e tale,credo col p. Pagi (Crit. ad Ann. Baron. ad an. 1190) chefosse quella cui Ruggero Howeden scrittore contempo-raneo racconta fatta ai re Riccardo e Filippo, cioè chefra 7 anni sarebbe stata espugnata Gerusalemme. In fattilo stesso Ruggero narra che Gioachimo avea prima ri-sposto che non era ancor giunto il tempo di espugnareGerusalemme, e che poco, o nulla avrebbono i cristianicon quella spedizione ottenuto. E che tale fosse, e non

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altra la risposta di Gioachimo, l'afferma ancora Bernar-do di Guidone (Vita Clement. III, Script. rer. ital. t. 3,pars 1, p. 478). Ma per confortare i crociati dovette pro-babilmente spargersi ad arte la voce che Gioachimoavesse differita allo spazio sol di 7 anni la presa di Ge-rusalemme. In tal maniera mentre ancor vive Gioachi-mo, si spacciavano profezie finte a capriccio e a luifrancamente si attribuivano. Questo stesso ci mostra cheGioachimo era tenuto universalmente in concetto divero profeta, ma insieme ci avverte a non fidarci troppoalla cieca a ciò che anche gli scrittori contemporanei ciraccontano essere stato da lui predetto; poichè forse essipoterono troppo facilmente dar fede alle voci incerte delpopolo, che su ciò si spargeano.

XI. Come potrem noi dunque conoscere fi-nalmente ciò pur vorremmo sapere, se Gioa-chimo fosse o non fosse profeta? L'unicomezzo a ben giudicarne, sembrami quello dicui ha fatto uso il p. Papebrochio, cioè con-sultare le opere stesse che di lui ci sono ri-

maste; vedere se in esse, abbia predetto cose avvenire ese esse siansi di fatto avverate. Or egli rapporta due let-tere da Gioachimo scritte l'una l'an. 1191 ad un suo ami-co di Messina, il quale avealo avvertito che il re Tancre-di mostravasi contro di lui acceso di fiero sdegno; l'altral'an. 1193 al medesimo re che con sua lettera avealo mi-nacciato di distruggere i monasteri della sua Congrega-

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Che debba credersi di quelle che sono inseri-te nelle sue opere.

altra la risposta di Gioachimo, l'afferma ancora Bernar-do di Guidone (Vita Clement. III, Script. rer. ital. t. 3,pars 1, p. 478). Ma per confortare i crociati dovette pro-babilmente spargersi ad arte la voce che Gioachimoavesse differita allo spazio sol di 7 anni la presa di Ge-rusalemme. In tal maniera mentre ancor vive Gioachi-mo, si spacciavano profezie finte a capriccio e a luifrancamente si attribuivano. Questo stesso ci mostra cheGioachimo era tenuto universalmente in concetto divero profeta, ma insieme ci avverte a non fidarci troppoalla cieca a ciò che anche gli scrittori contemporanei ciraccontano essere stato da lui predetto; poichè forse essipoterono troppo facilmente dar fede alle voci incerte delpopolo, che su ciò si spargeano.

XI. Come potrem noi dunque conoscere fi-nalmente ciò pur vorremmo sapere, se Gioa-chimo fosse o non fosse profeta? L'unicomezzo a ben giudicarne, sembrami quello dicui ha fatto uso il p. Papebrochio, cioè con-sultare le opere stesse che di lui ci sono ri-

maste; vedere se in esse, abbia predetto cose avvenire ese esse siansi di fatto avverate. Or egli rapporta due let-tere da Gioachimo scritte l'una l'an. 1191 ad un suo ami-co di Messina, il quale avealo avvertito che il re Tancre-di mostravasi contro di lui acceso di fiero sdegno; l'altral'an. 1193 al medesimo re che con sua lettera avealo mi-nacciato di distruggere i monasteri della sua Congrega-

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Che debba credersi di quelle che sono inseri-te nelle sue opere.

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zione; e in amendue, e nella seconda singolarmente,Gioachimo predice al re la rovina che a lui e a' figliuolidi lui soprastava, predizione che dal fatto fu comprovatal'an. 1194, in cui Tancredi, dopo aver perduto per morteil primogenito suo Ruggero morì egli pure, e non moltodopo Sibilla moglie di Tancredi coll'altro suo figlio Gu-glielmo costretti furono a darsi nelle mani d'Arrigo e fu-rono da lui trattati con eccessivo rigore. Più chiare anco-ra e più certe sono le profezie che veggiam da lui fattene' suoi Comenti su Geremia da lui verso l'an. 1197 in-dirizzati all'imp. Arrigo V. Egli gli predice chequand'egli dia fine alla sua vita insieme e al suo regno,due rivali sorgeranno a contrastar dell'impero: "Vide au-tem tu, qui Vipera diceris (così parla ad Arrigo), ne, tepereunte morteque praevento Imperii latera disrumpan-tur; et aliqui quasi duae viperae ad apicem potestatisascendant; et quasi alter Evilmerodach unus eorum obti-neat, qui in brevi tempore a morsu regali retro cadat".Potevasi egli adombrar meglio lo stato dell'impero dopola morte d'Arrigo, la lunga guerra tra Ottone e Filippo,la morte di Filippo, che rendette Ottone posseditore deltrono e l'abbatterlo che presto fece Federigo II, il qualfinalmente rimase padron dell'impero? Tutte le qualicose avvennero alcuni giorni dopo la morte di Gioachi-mo. Egli va innanzi ancora, e apertamente predice il tri-bolare che Federigo (fanciullo di 3 anni, mentre Gioa-chimo scrivea, e che contavane 8 quando ei morì) avreb-be fatto la Chiesa e il pontefice; la vergognosa pacech'egli avrebbe stretta co' Saracini; l'estinzione della fa-

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zione; e in amendue, e nella seconda singolarmente,Gioachimo predice al re la rovina che a lui e a' figliuolidi lui soprastava, predizione che dal fatto fu comprovatal'an. 1194, in cui Tancredi, dopo aver perduto per morteil primogenito suo Ruggero morì egli pure, e non moltodopo Sibilla moglie di Tancredi coll'altro suo figlio Gu-glielmo costretti furono a darsi nelle mani d'Arrigo e fu-rono da lui trattati con eccessivo rigore. Più chiare anco-ra e più certe sono le profezie che veggiam da lui fattene' suoi Comenti su Geremia da lui verso l'an. 1197 in-dirizzati all'imp. Arrigo V. Egli gli predice chequand'egli dia fine alla sua vita insieme e al suo regno,due rivali sorgeranno a contrastar dell'impero: "Vide au-tem tu, qui Vipera diceris (così parla ad Arrigo), ne, tepereunte morteque praevento Imperii latera disrumpan-tur; et aliqui quasi duae viperae ad apicem potestatisascendant; et quasi alter Evilmerodach unus eorum obti-neat, qui in brevi tempore a morsu regali retro cadat".Potevasi egli adombrar meglio lo stato dell'impero dopola morte d'Arrigo, la lunga guerra tra Ottone e Filippo,la morte di Filippo, che rendette Ottone posseditore deltrono e l'abbatterlo che presto fece Federigo II, il qualfinalmente rimase padron dell'impero? Tutte le qualicose avvennero alcuni giorni dopo la morte di Gioachi-mo. Egli va innanzi ancora, e apertamente predice il tri-bolare che Federigo (fanciullo di 3 anni, mentre Gioa-chimo scrivea, e che contavane 8 quando ei morì) avreb-be fatto la Chiesa e il pontefice; la vergognosa pacech'egli avrebbe stretta co' Saracini; l'estinzione della fa-

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miglia degl'imperadori svevi; la scomunica che controdi lui sarebbe stata fulminata, ed altre sì fatte cose cheGioachimo non potè prevedere se non per lume infusodal cielo. Io non recherò qui tutti i passi in cui egli hafatte tai predizioni, che si posson veder raccolti dal sud-detto p. Papebrochio. Mi basti il riferirne un solo, in cuichiarimente descrive e l'alto stato in cui Federigo sareb-be salito, e le finte promesse con cui avrebbe lusingati ipontefici, e la guerra che avrebbe poscia lor mossa, el'anatema con cui sarebbe stato punito: "Sane ipse Regu-lus altius volabit et latius, ut per cunctam Imperii latitu-dinem affligat Ecclesiam.... Hic tamen interim blandie-tur facie in principio ortus sui, sed tempore procedente,veluti alter Balthassar, abutetur in foeminarum concupi-scentiis, Templi, scilicet, Ecclesiae, vasis. Nam volatusejus etsi culpam insinuet tamen dolose et invide ipsuminnuit esse venturum... Cadet in gladio non viri, et gla-dius non hominis vorabit eum gladius scilicet non hu-manus, sed gladius spiritus verbi". Da tutte le quali cosesembra potersi raccogliere che, quando i codici sui qualisi è fatta l'edizione dell'opere dell'abate Gioachimo sia-no originali, o almeno antichi, per poco che non v'abbialuogo a temere d'interpolazione, o d'impostura, le predi-zioni in esse inserite si debbon avere in conto di vere esoprannaturali profezie.

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miglia degl'imperadori svevi; la scomunica che controdi lui sarebbe stata fulminata, ed altre sì fatte cose cheGioachimo non potè prevedere se non per lume infusodal cielo. Io non recherò qui tutti i passi in cui egli hafatte tai predizioni, che si posson veder raccolti dal sud-detto p. Papebrochio. Mi basti il riferirne un solo, in cuichiarimente descrive e l'alto stato in cui Federigo sareb-be salito, e le finte promesse con cui avrebbe lusingati ipontefici, e la guerra che avrebbe poscia lor mossa, el'anatema con cui sarebbe stato punito: "Sane ipse Regu-lus altius volabit et latius, ut per cunctam Imperii latitu-dinem affligat Ecclesiam.... Hic tamen interim blandie-tur facie in principio ortus sui, sed tempore procedente,veluti alter Balthassar, abutetur in foeminarum concupi-scentiis, Templi, scilicet, Ecclesiae, vasis. Nam volatusejus etsi culpam insinuet tamen dolose et invide ipsuminnuit esse venturum... Cadet in gladio non viri, et gla-dius non hominis vorabit eum gladius scilicet non hu-manus, sed gladius spiritus verbi". Da tutte le quali cosesembra potersi raccogliere che, quando i codici sui qualisi è fatta l'edizione dell'opere dell'abate Gioachimo sia-no originali, o almeno antichi, per poco che non v'abbialuogo a temere d'interpolazione, o d'impostura, le predi-zioni in esse inserite si debbon avere in conto di vere esoprannaturali profezie.

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XII. I confini di brevità, tra cui mi sonoprefisso di contenermi, non mi permettondi stendermi più ampiamente su questo ar-gomento, nè mi è necessario il farlo, aven-

do già rischiarata, quanto si potea bramare, una sì intral-ciata quistione il più volte lodato p. Papebrochio. Egliriferisce ancora più altre profezie estratte dall'operedell'abate Gioachimo intorno alle contraddizioni che lesue profezie medesime avrebbon sofferte, alle vicende acui sarebbe stata soggetta e la sua Congregazione e tuttol'Ordine cisterciense, a' nuovi Ordini che nella Chiesa diDio sarebbon nati non solo ne' tempi a lui vicini, ma ne'più lontani ancora; e singolarmente arreca le chiarissimeformole con cui predisse i due incliti Ordini de' Predica-tori e de' Minori che poco dopo dovean avere comincia-mento, benchè insieme mostri la falsità di ciò ch'altrihanno scritto, cioè che egli nel tempio di s. Marco inVenezia ne facesse profeticamente dipingere co' lor pro-prj abiti i due santissimi fondatori. Egli scioglie ancorafelicemente la non piccola difficoltà che contro le profe-zie di Gioachimo nasce dal non troppo favorevol giudi-zio portatone da s. Tommaso; e mostra che l'abuso chealcuni avean cominciato a farne, e gli errori che da alcu-ne di esse non ben intese ebbero origine, e le predizioniche sotto il nome dell'abate Gioachimo da alcuni mali-gnamente si disseminavano, indussero il santo ad usar dimolta cautela nel ragionarne, e ad adoperare espressioniche in altre circostanze probabilmente ei non avrebbeadoperate. Tutta questa dissertazione del p. Papebrochio

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Giudizio da-tone dal Pa-pebrochio.

XII. I confini di brevità, tra cui mi sonoprefisso di contenermi, non mi permettondi stendermi più ampiamente su questo ar-gomento, nè mi è necessario il farlo, aven-

do già rischiarata, quanto si potea bramare, una sì intral-ciata quistione il più volte lodato p. Papebrochio. Egliriferisce ancora più altre profezie estratte dall'operedell'abate Gioachimo intorno alle contraddizioni che lesue profezie medesime avrebbon sofferte, alle vicende acui sarebbe stata soggetta e la sua Congregazione e tuttol'Ordine cisterciense, a' nuovi Ordini che nella Chiesa diDio sarebbon nati non solo ne' tempi a lui vicini, ma ne'più lontani ancora; e singolarmente arreca le chiarissimeformole con cui predisse i due incliti Ordini de' Predica-tori e de' Minori che poco dopo dovean avere comincia-mento, benchè insieme mostri la falsità di ciò ch'altrihanno scritto, cioè che egli nel tempio di s. Marco inVenezia ne facesse profeticamente dipingere co' lor pro-prj abiti i due santissimi fondatori. Egli scioglie ancorafelicemente la non piccola difficoltà che contro le profe-zie di Gioachimo nasce dal non troppo favorevol giudi-zio portatone da s. Tommaso; e mostra che l'abuso chealcuni avean cominciato a farne, e gli errori che da alcu-ne di esse non ben intese ebbero origine, e le predizioniche sotto il nome dell'abate Gioachimo da alcuni mali-gnamente si disseminavano, indussero il santo ad usar dimolta cautela nel ragionarne, e ad adoperare espressioniche in altre circostanze probabilmente ei non avrebbeadoperate. Tutta questa dissertazione del p. Papebrochio

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Giudizio da-tone dal Pa-pebrochio.

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è degnissima di essere letta; e io spero che chiunqueprenderà a leggerla, avrà a confessare ch'io non ne hogiudicato con troppo favorevole prevenzione. Degli er-rori che all'occasione de' libri dell'abate Gioachimo sidivulgaron da alcuni, dovrem ragionare in questo capomedesimo ove tratteremo di Giovanni da Parmadell'Ord. de' Minori. Ma prima di passar oltre, rimane adir qualche cosa intorno a quelle profezie dell'abateGioachimo, che sono anche ai nostri giorni le più famo-se, cioè a quelle sui romani pontefici.

XIII. Che Gioachimo avesse scritte pro-fezie intorno a' futuri pontefici, si affer-ma dagli scrittori della sua Vita; e più an-tica testimonianza ne abbiamo in un librodel b. Telesforo da Cosenza, che fiorì al

cominciamento dello scisma d'Occidente. Il Papebro-chio arreca un passo di questo scrittore, in cui diced'aver egli medesimo veduto il libro intitolato del Fiore,che Gioachimo avea scritto su questo argomento; ch'eglicominciava la serie de' papi da Innocenzo IV, e chegiungeva fino a' tempi dell'Anticristo col qual nome, se-condo alcuni, accennasi il fine del mondo, secondo altri,l'antipapa Clemente VII che fu il primo tra quelli cheformarono il suddetto scisma. Telesforo aggiugne che illibro di Gioachimo cominciava con queste parole: Tem-pore colubri Leaenae filii. Quest'opera di Gioachimo ècertamente perduta, come osserva il Papebrochio, ed è

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Quelle intorno ai romani pon-tefici son certa-mente supposte.

è degnissima di essere letta; e io spero che chiunqueprenderà a leggerla, avrà a confessare ch'io non ne hogiudicato con troppo favorevole prevenzione. Degli er-rori che all'occasione de' libri dell'abate Gioachimo sidivulgaron da alcuni, dovrem ragionare in questo capomedesimo ove tratteremo di Giovanni da Parmadell'Ord. de' Minori. Ma prima di passar oltre, rimane adir qualche cosa intorno a quelle profezie dell'abateGioachimo, che sono anche ai nostri giorni le più famo-se, cioè a quelle sui romani pontefici.

XIII. Che Gioachimo avesse scritte pro-fezie intorno a' futuri pontefici, si affer-ma dagli scrittori della sua Vita; e più an-tica testimonianza ne abbiamo in un librodel b. Telesforo da Cosenza, che fiorì al

cominciamento dello scisma d'Occidente. Il Papebro-chio arreca un passo di questo scrittore, in cui diced'aver egli medesimo veduto il libro intitolato del Fiore,che Gioachimo avea scritto su questo argomento; ch'eglicominciava la serie de' papi da Innocenzo IV, e chegiungeva fino a' tempi dell'Anticristo col qual nome, se-condo alcuni, accennasi il fine del mondo, secondo altri,l'antipapa Clemente VII che fu il primo tra quelli cheformarono il suddetto scisma. Telesforo aggiugne che illibro di Gioachimo cominciava con queste parole: Tem-pore colubri Leaenae filii. Quest'opera di Gioachimo ècertamente perduta, come osserva il Papebrochio, ed è

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Quelle intorno ai romani pon-tefici son certa-mente supposte.

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probabile che i monaci stessi la facesser perire, temendoche cotai profezie potesser riuscire ad essi pericolose. Enondimeno si spacciano ancora le profezie intorno a'papi dell'abate Gioachimo e non manca anche al presen-te chi alla creazion del nuovo papa brami di risapere chene dica questo famoso profeta. Corrono in fatti per lemani del volgo alcuni vaticinj di tal natura attribuitiall'abate Gioachimo. Ma basta il leggerli, perchè un uomsaggio ne conosca subito l'impostura. Il libro di Gioa-chimo cominciava da Innocenzo IV, e le profezie cheora abbiamo, cominciano da Niccolò III. Quello giugne-va a' tempi dell'Anticristo, qualunque persona egli inten-desse sotto tal nome; queste dell'Anticristo non fannomotto; anzi in alcune edizioni giungono fino ad Inno-cenzo VIII morto l'an. 1492, benchè ciò che appartienea' papi successori di Urbano VI, si pretenda da altri chesia opera di Anselmo vescovo marsicano vissuto al prin-cipio del XIII secolo. Ma, come opportunamente osser-va il p. Papebrochio (Propileum ad Act. SS. maii diss.41), il poeta impostore, chiunque ei fosse, non fu abba-stanza avveduto perciocchè avendo voluto alle sue pro-fezie aggiugnere ancora simboli e figure, rappresentòtutti i pontefici col triregno in capo, il quale ornamentoessendo stato trovato da Urbano V, non dovea attribuirsia dodici altri pontefici di lui più antichi, che non l'usaro-no. Lo stesso p. Papebrochio congettura con ottimo fon-damento che le profezie intorno a XV papi da NiccolòIII fino ad Urbano VI, che sono le più comunemente at-tribuite all'abate Gioachimo, fosser lavoro di qualche

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probabile che i monaci stessi la facesser perire, temendoche cotai profezie potesser riuscire ad essi pericolose. Enondimeno si spacciano ancora le profezie intorno a'papi dell'abate Gioachimo e non manca anche al presen-te chi alla creazion del nuovo papa brami di risapere chene dica questo famoso profeta. Corrono in fatti per lemani del volgo alcuni vaticinj di tal natura attribuitiall'abate Gioachimo. Ma basta il leggerli, perchè un uomsaggio ne conosca subito l'impostura. Il libro di Gioa-chimo cominciava da Innocenzo IV, e le profezie cheora abbiamo, cominciano da Niccolò III. Quello giugne-va a' tempi dell'Anticristo, qualunque persona egli inten-desse sotto tal nome; queste dell'Anticristo non fannomotto; anzi in alcune edizioni giungono fino ad Inno-cenzo VIII morto l'an. 1492, benchè ciò che appartienea' papi successori di Urbano VI, si pretenda da altri chesia opera di Anselmo vescovo marsicano vissuto al prin-cipio del XIII secolo. Ma, come opportunamente osser-va il p. Papebrochio (Propileum ad Act. SS. maii diss.41), il poeta impostore, chiunque ei fosse, non fu abba-stanza avveduto perciocchè avendo voluto alle sue pro-fezie aggiugnere ancora simboli e figure, rappresentòtutti i pontefici col triregno in capo, il quale ornamentoessendo stato trovato da Urbano V, non dovea attribuirsia dodici altri pontefici di lui più antichi, che non l'usaro-no. Lo stesso p. Papebrochio congettura con ottimo fon-damento che le profezie intorno a XV papi da NiccolòIII fino ad Urbano VI, che sono le più comunemente at-tribuite all'abate Gioachimo, fosser lavoro di qualche

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scismatico fautore dell'antipapa Clemente VII; e il rac-coglie dalle ingiuriose espressioni con cui il preteso pro-feta parla di Urbano, e da' simboli con cui il descrive;perciocchè egli il dipinge figura di orribile alato dragoche giace sul fuoco col capo umano, colle orecchied'asino, colla fronte ornata alla foggia de' dogi veneti, ecolla coda armata di spada infocata, che sembra trasci-nar nove stelle dal cielo in terra, mentre altre otto ri-splendono intorno alla luna; e quindi di lui dice ch'egli èl'ultima fiera orribile a vedersi, che trarrà dal cielo lestelle, che fuggiranno gli uccelli, e i rettili soli si rimar-ranno; e volgendosi poscia a lui stesso crudel fiera,esclama, che consumi ogni cosa, l'inferno ti aspetta.Non è egli questo un parlare qual si conviene appunto aun furioso scismatico e seguace dell'antipapa Clemente?Conchiudiam dunque che le profezie su' romani pontefi-ci attribuite all'abate Gioachimo non sono che un'impo-stura indegna di formare l'occupazione d'un uom saggio.Nè io mi sarei trattenuto sì lungo tempo a favellar diquest'uomo sì rinomato, se non avessi creduto opportu-no il liberarlo dalla taccia che quasi tutti i moderni scrit-tori gli danno, d'impostore, o almen di fanatico e di vi-sionario. Essi credono per avventura di non poterne giu-dicar altrimenti, senza esser creduti deboli e superstizio-si. Io non ricuserò di esser creduto tale, quando mi si di-mostri l'insussistenza delle ragioni che a difesa di Gioa-chimo ho finora allegate.

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scismatico fautore dell'antipapa Clemente VII; e il rac-coglie dalle ingiuriose espressioni con cui il preteso pro-feta parla di Urbano, e da' simboli con cui il descrive;perciocchè egli il dipinge figura di orribile alato dragoche giace sul fuoco col capo umano, colle orecchied'asino, colla fronte ornata alla foggia de' dogi veneti, ecolla coda armata di spada infocata, che sembra trasci-nar nove stelle dal cielo in terra, mentre altre otto ri-splendono intorno alla luna; e quindi di lui dice ch'egli èl'ultima fiera orribile a vedersi, che trarrà dal cielo lestelle, che fuggiranno gli uccelli, e i rettili soli si rimar-ranno; e volgendosi poscia a lui stesso crudel fiera,esclama, che consumi ogni cosa, l'inferno ti aspetta.Non è egli questo un parlare qual si conviene appunto aun furioso scismatico e seguace dell'antipapa Clemente?Conchiudiam dunque che le profezie su' romani pontefi-ci attribuite all'abate Gioachimo non sono che un'impo-stura indegna di formare l'occupazione d'un uom saggio.Nè io mi sarei trattenuto sì lungo tempo a favellar diquest'uomo sì rinomato, se non avessi creduto opportu-no il liberarlo dalla taccia che quasi tutti i moderni scrit-tori gli danno, d'impostore, o almen di fanatico e di vi-sionario. Essi credono per avventura di non poterne giu-dicar altrimenti, senza esser creduti deboli e superstizio-si. Io non ricuserò di esser creduto tale, quando mi si di-mostri l'insussistenza delle ragioni che a difesa di Gioa-chimo ho finora allegate.

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XIV. Or venendo agli altri Italiani che neltempo di cui scriviamo furon celebri pe' sa-cri studj da lor coltivati, ci si offron dappri-ma molti dottissimi professori che l'Italiadiede all'università di Parigi. Lanfranco e

Anselmo erano stati in Francia i ristoratori degli studj, esingolarmente della teologia. Pier lombardo avea allauniversità di Parigi accresciuto gran nome col suo sape-re e co' suoi libri, come nel precedente tomo si è dimo-strato. Nel presente secolo ancora veggiamo non pochiItaliani mostrarsi su quel luminoso teatro, e divenirel'oggetto d'ammirazione degli stranieri tra cui viveano.Noi li verremo annoverando partitamente e ci tratterre-mo or più, or meno nel ragionarne, come richiederan lecose che intorno ad essi dovrem ricercare; e speriamoche i Francesi ci permetteran volentieri che ricordiamocon sentimenti di gratitudine gli onori ch'essi renderonoa' professori italiani ch'ebber la sorte di esser chiamati aquella università sì famosa. Cominciamo da quello dicui è troppo celebre il nome, perchè non debba a tuttiessere preferito, dico da s. Tommaso d'Aquino.

XV. Io non debbo qui esaminare ciò che ap-partiene alla vita, alle virtù, a' miracoli diquesto santo dottore. Le Vite, che antica-mente ne furono scritte e che sono state datealla luce dal p. Enschenio (Acta SS. mart.

ad d. 7), e quelle che hanno scritto molti moderni, pos-

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Professori italiani di teologia in Parigi.

Epoche del-la vita di s.Tommasod'Aquino.

XIV. Or venendo agli altri Italiani che neltempo di cui scriviamo furon celebri pe' sa-cri studj da lor coltivati, ci si offron dappri-ma molti dottissimi professori che l'Italiadiede all'università di Parigi. Lanfranco e

Anselmo erano stati in Francia i ristoratori degli studj, esingolarmente della teologia. Pier lombardo avea allauniversità di Parigi accresciuto gran nome col suo sape-re e co' suoi libri, come nel precedente tomo si è dimo-strato. Nel presente secolo ancora veggiamo non pochiItaliani mostrarsi su quel luminoso teatro, e divenirel'oggetto d'ammirazione degli stranieri tra cui viveano.Noi li verremo annoverando partitamente e ci tratterre-mo or più, or meno nel ragionarne, come richiederan lecose che intorno ad essi dovrem ricercare; e speriamoche i Francesi ci permetteran volentieri che ricordiamocon sentimenti di gratitudine gli onori ch'essi renderonoa' professori italiani ch'ebber la sorte di esser chiamati aquella università sì famosa. Cominciamo da quello dicui è troppo celebre il nome, perchè non debba a tuttiessere preferito, dico da s. Tommaso d'Aquino.

XV. Io non debbo qui esaminare ciò che ap-partiene alla vita, alle virtù, a' miracoli diquesto santo dottore. Le Vite, che antica-mente ne furono scritte e che sono state datealla luce dal p. Enschenio (Acta SS. mart.

ad d. 7), e quelle che hanno scritto molti moderni, pos-

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Professori italiani di teologia in Parigi.

Epoche del-la vita di s.Tommasod'Aquino.

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sono a ciò somministrar le più ampie e le più esatte noti-zie. Io debbo solo osservare ciò che appartiene agli studjda lui fatti, alle cattedre occupate, alle opere pubblicate,e al lume ch'egli ha sparso su quelle scienze a cui si ri-volse. Tommaso figliuol di Landolfo conte d'Aquino edi Teodora de' conti di Chieti, nato in Rocca Secca nelladiocesi d'Aquino l'anno 1225, o, secondo altri, il 1227,poichè fu giunto all'età di cinque anni, fu da' genitorimandato a Monte Casino, perchè insieme con altri nobi-li fanciulli che ivi si allevavano, fosse istruito nella Reli-gione non meno che negli elementi della letteratura. Seegli in quel monastero medesimo vestisse l'abito di s.Benedetto, si è disputato assai in questi ultimi tempi, esi posson vedere le due dissertazioni stampate su questoargomento una contro l'altra l'an. 1722 (De Monachatubenedict. D. Thom. ec., De Fabula Monachatus bene-dict. D. Th. ec.), la prima dal p. Serry in difesa del mo-nacato di s. Tommaso, l'altra in risposta ad essa dal p. deRubeis amendue dello stesso Ordine de' Predicatori. Gu-glielmo di Tocco antico scrittore della Vita del santo diciò non fa motto; ma dice bensì che l'abate di monte Ca-sino veggendo il vivace ingegno di cui era fornito Tom-maso, persuase al co. Landolfo che il mandasse agli stu-dj in Napoli e che essendosi ciò eseguito, Tommaso viebbe a maestri nella gramatica e nella dialettica un cotalMartino, nella fisica que' Pietro ibernese medesimo cheabbiam veduto chiamato a Napoli da Federigo II per te-nervi scuola di leggi, e che forse avea cambiato il Codi-ce di Giustiniano colla fisica di Aristotele. Ne' quali stu-

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sono a ciò somministrar le più ampie e le più esatte noti-zie. Io debbo solo osservare ciò che appartiene agli studjda lui fatti, alle cattedre occupate, alle opere pubblicate,e al lume ch'egli ha sparso su quelle scienze a cui si ri-volse. Tommaso figliuol di Landolfo conte d'Aquino edi Teodora de' conti di Chieti, nato in Rocca Secca nelladiocesi d'Aquino l'anno 1225, o, secondo altri, il 1227,poichè fu giunto all'età di cinque anni, fu da' genitorimandato a Monte Casino, perchè insieme con altri nobi-li fanciulli che ivi si allevavano, fosse istruito nella Reli-gione non meno che negli elementi della letteratura. Seegli in quel monastero medesimo vestisse l'abito di s.Benedetto, si è disputato assai in questi ultimi tempi, esi posson vedere le due dissertazioni stampate su questoargomento una contro l'altra l'an. 1722 (De Monachatubenedict. D. Thom. ec., De Fabula Monachatus bene-dict. D. Th. ec.), la prima dal p. Serry in difesa del mo-nacato di s. Tommaso, l'altra in risposta ad essa dal p. deRubeis amendue dello stesso Ordine de' Predicatori. Gu-glielmo di Tocco antico scrittore della Vita del santo diciò non fa motto; ma dice bensì che l'abate di monte Ca-sino veggendo il vivace ingegno di cui era fornito Tom-maso, persuase al co. Landolfo che il mandasse agli stu-dj in Napoli e che essendosi ciò eseguito, Tommaso viebbe a maestri nella gramatica e nella dialettica un cotalMartino, nella fisica que' Pietro ibernese medesimo cheabbiam veduto chiamato a Napoli da Federigo II per te-nervi scuola di leggi, e che forse avea cambiato il Codi-ce di Giustiniano colla fisica di Aristotele. Ne' quali stu-

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dj fece Tommaso sì felici progressi, che lasciossi di lun-ga mano addietro tutti i suoi condiscepoli. Entrato l'anno1243 nell'Ordine de' Predicatori ebbe a soffrire dalla suafamiglia medesima un'ostinata persecuzione e una lungaprigionia di un anno in circa, con cui si sforzarono di ri-condurlo dal chiostro al mondo. Liberatone finalmentel'an. 1244 fu condotto a Parigi, e quindi tosto a Coloniaa studiarvi la teologia sotto il celebre Alberto Magno; ilquale chiamato poscia l'an. 1245 a legger la Teologia nelconvento del suo Ordine in Parigi seco condusse Tom-maso che in quella città compì in 4 anni il suo corso.Tornato indi a Colonia cominciò a tenere scuola tra isuoi di filosofia, di Teologia e di sacra Scrittura; e dopoessersi ivi trattenuto 4, o 5 anni, passò a tenerla in Pari-gi. Bollivano allora le celebri controversie tra quellauniversità e i Mendicanti intorno al diritto d'insegnarepubblicamente, e di entrare a parte degli onori della uni-versità medesima. Esse non appartengono punto al mioargomento, ed io godo di non esser costretto a rinnovar-ne se non di passaggio la spiacevol memoria. S. Tom-maso all'occasione di esse sen venne in Italia, e giovònon poco alla causa de' suoi, ch'ebbero al tribunale diAlessandro IV una compiuta vittoria sopra i loro avver-sari. Dopo essa tornato a Parigi vi fu solennemente rice-vuto dottore l'an. 1257. E quella celebre università cheaveagli prima contrastato questo onorevole grado, fu po-scia ed è anche al presente lietissima di averglielo con-ferito. Per tre, o quattro anni continuò egli a tenerviscuola di teologia. Tornato poscia in Italia, l'an. 1260 e

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dj fece Tommaso sì felici progressi, che lasciossi di lun-ga mano addietro tutti i suoi condiscepoli. Entrato l'anno1243 nell'Ordine de' Predicatori ebbe a soffrire dalla suafamiglia medesima un'ostinata persecuzione e una lungaprigionia di un anno in circa, con cui si sforzarono di ri-condurlo dal chiostro al mondo. Liberatone finalmentel'an. 1244 fu condotto a Parigi, e quindi tosto a Coloniaa studiarvi la teologia sotto il celebre Alberto Magno; ilquale chiamato poscia l'an. 1245 a legger la Teologia nelconvento del suo Ordine in Parigi seco condusse Tom-maso che in quella città compì in 4 anni il suo corso.Tornato indi a Colonia cominciò a tenere scuola tra isuoi di filosofia, di Teologia e di sacra Scrittura; e dopoessersi ivi trattenuto 4, o 5 anni, passò a tenerla in Pari-gi. Bollivano allora le celebri controversie tra quellauniversità e i Mendicanti intorno al diritto d'insegnarepubblicamente, e di entrare a parte degli onori della uni-versità medesima. Esse non appartengono punto al mioargomento, ed io godo di non esser costretto a rinnovar-ne se non di passaggio la spiacevol memoria. S. Tom-maso all'occasione di esse sen venne in Italia, e giovònon poco alla causa de' suoi, ch'ebbero al tribunale diAlessandro IV una compiuta vittoria sopra i loro avver-sari. Dopo essa tornato a Parigi vi fu solennemente rice-vuto dottore l'an. 1257. E quella celebre università cheaveagli prima contrastato questo onorevole grado, fu po-scia ed è anche al presente lietissima di averglielo con-ferito. Per tre, o quattro anni continuò egli a tenerviscuola di teologia. Tornato poscia in Italia, l'an. 1260 e

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1261 aprì scuola di teologia in Roma, e continuolla finoall'an. 1269, benchè cambiasse spesso soggiorno, tenen-dola or in Orvieto, or in Anagni, or in Viterbo, or in Pe-rugia, secondo che cambiavan soggiorno i romani pon-tefici. All'occasion del Capitolo generale del suo Ordi-ne, celebrato in Parigi l'anno 1269, essendo egli tornatoa questa città, per due altri anni vi tenne scuola; finchètornato in Italia l'an. 1271, aprilla di nuovo in Roma.L'università di Parigi dolente della perdita che avea fattadi un professore sì illustre, scrisse l'anno seguente al Ca-pitolo generale de' Predicatori, raunato in Firenze, perriaverlo; ma al medesimo tempo avendolo chiesto istan-temente per la sua università di Napoli il re di SiciliaCarlo I, l'ottenne, e s. Tommaso ivi passò il rimanentedella sua vita, avendo dal real erario lo stipendio diun'oncia d'oro al mese. Finalmente l'an. 1274 chiamatoda Gregorio X al concilio general di Lione, sorpreso damalattia nel viaggio, e ritiratosi nel monastero de' Ci-stercensi di Fossanuova, nella diocesi di Terracina, vimorì santamente in età di 48, o secondo altri, di 50 anni.L'università di Parigi, poichè ne intese la morte, scrisseal Capitolo generale de' Predicatori, che tenevasiquell'anno a Lione una lettera sommamente onorevole alsanto dottore, in cui dopo avere spiegato il dolore concui ne aveva udita la morte, prega l'Ordine tutto a volereconcedergliene il corpo, acciocchè esso possa avere ri-poso in quelle scuole medesime che prima ne avean for-mato lo spirito, e che poscia da lui erano state cotanto il-lustrate; e chiede insieme che le siano mandate alcune

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1261 aprì scuola di teologia in Roma, e continuolla finoall'an. 1269, benchè cambiasse spesso soggiorno, tenen-dola or in Orvieto, or in Anagni, or in Viterbo, or in Pe-rugia, secondo che cambiavan soggiorno i romani pon-tefici. All'occasion del Capitolo generale del suo Ordi-ne, celebrato in Parigi l'anno 1269, essendo egli tornatoa questa città, per due altri anni vi tenne scuola; finchètornato in Italia l'an. 1271, aprilla di nuovo in Roma.L'università di Parigi dolente della perdita che avea fattadi un professore sì illustre, scrisse l'anno seguente al Ca-pitolo generale de' Predicatori, raunato in Firenze, perriaverlo; ma al medesimo tempo avendolo chiesto istan-temente per la sua università di Napoli il re di SiciliaCarlo I, l'ottenne, e s. Tommaso ivi passò il rimanentedella sua vita, avendo dal real erario lo stipendio diun'oncia d'oro al mese. Finalmente l'an. 1274 chiamatoda Gregorio X al concilio general di Lione, sorpreso damalattia nel viaggio, e ritiratosi nel monastero de' Ci-stercensi di Fossanuova, nella diocesi di Terracina, vimorì santamente in età di 48, o secondo altri, di 50 anni.L'università di Parigi, poichè ne intese la morte, scrisseal Capitolo generale de' Predicatori, che tenevasiquell'anno a Lione una lettera sommamente onorevole alsanto dottore, in cui dopo avere spiegato il dolore concui ne aveva udita la morte, prega l'Ordine tutto a volereconcedergliene il corpo, acciocchè esso possa avere ri-poso in quelle scuole medesime che prima ne avean for-mato lo spirito, e che poscia da lui erano state cotanto il-lustrate; e chiede insieme che le siano mandate alcune

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opere da lui scritte, e singolarmente un Comento sul Ti-meo di Platone e un trattato sulla costruzione degli Ac-quedotti. Questa lettera è stata pubblicata dal du Boulai(Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 409); ma non pare che l'uni-versità ottenesse punto di ciò che bramava.

XVI. Tutte queste notizie intorno alla vita dis. Tommaso, ch'io son venuto con sommabrevità accennando, si posson vedere piùampiamente distese presso gli autori da noipoc'anzi citati, e singolarmente presso i pp.

Quetif ed Echard che ogni cosa hanno provata con auto-revoli documenti (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 271, ec.).Non ho qui fatta menzione della cattedra di teologia dalui tenuta in Bologna, perchè non ne trovo indizio in al-cun antico scrittore. Il dotto p. Touron dell'Ord. de' Pre-dicatori lo ha affermato (Vie de S. Thomas l. 3, c. 3), nonso su qual fondamento. Ma gli storici dell'università diBologna, raccoglitori per altro sì diligenti di ogni piùminuta notizia, non hanno rinvenuto alcun monumento acui appoggiare tal tradizione, e han dovuto riferirla sullasola autorità del suddetto p. Touron (De Prof. Bonon. t.1, pars 2, p. 2). Molto meno ho creduta degna di esamela popolar voce che sulla morte di s. Tommaso corse al-lora tra alcuni, e che veggiamo accennata da Dante(Purgat. c. 20), e più chiaramente espressa da GiovanniVillani: "Andando lui, dic'egli di questo santo (l. 9 c.217), a Corte di Papa al Concilio a Leone, si dice che

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Esame dialcune cir-costanze diessa.

opere da lui scritte, e singolarmente un Comento sul Ti-meo di Platone e un trattato sulla costruzione degli Ac-quedotti. Questa lettera è stata pubblicata dal du Boulai(Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 409); ma non pare che l'uni-versità ottenesse punto di ciò che bramava.

XVI. Tutte queste notizie intorno alla vita dis. Tommaso, ch'io son venuto con sommabrevità accennando, si posson vedere piùampiamente distese presso gli autori da noipoc'anzi citati, e singolarmente presso i pp.

Quetif ed Echard che ogni cosa hanno provata con auto-revoli documenti (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 271, ec.).Non ho qui fatta menzione della cattedra di teologia dalui tenuta in Bologna, perchè non ne trovo indizio in al-cun antico scrittore. Il dotto p. Touron dell'Ord. de' Pre-dicatori lo ha affermato (Vie de S. Thomas l. 3, c. 3), nonso su qual fondamento. Ma gli storici dell'università diBologna, raccoglitori per altro sì diligenti di ogni piùminuta notizia, non hanno rinvenuto alcun monumento acui appoggiare tal tradizione, e han dovuto riferirla sullasola autorità del suddetto p. Touron (De Prof. Bonon. t.1, pars 2, p. 2). Molto meno ho creduta degna di esamela popolar voce che sulla morte di s. Tommaso corse al-lora tra alcuni, e che veggiamo accennata da Dante(Purgat. c. 20), e più chiaramente espressa da GiovanniVillani: "Andando lui, dic'egli di questo santo (l. 9 c.217), a Corte di Papa al Concilio a Leone, si dice che

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Esame dialcune cir-costanze diessa.

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per uno Fisiciano di detto Re (Carlo I) per veleno limise in confetti il fece morire, credendone piacere al ReCarlo, però ch'era del lignaggio de' Signori d'Aquinosuoi rubelli, dubitando che per lo suo senno et Virtù nonfosse fatto Cardinale; onde fu grande dannaggio allaChiesa di Dio". A que' tempi non vedeasi morire alcunodi morte immatura, che non si credesse avvelenato: nègiova il trattenersi a confutare tai voci che altro fonda-mento non hanno che la popolare credulità.

XVII. Molto meno entrerò io a parlare di-stintamente di tutte le opere da questogrand'uomo composte; poichè in ciò miconverrebbe occupare più fogli, e appena

potrei dir cosa che non fosse già stata detta. I suddettipp. Quetif ed Echard, e più recentemente il dottissimo p.de Rubeis (De Gestis, ec. S. Thomae Diss. Ven. 1750),hanno esaminato e trattato questo argomento, per modoche è inutile il disputarne di nuovo. Io dirò solo general-mente, che non vi è genere alcuno di scienza che fosseallor conosciuta, che non sia stato da lui illustrato. Diciò ch'egli fece a vantaggio della filosofia, parlerem al-trove. Qui non trattiamo che degli studj sacri. I Comentida lui fatti su' libri delle Sentenze di Pier lombardo, leopere scritte contro i Gentili e contro gli Ebrei, la Sposi-zione di molti libri della sacra Scrittura, gli opuscoli ingran numero da lui composti su diversi sacri argomenti,ma sopra ogni cosa la sua Somma Teologica ci mostrano

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Sue opere eloro carat-tere.

per uno Fisiciano di detto Re (Carlo I) per veleno limise in confetti il fece morire, credendone piacere al ReCarlo, però ch'era del lignaggio de' Signori d'Aquinosuoi rubelli, dubitando che per lo suo senno et Virtù nonfosse fatto Cardinale; onde fu grande dannaggio allaChiesa di Dio". A que' tempi non vedeasi morire alcunodi morte immatura, che non si credesse avvelenato: nègiova il trattenersi a confutare tai voci che altro fonda-mento non hanno che la popolare credulità.

XVII. Molto meno entrerò io a parlare di-stintamente di tutte le opere da questogrand'uomo composte; poichè in ciò miconverrebbe occupare più fogli, e appena

potrei dir cosa che non fosse già stata detta. I suddettipp. Quetif ed Echard, e più recentemente il dottissimo p.de Rubeis (De Gestis, ec. S. Thomae Diss. Ven. 1750),hanno esaminato e trattato questo argomento, per modoche è inutile il disputarne di nuovo. Io dirò solo general-mente, che non vi è genere alcuno di scienza che fosseallor conosciuta, che non sia stato da lui illustrato. Diciò ch'egli fece a vantaggio della filosofia, parlerem al-trove. Qui non trattiamo che degli studj sacri. I Comentida lui fatti su' libri delle Sentenze di Pier lombardo, leopere scritte contro i Gentili e contro gli Ebrei, la Sposi-zione di molti libri della sacra Scrittura, gli opuscoli ingran numero da lui composti su diversi sacri argomenti,ma sopra ogni cosa la sua Somma Teologica ci mostrano

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Sue opere eloro carat-tere.

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chiaramente ch'egli era forse il più dotto uomo ch'ai suoitempi vivesse. Quest'ultima opera sola basterebbe a ren-derne immortale il nome. Perciò non sono mancati alcu-ni che gliene hanno invidiata e contrastata la gloria, ne-gando ch'egli ne fosse il vero autore. Ma i soprannomi-nati scrittori hanno con tal evidenza risposto alle ragionidegli avversarj, che niun probabilmente vorrà più soste-nere una sì mal fondata opinione. Anche il celebre p.Francesco Pagi ha prodotti forti argomenti a provare chela Somma Teologica è veramente opera di s. Tommaso,tratti dal testamento di s. Lodovico vescovo di Tolosa,da lui pubblicato dopo i Sermoni di s. Antonio da Pado-va. Or in questa e nelle altre sue opere s. Tommaso allaprofondità delle ricerche e alla forza del raziocinio ag-giunge un ordine, una connessione, una chiarezza, e unaprecision singolare tutta sua propria; in modo che il te-sto è spesso più chiaro assai del comento e della sposi-zione che alcuni vi hanno aggiunti. Nè io negherò giàche le voci scolastiche da lui usate non rechin talvoltaingombro e dispiacere a chi legge; ma esse erano alloraciò che sono al presente le espressioni geometriche edanalitiche, che da molti s'introducono per vezzo anchenella storia e nella filosofia morale. Perchè sdegnarcicon lui, s'egli ha seguiti i pregiudizj dei suo secolo, e seancora egli ha tenute alcune opinioni che in altra età egliavrebbe impugnate? Ma io non debbo qui fare l'apologiadi S. Tommaso che ha già avuti difensori troppo più va-lorosi, i quali hanno ribattute le accuse che da alcuni glisono state date, e le villanie con cui da altri è stato ol-

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chiaramente ch'egli era forse il più dotto uomo ch'ai suoitempi vivesse. Quest'ultima opera sola basterebbe a ren-derne immortale il nome. Perciò non sono mancati alcu-ni che gliene hanno invidiata e contrastata la gloria, ne-gando ch'egli ne fosse il vero autore. Ma i soprannomi-nati scrittori hanno con tal evidenza risposto alle ragionidegli avversarj, che niun probabilmente vorrà più soste-nere una sì mal fondata opinione. Anche il celebre p.Francesco Pagi ha prodotti forti argomenti a provare chela Somma Teologica è veramente opera di s. Tommaso,tratti dal testamento di s. Lodovico vescovo di Tolosa,da lui pubblicato dopo i Sermoni di s. Antonio da Pado-va. Or in questa e nelle altre sue opere s. Tommaso allaprofondità delle ricerche e alla forza del raziocinio ag-giunge un ordine, una connessione, una chiarezza, e unaprecision singolare tutta sua propria; in modo che il te-sto è spesso più chiaro assai del comento e della sposi-zione che alcuni vi hanno aggiunti. Nè io negherò giàche le voci scolastiche da lui usate non rechin talvoltaingombro e dispiacere a chi legge; ma esse erano alloraciò che sono al presente le espressioni geometriche edanalitiche, che da molti s'introducono per vezzo anchenella storia e nella filosofia morale. Perchè sdegnarcicon lui, s'egli ha seguiti i pregiudizj dei suo secolo, e seancora egli ha tenute alcune opinioni che in altra età egliavrebbe impugnate? Ma io non debbo qui fare l'apologiadi S. Tommaso che ha già avuti difensori troppo più va-lorosi, i quali hanno ribattute le accuse che da alcuni glisono state date, e le villanie con cui da altri è stato ol-

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traggiato, e singolarmente dall’apostata Oudin (DeScript. eccl. vol. 3, p. 256, ec.), il qual per altro ha assaidiligentemente trattato dell'opere da lui composte; maun grave abbaglio ha preso trattando dell'opera di s.Tommaso intitolata de Regimine Principum; perciocchèafferma che non egli, ma Egidio Colonna, ne è l'autore;come se non abbiano amendue scritto su questo argo-mento, e l'opera dell'uno non sia totalmente diversa daquella dell'altro. Essi hanno ancora esaminato ciò checoncerne la condanna di alcune proposizioni attribuite as. Tommaso fatta l'an. 1277 da Stefano Tempier vescovodi Parigi, che fu poi annullata l'an. 1315 da Stefano diBorret di lui successore. Del che parlano gli storicidell'università di Parigi (Crevier Hist. de l'Univ. de Pa-ris t. 2, p. 79, 288).

XVIII. Io so bene che dopo tutte le apologiefatte di s. Tommaso molti ancora vi sono, evi saranno probabilmente in ogni età, che neparlano con disprezzo, e senza averne mailetta per avventura una linea, se ne fan beffe

come di un misero e oscuro scolastico troppo indegno diottener lodi da spregiudicato filosofo; e a gli elogi inogni secolo e da ogni ordine di persone a lui fatti rispon-dono in breve ch'essi son sentimenti d'uomini o supersti-ziosi, o fanatici. Io mi guarderò dal venir con essi a con-tesa; che il mio giudizio non sarebbe da essi accolto senon colle risa. Ma essi mi permetteranno almeno che io

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Elogi che han fatto alcuni illu-stri moder-ni scrittori.

traggiato, e singolarmente dall’apostata Oudin (DeScript. eccl. vol. 3, p. 256, ec.), il qual per altro ha assaidiligentemente trattato dell'opere da lui composte; maun grave abbaglio ha preso trattando dell'opera di s.Tommaso intitolata de Regimine Principum; perciocchèafferma che non egli, ma Egidio Colonna, ne è l'autore;come se non abbiano amendue scritto su questo argo-mento, e l'opera dell'uno non sia totalmente diversa daquella dell'altro. Essi hanno ancora esaminato ciò checoncerne la condanna di alcune proposizioni attribuite as. Tommaso fatta l'an. 1277 da Stefano Tempier vescovodi Parigi, che fu poi annullata l'an. 1315 da Stefano diBorret di lui successore. Del che parlano gli storicidell'università di Parigi (Crevier Hist. de l'Univ. de Pa-ris t. 2, p. 79, 288).

XVIII. Io so bene che dopo tutte le apologiefatte di s. Tommaso molti ancora vi sono, evi saranno probabilmente in ogni età, che neparlano con disprezzo, e senza averne mailetta per avventura una linea, se ne fan beffe

come di un misero e oscuro scolastico troppo indegno diottener lodi da spregiudicato filosofo; e a gli elogi inogni secolo e da ogni ordine di persone a lui fatti rispon-dono in breve ch'essi son sentimenti d'uomini o supersti-ziosi, o fanatici. Io mi guarderò dal venir con essi a con-tesa; che il mio giudizio non sarebbe da essi accolto senon colle risa. Ma essi mi permetteranno almeno che io

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Elogi che han fatto alcuni illu-stri moder-ni scrittori.

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rammenti loro il giudizio che di s. Tommaso han datoalcuni scrittori a' quali non credo che si possa dare lataccia d'uomini o pregiudicati, o superstiziosi, o fanatici.Tali certo non erano nè Erasmo da Rotterdam, il qualechiama s. Tommaso non solo "il più dotto uomo dei suosecolo, ma tale a cui niuno de' moderni teologi puossiagguagliare nè per diligenza nè per ingegno nè per eru-dizione" (Comm. in Ep. ad Rom. p. 244); nè il protestan-te Bruckero, il qual confessa che s. Tommaso "ebbe nonmediocre discernimento, eccellente ingegno, grande let-teratura, e infatigabile industria, per cui potè tante e sìgran cose scrivere, morto in età di cinquant'anni: e chese fosse vissuto a secol migliore, e avesse avuto il corre-do di quella letteratura di cui ora godiamo, sarebbe cer-tamente creduto un de' più grandi ingegni che mai sianostati; come si può conoscere da quelle cose medesimeche in mezzo alle tenebre de' suoi tempi trattò nondime-no con moderazione e con senno" (Hist. crit. Philos. t.3, p. 803, ec.). Io potrei ancora recare il bell'elogio chene ha fatto m. Crevier (Hist. de l'Univ. de Paris t. 1, p.457), il quale fra le altre cose reca un bel detto di m.Fontenelle, che solo vale per un eloquentissimo enco-mio: S. Tommaso, dice egli (Elog. t. 2, p. 483), in un al-tro secolo e in altre circostanze sarebbe stato Cartesio.Ma basti il riferire ciò che di s. Tommaso ha scritto re-centemente un autore, il cui giudizio io spero che nonsarà rigettato dagli stessi più illuminati filosofi de' nostrigiorni, dico il celebre ab. Yvon. Egli non tace i difettiche in lui gli sembra di ravvisare; e per ciò ancora ei

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rammenti loro il giudizio che di s. Tommaso han datoalcuni scrittori a' quali non credo che si possa dare lataccia d'uomini o pregiudicati, o superstiziosi, o fanatici.Tali certo non erano nè Erasmo da Rotterdam, il qualechiama s. Tommaso non solo "il più dotto uomo dei suosecolo, ma tale a cui niuno de' moderni teologi puossiagguagliare nè per diligenza nè per ingegno nè per eru-dizione" (Comm. in Ep. ad Rom. p. 244); nè il protestan-te Bruckero, il qual confessa che s. Tommaso "ebbe nonmediocre discernimento, eccellente ingegno, grande let-teratura, e infatigabile industria, per cui potè tante e sìgran cose scrivere, morto in età di cinquant'anni: e chese fosse vissuto a secol migliore, e avesse avuto il corre-do di quella letteratura di cui ora godiamo, sarebbe cer-tamente creduto un de' più grandi ingegni che mai sianostati; come si può conoscere da quelle cose medesimeche in mezzo alle tenebre de' suoi tempi trattò nondime-no con moderazione e con senno" (Hist. crit. Philos. t.3, p. 803, ec.). Io potrei ancora recare il bell'elogio chene ha fatto m. Crevier (Hist. de l'Univ. de Paris t. 1, p.457), il quale fra le altre cose reca un bel detto di m.Fontenelle, che solo vale per un eloquentissimo enco-mio: S. Tommaso, dice egli (Elog. t. 2, p. 483), in un al-tro secolo e in altre circostanze sarebbe stato Cartesio.Ma basti il riferire ciò che di s. Tommaso ha scritto re-centemente un autore, il cui giudizio io spero che nonsarà rigettato dagli stessi più illuminati filosofi de' nostrigiorni, dico il celebre ab. Yvon. Egli non tace i difettiche in lui gli sembra di ravvisare; e per ciò ancora ei

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merita maggior fede quando ne celebra i pregi. "Dopoaver superati, dic'egli parlando di questo santo dottore,(Disc. sur l'Hist. de l'Eglise t. 3, p. 230) i primi ostacoli,entrò animosamente nel corso delle scienze, e a guisa diun torrente che abbia rotti i ripari, gittossi quasi con im-peto su quanto a lui si offerse ne' vasti campi della filo-sofia e della teologia. Lasciossi ben presto addietro isuoi condiscepoli, da' quali prima era stato sprezzato. Lasua autorità fra i Domenicani fu uguale alla ammirazio-ne in cui era presso di loro. I sommi pontefici lo ricol-maron di elogi. Fu il maggior teologo del suo secolo, eil sarebbe stato in quei secoli ancora in cui risorse il gu-sto della buona letteratura. In mezzo a quella barbarie dicui tutti gl'ingegni d'allora erano infetti, si vede in alcunisuoi libri una certa eleganza di stile allora non conosciu-ta. Fu dotato di un profondo giudizio e di uno spirito pe-netrante, cui egli perfezionò con una ostinata fatica, econ una immensa erudizione. Fu gran danno ch'ei nonavesse maestri degni di lui, e che in grazia d'Aristotele,cui non leggea che tradotto, abbia negletto lo studio del-la lingua greca, l'arte della critica, e la soda bellezza de'grandi scrittori d'Atene e di Roma. Questo filosofo glidee quasi tutta la gloria a cui tra' Latini è salito. S. Tom-maso seppe coprire i difetti della teologia scolastica dicui è stato il maggior ornamento, con una moltitudine dicose assai ben pensate, delle quali ei non fu debitore cheal suo proprio ingegno. Solo è a dolere ch'egli abbia for-nite le armi, con cui difendersi, a questo metodo di trat-tare la teologia, e che lo abbia fatto credere il più eccel-

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merita maggior fede quando ne celebra i pregi. "Dopoaver superati, dic'egli parlando di questo santo dottore,(Disc. sur l'Hist. de l'Eglise t. 3, p. 230) i primi ostacoli,entrò animosamente nel corso delle scienze, e a guisa diun torrente che abbia rotti i ripari, gittossi quasi con im-peto su quanto a lui si offerse ne' vasti campi della filo-sofia e della teologia. Lasciossi ben presto addietro isuoi condiscepoli, da' quali prima era stato sprezzato. Lasua autorità fra i Domenicani fu uguale alla ammirazio-ne in cui era presso di loro. I sommi pontefici lo ricol-maron di elogi. Fu il maggior teologo del suo secolo, eil sarebbe stato in quei secoli ancora in cui risorse il gu-sto della buona letteratura. In mezzo a quella barbarie dicui tutti gl'ingegni d'allora erano infetti, si vede in alcunisuoi libri una certa eleganza di stile allora non conosciu-ta. Fu dotato di un profondo giudizio e di uno spirito pe-netrante, cui egli perfezionò con una ostinata fatica, econ una immensa erudizione. Fu gran danno ch'ei nonavesse maestri degni di lui, e che in grazia d'Aristotele,cui non leggea che tradotto, abbia negletto lo studio del-la lingua greca, l'arte della critica, e la soda bellezza de'grandi scrittori d'Atene e di Roma. Questo filosofo glidee quasi tutta la gloria a cui tra' Latini è salito. S. Tom-maso seppe coprire i difetti della teologia scolastica dicui è stato il maggior ornamento, con una moltitudine dicose assai ben pensate, delle quali ei non fu debitore cheal suo proprio ingegno. Solo è a dolere ch'egli abbia for-nite le armi, con cui difendersi, a questo metodo di trat-tare la teologia, e che lo abbia fatto credere il più eccel-

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lente per mezzo de' suoi scritti, che certamente sarebbo-no più perfetti, s'ei fosse nato in un secolo in cui si fossepotuto ridur questo metodo alle sue giuste misure. Leidee metafisiche di s. Tommaso sono state sommerse inun mar di comenti, alla cui lettura non basta la vita d'unuomo laborioso; ed a lui ancora è avvenuto ciò che suo-le avvenire agli uomini di talento, cioè che tra molte ve-rità tramandino ancora e rendan perpetui alcuni errorifra i troppo servili loro imitatori". Potrebbesi per avven-tura oppor qualche cosa a' difetti che questo scrittoreravvisa in s. Tommaso, e singolarmente potrebbonsi quiripetere, non pochi e assai forti argomenti con cui il dot-to p. de Rubeis (l. c. diss. 30, c. 3), e dopo lui il ch.monsig. Giangirolamo Gradenigo (Della Letterat.greco-ital. c. 6) han provato non abbastanza certo ciòche dicesi comunemente che s. Tommaso non sapesse lalingua greca. Ma io permetterò volentieri, che si ricono-scano in s. Tommaso tutti i sopraccennati difetti, purchèinsieme non gli si contendan quei pregi, di cui egli ci sidescrive fornito.

XIX. Non vuolsi disgiungere da s. Tom-maso un altro chiarissimo professoredell'università di Parigi, che ivi fiorì almedesimo tempo, che l'anno stesso con

lui fu ornato della teologica laurea, e che l'anno stessofinì di vivere, cioè s. Bonaventura singolar ornamentodella religion de' Minori. Di lui ancora io parlerò breve-

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Epoche dellavita di s. Bona-ventura.

lente per mezzo de' suoi scritti, che certamente sarebbo-no più perfetti, s'ei fosse nato in un secolo in cui si fossepotuto ridur questo metodo alle sue giuste misure. Leidee metafisiche di s. Tommaso sono state sommerse inun mar di comenti, alla cui lettura non basta la vita d'unuomo laborioso; ed a lui ancora è avvenuto ciò che suo-le avvenire agli uomini di talento, cioè che tra molte ve-rità tramandino ancora e rendan perpetui alcuni errorifra i troppo servili loro imitatori". Potrebbesi per avven-tura oppor qualche cosa a' difetti che questo scrittoreravvisa in s. Tommaso, e singolarmente potrebbonsi quiripetere, non pochi e assai forti argomenti con cui il dot-to p. de Rubeis (l. c. diss. 30, c. 3), e dopo lui il ch.monsig. Giangirolamo Gradenigo (Della Letterat.greco-ital. c. 6) han provato non abbastanza certo ciòche dicesi comunemente che s. Tommaso non sapesse lalingua greca. Ma io permetterò volentieri, che si ricono-scano in s. Tommaso tutti i sopraccennati difetti, purchèinsieme non gli si contendan quei pregi, di cui egli ci sidescrive fornito.

XIX. Non vuolsi disgiungere da s. Tom-maso un altro chiarissimo professoredell'università di Parigi, che ivi fiorì almedesimo tempo, che l'anno stesso con

lui fu ornato della teologica laurea, e che l'anno stessofinì di vivere, cioè s. Bonaventura singolar ornamentodella religion de' Minori. Di lui ancora io parlerò breve-

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Epoche dellavita di s. Bona-ventura.

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mente, perciocchè, oltre ciò che ne ha il Wadingo negliAnnali del suo Ordine, coll'usata sua accuratezza ne hatrattato il p. Giambatista Sollier della Comp. di Gesù,uno de' continuatori del Bollando (Acta SS. jul t. 3, add. 14), e una nuova Vita assai diligentemente composta,e in ogni sua parte provata colle testimonianze di antichiautori ce ne ha data l'anonimo recente editore delle Ope-re di questo santo (t. 1, Op. s. Bonav. ed. ven. 1751). Ame perciò basterà qui ancora l'accennarne in breve leprincipali notizie, rimettendo a' suddetti scrittori chi vo-glia averle più esatte. S. Bonaventura nato l'anno 1221in Bagnarea da Giovanni Fidanza e da Ritella di lui mo-glie, fu ancor fanciullo risanato da mortal malattia perintercessione di s. Francesco che pochi anni innanzi eramorto. L'anno 1243 entrò nell'Ord. de' Minori, e tostol'anno seguente mandato a Parigi, vi attese agli studi sot-to il celebre Alessandro di Hales. Sette anni appressocominciò egli stesso a tenere scuola, e ad interpretare ilMaestro delle Sentenze; e dopo essere passato per gliordinari gradi scolastici, l'anno 1257, poichè furono ter-minate le controversie tra la università e i Mendicanti,delle quali abbiam detto poc'anzi, e nelle quali egli puresi adoperò in favore de' suoi, fu insieme con s. Tomma-so onorato della dignità di dottore. Frattanto l'anno pre-cedente egli, benchè giovane di soli 35 anni, era statoeletto ministro generale dell'Ordine. Delle cose da luioperate a vantaggio de' suoi, non è di quest'opera il ra-gionare. Esse si posson vedere narrate distintamente da'sopraccitati autori. Clemente IV avealo nominato l'anno

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mente, perciocchè, oltre ciò che ne ha il Wadingo negliAnnali del suo Ordine, coll'usata sua accuratezza ne hatrattato il p. Giambatista Sollier della Comp. di Gesù,uno de' continuatori del Bollando (Acta SS. jul t. 3, add. 14), e una nuova Vita assai diligentemente composta,e in ogni sua parte provata colle testimonianze di antichiautori ce ne ha data l'anonimo recente editore delle Ope-re di questo santo (t. 1, Op. s. Bonav. ed. ven. 1751). Ame perciò basterà qui ancora l'accennarne in breve leprincipali notizie, rimettendo a' suddetti scrittori chi vo-glia averle più esatte. S. Bonaventura nato l'anno 1221in Bagnarea da Giovanni Fidanza e da Ritella di lui mo-glie, fu ancor fanciullo risanato da mortal malattia perintercessione di s. Francesco che pochi anni innanzi eramorto. L'anno 1243 entrò nell'Ord. de' Minori, e tostol'anno seguente mandato a Parigi, vi attese agli studi sot-to il celebre Alessandro di Hales. Sette anni appressocominciò egli stesso a tenere scuola, e ad interpretare ilMaestro delle Sentenze; e dopo essere passato per gliordinari gradi scolastici, l'anno 1257, poichè furono ter-minate le controversie tra la università e i Mendicanti,delle quali abbiam detto poc'anzi, e nelle quali egli puresi adoperò in favore de' suoi, fu insieme con s. Tomma-so onorato della dignità di dottore. Frattanto l'anno pre-cedente egli, benchè giovane di soli 35 anni, era statoeletto ministro generale dell'Ordine. Delle cose da luioperate a vantaggio de' suoi, non è di quest'opera il ra-gionare. Esse si posson vedere narrate distintamente da'sopraccitati autori. Clemente IV avealo nominato l'anno

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1265 all'arcivescovado di York; e il Wadingo ha pubbli-cato il Breve che perciò gli scrisse (Ann. Minor. t. 2 adan. 1265). Ma il santo seppe destramente sottrarsiall'onor destinatogli. Gregorio X, alla cui elezione aveaegli avuta parte, l'an. 1273 dichiarollo cardinale e Ve-scovo d'Albano, e nel seguente seco il condusse al Con-cilio general di Lione, ove egli diede in quell'augustoconsesso luminose pruove del suo sapere. Ma mentreesso si celebrava, s. Bonaventura, finì di vivere a' 15 diluglio dello stesso an. 1274 con gran dolore de' cardinalie del pontefice, che nella V session del Concilio esposeil danno che la Chiesa per tal morte avea ricevuto, e condolore ugualmente di tutti i prelati, i quali con gli amba-sciadori de' principi e co' teologi ivi raccolti intervenne-ro alle solenni esequie che gli furono celebrate.

XX. E veramente le opere ch'egli ci ha la-sciate, cel mostran degno della stima che ipapi ne fecero, quand'ei viveva, e dell'onore

a cui Sisto V lo ha sollevato dichiarandolo dottor dellaChiesa. Sono esse non altrimenti che quelle di s. Tom-maso, di vario argomento, benchè il numero ne sia mi-nore, ed egli abbia appena toccate le quistioni filosofi-che. Parecchi sono gli opuscoli ascetici, parecchi quelliscritti in difesa del suo Ordine, del cui fondator s. Fran-cesco scrisse ancora la Vita; parecchi ancora i teologicie gli scritturali. La più pregevole fra tutte le sue opere èil Comento sul Maestro delle sentenze, in cui il santo si

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Sue opere eloro pregi.

1265 all'arcivescovado di York; e il Wadingo ha pubbli-cato il Breve che perciò gli scrisse (Ann. Minor. t. 2 adan. 1265). Ma il santo seppe destramente sottrarsiall'onor destinatogli. Gregorio X, alla cui elezione aveaegli avuta parte, l'an. 1273 dichiarollo cardinale e Ve-scovo d'Albano, e nel seguente seco il condusse al Con-cilio general di Lione, ove egli diede in quell'augustoconsesso luminose pruove del suo sapere. Ma mentreesso si celebrava, s. Bonaventura, finì di vivere a' 15 diluglio dello stesso an. 1274 con gran dolore de' cardinalie del pontefice, che nella V session del Concilio esposeil danno che la Chiesa per tal morte avea ricevuto, e condolore ugualmente di tutti i prelati, i quali con gli amba-sciadori de' principi e co' teologi ivi raccolti intervenne-ro alle solenni esequie che gli furono celebrate.

XX. E veramente le opere ch'egli ci ha la-sciate, cel mostran degno della stima che ipapi ne fecero, quand'ei viveva, e dell'onore

a cui Sisto V lo ha sollevato dichiarandolo dottor dellaChiesa. Sono esse non altrimenti che quelle di s. Tom-maso, di vario argomento, benchè il numero ne sia mi-nore, ed egli abbia appena toccate le quistioni filosofi-che. Parecchi sono gli opuscoli ascetici, parecchi quelliscritti in difesa del suo Ordine, del cui fondator s. Fran-cesco scrisse ancora la Vita; parecchi ancora i teologicie gli scritturali. La più pregevole fra tutte le sue opere èil Comento sul Maestro delle sentenze, in cui il santo si

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Sue opere eloro pregi.

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scuopre profondo teologo, ed assai versato nell'opere deisanti Padri. Veggasi il diligente esame che di tutte hafatto il sopraccennato editore, distinguendo le vere ope-re di s. Bonaventura da quelle che son dubbiose, e daquelle che certamente sono supposte. Egli e il p. Sollierancora han recate le testimonianze onorevoli che moltihan renduto all'ingegno e al sapere di lui, fra' quali il fa-moso Giovanni Gersone non dubitava di anteporlo a tut-ti i teologi, dicendo che in lui ei trovava uno scrittoregiudizioso e sensato che non seconda punto la curiositàcomune agli uomini dotti, che sfugge le quistioni lonta-ne dal suo argomento, e che alla sodezza della dottrinacongiunge l'unzione della pietà. Nè i Cattolici solamentehan recato sì favorevol giudizio delle opere di s. Bona-ventura; ma tra' Protestanti ancora non è mancato chi neparlasse con lode. Fra gli altri il Bruckero, che pur se-guendo i principi della sua setta il riprende, perchè conzelo, secondo lui, eccessivo abbia promosso il culto del-la Madre di Dio, confessa nondimeno che senza ciò eidee aver luogo tra i migliori scolastici, e che gli si deegran lode, perchè veggendo, com'egli dice, le sterili pa-glie e il vil loglio che da ogni parte infettava la teologia,sforzossi di scriver cose più sode e più vantaggiose(Hist. crit. Philos. t. 3, p. 811).

XXI. Io ho antiposti ad ogni altroquesti due chiarissimi lumi degli Or-dini de' Predicatori e de' Minori,

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Prepositivo e Desi-derio professori nel-la stessa università di Parigi.

scuopre profondo teologo, ed assai versato nell'opere deisanti Padri. Veggasi il diligente esame che di tutte hafatto il sopraccennato editore, distinguendo le vere ope-re di s. Bonaventura da quelle che son dubbiose, e daquelle che certamente sono supposte. Egli e il p. Sollierancora han recate le testimonianze onorevoli che moltihan renduto all'ingegno e al sapere di lui, fra' quali il fa-moso Giovanni Gersone non dubitava di anteporlo a tut-ti i teologi, dicendo che in lui ei trovava uno scrittoregiudizioso e sensato che non seconda punto la curiositàcomune agli uomini dotti, che sfugge le quistioni lonta-ne dal suo argomento, e che alla sodezza della dottrinacongiunge l'unzione della pietà. Nè i Cattolici solamentehan recato sì favorevol giudizio delle opere di s. Bona-ventura; ma tra' Protestanti ancora non è mancato chi neparlasse con lode. Fra gli altri il Bruckero, che pur se-guendo i principi della sua setta il riprende, perchè conzelo, secondo lui, eccessivo abbia promosso il culto del-la Madre di Dio, confessa nondimeno che senza ciò eidee aver luogo tra i migliori scolastici, e che gli si deegran lode, perchè veggendo, com'egli dice, le sterili pa-glie e il vil loglio che da ogni parte infettava la teologia,sforzossi di scriver cose più sode e più vantaggiose(Hist. crit. Philos. t. 3, p. 811).

XXI. Io ho antiposti ad ogni altroquesti due chiarissimi lumi degli Or-dini de' Predicatori e de' Minori,

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Prepositivo e Desi-derio professori nel-la stessa università di Parigi.

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dell'università di Parigi, e dell'Italia lor patria, non per-chè essi fossero i primi di tempo tra gl'Italiani che inquesto secolo salirono in quella università a gran nome,ma perchè essi pel vasto loro sapere, e per le molte epregevolissime opere da lor composte, divenner fra tuttii più rinomati. Molti altri Italiani però ancora veggiamoin questo secol medesimo, altri prima di essi, altri dopo,occupare le teologiche cattedre in Parigi, ed acquistarsila stima e gli elogi di quelli tra cui viveano. Il primo traessi è un cotal Prepositivo lombardo di nascita, che dalmonaco Alberico (Chron. ad an. 1217) vien detto uomoammirabile, e scrittore di alcuni Sermoni e di alcune Po-stille sul Maestro delle Sentenze. Egli fu sollevatoall'onorevole dignità di cancelliere della chiesa di Parigil'anno 1207, e i1 du Boulay (Hist. Univ. Paris. t. 3 p. 36)ha pubblicata la formola del giuramento con cui egli, se-condo la costituzion fattane dal vescovo Odone, obbli-gossi per ben della chiesa e dell'università a risedere inParigi, finchè fosse nella carica di cancelliere. Le postil-le che da Alberico gli si attribuiscono, sembrano esser laSomma di Teologia raccolta da' detti dei ss. Padri da luicomposta, e di cui conservansi esemplari a penna inmolte biblioteche, come pruova l'Oudin (De Script.eccl. t. 3 p. 31), il quale rammenta ancora alcuni codicidi Sermoni e di Omelie dello stesso Prepositivo. Un al-tro libro da lui scritto, e intitolato Liber Officiorum deDivino Officio et diurno si accenna dal p. Bernardo Pez(Diss. Isagog. in t. 1, Anecdot. p. 7). Di lui veggasi an-cora il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p. 10). Un

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dell'università di Parigi, e dell'Italia lor patria, non per-chè essi fossero i primi di tempo tra gl'Italiani che inquesto secolo salirono in quella università a gran nome,ma perchè essi pel vasto loro sapere, e per le molte epregevolissime opere da lor composte, divenner fra tuttii più rinomati. Molti altri Italiani però ancora veggiamoin questo secol medesimo, altri prima di essi, altri dopo,occupare le teologiche cattedre in Parigi, ed acquistarsila stima e gli elogi di quelli tra cui viveano. Il primo traessi è un cotal Prepositivo lombardo di nascita, che dalmonaco Alberico (Chron. ad an. 1217) vien detto uomoammirabile, e scrittore di alcuni Sermoni e di alcune Po-stille sul Maestro delle Sentenze. Egli fu sollevatoall'onorevole dignità di cancelliere della chiesa di Parigil'anno 1207, e i1 du Boulay (Hist. Univ. Paris. t. 3 p. 36)ha pubblicata la formola del giuramento con cui egli, se-condo la costituzion fattane dal vescovo Odone, obbli-gossi per ben della chiesa e dell'università a risedere inParigi, finchè fosse nella carica di cancelliere. Le postil-le che da Alberico gli si attribuiscono, sembrano esser laSomma di Teologia raccolta da' detti dei ss. Padri da luicomposta, e di cui conservansi esemplari a penna inmolte biblioteche, come pruova l'Oudin (De Script.eccl. t. 3 p. 31), il quale rammenta ancora alcuni codicidi Sermoni e di Omelie dello stesso Prepositivo. Un al-tro libro da lui scritto, e intitolato Liber Officiorum deDivino Officio et diurno si accenna dal p. Bernardo Pez(Diss. Isagog. in t. 1, Anecdot. p. 7). Di lui veggasi an-cora il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p. 10). Un

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altro che dicesi generalmente lombardo di nascita, e De-siderio di nome, si annovera dal du Boulay (l. c. p. 678)tra quegli accademici dell'università di Parigi, che in oc-casione delle contese di essa co' Mendicanti scrisserocontra questi; ed egli in fatti vien perciò nominato da S.Tommaso col titolo di eresiarca (Contra Impugnant. Re-lig. c. 6). Il Gesnero accenna l'opera da lui scritta suquesto argomento (in Bibl.), ma non sappiamo ch'ellasia uscita alla luce, o che in qualche biblioteca conservi-si manoscritta.

XXII. A maggior nome salirono alcuni didiversi Ordini religiosi che in Parigi tenne-ro scuola di teologia. Il primo dell'Ordinede' Predicatori, che avesse ivi la laurea, fu

Rolando cremonese. Era egli l'an. 1219 in Bologna pro-fessore di filosofia, come affermano i pp. Quetif edEchard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 125) sull'autorità diGherardo da Fracheto scrittore contemporaneo, o piutto-sto di medicina come prova il p. Sarti (De Prof. Bonon.t. 1, pars 1 p. 447) su quella de' migliori codici dellostesso Gherardo, quando mosso dalle prediche del b.Reginaldo compagno di s. Domenico, abbandonata lacattedra, entrò nell'Ordine dei Predicatori. L'an. 1228passato a Parigi, ivi fu onorato del grado di baccelliere,e poscia ancor della laurea, e per più anni insegnò lateologia, nel quale studio ebbe fra gli altri a suo scolaroil celebre Ugo di S. Caro, che fu poi cardinale. La stessa

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Rolando cre-monese do-menicano.

altro che dicesi generalmente lombardo di nascita, e De-siderio di nome, si annovera dal du Boulay (l. c. p. 678)tra quegli accademici dell'università di Parigi, che in oc-casione delle contese di essa co' Mendicanti scrisserocontra questi; ed egli in fatti vien perciò nominato da S.Tommaso col titolo di eresiarca (Contra Impugnant. Re-lig. c. 6). Il Gesnero accenna l'opera da lui scritta suquesto argomento (in Bibl.), ma non sappiamo ch'ellasia uscita alla luce, o che in qualche biblioteca conservi-si manoscritta.

XXII. A maggior nome salirono alcuni didiversi Ordini religiosi che in Parigi tenne-ro scuola di teologia. Il primo dell'Ordinede' Predicatori, che avesse ivi la laurea, fu

Rolando cremonese. Era egli l'an. 1219 in Bologna pro-fessore di filosofia, come affermano i pp. Quetif edEchard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 125) sull'autorità diGherardo da Fracheto scrittore contemporaneo, o piutto-sto di medicina come prova il p. Sarti (De Prof. Bonon.t. 1, pars 1 p. 447) su quella de' migliori codici dellostesso Gherardo, quando mosso dalle prediche del b.Reginaldo compagno di s. Domenico, abbandonata lacattedra, entrò nell'Ordine dei Predicatori. L'an. 1228passato a Parigi, ivi fu onorato del grado di baccelliere,e poscia ancor della laurea, e per più anni insegnò lateologia, nel quale studio ebbe fra gli altri a suo scolaroil celebre Ugo di S. Caro, che fu poi cardinale. La stessa

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Rolando cre-monese do-menicano.

Page 221: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favor delle

scuola tenne egli in Tolosa dall'an. 1231 sino al 1233,ove è probabile ch'ei fosse inviato per combattere l'ere-sia degli Albigesi, contro de' quali in fatti ei rivolse ilsuo zelo non meno che il suo sapere. Per lo stesso moti-vo chiamato l'anno 1233 in Italia, venne a Piacenza, ovequanto ei sostenesse dal furor degli Eretici, si può vede-re presso gli storici piacentini, e singolarmente pressol'eruditissimo proposto Poggiali (Stor. di Piac. t. 5, p.173). Pare ch'egli poscia passasse a Cremona, percioc-chè i suddetti pp. Quetif ed Echard sulla fede di due an-tichi scrittori raccontano che, mentre Federigo II l'an.1238 assediava Brescia, alcuni Domenicani venutidall'esercito imperiale a Cremona narrarono a Rolandoche un cotal Teodoro filosofo, ch'era nel campo di Fede-rigo, disputando con essi aveali confusi e ridotti a unvergognoso silenzio, e che Rolando mosso da zelo ben-chè allor travagliato dalla podagra, salito tosto su un asi-no portossi al campo, e in una numerosa assemblea ve-nuto a disputa con Teodoro ne riportò un solenne trion-fo. Egli finalmente morì in Bologna verso l'anno 1250,come mostrano i due soprallodati autori, i quali provanostesamente ciò ch'io non ho che accennato; e rammenta-no ancora una Somma di Teologia e di Filosofia da luicomposta, di cui però avvertono non sapersi se conser-visi in alcun luogo.

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scuola tenne egli in Tolosa dall'an. 1231 sino al 1233,ove è probabile ch'ei fosse inviato per combattere l'ere-sia degli Albigesi, contro de' quali in fatti ei rivolse ilsuo zelo non meno che il suo sapere. Per lo stesso moti-vo chiamato l'anno 1233 in Italia, venne a Piacenza, ovequanto ei sostenesse dal furor degli Eretici, si può vede-re presso gli storici piacentini, e singolarmente pressol'eruditissimo proposto Poggiali (Stor. di Piac. t. 5, p.173). Pare ch'egli poscia passasse a Cremona, percioc-chè i suddetti pp. Quetif ed Echard sulla fede di due an-tichi scrittori raccontano che, mentre Federigo II l'an.1238 assediava Brescia, alcuni Domenicani venutidall'esercito imperiale a Cremona narrarono a Rolandoche un cotal Teodoro filosofo, ch'era nel campo di Fede-rigo, disputando con essi aveali confusi e ridotti a unvergognoso silenzio, e che Rolando mosso da zelo ben-chè allor travagliato dalla podagra, salito tosto su un asi-no portossi al campo, e in una numerosa assemblea ve-nuto a disputa con Teodoro ne riportò un solenne trion-fo. Egli finalmente morì in Bologna verso l'anno 1250,come mostrano i due soprallodati autori, i quali provanostesamente ciò ch'io non ho che accennato; e rammenta-no ancora una Somma di Teologia e di Filosofia da luicomposta, di cui però avvertono non sapersi se conser-visi in alcun luogo.

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XXIII. Quando S. Tommaso abbandonòl'ultima volta la sua cattedra di Parigi pertornare in Italia l'an. 1271, ebbe, a suo suc-cessore Romano da Roma dello stesso suo

Ordine, e laureato nella stessa università. Era egli dellanobilissima famiglia degli Orsini, e nipote del card. Gio-vanni Gaetano degli Orsini, che fu poi papa col nome diNiccolò III. Ei resse quella cattedra fino all'an. 1274 incui morì; e di lui son rimasti i comenti su quattro libridelle Sentenze (Script. Ord. Praed. t. 2, p. 263). Pochianni prima avea avuto il medesimo onore Annibaldo de-gli Annibaldi, domenicano egli pure, e romano di patria,che tenne scuola in Parigi dall'an. 1257 sino al 1260, etornato poscia in patria fu da Urbano IV sollevatoall'onor della porpora. Di lui veggansi i più volte nomi-nati scrittori della Biblioteca dei Predicatori (ib. p. 261),i quali provano lungamente ch'egli è l'autore di quel Co-mento su' libri delle Sentenze, che leggesi col titolo diSecondo Scritto fra l'Opere di s. Tommaso, il che è statodimostrato ancor dall'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p.470). Credesi ancora, benchè non si possa affermare consicurezza, che ivi lesse teologia il b. Ambrogio Sansedo-ni dello stesso Ordine, che in questo esercizio, così inItalia come in Allemagna, occupossi con somma lodeper circa 30 anni (Quetif, ec. p. 401). Egli però non ci halasciato alcun monumento del suo sapere. Alberto daGenova, che l'anno 1300 fu eletto a maestro generale delmedesimo Ordine, ma morì tre mesi soli dopo la suaelezione, avea avuto in Parigi il solo grado di baccellie-

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Altri dome-nicani Pro-fessori inParigi.

XXIII. Quando S. Tommaso abbandonòl'ultima volta la sua cattedra di Parigi pertornare in Italia l'an. 1271, ebbe, a suo suc-cessore Romano da Roma dello stesso suo

Ordine, e laureato nella stessa università. Era egli dellanobilissima famiglia degli Orsini, e nipote del card. Gio-vanni Gaetano degli Orsini, che fu poi papa col nome diNiccolò III. Ei resse quella cattedra fino all'an. 1274 incui morì; e di lui son rimasti i comenti su quattro libridelle Sentenze (Script. Ord. Praed. t. 2, p. 263). Pochianni prima avea avuto il medesimo onore Annibaldo de-gli Annibaldi, domenicano egli pure, e romano di patria,che tenne scuola in Parigi dall'an. 1257 sino al 1260, etornato poscia in patria fu da Urbano IV sollevatoall'onor della porpora. Di lui veggansi i più volte nomi-nati scrittori della Biblioteca dei Predicatori (ib. p. 261),i quali provano lungamente ch'egli è l'autore di quel Co-mento su' libri delle Sentenze, che leggesi col titolo diSecondo Scritto fra l'Opere di s. Tommaso, il che è statodimostrato ancor dall'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p.470). Credesi ancora, benchè non si possa affermare consicurezza, che ivi lesse teologia il b. Ambrogio Sansedo-ni dello stesso Ordine, che in questo esercizio, così inItalia come in Allemagna, occupossi con somma lodeper circa 30 anni (Quetif, ec. p. 401). Egli però non ci halasciato alcun monumento del suo sapere. Alberto daGenova, che l'anno 1300 fu eletto a maestro generale delmedesimo Ordine, ma morì tre mesi soli dopo la suaelezione, avea avuto in Parigi il solo grado di baccellie-

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Altri dome-nicani Pro-fessori inParigi.

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re, ed era poscia passato a leggere teologia in Montpel-lier, e di lui si citano alcune opere teologiche (ib. p.463). Finalmente verso la fine del XIII secolo era ivipubblico professore di teologia un f. Remigio da Firen-ze, che all'occasione delle discordie tra Bonifacio VIII eFilippo il Bello fu chiamato a Roma, ove poscia fu elet-to procuratore dell'Ordine, e morì l'an. 1309. Di lui edelle opere da lui composte si veggano, oltre i suddettiscrittori (ib. p. 506), anche il Fabricio, e il ch. monsig.Mansi (Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p. 66). Io ho volutoaccennar brevemente questi dottissimi teologi italianidell'Ordine de' Predicatori per dimostrare quanto feraceesso fosse fin da que' tempi di celebri professori, e inqual pregio si avessero gl'ingegni italiani in Parigi, poi-chè tanti furon prescelti ad occupare quella cattedra chefra tutte era la più onorevole e la più apprezzata.

XXIV. Le contese tra l'università e iMendicanti erano state comuni anchea' religiosi dell'Ordine de' Minori, e

questi ancora perciò entrarono a parte della vittoria, eottennero di esser ricevuti nel corpo dell'università me-desima. Molti in fatti sono quelli che noi troviamo averivi insegnata pubblicamente la teologia, ma tra gl'Italia-ni altri non mi è avvenuto di rinvenirne, oltre s. Bona-ventura, che il b. Giovanni da Parma. In una Cronacascritta da f. Salimbene dell'Ordine de' Minori, che viveaal medesimo tempo, e di cui il p. Sarti ha dati alla luce

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Notizie del b. Gio.da Parma.

re, ed era poscia passato a leggere teologia in Montpel-lier, e di lui si citano alcune opere teologiche (ib. p.463). Finalmente verso la fine del XIII secolo era ivipubblico professore di teologia un f. Remigio da Firen-ze, che all'occasione delle discordie tra Bonifacio VIII eFilippo il Bello fu chiamato a Roma, ove poscia fu elet-to procuratore dell'Ordine, e morì l'an. 1309. Di lui edelle opere da lui composte si veggano, oltre i suddettiscrittori (ib. p. 506), anche il Fabricio, e il ch. monsig.Mansi (Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p. 66). Io ho volutoaccennar brevemente questi dottissimi teologi italianidell'Ordine de' Predicatori per dimostrare quanto feraceesso fosse fin da que' tempi di celebri professori, e inqual pregio si avessero gl'ingegni italiani in Parigi, poi-chè tanti furon prescelti ad occupare quella cattedra chefra tutte era la più onorevole e la più apprezzata.

XXIV. Le contese tra l'università e iMendicanti erano state comuni anchea' religiosi dell'Ordine de' Minori, e

questi ancora perciò entrarono a parte della vittoria, eottennero di esser ricevuti nel corpo dell'università me-desima. Molti in fatti sono quelli che noi troviamo averivi insegnata pubblicamente la teologia, ma tra gl'Italia-ni altri non mi è avvenuto di rinvenirne, oltre s. Bona-ventura, che il b. Giovanni da Parma. In una Cronacascritta da f. Salimbene dell'Ordine de' Minori, che viveaal medesimo tempo, e di cui il p. Sarti ha dati alla luce

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Notizie del b. Gio.da Parma.

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alcuni frammenti (De Prof. Bonon. t. 1, pars 2, p. 213),l'autore, dopo aver dette gran cose della singolare pietàdi Giovanni (15), racconta ch'egli era uomo eloquente ecolto scrittore; ch'essendo ancor secolare, avea tenutascuola di logica, e che fatto poi religioso, era stato letto-re in Napoli e in Bologna. Teneva egli scuola di teologiain Parigi, quando l'an. 1247 fu eletto a ministro generaledel suo Ordine, e due anni dopo fu da Innocenzo IVmandato in Grecia a trattare la riunione di quella chiesacolla latina. Delle cose da lui saggiamente operate nelgoverno del suo Ordine sino all'anno 1266, in cui spon-taneamente dimise la carica, si può vedere il Wadingo(Ann. Minor. t. 3, p. 171, ec. 210; p. 2, ec.). Io debbosolo cercare ciò che appartiene a' sacri studj da lui colti-vati. Nè mi tratterrò a ragionare di alcune opere di nonmolta importanza da lui composte, delle quali ragionanol'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 241) e il Fabricio (Bibl.med. et inf. Latin. t. 4, p. 112). Più degna di essere esa-

15 Il titolo di beato dato già in addietro a Giovanni da Parma gli è stato perdecreto della Congregazione de' Riti confermato nel 1777, e nell'anno stes-so ne è stata pubblicata in Parma la Vita dal ch. p. Ireneo Affò ora bibliote-cario di quella real biblioteca, scritta con somma esattezza, e con quellagiusta critica con cui sarebbe desiderabile, che tante altre Vite dei Santifossero state scritte, e in essa si potranno vedere esaminate più a lungo al-cune quistioni da me qui solo accennate. Il Fabricio ha confuso insiemequesto Giovanni da Parma, che fu della famiglia Buralli, con un altro purparmigiano, ma della famiglia Quaglia, che visse nel sec. XV; errore in cuiè caduto ancora il ch. sig. can. Bandini, il quale al primo attribuisceun'opera ascetica intitolata Rosarium, che si conserva ms. nella Laurenzia-na (Cat. Codd. lat. Bibl. laurent. t. 1, p. 568), e che, come dal titolo è ma-nifesto, appartiene al secondo, di cui pure sono i Sermoni da lui medesimorammentati (ib. p. 638).

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alcuni frammenti (De Prof. Bonon. t. 1, pars 2, p. 213),l'autore, dopo aver dette gran cose della singolare pietàdi Giovanni (15), racconta ch'egli era uomo eloquente ecolto scrittore; ch'essendo ancor secolare, avea tenutascuola di logica, e che fatto poi religioso, era stato letto-re in Napoli e in Bologna. Teneva egli scuola di teologiain Parigi, quando l'an. 1247 fu eletto a ministro generaledel suo Ordine, e due anni dopo fu da Innocenzo IVmandato in Grecia a trattare la riunione di quella chiesacolla latina. Delle cose da lui saggiamente operate nelgoverno del suo Ordine sino all'anno 1266, in cui spon-taneamente dimise la carica, si può vedere il Wadingo(Ann. Minor. t. 3, p. 171, ec. 210; p. 2, ec.). Io debbosolo cercare ciò che appartiene a' sacri studj da lui colti-vati. Nè mi tratterrò a ragionare di alcune opere di nonmolta importanza da lui composte, delle quali ragionanol'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 241) e il Fabricio (Bibl.med. et inf. Latin. t. 4, p. 112). Più degna di essere esa-

15 Il titolo di beato dato già in addietro a Giovanni da Parma gli è stato perdecreto della Congregazione de' Riti confermato nel 1777, e nell'anno stes-so ne è stata pubblicata in Parma la Vita dal ch. p. Ireneo Affò ora bibliote-cario di quella real biblioteca, scritta con somma esattezza, e con quellagiusta critica con cui sarebbe desiderabile, che tante altre Vite dei Santifossero state scritte, e in essa si potranno vedere esaminate più a lungo al-cune quistioni da me qui solo accennate. Il Fabricio ha confuso insiemequesto Giovanni da Parma, che fu della famiglia Buralli, con un altro purparmigiano, ma della famiglia Quaglia, che visse nel sec. XV; errore in cuiè caduto ancora il ch. sig. can. Bandini, il quale al primo attribuisceun'opera ascetica intitolata Rosarium, che si conserva ms. nella Laurenzia-na (Cat. Codd. lat. Bibl. laurent. t. 1, p. 568), e che, come dal titolo è ma-nifesto, appartiene al secondo, di cui pure sono i Sermoni da lui medesimorammentati (ib. p. 638).

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minata è la quistione s'ei fosse l'autore d'un empio libroche, mentre egli vivea, videsi uscire alla luce, latina-mente intitolato Evangelium aeternum. Bollivano allorale spesso accennate contese tra l'Università e i Mendi-canti, quando verso l'anno 1254, come afferma Gugliel-mo da Santamore (De peric. novissim. tempor. c. 8), co-minciò a spargersi segretamente il detto libro. Era essotessuto di strani e ridicoli errori tratti in gran parte dalleProfezie non ben intese dell'abate Gioachimo. Il dotto p.Natale Alessandro ne ha fatto un breve epilogo (Hist.eccl. saec. XII, c. 3, art. 4), ed essi riduconsi in sommaad antiporre la dottrina di Gioachimo a quella del Vec-chio e del Nuovo Testamento; ad affermare che il Van-gelo di Cristo sarebbe cessato l'anno 1260, e che un al-tro Vangelo di spirito sarebbesi allor promulgato; a in-nalzare le Religioni de' Mendicanti sopra qualunque al-tro Ordine ecclesiastico, e a dare ad esse il governo del-la nuova Chiesa che fondar si dovea, ed altri somigliantisogni. Questo sì empio libro diede a' professori dell'uni-versità di Parigi troppo bella occasione di accenderl'invidia e lo sdegno di tutti contro de' Mendicanti; ementre questi adoperavansi perchè fosse dannato il libroda Guglielmo di Santamore contro di essi scritto intito-lato: De' pericoli degli ultimi tempi, quelli accusarono alpontefice, come pieno di bestemmie e di errori l'Evan-gelio eterno. Amendue furono condannati da Alessan-dro IV l'an. 1256, benchè paresse che più rigore si usas-se contro il primo che non contro il secondo (CrevierHist. de l'Univers. t. 1, p. 441, 449). Or di questo corse

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minata è la quistione s'ei fosse l'autore d'un empio libroche, mentre egli vivea, videsi uscire alla luce, latina-mente intitolato Evangelium aeternum. Bollivano allorale spesso accennate contese tra l'Università e i Mendi-canti, quando verso l'anno 1254, come afferma Gugliel-mo da Santamore (De peric. novissim. tempor. c. 8), co-minciò a spargersi segretamente il detto libro. Era essotessuto di strani e ridicoli errori tratti in gran parte dalleProfezie non ben intese dell'abate Gioachimo. Il dotto p.Natale Alessandro ne ha fatto un breve epilogo (Hist.eccl. saec. XII, c. 3, art. 4), ed essi riduconsi in sommaad antiporre la dottrina di Gioachimo a quella del Vec-chio e del Nuovo Testamento; ad affermare che il Van-gelo di Cristo sarebbe cessato l'anno 1260, e che un al-tro Vangelo di spirito sarebbesi allor promulgato; a in-nalzare le Religioni de' Mendicanti sopra qualunque al-tro Ordine ecclesiastico, e a dare ad esse il governo del-la nuova Chiesa che fondar si dovea, ed altri somigliantisogni. Questo sì empio libro diede a' professori dell'uni-versità di Parigi troppo bella occasione di accenderl'invidia e lo sdegno di tutti contro de' Mendicanti; ementre questi adoperavansi perchè fosse dannato il libroda Guglielmo di Santamore contro di essi scritto intito-lato: De' pericoli degli ultimi tempi, quelli accusarono alpontefice, come pieno di bestemmie e di errori l'Evan-gelio eterno. Amendue furono condannati da Alessan-dro IV l'an. 1256, benchè paresse che più rigore si usas-se contro il primo che non contro il secondo (CrevierHist. de l'Univers. t. 1, p. 441, 449). Or di questo corse

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voce a que' tempi che fosse autore Giovanni da Parma,come afferma il domenicano Eimerico autor del Diretto-rio degli'Inquisitori, che visse nel secolo susseguente, ilquale ancora sembra non esser alieno da tal opinione(Direct. Inquis. pars 1, quaest. 9). E certo non può ne-garsi che tale accusa non fosse del tutto priva di fonda-mento. Giovanni da Parma aveva in grande stima la dot-trina e i libri dell'abate Gioachimo; e fu questa una delleaccuse a lui date, per cui spontaneamente dimise il mini-stero dell'Ordine. S. Bonaventura, che gli fu dato a suc-cessore, destinò giudici ad esaminar lui e alcuni suoicompagni che dicevansi da lui sedotti. Questi in fattimostraronsi così ostinati nel difender le opinionidell'abate Gioachimo, anche in quella parte in cui dallasede apostolica erano state dannate, che convenne punir-li di prigionia. Giovanni non fu trovato reo di error nellafede: ma sol si vide che troppo favorevolmente ei senti-va delle opinioni di Gioachimo. Egli però ritrattò umil-mente ogni errore in cui potesse esser caduto, e si sotto-mise in ogni cosa al giudizio della sede apostolica. Fuperciò rilasciato, e s. Bonaventura permisegli che sce-gliesse qual convento gli fosse più in grado per sua di-mora ed egli ritiratosi in Greccia nella valle di Rieti, vipassò santamente il più degli anni che sopravvisse, fin-chè l'an. 1289 morì in Camerino. Tutto ciò veggasi piùampiamente narrato dall'annalista Wadingo (Ann.Minor. t. 4, p. 2, ec.). Poteasi dunque credere agevol-mente che fosse egli l'autor di un libro ch'era fondatosulle Profezie dell'abate Gioachimo, e in cui tanto esal-

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voce a que' tempi che fosse autore Giovanni da Parma,come afferma il domenicano Eimerico autor del Diretto-rio degli'Inquisitori, che visse nel secolo susseguente, ilquale ancora sembra non esser alieno da tal opinione(Direct. Inquis. pars 1, quaest. 9). E certo non può ne-garsi che tale accusa non fosse del tutto priva di fonda-mento. Giovanni da Parma aveva in grande stima la dot-trina e i libri dell'abate Gioachimo; e fu questa una delleaccuse a lui date, per cui spontaneamente dimise il mini-stero dell'Ordine. S. Bonaventura, che gli fu dato a suc-cessore, destinò giudici ad esaminar lui e alcuni suoicompagni che dicevansi da lui sedotti. Questi in fattimostraronsi così ostinati nel difender le opinionidell'abate Gioachimo, anche in quella parte in cui dallasede apostolica erano state dannate, che convenne punir-li di prigionia. Giovanni non fu trovato reo di error nellafede: ma sol si vide che troppo favorevolmente ei senti-va delle opinioni di Gioachimo. Egli però ritrattò umil-mente ogni errore in cui potesse esser caduto, e si sotto-mise in ogni cosa al giudizio della sede apostolica. Fuperciò rilasciato, e s. Bonaventura permisegli che sce-gliesse qual convento gli fosse più in grado per sua di-mora ed egli ritiratosi in Greccia nella valle di Rieti, vipassò santamente il più degli anni che sopravvisse, fin-chè l'an. 1289 morì in Camerino. Tutto ciò veggasi piùampiamente narrato dall'annalista Wadingo (Ann.Minor. t. 4, p. 2, ec.). Poteasi dunque credere agevol-mente che fosse egli l'autor di un libro ch'era fondatosulle Profezie dell'abate Gioachimo, e in cui tanto esal-

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tavansi gli Ordini mendicanti, e singolarmente, benchèmai non si nominasse, quel de' Minori. Ciò non ostanteil suddetto Wadingo reca argomenti, a mio parere fortis-simi, a dimostrare (l. c. p. 9, ec.) che questa non è cheuna mera impostura; e fra gli altri argomenti quello misembra evidente, che un degli errori dell'Evangelio eter-no era l'antiporre la credenza de' Greci a quella de' Lati-ni, il che non è possibile che si pensasse da Giovanni, ilquale, come si è detto, adoperossi con sommo zelo perla riunione de' Greci. È degna di esser letta tutta l'apolo-gia che su questo punto ne ha fatta il detto storico; allecui ragioni parmi che un'altra ancora di non minor forzasi possa aggiugnere; cioè che se Giovanni fosse statoautore di quell'empio libro, non sarebbesi certo lasciatodi accusarnelo espressamente da quelli che di altri erroriil dissero reo. Or noi veggiamo bensì ch'egli fu accusatodi seguire alcune opinioni dell'abate Gioachimo, mach'egli avesse composto l'Evangelio eterno, non trovia-mo che da alcun si dicesse, nè ch'egli fosse costretto anegare di averlo composto, o a ritrattare gli errori inesso insegnati. Quindi mi sembra che senza bastevol ra-gione il du Boulay (Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 299) lo ab-bia creduto autore di questo libro.

XXV. L'accusa data a Giovanni di avercomposto un tal libro è sembrata, improba-bile anche all'Oudin (l. c.), il qual per altronon è sì difficile in adottare somiglianti opi-

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Si continual'esame del-la stessaquistione.

tavansi gli Ordini mendicanti, e singolarmente, benchèmai non si nominasse, quel de' Minori. Ciò non ostanteil suddetto Wadingo reca argomenti, a mio parere fortis-simi, a dimostrare (l. c. p. 9, ec.) che questa non è cheuna mera impostura; e fra gli altri argomenti quello misembra evidente, che un degli errori dell'Evangelio eter-no era l'antiporre la credenza de' Greci a quella de' Lati-ni, il che non è possibile che si pensasse da Giovanni, ilquale, come si è detto, adoperossi con sommo zelo perla riunione de' Greci. È degna di esser letta tutta l'apolo-gia che su questo punto ne ha fatta il detto storico; allecui ragioni parmi che un'altra ancora di non minor forzasi possa aggiugnere; cioè che se Giovanni fosse statoautore di quell'empio libro, non sarebbesi certo lasciatodi accusarnelo espressamente da quelli che di altri erroriil dissero reo. Or noi veggiamo bensì ch'egli fu accusatodi seguire alcune opinioni dell'abate Gioachimo, mach'egli avesse composto l'Evangelio eterno, non trovia-mo che da alcun si dicesse, nè ch'egli fosse costretto anegare di averlo composto, o a ritrattare gli errori inesso insegnati. Quindi mi sembra che senza bastevol ra-gione il du Boulay (Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 299) lo ab-bia creduto autore di questo libro.

XXV. L'accusa data a Giovanni di avercomposto un tal libro è sembrata, improba-bile anche all'Oudin (l. c.), il qual per altronon è sì difficile in adottare somiglianti opi-

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Si continual'esame del-la stessaquistione.

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nioni. Ma egli dopo aver difeso l'autor francescano, ad-dossa questo delitto a tutto l'Ordine de' Predicatori, dacui afferma essere stato composto e divolgato l'Evange-lio eterno. Matteo Paris fu il primo autore di questa ca-lunnia (Hist. ad an. 1256), a cui l'Oudin aggiugne duealtri scrittori contemporanei da' quali questo stesso sinarra, cioè Richerio monaco di s. Benedetto, e Egidio deLorris. Ma, come ottimamente osserva il Rinaldi (Ann.eccl. ad eund. an.), la maniera stessa con cui essi accu-san quest'Ordine di aver pubblicati sì gravi errori, bastaa scolparnelo, perciocchè avrebbon essi dovuto dire chifosse precisamente l'autor di quel libro, e non incolparnegeneralmente l'Ordine tutto. E noi ora sappiam final-mente di certo chi fosse l'autore del Vangelo eterno cheda alcuni fu attribuito al b. Giovanni di Parma, e ne dob-biam la scoperta all'infatigabile diligenza del sopralloda-to p. Ireneo Affà che ne ha trovata la notizia nella Cro-naca ms. di f. Salimbene scrittor di quei tempi da lui pri-ma di ogni altro attentamente esaminata. Ei fu f. Gherar-dino da Borgo s. Donnino dell'Ordine dei Minori. Sa-limbene narra a p. 399 che Alessandro IV proscrisse dueempj libri, cioè quello di Guglielmo da s. Amore, e ilVangelo eterno, e di questo secondo dice: "Alter vero li-bellus continebat multas falsitates contra doctrinam Ab-batis Joachym, quia sic Abbas non scripserat; videlicetquod Evangelium Christi et doctrina Novi Testamentineminem ad perfectum duxit, et evacuanda erant MC-CLX. anno.... Et nota quod iste, qui fecir istum libellum,dictus est Frater Ghirardinus de Burgo Sancti Domini,

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nioni. Ma egli dopo aver difeso l'autor francescano, ad-dossa questo delitto a tutto l'Ordine de' Predicatori, dacui afferma essere stato composto e divolgato l'Evange-lio eterno. Matteo Paris fu il primo autore di questa ca-lunnia (Hist. ad an. 1256), a cui l'Oudin aggiugne duealtri scrittori contemporanei da' quali questo stesso sinarra, cioè Richerio monaco di s. Benedetto, e Egidio deLorris. Ma, come ottimamente osserva il Rinaldi (Ann.eccl. ad eund. an.), la maniera stessa con cui essi accu-san quest'Ordine di aver pubblicati sì gravi errori, bastaa scolparnelo, perciocchè avrebbon essi dovuto dire chifosse precisamente l'autor di quel libro, e non incolparnegeneralmente l'Ordine tutto. E noi ora sappiam final-mente di certo chi fosse l'autore del Vangelo eterno cheda alcuni fu attribuito al b. Giovanni di Parma, e ne dob-biam la scoperta all'infatigabile diligenza del sopralloda-to p. Ireneo Affà che ne ha trovata la notizia nella Cro-naca ms. di f. Salimbene scrittor di quei tempi da lui pri-ma di ogni altro attentamente esaminata. Ei fu f. Gherar-dino da Borgo s. Donnino dell'Ordine dei Minori. Sa-limbene narra a p. 399 che Alessandro IV proscrisse dueempj libri, cioè quello di Guglielmo da s. Amore, e ilVangelo eterno, e di questo secondo dice: "Alter vero li-bellus continebat multas falsitates contra doctrinam Ab-batis Joachym, quia sic Abbas non scripserat; videlicetquod Evangelium Christi et doctrina Novi Testamentineminem ad perfectum duxit, et evacuanda erant MC-CLX. anno.... Et nota quod iste, qui fecir istum libellum,dictus est Frater Ghirardinus de Burgo Sancti Domini,

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qui in Sicilia nutritus fuit in seculo, et ibi docuit inGrammatica. Et cum intrasset Ordinem Fratrum Mino-rum processu temporis fuit Parisius pro Provincia Sici-lie, et factus est Lector in Theologia, et Parisius fecitistum libellum; et ignorantibus Fratribus divulgavit. Sedvalde bene fuit punitus, ut posui supra". Del gastigodato a f. Gherardino avea parlato f. Salimbene a p. 394,ove dopo aver detto, ciò che pur ripete altrove; che fuordi questo libro niun'altra taccia poteasi a lui apporre, ech'era uomo di ottimi ed onesti costumi, soggiugne: "Etquia occasione istius libelli improperatum fuit Ordini etParisius et alibi, ideo predictus Ghirardinus, qui libel-lum fecerat, privatus fuit lectoris officio, et predicationi-bus, et confessionibus audiendis, et omni actu legittimoOrdinis. Et quia noluit rescipiscere, et culpam suam hu-militer recognoscere, sed perseveravit obstinatus proca-citer in pertinacia et contumacia sua, posuerunt eumFratres Minores in compedibus et in carcere, et sustenta-verunt eum pane tribulationis, et aqua angustie... Istemiser nec sic voluit resilire a proposito obstinationissue... Cognoscant igitur omnes quod rigor justitie serva-tur in Ordine Fratrum Minorum contra Ordinis tran-sgressores. Non igitur unius stultitia est toti Ordini im-putanda".

XXVI. L'Ordine agostiniano ancora, le cuidiverse congregazioni furono in un solcorpo unite l'an. 1256, ebbe di questi tem-

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Teologi ago-stiniani in Pa-rigi: Egidio daRoma.

qui in Sicilia nutritus fuit in seculo, et ibi docuit inGrammatica. Et cum intrasset Ordinem Fratrum Mino-rum processu temporis fuit Parisius pro Provincia Sici-lie, et factus est Lector in Theologia, et Parisius fecitistum libellum; et ignorantibus Fratribus divulgavit. Sedvalde bene fuit punitus, ut posui supra". Del gastigodato a f. Gherardino avea parlato f. Salimbene a p. 394,ove dopo aver detto, ciò che pur ripete altrove; che fuordi questo libro niun'altra taccia poteasi a lui apporre, ech'era uomo di ottimi ed onesti costumi, soggiugne: "Etquia occasione istius libelli improperatum fuit Ordini etParisius et alibi, ideo predictus Ghirardinus, qui libel-lum fecerat, privatus fuit lectoris officio, et predicationi-bus, et confessionibus audiendis, et omni actu legittimoOrdinis. Et quia noluit rescipiscere, et culpam suam hu-militer recognoscere, sed perseveravit obstinatus proca-citer in pertinacia et contumacia sua, posuerunt eumFratres Minores in compedibus et in carcere, et sustenta-verunt eum pane tribulationis, et aqua angustie... Istemiser nec sic voluit resilire a proposito obstinationissue... Cognoscant igitur omnes quod rigor justitie serva-tur in Ordine Fratrum Minorum contra Ordinis tran-sgressores. Non igitur unius stultitia est toti Ordini im-putanda".

XXVI. L'Ordine agostiniano ancora, le cuidiverse congregazioni furono in un solcorpo unite l'an. 1256, ebbe di questi tem-

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Teologi ago-stiniani in Pa-rigi: Egidio daRoma.

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pi in Parigi tre celebri professori, de' quali, benchè toc-cassero in parte il secol seguente, perchè nondimenofiorirono in quello di cui scriviamo, diremo a questoluogo. Essi sono il b. Egidio Colonna che dalla sua pa-tria dicesi comunemente Egidio da Roma, AgostinoTrionfo d'Ancona, e Jacopo da Viterbo. Di questi tre fa-mosi teologi non possiam non bramare che alcun prendaa esaminare attentamente la vita e le azioni. Molti, sin-golarmente tra gli Agostiniani, ne hanno scritto; ma essisono scrittori vissuti in tempo in cui la critica non eraancora ben conosciuta, e non possiamo perciò fidarciabbastanza a' lor racconti. L'idea di questa mia Storianon mi permette il far di ogni cosa minute ricerche; equindi raccoglierò qui in breve, ed esaminerò, quanto misarà possibile, ciò che ne hanno scritto alcuni de' più ac-creditati moderni scrittori. Nel che fare io confesso diaver ricevuti lumi e soccorsi grandemente opportuni dalp. Giacinto dalla Torre agostiniano già lettore in Cremo-na, e poi sollevato a più cospicue dignità nel suo Ordine,il quale mosso da quel lodevole zelo che ogni religiosonudrir dovrebbe per la gloria dell'Ordin suo, con dili-genza non ordinaria ha intrapreso a raccogliere le piùesatte e le più accertate notizie intorno a' più celebriscrittori agostiniani, e con singolar gentilezza me le haliberalmente comunicate. Io verrò giovandomene secon-do il bisogno, ma poichè ne' limiti di brevità, che misono prefissi, son costretto a toccare soltanto le cose dimaggior momento, non posso a meno di non pregar cal-damente il suddetto dottissimo religioso a volerci dare

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pi in Parigi tre celebri professori, de' quali, benchè toc-cassero in parte il secol seguente, perchè nondimenofiorirono in quello di cui scriviamo, diremo a questoluogo. Essi sono il b. Egidio Colonna che dalla sua pa-tria dicesi comunemente Egidio da Roma, AgostinoTrionfo d'Ancona, e Jacopo da Viterbo. Di questi tre fa-mosi teologi non possiam non bramare che alcun prendaa esaminare attentamente la vita e le azioni. Molti, sin-golarmente tra gli Agostiniani, ne hanno scritto; ma essisono scrittori vissuti in tempo in cui la critica non eraancora ben conosciuta, e non possiamo perciò fidarciabbastanza a' lor racconti. L'idea di questa mia Storianon mi permette il far di ogni cosa minute ricerche; equindi raccoglierò qui in breve, ed esaminerò, quanto misarà possibile, ciò che ne hanno scritto alcuni de' più ac-creditati moderni scrittori. Nel che fare io confesso diaver ricevuti lumi e soccorsi grandemente opportuni dalp. Giacinto dalla Torre agostiniano già lettore in Cremo-na, e poi sollevato a più cospicue dignità nel suo Ordine,il quale mosso da quel lodevole zelo che ogni religiosonudrir dovrebbe per la gloria dell'Ordin suo, con dili-genza non ordinaria ha intrapreso a raccogliere le piùesatte e le più accertate notizie intorno a' più celebriscrittori agostiniani, e con singolar gentilezza me le haliberalmente comunicate. Io verrò giovandomene secon-do il bisogno, ma poichè ne' limiti di brevità, che misono prefissi, son costretto a toccare soltanto le cose dimaggior momento, non posso a meno di non pregar cal-damente il suddetto dottissimo religioso a volerci dare

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una compita storia degli scrittori del suo chiarissimo Or-dine, per la qual opera egli ha i talenti e può facilmenteavere i soccorsi più necessarj. Egidio, nato circa l'an.1247 della nobilissima famiglia Colonna, di che il p.dalla Torre afferma di essere stato accertato dall'archivi-sta di questa casa, dopo aver fatti in patria i primi suoistudj, e dopo essere stato arrolato nell'Ordine di s. Ago-stino, fu mandato a Parigi allo studio della teologia l'an.1269, come ricavasi dagli antichi registri dell'Ordine (16).Ivi ebbe a suo maestro s. Tommaso, e secondo il comunsentimento degli scrittori agostaniani, vi ebbe a suoicondiscepoli gli altri due soprannomati teologi AgostinoTrionfo e Jacopo da Viterbo; e dee perciò correggersi ilBruckero che fa Egidio scolaro del Trionfo (Hist. crit.Philos. t. 3, p. 823); e debbonsi ancora emendare altriscrittori che hanno affermato che Egidio fu scolaro an-cora di s. Bonaventura, poichè questi l'an. 1269 non erapiù professore in Parigi. Egidio formatosi alla scuola dis. Tommaso, gli mostrò a tempo opportuno la sua grati-tudine; perciocchè avendo Guglielmo di Mara dell'Ordi-

16 A toglier i dubbi che alcuni scrittori han mosso sulla famiglia del b. Egidioda Roma, fondati sul silenzio de' più antichi scrittori e sulla nimicizia chepassava tra il pontef. Bonifacio VIII e i Colonnesi, sarebbe desiderabileche si producessero i monumenti che diconsi serbati nell'archivio della fa-miglia Colonna, co' quali ciò si dimostra. Per ciò che appartiene agli studjda lui fatti sotto la direzione di s. Tommaso, non si può dire a rigore che eisi formasse alla scuola di esso, poichè se andò a Parigi nell'anno 1269, nonpotè ivi averlo a maestro che per due anni, essendone il santo partito nel1272, e ciò che Guglielmo da Tocco nella Vita di s. Tommaso afferma, chequesti ebbe a suo scolaro Egidio per tredici anni, è assai difficile a combi-narsi colle epoche delle vite di amendue.

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una compita storia degli scrittori del suo chiarissimo Or-dine, per la qual opera egli ha i talenti e può facilmenteavere i soccorsi più necessarj. Egidio, nato circa l'an.1247 della nobilissima famiglia Colonna, di che il p.dalla Torre afferma di essere stato accertato dall'archivi-sta di questa casa, dopo aver fatti in patria i primi suoistudj, e dopo essere stato arrolato nell'Ordine di s. Ago-stino, fu mandato a Parigi allo studio della teologia l'an.1269, come ricavasi dagli antichi registri dell'Ordine (16).Ivi ebbe a suo maestro s. Tommaso, e secondo il comunsentimento degli scrittori agostaniani, vi ebbe a suoicondiscepoli gli altri due soprannomati teologi AgostinoTrionfo e Jacopo da Viterbo; e dee perciò correggersi ilBruckero che fa Egidio scolaro del Trionfo (Hist. crit.Philos. t. 3, p. 823); e debbonsi ancora emendare altriscrittori che hanno affermato che Egidio fu scolaro an-cora di s. Bonaventura, poichè questi l'an. 1269 non erapiù professore in Parigi. Egidio formatosi alla scuola dis. Tommaso, gli mostrò a tempo opportuno la sua grati-tudine; perciocchè avendo Guglielmo di Mara dell'Ordi-

16 A toglier i dubbi che alcuni scrittori han mosso sulla famiglia del b. Egidioda Roma, fondati sul silenzio de' più antichi scrittori e sulla nimicizia chepassava tra il pontef. Bonifacio VIII e i Colonnesi, sarebbe desiderabileche si producessero i monumenti che diconsi serbati nell'archivio della fa-miglia Colonna, co' quali ciò si dimostra. Per ciò che appartiene agli studjda lui fatti sotto la direzione di s. Tommaso, non si può dire a rigore che eisi formasse alla scuola di esso, poichè se andò a Parigi nell'anno 1269, nonpotè ivi averlo a maestro che per due anni, essendone il santo partito nel1272, e ciò che Guglielmo da Tocco nella Vita di s. Tommaso afferma, chequesti ebbe a suo scolaro Egidio per tredici anni, è assai difficile a combi-narsi colle epoche delle vite di amendue.

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ne de' Minori teologo di Oxford pubblicato un libro con-tro molte proposizioni di quel s. dottore (V. Oudin. l. c.p. 618). Egidio ne prese la difesa, e pubblicò un'operaintitolata: Difensorio di s. Tommaso. Questa da alcuni sivuole opera di altro scrittore (V. de Rubeis diss. De s.Thoma). Ma oltre più altre pruove, a mostrarlo lavorodel b. Egidio, è troppo autorevole la testimonianza diArrigo di Usimaria tedesco, che gli fu in parte coetaneo,poichè morì l'an. 1340. Egli adunque favellando delleopere di Egidio dice espressamente ch'egli scrisse con-tra fratrem Guillelmum de Mara in defensionem magi-stri sancti Thomae (De origine FF. eremit.). Nelle con-tese che cominciarono ad eccitarsi in Parigi tra 'l clero ei Mendicanti intorno alle loro esenzioni l'an. 1281, os-serva il Crevier (Hist. de l'Univ. de Paris t. 2, p. 106)che Egidio il più famoso dottore, dic'egli, che fosse allo-ra in Parigi, benchè agostiniano, e perciò mendicante,nondimeno, perchè la causa de' prelati gli parve più giu-sta, si tenne costantemente per essi. Ei diede saggio an-cora della sua umiltà, quando avendo il vescovo di Pari-gi Stefano Tempier condennate alcune proposizioni dalui insegnate, Egidio venuto a Roma per ritrattarsi, ovefacesse bisogno, innanzi al pontef. Onorio IV, e da lui ri-mandato a Parigi, perchè ivi emendasse ciò in che potes-se avere errato, egli si sottopose di buon animo a ciò chedalla università gli fu imposto di ritrattare (ib. p. 113).L'an. 1286 quando Filippo il Bello consecrato a Reimsvenne a Parigi, Egidio fu dall'università destinato acomplimentarlo in suo nome (Crevier l. c. p. 114). Il du

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ne de' Minori teologo di Oxford pubblicato un libro con-tro molte proposizioni di quel s. dottore (V. Oudin. l. c.p. 618). Egidio ne prese la difesa, e pubblicò un'operaintitolata: Difensorio di s. Tommaso. Questa da alcuni sivuole opera di altro scrittore (V. de Rubeis diss. De s.Thoma). Ma oltre più altre pruove, a mostrarlo lavorodel b. Egidio, è troppo autorevole la testimonianza diArrigo di Usimaria tedesco, che gli fu in parte coetaneo,poichè morì l'an. 1340. Egli adunque favellando delleopere di Egidio dice espressamente ch'egli scrisse con-tra fratrem Guillelmum de Mara in defensionem magi-stri sancti Thomae (De origine FF. eremit.). Nelle con-tese che cominciarono ad eccitarsi in Parigi tra 'l clero ei Mendicanti intorno alle loro esenzioni l'an. 1281, os-serva il Crevier (Hist. de l'Univ. de Paris t. 2, p. 106)che Egidio il più famoso dottore, dic'egli, che fosse allo-ra in Parigi, benchè agostiniano, e perciò mendicante,nondimeno, perchè la causa de' prelati gli parve più giu-sta, si tenne costantemente per essi. Ei diede saggio an-cora della sua umiltà, quando avendo il vescovo di Pari-gi Stefano Tempier condennate alcune proposizioni dalui insegnate, Egidio venuto a Roma per ritrattarsi, ovefacesse bisogno, innanzi al pontef. Onorio IV, e da lui ri-mandato a Parigi, perchè ivi emendasse ciò in che potes-se avere errato, egli si sottopose di buon animo a ciò chedalla università gli fu imposto di ritrattare (ib. p. 113).L'an. 1286 quando Filippo il Bello consecrato a Reimsvenne a Parigi, Egidio fu dall'università destinato acomplimentarlo in suo nome (Crevier l. c. p. 114). Il du

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Boulay reca l'orazione da lui recitata in latino e in fran-cese (De Gestis Franc. l. 8), e aveala prima di lui pro-dotta Paolo Emili (Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 475, 477),ma forse ella fu composta come suole avvenire daglistorici stessi da cui il du Boulay la trasse. Egli era statomaestro di questo monarca; e ad istruzione di esso egliscrisse la sua opera de Regimine Principum, la quale giàabbiamo osservato essere interamente diversa da quelladi s. Tommaso: e il Crevier confessa che a lui dovetteFilippo l'amore che professò sempre alle lettere (ib. p.515). Quest'opera di Egidio fu avuta in sì gran pregio,che fu tradotta anche in lingua ebraica (Wolf. Bibl. hebr.t. 3, p. 206). Nel suo Ordine mantenne egli tal fama, chenel Capitolo generale tenuto in Firenze l'an 1287 fu fattodecreto che tutto l'Ordine dovesse attenersi interamentealle opinioni ch'egli avesse insegnate, e che in avvenireinsegnasse. L'an. 1292 fu dallo stesso Ordine eletto ge-nerale. Bonifacio VIII, la cui elezione avea egli difesascrivendo il suo trattato sulla validità della rinuncia dels. pontef. Celestino V, intitolato de renuntiatione Papae,e per cui ordine egli scrisse un Compendio della Fedecristiana da mandarsi al gran Signore de' Tartari, chemostrava desiderio di venire alla cristiana fede, del qualcompendio conservasi un codice ms. (Cat. Bibl. riccard.p. 7), Bonifacio, dico, sollevollo nel I anno del suo pon-tificato, cioè nel 1295, all'arcivescovado di Bourges(Gallia christ. t. 2, p. 76). Quando si accesero le funestediscordie tra Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo ilbello, Egidio prese a scrivere sul pericoloso argomento

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Boulay reca l'orazione da lui recitata in latino e in fran-cese (De Gestis Franc. l. 8), e aveala prima di lui pro-dotta Paolo Emili (Hist. Univ. Paris. t. 3, p. 475, 477),ma forse ella fu composta come suole avvenire daglistorici stessi da cui il du Boulay la trasse. Egli era statomaestro di questo monarca; e ad istruzione di esso egliscrisse la sua opera de Regimine Principum, la quale giàabbiamo osservato essere interamente diversa da quelladi s. Tommaso: e il Crevier confessa che a lui dovetteFilippo l'amore che professò sempre alle lettere (ib. p.515). Quest'opera di Egidio fu avuta in sì gran pregio,che fu tradotta anche in lingua ebraica (Wolf. Bibl. hebr.t. 3, p. 206). Nel suo Ordine mantenne egli tal fama, chenel Capitolo generale tenuto in Firenze l'an 1287 fu fattodecreto che tutto l'Ordine dovesse attenersi interamentealle opinioni ch'egli avesse insegnate, e che in avvenireinsegnasse. L'an. 1292 fu dallo stesso Ordine eletto ge-nerale. Bonifacio VIII, la cui elezione avea egli difesascrivendo il suo trattato sulla validità della rinuncia dels. pontef. Celestino V, intitolato de renuntiatione Papae,e per cui ordine egli scrisse un Compendio della Fedecristiana da mandarsi al gran Signore de' Tartari, chemostrava desiderio di venire alla cristiana fede, del qualcompendio conservasi un codice ms. (Cat. Bibl. riccard.p. 7), Bonifacio, dico, sollevollo nel I anno del suo pon-tificato, cioè nel 1295, all'arcivescovado di Bourges(Gallia christ. t. 2, p. 76). Quando si accesero le funestediscordie tra Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo ilbello, Egidio prese a scrivere sul pericoloso argomento

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della podestà ecclesiastica e della temporale; e i Mauriniautori della Gallia Sacra ci dicono (l. c. p. 78) che egli simostrò scrivendo piuttosto favorevole a Bonifacio che aFilippo, talchè questi ne fu altamente sdegnato, e Boni-facio al contrario pensò di onorarlo della sacra porpora,benchè poscia la morte non gliel permettesse. Il Golda-sto ha pubblicato (Monarchia Rom. Imp. t. 2, p. 96) sot-to il nome di Egidio un breve opuscolo, intitolato Quae-stio de utraque Potestate, nel quale, dopo aver recata laBolla di Bonifacio VIII contro del re, e la risposta che ilre le fece, esamina se la podestà pontificia e la reale sie-no tra lor distinte; e dopo avere stabilito, che sì, svolgepiù ampiamente in cinque articoli lo stesso argomento.Or io non so intendere come, per questo opuscolo ei po-tesse incorrer lo sdegno di Filippo, e ottenere il favoredi Bonifacio. Perciocchè egli apertamente afferma, fra lealtre cose che Christus in institutione spiritualis pote-statis nullum commisit vel potius promisit dominiumterrenorum. Egli è vero che nelle cause miste egli attri-buisce il diritto di decisione alla Chiesa; ma ciò a que'tempi non dovea certo bastare a rendergli sì favorevolel'animo di Bonifacio, nè sì avverso quel di Filippo. Peraltra parte nella libreria de' pp. Agostiniani in Cremona,come ha osservato il diligentissimo p. dalla Torre, con-servasi un esemplar ms. dell'opera de Potestate eccle-siastica del b. Egidio assai più ampia, e indirizzata a di-fendere troppo diverse opinioni. Ella è dedicata allostesso pontefice, e divisa in tre parti, e ognuna d'esse inpiù capi. Nella prima egli tratta de hujusmodi potestate

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della podestà ecclesiastica e della temporale; e i Mauriniautori della Gallia Sacra ci dicono (l. c. p. 78) che egli simostrò scrivendo piuttosto favorevole a Bonifacio che aFilippo, talchè questi ne fu altamente sdegnato, e Boni-facio al contrario pensò di onorarlo della sacra porpora,benchè poscia la morte non gliel permettesse. Il Golda-sto ha pubblicato (Monarchia Rom. Imp. t. 2, p. 96) sot-to il nome di Egidio un breve opuscolo, intitolato Quae-stio de utraque Potestate, nel quale, dopo aver recata laBolla di Bonifacio VIII contro del re, e la risposta che ilre le fece, esamina se la podestà pontificia e la reale sie-no tra lor distinte; e dopo avere stabilito, che sì, svolgepiù ampiamente in cinque articoli lo stesso argomento.Or io non so intendere come, per questo opuscolo ei po-tesse incorrer lo sdegno di Filippo, e ottenere il favoredi Bonifacio. Perciocchè egli apertamente afferma, fra lealtre cose che Christus in institutione spiritualis pote-statis nullum commisit vel potius promisit dominiumterrenorum. Egli è vero che nelle cause miste egli attri-buisce il diritto di decisione alla Chiesa; ma ciò a que'tempi non dovea certo bastare a rendergli sì favorevolel'animo di Bonifacio, nè sì avverso quel di Filippo. Peraltra parte nella libreria de' pp. Agostiniani in Cremona,come ha osservato il diligentissimo p. dalla Torre, con-servasi un esemplar ms. dell'opera de Potestate eccle-siastica del b. Egidio assai più ampia, e indirizzata a di-fendere troppo diverse opinioni. Ella è dedicata allostesso pontefice, e divisa in tre parti, e ognuna d'esse inpiù capi. Nella prima egli tratta de hujusmodi potestate

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respectu materialis gladii et respectu potentie secularis;nella seconda de ecclesiastica potestate respectu ad hectemporalia que videmus; nella terza scioglie le difficoltàche alla sua opinione si possono opporre. Qual dunquecrederem noi che sia la vera opera di Egidio, giacchènon può credersi in alcun modo che un uom sì saggio esì dotto scrivesse due opere così tra loro contrarie? Il fa-vore di Bonifacio, e lo sdegno di Filippo, che ne furongli effetti, non ci lascian luogo a dubbio alcuno. E l'opu-scolo dal Goldasto dato alla luce è probabilmente unodegli artificj usati dai Protestanti di quella età, di pubbli-care sotto il nome di alcun celebre personaggio qualchetrattato con cui si confermassero i loro errori. Egidiomorì in Avignone l'an. 1316, in età, come credesi, d'anni69, e il corpo, come egli avea ordinato, ne fu trasportatoa Parigi, ove ancor si conserva nella chiesa del suo Or-dine. Molte sono le opere filosofiche e teologiche escritturali da lui composte, intorno alle quali veggasisingolarmente il Cave (Hist. liter. Script. eccl. t. 2, p.339), ed esse sono un bel monumento dell'ingegno nonmeno che della erudizione di questo scrittore. Altre piùminute notizie intorno alla sua vita si potranno vederepresso gli autori ch'io son venuto allegando dopo le qua-li però ci rimane ancora il desiderio, come sopra ho det-to, di vederne una Vita scritta con esattezza corrispon-dente al merito di un uom sì dotto. Forse avrebbe a ciòsoddisfatto il p. Paolino Berti lucchese agostiniano dellaCongregazione di Lombardia, il quale l'an. 1618 pubbli-cò il manifesto di una compiuta edizione, ch'ei meditava

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respectu materialis gladii et respectu potentie secularis;nella seconda de ecclesiastica potestate respectu ad hectemporalia que videmus; nella terza scioglie le difficoltàche alla sua opinione si possono opporre. Qual dunquecrederem noi che sia la vera opera di Egidio, giacchènon può credersi in alcun modo che un uom sì saggio esì dotto scrivesse due opere così tra loro contrarie? Il fa-vore di Bonifacio, e lo sdegno di Filippo, che ne furongli effetti, non ci lascian luogo a dubbio alcuno. E l'opu-scolo dal Goldasto dato alla luce è probabilmente unodegli artificj usati dai Protestanti di quella età, di pubbli-care sotto il nome di alcun celebre personaggio qualchetrattato con cui si confermassero i loro errori. Egidiomorì in Avignone l'an. 1316, in età, come credesi, d'anni69, e il corpo, come egli avea ordinato, ne fu trasportatoa Parigi, ove ancor si conserva nella chiesa del suo Or-dine. Molte sono le opere filosofiche e teologiche escritturali da lui composte, intorno alle quali veggasisingolarmente il Cave (Hist. liter. Script. eccl. t. 2, p.339), ed esse sono un bel monumento dell'ingegno nonmeno che della erudizione di questo scrittore. Altre piùminute notizie intorno alla sua vita si potranno vederepresso gli autori ch'io son venuto allegando dopo le qua-li però ci rimane ancora il desiderio, come sopra ho det-to, di vederne una Vita scritta con esattezza corrispon-dente al merito di un uom sì dotto. Forse avrebbe a ciòsoddisfatto il p. Paolino Berti lucchese agostiniano dellaCongregazione di Lombardia, il quale l'an. 1618 pubbli-cò il manifesto di una compiuta edizione, ch'ei meditava

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di fare, di tutte le Opere del b. Egidio, ed egli avea per-ciò diligentemente cercate tutte le più celebri bibliote-che. Ma essendo egli morto in Firenze l'an. 1621, il suodisegno rimase interrotto, nè è mai stato da altri condot-to ad effetto (17).

XXVII. Più scarse ancora e più incerte sonle notizie che abbiamo di Agostino Trionfoanconitano di patria, e religioso dello stessoOrdine agostiniano. Dalla iscrizione che ne

fu posta al sepolcro di Napoli, si raccoglie ch'ei nacquel'an. 1243, e che morì in età di 85 anni l'an. 1328 (18). In-nanzi all'edizione della sua opera della Podestà ecclesia-stica fatta in Roma l'an. 1584 si legge la Vita di questodotto teologo in cui si narra che entrato nell'Ordine ago-stiniano, fu mandato a Parigi allo studio della teologia,

17 Assai prima del p. Paolino Berti pensò a darci una compiuta edizione delleOpere di Egidio romano il p. Gabriello da Venezia generale dell'Ordineagostiniano, come si raccoglie da una carta de' 27 di settembre dell'an.1519, che si conserva nell'archivio della Procureria generale di s. Mariadel Popolo in Roma, che mi è stata comunicata dal ch. p. lettor TommasoVerani da me altrove lodato, nella quale egli attesta di aver ricevuti a talfine in prestito dal convento di Cremona due codici delle Opere di Egidio.Ma questo disegno non fu eseguito. Nel 1555 il general dell'Ordine Cristo-foro da Padova fece stampare in Roma il primo tomo delle dette Opere;ma questa edizione ancora non fu continuata.

18 Agostino Trionfo fu nipote di Guglielmo Bompiano agostiniano esso pure,uomo assai dotto, e autor di un trattato de Poenitentia, il quale esisteva an-cora nel sec. XVI ai tempi di Giovanni Bunderio che ne fa menzione(Compendium Concertationis, etc. tit. 14 de Contritione). Di lui e diquest'opera parla dopo più altri scrittori il p. Ossinger (Bibl. Augustin. p.49).

236

AgostinoTrionfod'Ancona.

di fare, di tutte le Opere del b. Egidio, ed egli avea per-ciò diligentemente cercate tutte le più celebri bibliote-che. Ma essendo egli morto in Firenze l'an. 1621, il suodisegno rimase interrotto, nè è mai stato da altri condot-to ad effetto (17).

XXVII. Più scarse ancora e più incerte sonle notizie che abbiamo di Agostino Trionfoanconitano di patria, e religioso dello stessoOrdine agostiniano. Dalla iscrizione che ne

fu posta al sepolcro di Napoli, si raccoglie ch'ei nacquel'an. 1243, e che morì in età di 85 anni l'an. 1328 (18). In-nanzi all'edizione della sua opera della Podestà ecclesia-stica fatta in Roma l'an. 1584 si legge la Vita di questodotto teologo in cui si narra che entrato nell'Ordine ago-stiniano, fu mandato a Parigi allo studio della teologia,

17 Assai prima del p. Paolino Berti pensò a darci una compiuta edizione delleOpere di Egidio romano il p. Gabriello da Venezia generale dell'Ordineagostiniano, come si raccoglie da una carta de' 27 di settembre dell'an.1519, che si conserva nell'archivio della Procureria generale di s. Mariadel Popolo in Roma, che mi è stata comunicata dal ch. p. lettor TommasoVerani da me altrove lodato, nella quale egli attesta di aver ricevuti a talfine in prestito dal convento di Cremona due codici delle Opere di Egidio.Ma questo disegno non fu eseguito. Nel 1555 il general dell'Ordine Cristo-foro da Padova fece stampare in Roma il primo tomo delle dette Opere;ma questa edizione ancora non fu continuata.

18 Agostino Trionfo fu nipote di Guglielmo Bompiano agostiniano esso pure,uomo assai dotto, e autor di un trattato de Poenitentia, il quale esisteva an-cora nel sec. XVI ai tempi di Giovanni Bunderio che ne fa menzione(Compendium Concertationis, etc. tit. 14 de Contritione). Di lui e diquest'opera parla dopo più altri scrittori il p. Ossinger (Bibl. Augustin. p.49).

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AgostinoTrionfod'Ancona.

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come noi pure già abbiam detto; che fu in quella univer-sità ammesso a tutti i gradi di onore; che tenne ivi congrande applauso pubblica scuola; che giovane di soli 31anni intervenne l'an. 1274 al Concilio di Lione; che po-scia da Francesco Carrara signor di Padova fu chiamatoa questa città per istruire il popolo colle sue prediche;che tornato indi ad Ancona sua patria, attese a comporremolte opere di diversi argomenti; che giunta la fama delprofondo sapere di cui egli era fornito a Carlo II re diNapoli, questi mandò ad Ancona le sue galee con onore-vole accompagnamento, perchè a lui ne venisse e chegiunto a Napoli, Agostino vi ebbe dal re medesimo e daRoberto di lui figliuolo le più segnalate testimonianze dionore e di stima, e che fu da essi impiegato in ambascia-te e in affari di gran momento. Io voglio credere chel'autore di questa Vita non abbia asserite tai cose senzaprobabile fondamento; ma sarebbe stato opportuno chese ne fosser recate le pruove. Certo nulla di tali cose, sese ne traggan gli studj da lui fatti in Parigi, si trova neglielogi del Trionfo, che alla stessa Vita si veggon soggiun-ti, tratti dalle Opere di f. Jacopo Filippo da Bergamo,dello Schedel, del Tritemio, del Volaterrano e di altri; edell'esser egli intervenuto al Concilio di Lione non v'hatra gli storici di que' tempi, nè tra gli antichi scrittoriagostiniani, chi faccia motto. E inoltre alcune delle coseche abbiam vedute narrarsi, non possono sostenersi. Ilprimo tra' Carraresi, che fosse signor di Padova fu Jaco-po, a cui ne fu data la signoria solo l'an. 1317 (Murat.Ann. d'Ital. ad h. an.). Francesco non n'ebbe il dominio

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come noi pure già abbiam detto; che fu in quella univer-sità ammesso a tutti i gradi di onore; che tenne ivi congrande applauso pubblica scuola; che giovane di soli 31anni intervenne l'an. 1274 al Concilio di Lione; che po-scia da Francesco Carrara signor di Padova fu chiamatoa questa città per istruire il popolo colle sue prediche;che tornato indi ad Ancona sua patria, attese a comporremolte opere di diversi argomenti; che giunta la fama delprofondo sapere di cui egli era fornito a Carlo II re diNapoli, questi mandò ad Ancona le sue galee con onore-vole accompagnamento, perchè a lui ne venisse e chegiunto a Napoli, Agostino vi ebbe dal re medesimo e daRoberto di lui figliuolo le più segnalate testimonianze dionore e di stima, e che fu da essi impiegato in ambascia-te e in affari di gran momento. Io voglio credere chel'autore di questa Vita non abbia asserite tai cose senzaprobabile fondamento; ma sarebbe stato opportuno chese ne fosser recate le pruove. Certo nulla di tali cose, sese ne traggan gli studj da lui fatti in Parigi, si trova neglielogi del Trionfo, che alla stessa Vita si veggon soggiun-ti, tratti dalle Opere di f. Jacopo Filippo da Bergamo,dello Schedel, del Tritemio, del Volaterrano e di altri; edell'esser egli intervenuto al Concilio di Lione non v'hatra gli storici di que' tempi, nè tra gli antichi scrittoriagostiniani, chi faccia motto. E inoltre alcune delle coseche abbiam vedute narrarsi, non possono sostenersi. Ilprimo tra' Carraresi, che fosse signor di Padova fu Jaco-po, a cui ne fu data la signoria solo l'an. 1317 (Murat.Ann. d'Ital. ad h. an.). Francesco non n'ebbe il dominio

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che l'an. 1350 (id. ad. h. an.). Come dicesi dunque chedopo il Concilio di Lione del 1274 il Trionfo fu da Fran-cesco Carrara chiamato a Padova? E come dicesi ancorache dopo più anni Carlo II, re di Napoli, il volle alla suacorte, mentre questi era morto fin dall'an. 1309, primacioè che Jacopo non che Francesco di Carrara fosse si-gnor di Padova? Il Fabricio aggiugne (Bibl. med. et inf.Latin. t. 1, p. 152) ch'ei fu ancora arcivescovo di Naza-ret. Ma egli ha confuso Agostino Trionfo con Agostinoda Roma. Se però è incerto ciò che appartiene alla vitadi questo dotto teologo, le opere da lui composte ci sonopruova ben certa del suo sapere. Nella suddetta iscrizio-ne si dice che furono 36 i volumi da lui scritti. Molti sene veggono rammentati dall'autor della Vita, dal Fabri-cio, e dall'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 599), il qualeancor nomina le biblioteche in cui alcuni di essi conser-vansi manoscritti, e sono opere di diversi argomenti cosìdi teologia, come di filosofia, e interpretazione della sa-cra Scrittura. Di lui però non altro abbiamo alle stampeche la celebre sua opera intitolato Summa de Potestateecclesiastica ch'egli per ordine di Giovanni XXII com-pose, e a cui diè fine l'an. 1320, e inoltre i Comenti sulCantico della Vergine e sull'Angelica Salutazione esull'Orazione Domenicale, e un'operetta sopra l'animaumana. Egli ancora avea cominciata l'opera intitolataMilleloquium s. Augustini, che fu poi compita da Barto-lommeo vescovo di Urbino dello stesso Ordine.

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che l'an. 1350 (id. ad. h. an.). Come dicesi dunque chedopo il Concilio di Lione del 1274 il Trionfo fu da Fran-cesco Carrara chiamato a Padova? E come dicesi ancorache dopo più anni Carlo II, re di Napoli, il volle alla suacorte, mentre questi era morto fin dall'an. 1309, primacioè che Jacopo non che Francesco di Carrara fosse si-gnor di Padova? Il Fabricio aggiugne (Bibl. med. et inf.Latin. t. 1, p. 152) ch'ei fu ancora arcivescovo di Naza-ret. Ma egli ha confuso Agostino Trionfo con Agostinoda Roma. Se però è incerto ciò che appartiene alla vitadi questo dotto teologo, le opere da lui composte ci sonopruova ben certa del suo sapere. Nella suddetta iscrizio-ne si dice che furono 36 i volumi da lui scritti. Molti sene veggono rammentati dall'autor della Vita, dal Fabri-cio, e dall'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 599), il qualeancor nomina le biblioteche in cui alcuni di essi conser-vansi manoscritti, e sono opere di diversi argomenti cosìdi teologia, come di filosofia, e interpretazione della sa-cra Scrittura. Di lui però non altro abbiamo alle stampeche la celebre sua opera intitolato Summa de Potestateecclesiastica ch'egli per ordine di Giovanni XXII com-pose, e a cui diè fine l'an. 1320, e inoltre i Comenti sulCantico della Vergine e sull'Angelica Salutazione esull'Orazione Domenicale, e un'operetta sopra l'animaumana. Egli ancora avea cominciata l'opera intitolataMilleloquium s. Augustini, che fu poi compita da Barto-lommeo vescovo di Urbino dello stesso Ordine.

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XXVIII. Il terzo teologo agostiniano, checo' suoi studj dapprima e poscia col suo ma-gistero onorò l'università di Parigi, è il b. Ja-

copo da Viterbo della famiglia Capoccia. Ei fu condisce-polo, come si è detto, del b. Egidio e del Trionfo, e sco-laro di s. Tommaso. Sin a quando ei si trattenesse in Pa-rigi, non troviam chi 'l dica. Certo è che l'an. 1300 egliera in Napoli ove assistette al Capitolo generale, e vi dièun'eroica pruova della sua umiltà che si riferisce dal p.Gandolfi (Script. augustin.). L'an. 1302 fu innalzato allasede di Benevento, e l'Errera ne cita in prova la Bolla dalui veduta tra' registri del Vaticano (Alphab. augustin.).Infatti abbiamo un Diploma del re Carlo II de' 2 di otto-bre dello stesso anno, in cui rende a Jacopo questo ma-gnifico elogio: Ad omnes Ecclesiarum Praelatos proEcc1esiasticae reverentia dignitatis sincerum habemusin Domino charitatis affectum. Sed dum specialiumdona virtutum, et splendorem scientiae specialem vene-rabilis in Christo Patris Fratris Jacobi de Viterbio Sa-crae Theologiae magistri Archiepiscopi BeneventaniApostolica noviter assumptione provisi, ec. (Chiocca-rell. de Archiep. Neap. p. 192). Nel Sinodico Beneventa-no di Benedetto XIII si dice ch'ei sedette un anno, tremesi e nove giorni, e che l'an 1303 fu trasferito allachiesa di Napoli, il che pure confermasi dall'Ughelli(Ital. Sacra t. 8 in Arch. Benev.), benchè questi altrove ildica trasferito a Napoli l'an. 1302 (ib. t. 6 in Archiep.Neap.). Assai più grave è l'errore dell'Oudin che afferma(De Script. eccl. t. 3, p. 889) lui essere stato fatto arcive-

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Jacopo daViterbo.

XXVIII. Il terzo teologo agostiniano, checo' suoi studj dapprima e poscia col suo ma-gistero onorò l'università di Parigi, è il b. Ja-

copo da Viterbo della famiglia Capoccia. Ei fu condisce-polo, come si è detto, del b. Egidio e del Trionfo, e sco-laro di s. Tommaso. Sin a quando ei si trattenesse in Pa-rigi, non troviam chi 'l dica. Certo è che l'an. 1300 egliera in Napoli ove assistette al Capitolo generale, e vi dièun'eroica pruova della sua umiltà che si riferisce dal p.Gandolfi (Script. augustin.). L'an. 1302 fu innalzato allasede di Benevento, e l'Errera ne cita in prova la Bolla dalui veduta tra' registri del Vaticano (Alphab. augustin.).Infatti abbiamo un Diploma del re Carlo II de' 2 di otto-bre dello stesso anno, in cui rende a Jacopo questo ma-gnifico elogio: Ad omnes Ecclesiarum Praelatos proEcc1esiasticae reverentia dignitatis sincerum habemusin Domino charitatis affectum. Sed dum specialiumdona virtutum, et splendorem scientiae specialem vene-rabilis in Christo Patris Fratris Jacobi de Viterbio Sa-crae Theologiae magistri Archiepiscopi BeneventaniApostolica noviter assumptione provisi, ec. (Chiocca-rell. de Archiep. Neap. p. 192). Nel Sinodico Beneventa-no di Benedetto XIII si dice ch'ei sedette un anno, tremesi e nove giorni, e che l'an 1303 fu trasferito allachiesa di Napoli, il che pure confermasi dall'Ughelli(Ital. Sacra t. 8 in Arch. Benev.), benchè questi altrove ildica trasferito a Napoli l'an. 1302 (ib. t. 6 in Archiep.Neap.). Assai più grave è l'errore dell'Oudin che afferma(De Script. eccl. t. 3, p. 889) lui essere stato fatto arcive-

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Jacopo daViterbo.

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scovo di Napoli verso l'an. 1240. Morì nel 1308, e lasciòpiù opere teologiche e filosofiche che si annoverano dalGandolfi, il quale aggiugne che il p. Maurizio Terzi deiconti di Sissa agostiniano aveale in gran parte raccolteper darle alle stampe ma che rapito da morte non potèeseguire il suo disegno. Esse dunque son tutte inedite, ese ne conservan copie in alcune biblioteche, e singolar-mente di due che son più celebri, cioè di quella intitolatade Regimine christiano, e de' suoi comenti sul Maestrodelle Sentenze. Della prima l'Oudin cita un codice in cuiJacopo la dedica, egli dice, a Benedetto XII. Ma nel pas-so di Jacopo, che da lui stesso si riferisce, si nominasolo Benedetto senza alcun numero, e perciò eidebb'essere Benedetto XI eletto papa nel 1303 e mortol'anno seguente (19).

XXIX. Questi furono i più illustri tra gl'lta-liani, che recatisi a Parigi per coltivarvi glistudj sacri, ottennero ivi tal fama, che furo-no considerati come i più splendidi lumi diquella università si famosa. Essa tuttor sivanta di averli avuti suoi alunni; e noi ci ral-

19 Del beato Jacopo da Viterbo più copiose e più esatte notizie si posson ve-dere nell'opera dell'eruditiss. can. Mazzocchi De Sanctorum neapolitanaeEcclesiae Episcoporum cultu. Io avvertirò solo che nella Casanatense,come mi ha indicato il più volte lodato p. Tommaso Vesani, conservasi co-pia dell'opera da lui scritta de Regimine christiano, tratta da altro codiceassai più antico, a cui precede una lettera dell'autore al pontef. BonifacioVIII, dal quale l'an. 1302 fu nominato arcivescovo di Benevento.

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Quanto sia gloriosa all'Italia questa seriedei suoi professori in Parigi.

scovo di Napoli verso l'an. 1240. Morì nel 1308, e lasciòpiù opere teologiche e filosofiche che si annoverano dalGandolfi, il quale aggiugne che il p. Maurizio Terzi deiconti di Sissa agostiniano aveale in gran parte raccolteper darle alle stampe ma che rapito da morte non potèeseguire il suo disegno. Esse dunque son tutte inedite, ese ne conservan copie in alcune biblioteche, e singolar-mente di due che son più celebri, cioè di quella intitolatade Regimine christiano, e de' suoi comenti sul Maestrodelle Sentenze. Della prima l'Oudin cita un codice in cuiJacopo la dedica, egli dice, a Benedetto XII. Ma nel pas-so di Jacopo, che da lui stesso si riferisce, si nominasolo Benedetto senza alcun numero, e perciò eidebb'essere Benedetto XI eletto papa nel 1303 e mortol'anno seguente (19).

XXIX. Questi furono i più illustri tra gl'lta-liani, che recatisi a Parigi per coltivarvi glistudj sacri, ottennero ivi tal fama, che furo-no considerati come i più splendidi lumi diquella università si famosa. Essa tuttor sivanta di averli avuti suoi alunni; e noi ci ral-

19 Del beato Jacopo da Viterbo più copiose e più esatte notizie si posson ve-dere nell'opera dell'eruditiss. can. Mazzocchi De Sanctorum neapolitanaeEcclesiae Episcoporum cultu. Io avvertirò solo che nella Casanatense,come mi ha indicato il più volte lodato p. Tommaso Vesani, conservasi co-pia dell'opera da lui scritta de Regimine christiano, tratta da altro codiceassai più antico, a cui precede una lettera dell'autore al pontef. BonifacioVIII, dal quale l'an. 1302 fu nominato arcivescovo di Benevento.

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Quanto sia gloriosa all'Italia questa seriedei suoi professori in Parigi.

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legriamo con essa di sì bel pregio; e con noi stessi insie-me ci rallegriamo al vedere che, per confessione deglistorici della medesima università, i più celebri professo-ri che in questo secolo ella ebbe, fossero italiani; e checome dall'Italia eran mossi que' primi che cominciaronoa renderla rinomata, dall'Italia ancora uscissero quelliche la portarono al sommo della sua gloria. Benchèsembrasse però, che i più preclari ingegni italiani pas-sassero ad acquistarsi nome in Francia, l'Italia non ne ri-mase sì priva, che non avesse in questo secol medesimonelle sue scuole valorosi teologi che attendessero adistruire coloro che non poteano, o non voleano passare aParigi. Dopo aver dunque annoverati gl'Italiani che illu-straron la Francia col loro ingegno, veniamo ora a parlardi coloro che fioriron tra noi.

XXX. E primieramente ci si offre a scio-gliere una quistione, cioè chi debba aversiper autore di un'opera la quale, benchè siamen dotta che laboriosa, è troppo utilenondimeno, perchè non si debba cercare a

chi ne siam debitori, cioè delle Concordanze della sacrascrittura. La comune opinione l'attribuisce al card. Ugoda S. Caro, detto ancora da S. Teoderio (e non da S.Teodorico, come provano (Script. Ord. Praed. t. 1, p.194) i pp. Quetif ed Echard) dell'ordine de' Predicatori efrancese di nascita. Ma contro la comune opinione le-vossi l'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 568); e pretese ciò

241

Chi fosse il primo autore delle Concor-danze bibli-che.

legriamo con essa di sì bel pregio; e con noi stessi insie-me ci rallegriamo al vedere che, per confessione deglistorici della medesima università, i più celebri professo-ri che in questo secolo ella ebbe, fossero italiani; e checome dall'Italia eran mossi que' primi che cominciaronoa renderla rinomata, dall'Italia ancora uscissero quelliche la portarono al sommo della sua gloria. Benchèsembrasse però, che i più preclari ingegni italiani pas-sassero ad acquistarsi nome in Francia, l'Italia non ne ri-mase sì priva, che non avesse in questo secol medesimonelle sue scuole valorosi teologi che attendessero adistruire coloro che non poteano, o non voleano passare aParigi. Dopo aver dunque annoverati gl'Italiani che illu-straron la Francia col loro ingegno, veniamo ora a parlardi coloro che fioriron tra noi.

XXX. E primieramente ci si offre a scio-gliere una quistione, cioè chi debba aversiper autore di un'opera la quale, benchè siamen dotta che laboriosa, è troppo utilenondimeno, perchè non si debba cercare a

chi ne siam debitori, cioè delle Concordanze della sacrascrittura. La comune opinione l'attribuisce al card. Ugoda S. Caro, detto ancora da S. Teoderio (e non da S.Teodorico, come provano (Script. Ord. Praed. t. 1, p.194) i pp. Quetif ed Echard) dell'ordine de' Predicatori efrancese di nascita. Ma contro la comune opinione le-vossi l'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 568); e pretese ciò

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Chi fosse il primo autore delle Concor-danze bibli-che.

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che prima aveano alcuni altri affermato, ma senza recar-ne gran pruove, che l'autor ne fosse Arlotto da Prato inToscana, il quale l'an. 1185 fu eletto generale de' Mino-ri. L'argomento da lui recato ha certamente non piccolaforza, cioè il detto di f. Bartolommeo da Pisa autore del-la celebre opera delle Conformità di s. Francesco, ilquale scrive: Frater Arlottus de Prato Concordantiasedidit. Quando l'Oudin scriveva, non erasi ancor recatoautor più antico di Sisto sanese a provare che le Concor-danze fosser opera del card. Ugo, e perciò l'autorità diBartolommeo tanto più antico parea doversegli preferi-re. Ma i suddetti dottissimi bibliotecarj domenicani conesattezza e con erudizion singolare hanno sì ben dimo-strato (l. c. p. 203) che le Concordanze nacquero nel lorconvento di s. Jacopo in Parigi per opera del card. Ugo,e che da altri dei lor religiosi dello stesso convento furo-no poi successivamente accresciute a perfezione, e han-no con tal corredo di autorità e di documenti confermatal'opinion loro, che a me non sembra che rimanga piùluogo a muoverne alcun dubbio. Oltre che il passo di f.Bartolommeo non par che provi abbastanza; perciocchèei non nomina che generalmente le Concordanze. Or al-tre opere ancor vi sono sotto un tal nome, che pur sontotalmente diverse dalle Concordanze bibliche. S. Anto-nio da Padova ed altri hanno scritte Concordanze, cioèraccolte di sentenze e di fatti della sacra scrittura su varjargomenti; e forse tale fu l'opera di Arlotto da Prato. Ce-diam dunque di buon animo questo onore alla Francia, emostriamo con questo stesso, quanto siam lungi dal vo-

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che prima aveano alcuni altri affermato, ma senza recar-ne gran pruove, che l'autor ne fosse Arlotto da Prato inToscana, il quale l'an. 1185 fu eletto generale de' Mino-ri. L'argomento da lui recato ha certamente non piccolaforza, cioè il detto di f. Bartolommeo da Pisa autore del-la celebre opera delle Conformità di s. Francesco, ilquale scrive: Frater Arlottus de Prato Concordantiasedidit. Quando l'Oudin scriveva, non erasi ancor recatoautor più antico di Sisto sanese a provare che le Concor-danze fosser opera del card. Ugo, e perciò l'autorità diBartolommeo tanto più antico parea doversegli preferi-re. Ma i suddetti dottissimi bibliotecarj domenicani conesattezza e con erudizion singolare hanno sì ben dimo-strato (l. c. p. 203) che le Concordanze nacquero nel lorconvento di s. Jacopo in Parigi per opera del card. Ugo,e che da altri dei lor religiosi dello stesso convento furo-no poi successivamente accresciute a perfezione, e han-no con tal corredo di autorità e di documenti confermatal'opinion loro, che a me non sembra che rimanga piùluogo a muoverne alcun dubbio. Oltre che il passo di f.Bartolommeo non par che provi abbastanza; perciocchèei non nomina che generalmente le Concordanze. Or al-tre opere ancor vi sono sotto un tal nome, che pur sontotalmente diverse dalle Concordanze bibliche. S. Anto-nio da Padova ed altri hanno scritte Concordanze, cioèraccolte di sentenze e di fatti della sacra scrittura su varjargomenti; e forse tale fu l'opera di Arlotto da Prato. Ce-diam dunque di buon animo questo onore alla Francia, emostriamo con questo stesso, quanto siam lungi dal vo-

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lerci usurpare le glorie altrui (20).

XXXI. Gli errori de' Catari, de' Patarini,e di altre somiglianti razze di Eretici, dacui l'Italia ancora in questi tempi fu tra-vagliata, diede occasione ad alcune dot-

te opere teologiche che a confutarli furono pubblicate.L'inclito Ordine de' Predicatori, destinato per ispecialmodo a combattere e a sradicare le serpeggianti eresie,produsse molti che coll'ardore del loro zelo, e molti checolle dotte loro opere in ciò si adoperarono felicemente.Io non debbo favellare che de' secondi, e di questi anco-ra per amore di brevità trascelgo solo alcuni pochi degnidi singolar ricordanza. E sia il primo il cremonese Mo-neta, la cui Somma Teologica contro de' Catari e de'Valdesi è stata a giusta ragione creduta degna, d'esserepubblicata dal dottissimo p. Ricchini maestro del sacroPalazzo, che l'ha data alle stampe con dissertazioni econ note assai erudite l'an 1743. Di lui, sulla scorta diautori e di monumenti antichi, hanno diligentementeparlato i pp. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1,

20 Alle prove recate per dimostrare che il card. Ugo fu il primo a formar leConcordanze della sacra Scrittura, si può aggiugnere l'autorità della Crona-ca inedita di f. Salimbene scrittor di que' tempi, il quale così ne scrive:Anno Domini 1242.... His temporibus floruit vita et scientia venerabilisDominus Ugo Cardinalis Fratrum Predicatorum Ordinis, qui Doctor Theo-logus doctrina sana et perlucida totam Bibliam postillavit. Concordantia-rum in Bibliotheca (già abbiamo avvertito che con questo nome indicavasitalvolta la sacra Scrittura) primus auctor fuit! Sed processus temporis factosunt Concordantiae meliores, ec.

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Scrittori contro le eresie: Monetacremonese.

lerci usurpare le glorie altrui (20).

XXXI. Gli errori de' Catari, de' Patarini,e di altre somiglianti razze di Eretici, dacui l'Italia ancora in questi tempi fu tra-vagliata, diede occasione ad alcune dot-

te opere teologiche che a confutarli furono pubblicate.L'inclito Ordine de' Predicatori, destinato per ispecialmodo a combattere e a sradicare le serpeggianti eresie,produsse molti che coll'ardore del loro zelo, e molti checolle dotte loro opere in ciò si adoperarono felicemente.Io non debbo favellare che de' secondi, e di questi anco-ra per amore di brevità trascelgo solo alcuni pochi degnidi singolar ricordanza. E sia il primo il cremonese Mo-neta, la cui Somma Teologica contro de' Catari e de'Valdesi è stata a giusta ragione creduta degna, d'esserepubblicata dal dottissimo p. Ricchini maestro del sacroPalazzo, che l'ha data alle stampe con dissertazioni econ note assai erudite l'an 1743. Di lui, sulla scorta diautori e di monumenti antichi, hanno diligentementeparlato i pp. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1,

20 Alle prove recate per dimostrare che il card. Ugo fu il primo a formar leConcordanze della sacra Scrittura, si può aggiugnere l'autorità della Crona-ca inedita di f. Salimbene scrittor di que' tempi, il quale così ne scrive:Anno Domini 1242.... His temporibus floruit vita et scientia venerabilisDominus Ugo Cardinalis Fratrum Predicatorum Ordinis, qui Doctor Theo-logus doctrina sana et perlucida totam Bibliam postillavit. Concordantia-rum in Bibliotheca (già abbiamo avvertito che con questo nome indicavasitalvolta la sacra Scrittura) primus auctor fuit! Sed processus temporis factosunt Concordantiae meliores, ec.

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Scrittori contro le eresie: Monetacremonese.

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p. 122), il suddetto p. Ricchini (Monetae Vita ante ejusSummam), e il p. abate Fattorini (De Prof. Bonon. t. 1,pars 1, p. 467). E non ci è d'uopo perciò il trattenerci adisputarne qui lungamente. Moneta, o sia questo cogno-me, come alcuni vogliono, o, come altri pensano, solonome, natio di Cremona, era in Bologna pubblico pro-fessore di filosofia; e insegnava con sì gran plauso, chegli antichi scrittori il chiamano famosissimo in tutto ilmondo, e di gran lunga superiore a tutti gli altri. Quan-do, venuto essendo verso il fine dell'an. 1218 a predica-re in Bologna il p. Reginaldo, il Moneta che a tutt'altropensava allora che a prediche, fu quasi a forza tratto da'suoi scolari ad udirlo; e appena uditolo, risolvè di se-guirlo, e di abbracciarne l'Istituto. Egli eseguì tosto lasua risoluzione; ma perchè così richiedevano alcuni af-fari, restossi in abito secolare oltre ad un anno; dopo ilqual tempo vestì il religioso. Alcuni credono ch'ei fossemandato a Parigi allo studio della teologia; ma i suddettiautori dimostran non avervi di ciò alcun fondamento. Aquesta però si rivolse egli con quell'ardore medesimocon cui in addietro erasi volto alla filosofia, e in essa an-cora acquistò ugual fama, e non è improbabile ch'egli nefosse professore in Bologna. Ei fu certo uomo assai dot-to, come dalla sua opera stessa si manifesta, in cui sivede comunemente buon raziocinio, ordine giusto echiarezza. Credesi ch'egli morisse circa la metà del sec.XIII.

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p. 122), il suddetto p. Ricchini (Monetae Vita ante ejusSummam), e il p. abate Fattorini (De Prof. Bonon. t. 1,pars 1, p. 467). E non ci è d'uopo perciò il trattenerci adisputarne qui lungamente. Moneta, o sia questo cogno-me, come alcuni vogliono, o, come altri pensano, solonome, natio di Cremona, era in Bologna pubblico pro-fessore di filosofia; e insegnava con sì gran plauso, chegli antichi scrittori il chiamano famosissimo in tutto ilmondo, e di gran lunga superiore a tutti gli altri. Quan-do, venuto essendo verso il fine dell'an. 1218 a predica-re in Bologna il p. Reginaldo, il Moneta che a tutt'altropensava allora che a prediche, fu quasi a forza tratto da'suoi scolari ad udirlo; e appena uditolo, risolvè di se-guirlo, e di abbracciarne l'Istituto. Egli eseguì tosto lasua risoluzione; ma perchè così richiedevano alcuni af-fari, restossi in abito secolare oltre ad un anno; dopo ilqual tempo vestì il religioso. Alcuni credono ch'ei fossemandato a Parigi allo studio della teologia; ma i suddettiautori dimostran non avervi di ciò alcun fondamento. Aquesta però si rivolse egli con quell'ardore medesimocon cui in addietro erasi volto alla filosofia, e in essa an-cora acquistò ugual fama, e non è improbabile ch'egli nefosse professore in Bologna. Ei fu certo uomo assai dot-to, come dalla sua opera stessa si manifesta, in cui sivede comunemente buon raziocinio, ordine giusto echiarezza. Credesi ch'egli morisse circa la metà del sec.XIII.

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XXXII. Contro gli stessi Eretici scrisse an-cora verso il medesimo tempo f. RaineroSacconi dello stesso Ordine, di patria pia-

centino, e non già spagnuolo, come alcuni hanno scritto.I pp. Quetif ed Echard han recato l'onorevole elogio (l.c. p. 154) che ne ha fatto Leandro Alberti, e io godo dipoter confermare in gran parte la narrazion di Leandro,coll'autorità di altri più antichi scrittori che verrò alle-gando, e di aggiugnervi ancora alcune altre notizie. Eraegli stato in addietro avvolto negli errori de' Catari,come confessa egli stesso in un passo della sua opera, dicui or or parleremo: Ego autem F. Rainerius olim haere-siarca, nunc Dei gratia Sacerdos in Ordine Praedicato-rum; e poscia: praeterea dica indubitanter, quod in an-nis XVII, quibus conversatus sum cum eis, ec. Poichèebbe conosciuta e seguita la verità, entrato nell'Ordinede' Predicatori, dopo il martirio di S. Pietro Martire fufatto inquisitor generale nella Lombardia, come racco-gliesi da più Bolle di Alessandro IV (Poggiali Stor. diPiac. t. 5, p. 261); e il card. Campi ha dato alla luce unMonitorio da lui pubblicato contro gli Eretici nella me-tropolitana di Milano l'an. 1255 (Stor. eccl. di Piac. t. 2,p. 402). Egli ancora fece distruggere e spianar da' fonda-menti un cotal luogo detto la Gatta dove gli Eretici so-leano ricoverarsi; e perchè essi soleano ancora eleggerei loro vescovi, Rainero avendo saputo che due di costorodetti Nasario e Desiderio erano dopo la morte venerati

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F. Rainero Sacconi.

XXXII. Contro gli stessi Eretici scrisse an-cora verso il medesimo tempo f. RaineroSacconi dello stesso Ordine, di patria pia-

centino, e non già spagnuolo, come alcuni hanno scritto.I pp. Quetif ed Echard han recato l'onorevole elogio (l.c. p. 154) che ne ha fatto Leandro Alberti, e io godo dipoter confermare in gran parte la narrazion di Leandro,coll'autorità di altri più antichi scrittori che verrò alle-gando, e di aggiugnervi ancora alcune altre notizie. Eraegli stato in addietro avvolto negli errori de' Catari,come confessa egli stesso in un passo della sua opera, dicui or or parleremo: Ego autem F. Rainerius olim haere-siarca, nunc Dei gratia Sacerdos in Ordine Praedicato-rum; e poscia: praeterea dica indubitanter, quod in an-nis XVII, quibus conversatus sum cum eis, ec. Poichèebbe conosciuta e seguita la verità, entrato nell'Ordinede' Predicatori, dopo il martirio di S. Pietro Martire fufatto inquisitor generale nella Lombardia, come racco-gliesi da più Bolle di Alessandro IV (Poggiali Stor. diPiac. t. 5, p. 261); e il card. Campi ha dato alla luce unMonitorio da lui pubblicato contro gli Eretici nella me-tropolitana di Milano l'an. 1255 (Stor. eccl. di Piac. t. 2,p. 402). Egli ancora fece distruggere e spianar da' fonda-menti un cotal luogo detto la Gatta dove gli Eretici so-leano ricoverarsi; e perchè essi soleano ancora eleggerei loro vescovi, Rainero avendo saputo che due di costorodetti Nasario e Desiderio erano dopo la morte venerati

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F. Rainero Sacconi.

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dagli Eretici a guisa di santi, ne fece disotterrare ed ar-dere i corpi (ib. p. 215). Il suo zelo gli eccitò contromolti nimici in Milano, e quando gli Eretici congiuarondi toglier la vita a s. Pietro Martire, come di fatto avven-ne avean destinato di uccidere anco Rainero (V. ActaSS. apr. ad d. 29 Vita s. Petri M. n. 36). Martin dellaTorre, uno de' più forti nimici di Rainero, fece in modoche il march. Uberto Pelavicino, chiamato allora da' Mi-lanesi a lor signore, e che come fautor degli Eretici daRainero era stato scommunicato l'an. 1259, lo costrin-gesse a partir da Milano. Così l'antico autore degli An-nali milanesi. Martinus de la Turre procuravit quodUbertus Marchio Pelavisinus, qui Fratrem RayneriumOrdinis Praedicatorum natione Placentintinum de Me-diolano ejici praecepit, ec. (Script. Rer. ital. vol. 16, p.662). Che avvenisse poi di Rainero, non ci è giunto anotizia. Ma ben ci è giunta la dotta opera da lui compo-sta contro gli eretici stessi, da' quali era stato sedotto.Essa è intitolata: Summa de Catharis et Leonistis sivePauperibus de Lugdano; ed è stata data alla luce dal p.Gretsero. I pp. Martene e Durand avendo trovata in uncodice ms. una Somma di f. Rainero contro de' Catari ede' Poveri di Lione, e avendola creduta diversa da quellapubblicata già dal Gretsero, l'han data alla luce comecosa per anco inedita (Thes. noviss. Anecdot. t. 5, p.1759). Ma essa non è veramente che una parte di quellache dal Gretsero fu pubblicata, e il codice, onde essil'han tratta, sembra quel desso di cui parlano i pp. Quetife Echard (l. c.).

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dagli Eretici a guisa di santi, ne fece disotterrare ed ar-dere i corpi (ib. p. 215). Il suo zelo gli eccitò contromolti nimici in Milano, e quando gli Eretici congiuarondi toglier la vita a s. Pietro Martire, come di fatto avven-ne avean destinato di uccidere anco Rainero (V. ActaSS. apr. ad d. 29 Vita s. Petri M. n. 36). Martin dellaTorre, uno de' più forti nimici di Rainero, fece in modoche il march. Uberto Pelavicino, chiamato allora da' Mi-lanesi a lor signore, e che come fautor degli Eretici daRainero era stato scommunicato l'an. 1259, lo costrin-gesse a partir da Milano. Così l'antico autore degli An-nali milanesi. Martinus de la Turre procuravit quodUbertus Marchio Pelavisinus, qui Fratrem RayneriumOrdinis Praedicatorum natione Placentintinum de Me-diolano ejici praecepit, ec. (Script. Rer. ital. vol. 16, p.662). Che avvenisse poi di Rainero, non ci è giunto anotizia. Ma ben ci è giunta la dotta opera da lui compo-sta contro gli eretici stessi, da' quali era stato sedotto.Essa è intitolata: Summa de Catharis et Leonistis sivePauperibus de Lugdano; ed è stata data alla luce dal p.Gretsero. I pp. Martene e Durand avendo trovata in uncodice ms. una Somma di f. Rainero contro de' Catari ede' Poveri di Lione, e avendola creduta diversa da quellapubblicata già dal Gretsero, l'han data alla luce comecosa per anco inedita (Thes. noviss. Anecdot. t. 5, p.1759). Ma essa non è veramente che una parte di quellache dal Gretsero fu pubblicata, e il codice, onde essil'han tratta, sembra quel desso di cui parlano i pp. Quetife Echard (l. c.).

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XXXIII. Una somigliante confutazionedegli stessi Eretici era già stata fatta da unaltro prima infetto de' lor medesimi errori.

Fu questi un cotal Buonaccorso, il quale era già statovescovo de' Catari, e lor maestro in Milano, e che ritor-nato poscia sul buon sentiero confutò pubblicamente glierrori che prima avea insegnati e difesi, e scoprì le frodie gl'inganni di cui quegli Eretici usavano. Questo opu-scolo di Buonaccorso è stato dato alla luce dal p.d'Achery (Spicil. t. 1, p. 208 ed. 1723), ed è intitolata:Manifestatio haereseos Catharorum Bonaccursi quon-dam magistri illorum Mediolanum nunc autem catholi-ci. Nel proemio, egli accenna ciò che sopra abbiam det-to, cioè ch'egli era stato vescovo di quegli Eretici: Que-mdam episcopum doctorem Bonaccorsum nomine mise-ricorditer gratia S. Spiritus illuminavit. L'Argelati, cre-dendo ch'ei fosse fatto vescovo dopo la sua conversione,si è molto affaticato in ritrovarne la sede e finalmente loha posto nell'antica città di Emonia, ossia di Città Nuovanell'Istria, ove l'an. 1257 era vescovo un Buonaccorso(Bibl. Script. mediol. t. 1, pars 2, p. 189). Ma noi racco-gliamo bensì dall'opera stessa di Buonaccorso, ch'ei fos-se avanti la sua conversione vescovo de' Catari, i quali,come si trae ancora dall'opera di f. Rainero, sceglievanoalcuni cui onoravano di questo nome; ma ch'ei fosse ve-scovo, dappoichè venne alla Chiesa cattolica, non se netrova indicio. Dicesi comunemente ch'egli vivesse verso

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Buonaccorso. XXXIII. Una somigliante confutazionedegli stessi Eretici era già stata fatta da unaltro prima infetto de' lor medesimi errori.

Fu questi un cotal Buonaccorso, il quale era già statovescovo de' Catari, e lor maestro in Milano, e che ritor-nato poscia sul buon sentiero confutò pubblicamente glierrori che prima avea insegnati e difesi, e scoprì le frodie gl'inganni di cui quegli Eretici usavano. Questo opu-scolo di Buonaccorso è stato dato alla luce dal p.d'Achery (Spicil. t. 1, p. 208 ed. 1723), ed è intitolata:Manifestatio haereseos Catharorum Bonaccursi quon-dam magistri illorum Mediolanum nunc autem catholi-ci. Nel proemio, egli accenna ciò che sopra abbiam det-to, cioè ch'egli era stato vescovo di quegli Eretici: Que-mdam episcopum doctorem Bonaccorsum nomine mise-ricorditer gratia S. Spiritus illuminavit. L'Argelati, cre-dendo ch'ei fosse fatto vescovo dopo la sua conversione,si è molto affaticato in ritrovarne la sede e finalmente loha posto nell'antica città di Emonia, ossia di Città Nuovanell'Istria, ove l'an. 1257 era vescovo un Buonaccorso(Bibl. Script. mediol. t. 1, pars 2, p. 189). Ma noi racco-gliamo bensì dall'opera stessa di Buonaccorso, ch'ei fos-se avanti la sua conversione vescovo de' Catari, i quali,come si trae ancora dall'opera di f. Rainero, sceglievanoalcuni cui onoravano di questo nome; ma ch'ei fosse ve-scovo, dappoichè venne alla Chiesa cattolica, non se netrova indicio. Dicesi comunemente ch'egli vivesse verso

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Buonaccorso.

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l'an. 1190, ma non vi è argomento che provi per queltempo piuttosto che per qualunque anno del sec. XIII,che fu sempre infestato da tali eretici. Monsig. Mansi ciavea fatta sperare un'altra edizion di quest'opera su uncodice ch'egli n'avea, diverso in molta parte da quellogià pubblicato (V. Fabr. Bibl. med. et inf. Latin. t. 1, p.251); ma non veggo ch'egli abbia eseguito il suo dise-gno.

XXXIV. Mentre così combattevansigli errori che per la Italia si andavanodisseminando, altri adoperavansi conugual zelo a ridurre i Greci scismati-

ci all'unità della Chiesa. S. Tommaso su questo argo-mento ancora scrisse un ampio trattato, e molti teologisomigliantemente in ciò si occuparono. Io non parleròche di Buonaccorso, diverso dal precedente, e religiosodell'Ordine de' Predicatori, che scrisse un'opera in grecoe in latino contro gli errori dei Greci, la quale trovata nelsecolo susseguente da f. Andrea Doto dello stesso Ordi-ne nel convento di Negroponte, fu da lui inviata e dedi-cata al pontef. Giovanni XXII. Essa non è stata ancorpubblicata; ma solo se ne conservano alcuni codici mss.de' quali parlano i pp. Querif ed Echard (Script. Ord.Praed. t. 1, p. 156), che fanno ancor di quest'opera unadiligente analisi. Dalle prefazioni ad essa premesse dalDoto essi inferiscono che Buonaccorso fu di patria bolo-gnese, che in età giovanile passato in Grecia vi apprese

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Scrittori contro gli errori dei Greci. Buo-naccorso bolognese.

l'an. 1190, ma non vi è argomento che provi per queltempo piuttosto che per qualunque anno del sec. XIII,che fu sempre infestato da tali eretici. Monsig. Mansi ciavea fatta sperare un'altra edizion di quest'opera su uncodice ch'egli n'avea, diverso in molta parte da quellogià pubblicato (V. Fabr. Bibl. med. et inf. Latin. t. 1, p.251); ma non veggo ch'egli abbia eseguito il suo dise-gno.

XXXIV. Mentre così combattevansigli errori che per la Italia si andavanodisseminando, altri adoperavansi conugual zelo a ridurre i Greci scismati-

ci all'unità della Chiesa. S. Tommaso su questo argo-mento ancora scrisse un ampio trattato, e molti teologisomigliantemente in ciò si occuparono. Io non parleròche di Buonaccorso, diverso dal precedente, e religiosodell'Ordine de' Predicatori, che scrisse un'opera in grecoe in latino contro gli errori dei Greci, la quale trovata nelsecolo susseguente da f. Andrea Doto dello stesso Ordi-ne nel convento di Negroponte, fu da lui inviata e dedi-cata al pontef. Giovanni XXII. Essa non è stata ancorpubblicata; ma solo se ne conservano alcuni codici mss.de' quali parlano i pp. Querif ed Echard (Script. Ord.Praed. t. 1, p. 156), che fanno ancor di quest'opera unadiligente analisi. Dalle prefazioni ad essa premesse dalDoto essi inferiscono che Buonaccorso fu di patria bolo-gnese, che in età giovanile passato in Grecia vi apprese

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Scrittori contro gli errori dei Greci. Buo-naccorso bolognese.

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felicemente la lingua, e per 45 anni attese istancabil-mente alla conversione degli Scismatici, a cui vantaggioancora scrisse quest'opera. Egli fiorì, per quanto si con-gettura, verso la metà del sec. XIII, ma non si può deter-minar fissamente il tempo a cui visse.

XXXV. Ma se l'Italia produsse valoro-si sostenitori della cattolica Religione,ebbe ancora il dolore di rimirare tra isuoi non solo molti Eretici, i quali co-

munemente non erano uomini dotti, ma uno ancora cheabusò del suo ingegno e del suo sapere contro di essa.Fu questi Niccolò da Otranto, così detto dalla sua patria,il quale, passato non so per qual motivo in Grecia, si la-sciò avvolgere nello scisma e negli errori di cui que' po-poli erano infetti. Egli allor quando Innocenzo III man-dò colà il card. Benedetto a trattare la riunione di quellachiesa colla latina, servì d'interprete, essendo ben versa-to nell'una e nell'altra lingua, come egli stesso raccontain alcune delle sue opere da lui scritte in difesa de' suoierrori contro i Latini; cioè sulla processione dello Spiri-to Santo, sulla consacrazione della Eucaristia, sul matri-monio de' sacerdoti e su altri somiglianti punti di con-troversia. Di lui parla lungamente l'Allacci che reca an-cora alcune particelle delle opere da lui composte (Deconsensu utriusque Eccl. l. 2, c. 13, parag. 4), le qualinon sono mai uscite alla luce; e dopo l'Allacci hannopure di lui favellato l'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 9) e

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Niccolò da Otrantosostenitore dei me-desimi errori.

felicemente la lingua, e per 45 anni attese istancabil-mente alla conversione degli Scismatici, a cui vantaggioancora scrisse quest'opera. Egli fiorì, per quanto si con-gettura, verso la metà del sec. XIII, ma non si può deter-minar fissamente il tempo a cui visse.

XXXV. Ma se l'Italia produsse valoro-si sostenitori della cattolica Religione,ebbe ancora il dolore di rimirare tra isuoi non solo molti Eretici, i quali co-

munemente non erano uomini dotti, ma uno ancora cheabusò del suo ingegno e del suo sapere contro di essa.Fu questi Niccolò da Otranto, così detto dalla sua patria,il quale, passato non so per qual motivo in Grecia, si la-sciò avvolgere nello scisma e negli errori di cui que' po-poli erano infetti. Egli allor quando Innocenzo III man-dò colà il card. Benedetto a trattare la riunione di quellachiesa colla latina, servì d'interprete, essendo ben versa-to nell'una e nell'altra lingua, come egli stesso raccontain alcune delle sue opere da lui scritte in difesa de' suoierrori contro i Latini; cioè sulla processione dello Spiri-to Santo, sulla consacrazione della Eucaristia, sul matri-monio de' sacerdoti e su altri somiglianti punti di con-troversia. Di lui parla lungamente l'Allacci che reca an-cora alcune particelle delle opere da lui composte (Deconsensu utriusque Eccl. l. 2, c. 13, parag. 4), le qualinon sono mai uscite alla luce; e dopo l'Allacci hannopure di lui favellato l'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 9) e

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Niccolò da Otrantosostenitore dei me-desimi errori.

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il Cave (Hist. liter. Script. eccl. t. 2, p. 279) (21). Ma piùbelle notizie intorno all'opere di Niccolò si potranno ve-dere nell'erudito Catalogo de' Manoscritti greci della Bi-blioteca laurenziana pubblicato dal ch. sig. can. Bandini,perciocchè molte opere ivi si trovano dagli altri nonrammentate, e si raccoglie ch'egli era ancor poeta, einoltre, ciò che non è ugualmente lodevole, coltivatordell'astrologia giudiciaria. In alcuni di questi codici egliè detto figliuolo di maestro Giovanni (Cat. Bibl. laur. t.1, p. 25, 28, 60, 62; t. 3, p. 340, 407).

XXXVI. Se io volessi stendermi ancor piùoltre su questo argomento, potrei parlare dimolti altri che ci hanno lasciate opere teolo-

giche, o scritturali. Bartolommeo di Breganze vicentinodell'Ord. de' Predicatori, maestro del sacro Palazzo, evescovo prima di Nemosia nell'isola di Cipro, poi di Vi-cenza l'an. 1256, aveane scritte non poche che s'annove-rano da' pp. Quetif ed Echard. (Script. Ordin. Praed. t.1, p. 254 ec.), i quali provano, contro l'opinione del Pa-pebrochio, ch'ei non fu patriarca di Gerusalemme (22).

21 Intorno a Niccolò da Otranto alcune notizie si possono vedere nella più re-cente ediz. fatta in Lecce nell'an. 1727 del libro de Situ Japigiae e di altriopuscoli di Antonio Ferrari soprannomato Galateo (p. 47, 195), il qualeancora rammenta una copiosissima libreria di codici Greci da lui raccoltanel monastero di s. Niccolò di Otranto, e che ivi conservossi fino a memo-rabil sacco che a quella città diedero i Turchi.

22 Del b. Bartolomeo da Breganze ha parlato assai lungamente il p. Angiol-gabriello da s. Maria, presso cui si potrà vedere raccolto quanto n'è statoscritto da altri, aggiuntivi ancora alcuni inediti monumenti tratti dagli ar-

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Altri scrit-tori sacri.

il Cave (Hist. liter. Script. eccl. t. 2, p. 279) (21). Ma piùbelle notizie intorno all'opere di Niccolò si potranno ve-dere nell'erudito Catalogo de' Manoscritti greci della Bi-blioteca laurenziana pubblicato dal ch. sig. can. Bandini,perciocchè molte opere ivi si trovano dagli altri nonrammentate, e si raccoglie ch'egli era ancor poeta, einoltre, ciò che non è ugualmente lodevole, coltivatordell'astrologia giudiciaria. In alcuni di questi codici egliè detto figliuolo di maestro Giovanni (Cat. Bibl. laur. t.1, p. 25, 28, 60, 62; t. 3, p. 340, 407).

XXXVI. Se io volessi stendermi ancor piùoltre su questo argomento, potrei parlare dimolti altri che ci hanno lasciate opere teolo-

giche, o scritturali. Bartolommeo di Breganze vicentinodell'Ord. de' Predicatori, maestro del sacro Palazzo, evescovo prima di Nemosia nell'isola di Cipro, poi di Vi-cenza l'an. 1256, aveane scritte non poche che s'annove-rano da' pp. Quetif ed Echard. (Script. Ordin. Praed. t.1, p. 254 ec.), i quali provano, contro l'opinione del Pa-pebrochio, ch'ei non fu patriarca di Gerusalemme (22).

21 Intorno a Niccolò da Otranto alcune notizie si possono vedere nella più re-cente ediz. fatta in Lecce nell'an. 1727 del libro de Situ Japigiae e di altriopuscoli di Antonio Ferrari soprannomato Galateo (p. 47, 195), il qualeancora rammenta una copiosissima libreria di codici Greci da lui raccoltanel monastero di s. Niccolò di Otranto, e che ivi conservossi fino a memo-rabil sacco che a quella città diedero i Turchi.

22 Del b. Bartolomeo da Breganze ha parlato assai lungamente il p. Angiol-gabriello da s. Maria, presso cui si potrà vedere raccolto quanto n'è statoscritto da altri, aggiuntivi ancora alcuni inediti monumenti tratti dagli ar-

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Altri scrit-tori sacri.

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Così pure altri moltissimi dello stesso ordine de' Predi-catori, ed altri ancor tra' Minori potrei qui annoverare,che ci tramandarono libri di somiglianti argomenti, e de'quali favellasi nelle Biblioteche di questi Ordini. Il card.Pietro di Mora beneventano di patria, che da InnocenzoIII fu onorato della sagra porpora, avea scritta un'ampiaRaccolta di passaggi della sagra Scrittura opportuni alleprediche, della quale conservansi copie manoscritte inalcune biblioteche che si annoverano dall'Oudin (DeScript. eccl., t. 2, p. 1721) ed una ne ha fra le altre lareal biblioteca di Torino (Cod. MSS. Bibl. reg. taurin. t.2, p. 52). In somigliante maniera potrei continuare tes-sendo una non breve serie di scrittori ecclesiastici diquesti tempi. Ma il trattenerci, ricercando così le coseancor più minute, non gioverebbe che a recar noia a chilegge, nè accrescerebbe di molto la favorevole idea chedella italiana letteratura sacra di questo secolo abbiamdata finora.

XXXVII. La storia ecclesiastica, di cui quiancora dobbiam parlare, non ebbe molti col-tivatori. Abbiam le Cronache di alcuni mo-

nasteri; come quella del monastero di Fossa nuova pub-blicata già dall'Ughelli (Ital. sacra t. 10), e da lui attri-buita a Giovanni da Ceccano, poscia più assai corretta

chivj di Vicenza (Bibl. degli Scritt. vicent. t. 2, par. 1, p. 38, ec.). Ne ha an-cora scritta, ma non ancor pubblicata una copiosa Vita il ch. p. m. Tomma-so Riccardi domenicano.

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Cronachemonastiche.

Così pure altri moltissimi dello stesso ordine de' Predi-catori, ed altri ancor tra' Minori potrei qui annoverare,che ci tramandarono libri di somiglianti argomenti, e de'quali favellasi nelle Biblioteche di questi Ordini. Il card.Pietro di Mora beneventano di patria, che da InnocenzoIII fu onorato della sagra porpora, avea scritta un'ampiaRaccolta di passaggi della sagra Scrittura opportuni alleprediche, della quale conservansi copie manoscritte inalcune biblioteche che si annoverano dall'Oudin (DeScript. eccl., t. 2, p. 1721) ed una ne ha fra le altre lareal biblioteca di Torino (Cod. MSS. Bibl. reg. taurin. t.2, p. 52). In somigliante maniera potrei continuare tes-sendo una non breve serie di scrittori ecclesiastici diquesti tempi. Ma il trattenerci, ricercando così le coseancor più minute, non gioverebbe che a recar noia a chilegge, nè accrescerebbe di molto la favorevole idea chedella italiana letteratura sacra di questo secolo abbiamdata finora.

XXXVII. La storia ecclesiastica, di cui quiancora dobbiam parlare, non ebbe molti col-tivatori. Abbiam le Cronache di alcuni mo-

nasteri; come quella del monastero di Fossa nuova pub-blicata già dall'Ughelli (Ital. sacra t. 10), e da lui attri-buita a Giovanni da Ceccano, poscia più assai corretta

chivj di Vicenza (Bibl. degli Scritt. vicent. t. 2, par. 1, p. 38, ec.). Ne ha an-cora scritta, ma non ancor pubblicata una copiosa Vita il ch. p. m. Tomma-so Riccardi domenicano.

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Cronachemonastiche.

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data di nuovo alla luce dal Muratori (Script. rer. ital.vol. 7) sotto il nome di un anonimo, poichè a lui nonsembran bastevoli le prove dall'Ughelli addotte per attri-buirla al detto autore. Essa giunge sino all'an. 1217,onde è probabile che fosse scritta di questi tempi. Ales-sandro monaco a' tempi del pontef. Celestino V scrissela Storia del suo monastero di s. Bartolommeo di Carpi-neto, che dall'Ughelli medesimo è stata posta in luce (l.c.). Un monaco vallombrosano fiorentino di patria, dettoBenigno, generale del suo Ordine, e morto l'an. 1236,compose la Storia dell'Ordine stesso stampata l'an. 1500(Negri Scritt. fiorent. p. 98). Nè io so di altri che in que-sto secolo si accingessero ad illustrare la storia monasti-ca; e già abbiamo osservato che al nascer de' nuovi Or-dini regolari, come parve che il mondo a questi si rivol-gesse più che agli antichi, così essi parvero meno solle-citi di mostrarsi utili al mondo coi loro studj e colle lorofatiche.

XXXVIII. La storia de' romani ponteficinon fu da alcuno a questi tempi illustrata, oalmeno io non ho potuto trovar contezza dichi in tal lavoro si esercitasse. Veggo sol no-minarsi presso il Fabricio (Bibl. med. et inf.

Latin. t. 3, p. 147), e presso alcuni autori da lui citati,Guglielmo da Gattatico parmigiano vice cancelliere del-la Chiesa romana morto l'an. 1256, di cui dicono chescrisse le Vite de' romani Pontefici fino ad Innocenzo

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Scrittori delle Vite de' SS. F. Jacopo de Voragine.

data di nuovo alla luce dal Muratori (Script. rer. ital.vol. 7) sotto il nome di un anonimo, poichè a lui nonsembran bastevoli le prove dall'Ughelli addotte per attri-buirla al detto autore. Essa giunge sino all'an. 1217,onde è probabile che fosse scritta di questi tempi. Ales-sandro monaco a' tempi del pontef. Celestino V scrissela Storia del suo monastero di s. Bartolommeo di Carpi-neto, che dall'Ughelli medesimo è stata posta in luce (l.c.). Un monaco vallombrosano fiorentino di patria, dettoBenigno, generale del suo Ordine, e morto l'an. 1236,compose la Storia dell'Ordine stesso stampata l'an. 1500(Negri Scritt. fiorent. p. 98). Nè io so di altri che in que-sto secolo si accingessero ad illustrare la storia monasti-ca; e già abbiamo osservato che al nascer de' nuovi Or-dini regolari, come parve che il mondo a questi si rivol-gesse più che agli antichi, così essi parvero meno solle-citi di mostrarsi utili al mondo coi loro studj e colle lorofatiche.

XXXVIII. La storia de' romani ponteficinon fu da alcuno a questi tempi illustrata, oalmeno io non ho potuto trovar contezza dichi in tal lavoro si esercitasse. Veggo sol no-minarsi presso il Fabricio (Bibl. med. et inf.

Latin. t. 3, p. 147), e presso alcuni autori da lui citati,Guglielmo da Gattatico parmigiano vice cancelliere del-la Chiesa romana morto l'an. 1256, di cui dicono chescrisse le Vite de' romani Pontefici fino ad Innocenzo

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Scrittori delle Vite de' SS. F. Jacopo de Voragine.

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IV. Ma essi non ci additano su qual fondamento essil'affermano, nè ove or conservinsi tali Vite, e i modernieruditi raccoglitori delle Vite de' Papi, e que' che ci handate su questo argomento dotte dissertazioni, nulla ci ac-cennan di queste. Degli scrittori delle Vite de' Santi giàho avvertito più volte che non è mia intenzione di tenereragionamento. Ma non vuolsi ommettere uno che mag-gior lavoro intraprese, e che col suo esempio eccitò mol-ti altri a entrare in somigliante carriera, parlo di Jacopoda Voragine ossia da Varaggio, luogo della Riviera occi-dentale di Genova, da cui l'antica famiglia di esso preseil nome. Egli, dopo gli antichi scrittori delle Vite de'santi Padri dell'Eremo, fu il primo che prendesse a rac-cogliere in un sol corpo le Vite de' santi, quali gli riuscìdi trovare scritte da diversi autori, la qual opera per lasua utilità fu poi detta Leggenda aurea (23). Le moltissi-me edizioni che se ne son fatte fin verso la metà del sec.XVI, e che da' pp. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed.t. 1, p. 455) si annoverano, ci fan vedere quanto ella fos-se una volta pregiata. Ora, appena v'ha chi la degni di unguardo. Nè io consiglierei alcuno a ricercar in essa legiuste ed esatte notizie intorno alla vita de' santi. Le fa-vole vi sono sparse per entro troppo liberalmente. Ma

23 F. Jacopo da Varagine non fu il primo dopo gli antichi a scriver le Vite de'Santi. Questa lode deesi con più ragione a f. Bartolomeo da Trento essoancora domenicano, il quale prima di Jacopo prese a scriverle. Il ch. p. ab.Trombelli ne possedeva l'originale, di cui si hanno ancora diverse copie; ei Bollandisti ne hanno alcune volte fatto uso. Egli accenna in un luogo, chescriveva nel 1244, cioè in quell'anno in cui Jacopo entrò nell'Ord. de' Pre-dicatori: hoc anno idest 1244.

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IV. Ma essi non ci additano su qual fondamento essil'affermano, nè ove or conservinsi tali Vite, e i modernieruditi raccoglitori delle Vite de' Papi, e que' che ci handate su questo argomento dotte dissertazioni, nulla ci ac-cennan di queste. Degli scrittori delle Vite de' Santi giàho avvertito più volte che non è mia intenzione di tenereragionamento. Ma non vuolsi ommettere uno che mag-gior lavoro intraprese, e che col suo esempio eccitò mol-ti altri a entrare in somigliante carriera, parlo di Jacopoda Voragine ossia da Varaggio, luogo della Riviera occi-dentale di Genova, da cui l'antica famiglia di esso preseil nome. Egli, dopo gli antichi scrittori delle Vite de'santi Padri dell'Eremo, fu il primo che prendesse a rac-cogliere in un sol corpo le Vite de' santi, quali gli riuscìdi trovare scritte da diversi autori, la qual opera per lasua utilità fu poi detta Leggenda aurea (23). Le moltissi-me edizioni che se ne son fatte fin verso la metà del sec.XVI, e che da' pp. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed.t. 1, p. 455) si annoverano, ci fan vedere quanto ella fos-se una volta pregiata. Ora, appena v'ha chi la degni di unguardo. Nè io consiglierei alcuno a ricercar in essa legiuste ed esatte notizie intorno alla vita de' santi. Le fa-vole vi sono sparse per entro troppo liberalmente. Ma

23 F. Jacopo da Varagine non fu il primo dopo gli antichi a scriver le Vite de'Santi. Questa lode deesi con più ragione a f. Bartolomeo da Trento essoancora domenicano, il quale prima di Jacopo prese a scriverle. Il ch. p. ab.Trombelli ne possedeva l'originale, di cui si hanno ancora diverse copie; ei Bollandisti ne hanno alcune volte fatto uso. Egli accenna in un luogo, chescriveva nel 1244, cioè in quell'anno in cui Jacopo entrò nell'Ord. de' Pre-dicatori: hoc anno idest 1244.

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perchè incolparne il negligente raccoglitore? Egli è de-gno anzi di lode per la fatica a cui si accinse. Egli nonha inventato a suo capriccio ciò che ci narra: ha scrittociò che ha trovato scritto da altri. A' tempi in cui egli vi-vea, non sospettavasi ancora che si fosser potuti scriveretanti sogni; non v'erano monumenti alla luce co' qualidiscernere il vero dal falso: ogni cosa era all'oscuro; eaggirandosi fra tante tenebre, non era possibile il regger-si in piedi. Nondimeno, fra molte favole, molte cose as-sai pregevoli egli ci ha conservate, che forse altrimentisarebbon perite. Di lui hanno assai diligentemente parla-to i due suddetti scrittori, i quali da ciò ch'egli stesso disè racconta nella Cronaca di cui or parleremo, raccolgo-no ch'egli nato circa l'an. 1230, entrò nell'Ord. de' Predi-catori l'an. 1244; che dopo aver insegnate in più luoghile scienze, e dopo essersi esercitato più anni nellapredicazione, l'an. 1267 fu fatto provinciale di Lombar-dia, il qual impiego ei sostenne sino al 1285; che final-mente l'an. 1292, eletto e consacrato arcivescovo di Ge-nova, occupò quella sede per lo spazio di sei anni, nelqual tempo adoperossi con sommo zelo alla riforma de-gli ecclesiastici, al qual fine radunò un sinodo provin-ciale, e al sopimento delle civili discordie, da cui eraquella città lacerata miseramente; e che l'an. 1298 lasciòdi vivere. Oltre le Vite de' Santi, egli scrisse ancora mol-ti sacri Sermoni, e un libro in lode della Madre di Diointitolato Mariale, che sono stati dati alle stampe; equalche altra opera ascetica di cui rimangono copie ma-noscritte in alcune biblioteche; e finalmente una Crona-

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perchè incolparne il negligente raccoglitore? Egli è de-gno anzi di lode per la fatica a cui si accinse. Egli nonha inventato a suo capriccio ciò che ci narra: ha scrittociò che ha trovato scritto da altri. A' tempi in cui egli vi-vea, non sospettavasi ancora che si fosser potuti scriveretanti sogni; non v'erano monumenti alla luce co' qualidiscernere il vero dal falso: ogni cosa era all'oscuro; eaggirandosi fra tante tenebre, non era possibile il regger-si in piedi. Nondimeno, fra molte favole, molte cose as-sai pregevoli egli ci ha conservate, che forse altrimentisarebbon perite. Di lui hanno assai diligentemente parla-to i due suddetti scrittori, i quali da ciò ch'egli stesso disè racconta nella Cronaca di cui or parleremo, raccolgo-no ch'egli nato circa l'an. 1230, entrò nell'Ord. de' Predi-catori l'an. 1244; che dopo aver insegnate in più luoghile scienze, e dopo essersi esercitato più anni nellapredicazione, l'an. 1267 fu fatto provinciale di Lombar-dia, il qual impiego ei sostenne sino al 1285; che final-mente l'an. 1292, eletto e consacrato arcivescovo di Ge-nova, occupò quella sede per lo spazio di sei anni, nelqual tempo adoperossi con sommo zelo alla riforma de-gli ecclesiastici, al qual fine radunò un sinodo provin-ciale, e al sopimento delle civili discordie, da cui eraquella città lacerata miseramente; e che l'an. 1298 lasciòdi vivere. Oltre le Vite de' Santi, egli scrisse ancora mol-ti sacri Sermoni, e un libro in lode della Madre di Diointitolato Mariale, che sono stati dati alle stampe; equalche altra opera ascetica di cui rimangono copie ma-noscritte in alcune biblioteche; e finalmente una Crona-

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ca della città di Genova, di cui il Muratori, troncando lemolte favole di cui Jacopo l'avea imbrattata, ha pubbli-cate sol quelle parti che recan luce alla storia (vol. 9Script. rer. ital.), di che veggasi la prefazione di questodotto scrittore alla Cronaca stessa premessa.

CAPO II.Filosofia e Matematica.

I. Benchè ne' due ultimi secoli prece-denti alcuni tra gli Italiani avessero,per così dire, richiamati a vita, filosofi-ci studj che per tanto tempo si eran gia-

ciuti in una totale dimenticanza, gli sforzi lor nondime-no più alle straniere nazioni che alla comune lor patriaavean recato giovamento ed onore. Lanfranco e s. An-selmo avean comunicati i lor lumi alla Francia; Giovan-ni avea fatto ammirare il suo ingegno a Costantinopoli;Gherardo cremonese era andato tra gli Arabi della Spa-gna. Pochi in Italia erano stati coloro che in questi studiottenuto avessero qualche nome e le scuole di filosofia,ch'erano in Bologna, e probabilmente ancora in altre cit-tà, non par che fossero tali che questa scienza potesseesserne illustrata, come sarebbe stato opportuno. Aristo-tele, il miglior tra' filosofi dell'antichità di cui fosser ri-maste le opere, appena era noto di nome. Ne' libri delmonastero di Bobbio, il cui Catalogo fatto, come sem-

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Stato infelice dellafilosofia innanzi alsec. XIII.

ca della città di Genova, di cui il Muratori, troncando lemolte favole di cui Jacopo l'avea imbrattata, ha pubbli-cate sol quelle parti che recan luce alla storia (vol. 9Script. rer. ital.), di che veggasi la prefazione di questodotto scrittore alla Cronaca stessa premessa.

CAPO II.Filosofia e Matematica.

I. Benchè ne' due ultimi secoli prece-denti alcuni tra gli Italiani avessero,per così dire, richiamati a vita, filosofi-ci studj che per tanto tempo si eran gia-

ciuti in una totale dimenticanza, gli sforzi lor nondime-no più alle straniere nazioni che alla comune lor patriaavean recato giovamento ed onore. Lanfranco e s. An-selmo avean comunicati i lor lumi alla Francia; Giovan-ni avea fatto ammirare il suo ingegno a Costantinopoli;Gherardo cremonese era andato tra gli Arabi della Spa-gna. Pochi in Italia erano stati coloro che in questi studiottenuto avessero qualche nome e le scuole di filosofia,ch'erano in Bologna, e probabilmente ancora in altre cit-tà, non par che fossero tali che questa scienza potesseesserne illustrata, come sarebbe stato opportuno. Aristo-tele, il miglior tra' filosofi dell'antichità di cui fosser ri-maste le opere, appena era noto di nome. Ne' libri delmonastero di Bobbio, il cui Catalogo fatto, come sem-

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Stato infelice dellafilosofia innanzi alsec. XIII.

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bra, nel X secolo, è stato pubblicato dal Muratori (An-tiq. Ital. t. 3, p. 817), non veggiam registrati altri libri fi-losofici, che alcune opere di Boezio, la Dialettica attri-buita a s. Agostino, i libri di Marziano Capella, e alcunianonimi e questi dovean essere i soli che in tali studiservisser di norma e si leggessero nelle scuole. Ma ilXIII secolo vide finalmente risorgere in qualche modoanche la filosofia e la matematica; e Aristotele, finalloradimenticato, si vide dominar nelle scuole ed occuparel'ingegno e le penne de' più celebri professori italiani,mentre frattanto in Francia gli si facea la guerra, e comeautor empio e irreligioso ei veniva gittato alle fiamme.L'esame delle vicende a cui la dottrina di questo filosofofu soggetta, sarà, io spero, di piacevole trattenimento achi legge, e recherà insieme non poco onore all'Italia,ove egli più che altrove ebbe coltivatori e seguaci.

II. Se crediamo all'ab. Tritemio (DeScript. eccl. c. 321; et Ill. Benedict. l.2, c. 84), il primo che dopo le invasio-ni dei Barbari prendesse a tradurre inlingua latina e ad illustrare alcune ope-

re di Aristotele, fu Ermanno Contratto monaco del mo-nastero di Augia nel secolo XI, cui egli dice che nellagreca, nella latina, e nell'arabica lingua era espertissimo.Ma il Muratori teme e parmi non senza ragione (Antiq.Ital. t. 3, p. 932), che il Tritemio abbia qui esagerato al-quanto. E veramente nell'elogio di Ermanno scritto da

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Jacopo cherico ve-neziano è il primo a tradurre in latino le opere di Aristo-tele.

bra, nel X secolo, è stato pubblicato dal Muratori (An-tiq. Ital. t. 3, p. 817), non veggiam registrati altri libri fi-losofici, che alcune opere di Boezio, la Dialettica attri-buita a s. Agostino, i libri di Marziano Capella, e alcunianonimi e questi dovean essere i soli che in tali studiservisser di norma e si leggessero nelle scuole. Ma ilXIII secolo vide finalmente risorgere in qualche modoanche la filosofia e la matematica; e Aristotele, finalloradimenticato, si vide dominar nelle scuole ed occuparel'ingegno e le penne de' più celebri professori italiani,mentre frattanto in Francia gli si facea la guerra, e comeautor empio e irreligioso ei veniva gittato alle fiamme.L'esame delle vicende a cui la dottrina di questo filosofofu soggetta, sarà, io spero, di piacevole trattenimento achi legge, e recherà insieme non poco onore all'Italia,ove egli più che altrove ebbe coltivatori e seguaci.

II. Se crediamo all'ab. Tritemio (DeScript. eccl. c. 321; et Ill. Benedict. l.2, c. 84), il primo che dopo le invasio-ni dei Barbari prendesse a tradurre inlingua latina e ad illustrare alcune ope-

re di Aristotele, fu Ermanno Contratto monaco del mo-nastero di Augia nel secolo XI, cui egli dice che nellagreca, nella latina, e nell'arabica lingua era espertissimo.Ma il Muratori teme e parmi non senza ragione (Antiq.Ital. t. 3, p. 932), che il Tritemio abbia qui esagerato al-quanto. E veramente nell'elogio di Ermanno scritto da

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Jacopo cherico ve-neziano è il primo a tradurre in latino le opere di Aristo-tele.

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chi era con lui vissuto, e pubblicato dal medesimo Mu-ratori (ib. p. 933), si parla bensì degli altri studj di que-sto monaco, ma di lingue straniere da lui apprese non sidice motto, e nulla pure ne ha l'Anonimo mellicese (DeScript. eccl. c. 91) tanto più del Tritemio vicino ad Er-manno. A me pare perciò, che l'autorità del Tritemio nonbasti a persuadercelo, e che anzi il silenzio de' più anti-chi scrittori, e la poca esattezza con cui egli ha parlato diErmanno, come mostra il p. Mabillon (Ann. bened. t. 4,l. 53, n. 90), ci persuada piuttosto che questo, per altrodottissimo monaco, non facesse intorno alle opere diAristotele lavoro alcuno. Ben possiamo noi affermarecon qualche maggior fondamento che un Italiano primadi tutti si accinse dopo i traduttori più antichi a recarnedal greco in latino alcune opere. Fu questi Jacopo cheri-co veneziano, quel medesimo, per quanto io penso, chetrovossi in Costantinopoli insieme con Mosè da Berga-mo e con Anselmo vescovo di Avelbergen, colà manda-to da Lottario II imperadore, di che abbiamo altrove par-lato (t. 3). Or questi per testimonianza di Roberto delMonte, scrittore non molto posterior di tempo a Jacopo,verso l'an. 1128 recò dal greco in latino ed illustrò concomenti alcune delle opere d'Aristotele. "Jacobus cleri-cus de Venetia transtulit de graeco in latinum quosdamlibros Aristotelis, et commentatus est, scilicet Topica,Analyticos et priores et posteriores, et Elenchos, quam-vis antiqua translatio (cioè quella probabilmente di Boe-zio) super eosdem libros haberetur (in App. ad an.1128)". Questo traduttore e comentatore, sconosciuto al

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chi era con lui vissuto, e pubblicato dal medesimo Mu-ratori (ib. p. 933), si parla bensì degli altri studj di que-sto monaco, ma di lingue straniere da lui apprese non sidice motto, e nulla pure ne ha l'Anonimo mellicese (DeScript. eccl. c. 91) tanto più del Tritemio vicino ad Er-manno. A me pare perciò, che l'autorità del Tritemio nonbasti a persuadercelo, e che anzi il silenzio de' più anti-chi scrittori, e la poca esattezza con cui egli ha parlato diErmanno, come mostra il p. Mabillon (Ann. bened. t. 4,l. 53, n. 90), ci persuada piuttosto che questo, per altrodottissimo monaco, non facesse intorno alle opere diAristotele lavoro alcuno. Ben possiamo noi affermarecon qualche maggior fondamento che un Italiano primadi tutti si accinse dopo i traduttori più antichi a recarnedal greco in latino alcune opere. Fu questi Jacopo cheri-co veneziano, quel medesimo, per quanto io penso, chetrovossi in Costantinopoli insieme con Mosè da Berga-mo e con Anselmo vescovo di Avelbergen, colà manda-to da Lottario II imperadore, di che abbiamo altrove par-lato (t. 3). Or questi per testimonianza di Roberto delMonte, scrittore non molto posterior di tempo a Jacopo,verso l'an. 1128 recò dal greco in latino ed illustrò concomenti alcune delle opere d'Aristotele. "Jacobus cleri-cus de Venetia transtulit de graeco in latinum quosdamlibros Aristotelis, et commentatus est, scilicet Topica,Analyticos et priores et posteriores, et Elenchos, quam-vis antiqua translatio (cioè quella probabilmente di Boe-zio) super eosdem libros haberetur (in App. ad an.1128)". Questo traduttore e comentatore, sconosciuto al

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Fabricio, fu dunque il primo che dopo gli antichi comin-ciasse a recare in latino ad interpretare Aristotele. Evuolsi avvertire che dove le altre traduzioni che se ne fe-cero poscia, furono per lo più lavorate non sul testo gre-co, ma sulle versioni arabiche, questa fu fatta sul testogreco medesimo. Ed è probabile che Jacopo a quest'ope-ra si accingesse quando era in Costantinopoli, o che tor-natone portasse seco alcune opere di Aristotele, e posciale traducesse e le comentasse.

III. Convien dire però, che la traduzionedi Jacopo o non molto si divolgasse, ovenisse presto a smarrirsi, perciocchè diessa non si trova altra menzione. Nondi-meno le opere di Aristotele recate in lati-no sembra che si leggessero in Francia

verso la metà del XII secolo, perciocchè le veggiamoaccennate nell'opera di Gualtero priore di s. Vittorioscritta contro di Pier lombardo e di altri teologi, dellaquale si è ragionato altrove (t. 3). Più frequente ancoradovette rendersi cotale lettura in Francia verso l'an.1209, come raccogliesi dalla Vita di Filippo Augustoscritta da Rigordo medico del re medesimo: Legebantur,dic'egli parlando del detto anno, Parisiis libelli quidamde Aristotele, ut dicebatur, compositi, qui docebant Me-taphysicam, delati de novo a Costantinopoli, et a grae-co in latinum translati (Ap. Launojum de Aristot. fortu-na c. 1). E quindi siegue a narrare che avendo alcuni

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Altre traduzioni di esse: vicende della dottrina d'Aristotele in Francia.

Fabricio, fu dunque il primo che dopo gli antichi comin-ciasse a recare in latino ad interpretare Aristotele. Evuolsi avvertire che dove le altre traduzioni che se ne fe-cero poscia, furono per lo più lavorate non sul testo gre-co, ma sulle versioni arabiche, questa fu fatta sul testogreco medesimo. Ed è probabile che Jacopo a quest'ope-ra si accingesse quando era in Costantinopoli, o che tor-natone portasse seco alcune opere di Aristotele, e posciale traducesse e le comentasse.

III. Convien dire però, che la traduzionedi Jacopo o non molto si divolgasse, ovenisse presto a smarrirsi, perciocchè diessa non si trova altra menzione. Nondi-meno le opere di Aristotele recate in lati-no sembra che si leggessero in Francia

verso la metà del XII secolo, perciocchè le veggiamoaccennate nell'opera di Gualtero priore di s. Vittorioscritta contro di Pier lombardo e di altri teologi, dellaquale si è ragionato altrove (t. 3). Più frequente ancoradovette rendersi cotale lettura in Francia verso l'an.1209, come raccogliesi dalla Vita di Filippo Augustoscritta da Rigordo medico del re medesimo: Legebantur,dic'egli parlando del detto anno, Parisiis libelli quidamde Aristotele, ut dicebatur, compositi, qui docebant Me-taphysicam, delati de novo a Costantinopoli, et a grae-co in latinum translati (Ap. Launojum de Aristot. fortu-na c. 1). E quindi siegue a narrare che avendo alcuni

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Altre traduzioni di esse: vicende della dottrina d'Aristotele in Francia.

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presa occasione da questi libri di spargere sentenze ere-tiche, fu fatta legge nel sinodo tenuto quell'anno in Pari-gi, che l'opere di Aristotele fosser date alle fiamme, eche a niuno fosse lecito in avvenire di farle copiare, diritenerle, o di leggerle. Poscia l'an. 1215, il card. Rober-to di Courcon negli Statuti formati per l'università di Pa-rigi permise il leggere l'opere appartenenti a dialettica,ma confermò il divieto riguardo a' libri di fisica e di me-tafisica il qual divieto fu ancor mitigato da Gregorio IXl'an. 1231, ordinando che que' libri si avessero per vieta-ti, finchè non fosser corretti. Di questi divieti, e di que-ste ed altre somiglianti vicende a cui la dottrina d'Ari-stotele fu soggetta in Parigi, veggasi l'accennato trattatodel Launoio che ha eruditamente raccolto quanto a ciòappartiene. Questi divieti non furon mai stesi finoall'Italia ma furon fatti soltanto all'università di Parigi acagione degli errori che alcuni di que' professori vollerosostenere coll'autorità di questo filosofo. Io ne ho datoqui un cenno, sol perchè giovi ad intender meglio ciòche dello stato in cui fu in Italia la filosofia di Aristoteledobbiam ora dire.

IV. Abbiamo altrove mostrato chein Bologna e in alcune altre cittàd'Italia non era del tutto negletto lostudio della filosofia; benchè essoper lo più non passasse oltre la dia-

lettica. Delle opere però d'Aristotele non so se si possa

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Nuove traduzioni di Aristotele, e di altri au-tori greci ordinate da Federigo II e da Man-fredi.

presa occasione da questi libri di spargere sentenze ere-tiche, fu fatta legge nel sinodo tenuto quell'anno in Pari-gi, che l'opere di Aristotele fosser date alle fiamme, eche a niuno fosse lecito in avvenire di farle copiare, diritenerle, o di leggerle. Poscia l'an. 1215, il card. Rober-to di Courcon negli Statuti formati per l'università di Pa-rigi permise il leggere l'opere appartenenti a dialettica,ma confermò il divieto riguardo a' libri di fisica e di me-tafisica il qual divieto fu ancor mitigato da Gregorio IXl'an. 1231, ordinando che que' libri si avessero per vieta-ti, finchè non fosser corretti. Di questi divieti, e di que-ste ed altre somiglianti vicende a cui la dottrina d'Ari-stotele fu soggetta in Parigi, veggasi l'accennato trattatodel Launoio che ha eruditamente raccolto quanto a ciòappartiene. Questi divieti non furon mai stesi finoall'Italia ma furon fatti soltanto all'università di Parigi acagione degli errori che alcuni di que' professori vollerosostenere coll'autorità di questo filosofo. Io ne ho datoqui un cenno, sol perchè giovi ad intender meglio ciòche dello stato in cui fu in Italia la filosofia di Aristoteledobbiam ora dire.

IV. Abbiamo altrove mostrato chein Bologna e in alcune altre cittàd'Italia non era del tutto negletto lostudio della filosofia; benchè essoper lo più non passasse oltre la dia-

lettica. Delle opere però d'Aristotele non so se si possa

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Nuove traduzioni di Aristotele, e di altri au-tori greci ordinate da Federigo II e da Man-fredi.

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trovar memoria tra noi prima de' tempi di Federigo II.Questo imperadore, di cui vorrei che si potessero ricor-dare solo i non piccioli pregi di cui fu adorno, intento aravvivare in Italia gli studj d'ogni maniera, pensò tra glialtri a quello della filosofia; e rinvenute avendo nellasua biblioteca alcune opere di Aristotele e di altri antichifilosofi, altre scritte in lingua arabica, altre in linguagreca, commise ad alcuni, che nell'una e nell'altra eranoassai periti, di tradurle in latino, e poichè il lavoro fucompito, invionne copie a professori dell'università diBologna, perchè per mezzo di essi si divolgassero a co-mune istruzione. Abbiam tuttora la lettera ch'egli scrisseloro in questa occasione (De Vineis l. 3, c. 67), ch'è unbell'elogio così della sollecitudine di questo monarca nelfomentare gli studj, come del valore di que' celebri pro-fessori. Di questi parlando, egli dice che a niuno meglioche ad essi doveasi offerire un tal dono, come a chiaris-simi alunni della filosofia: Vobis potissime, velut philo-sophiae praeclaris alumnis, de quorum pectoribuspromptuaria plena fluunt. Il Bruckero, troppo docilmen-te seguendo l'autorità di Giuseppe Scaligero e di Gio-vanni Saldeno, afferma (Hist. crit. Philos. t. 3, p. 700)che questa versione dell'opere di Aristotele si fece solosulle versioni arabiche, e pretende che dalle parole stes-se di Federigo si raccolga ciò chiaramente; poichè, cidice, il testo greco di Aristotele non videsi certamente inItalia prima della metà del sec. XV, quando Costantino-poli fu presa da' Turchi; e perciò affermandosi da Fede-rigo che le opere di Aristotele e di altri filosofi erano

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trovar memoria tra noi prima de' tempi di Federigo II.Questo imperadore, di cui vorrei che si potessero ricor-dare solo i non piccioli pregi di cui fu adorno, intento aravvivare in Italia gli studj d'ogni maniera, pensò tra glialtri a quello della filosofia; e rinvenute avendo nellasua biblioteca alcune opere di Aristotele e di altri antichifilosofi, altre scritte in lingua arabica, altre in linguagreca, commise ad alcuni, che nell'una e nell'altra eranoassai periti, di tradurle in latino, e poichè il lavoro fucompito, invionne copie a professori dell'università diBologna, perchè per mezzo di essi si divolgassero a co-mune istruzione. Abbiam tuttora la lettera ch'egli scrisseloro in questa occasione (De Vineis l. 3, c. 67), ch'è unbell'elogio così della sollecitudine di questo monarca nelfomentare gli studj, come del valore di que' celebri pro-fessori. Di questi parlando, egli dice che a niuno meglioche ad essi doveasi offerire un tal dono, come a chiaris-simi alunni della filosofia: Vobis potissime, velut philo-sophiae praeclaris alumnis, de quorum pectoribuspromptuaria plena fluunt. Il Bruckero, troppo docilmen-te seguendo l'autorità di Giuseppe Scaligero e di Gio-vanni Saldeno, afferma (Hist. crit. Philos. t. 3, p. 700)che questa versione dell'opere di Aristotele si fece solosulle versioni arabiche, e pretende che dalle parole stes-se di Federigo si raccolga ciò chiaramente; poichè, cidice, il testo greco di Aristotele non videsi certamente inItalia prima della metà del sec. XV, quando Costantino-poli fu presa da' Turchi; e perciò affermandosi da Fede-rigo che le opere di Aristotele e di altri filosofi erano

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state tradotte parte dal greco, parte dall'arabo, in questaseconda lingua sola è a credere che fosser le copiedell'opera di Aristotele, ch'ei fece tradurre. Ma ciò che alui pare certissimo, cioè che sì tardi si avesse tra noil'original testo greco di questo filosofo, a me par certa-mente falso; e noi trappoco dovrem recare monumentichiarissimi a dimostrare che altre versioni ne furono inquesto secolo fatte sul testo greco. Quindi poichè alcunide' libri tradotti per ordine di Federigo furono tradottidal greco, egli è anzi probabile che questi fossero ap-punto que' d'Aristotele ch'è il sol filosofo di cui nellasua lettera ei fa espressa menzione. Quai fossero preci-samente questi libri tradotti, Federigo nol dice; ma soloaccenna ch'essi trattavano de Sermocinalibus et mathe-maticis disciplinis; colle quali parole io crederei ch'eivoglia indicare e opere dialettiche di Aristotele, e leastrologiche di alcuni filosofi arabi. Non possiam pari-menti accertare in qual anno fosse questa lettera scrittada Federigo; poichè tutte le lettere di Pier delle Vignenon hanno data. Io congetturo però, che ciò avvenisseprima dell'anno 1224, perciocchè avendo in quell'annoFederigo eretta l'università di Napoli, e avendo con essatentato di opprimere quella di Bologna, non sembra pro-babile che, dopo ciò, ei volesse a questa, piuttosto che aquella ch'era la sua prediletta, dar questo non picciolocontrassegno di estimazione. Vuolsi anche avvertire chequesta lettera stessa è stata pubblicata di nuovo da' pp.Martene e Durand (Collect. ampliss. t. 2, p. 1220) comecosa inedita, e come indirizzata non da Federigo alla

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state tradotte parte dal greco, parte dall'arabo, in questaseconda lingua sola è a credere che fosser le copiedell'opera di Aristotele, ch'ei fece tradurre. Ma ciò che alui pare certissimo, cioè che sì tardi si avesse tra noil'original testo greco di questo filosofo, a me par certa-mente falso; e noi trappoco dovrem recare monumentichiarissimi a dimostrare che altre versioni ne furono inquesto secolo fatte sul testo greco. Quindi poichè alcunide' libri tradotti per ordine di Federigo furono tradottidal greco, egli è anzi probabile che questi fossero ap-punto que' d'Aristotele ch'è il sol filosofo di cui nellasua lettera ei fa espressa menzione. Quai fossero preci-samente questi libri tradotti, Federigo nol dice; ma soloaccenna ch'essi trattavano de Sermocinalibus et mathe-maticis disciplinis; colle quali parole io crederei ch'eivoglia indicare e opere dialettiche di Aristotele, e leastrologiche di alcuni filosofi arabi. Non possiam pari-menti accertare in qual anno fosse questa lettera scrittada Federigo; poichè tutte le lettere di Pier delle Vignenon hanno data. Io congetturo però, che ciò avvenisseprima dell'anno 1224, perciocchè avendo in quell'annoFederigo eretta l'università di Napoli, e avendo con essatentato di opprimere quella di Bologna, non sembra pro-babile che, dopo ciò, ei volesse a questa, piuttosto che aquella ch'era la sua prediletta, dar questo non picciolocontrassegno di estimazione. Vuolsi anche avvertire chequesta lettera stessa è stata pubblicata di nuovo da' pp.Martene e Durand (Collect. ampliss. t. 2, p. 1220) comecosa inedita, e come indirizzata non da Federigo alla

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università di Bologna, ma da Manfredi re di Sicilia aquella di Parigi, poichè così vedeasi intitolata nel codicecolbertino, da cui essi la trassero: Sedentibus in quadri-gis physicae disciplinae parisiensis studii doctoribusuniversis, Manfredus Dei gratia, etc.; e su tal fondamen-to l'ab. Lebeuf ha asserito (Diss. sur l'Hist. de Paris t. 2,p. 80) che il re di Napoli avendo nella sua biblioteca tro-vate le opere dialettiche e matematiche d'Aristotele, lefe' tradurre in latino, e inviolle all'università di Parigi. Eidovea avvertire che la traduzione dell'opere di Aristoteleera già stata fatta per ordine di Federigo, e inviataall'università di Bologna. È certo però, che qualche ope-ra di Aristotele fu per ordine di Manfredi recata in lati-no, e non dall'arabico, ma dal greco. Ne abbiam la pruo-va in un codice a penna della libreria di s. Croce in Fi-renze citato dal ch. Mehus (Vita Ambros. camald. p.155), in cui si contiene l'Etica di quel filosofo tradottadal greco da Bartolommeo di Messina: Incipit liber ma-gnorum Ethicorum Aristotelis translatus de graeco inlatinum a magistro Bartholomaeo de Messana in CuriaIllustrissimi Manfredi Serenissimi Regis Ciciliae scien-tiae amatoris de mandato suo, ec. (24). Forse altre opereancora di Aristotele, che a' tempi di Federigo non eranostate tradotte, fece Manfredi recare in latino, e per ren-

24 Oltre la traduzione dell'Etica di Aristotele, un'altra ne abbiamo fatta dallostesso Bartolommeo da Messina, che si conserva in un codice ms. della li-breria di S. Salvatore in Bologna, che ha per titolo: "Incipit liber Eraclei adBassum de curatione equorum in ordine perfecto... translatus de graeco inLatinum a mag. Bartolommeo de Messana in Curia Illustrissimi ManfrediSerenissimi Regis Siciliae scientiae amatoris, de mandato suo.

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università di Bologna, ma da Manfredi re di Sicilia aquella di Parigi, poichè così vedeasi intitolata nel codicecolbertino, da cui essi la trassero: Sedentibus in quadri-gis physicae disciplinae parisiensis studii doctoribusuniversis, Manfredus Dei gratia, etc.; e su tal fondamen-to l'ab. Lebeuf ha asserito (Diss. sur l'Hist. de Paris t. 2,p. 80) che il re di Napoli avendo nella sua biblioteca tro-vate le opere dialettiche e matematiche d'Aristotele, lefe' tradurre in latino, e inviolle all'università di Parigi. Eidovea avvertire che la traduzione dell'opere di Aristoteleera già stata fatta per ordine di Federigo, e inviataall'università di Bologna. È certo però, che qualche ope-ra di Aristotele fu per ordine di Manfredi recata in lati-no, e non dall'arabico, ma dal greco. Ne abbiam la pruo-va in un codice a penna della libreria di s. Croce in Fi-renze citato dal ch. Mehus (Vita Ambros. camald. p.155), in cui si contiene l'Etica di quel filosofo tradottadal greco da Bartolommeo di Messina: Incipit liber ma-gnorum Ethicorum Aristotelis translatus de graeco inlatinum a magistro Bartholomaeo de Messana in CuriaIllustrissimi Manfredi Serenissimi Regis Ciciliae scien-tiae amatoris de mandato suo, ec. (24). Forse altre opereancora di Aristotele, che a' tempi di Federigo non eranostate tradotte, fece Manfredi recare in latino, e per ren-

24 Oltre la traduzione dell'Etica di Aristotele, un'altra ne abbiamo fatta dallostesso Bartolommeo da Messina, che si conserva in un codice ms. della li-breria di S. Salvatore in Bologna, che ha per titolo: "Incipit liber Eraclei adBassum de curatione equorum in ordine perfecto... translatus de graeco inLatinum a mag. Bartolommeo de Messana in Curia Illustrissimi ManfrediSerenissimi Regis Siciliae scientiae amatoris, de mandato suo.

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der noto il valore e l'erudizione de' suoi, mandolle indono alla università di Parigi, usando perciò della letterastessa di cui usato avea Federigo nell'inviar le altre a'professor bolognesi.

V. Ma le premure di Federigo II e di Man-fredi nel ravvivare i filosofici studj non eb-bero effetto troppo felice o fosse che le pub-bliche calamità rendessero inutili i mezzi dalor usati, o fosse che pochi libri di Aristotele

e di altri antichi filosofi essi ritrovassero, e se ne co-gliesse perciò poco frutto. La gloria di aver fatta risorge-re la filosofia in Italia deesi a più giusta ragione ad Ur-bano IV. Un bel monumento tratto dalla biblioteca am-brosiana, e con quella gentilezza ch'è propria degli uo-mini dotti, comunicatomi dall'eruditiss. prefetto dellamedesima, il dottor Baldassarre Oltrocchi, ci rappresen-ta questo pontefice come amantissimo della filosofia, esplendido protettor de' filosofi. Ella è la dedica a lui fat-ta di un suo libro dal matematico Campano novarese, dicui ragioneremo tra poco, la quale essendo inedita, par-mi opportuno il recarne ciò che fa al mio intento, appièdi pagina, accennandone qui le più importanti notizieche da essa raccolgonsi (25). Rende egli grazie al pontefi-

25 (†) "Clementissimo Patri et piisimo Domino unico mundane pressure sola-tio Domino Urbano IV. electione Divina Sancte Romane Ecclesie summoPontifici Campanus Novariensis sue dignationis Servus inutilis beatorumpedum oscula cum qua potest reverentia. De pulvere, Pater, Philosophiamerigitis, que lugere solet in sue mendicitatis inopia, nostrum Presolum au-

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Urbano IV promuove molto gli studi filoso-fici.

der noto il valore e l'erudizione de' suoi, mandolle indono alla università di Parigi, usando perciò della letterastessa di cui usato avea Federigo nell'inviar le altre a'professor bolognesi.

V. Ma le premure di Federigo II e di Man-fredi nel ravvivare i filosofici studj non eb-bero effetto troppo felice o fosse che le pub-bliche calamità rendessero inutili i mezzi dalor usati, o fosse che pochi libri di Aristotele

e di altri antichi filosofi essi ritrovassero, e se ne co-gliesse perciò poco frutto. La gloria di aver fatta risorge-re la filosofia in Italia deesi a più giusta ragione ad Ur-bano IV. Un bel monumento tratto dalla biblioteca am-brosiana, e con quella gentilezza ch'è propria degli uo-mini dotti, comunicatomi dall'eruditiss. prefetto dellamedesima, il dottor Baldassarre Oltrocchi, ci rappresen-ta questo pontefice come amantissimo della filosofia, esplendido protettor de' filosofi. Ella è la dedica a lui fat-ta di un suo libro dal matematico Campano novarese, dicui ragioneremo tra poco, la quale essendo inedita, par-mi opportuno il recarne ciò che fa al mio intento, appièdi pagina, accennandone qui le più importanti notizieche da essa raccolgonsi (25). Rende egli grazie al pontefi-

25 (†) "Clementissimo Patri et piisimo Domino unico mundane pressure sola-tio Domino Urbano IV. electione Divina Sancte Romane Ecclesie summoPontifici Campanus Novariensis sue dignationis Servus inutilis beatorumpedum oscula cum qua potest reverentia. De pulvere, Pater, Philosophiamerigitis, que lugere solet in sue mendicitatis inopia, nostrum Presolum au-

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Urbano IV promuove molto gli studi filoso-fici.

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ce perchè degnavasi di sollevar dalla polvere l'infelicefilosofia che in addietro appena osava mostrarsi, sì perla povertà a cui era condotta, sì pel disprezzo con cui so-leva essere ricevuta; ma ora vedevasi da lui amata eonorata. Quindi racconta che Urbano godeva di averseco alla mensa molti valorosi filosofi, e che levate letavole usava condurli seco, e fattili sedere a' suoi piedi,

xiliis destituta. Nunc autem ad vestre serenitatis aspectum facie reveltaconsurgit, quam hactenus obduxerat verecundie pallio, rei familiaris angu-stia macerata. Latere malebat tenuis et pudica, quam aulicorum impudicese largis dapibus immiscere. Quippe semper est in vere domesticis arbitra-ta ridiculum, ut in risum histrionum more vocari soleat, que mores instrue-re debet, et vitam hominum mensurare. Ad vos autem, qui non solum in-tellectu vigetis, polletis ingenio, et scientia radiatis, sed cum affectu multi-plici, soliusve videmini pulcritudinis amatores, tam secura venit, quamleta; cum non ad peregrina, sed ad propria videat se vocari. Sumptis nam-que secundis dapibus placet, uti illud venerabile Capillorum (ita) Vestro-rum Collegium, quos tibi vestra condesse clementia voluit, vos sequatur,quibus ad vestre sanctitatis pedes sedentibus jucundum sapientie certamenindicitis; in quo militaribus armis accinte militariter dimicant partes, ag-grediens et aggressa; hec quidem instat valide jaculis rationum, illa veroresponsium clipeis strenue se defendit. In hoc vestro Philosophia censeat,diffiniri. Habent itaque Philosophos legimus vacavisse. Iste vero sunt epu-le, quas reverendus Socrates discipulis suis ministrasse legitur, et quas sibivice mutua ministrari postulat ab eisdem. Ad has tam sanctas tam veneran-das epulas, Clementissime Domine, licet santis indignum muneribus pieta-te propria me vocastis, et hujus duplicis sancte mense participem me feci-stis, uti me nobilitaretis titulis vestre dignitatis amictum, qui tenuitate pro-prie scientie plebescebam propter quod possum vere dicere: Gratia Dominimei Urbani sum, id quod sum. Sed ne gratia tanti Padris in me vacua rema-neret, a recepte beneficentie tempore jugiter mente discussi sollicita, siquid saltem vel minimum invenirem, quod vestre Majestatis honori pos-sem in signum pronissime devotionis offere. Cumque mihi sedule perqui-renti, nihil invenirem in mee pauperitas armario, quod auderem tante Cel-situdini presentare, tandem Divina largitas, que datorum nihil improperat,et dat omnibus abundanter, mihi quiddam aperuit, quod, ec.

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ce perchè degnavasi di sollevar dalla polvere l'infelicefilosofia che in addietro appena osava mostrarsi, sì perla povertà a cui era condotta, sì pel disprezzo con cui so-leva essere ricevuta; ma ora vedevasi da lui amata eonorata. Quindi racconta che Urbano godeva di averseco alla mensa molti valorosi filosofi, e che levate letavole usava condurli seco, e fattili sedere a' suoi piedi,

xiliis destituta. Nunc autem ad vestre serenitatis aspectum facie reveltaconsurgit, quam hactenus obduxerat verecundie pallio, rei familiaris angu-stia macerata. Latere malebat tenuis et pudica, quam aulicorum impudicese largis dapibus immiscere. Quippe semper est in vere domesticis arbitra-ta ridiculum, ut in risum histrionum more vocari soleat, que mores instrue-re debet, et vitam hominum mensurare. Ad vos autem, qui non solum in-tellectu vigetis, polletis ingenio, et scientia radiatis, sed cum affectu multi-plici, soliusve videmini pulcritudinis amatores, tam secura venit, quamleta; cum non ad peregrina, sed ad propria videat se vocari. Sumptis nam-que secundis dapibus placet, uti illud venerabile Capillorum (ita) Vestro-rum Collegium, quos tibi vestra condesse clementia voluit, vos sequatur,quibus ad vestre sanctitatis pedes sedentibus jucundum sapientie certamenindicitis; in quo militaribus armis accinte militariter dimicant partes, ag-grediens et aggressa; hec quidem instat valide jaculis rationum, illa veroresponsium clipeis strenue se defendit. In hoc vestro Philosophia censeat,diffiniri. Habent itaque Philosophos legimus vacavisse. Iste vero sunt epu-le, quas reverendus Socrates discipulis suis ministrasse legitur, et quas sibivice mutua ministrari postulat ab eisdem. Ad has tam sanctas tam veneran-das epulas, Clementissime Domine, licet santis indignum muneribus pieta-te propria me vocastis, et hujus duplicis sancte mense participem me feci-stis, uti me nobilitaretis titulis vestre dignitatis amictum, qui tenuitate pro-prie scientie plebescebam propter quod possum vere dicere: Gratia Dominimei Urbani sum, id quod sum. Sed ne gratia tanti Padris in me vacua rema-neret, a recepte beneficentie tempore jugiter mente discussi sollicita, siquid saltem vel minimum invenirem, quod vestre Majestatis honori pos-sem in signum pronissime devotionis offere. Cumque mihi sedule perqui-renti, nihil invenirem in mee pauperitas armario, quod auderem tante Cel-situdini presentare, tandem Divina largitas, que datorum nihil improperat,et dat omnibus abundanter, mihi quiddam aperuit, quod, ec.

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li faceva venire a dispute erudite l'uno coll'altro; che eglistesso proponeva i problemi su cui doveasi disputare;che pesava ed esaminava le ragioni addotte dall'una par-te e dall'altra, e facea per ultimo diffinire qual sentimen-to dovesse preferirsi agli altri. Aggiugne di sè il Campa-no, ch'egli era un de' filosofi a cui Urbano avea conce-duto sì grande onore; e conchiude, dicendo ch'egli per-ciò in testimonio di sincera riconoscenza gli offre il pre-sente suo libro. Questo contrassegno di onore con cuiUrbano IV distingueva i filosofi, dovette certo contri-buire non poco a rivolger molti allo studio di una scien-za che vedeasi da si gran personaggio cotanto apprezza-ta.

VI. Egli però non fu pago di fomentar que-sto studio con tali onori. Aristotele era al-lora l'oracolo della filosofia, e credeasi chea questo fonte soltanto si potesse attingerla scienza del vero. Ma poche eran le operedi questo filosofo, che si leggesser tradotte

in latino, ed ancora avean bisogno di chi diligentementele illustrasse. Ei pose perciò gli occhi sul più dottouomo che allor vivesse, cioè su S. Tommaso d'Aquino egli comandò che scrivesse comenti su' libri di Aristotele.Tolomeo da Lucca, scrittore contemporaneo, e famiglia-re di s. Tommaso, racconta (Hist. eccl. l. 22, c. 24, vol. 9Script. rer. ital. p. 1153) che s. Tommaso tornato daFrancia in Italia l'an. 1261, tra le cose che per ordine del

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Ordina a s. Tommaso di tradurre e di comentare le opere di Ari-stotele.

li faceva venire a dispute erudite l'uno coll'altro; che eglistesso proponeva i problemi su cui doveasi disputare;che pesava ed esaminava le ragioni addotte dall'una par-te e dall'altra, e facea per ultimo diffinire qual sentimen-to dovesse preferirsi agli altri. Aggiugne di sè il Campa-no, ch'egli era un de' filosofi a cui Urbano avea conce-duto sì grande onore; e conchiude, dicendo ch'egli per-ciò in testimonio di sincera riconoscenza gli offre il pre-sente suo libro. Questo contrassegno di onore con cuiUrbano IV distingueva i filosofi, dovette certo contri-buire non poco a rivolger molti allo studio di una scien-za che vedeasi da si gran personaggio cotanto apprezza-ta.

VI. Egli però non fu pago di fomentar que-sto studio con tali onori. Aristotele era al-lora l'oracolo della filosofia, e credeasi chea questo fonte soltanto si potesse attingerla scienza del vero. Ma poche eran le operedi questo filosofo, che si leggesser tradotte

in latino, ed ancora avean bisogno di chi diligentementele illustrasse. Ei pose perciò gli occhi sul più dottouomo che allor vivesse, cioè su S. Tommaso d'Aquino egli comandò che scrivesse comenti su' libri di Aristotele.Tolomeo da Lucca, scrittore contemporaneo, e famiglia-re di s. Tommaso, racconta (Hist. eccl. l. 22, c. 24, vol. 9Script. rer. ital. p. 1153) che s. Tommaso tornato daFrancia in Italia l'an. 1261, tra le cose che per ordine del

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Ordina a s. Tommaso di tradurre e di comentare le opere di Ari-stotele.

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pontef. Urbano IV fece in Roma, una fu questa. "Tuncfrater Thomas redit de Parisiis ex certis caussis, et adpetitionem Urbani multa fecit et scripsit... tenens stu-dium in Romae, quasi totam philosophiam sive mora-lem, sive naturalem exposuit et in scriptum seu com-mentum redegit, sed praecipue Ethicam et Mathemati-cam (forse dee leggersi Metaphysicam) quodam singu-lari et novo modo tradendi". E quindi in altri passi ra-giona (ib. l. 23, c. 11, 15) delle altre opere di Aristotele,che in somigliante maniera comentate furono da s. Tom-maso. Ma a ben comentarle, necessario era dapprimal'averne una fedel traduzione, e perciò egli adoperossi,probabilmente a esortazione dello stesso pontefice, per-chè nuovamente esse fosser tradotte: quorum librorum,dice Guglielino da Tocco scrittore antico della sua Vita,procuravit quod fieret nova translatio (Acta SS. ad d. 7mart. c. 4, n. 18). In questo lavoro egli occupò Gugliel-mo di Morbecca natio del Brabante, religioso del suoOrdine, e poscia arcivescovo di Corinto; intorno al qua-le veggansi i pp. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed.t. 1, p. 388, ec.) e il p. de Rubeis (De Gestis, etc.. s.Thomae diss. 23, c. 2), i quali colla testimonianza e diantichi autori e di codici antichi provano chiaramentech'egli in gran parte fu traduttore dell'opere di Aristote-le, e ciò ch'è degno di osservazione, sì è che comune-mente ei le tradusse non dall'arabo, ma dal greco; per-ciocchè in molti monumenti da questi scrittori allegatidicesi espressamente che il tale e il tal libro furon tra-dotti dal greco, e si rammentano i greci esemplari su'

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pontef. Urbano IV fece in Roma, una fu questa. "Tuncfrater Thomas redit de Parisiis ex certis caussis, et adpetitionem Urbani multa fecit et scripsit... tenens stu-dium in Romae, quasi totam philosophiam sive mora-lem, sive naturalem exposuit et in scriptum seu com-mentum redegit, sed praecipue Ethicam et Mathemati-cam (forse dee leggersi Metaphysicam) quodam singu-lari et novo modo tradendi". E quindi in altri passi ra-giona (ib. l. 23, c. 11, 15) delle altre opere di Aristotele,che in somigliante maniera comentate furono da s. Tom-maso. Ma a ben comentarle, necessario era dapprimal'averne una fedel traduzione, e perciò egli adoperossi,probabilmente a esortazione dello stesso pontefice, per-chè nuovamente esse fosser tradotte: quorum librorum,dice Guglielino da Tocco scrittore antico della sua Vita,procuravit quod fieret nova translatio (Acta SS. ad d. 7mart. c. 4, n. 18). In questo lavoro egli occupò Gugliel-mo di Morbecca natio del Brabante, religioso del suoOrdine, e poscia arcivescovo di Corinto; intorno al qua-le veggansi i pp. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed.t. 1, p. 388, ec.) e il p. de Rubeis (De Gestis, etc.. s.Thomae diss. 23, c. 2), i quali colla testimonianza e diantichi autori e di codici antichi provano chiaramentech'egli in gran parte fu traduttore dell'opere di Aristote-le, e ciò ch'è degno di osservazione, sì è che comune-mente ei le tradusse non dall'arabo, ma dal greco; per-ciocchè in molti monumenti da questi scrittori allegatidicesi espressamente che il tale e il tal libro furon tra-dotti dal greco, e si rammentano i greci esemplari su'

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quali s'era formata la traduzione. Ma Guglielmo non eraitaliano, e perciò io non debbo esaminar le fatiche da luiintraprese, e mi basta accennarle per gloria di s. Tomma-so che ad esse animollo. Per ciò che appartiene a' Co-menti di s. Tommaso io non dirò che essi contengano lapiù esatta dottrina, singolarmente in ciò che spetta allafisica. Questa era ancora troppo lungi da quella luce acui è giunta nei tempi a noi più vicini. Ma è degnad'esser qui riferita l'osservazione di Eusebio Renaudot(De barbarica Arist. Versione ap. Fabr. Bibl. gr. t. 12, p.259), cioè che non può abbastanza ammirarsi l'ingegno,e la penetrazione di s. Tommaso, il quale avendo sottogli occhi versioni e comenti non troppo opportuni a illu-strare Aristotele ciò non ostante nell'interpretarlo superòdi gran lunga non sol gli Arabi, ma molti ancora de' gre-ci comentatori. Nè è maraviglia che anche le versionifatte per opera di s. Tommaso non fossero troppo esatte.Il Bruckero lo attribuisce alle traduzioni arabiche infe-deli e scorrette, di cui egli crede che i traduttori si vales-sero. Noi abbiam dimostrato ch'essi si valsero ancora,almen talvolta, del testo greco. Ma nondimeno non è astupire che le versioni fosser poco felici. Già abbiam ve-duto nel primo tomo di questa Storia qual guasto soffris-ser le opere d'Aristotele fin da' tempi più antichi, e daquante mani esse venisser corrotte. Or quanto più dovet-te ciò avvenire nella barbarie de' secoli susseguenti,quando i copiatori erano per lo più ignoranti, e scrive-van ciò che punto non intendevano? Qual maravigliaadunque che di un testo sì guasto si facesser sì misere

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quali s'era formata la traduzione. Ma Guglielmo non eraitaliano, e perciò io non debbo esaminar le fatiche da luiintraprese, e mi basta accennarle per gloria di s. Tomma-so che ad esse animollo. Per ciò che appartiene a' Co-menti di s. Tommaso io non dirò che essi contengano lapiù esatta dottrina, singolarmente in ciò che spetta allafisica. Questa era ancora troppo lungi da quella luce acui è giunta nei tempi a noi più vicini. Ma è degnad'esser qui riferita l'osservazione di Eusebio Renaudot(De barbarica Arist. Versione ap. Fabr. Bibl. gr. t. 12, p.259), cioè che non può abbastanza ammirarsi l'ingegno,e la penetrazione di s. Tommaso, il quale avendo sottogli occhi versioni e comenti non troppo opportuni a illu-strare Aristotele ciò non ostante nell'interpretarlo superòdi gran lunga non sol gli Arabi, ma molti ancora de' gre-ci comentatori. Nè è maraviglia che anche le versionifatte per opera di s. Tommaso non fossero troppo esatte.Il Bruckero lo attribuisce alle traduzioni arabiche infe-deli e scorrette, di cui egli crede che i traduttori si vales-sero. Noi abbiam dimostrato ch'essi si valsero ancora,almen talvolta, del testo greco. Ma nondimeno non è astupire che le versioni fosser poco felici. Già abbiam ve-duto nel primo tomo di questa Storia qual guasto soffris-ser le opere d'Aristotele fin da' tempi più antichi, e daquante mani esse venisser corrotte. Or quanto più dovet-te ciò avvenire nella barbarie de' secoli susseguenti,quando i copiatori erano per lo più ignoranti, e scrive-van ciò che punto non intendevano? Qual maravigliaadunque che di un testo sì guasto si facesser sì misere

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traduzioni, e che le vere opinioni di questo ingegnoso fi-losofo si cambiassero spesso in oscurissimi gerghi, o ingrossolani errori? A ciò aggiungasi la sottigliezza e lespeculazioni degli Arabi che nuove tenebre aggiunseroagli scritti di Aristotele; e non rimarrà luogo a stupire diciò che molti affermano, e che parmi certissimo cioè chenon possiam esser sicuri che Aristotele sentisse vera-mente ciò che sembrano indicarci le opere che di lui ab-biamo, e che anzi possiam credere con fondamento chein molte cose egli avesse opinioni del tutto contrarie aquelle che sembran da lui sostenersi.

VII. Ciò che abbiam detto del comandofatto da Urbano a s. Tommaso d'interpre-tare le opere di Aristotele basta a mostrar-ci che non avea ragione il Launoio di ma-

ravigliarsi (De Arist. fortuna c. 7) che questo santo, ben-chè professore dell'università di Parigi, e benchè sì ubbi-diente ai pontificj decreti, ardisse nondimeno di comen-tare un filosofo, i cui libri da' romani pontefici eranostati proscritti. Questa proibizione non avea luogo, comegià abbiamo osservato, che nella università di Parigi; eancorchè ella fosse stata distesa a tutte le scuole,l'espresso comando che s. Tommaso ne ricevette di Ur-bano IV, basta ad assolverlo da ogni taccia. Non è daommetter per ultimo che s. Tommaso non prese ad illu-strare solamente Aristotele, ma avea ancor cominciatoun comento su un'opera di Simplicio, e un altro sul Ti-

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Altre opere fi-losofiche di s. Tommaso.

traduzioni, e che le vere opinioni di questo ingegnoso fi-losofo si cambiassero spesso in oscurissimi gerghi, o ingrossolani errori? A ciò aggiungasi la sottigliezza e lespeculazioni degli Arabi che nuove tenebre aggiunseroagli scritti di Aristotele; e non rimarrà luogo a stupire diciò che molti affermano, e che parmi certissimo cioè chenon possiam esser sicuri che Aristotele sentisse vera-mente ciò che sembrano indicarci le opere che di lui ab-biamo, e che anzi possiam credere con fondamento chein molte cose egli avesse opinioni del tutto contrarie aquelle che sembran da lui sostenersi.

VII. Ciò che abbiam detto del comandofatto da Urbano a s. Tommaso d'interpre-tare le opere di Aristotele basta a mostrar-ci che non avea ragione il Launoio di ma-

ravigliarsi (De Arist. fortuna c. 7) che questo santo, ben-chè professore dell'università di Parigi, e benchè sì ubbi-diente ai pontificj decreti, ardisse nondimeno di comen-tare un filosofo, i cui libri da' romani pontefici eranostati proscritti. Questa proibizione non avea luogo, comegià abbiamo osservato, che nella università di Parigi; eancorchè ella fosse stata distesa a tutte le scuole,l'espresso comando che s. Tommaso ne ricevette di Ur-bano IV, basta ad assolverlo da ogni taccia. Non è daommetter per ultimo che s. Tommaso non prese ad illu-strare solamente Aristotele, ma avea ancor cominciatoun comento su un'opera di Simplicio, e un altro sul Ti-

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Altre opere fi-losofiche di s. Tommaso.

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meo di Platone, che si rammentano nella lettera scrittadalla università di Parigi al Capitolo generale dell'Ord.de' Predicatori l'an. 1274, poichè ne ebbe intesa la mor-te, in cui chiede che queste opere, benchè imperfette, lesian mandate. Accennasi ivi ancora un'altra opera di s.Tommaso, la quale, se fosse a noi pervenuta, ci mostre-rebbe quanto ei fosse versato anche nelle matematiche;cioè un trattato da lui cominciato sopra gli Acquedotti esopra le macchine per sollevare e condurre le acque. Mabenchè queste ed altre opere di s. Tommaso sian perite,quelle però, che ci sono rimaste, bastano a persuaderciche non andò lungi dal vero l'ingegnoso m. Fontenelle,quando come sopra abbiam riferito, scrisse che in altritempi s. Tommaso sarebbe stato un Cartesio.

VIII. Al favore di cui Urbano IV onorava ifilosofici studj, dobbiam ancor le opere diCampano novarese filosofo e matematicodi questo secolo. Il Tritemio, seguito da al-cuni, ne assegna con troppo grave errore

l'età all'an. 1030 (De Script. eccl. c. 334). Il Vossio lafissa all'an. 1200 (De natura Art. l. 3, c. 36, parag. 25),e forse egli vivea fin d'allora, ma ei fioriva ed era filoso-fo e matematico rinomato a' tempi di Urbano IV che fueletto papa l'an. 1261, come è manifesto dalla dedica alui fatta del suo libro sopra la Sfera, da noi pubblicatapoc'anzi. Della vita da lui condotta niuno ci ha data fi-nora notizia alcuna. A me è avvenuto di scoprire felice-

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Opere mate-matiche di Campano no-varese.

meo di Platone, che si rammentano nella lettera scrittadalla università di Parigi al Capitolo generale dell'Ord.de' Predicatori l'an. 1274, poichè ne ebbe intesa la mor-te, in cui chiede che queste opere, benchè imperfette, lesian mandate. Accennasi ivi ancora un'altra opera di s.Tommaso, la quale, se fosse a noi pervenuta, ci mostre-rebbe quanto ei fosse versato anche nelle matematiche;cioè un trattato da lui cominciato sopra gli Acquedotti esopra le macchine per sollevare e condurre le acque. Mabenchè queste ed altre opere di s. Tommaso sian perite,quelle però, che ci sono rimaste, bastano a persuaderciche non andò lungi dal vero l'ingegnoso m. Fontenelle,quando come sopra abbiam riferito, scrisse che in altritempi s. Tommaso sarebbe stato un Cartesio.

VIII. Al favore di cui Urbano IV onorava ifilosofici studj, dobbiam ancor le opere diCampano novarese filosofo e matematicodi questo secolo. Il Tritemio, seguito da al-cuni, ne assegna con troppo grave errore

l'età all'an. 1030 (De Script. eccl. c. 334). Il Vossio lafissa all'an. 1200 (De natura Art. l. 3, c. 36, parag. 25),e forse egli vivea fin d'allora, ma ei fioriva ed era filoso-fo e matematico rinomato a' tempi di Urbano IV che fueletto papa l'an. 1261, come è manifesto dalla dedica alui fatta del suo libro sopra la Sfera, da noi pubblicatapoc'anzi. Della vita da lui condotta niuno ci ha data fi-nora notizia alcuna. A me è avvenuto di scoprire felice-

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Opere mate-matiche di Campano no-varese.

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mente, ch'egli fu cappellano del papa, cioè probabilmen-te di Urbano IV, e ch'ebbe ancora un canonicato in Pari-gi, ove però io credo ch'egli non mai abitasse. Ne ab-biam la pruova in una lettera del medico Simone da Ge-nova, di cui parleremo nel capo seguente, che così co-mincia: "Domino suo praecipuo Domino Magistro Cam-pano Domini Papae Capellano, Canonico Parisiensi, Si-mon, ec. (Saxii Hist. typogr. mediol. p. 453)". E che eisia il nostro Campano, si rende anche più certo al riflet-tere che Simone il prega, acciocchè Philosophiae cul-men ad hujasmodi vilia non dedignetur descendere. Imoderni comunemente l'appellano Giovanni Campanoma in tutte le edizioni, e in tutti i codici mss. ch'io hoconsultati, trattone uno (Catal. Bibl. reg. Paris. mss. t. 4,p. 352, cod. 7401), ei non è chiamato che col nome sem-plice di Campano. Checchè sia di ciò, le opere partegeometriche, parte astronomiche da lui scritte cel mo-stran uomo in queste scienze versato forse sopra ogni al-tro della sua età. La più nota, che abbiamo alle stampesono i Comenti sopra Euclide. Il Fabricio (Bibl. gr. t. 2,p. 373) e tutti i moderni scrittori da me veduti affermanoconcordemente che il Campano tradusse ancora Euclidein latino, valendosi a ciò fare della versione arabica;anzi monsig. Huet gravemente il riprende (De claris In-terpr. p. 227) perchè lo abbia colla sua traduzione mise-ramente guasto e corrotto. Ma io credo che il Campanonon si meritasse tal ripassata, e ch'egli non traducessemai Euclide, ma solo il comentasse. Una osservazion di-ligente che io ho voluto fare su' codici mss. che se ne

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mente, ch'egli fu cappellano del papa, cioè probabilmen-te di Urbano IV, e ch'ebbe ancora un canonicato in Pari-gi, ove però io credo ch'egli non mai abitasse. Ne ab-biam la pruova in una lettera del medico Simone da Ge-nova, di cui parleremo nel capo seguente, che così co-mincia: "Domino suo praecipuo Domino Magistro Cam-pano Domini Papae Capellano, Canonico Parisiensi, Si-mon, ec. (Saxii Hist. typogr. mediol. p. 453)". E che eisia il nostro Campano, si rende anche più certo al riflet-tere che Simone il prega, acciocchè Philosophiae cul-men ad hujasmodi vilia non dedignetur descendere. Imoderni comunemente l'appellano Giovanni Campanoma in tutte le edizioni, e in tutti i codici mss. ch'io hoconsultati, trattone uno (Catal. Bibl. reg. Paris. mss. t. 4,p. 352, cod. 7401), ei non è chiamato che col nome sem-plice di Campano. Checchè sia di ciò, le opere partegeometriche, parte astronomiche da lui scritte cel mo-stran uomo in queste scienze versato forse sopra ogni al-tro della sua età. La più nota, che abbiamo alle stampesono i Comenti sopra Euclide. Il Fabricio (Bibl. gr. t. 2,p. 373) e tutti i moderni scrittori da me veduti affermanoconcordemente che il Campano tradusse ancora Euclidein latino, valendosi a ciò fare della versione arabica;anzi monsig. Huet gravemente il riprende (De claris In-terpr. p. 227) perchè lo abbia colla sua traduzione mise-ramente guasto e corrotto. Ma io credo che il Campanonon si meritasse tal ripassata, e ch'egli non traducessemai Euclide, ma solo il comentasse. Una osservazion di-ligente che io ho voluto fare su' codici mss. che se ne

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veggono annoverati nel Catalogo della Biblioteca del redi Francia (t. 4, p. 327, cod. 7213, 7214, 7216), e inquello de' Manoscritti dell'Inghilterra e dell'Irlanda (t. 1,p. 86, cod. 1792, p. 162, cod. 3359), me ne ha convinto;perciocchè in essi non mai si dice il Campano traduttored'Euclide, ma solo comentatore; anzi in alcuni di essichiaramente si afferma che il traduttore fu Adelardogoto monaco del monastero batoniese in Inghilterra nelsec. XII, di cui di fatto dice altrove il Fabricio (Bibl.med. et inf. Latin. t. 1, p. 11) che tradusse dalla linguaarabica nella latina Euclide. Così nel codice 7213 dellaBiblioteca del re di Francia: "Euclidis Elementorum li-bri XV ex arabico in latinum ab Adelhardo gotho Batbo-niensi conversi cum Commentario Campani novarien-sis", e nel codice 3359 de' Manoscritti dell'Inghilterra edell'Irlanda; Euclidis Elementorum libri XV ex versioneAdelhardi de arabico cum Commentario magistri Cam-pani novariensis. Diasi dunque all'inglese Adelardo lacolpa di aver fatta su una cattiva arabica una peggiorversione latina di Euclide e al nostro Campano rimangala gloria di averlo illustrato, quanto era possibile in que'tempi sì tenebrosi. Egli affaticossi inoltre intorno al fa-moso problema della quadratura del circolo; e il trattatoche su ciò egli scrisse, vedesi stampato nell’Appendicealla Margharita Philosophica.

IX. Ei rivolse inoltre i suoi studj all'astronomia, e piùopere intorno ad essa compose, delle quali però una,

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veggono annoverati nel Catalogo della Biblioteca del redi Francia (t. 4, p. 327, cod. 7213, 7214, 7216), e inquello de' Manoscritti dell'Inghilterra e dell'Irlanda (t. 1,p. 86, cod. 1792, p. 162, cod. 3359), me ne ha convinto;perciocchè in essi non mai si dice il Campano traduttored'Euclide, ma solo comentatore; anzi in alcuni di essichiaramente si afferma che il traduttore fu Adelardogoto monaco del monastero batoniese in Inghilterra nelsec. XII, di cui di fatto dice altrove il Fabricio (Bibl.med. et inf. Latin. t. 1, p. 11) che tradusse dalla linguaarabica nella latina Euclide. Così nel codice 7213 dellaBiblioteca del re di Francia: "Euclidis Elementorum li-bri XV ex arabico in latinum ab Adelhardo gotho Batbo-niensi conversi cum Commentario Campani novarien-sis", e nel codice 3359 de' Manoscritti dell'Inghilterra edell'Irlanda; Euclidis Elementorum libri XV ex versioneAdelhardi de arabico cum Commentario magistri Cam-pani novariensis. Diasi dunque all'inglese Adelardo lacolpa di aver fatta su una cattiva arabica una peggiorversione latina di Euclide e al nostro Campano rimangala gloria di averlo illustrato, quanto era possibile in que'tempi sì tenebrosi. Egli affaticossi inoltre intorno al fa-moso problema della quadratura del circolo; e il trattatoche su ciò egli scrisse, vedesi stampato nell’Appendicealla Margharita Philosophica.

IX. Ei rivolse inoltre i suoi studj all'astronomia, e piùopere intorno ad essa compose, delle quali però una,

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ch'io sappia, è data alle stampe. Esse sonoannoverate dal Fabricio (ib. t. 1, p. 326) edal Cotta (Museo novarese p. 78), e se netrovano codici mss. nell'Ambrosiana in

Milano, nella biblioteca di s. Marco in Firenze, e altro-ve; e molte ne veggiam registrate ne' Catalogi della Bi-blioteca dei re di Francia (t. 4, p. 325, cod. 7196, p. 337,cod. 7298, p. 352, cod. 7401), della Riccardiana (pag.95), e de' Manoscritti dell'Inghilterra e dell'Irlanda (t. 1,p. 78, cod. 1629, p. 79; cod. 1658, p. 85, cod. 1769, p.86, cod. 1779, p. 87, cod. 1816, ec.); e trattano comune-mente de' moti de' diversi pianeti, degli stromenti neces-sarj a conoscerli e a determinarli, del computo ecclesia-stico, oltre un general trattato intitolato Teoria dei Piane-ti. Era egli amico di f. Rainero da Todi dell'Ord. dei Pre-dicatori, e nella sopraccennata biblioteca di s. Marco inFirenze conservasi una lettera scritta dal Campano sulmoto dell'ottava sfera, che così comincia: "Magnaesanctitatis et scientiae religioso viro Fratri Rainero Tu-dertino de Ordine Pradicatorum Campanus Novariensisde numero peccatorum orationum suarum cum instantiireverenti deposcit suffragia, ec. (Script. Ord. Praed. l. 1,p. 474). A questa epistola nel codice stesso si aggiungo-no due opuscoli sulla Sfera, i quali probabilmente sonoo dello stesso Campano, o di f. Rainero il quale dal solocommercio che avea col Campano possiam raccogliereche de' medesimi studj si dilettasse. Ed essi non doveanesser di fatti infrequenti in quest'Ordine; perciocchè Gu-glielmo Ventura astigiano nella Storia della sua patria

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Opere astro-nomiche del medesimo e di altri.

ch'io sappia, è data alle stampe. Esse sonoannoverate dal Fabricio (ib. t. 1, p. 326) edal Cotta (Museo novarese p. 78), e se netrovano codici mss. nell'Ambrosiana in

Milano, nella biblioteca di s. Marco in Firenze, e altro-ve; e molte ne veggiam registrate ne' Catalogi della Bi-blioteca dei re di Francia (t. 4, p. 325, cod. 7196, p. 337,cod. 7298, p. 352, cod. 7401), della Riccardiana (pag.95), e de' Manoscritti dell'Inghilterra e dell'Irlanda (t. 1,p. 78, cod. 1629, p. 79; cod. 1658, p. 85, cod. 1769, p.86, cod. 1779, p. 87, cod. 1816, ec.); e trattano comune-mente de' moti de' diversi pianeti, degli stromenti neces-sarj a conoscerli e a determinarli, del computo ecclesia-stico, oltre un general trattato intitolato Teoria dei Piane-ti. Era egli amico di f. Rainero da Todi dell'Ord. dei Pre-dicatori, e nella sopraccennata biblioteca di s. Marco inFirenze conservasi una lettera scritta dal Campano sulmoto dell'ottava sfera, che così comincia: "Magnaesanctitatis et scientiae religioso viro Fratri Rainero Tu-dertino de Ordine Pradicatorum Campanus Novariensisde numero peccatorum orationum suarum cum instantiireverenti deposcit suffragia, ec. (Script. Ord. Praed. l. 1,p. 474). A questa epistola nel codice stesso si aggiungo-no due opuscoli sulla Sfera, i quali probabilmente sonoo dello stesso Campano, o di f. Rainero il quale dal solocommercio che avea col Campano possiam raccogliereche de' medesimi studj si dilettasse. Ed essi non doveanesser di fatti infrequenti in quest'Ordine; perciocchè Gu-glielmo Ventura astigiano nella Storia della sua patria

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Opere astro-nomiche del medesimo e di altri.

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racconta (Script. rer. ital. vol. 11, p. 156) che un cotalLanfranco domenicano l'an. 1261 nel mese di gennaiopredisse che in quell'anno nella vigilia dell'Ascensioneverso l'ora di nona sarebbesi ecclissato il sole, come infatti avvenne. E nel secolo stesso Leonardo da Pistoiadel medesimo Ordine verso il 1280 oltre una SommaTeologica scrisse alcuni trattati di Geometria, di Aritme-tica, e del computo lunare, che conservansi manoscrittinella suddetta biblioteca di s. Marco (Script. Ord.Praed. t. 1, p. 473). Per ultimo vuolsi avvertire aver du-bitato il Vossio (l. c.) che due Campani si dovesser di-stinguere vissuti in diverso tempo, uno francese, cioèl'interprete di Euclide, l'altro novarese, cioè l'astronomo.Ma le cose dette fin qui mostrano chiaramente che ilCampano novarese fu l'autore di tutte queste opere, eche non vi ha alcuna ragione per dividerle tra due scrit-tori. Di lui veggasi ancora il Marchand che riguardoall'opere dal Campano composte ha scritto con diligenza(Dict. Hist. art. Campanus) benchè egli ancora il facciatraduttore di Euclide.

X. Fra i matematici di questo secolo deeannoverarsi principalmente Leonardo Fi-bonacci ossia figliuol di Bonaccio, di pa-tria pisano; perciocchè a lui si attribuiscela lode di avere prima di ogni altro portati

in Italia al principio del secolo stesso, i numeri detti ara-

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Leonardo Fi-bonacci porta in Italia i nu-meri arabici.

racconta (Script. rer. ital. vol. 11, p. 156) che un cotalLanfranco domenicano l'an. 1261 nel mese di gennaiopredisse che in quell'anno nella vigilia dell'Ascensioneverso l'ora di nona sarebbesi ecclissato il sole, come infatti avvenne. E nel secolo stesso Leonardo da Pistoiadel medesimo Ordine verso il 1280 oltre una SommaTeologica scrisse alcuni trattati di Geometria, di Aritme-tica, e del computo lunare, che conservansi manoscrittinella suddetta biblioteca di s. Marco (Script. Ord.Praed. t. 1, p. 473). Per ultimo vuolsi avvertire aver du-bitato il Vossio (l. c.) che due Campani si dovesser di-stinguere vissuti in diverso tempo, uno francese, cioèl'interprete di Euclide, l'altro novarese, cioè l'astronomo.Ma le cose dette fin qui mostrano chiaramente che ilCampano novarese fu l'autore di tutte queste opere, eche non vi ha alcuna ragione per dividerle tra due scrit-tori. Di lui veggasi ancora il Marchand che riguardoall'opere dal Campano composte ha scritto con diligenza(Dict. Hist. art. Campanus) benchè egli ancora il facciatraduttore di Euclide.

X. Fra i matematici di questo secolo deeannoverarsi principalmente Leonardo Fi-bonacci ossia figliuol di Bonaccio, di pa-tria pisano; perciocchè a lui si attribuiscela lode di avere prima di ogni altro portati

in Italia al principio del secolo stesso, i numeri detti ara-

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Leonardo Fi-bonacci porta in Italia i nu-meri arabici.

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bici, o com'egli gli dice, numeri degl'Indiani (26). L'Arit-metica da lui composta conservasi in un codice ms. del-la Migliabecchiana, e il sig. ab. Zaccaria (Excursus liter.p. 229, ec.) e il sig. dott. Giovanni Targioni Tozzetti(Relazioni d'alcuni Viaggi, ed. 2, t. 2, p. 58, ec.) ce nehanno data una assai esatta descrizione. Il titolo è: Inci-pit Liber Abbaci compositus a Leonardo filio BonacciPisano in anno 1202. Narra nella prefazione Leonardo,che in età fanciullesca essendo stato condotto da suo pa-dre a Buggia nella Barberia, nella cui dogana egli eracancelliere a nome de' Pisani, apprese ivi a conoscere lenuove figure de' numeri usati dagl'Indiani, e si diè a cer-care tutto ciò che su quella scienza sapevasi nell'Egitto,nella Siria, nella Grecia, nella Sicilia, ec., aggiugnendo-vi ancora parecchi lumi tratti dalla Geometria di Eucli-de. Alla prefazione segue la dedica dell'opera a quel Mi-chele Scotto da noi mentovato in questo tomo medesi-mo. L'ab. Zaccaria ci ha dato l'Indice de' capitoli in cuil'opera è divisa, e il dott. Targioni ne ha scelte parecchie

26 Intorno all'introduzione delle cifre arabiche meritan di esser lette le dili-genti e ingegnose riflessioni del ch. sig. ab. Andres (Origine e progressid'ogni Letter. t. 1, p. 223, ec.), il quale senza negare a Leonardo Fibonaccila gloria di averle dall'Africa portate in Italia, si fa a provare ch'esse nonfurono note a Gerberto, come alcuni hanno affermato, e molto meno aBoezio; e crede che l'esempio più antico di tali cifre sia la traduzione diun'opera di Tolomeo dall'arabo in latino fatta nel 1136, e che conservasinell'archivio di Toledo. Ma se il codice della Magliabecchiana, che contie-ne i simboli dei libri di s. Agostino, e tra essi le note arabiche a indicarne iltrattato di Aritmetica, quali il Targioni le ha fatte incidere, se dico, quel co-dice è veramente del sec. XI, come questo autore lo crede (Viaggi t. 2, p.68), egli è evidente che ad esso convien dare la preferenza sopra il codicedi Toledo.

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bici, o com'egli gli dice, numeri degl'Indiani (26). L'Arit-metica da lui composta conservasi in un codice ms. del-la Migliabecchiana, e il sig. ab. Zaccaria (Excursus liter.p. 229, ec.) e il sig. dott. Giovanni Targioni Tozzetti(Relazioni d'alcuni Viaggi, ed. 2, t. 2, p. 58, ec.) ce nehanno data una assai esatta descrizione. Il titolo è: Inci-pit Liber Abbaci compositus a Leonardo filio BonacciPisano in anno 1202. Narra nella prefazione Leonardo,che in età fanciullesca essendo stato condotto da suo pa-dre a Buggia nella Barberia, nella cui dogana egli eracancelliere a nome de' Pisani, apprese ivi a conoscere lenuove figure de' numeri usati dagl'Indiani, e si diè a cer-care tutto ciò che su quella scienza sapevasi nell'Egitto,nella Siria, nella Grecia, nella Sicilia, ec., aggiugnendo-vi ancora parecchi lumi tratti dalla Geometria di Eucli-de. Alla prefazione segue la dedica dell'opera a quel Mi-chele Scotto da noi mentovato in questo tomo medesi-mo. L'ab. Zaccaria ci ha dato l'Indice de' capitoli in cuil'opera è divisa, e il dott. Targioni ne ha scelte parecchie

26 Intorno all'introduzione delle cifre arabiche meritan di esser lette le dili-genti e ingegnose riflessioni del ch. sig. ab. Andres (Origine e progressid'ogni Letter. t. 1, p. 223, ec.), il quale senza negare a Leonardo Fibonaccila gloria di averle dall'Africa portate in Italia, si fa a provare ch'esse nonfurono note a Gerberto, come alcuni hanno affermato, e molto meno aBoezio; e crede che l'esempio più antico di tali cifre sia la traduzione diun'opera di Tolomeo dall'arabo in latino fatta nel 1136, e che conservasinell'archivio di Toledo. Ma se il codice della Magliabecchiana, che contie-ne i simboli dei libri di s. Agostino, e tra essi le note arabiche a indicarne iltrattato di Aritmetica, quali il Targioni le ha fatte incidere, se dico, quel co-dice è veramente del sec. XI, come questo autore lo crede (Viaggi t. 2, p.68), egli è evidente che ad esso convien dare la preferenza sopra il codicedi Toledo.

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belle e interessanti notizie che si leggono intorno allemonete, al commercio, alle misure, agli usi mercantili diquell'età. Egli osserva fra le altre cose l'etimologia dellavoce zero, che viene, secondo Leonardo, dalla voce ara-bica zephirum e mostra insieme che Leonardo fa usonon sol del nome ma delle note e delle regole dell'alge-bra. Ei nondimeno rammenta qualche codice latino delsec. XI e del XII, in cui pure si veggono alcuni, benchèpiù rozzi, numeri arabi; ed egli anzi sospetta che cotainumeri siano lettere minuscule greche un poco storpiate,e che forse gli Arabi abbian preso il modo di conteggia-re da' Greci de' bassi secoli. Nella stessa Magliabecchia-na conservasi un'altra opera di Leonardo scritta nell'an.1220, e intitolata Practica Geometriae la quale peròpropriamente appartiene all'agrimensura, e di essa anco-ra qualche saggio ci offre il soprallodato dott. Targioni.

XI. Vivea al medesimo tempo un altroastronomo e matematico di qualche fama, acui io sono stato lungamente dubbioso seconvenisse dar luogo in questa mia Storia.Ei fu Giordano Nemorario detto da altri del

Bosco, del quale pare che niuno si sia preso pensiero diadditarci la patria; perciocchè per lungo tempo è statainutile ogni ricerca da me fatta per iscoprire onde eglifosse. Ei visse, come ho detto, al tempo medesimo colCampano, perciocchè questi due autori si citan l'unl'altro a vicenda (V. Voss. l. c. parag. 26). Il che, come

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Giordano Nemorario del Bosco, fu di patria tedesco.

belle e interessanti notizie che si leggono intorno allemonete, al commercio, alle misure, agli usi mercantili diquell'età. Egli osserva fra le altre cose l'etimologia dellavoce zero, che viene, secondo Leonardo, dalla voce ara-bica zephirum e mostra insieme che Leonardo fa usonon sol del nome ma delle note e delle regole dell'alge-bra. Ei nondimeno rammenta qualche codice latino delsec. XI e del XII, in cui pure si veggono alcuni, benchèpiù rozzi, numeri arabi; ed egli anzi sospetta che cotainumeri siano lettere minuscule greche un poco storpiate,e che forse gli Arabi abbian preso il modo di conteggia-re da' Greci de' bassi secoli. Nella stessa Magliabecchia-na conservasi un'altra opera di Leonardo scritta nell'an.1220, e intitolata Practica Geometriae la quale peròpropriamente appartiene all'agrimensura, e di essa anco-ra qualche saggio ci offre il soprallodato dott. Targioni.

XI. Vivea al medesimo tempo un altroastronomo e matematico di qualche fama, acui io sono stato lungamente dubbioso seconvenisse dar luogo in questa mia Storia.Ei fu Giordano Nemorario detto da altri del

Bosco, del quale pare che niuno si sia preso pensiero diadditarci la patria; perciocchè per lungo tempo è statainutile ogni ricerca da me fatta per iscoprire onde eglifosse. Ei visse, come ho detto, al tempo medesimo colCampano, perciocchè questi due autori si citan l'unl'altro a vicenda (V. Voss. l. c. parag. 26). Il che, come

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Giordano Nemorario del Bosco, fu di patria tedesco.

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prova comune la loro età, così potrebbe forse parere nonispregevole congettura a dirne comune la patria, o alme-no il soggiorno, poichè a quei tempi non era così agevo-le che le opere, viventi ancora i loro autori, passasseroda uno all'altro paese, se gli stessi autori seco non leportavano. Ma finalmente mi è avvenuto di osservareche in un codice della biblioteca di s. Marco in Venezia(Cod. lat. Bibl. s. Marci p. 141) egli è chiaramente dettotedesco: Jordani de Nemore de Alemania Arithmetica; enoi perciò non abbiamo più alcun diritto ad annoverarlotra' nostri.

XII. Da ciò che abbiam detto finora, si ren-de evidente che fra tutte le parti della filo-sofia e della matematica l'astronomia fuquella che sopra le altre fu in questo secolocoltivata. Così gli studiosi di essa si fosser

ristretti entro i confini della vera ed utile astronomia.Ma molti passaron tropp'oltre, e, abusando del loro stu-dio divenner pazzi e superstiziosi seguaci dell'astrologiagiudiciaria. E io penso che la colpa se ne dovesse ingran parte a Federigo II. Il Montucla lo annovera tra ifomentatori dell'astronomia (Hist. des Mathém. t. 1, p.418); nè io gli contrasto tal lode, la quale anzi compro-vasi dalle cose che di questo principe abbiam dette inaddietro. Ma ciò che afferma il Montucla, cioè che a luideesi la prima traduzione latina dell'Almagesto di Tolo-meo fatta sulla versione arabica, è certamente falso; per-

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Astrologia giudiciaria fomentata daFederigo II.

prova comune la loro età, così potrebbe forse parere nonispregevole congettura a dirne comune la patria, o alme-no il soggiorno, poichè a quei tempi non era così agevo-le che le opere, viventi ancora i loro autori, passasseroda uno all'altro paese, se gli stessi autori seco non leportavano. Ma finalmente mi è avvenuto di osservareche in un codice della biblioteca di s. Marco in Venezia(Cod. lat. Bibl. s. Marci p. 141) egli è chiaramente dettotedesco: Jordani de Nemore de Alemania Arithmetica; enoi perciò non abbiamo più alcun diritto ad annoverarlotra' nostri.

XII. Da ciò che abbiam detto finora, si ren-de evidente che fra tutte le parti della filo-sofia e della matematica l'astronomia fuquella che sopra le altre fu in questo secolocoltivata. Così gli studiosi di essa si fosser

ristretti entro i confini della vera ed utile astronomia.Ma molti passaron tropp'oltre, e, abusando del loro stu-dio divenner pazzi e superstiziosi seguaci dell'astrologiagiudiciaria. E io penso che la colpa se ne dovesse ingran parte a Federigo II. Il Montucla lo annovera tra ifomentatori dell'astronomia (Hist. des Mathém. t. 1, p.418); nè io gli contrasto tal lode, la quale anzi compro-vasi dalle cose che di questo principe abbiam dette inaddietro. Ma ciò che afferma il Montucla, cioè che a luideesi la prima traduzione latina dell'Almagesto di Tolo-meo fatta sulla versione arabica, è certamente falso; per-

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Astrologia giudiciaria fomentata daFederigo II.

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ciocchè nel tomo precedente si è dimostrato che tal tra-duzione fu fatta fin da' tempi di Federigo, da Gherardocremonese. Forse però una nuova versione ne fece fareFederigo II, e forse fu Tolomeo uno di quegli antichi fi-losofi, la cui traduzione egli mandò in dono alla univer-sità di Bologna. Aggiugne il Montucla che Federigo tan-to godeva degli studj astronomici, che solea portar secoun globo la cui superficie rappresentava le costellazioni,e al di dentro vedeasi raffigurata la disposizione delleorbite, e i movimenti de' pianeti. Ma io credo certo checiò movesse da una folle credenza per le astrologichepredizioni anzi che dal desiderio d'istruirsi nell'astrono-mia. Veggiamo in fatti ch'egli avea sempre seco molti dicotali impostori. Così nell'antica Cronaca di Vicenzascritta da Antonio Godi leggiamo (Script. rer. ital. vol.8, p. 83) che l'an. 1236 dovendo egli uscir da Vicenza,volle che un suo astrologo gli predicesse per qual portadovea uscire; e che costui avendogli posto in mano unviglietto chiuso, Federigo, poichè fu uscito, apertolo, ri-conobbe che colui avea colto nel vero. E Rolandino rac-conta (ib. p. 228) che volendo egli andare l'an. 1239 daPadova a Castelfranco nel trevisano, comandò a mastroTeodoro suo astrologo, che per mezzo dell'astrolabio glipredicesse a qual ora dovea muover l'esercito, e che,quando volle edificare la città detta Vittoria presso Par-ma, consultò pure gli astrologi (ib. p. 249) per cogliereil tempo a ciò opportuno. Nel che convien dire che isuoi astrologi non fosser troppo felici; perciocchè lanuova città fu non molto dopo distrutta. E finalmente f.

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ciocchè nel tomo precedente si è dimostrato che tal tra-duzione fu fatta fin da' tempi di Federigo, da Gherardocremonese. Forse però una nuova versione ne fece fareFederigo II, e forse fu Tolomeo uno di quegli antichi fi-losofi, la cui traduzione egli mandò in dono alla univer-sità di Bologna. Aggiugne il Montucla che Federigo tan-to godeva degli studj astronomici, che solea portar secoun globo la cui superficie rappresentava le costellazioni,e al di dentro vedeasi raffigurata la disposizione delleorbite, e i movimenti de' pianeti. Ma io credo certo checiò movesse da una folle credenza per le astrologichepredizioni anzi che dal desiderio d'istruirsi nell'astrono-mia. Veggiamo in fatti ch'egli avea sempre seco molti dicotali impostori. Così nell'antica Cronaca di Vicenzascritta da Antonio Godi leggiamo (Script. rer. ital. vol.8, p. 83) che l'an. 1236 dovendo egli uscir da Vicenza,volle che un suo astrologo gli predicesse per qual portadovea uscire; e che costui avendogli posto in mano unviglietto chiuso, Federigo, poichè fu uscito, apertolo, ri-conobbe che colui avea colto nel vero. E Rolandino rac-conta (ib. p. 228) che volendo egli andare l'an. 1239 daPadova a Castelfranco nel trevisano, comandò a mastroTeodoro suo astrologo, che per mezzo dell'astrolabio glipredicesse a qual ora dovea muover l'esercito, e che,quando volle edificare la città detta Vittoria presso Par-ma, consultò pure gli astrologi (ib. p. 249) per cogliereil tempo a ciò opportuno. Nel che convien dire che isuoi astrologi non fosser troppo felici; perciocchè lanuova città fu non molto dopo distrutta. E finalmente f.

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Francesco Pipino con molta serietà ci racconta (ib. vol.9, p. 660) che dagli astrologi gli fu ancora predetto chesarebbe morto alle porte di ferro in un luogo che avesseil suo nome dal fiore; e che di fatto ei morì in Fiorentinoterra dell'Abruzzo in una torre che avea le porte di ferro:le quali cose, benchè in gran parte si debban credere fin-te a capriccio, ci mostran però che Federigo II erasi la-sciato miseramente acciecare dalle astrologiche impo-sture.

XIII. Nè punto men pazzamente andavadietro esse perduto il celebre Ezzelin daRomano (27). Jacopo Malvezzi, scrittore di

un'antica Cronaca bresciana, racconta (ib. vol. 14, p.930, 931) ch'egli avea seco in Brescia una truppa diastrologi, cioè il famoso Guido Bonatti, di cui or or par-leremo, Riprandino veronese, Paolo bresciano, un Sara-cino che alla lunga barba e al fiero sembiante pareva unnuovo Balaamo, e, ciò che dee sembrar più strano, an-che un canonico di Padova detto Salione; e che costoronon molto prima della battaglia presso Cassano, ove Ez-zelino ricevette la ferita di cui morì, due volte gli predis-sero, i più felici successi. Il che pur si racconta dall'ano-nimo autore dell'antica Cronaca estense pubblicata dalMuratori (ib. vol. 15, p. 329), ove i medesimi astrologi

27 La storia di questo sì celebre uomo e degli altri personaggi della sua fami-glia è stata assai bene illustrata pochi addietro dal sig. Giambattista Vercinella sua Storia degli Ezzellini stampata in Bass. nel 1799 in tre t. in 8°.

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E da Ezzelinoda Romano.

Francesco Pipino con molta serietà ci racconta (ib. vol.9, p. 660) che dagli astrologi gli fu ancora predetto chesarebbe morto alle porte di ferro in un luogo che avesseil suo nome dal fiore; e che di fatto ei morì in Fiorentinoterra dell'Abruzzo in una torre che avea le porte di ferro:le quali cose, benchè in gran parte si debban credere fin-te a capriccio, ci mostran però che Federigo II erasi la-sciato miseramente acciecare dalle astrologiche impo-sture.

XIII. Nè punto men pazzamente andavadietro esse perduto il celebre Ezzelin daRomano (27). Jacopo Malvezzi, scrittore di

un'antica Cronaca bresciana, racconta (ib. vol. 14, p.930, 931) ch'egli avea seco in Brescia una truppa diastrologi, cioè il famoso Guido Bonatti, di cui or or par-leremo, Riprandino veronese, Paolo bresciano, un Sara-cino che alla lunga barba e al fiero sembiante pareva unnuovo Balaamo, e, ciò che dee sembrar più strano, an-che un canonico di Padova detto Salione; e che costoronon molto prima della battaglia presso Cassano, ove Ez-zelino ricevette la ferita di cui morì, due volte gli predis-sero, i più felici successi. Il che pur si racconta dall'ano-nimo autore dell'antica Cronaca estense pubblicata dalMuratori (ib. vol. 15, p. 329), ove i medesimi astrologi

27 La storia di questo sì celebre uomo e degli altri personaggi della sua fami-glia è stata assai bene illustrata pochi addietro dal sig. Giambattista Vercinella sua Storia degli Ezzellini stampata in Bass. nel 1799 in tre t. in 8°.

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E da Ezzelinoda Romano.

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si veggono nominati, se non che il Malvezzi distinguePaolo bresciano dal saracino, di cui non dice il nome, ilcronista estense nomina solo Paolo Saracino, nel cheperò deesi credere errore; perciocchè un saracino nonavrebbe avuto il nome di Paolo. Di Salione astrologo diEzzelino fa menzione ancora il suddetto Guido Bonatti(Astronom. pars 1, p. 143) ch'era insieme con lui al se-guito di Ezzelino. Guido fu il più celebre tra gli astrolo-gi di questa età; ed è il primo dopo gli antichi che ci ab-bia lasciato un pieno ed intero trattato su questa pretesascienza. Di esso abbiamo più edizioni che rammentansidal Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. act. t. 3, p. 130); e inesso alle imposture astrologiche Guido unisce tuttaquella scienza astronomica che allor poteasi avere, emerita perciò che ne facciamo distinta menzione, ancheper discernere ciò che possiam di lui credere con fonda-mento, da ciò che la credulità de' nostri maggiori hatroppo facilmente adottato. E tanto più che pochi di luihanno parlato con esattezza; e quelli che più copiosa-mente degli altri ne hanno scritto, cioè Prospero Mar-chand (Dict. Hist. art. Bonatus) e il co. Mazzucchelli(Scritt. ital. art. Bonatti), han bensì riferito le altrui opi-nioni, ma non han consultate le opere dello stesso Gui-do, il che a me sembra che prima d'ogni altra cosa sidebba fare quando si prende ad esaminare la vita diqualche scrittore.

XIV. Guido Bonatti credesi comunemente

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Notizie di Guido Bo-natti, sua pa-tria e suoi principj.

si veggono nominati, se non che il Malvezzi distinguePaolo bresciano dal saracino, di cui non dice il nome, ilcronista estense nomina solo Paolo Saracino, nel cheperò deesi credere errore; perciocchè un saracino nonavrebbe avuto il nome di Paolo. Di Salione astrologo diEzzelino fa menzione ancora il suddetto Guido Bonatti(Astronom. pars 1, p. 143) ch'era insieme con lui al se-guito di Ezzelino. Guido fu il più celebre tra gli astrolo-gi di questa età; ed è il primo dopo gli antichi che ci ab-bia lasciato un pieno ed intero trattato su questa pretesascienza. Di esso abbiamo più edizioni che rammentansidal Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. act. t. 3, p. 130); e inesso alle imposture astrologiche Guido unisce tuttaquella scienza astronomica che allor poteasi avere, emerita perciò che ne facciamo distinta menzione, ancheper discernere ciò che possiam di lui credere con fonda-mento, da ciò che la credulità de' nostri maggiori hatroppo facilmente adottato. E tanto più che pochi di luihanno parlato con esattezza; e quelli che più copiosa-mente degli altri ne hanno scritto, cioè Prospero Mar-chand (Dict. Hist. art. Bonatus) e il co. Mazzucchelli(Scritt. ital. art. Bonatti), han bensì riferito le altrui opi-nioni, ma non han consultate le opere dello stesso Gui-do, il che a me sembra che prima d'ogni altra cosa sidebba fare quando si prende ad esaminare la vita diqualche scrittore.

XIV. Guido Bonatti credesi comunemente

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Notizie di Guido Bo-natti, sua pa-tria e suoi principj.

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di patria forlivese. Così egli è nominato nel titolo dellasua Astronomia; così afferma l'antico autore della Cro-naca estense (l. c.), per tacere altri più moderni scrittori;così sembra provarsi da parecchie carte di questo e delprecedente secolo, che conservansi negli archivi di quel-la città, e nelle quali si fa menzione della famiglia Bo-natti (V. Georgii Viviani Marchesii Vit. ill. Foroliviens.p. 218). Ma molti scrittori fiorentini, ed altri citati e se-guiti dal p. Negri (Scritt. Fiorent. p. 317), affermanoch'ei fu fiorentino, e che cacciato per le civili discordiedalla sua patria, e ritiratosi a Forlì volle da questa cittàprendere il nome. Io non farei gran conto di tutti gli au-tori allegati dal p. Negri, poichè son quasi tutti di duesecoli posteriori a Guido. Ma parmi più forte assail'argomento tratto dalle Vite d'Uomini illustri fiorentinidi Filippo Villani pubblicate dal co. Mazzucchelli; poi-chè questa conferma la suddetta opinione, e aggiugne(p. 80) che nacque in Cascia, luogo del territorio di Fi-renze, di famiglia secondo il luogo assai antica; di chealtre congetture ancora si arrecano nelle Novelle lettera-rie di Firenze, (an. 1248, p. 345). Quindi io confessoche non so arrendermi a preferire l'una all'altra opinione.A me par nondimeno che, se il Bonatti avesse avutocontro dei Fiorentini quell'odio che questi scrittori ci di-cono, ei ne avrebbe forse dato qualche indicio nella suaopera, in cui non rare volte parla di se medesimo. Or diciò non vi ha motto. Il qual argomento, benchè non ab-bia forza di prova, può rimirarsi però come congetturafavorevole a' Forlivesi, a cui parmi che un'altra si possa

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di patria forlivese. Così egli è nominato nel titolo dellasua Astronomia; così afferma l'antico autore della Cro-naca estense (l. c.), per tacere altri più moderni scrittori;così sembra provarsi da parecchie carte di questo e delprecedente secolo, che conservansi negli archivi di quel-la città, e nelle quali si fa menzione della famiglia Bo-natti (V. Georgii Viviani Marchesii Vit. ill. Foroliviens.p. 218). Ma molti scrittori fiorentini, ed altri citati e se-guiti dal p. Negri (Scritt. Fiorent. p. 317), affermanoch'ei fu fiorentino, e che cacciato per le civili discordiedalla sua patria, e ritiratosi a Forlì volle da questa cittàprendere il nome. Io non farei gran conto di tutti gli au-tori allegati dal p. Negri, poichè son quasi tutti di duesecoli posteriori a Guido. Ma parmi più forte assail'argomento tratto dalle Vite d'Uomini illustri fiorentinidi Filippo Villani pubblicate dal co. Mazzucchelli; poi-chè questa conferma la suddetta opinione, e aggiugne(p. 80) che nacque in Cascia, luogo del territorio di Fi-renze, di famiglia secondo il luogo assai antica; di chealtre congetture ancora si arrecano nelle Novelle lettera-rie di Firenze, (an. 1248, p. 345). Quindi io confessoche non so arrendermi a preferire l'una all'altra opinione.A me par nondimeno che, se il Bonatti avesse avutocontro dei Fiorentini quell'odio che questi scrittori ci di-cono, ei ne avrebbe forse dato qualche indicio nella suaopera, in cui non rare volte parla di se medesimo. Or diciò non vi ha motto. Il qual argomento, benchè non ab-bia forza di prova, può rimirarsi però come congetturafavorevole a' Forlivesi, a cui parmi che un'altra si possa

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aggiungere di non minor forza, cioè una carta fiorentinadel 1260, in cui tra i testimonj è notato ancor Guido conqueste parole: Guido Bonactus Astrologus CommunisFlorentiae de Forlivio (Mazzucch. Pref. ad Villani p.21). In un codice della Cronaca di Giovanni Villani cita-to dal Muratori si dice (Script. rer. ital. vol. 13, p. 291,nota 6) ch'egli era ricopritore di tetti. Ma in quest'arte einon dovea certamente impiegare gran tempo. Non si sain qual anno ei nascesse; ma certo egli era già vivo, e inetà di poter conoscere altri l'an. 1223, perciocchè eglinarra che in quell'anno vide in Ravenna un certo Riccar-do, il qual diceva di aver 400 anni, e di essere stato a'tempi di Carlo Magno (Astronom. p. 209). Anzi ei dove-va esser uomo di qualche autorità l'an. 1233, poichè egliparlando del celebre Giovanni di Vicenza domenicano,di cui tratteremo altrove, dice ch'ei fu il solo che ricu-sasse di venerarlo come uom santo, e che perciò era dalpopolo considerato come empio ed eretico (ib.). Questopasso medesimo ci mostra ch'egli era allora in Bologna,ove forse egli aveva fatti i suoi studj, e ove sembra cheavesse conosciuto Pier delle Vigne, come altrove si èmostrato. Pare ancora ch'egli viaggiasse fin nell'Arabia;perciocchè Benvenuto da Imola citando un passodell'opera astrologica dei Bonatti dice: "Scribit enimGuido Bonatti foroliviensis magnus astrologus, se vidis-se in Arabia unum astrolabium mirabilis magnitudinis,ec." (in Comm. ad Dant. ed Antiq. Ital. t. 1, p. 1183).Ne' libri di Guido io non ho veramente potuto trovare untal passo; ma se Benvenuto in essi lo ha letto, pare che

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aggiungere di non minor forza, cioè una carta fiorentinadel 1260, in cui tra i testimonj è notato ancor Guido conqueste parole: Guido Bonactus Astrologus CommunisFlorentiae de Forlivio (Mazzucch. Pref. ad Villani p.21). In un codice della Cronaca di Giovanni Villani cita-to dal Muratori si dice (Script. rer. ital. vol. 13, p. 291,nota 6) ch'egli era ricopritore di tetti. Ma in quest'arte einon dovea certamente impiegare gran tempo. Non si sain qual anno ei nascesse; ma certo egli era già vivo, e inetà di poter conoscere altri l'an. 1223, perciocchè eglinarra che in quell'anno vide in Ravenna un certo Riccar-do, il qual diceva di aver 400 anni, e di essere stato a'tempi di Carlo Magno (Astronom. p. 209). Anzi ei dove-va esser uomo di qualche autorità l'an. 1233, poichè egliparlando del celebre Giovanni di Vicenza domenicano,di cui tratteremo altrove, dice ch'ei fu il solo che ricu-sasse di venerarlo come uom santo, e che perciò era dalpopolo considerato come empio ed eretico (ib.). Questopasso medesimo ci mostra ch'egli era allora in Bologna,ove forse egli aveva fatti i suoi studj, e ove sembra cheavesse conosciuto Pier delle Vigne, come altrove si èmostrato. Pare ancora ch'egli viaggiasse fin nell'Arabia;perciocchè Benvenuto da Imola citando un passodell'opera astrologica dei Bonatti dice: "Scribit enimGuido Bonatti foroliviensis magnus astrologus, se vidis-se in Arabia unum astrolabium mirabilis magnitudinis,ec." (in Comm. ad Dant. ed Antiq. Ital. t. 1, p. 1183).Ne' libri di Guido io non ho veramente potuto trovare untal passo; ma se Benvenuto in essi lo ha letto, pare che

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possa a ragione esiger fede. L'astrologia giudiciaria fu ilsuo studio più caro; e tanto se ne lasciò egli acciecare,che lungi dal sospettare in essa superstizione, o colpa al-cuna, invoca spesso nella sua opera il divino ajuto, affi-ne di sciogliere le proposte quistioni, e giunge a dire cheGesù Cristo medesimo si valse dell'astrolgia giudiciaria(p. 18). Ei vivea in tempo in cui gl'impostori facilmenteotteneano fede; ed egli perciò fu avuto in conto del piùgrande e del più dotto uomo che allor ci fosse e molti de'principali signori italiani voleano averlo seco.

XV. Benchè non sappiamo s'ei fosse onoratoda Federico II ciò nondimeno è assai proba-bile, se è vero ciò che lo stesso Guido rac-conta (p. 182), ch'essendo Federigo in Gros-

seto, ed egli in Forlì, dalla combinazion de' pianeti co-nobbe che tramavasi congiura contro l'imperadore, e cheavendonelo egli avvertito, trovossi in fatti che Pandolfoda Fasanella, Teobaldo, Francesco e più altri de' suoi se-gretarj avevano contro di lui congiurato, senza che alcundegli astrologi che stavano in corte, ne avesse avuto pre-sentimento. Forse ciò avvenne l'an. 1233, quando Arrigoribellatosi contro l'imperador suo padre cercò di condur-re molti al suo partito (V. Murat. Ann. d'Ital. ad h. an.).Guido fu ancora con Ezzelino, come sopra abbiam det-to, l'an. 1259 in cui questi morì, dopo aver avuto da Gui-do stesso e da altri astrologi le più favorevoli predizioni.Di questo però non fa alcun motto Guido nella sua ope-

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Predizioni delle quali si vanta.

possa a ragione esiger fede. L'astrologia giudiciaria fu ilsuo studio più caro; e tanto se ne lasciò egli acciecare,che lungi dal sospettare in essa superstizione, o colpa al-cuna, invoca spesso nella sua opera il divino ajuto, affi-ne di sciogliere le proposte quistioni, e giunge a dire cheGesù Cristo medesimo si valse dell'astrolgia giudiciaria(p. 18). Ei vivea in tempo in cui gl'impostori facilmenteotteneano fede; ed egli perciò fu avuto in conto del piùgrande e del più dotto uomo che allor ci fosse e molti de'principali signori italiani voleano averlo seco.

XV. Benchè non sappiamo s'ei fosse onoratoda Federico II ciò nondimeno è assai proba-bile, se è vero ciò che lo stesso Guido rac-conta (p. 182), ch'essendo Federigo in Gros-

seto, ed egli in Forlì, dalla combinazion de' pianeti co-nobbe che tramavasi congiura contro l'imperadore, e cheavendonelo egli avvertito, trovossi in fatti che Pandolfoda Fasanella, Teobaldo, Francesco e più altri de' suoi se-gretarj avevano contro di lui congiurato, senza che alcundegli astrologi che stavano in corte, ne avesse avuto pre-sentimento. Forse ciò avvenne l'an. 1233, quando Arrigoribellatosi contro l'imperador suo padre cercò di condur-re molti al suo partito (V. Murat. Ann. d'Ital. ad h. an.).Guido fu ancora con Ezzelino, come sopra abbiam det-to, l'an. 1259 in cui questi morì, dopo aver avuto da Gui-do stesso e da altri astrologi le più favorevoli predizioni.Di questo però non fa alcun motto Guido nella sua ope-

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Predizioni delle quali si vanta.

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ra; perciocchè non era egli sì semplice a narrarci cosache non era troppo onorevole a lui e alla sua arte; masolo racconta, (p. 210) la morte infelice di quel tiranno,anzi parla di lui (p. 152) come dal più crudele uomo delmondo dicendo ch'egli, "a niun ordine, a niuna religionea niun grado, a niuna età, a niun sesso, a niuna famigliaebbe riguardo; uccidendo persino colle sue mani un suofratello, e un suo nipote; le quali cose tutte, conchiude,io stesso ho vedute". Ma ei fu caro singolarmente alconte Guido Novello che da Giovanni Villani dicesi (l.6, c. 80) Guido Novello de' conti Guidi. Questi fu fattopodestà di Firenze a nome del re Manfredi l'anno 1260,e il Bonatti racconta (p. 311) che avendo il conte mossaguerra a' Lucchesi, il che secondo il Villani (ib. c. 83)avvenne l'anno 1261, ed essendo i due eserciti l'undall'altro non molto discosti, lo stesso conte lo interrogòse sarebbe allora seguita battaglia, e ch'egli, consultati ipianeti, rispose che no, e che così in fatti avvenne; e ag-giugne (p. 313) che, mentre il conte stringeva d'assedioun castello, egli interrogato se esso sarebbe stato espu-gnato, rispose pure che no per codardia degli assedianti.Il che deesi intendere del castello di Fucecchio che pertrenta giorni fu inutilmente assediato dal conte Guido,come narra il Villani (ib.), il quale però non attribuiscel'infelice esito dell'assedio alla viltà degli assediatori,ma alla forza del castello e al coraggio de' difensori. EBonatti rammenta ancora, come da sè predetta, la scon-fitta ch'ebbero i Fiorentini guelfi da' gibellini presso ilcastello di Montaperti l'an. 1260, e dice (p. 393) che

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ra; perciocchè non era egli sì semplice a narrarci cosache non era troppo onorevole a lui e alla sua arte; masolo racconta, (p. 210) la morte infelice di quel tiranno,anzi parla di lui (p. 152) come dal più crudele uomo delmondo dicendo ch'egli, "a niun ordine, a niuna religionea niun grado, a niuna età, a niun sesso, a niuna famigliaebbe riguardo; uccidendo persino colle sue mani un suofratello, e un suo nipote; le quali cose tutte, conchiude,io stesso ho vedute". Ma ei fu caro singolarmente alconte Guido Novello che da Giovanni Villani dicesi (l.6, c. 80) Guido Novello de' conti Guidi. Questi fu fattopodestà di Firenze a nome del re Manfredi l'anno 1260,e il Bonatti racconta (p. 311) che avendo il conte mossaguerra a' Lucchesi, il che secondo il Villani (ib. c. 83)avvenne l'anno 1261, ed essendo i due eserciti l'undall'altro non molto discosti, lo stesso conte lo interrogòse sarebbe allora seguita battaglia, e ch'egli, consultati ipianeti, rispose che no, e che così in fatti avvenne; e ag-giugne (p. 313) che, mentre il conte stringeva d'assedioun castello, egli interrogato se esso sarebbe stato espu-gnato, rispose pure che no per codardia degli assedianti.Il che deesi intendere del castello di Fucecchio che pertrenta giorni fu inutilmente assediato dal conte Guido,come narra il Villani (ib.), il quale però non attribuiscel'infelice esito dell'assedio alla viltà degli assediatori,ma alla forza del castello e al coraggio de' difensori. EBonatti rammenta ancora, come da sè predetta, la scon-fitta ch'ebbero i Fiorentini guelfi da' gibellini presso ilcastello di Montaperti l'an. 1260, e dice (p. 393) che

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Guido Novello era il condottiero de' Gibellini, e che ciòavvenne, dappoichè egli cacciato fu da Firenze, e i Fio-rentini ebber distrutti i castelli che aveano in Toscana.Gli storici antichi non ci raccontano che Guido Novelloavesse parte nella battaglia di Montaperti, e secondoessi ei non fu cacciato da Firenze che l'an. 1266 (Vill. l.7, c. 14). Ma forse egli fu da Firenze cacciato due volte,o forse due battaglie avvennero presso di Montaperti.Certo non deesi credere che il Bonatti o abbia errato oabbia voluto ingannare, fingendo una battaglia a' suoitempi, che non fosse accaduta. La ultima sua predizione,di cui Guido si vanta, è quella di una battaglia che da luisolo si accenna, dicendo: "sicut accidit nobis, quandoequitavimus Valbonam.... vicimus enim omnes volentesnobis resistere, (p. 299); la qual forse fu la battaglia dicui parlasi negli annali di Forlì all'an. 1276, seguita tra'Gibellini forlivesi e i Guelfi loro nimici, i quali aveanoappunto posto il campo a Valbona (Script. rer. ital. vol.22, p. 140).

XVI. Queste sole sono le predizioni delcui avveramento si vanta Guido nellasua opera, e le sole imprese di guerra, acui narra di essere intervenuto. Io pensoche non gli si debba gran fede, quando

racconta di aver predetto sì felicemente il loro successo;o che si debba credere ch'egli colpisse fortunatamentenel vero, come avviene talvolta anche a chi non si pre-

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Altre cose ammi-rabili, ma favolo-se, che di lui si raccontano.

Guido Novello era il condottiero de' Gibellini, e che ciòavvenne, dappoichè egli cacciato fu da Firenze, e i Fio-rentini ebber distrutti i castelli che aveano in Toscana.Gli storici antichi non ci raccontano che Guido Novelloavesse parte nella battaglia di Montaperti, e secondoessi ei non fu cacciato da Firenze che l'an. 1266 (Vill. l.7, c. 14). Ma forse egli fu da Firenze cacciato due volte,o forse due battaglie avvennero presso di Montaperti.Certo non deesi credere che il Bonatti o abbia errato oabbia voluto ingannare, fingendo una battaglia a' suoitempi, che non fosse accaduta. La ultima sua predizione,di cui Guido si vanta, è quella di una battaglia che da luisolo si accenna, dicendo: "sicut accidit nobis, quandoequitavimus Valbonam.... vicimus enim omnes volentesnobis resistere, (p. 299); la qual forse fu la battaglia dicui parlasi negli annali di Forlì all'an. 1276, seguita tra'Gibellini forlivesi e i Guelfi loro nimici, i quali aveanoappunto posto il campo a Valbona (Script. rer. ital. vol.22, p. 140).

XVI. Queste sole sono le predizioni delcui avveramento si vanta Guido nellasua opera, e le sole imprese di guerra, acui narra di essere intervenuto. Io pensoche non gli si debba gran fede, quando

racconta di aver predetto sì felicemente il loro successo;o che si debba credere ch'egli colpisse fortunatamentenel vero, come avviene talvolta anche a chi non si pre-

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Altre cose ammi-rabili, ma favolo-se, che di lui si raccontano.

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gia di essere astrologo. Io penso ancora che Guido sisarà molte volte ingannato nelle sue predizioni, come gliaccadde riguardo ad Ezzelino. Ma penso altresì che, sein altre occasioni egli avesse potuto vantarsi di aver let-to nelle costellazioni il futuro, ei non l'avrebbe nella suaopera dissimulato; poichè troppo era l'onore che ne sa-rebbe venuto a lui e alla sua arte. Quindi a me sembrache tutti gli altri maravigliosi avvenimenti che di lui ciraccontano altri scrittori vissuti dopo di lui, non si deb-bano ammettere sì facilmente, non solo perchè vi hasempre ragione di dubitare delle astrologiche imposture,ma perchè non sembra probabile che Guido gli avessetaciuti se in essi vi fosse almeno qualche apparenza divero. Io non mi tratterrò a rammentare le grandi coseche di lui hanno scritto, o, a dir meglio sognato alcuni.Leggasi la Vita scrittane da Filippo Villani e da noi ram-mentata poc'anzi, e vi si troverà menzione e di una sta-tua di bronzo fatta fonder da Guido, la qual rendea ri-sposte profetiche, e del campanile di s. Mercuriale inForlì, su cui salito il Bonatti, quando il conte Guido diMontefeltro signore di quella città ne uscia per combat-tere, dava col primo tocco della campana l'avviso di ri-mettersi l'armatura, col secondo di salire a cavallo, colterzo di muovere velocemente. Leggansi i Comenti diBenvenuto da Imola sulla Commedia di Dante pubblica-ti dal Muratori, e vi si troveranno accennate (Antiq. Ital.t. 1, p. 1083) le molte vittorie dallo stesso conte Guidoottenute contro dei Bolognesi per le profezie del Bonat-ti, il predire che questi fece una ferita ch'egli stesso

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gia di essere astrologo. Io penso ancora che Guido sisarà molte volte ingannato nelle sue predizioni, come gliaccadde riguardo ad Ezzelino. Ma penso altresì che, sein altre occasioni egli avesse potuto vantarsi di aver let-to nelle costellazioni il futuro, ei non l'avrebbe nella suaopera dissimulato; poichè troppo era l'onore che ne sa-rebbe venuto a lui e alla sua arte. Quindi a me sembrache tutti gli altri maravigliosi avvenimenti che di lui ciraccontano altri scrittori vissuti dopo di lui, non si deb-bano ammettere sì facilmente, non solo perchè vi hasempre ragione di dubitare delle astrologiche imposture,ma perchè non sembra probabile che Guido gli avessetaciuti se in essi vi fosse almeno qualche apparenza divero. Io non mi tratterrò a rammentare le grandi coseche di lui hanno scritto, o, a dir meglio sognato alcuni.Leggasi la Vita scrittane da Filippo Villani e da noi ram-mentata poc'anzi, e vi si troverà menzione e di una sta-tua di bronzo fatta fonder da Guido, la qual rendea ri-sposte profetiche, e del campanile di s. Mercuriale inForlì, su cui salito il Bonatti, quando il conte Guido diMontefeltro signore di quella città ne uscia per combat-tere, dava col primo tocco della campana l'avviso di ri-mettersi l'armatura, col secondo di salire a cavallo, colterzo di muovere velocemente. Leggansi i Comenti diBenvenuto da Imola sulla Commedia di Dante pubblica-ti dal Muratori, e vi si troveranno accennate (Antiq. Ital.t. 1, p. 1083) le molte vittorie dallo stesso conte Guidoottenute contro dei Bolognesi per le profezie del Bonat-ti, il predire che questi fece una ferita ch'egli stesso

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avrebbe ricevuta in una battaglia, come avvenne, e laconfusione ch'ei dovette un giorno soffrire, quandoavendo egli dall'osservar le stelle predetto che non sa-rebbe caduta pioggia, e un contadino al contrario da'movimenti del suo asino avendo pronosticato e afferma-to ch'ella sarebbe caduta assai copiosa, si vide in effettoche l'asino avea maggior virtù che le stelle nell'indicareil futuro. Leggansi gli Annali di Forlì da noi mentovatipoc'anzi, i quali però sono scritti, come osserva il Mura-tori, da assai recente autore, e si vedrà narrata distesa-mente (l. c. p. 149) la segnalata vittoria che colla scortadelle predizioni di Guido riportò il conte di Montefeltrol'an. 1282 contro l'esercito francese mandato al espugna-re Forlì dal pontef. Martino IV; e cose ancora maggioriassai si troveranno al fine de' medesimi Annali (ib. p.233), ove molte predizioni raccontansi da lui fatte, altreavverate, altre no, e ove Guido ci si dipinge non solcome astrologo, ma ancor come mago. Leggansi final-mente i due sopraccennati articoli del Marchand e delco. Mazzucchelli, e si vedrà quante altre cose da' piùmoderni autori si sono scritte intorno a Guido, che altrofondamento non hanno che la tradizione e la credulitàpopolare; e cui perciò non giova nè il riferire, nè il con-futare.

XVII. Lasciate dunque in disparte tutte co-tali cose maravigliose non meno che favolo-se veggiamo alcune altre notizie intorno alla

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Notizie chesi ricavano dalle opere del Bonatti.

avrebbe ricevuta in una battaglia, come avvenne, e laconfusione ch'ei dovette un giorno soffrire, quandoavendo egli dall'osservar le stelle predetto che non sa-rebbe caduta pioggia, e un contadino al contrario da'movimenti del suo asino avendo pronosticato e afferma-to ch'ella sarebbe caduta assai copiosa, si vide in effettoche l'asino avea maggior virtù che le stelle nell'indicareil futuro. Leggansi gli Annali di Forlì da noi mentovatipoc'anzi, i quali però sono scritti, come osserva il Mura-tori, da assai recente autore, e si vedrà narrata distesa-mente (l. c. p. 149) la segnalata vittoria che colla scortadelle predizioni di Guido riportò il conte di Montefeltrol'an. 1282 contro l'esercito francese mandato al espugna-re Forlì dal pontef. Martino IV; e cose ancora maggioriassai si troveranno al fine de' medesimi Annali (ib. p.233), ove molte predizioni raccontansi da lui fatte, altreavverate, altre no, e ove Guido ci si dipinge non solcome astrologo, ma ancor come mago. Leggansi final-mente i due sopraccennati articoli del Marchand e delco. Mazzucchelli, e si vedrà quante altre cose da' piùmoderni autori si sono scritte intorno a Guido, che altrofondamento non hanno che la tradizione e la credulitàpopolare; e cui perciò non giova nè il riferire, nè il con-futare.

XVII. Lasciate dunque in disparte tutte co-tali cose maravigliose non meno che favolo-se veggiamo alcune altre notizie intorno alla

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Notizie chesi ricavano dalle opere del Bonatti.

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vita di Guido ch'egli stesso nella sua opera ci ha traman-date. Egli racconta (p. 209) che un cotal Simon Mesta-guerra, uomo di vil condizione, e di cui non si ritrova,ch'io sappia alcuna menzion nelle Storie, guadagnatosil'amor del popolo in Forlì, venne in sì alto stato, cheniuno ardiva di opporglisi, benchè facesse quanto sape-va fare di male; e dica di se medesimo che fu il solo cheardisse di fargli fronte e resistergli, e che finalmentedopo tre anni di tirannia colui fu sbandito e cacciato dal-la città. Egli si duole spesso de' Regolari; a cui dà ilnome di tunicati, perchè si opponevano alle sue predi-zioni, e dicevano la sua arte non essere che impostura edinganno. Convien dire che sopra tutti parlasse contro dilui il celebre f. Giovanni da Vicenza domenicano, poi-chè egli il chiama in un luogo ipocrita (p. 18), e altrovene forma un assai svantaggioso carattere (p. 210) di cheparleremo più lungamente quando dovremo nel capo IVdi questo libro trattare di questo uom sì famoso. Confes-sa Guido però, che anche tra' Regolari aveva trovati al-cuni, benchè assai pochi, che non mostravansi cotantoalieni dalla sua scienza, e fra essi dice che dee rendergiustizia a f. Corrado bresciano dell'Ord. de' Predicatori,cui, dice, "ho conosciuto uomo molto discreto, e che in-tendeva bene il vero, e bene ne usava, il qual pel suoprofondo sapere fu fatto vescovo di Cesena" (p. 190).Tra' vescovi di Cesena del secolo XIII io non trovo al-cun Corrado domenicano. Di quest'Ordine vi fu unFrancesco, che dicesi da alcuni eletto nel 1263 ma di cuidubita l'Ughelli (Ital. sacra, t. 2) se debba annoverarsi

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vita di Guido ch'egli stesso nella sua opera ci ha traman-date. Egli racconta (p. 209) che un cotal Simon Mesta-guerra, uomo di vil condizione, e di cui non si ritrova,ch'io sappia alcuna menzion nelle Storie, guadagnatosil'amor del popolo in Forlì, venne in sì alto stato, cheniuno ardiva di opporglisi, benchè facesse quanto sape-va fare di male; e dica di se medesimo che fu il solo cheardisse di fargli fronte e resistergli, e che finalmentedopo tre anni di tirannia colui fu sbandito e cacciato dal-la città. Egli si duole spesso de' Regolari; a cui dà ilnome di tunicati, perchè si opponevano alle sue predi-zioni, e dicevano la sua arte non essere che impostura edinganno. Convien dire che sopra tutti parlasse contro dilui il celebre f. Giovanni da Vicenza domenicano, poi-chè egli il chiama in un luogo ipocrita (p. 18), e altrovene forma un assai svantaggioso carattere (p. 210) di cheparleremo più lungamente quando dovremo nel capo IVdi questo libro trattare di questo uom sì famoso. Confes-sa Guido però, che anche tra' Regolari aveva trovati al-cuni, benchè assai pochi, che non mostravansi cotantoalieni dalla sua scienza, e fra essi dice che dee rendergiustizia a f. Corrado bresciano dell'Ord. de' Predicatori,cui, dice, "ho conosciuto uomo molto discreto, e che in-tendeva bene il vero, e bene ne usava, il qual pel suoprofondo sapere fu fatto vescovo di Cesena" (p. 190).Tra' vescovi di Cesena del secolo XIII io non trovo al-cun Corrado domenicano. Di quest'Ordine vi fu unFrancesco, che dicesi da alcuni eletto nel 1263 ma di cuidubita l'Ughelli (Ital. sacra, t. 2) se debba annoverarsi

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tra' vescovi di Cesena, poichè non se ne trova negli anti-chi monumenti notizia alcuna. Dopo Francesco vien no-minato Onerardo di Sassonia, cui dice eletto l'an. 1270,e questi io credo appunto che fosse il Corrado di Guido.La diversità del nome non è si grande, che non possa es-ser facilmente il personaggio medesimo; benchè connome alquanto diverso. Egli è vero che l'Ughelli il dicedi Sassonia, e Guido il dice da Brescia. Ma possiam noiaccertarci che l'Ughelli non abbia qui come in tanti altriluoghi, preso qualche abbaglio? E molto più che, comeosservano i pp. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t.1, p. 359), Bernardo di Guidone, che scrisse verso il1330, nomina tra i vescovi domenicani Everardo daBrescia vescovo di Cesena. Or chi non vede quanto fa-cilmente il nome di Everardo siasi potuto cangiar inquello di Onerardo, e in quello ancor di Corrado? Chepiù? Lo stesso Ughelli all'an. 1383 nomina tra' vescovidi Cesena un Everardo da Brescia domenicano, benchèsi mostri dubbioso se debba veramente entrar nella se-rie, perchè non ne trova autentici documenti. Or chi nonvede che l'Ughelli ha a questo luogo malamente scon-volto l'ordin de' vescovi di Cesena? poichè Everardo diBrescia, facendo di lui menzione il suddetto Bernardodebbe essere certamente vissuto assai prima dell'an.1383. A me par dunque certissimo che, ove l'Ughelli no-mina Onerardo di Sassonia, si debba legger Corrado, oEverardo da Brescia, e che questi sia appunto colui dicui parla il Bonatti. Ma crederem noi a questo scrittore,quando ci narra ch'egli ancor favoriva l'astrologia giudi-

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tra' vescovi di Cesena, poichè non se ne trova negli anti-chi monumenti notizia alcuna. Dopo Francesco vien no-minato Onerardo di Sassonia, cui dice eletto l'an. 1270,e questi io credo appunto che fosse il Corrado di Guido.La diversità del nome non è si grande, che non possa es-ser facilmente il personaggio medesimo; benchè connome alquanto diverso. Egli è vero che l'Ughelli il dicedi Sassonia, e Guido il dice da Brescia. Ma possiam noiaccertarci che l'Ughelli non abbia qui come in tanti altriluoghi, preso qualche abbaglio? E molto più che, comeosservano i pp. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t.1, p. 359), Bernardo di Guidone, che scrisse verso il1330, nomina tra i vescovi domenicani Everardo daBrescia vescovo di Cesena. Or chi non vede quanto fa-cilmente il nome di Everardo siasi potuto cangiar inquello di Onerardo, e in quello ancor di Corrado? Chepiù? Lo stesso Ughelli all'an. 1383 nomina tra' vescovidi Cesena un Everardo da Brescia domenicano, benchèsi mostri dubbioso se debba veramente entrar nella se-rie, perchè non ne trova autentici documenti. Or chi nonvede che l'Ughelli ha a questo luogo malamente scon-volto l'ordin de' vescovi di Cesena? poichè Everardo diBrescia, facendo di lui menzione il suddetto Bernardodebbe essere certamente vissuto assai prima dell'an.1383. A me par dunque certissimo che, ove l'Ughelli no-mina Onerardo di Sassonia, si debba legger Corrado, oEverardo da Brescia, e che questi sia appunto colui dicui parla il Bonatti. Ma crederem noi a questo scrittore,quando ci narra ch'egli ancor favoriva l'astrologia giudi-

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ciaria? Io confesso che libererei volentieri da una taltaccia questo religioso e vescovo. Ma un passo dell'anti-ca Cronaca di Niccolò Smerego pubblicata dal Muratorinon mel permette. Egli nell'an. 1258, parlando di unavittoria ch'ebbe Ezzelino, in cui fece prigione Filippo ar-civescovo di Ravenna legato del papa, aggiugne che fufatto allora prigione anche f. Gaverardo domenicano,ch'era astrologo dello stesso legato. "Isto medio D. Ec-celinus habuit Brixiam, et fecit unam maximam cavalca-tam, in qua ipse habuit victoriam, et cepit Legatum, quiceperat ei Paduam, et Fratrem Gaverardum de Ordinepraedicatorum qui erat suus Astrologus" (Script. rer.ital. vol. 7, p. 101). Il Muratori avverte che un codicems. in vece di Gaverardum legge, Everardum; e quindiparmi egualmente sicuro che sia questi appunto e l'Eve-rardo da Brescia di Bernardo da Guidone, e il Corradoda Brescia di Guido Bonatti, e l'Onerardo di Sassoniadell'Ughelli. E forse ancora egli era natio della Sassonia,ma veniva appellato da Brescia pel lungo soggiorno fat-to in quella città. Un religioso, e, ciò ch'è più, un legatocoltivatore dell'astrologia giudiciaria è certamente unoggetto da farne gran maraviglia. Ma tal era l'ignoranzadi que' tempi, che si credeva da molti sublime dottrinaciò che non era che puerile superstizione. Lo stesso Bo-natti nomina molti altri famosi astrologi ch'egli dice vis-suti a' suoi tempi, tra i quali sono, lasciando da parte gliArabi, Giovanni da Pavia, Domenico spagnuolo, Miche-le Scotto, così detto forse dalla Scozia sua patria, Stefa-no francese, Gherardo da Sabbioneta cremonese, di cui

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ciaria? Io confesso che libererei volentieri da una taltaccia questo religioso e vescovo. Ma un passo dell'anti-ca Cronaca di Niccolò Smerego pubblicata dal Muratorinon mel permette. Egli nell'an. 1258, parlando di unavittoria ch'ebbe Ezzelino, in cui fece prigione Filippo ar-civescovo di Ravenna legato del papa, aggiugne che fufatto allora prigione anche f. Gaverardo domenicano,ch'era astrologo dello stesso legato. "Isto medio D. Ec-celinus habuit Brixiam, et fecit unam maximam cavalca-tam, in qua ipse habuit victoriam, et cepit Legatum, quiceperat ei Paduam, et Fratrem Gaverardum de Ordinepraedicatorum qui erat suus Astrologus" (Script. rer.ital. vol. 7, p. 101). Il Muratori avverte che un codicems. in vece di Gaverardum legge, Everardum; e quindiparmi egualmente sicuro che sia questi appunto e l'Eve-rardo da Brescia di Bernardo da Guidone, e il Corradoda Brescia di Guido Bonatti, e l'Onerardo di Sassoniadell'Ughelli. E forse ancora egli era natio della Sassonia,ma veniva appellato da Brescia pel lungo soggiorno fat-to in quella città. Un religioso, e, ciò ch'è più, un legatocoltivatore dell'astrologia giudiciaria è certamente unoggetto da farne gran maraviglia. Ma tal era l'ignoranzadi que' tempi, che si credeva da molti sublime dottrinaciò che non era che puerile superstizione. Lo stesso Bo-natti nomina molti altri famosi astrologi ch'egli dice vis-suti a' suoi tempi, tra i quali sono, lasciando da parte gliArabi, Giovanni da Pavia, Domenico spagnuolo, Miche-le Scotto, così detto forse dalla Scozia sua patria, Stefa-no francese, Gherardo da Sabbioneta cremonese, di cui

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parleremo tra poco, e Bellone pisano (p. 355); il checonferma grande essere stato di questi tempi l'accieca-mento degli uomini nel correr perduti dietro a cotalisciocchezze.

XVIII. Chi avrebbe creduto che un sì super-stizioso astrologo, qual era Guido, dovessefinir la sua vita nell'Ordine de' Minori, e di-venire egli pure un di que' tunicati ch'erantanto nimici della sua astrologia? E nondi-meno, se crediamo al Wadingo (Ann. Minor.

t. 5, p. 51) e agli altri scrittor francescani, e a molti altriancora citati dal ch. Mazzucchelli, così fu veramente; eGuido in vecchiezza entrò tra Minori, e vi passò inumiltà e in penitenza i suoi ultimi anni. E in ciò egliebbe o ad esemplare, come vogliono alcuni, o a compa-gno, come pensano altri, o a seguace, come altri scrivo-no, quello stesso Guido conte di Montefeltro, a cui aveapredette tante vittorie. E che questi vestisse l'abito di s.Francesco, non può negarsi. Il Wadingo ha pubblicato ilBreve (ib. p. 349) che Bonifacio VIII scrisse perciò alprovincial della Marca l'an. 1296. Dante ne parla assailungamente (Inferno c. 27); ma non ostante la conver-sione del conte, il severo poeta lo ripon nell'inferno perquella ragione che nel passo allegato si può vedere. Mache il Bonatti ancora si facesse frate, Dante nol dice masolamente accennandone il nome lo pone nell'inferno in-siem con Michele Scotto e con Asdente prima ciabattino

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Se Guido sul fin de' suoi giorni entrasse nell'Ordine dei Minori.

parleremo tra poco, e Bellone pisano (p. 355); il checonferma grande essere stato di questi tempi l'accieca-mento degli uomini nel correr perduti dietro a cotalisciocchezze.

XVIII. Chi avrebbe creduto che un sì super-stizioso astrologo, qual era Guido, dovessefinir la sua vita nell'Ordine de' Minori, e di-venire egli pure un di que' tunicati ch'erantanto nimici della sua astrologia? E nondi-meno, se crediamo al Wadingo (Ann. Minor.

t. 5, p. 51) e agli altri scrittor francescani, e a molti altriancora citati dal ch. Mazzucchelli, così fu veramente; eGuido in vecchiezza entrò tra Minori, e vi passò inumiltà e in penitenza i suoi ultimi anni. E in ciò egliebbe o ad esemplare, come vogliono alcuni, o a compa-gno, come pensano altri, o a seguace, come altri scrivo-no, quello stesso Guido conte di Montefeltro, a cui aveapredette tante vittorie. E che questi vestisse l'abito di s.Francesco, non può negarsi. Il Wadingo ha pubblicato ilBreve (ib. p. 349) che Bonifacio VIII scrisse perciò alprovincial della Marca l'an. 1296. Dante ne parla assailungamente (Inferno c. 27); ma non ostante la conver-sione del conte, il severo poeta lo ripon nell'inferno perquella ragione che nel passo allegato si può vedere. Mache il Bonatti ancora si facesse frate, Dante nol dice masolamente accennandone il nome lo pone nell'inferno in-siem con Michele Scotto e con Asdente prima ciabattino

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Se Guido sul fin de' suoi giorni entrasse nell'Ordine dei Minori.

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in Parma, poscia astrologo:Quell'altro che ne' fianchi è così poco,

Michele Scotto fu, che veramente Delle magiche frodi seppe il giuoco.

Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,Che avere inteso al cuoio ed allo spagoOra vorrebbe, ma tardi si pente (ib. c. 20).

Della conversion di Guido nulla han parimenti nè le an-tiche Cronache sopraccitate, nè gli Annali di Forlì; nullane dice nè Benvenuto da Imola, nè Filippo Villani ditempo vicini a Guido, che non avrebbon ignorata talcosa nè l'avrebbon taciuta. Solo due secoli dopo la mor-te di Guido si cominciò ad affermarla, e, come suole av-venire, gli scrittori seguenti, copiandosi felicemente l'unl'altro, moltiplicarono il numero de' seguaci di questaopinione, ma non perciò la renderon probabile. Io credoche ella abbia avuto origine da un passo della Vita diGuido scritta dal suddetto Villani, che così dice, secon-do la traduzion pubblicata dal co. Mazzucchelli: "Morì(Guido) già vecchio, vivendo ancora il conte Guido, ilquale con gran concorso de' Forlivesi seppellì l'ossa suein santo Mercuriale molto onorevolmente. Perduto Gui-do Bonatti, perdè la speranza di poter tenere la tirannia,ma quella al tutto lasciò, e preso umile abito entrò nellaReligione di s. Francesco, nella quale tra' Frati MinoriFrate Minore passò di questa vita. Molti furono quelliche lo videro, lasciata tutta la pompa della prima vita,mendicare il pane per limosina". Benchè queste parolesian troppo chiare, perchè non si possa intendere del Bo-

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in Parma, poscia astrologo:Quell'altro che ne' fianchi è così poco,

Michele Scotto fu, che veramente Delle magiche frodi seppe il giuoco.

Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,Che avere inteso al cuoio ed allo spagoOra vorrebbe, ma tardi si pente (ib. c. 20).

Della conversion di Guido nulla han parimenti nè le an-tiche Cronache sopraccitate, nè gli Annali di Forlì; nullane dice nè Benvenuto da Imola, nè Filippo Villani ditempo vicini a Guido, che non avrebbon ignorata talcosa nè l'avrebbon taciuta. Solo due secoli dopo la mor-te di Guido si cominciò ad affermarla, e, come suole av-venire, gli scrittori seguenti, copiandosi felicemente l'unl'altro, moltiplicarono il numero de' seguaci di questaopinione, ma non perciò la renderon probabile. Io credoche ella abbia avuto origine da un passo della Vita diGuido scritta dal suddetto Villani, che così dice, secon-do la traduzion pubblicata dal co. Mazzucchelli: "Morì(Guido) già vecchio, vivendo ancora il conte Guido, ilquale con gran concorso de' Forlivesi seppellì l'ossa suein santo Mercuriale molto onorevolmente. Perduto Gui-do Bonatti, perdè la speranza di poter tenere la tirannia,ma quella al tutto lasciò, e preso umile abito entrò nellaReligione di s. Francesco, nella quale tra' Frati MinoriFrate Minore passò di questa vita. Molti furono quelliche lo videro, lasciata tutta la pompa della prima vita,mendicare il pane per limosina". Benchè queste parolesian troppo chiare, perchè non si possa intendere del Bo-

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natti ciò che il Villani narra del conte di Montefeltro,non è però improbabile che alcuno leggendole in frettaprendesse l'un Guido per l'altro e narrasse dell'astrologociò che il Villani narra del conte e mi conferma in que-sto sospetto il riflettere che gli autori dal Marchand alle-gati a difesa di questa opinione toccano espressamentela circostanza dell'andare accattando il pane per Dio,che dal Villani si dice del conte Guido.

XIX. I moderni scrittori affermano comune-mente che il Bonatti morì verso il 1300, manon recano alcun monumento onde ciò si

confermi. De' fatti storici che da lui si raccontano nellasua opera, l'ultimo è la battaglia presso Valbona, avve-nuta, come si è detto l'anno 1276. Dopo quell'annoadunque scrisse Guido la sua opera; e se è vero ch'ei sitrovasse presente alla rotta che il conte Guido diè l'anno1282 alle truppe pontificie, abbiamo un'altra epoca a cuistenderne con certezza la vita. Anzi, secondo la narra-zion del Villani, dovette vivere il Bonatti verso il 1296;perciocchè il conte Guido non entrò tra' Minori che l'an.1296, come si è detto, e non vi entrò che dopo la mortedel Bonatti. Oltre la sua opera astrologica, di cui abbiamragionato, alcuni altri libri di somigliante argomento,che a lui si attribuiscono, sembrano essere particellestaccate dalla stessa sua opera. Nel Compendio della Bi-blioteca del Gesnero si dice ancora ch'egli scrisse un li-bro contro de' Francescani (Epist. Bibl. Gesn. p. 297).

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Sua morte esue opere.

natti ciò che il Villani narra del conte di Montefeltro,non è però improbabile che alcuno leggendole in frettaprendesse l'un Guido per l'altro e narrasse dell'astrologociò che il Villani narra del conte e mi conferma in que-sto sospetto il riflettere che gli autori dal Marchand alle-gati a difesa di questa opinione toccano espressamentela circostanza dell'andare accattando il pane per Dio,che dal Villani si dice del conte Guido.

XIX. I moderni scrittori affermano comune-mente che il Bonatti morì verso il 1300, manon recano alcun monumento onde ciò si

confermi. De' fatti storici che da lui si raccontano nellasua opera, l'ultimo è la battaglia presso Valbona, avve-nuta, come si è detto l'anno 1276. Dopo quell'annoadunque scrisse Guido la sua opera; e se è vero ch'ei sitrovasse presente alla rotta che il conte Guido diè l'anno1282 alle truppe pontificie, abbiamo un'altra epoca a cuistenderne con certezza la vita. Anzi, secondo la narra-zion del Villani, dovette vivere il Bonatti verso il 1296;perciocchè il conte Guido non entrò tra' Minori che l'an.1296, come si è detto, e non vi entrò che dopo la mortedel Bonatti. Oltre la sua opera astrologica, di cui abbiamragionato, alcuni altri libri di somigliante argomento,che a lui si attribuiscono, sembrano essere particellestaccate dalla stessa sua opera. Nel Compendio della Bi-blioteca del Gesnero si dice ancora ch'egli scrisse un li-bro contro de' Francescani (Epist. Bibl. Gesn. p. 297).

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Sua morte esue opere.

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Niuno ch'io sappia, ha mai veduto, un tal libro; e io pen-so che qui ancora siasi preso qualche equivoco. Guidonella sua opera sembra talvolta prender di mira i France-scani, come nemici della sua arte, e pare che di essi in-tenda singolarmente parlare, quando parla de' tunicati.Anzi in un luogo egli ha voluto fare il profeta contro diessi, e predir la rovina del loro Ordine. Rechiamonequesto passo che da niuno, ch'io sappia, è stato avverti-to: "Sicut fuit, quando incepit Secta sive Religio Augu-stini, et Secta Benedicti, et Secta Fratrum Minorum,quae incepit aera Arabum 609 anno, mense Rabae ulti-mi, aera Christi 1211 anni, cujus, principium fuit taleascendens, quo ipse subradicabit omnes alias Sectas etalios Ordines sub Romana Ecclesia degentes; sed ejusfinem dicere non audeo, timore ne incidam in rumoresvulgi. Erit tamen publicus, valde cum advenerit, ac deipso rumor immensus" (p. 820). Questo suo odio contral'Ordine de' Minori, e questa sua profezia contro di esso,di cui non veggiamo già da quattro secoli il compimen-to, e che forse non compirassi se non alla fine del mon-do, ha dato per avventura occasione ad alcuni di errare,e di scrivere ch'egli avesse composto un libro contro de'Francescani. Io mi son trattenuto forse più lungamenteche non conveniva su questo astrologo. Ma egli è uomnelle Storie troppo famoso, perchè non se ne dovesseparlare, e mi è sembrato opportuno procurar di discerne-re in ciò che di lui si racconta il vero dal falso. In questie ne' seguenti due secoli, ed anche più oltre, furon tal-volta uomini di grande ingegno sedotti dalle fallacie di

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Niuno ch'io sappia, ha mai veduto, un tal libro; e io pen-so che qui ancora siasi preso qualche equivoco. Guidonella sua opera sembra talvolta prender di mira i France-scani, come nemici della sua arte, e pare che di essi in-tenda singolarmente parlare, quando parla de' tunicati.Anzi in un luogo egli ha voluto fare il profeta contro diessi, e predir la rovina del loro Ordine. Rechiamonequesto passo che da niuno, ch'io sappia, è stato avverti-to: "Sicut fuit, quando incepit Secta sive Religio Augu-stini, et Secta Benedicti, et Secta Fratrum Minorum,quae incepit aera Arabum 609 anno, mense Rabae ulti-mi, aera Christi 1211 anni, cujus, principium fuit taleascendens, quo ipse subradicabit omnes alias Sectas etalios Ordines sub Romana Ecclesia degentes; sed ejusfinem dicere non audeo, timore ne incidam in rumoresvulgi. Erit tamen publicus, valde cum advenerit, ac deipso rumor immensus" (p. 820). Questo suo odio contral'Ordine de' Minori, e questa sua profezia contro di esso,di cui non veggiamo già da quattro secoli il compimen-to, e che forse non compirassi se non alla fine del mon-do, ha dato per avventura occasione ad alcuni di errare,e di scrivere ch'egli avesse composto un libro contro de'Francescani. Io mi son trattenuto forse più lungamenteche non conveniva su questo astrologo. Ma egli è uomnelle Storie troppo famoso, perchè non se ne dovesseparlare, e mi è sembrato opportuno procurar di discerne-re in ciò che di lui si racconta il vero dal falso. In questie ne' seguenti due secoli, ed anche più oltre, furon tal-volta uomini di grande ingegno sedotti dalle fallacie di

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quest'arte; e ci farà d'uopo il trattar di essa più che ellanon meriterebbe per se medesima. Per ora ci rimane adire di qualche altro, di cui però ci spediremo assai piùbrevemente.

XX. Tra questi è quel Gherardo daSabbioneta cremonese che abbiam ve-duto poc'anzi nominarsi da Guido Bo-natti tra gli astrologi vissuti a' suoitempi. Nel terzo tomo si è già ragiona-to (l. 4, c. 5, n. 7, ec.) di un altro Ghe-rardo cremonese, vissuto lungo tempo

in Toledo, e celebre per molte traduzioni di libri arabicida lui fatte; e abbiam allora mostrato ch'ei fu veramentecremonese come alcuni hanno affermato, e ch'ei morìl'an. 1187. Ei non potè dunque essere quel Gherardo, dicui parla il Bonatti, perciocchè questi ragionando di unuomo morto nel 1187 non l'avrebbe detto suo coetaneo.Aggiungasi che il secondo Gherardo visse certamentecirca la metà del sec. XIII, come si mostra da' monu-menti che allegheremo fra poco; e non può quindi rima-nere alcun dubbio che l'uno non sia diverso dall'altro.Direm noi forse che il Pipino abbia errato nel fissare iltempo in cui Gherardo morì? Ma si rifletta: se il Pipinoavesse voluto parlare di quel Gherardo che fiorì circa lametà del XIII secolo, egli avrebbe parlato di un uomoquasi suo coetaneo, perciocchè ei fiorì al principio delsecol seguente, e non è probabile ch'egli prendesse sì

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Gherardo cremone-se da Sabbioneta dee distinguersi dall'altro Gherardo cremonese più an-tico.

quest'arte; e ci farà d'uopo il trattar di essa più che ellanon meriterebbe per se medesima. Per ora ci rimane adire di qualche altro, di cui però ci spediremo assai piùbrevemente.

XX. Tra questi è quel Gherardo daSabbioneta cremonese che abbiam ve-duto poc'anzi nominarsi da Guido Bo-natti tra gli astrologi vissuti a' suoitempi. Nel terzo tomo si è già ragiona-to (l. 4, c. 5, n. 7, ec.) di un altro Ghe-rardo cremonese, vissuto lungo tempo

in Toledo, e celebre per molte traduzioni di libri arabicida lui fatte; e abbiam allora mostrato ch'ei fu veramentecremonese come alcuni hanno affermato, e ch'ei morìl'an. 1187. Ei non potè dunque essere quel Gherardo, dicui parla il Bonatti, perciocchè questi ragionando di unuomo morto nel 1187 non l'avrebbe detto suo coetaneo.Aggiungasi che il secondo Gherardo visse certamentecirca la metà del sec. XIII, come si mostra da' monu-menti che allegheremo fra poco; e non può quindi rima-nere alcun dubbio che l'uno non sia diverso dall'altro.Direm noi forse che il Pipino abbia errato nel fissare iltempo in cui Gherardo morì? Ma si rifletta: se il Pipinoavesse voluto parlare di quel Gherardo che fiorì circa lametà del XIII secolo, egli avrebbe parlato di un uomoquasi suo coetaneo, perciocchè ei fiorì al principio delsecol seguente, e non è probabile ch'egli prendesse sì

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Gherardo cremone-se da Sabbioneta dee distinguersi dall'altro Gherardo cremonese più an-tico.

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grave errore, e di un uomo morto forse mentre ei vivea,o certi pochi anni prima, dicesse ch'era morto l'an. 1187.Nè si può sospettare di error ne' copisti; poichè ei parladel suo Gherardo, ove parla di un Federigo I, a' cui tem-pi vivea. Inoltre il Gherardo di cui parla il Pipino, erauomo d'insigne pietà, come si è veduto nell'elogio chece ne ha lasciato; quegli di cui parla il Bonatti, era unastrologo impostore, come ora vedremo; il primo vissequasi sempre in Toledo, il secondo visse almen lungotempo in Italia. Tutte le quali cose parmi che rendanopoco meno che certa la distinzion de' due Gherardi. For-se a confermarla ancor maggiormente gioverà il riflette-re che il primo dal Pipino dicesi cremonese, il secondodal Bonatti si dice cremonese di Sabbioneta, il qual luo-go, benchè ora appartenga al territorio mantovano, forseentrava allora nel cremonese. Potrebb'essere nondimenoche amendue fosser natii di Sabbioneta e potrebbe esse-re ancora che il secondo fosse figliuolo o nipote del pri-mo. Intorno a ciò creda ognuno come gli sembra me-glio. A me basta di aver mostrato che due Gherardi cre-monesi si debbon ammettere, uno vissuto nel sec. XII,l'altro nel sec. XIII. Così pure hanno pensato gli autoridella Storia dell'Università di Bologna (De Prof. Bonon.t. 1, pars 1, p. 511), benchè essi non abbian preso a so-stenerlo direttamente. Il non essersi posta mente in ad-dietro a una tal distinzione, ha fatto che siasi da molti at-tribuito ad un solo ciò che dovea esser diviso in due; e ciconviene perciò separare con diligenza ciò che spetta alprimo, e ciò che spetta al secondo.

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grave errore, e di un uomo morto forse mentre ei vivea,o certi pochi anni prima, dicesse ch'era morto l'an. 1187.Nè si può sospettare di error ne' copisti; poichè ei parladel suo Gherardo, ove parla di un Federigo I, a' cui tem-pi vivea. Inoltre il Gherardo di cui parla il Pipino, erauomo d'insigne pietà, come si è veduto nell'elogio chece ne ha lasciato; quegli di cui parla il Bonatti, era unastrologo impostore, come ora vedremo; il primo vissequasi sempre in Toledo, il secondo visse almen lungotempo in Italia. Tutte le quali cose parmi che rendanopoco meno che certa la distinzion de' due Gherardi. For-se a confermarla ancor maggiormente gioverà il riflette-re che il primo dal Pipino dicesi cremonese, il secondodal Bonatti si dice cremonese di Sabbioneta, il qual luo-go, benchè ora appartenga al territorio mantovano, forseentrava allora nel cremonese. Potrebb'essere nondimenoche amendue fosser natii di Sabbioneta e potrebbe esse-re ancora che il secondo fosse figliuolo o nipote del pri-mo. Intorno a ciò creda ognuno come gli sembra me-glio. A me basta di aver mostrato che due Gherardi cre-monesi si debbon ammettere, uno vissuto nel sec. XII,l'altro nel sec. XIII. Così pure hanno pensato gli autoridella Storia dell'Università di Bologna (De Prof. Bonon.t. 1, pars 1, p. 511), benchè essi non abbian preso a so-stenerlo direttamente. Il non essersi posta mente in ad-dietro a una tal distinzione, ha fatto che siasi da molti at-tribuito ad un solo ciò che dovea esser diviso in due; e ciconviene perciò separare con diligenza ciò che spetta alprimo, e ciò che spetta al secondo.

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XXI. Del più antico Gherardo altro non cidice il Pipino se non che tradusse dall'arabi-ca lingua nella latina moltissimi libri. Di

opere da lui composte non dice motto. Parmi dunqueprobabile che tra le opere che dal Fabricio si attribuisco-no (Bibl. med. et inf. Latin. c. 3, p. 39) a un sol Gherar-do quelle che son traduzioni, si debban attribuire al pri-mo quelle che son opere veramente composte, e quellesingolarmente che appartengono all'astrologia, si debbancredere del secondo, e solo sembra meno improbabileche il primo fosse autore di qualche operetta medica cheva sotto il nome di Gherardo cremonese. Fra quelle delsecondo, l'unica che abbiasi alle stampe, è la Teorica de'Pianeti, libro che fu per lungo tempo avuto in contopoco men che di classico riguardo all'astronomia. In fat-ti Giovanni Regiomontano, ossia di Konigsbergh inFranconia, che nel sec. XV fu acerrimo impugnatoredelle opinioni di Gherardo, contro cui scrisse un librocon questo ingiurioso titolo: Disputatio contra Cremo-nensia in Planetarum Theoricas deliramenta, Giovannistesso, io dico, afferma che la teorica di Gherardo sole-vasi leggere e spiegare nelle università, e che da molti egrandi ingegni era approvata (praef. Disp. contra Crem.ec.). Delle altre opere di Gherardo, che non son venutealla luce, e che probabilmente debbonsi attribuire al se-condo, veggasi il sopraccitato Fabricio, e più ancora il

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Opere delprimo.

XXI. Del più antico Gherardo altro non cidice il Pipino se non che tradusse dall'arabi-ca lingua nella latina moltissimi libri. Di

opere da lui composte non dice motto. Parmi dunqueprobabile che tra le opere che dal Fabricio si attribuisco-no (Bibl. med. et inf. Latin. c. 3, p. 39) a un sol Gherar-do quelle che son traduzioni, si debban attribuire al pri-mo quelle che son opere veramente composte, e quellesingolarmente che appartengono all'astrologia, si debbancredere del secondo, e solo sembra meno improbabileche il primo fosse autore di qualche operetta medica cheva sotto il nome di Gherardo cremonese. Fra quelle delsecondo, l'unica che abbiasi alle stampe, è la Teorica de'Pianeti, libro che fu per lungo tempo avuto in contopoco men che di classico riguardo all'astronomia. In fat-ti Giovanni Regiomontano, ossia di Konigsbergh inFranconia, che nel sec. XV fu acerrimo impugnatoredelle opinioni di Gherardo, contro cui scrisse un librocon questo ingiurioso titolo: Disputatio contra Cremo-nensia in Planetarum Theoricas deliramenta, Giovannistesso, io dico, afferma che la teorica di Gherardo sole-vasi leggere e spiegare nelle università, e che da molti egrandi ingegni era approvata (praef. Disp. contra Crem.ec.). Delle altre opere di Gherardo, che non son venutealla luce, e che probabilmente debbonsi attribuire al se-condo, veggasi il sopraccitato Fabricio, e più ancora il

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Opere delprimo.

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Marchand che, benchè abbia confusi insieme i due Ghe-rardi e col troppo valersi de' passi de' moderni scrittoriabbia anzi avviluppate che disciferate le cose, delle ope-re però date alla luce col nome di Gherardo ha parlatoassai esattamente. Ma il nostro Gherardo troppo maleabusava del suo sapere astronomico rivolgendolo allesuperstizioni dell'astrologia giudiciaria. Conservasi nellaVaticana un codice ms. come hanno osservato i dottissi-mi autori della Storia dell'Università di Bologna (l. c.),dal quale ciò raccogliesi ad evidenza. Esso è intitolato:"Judicia Magistri Gerardi de Sabloneta Cremonensis su-per multis questionibus naturalibus, ac annorum Mundirevolutionibus"; e contien le risposte che Gherardo ren-deva ad alcuni de' principali signori italiani di quella età,e singolarmente ad Ezzelino da Romano, a Uberto Pela-vicino, a Buoso da Doara, i quali consultavano su ciòche far dovessero nelle loro imprese. Una, a cagiond'esempio, delle interrogazioni così comincia: "Quaesi-vit illustris Marchio Pelivicinus super facere amicitiamcum Martino de Turre". Il che ci mostra che Gherardoera tenuto in concetto di uno de' più valorosi astrologiche fossero al mondo.

XXII. Fu in Bologna un cotale Bartolom-meo, di cui non si hanno più certe notizie.Solo di lui ci è rimasto un trattato della Sfe-ra scritto l'an. 1292, di cui conservasi qual-che codice ms., e in cui egli ancora si mo-

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L'astrologiagiudiciariainsegnata inPadova e inBologna.

Marchand che, benchè abbia confusi insieme i due Ghe-rardi e col troppo valersi de' passi de' moderni scrittoriabbia anzi avviluppate che disciferate le cose, delle ope-re però date alla luce col nome di Gherardo ha parlatoassai esattamente. Ma il nostro Gherardo troppo maleabusava del suo sapere astronomico rivolgendolo allesuperstizioni dell'astrologia giudiciaria. Conservasi nellaVaticana un codice ms. come hanno osservato i dottissi-mi autori della Storia dell'Università di Bologna (l. c.),dal quale ciò raccogliesi ad evidenza. Esso è intitolato:"Judicia Magistri Gerardi de Sabloneta Cremonensis su-per multis questionibus naturalibus, ac annorum Mundirevolutionibus"; e contien le risposte che Gherardo ren-deva ad alcuni de' principali signori italiani di quella età,e singolarmente ad Ezzelino da Romano, a Uberto Pela-vicino, a Buoso da Doara, i quali consultavano su ciòche far dovessero nelle loro imprese. Una, a cagiond'esempio, delle interrogazioni così comincia: "Quaesi-vit illustris Marchio Pelivicinus super facere amicitiamcum Martino de Turre". Il che ci mostra che Gherardoera tenuto in concetto di uno de' più valorosi astrologiche fossero al mondo.

XXII. Fu in Bologna un cotale Bartolom-meo, di cui non si hanno più certe notizie.Solo di lui ci è rimasto un trattato della Sfe-ra scritto l'an. 1292, di cui conservasi qual-che codice ms., e in cui egli ancora si mo-

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L'astrologiagiudiciariainsegnata inPadova e inBologna.

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stra seguace superstizioso dell'astrologia giudiciaria, dicui tratta assai lungamente. Di esso e di un certo Guiz-zardo, di cui pur si ha qualche libro di Geometria, veg-gasi l'erudita Storia de' Professori dell'Università di Bo-logna (t. 1, pars 1, p. 494). In questa città sembra che leastrologiche imposture ottenesser gran fede, poichè nel-la Storia medesima si reca un decreto di quella comuni-tà, con cui a un cotal Giovanni di Luna astrologo e pro-fessore di fisica, o sia di medicina, si assegna un'annualdonazione di grano in ricompensa dei servigi prestati alpubblico. "Anno MCCCIII. Item providerunt, quod Pon-terii Pontis Idicis Reni teneantur omni anno in festo S.Marie Augusti mittere Mag. Joanni de Luna Astrologoet artis Fisice professori VI corbas frumenti.... et hoccum dictus mag. Joannes in factis Comun. Bonon. sem-per vigil fuerit, ec. (ib.). E, quando nel quinto tomo diquesta Storia dovrem ragionare del celebre Ceccod'Ascoli, vedremo ch'egli fu scelto ancor giovane a pro-fessore d'astrologia in Bologna. Nè minore era in ciò lasuperstizione de' Padovani, perciocchè, come afferma ilch. Facciolati (De Gymn. petav. syntag. 5, p. l57), negliStatuti di quella università, parlandosi dell'astrologo sidice: "quem tamquam necessarissimum haberi omninovolumus". Ma degli astrologi sia omai detto abbastanza;e torniamo a coloro che in più utili cose occuparono iltempo e l'ingegno.

XXIII. Ebbe il sec. XIII uno scrittore di

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Vitellione te-desco scrittor di Ottica, ma vissuto molto in Italia.

stra seguace superstizioso dell'astrologia giudiciaria, dicui tratta assai lungamente. Di esso e di un certo Guiz-zardo, di cui pur si ha qualche libro di Geometria, veg-gasi l'erudita Storia de' Professori dell'Università di Bo-logna (t. 1, pars 1, p. 494). In questa città sembra che leastrologiche imposture ottenesser gran fede, poichè nel-la Storia medesima si reca un decreto di quella comuni-tà, con cui a un cotal Giovanni di Luna astrologo e pro-fessore di fisica, o sia di medicina, si assegna un'annualdonazione di grano in ricompensa dei servigi prestati alpubblico. "Anno MCCCIII. Item providerunt, quod Pon-terii Pontis Idicis Reni teneantur omni anno in festo S.Marie Augusti mittere Mag. Joanni de Luna Astrologoet artis Fisice professori VI corbas frumenti.... et hoccum dictus mag. Joannes in factis Comun. Bonon. sem-per vigil fuerit, ec. (ib.). E, quando nel quinto tomo diquesta Storia dovrem ragionare del celebre Ceccod'Ascoli, vedremo ch'egli fu scelto ancor giovane a pro-fessore d'astrologia in Bologna. Nè minore era in ciò lasuperstizione de' Padovani, perciocchè, come afferma ilch. Facciolati (De Gymn. petav. syntag. 5, p. l57), negliStatuti di quella università, parlandosi dell'astrologo sidice: "quem tamquam necessarissimum haberi omninovolumus". Ma degli astrologi sia omai detto abbastanza;e torniamo a coloro che in più utili cose occuparono iltempo e l'ingegno.

XXIII. Ebbe il sec. XIII uno scrittore di

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Vitellione te-desco scrittor di Ottica, ma vissuto molto in Italia.

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Ottica, che parve allora uomo in questo genere prodigio-so, cioè Vitellione, della cui opera stampata in Norim-berga nel 1551, veggasi il giudizio del Montucla (Hist.des Mathem. t. 1, p. 421). Egli non fu di patria italiano,perciocchè ei si chiama nella dedica dell'opera stessa a f.Guglielmo da Morbecha filius Thuringorum et Polono-rum. Ma io sospetto ch'ei facesse i suoi studi in Italia.Certo egli accenna più volte di avervi fatto soggiorno:"quales aquas", dic'egli (Optica l. 10, n. 42) "in locosubterraneo in concavitate montis, qui est inter civitatesPaduam et Vicentiam, qui locus dicitur Cubalus, nos vi-dimus, ec." e altrove (ib. n. 57): "Invenimus et nos die-bus aestivis circa horam vespertinam vel modicum antecirca Viterbium in quodam praecipitio apud balneum,quod dicitur Scopuli, ec." (28).

XXIV. L'invenzion delle cose che giovi-no a conoscer meglio, o a perfezionar lanatura, ha sempre ottenuta l'immortalitàdel nome a chi ha potuto giugnervi feli-cemente. Una ne ebbe in questo secolo

l'Italia, la quale, benchè dapprima non sembrasse oppor-tuna che a recare all'uomo un passeggero vantaggio, èstata però col volger degli anni l'origine delle più bellescoperte che nella fisica si sian fatte, e si vadan facendo28 Il sig. ab. Andres afferma (Dell'origine e Progr. d'ogni letter. t. 1, p. 103)

che Vitellione altro non fece che ridurre a maggior brevità e miglior ordineil trattato dell'Arabo Alhezen, il che pure era già stato osservato dal Mon-tucla (Hist. des Mathem. t. 1, p. 421).

299

Epoca dell'inven-zione degli oc-chiali sconosciutiagli antichi.

Ottica, che parve allora uomo in questo genere prodigio-so, cioè Vitellione, della cui opera stampata in Norim-berga nel 1551, veggasi il giudizio del Montucla (Hist.des Mathem. t. 1, p. 421). Egli non fu di patria italiano,perciocchè ei si chiama nella dedica dell'opera stessa a f.Guglielmo da Morbecha filius Thuringorum et Polono-rum. Ma io sospetto ch'ei facesse i suoi studi in Italia.Certo egli accenna più volte di avervi fatto soggiorno:"quales aquas", dic'egli (Optica l. 10, n. 42) "in locosubterraneo in concavitate montis, qui est inter civitatesPaduam et Vicentiam, qui locus dicitur Cubalus, nos vi-dimus, ec." e altrove (ib. n. 57): "Invenimus et nos die-bus aestivis circa horam vespertinam vel modicum antecirca Viterbium in quodam praecipitio apud balneum,quod dicitur Scopuli, ec." (28).

XXIV. L'invenzion delle cose che giovi-no a conoscer meglio, o a perfezionar lanatura, ha sempre ottenuta l'immortalitàdel nome a chi ha potuto giugnervi feli-cemente. Una ne ebbe in questo secolo

l'Italia, la quale, benchè dapprima non sembrasse oppor-tuna che a recare all'uomo un passeggero vantaggio, èstata però col volger degli anni l'origine delle più bellescoperte che nella fisica si sian fatte, e si vadan facendo28 Il sig. ab. Andres afferma (Dell'origine e Progr. d'ogni letter. t. 1, p. 103)

che Vitellione altro non fece che ridurre a maggior brevità e miglior ordineil trattato dell'Arabo Alhezen, il che pure era già stato osservato dal Mon-tucla (Hist. des Mathem. t. 1, p. 421).

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Epoca dell'inven-zione degli oc-chiali sconosciutiagli antichi.

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tuttora. Parlo dell'invenzion degli occhiali. Ella è cosastrana a riflettere che siasi tardato sì lungo tempo a im-maginarla. Gli antichi conoscevano ed usavano il vetro,e il lavoravano in diverse maniere, come abbiamo in Pli-nio il vecchio (Hist. nat. l. 5, c. 19; l. 26, c. 26; l. 37, c.7, ec. ec.). Essi avean trovato che una sfera di vetro, ov-ver di cristallo, ripiena d'acqua e posta rimpetto al soleraccoglieva e trasmetteva i raggi per modo, che con ciòsolo si ardevano e le vesti e gli stessi cadaveri (ib. l. 36,c. 26; l. 37, c. 2). Essi aveano specchi che ingrandivano,sformavano, capovolgevano stranamente gli oggetti (Se-neca Quaest. nat. l. 1, c. 5, 6), e delle suddette sfere divetro ripiene d'acqua usavano ad ingrossare e a renderleggibili le lettere più minute (ib.). Or è egli possibileche, avendo tai cognizioni, non andasser più oltre? Enondimeno è certissimo che nelle loro opere non abbia-mo alcun indicio di occhiali, di telescopj, o di altri somi-glianti stromenti atti ad accrescere e a stender la vista.Alcuni hanno preteso di aver trovato un passo di Plauto,che parli degli occhiali; ma essi non hanno mai potutomostrare in qual codice, o in qual edizione fosse il versoda essi allegato. Alcuni altri passi di autori antichi, cheson sembrati a taluno doversi intendere degli occhiali,quando si esaminan meglio, si conosce ad evidenza chehanno tutt'altro senso. Io non voglio fermarmi a disputa-re di ciò, di che moltissimi autori hanno già scritto diffu-samente. Due soli ne accenno che si potran consultareda chi brami esaminar meglio questa questione; il Mon-tucla (Hist. des Mathém. t. 1, p. 429, ec.), e il ch. sig.

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tuttora. Parlo dell'invenzion degli occhiali. Ella è cosastrana a riflettere che siasi tardato sì lungo tempo a im-maginarla. Gli antichi conoscevano ed usavano il vetro,e il lavoravano in diverse maniere, come abbiamo in Pli-nio il vecchio (Hist. nat. l. 5, c. 19; l. 26, c. 26; l. 37, c.7, ec. ec.). Essi avean trovato che una sfera di vetro, ov-ver di cristallo, ripiena d'acqua e posta rimpetto al soleraccoglieva e trasmetteva i raggi per modo, che con ciòsolo si ardevano e le vesti e gli stessi cadaveri (ib. l. 36,c. 26; l. 37, c. 2). Essi aveano specchi che ingrandivano,sformavano, capovolgevano stranamente gli oggetti (Se-neca Quaest. nat. l. 1, c. 5, 6), e delle suddette sfere divetro ripiene d'acqua usavano ad ingrossare e a renderleggibili le lettere più minute (ib.). Or è egli possibileche, avendo tai cognizioni, non andasser più oltre? Enondimeno è certissimo che nelle loro opere non abbia-mo alcun indicio di occhiali, di telescopj, o di altri somi-glianti stromenti atti ad accrescere e a stender la vista.Alcuni hanno preteso di aver trovato un passo di Plauto,che parli degli occhiali; ma essi non hanno mai potutomostrare in qual codice, o in qual edizione fosse il versoda essi allegato. Alcuni altri passi di autori antichi, cheson sembrati a taluno doversi intendere degli occhiali,quando si esaminan meglio, si conosce ad evidenza chehanno tutt'altro senso. Io non voglio fermarmi a disputa-re di ciò, di che moltissimi autori hanno già scritto diffu-samente. Due soli ne accenno che si potran consultareda chi brami esaminar meglio questa questione; il Mon-tucla (Hist. des Mathém. t. 1, p. 429, ec.), e il ch. sig.

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Domenico Maria Manni (Tratt. degli occhiali da naso,Fior. 1738); i quali più altri autori allegano che di ciòhanno trattato.

XXV. Non furon dunque agli antichi noti gliocchiali, e non se ne trova menzione innanzial XIII secolo. Da alcuni n'è stato credutoinventore Ruggiero Bacone inglese dell'Ord.de' Minori, uomo di sì acuto e penetrante in-

gegno, che in altri tempi avrebbe gareggiato co' più pro-fondi filosofi e co' più celebri matematici. Ma oltre ilMontucla (l. c.), anche l'Inglese Smith (Traité d'Opt.trad. par. le p. Pezenas t. 1, p. 57) nega a Bacone la glo-ria di questa scoperta; e il prova chiaramente col solo ar-recare un passo dello stesso Bacone in cui volendo inse-gnare in qual modo si possano ingrandire le lettere perleggerle più facilmente, propone un segmento di sfera divetro, o di cristallo, posto sulle lettere stesse, ch'è insomma a un di presso ciò che abbiam veduto essersiusato ancor dagli antichi. Quindi il Montucla confessache la prima menzione di occhiali trovasi in Italia versola fine del sec. XIII. Francesco Redi fu il primo che nescoprisse l'antichità in due sue lettere scritte la prima aCarlo Dati, la seconda a Paolo Falconieri le quali dinuovo sono state date alla luce dal Manni (l. c. p. 53). Inuna Cronaca del convento di s. Caterina in Pisa dell'Ord.de' Pred. scritta successivamente da' vari autori contem-poranei, ei lesse l'elogio di f. Alessandro Spina morto

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Essa appar-tiene agli ultimi anni del secolo XIII.

Domenico Maria Manni (Tratt. degli occhiali da naso,Fior. 1738); i quali più altri autori allegano che di ciòhanno trattato.

XXV. Non furon dunque agli antichi noti gliocchiali, e non se ne trova menzione innanzial XIII secolo. Da alcuni n'è stato credutoinventore Ruggiero Bacone inglese dell'Ord.de' Minori, uomo di sì acuto e penetrante in-

gegno, che in altri tempi avrebbe gareggiato co' più pro-fondi filosofi e co' più celebri matematici. Ma oltre ilMontucla (l. c.), anche l'Inglese Smith (Traité d'Opt.trad. par. le p. Pezenas t. 1, p. 57) nega a Bacone la glo-ria di questa scoperta; e il prova chiaramente col solo ar-recare un passo dello stesso Bacone in cui volendo inse-gnare in qual modo si possano ingrandire le lettere perleggerle più facilmente, propone un segmento di sfera divetro, o di cristallo, posto sulle lettere stesse, ch'è insomma a un di presso ciò che abbiam veduto essersiusato ancor dagli antichi. Quindi il Montucla confessache la prima menzione di occhiali trovasi in Italia versola fine del sec. XIII. Francesco Redi fu il primo che nescoprisse l'antichità in due sue lettere scritte la prima aCarlo Dati, la seconda a Paolo Falconieri le quali dinuovo sono state date alla luce dal Manni (l. c. p. 53). Inuna Cronaca del convento di s. Caterina in Pisa dell'Ord.de' Pred. scritta successivamente da' vari autori contem-poranei, ei lesse l'elogio di f. Alessandro Spina morto

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Essa appar-tiene agli ultimi anni del secolo XIII.

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l'an. 1313, secondo lo stil pisano, che corrisponde all'an.1312 di stil romano; e in quest'elogio, a mostrare quantoingegnoso egli fosse, si dice che avendo udito che untale avea inventati gli occhiali, e non potendo da lui ot-tenere che gliene scoprisse il modo, da se medesimo ilritrovò e il rendè pubblico: "Frater Alexander de Spinavir modestus et bonus, quecumque vidit aut audivit fac-ta, scivit et facere. Ocularia ab aliquo primo facta, et co-municare nolente, ipse fecit et comunicavit, corde ylariet volente". Qui abbiam dunque non il primo inventordegli occhiali, come da alcuni meno esattamente si èdetto, ma un fabbricator di essi senza maestro e model-lo; e abbiam insiem la notizia del tempo a cui comincia-rono a lavorarsi; perciocchè f. Alessandro li lavorò, poi-chè ebbe udito che un cotale avea trovato il modo di la-vorarli. Ciò dunque dovette accadere o al fine del XIIIsecolo, o al cominciar del seguente. In fatti il Redi me-desimo arreca un passo di un trattato del Governo dellaFamiglia scritto l'anno 1299 da Sandro di Pippozzo diSandro fiorentino, in cui nel proemio così dice: "Mi tro-vo cosie gravoso di anni, che non arei vallenza di leg-giere e scrivere senza vetri appellati okiali truovati no-vellamente per comeditae delli poveri veki, quando af-flebolano del vedere". Queste parole più determinata-mente ci mostrano che innanzi al fine del XIII secoloerano stati gli occhiali trovati novellamente. Meglio an-cor si determina il tempo di questa invenzione da unpasso di una predica del b. Giordano da Rivalta domeni-cano da lui detta in Firenze a' 23 di febbraio l'an. 1305,

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l'an. 1313, secondo lo stil pisano, che corrisponde all'an.1312 di stil romano; e in quest'elogio, a mostrare quantoingegnoso egli fosse, si dice che avendo udito che untale avea inventati gli occhiali, e non potendo da lui ot-tenere che gliene scoprisse il modo, da se medesimo ilritrovò e il rendè pubblico: "Frater Alexander de Spinavir modestus et bonus, quecumque vidit aut audivit fac-ta, scivit et facere. Ocularia ab aliquo primo facta, et co-municare nolente, ipse fecit et comunicavit, corde ylariet volente". Qui abbiam dunque non il primo inventordegli occhiali, come da alcuni meno esattamente si èdetto, ma un fabbricator di essi senza maestro e model-lo; e abbiam insiem la notizia del tempo a cui comincia-rono a lavorarsi; perciocchè f. Alessandro li lavorò, poi-chè ebbe udito che un cotale avea trovato il modo di la-vorarli. Ciò dunque dovette accadere o al fine del XIIIsecolo, o al cominciar del seguente. In fatti il Redi me-desimo arreca un passo di un trattato del Governo dellaFamiglia scritto l'anno 1299 da Sandro di Pippozzo diSandro fiorentino, in cui nel proemio così dice: "Mi tro-vo cosie gravoso di anni, che non arei vallenza di leg-giere e scrivere senza vetri appellati okiali truovati no-vellamente per comeditae delli poveri veki, quando af-flebolano del vedere". Queste parole più determinata-mente ci mostrano che innanzi al fine del XIII secoloerano stati gli occhiali trovati novellamente. Meglio an-cor si determina il tempo di questa invenzione da unpasso di una predica del b. Giordano da Rivalta domeni-cano da lui detta in Firenze a' 23 di febbraio l'an. 1305,

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allegato dallo stesso Redi; perciocchè in esso v'ha que-ste parole: "Non è ancora vent'anni, che si trovò l'arte difare gli occhiali che fanno veder bene, che è una dellemigliori arti e delle più necessarie, che il mondo abbia".Anzi in un codice di questa predica, citato dal Manni(ib. p. 73), si aggiunge la seguente notizia: "E disse illettore: io vidi colui che prima la trovò e fece, e favellai-gli". Ed ecco fissato ad un di presso il tempo della in-venzion degli occhiali, cioè circa 15 anni innanzi alcompimento del sec. XIII.

XXVI. Ma tutti i passi allegati ci scuopronoquando si cominciassero ad usare gli oc-chiali, non ci scuoprono chi ne fosse il pri-mo ritrovatore. La gloria di averlo, prima diogni altro osservato si dee a Leopoldo del

Migliore antiquario fiorentino, il quale attesta di averein un antico sepoltuario letta la seguente iscrizione cheprima era nella chiesa di s. Maria Maggiore di Firenze:"Quì diace Salvino d'Armato degli Armati di Fir. Inven-tor, degli Occhiali. Dio gli perdoni la peccata. Anno D.MCCCXVII." Intorno alla qual iscrizione veggasi il so-prallodato Manni (ib. p. 64). Testimonio miglior di que-sto sembra che non possa recarsi a render certissimo cheSalvino degli Armati fu l'inventor degli occhiali. L'iscri-zione non può essere più conforme alle parole del b.Giordano. Un uomo morto nel 1317 potea facilmenteaver trovati gli occhiali verso l'an. 1285 Poteva perciò il

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L'inventorene fu Salvi-no degli Armati.

allegato dallo stesso Redi; perciocchè in esso v'ha que-ste parole: "Non è ancora vent'anni, che si trovò l'arte difare gli occhiali che fanno veder bene, che è una dellemigliori arti e delle più necessarie, che il mondo abbia".Anzi in un codice di questa predica, citato dal Manni(ib. p. 73), si aggiunge la seguente notizia: "E disse illettore: io vidi colui che prima la trovò e fece, e favellai-gli". Ed ecco fissato ad un di presso il tempo della in-venzion degli occhiali, cioè circa 15 anni innanzi alcompimento del sec. XIII.

XXVI. Ma tutti i passi allegati ci scuopronoquando si cominciassero ad usare gli oc-chiali, non ci scuoprono chi ne fosse il pri-mo ritrovatore. La gloria di averlo, prima diogni altro osservato si dee a Leopoldo del

Migliore antiquario fiorentino, il quale attesta di averein un antico sepoltuario letta la seguente iscrizione cheprima era nella chiesa di s. Maria Maggiore di Firenze:"Quì diace Salvino d'Armato degli Armati di Fir. Inven-tor, degli Occhiali. Dio gli perdoni la peccata. Anno D.MCCCXVII." Intorno alla qual iscrizione veggasi il so-prallodato Manni (ib. p. 64). Testimonio miglior di que-sto sembra che non possa recarsi a render certissimo cheSalvino degli Armati fu l'inventor degli occhiali. L'iscri-zione non può essere più conforme alle parole del b.Giordano. Un uomo morto nel 1317 potea facilmenteaver trovati gli occhiali verso l'an. 1285 Poteva perciò il

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L'inventorene fu Salvi-no degli Armati.

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b. Giordano dir giustamente che questa invenzione eramoderna di soli 20 anni incirca; chi raccolse dalla boccadello stesso beato la predica, e la distinse in iscritto, po-teva facilmente aver conosciuto l'inventore, e aver conlui favellato. E pare perciò, che sia bastevolmente assi-curato all'Italia il vanto di un sì utile ritrovamento.

XXVII. Più incerta e quanto al tempo, equanto all'autore, è un'altra invenzione dinon minore vantaggio in riguardo alla navi-gazione, cioè della bussola nautica ossiadell'ago calamitato. Io ne parlerò a questo

luogo, perchè a questo secolo se ne fissa da molti il ri-trovamento; ed è certo che a questo secolo ella era già inuso. Ma è cosa strana a vedere quanto su questo puntosien tra lor discordanti gli autori. Accenniamo con quel-la maggior brevità che in una sì intralciata quistione èpossibile, le diverse loro opinioni, e ricerchiamo se alcu-na ve n'abbia che si possa dire probabile sopra l'altra.Non mancano alcuni che affermano essersi conosciutaancor dagli antichi quella proprietà della calamita, percui ella volgesi al polo settentrionale. La qual opinione,che pareva omai del tutto dimenticata è stata non hamolti anni proposta di nuovo e difesa con un'erudita dis-sertazione dal p. d. Abondio Collina camaldolese(Comm. Acad. Bon. t. 2 par. 3, p. 373), con cui combattela contraria opinione del dottissimo p. abate Trombellida lui con altra dissertazione sostenuta (ib. p. 333). A

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La bussola nautica fu conosciuta agli antichi.

b. Giordano dir giustamente che questa invenzione eramoderna di soli 20 anni incirca; chi raccolse dalla boccadello stesso beato la predica, e la distinse in iscritto, po-teva facilmente aver conosciuto l'inventore, e aver conlui favellato. E pare perciò, che sia bastevolmente assi-curato all'Italia il vanto di un sì utile ritrovamento.

XXVII. Più incerta e quanto al tempo, equanto all'autore, è un'altra invenzione dinon minore vantaggio in riguardo alla navi-gazione, cioè della bussola nautica ossiadell'ago calamitato. Io ne parlerò a questo

luogo, perchè a questo secolo se ne fissa da molti il ri-trovamento; ed è certo che a questo secolo ella era già inuso. Ma è cosa strana a vedere quanto su questo puntosien tra lor discordanti gli autori. Accenniamo con quel-la maggior brevità che in una sì intralciata quistione èpossibile, le diverse loro opinioni, e ricerchiamo se alcu-na ve n'abbia che si possa dire probabile sopra l'altra.Non mancano alcuni che affermano essersi conosciutaancor dagli antichi quella proprietà della calamita, percui ella volgesi al polo settentrionale. La qual opinione,che pareva omai del tutto dimenticata è stata non hamolti anni proposta di nuovo e difesa con un'erudita dis-sertazione dal p. d. Abondio Collina camaldolese(Comm. Acad. Bon. t. 2 par. 3, p. 373), con cui combattela contraria opinione del dottissimo p. abate Trombellida lui con altra dissertazione sostenuta (ib. p. 333). A

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La bussola nautica fu conosciuta agli antichi.

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me sembra però, che non faccia bisogno di lungo esamea conoscere quale fra queste due opinioni sia la più veri-simile. Le navigazioni degli antichi non che provarcich'essi conoscessero la direzion polare della calamita, ciprovano anzi il contrario; perciocchè noi veggiamo chequando loro mancavano il sole e le stelle, non sapevanpiù ove volger la prora:

Ipse diem noctemque negat discernere coelo,Nec meminisse viae media Palinurus in unda.Tres adeo incertos coeca caligine solesErramus pelago, totidem sine sidere noctes (Virg. Æn. l. 3,

v. 201).

Quelle parole: cape vorsoriam, di Plauto (Mercat. act. 5,sc. 2, v. 34; Trinumm. act. 4, sc. 3, v. 20), che si alleganoa provar noto agli antichi l'ago calamitato, è così chiaroda tutto il contesto doversi intendere della fune la qualregge le vele, che io non credo che da alcuno si possanopiù arrecare in difesa della controversa opinione. Ma ache recare argomenti? Il silenzio solo di Plinio su questopunto parmi che equivalga quasi ad una dimostrazione.Un uomo che avea letto quanto potea leggersi di autoriantichi e moderni, un uomo che avea da essi raccoltoquanto aveano essi osservato, un uomo a cui nulla sfug-ge, e nulla singolarmente di ciò che vi ha di più maravi-glioso nella natura, un uomo, per ultimo, che ci parladella calamita più volte, e descrive leggiadramente (l.36, c. 16) l'attrarre che essa fa il ferro, ce n'avrebbe eglitaciuta quest'altra sì ammirabile proprietà, se ne avesse

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me sembra però, che non faccia bisogno di lungo esamea conoscere quale fra queste due opinioni sia la più veri-simile. Le navigazioni degli antichi non che provarcich'essi conoscessero la direzion polare della calamita, ciprovano anzi il contrario; perciocchè noi veggiamo chequando loro mancavano il sole e le stelle, non sapevanpiù ove volger la prora:

Ipse diem noctemque negat discernere coelo,Nec meminisse viae media Palinurus in unda.Tres adeo incertos coeca caligine solesErramus pelago, totidem sine sidere noctes (Virg. Æn. l. 3,

v. 201).

Quelle parole: cape vorsoriam, di Plauto (Mercat. act. 5,sc. 2, v. 34; Trinumm. act. 4, sc. 3, v. 20), che si alleganoa provar noto agli antichi l'ago calamitato, è così chiaroda tutto il contesto doversi intendere della fune la qualregge le vele, che io non credo che da alcuno si possanopiù arrecare in difesa della controversa opinione. Ma ache recare argomenti? Il silenzio solo di Plinio su questopunto parmi che equivalga quasi ad una dimostrazione.Un uomo che avea letto quanto potea leggersi di autoriantichi e moderni, un uomo che avea da essi raccoltoquanto aveano essi osservato, un uomo a cui nulla sfug-ge, e nulla singolarmente di ciò che vi ha di più maravi-glioso nella natura, un uomo, per ultimo, che ci parladella calamita più volte, e descrive leggiadramente (l.36, c. 16) l'attrarre che essa fa il ferro, ce n'avrebbe eglitaciuta quest'altra sì ammirabile proprietà, se ne avesse

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avuta notizia, se ne avesse trovato indicio presso qual-che autore? Aggiungasi il silenzio di tutti gli storici e ditutti i poeti mentre ci parlano della navigazione, de' filo-sofi tutti e di tutti i naturalisti antichi, mentre ci parlanodella calamita (giacchè non v'ha chi non sappia che ilpasso d'Aristotele, ove se ne fa menzione, è tratto daun'opera che certamente gli è supposta, di che diremotra poco); e poscia si giudichi se sia probabile che dicosa cotanto maravigliosa avesser taciuto gli antichi, sel'avessero conosciuta. Quindi a ragione l'erudito m. Du-tens, che per altro si mostra sempre inclinato a favor de-gli antichi, per ciò che a questo punto appartiene, con-fessa (Recherches sur l'Origine des Découvertes, ec. t.2, p. 34) che non vi è ne' loro libri alcun passo su cui sipossa stabilir chiaramente questa opinione.

XXVIII. Nulla più probabile è, a mio pare-re, l'opinione di altri, i quali pensano chel'invenzione della bussola nautica si debbaa' Cinesi, e che da essi sia venuta all'Italiaper opera di Marco Polo; opinione a cui più

che alle altre mostrasi favorevole il p. abate Trombellinella citata sua eruditissima dissertazione; benchè eglinon al Polo, ma a qualche altro veneto mercatante piùantico attribuisca il trasporto della bussola dalla Cina inItalia. E certo, quanto al Polo, non può in modo alcunsostenersi ch'ei fosse il primo a recarla a' nostri paesi.Egli tornò da' suoi viaggi non già l'an. 1260, come con-

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L'invenzionedi essa non si dee ai Ci-nesi.

avuta notizia, se ne avesse trovato indicio presso qual-che autore? Aggiungasi il silenzio di tutti gli storici e ditutti i poeti mentre ci parlano della navigazione, de' filo-sofi tutti e di tutti i naturalisti antichi, mentre ci parlanodella calamita (giacchè non v'ha chi non sappia che ilpasso d'Aristotele, ove se ne fa menzione, è tratto daun'opera che certamente gli è supposta, di che diremotra poco); e poscia si giudichi se sia probabile che dicosa cotanto maravigliosa avesser taciuto gli antichi, sel'avessero conosciuta. Quindi a ragione l'erudito m. Du-tens, che per altro si mostra sempre inclinato a favor de-gli antichi, per ciò che a questo punto appartiene, con-fessa (Recherches sur l'Origine des Découvertes, ec. t.2, p. 34) che non vi è ne' loro libri alcun passo su cui sipossa stabilir chiaramente questa opinione.

XXVIII. Nulla più probabile è, a mio pare-re, l'opinione di altri, i quali pensano chel'invenzione della bussola nautica si debbaa' Cinesi, e che da essi sia venuta all'Italiaper opera di Marco Polo; opinione a cui più

che alle altre mostrasi favorevole il p. abate Trombellinella citata sua eruditissima dissertazione; benchè eglinon al Polo, ma a qualche altro veneto mercatante piùantico attribuisca il trasporto della bussola dalla Cina inItalia. E certo, quanto al Polo, non può in modo alcunsostenersi ch'ei fosse il primo a recarla a' nostri paesi.Egli tornò da' suoi viaggi non già l'an. 1260, come con-

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L'invenzionedi essa non si dee ai Ci-nesi.

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cordemente asseriscono col copiarsi l'un l'altro i sosteni-tori ed anche gl'impugnatori di questa opinione, ma l'an.1295, come abbiam chiaramente mostrato poc'anzi (l. 1,c. 5, n. 7). Or da ciò che dovrem dire fra poco si renderàmanifesto che la bussola nautica era assai prima nota inEuropa. Che poi i Cinesi abbiano usato fin da' tempi piùantichi, ed usino ancora al presente dell'ago calamitato,non si rivoca in dubbio da alcuno di que' che trattano dital quistione. E nondimeno ella è cosa non solo da dubi-tarne, ma che si può ancora negare con sicurezza. Gliautori della Storia universale osservano (Hist. univ. t.20, p. 141), e ne recano in testimonio una lettera del p.d'Entrecolles missionario alla Cina, e testimonio di ve-duta, che i Cinesi hanno bensì la bussola, ma che il lorago non è altrimenti calamitato, ma tinto invece con uncotal loro empiastro, di cui si annoverano gl'ingredienti.Il quale pure comunica al ferro la virtù di volgersi a Set-tentrione. Or se i Cinesi non usano della calamita, comepoteron da essi apprender quest'uso gli Europei? Questaopinione adunque deesi rigettare ugualmente nè ha fon-damento alcuno su cui appoggiarsi.

XXIX. Or poichè nè agli antichi funota questa proprietà della calamita,nè l'uso della bussola nautica ci è ve-nuto dai Cinesi, rimane a dire che siaquesta invenzione de' bassi secoli, e

de' tempi a noi più vicini. Ma quando e come? Esami-

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Diversità di opinio-ne tra gli Scrittori francesi nell'indi-carne la più antica menzione.

cordemente asseriscono col copiarsi l'un l'altro i sosteni-tori ed anche gl'impugnatori di questa opinione, ma l'an.1295, come abbiam chiaramente mostrato poc'anzi (l. 1,c. 5, n. 7). Or da ciò che dovrem dire fra poco si renderàmanifesto che la bussola nautica era assai prima nota inEuropa. Che poi i Cinesi abbiano usato fin da' tempi piùantichi, ed usino ancora al presente dell'ago calamitato,non si rivoca in dubbio da alcuno di que' che trattano dital quistione. E nondimeno ella è cosa non solo da dubi-tarne, ma che si può ancora negare con sicurezza. Gliautori della Storia universale osservano (Hist. univ. t.20, p. 141), e ne recano in testimonio una lettera del p.d'Entrecolles missionario alla Cina, e testimonio di ve-duta, che i Cinesi hanno bensì la bussola, ma che il lorago non è altrimenti calamitato, ma tinto invece con uncotal loro empiastro, di cui si annoverano gl'ingredienti.Il quale pure comunica al ferro la virtù di volgersi a Set-tentrione. Or se i Cinesi non usano della calamita, comepoteron da essi apprender quest'uso gli Europei? Questaopinione adunque deesi rigettare ugualmente nè ha fon-damento alcuno su cui appoggiarsi.

XXIX. Or poichè nè agli antichi funota questa proprietà della calamita,nè l'uso della bussola nautica ci è ve-nuto dai Cinesi, rimane a dire che siaquesta invenzione de' bassi secoli, e

de' tempi a noi più vicini. Ma quando e come? Esami-

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Diversità di opinio-ne tra gli Scrittori francesi nell'indi-carne la più antica menzione.

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niamo dapprima in qual tempo siasi cominciato a farnemenzione. I Francesi ci mettono innanzi alcuni versi dicerti loro antichi poeti, ne' quali essa vien nominata. Maio li prego ad accordarsi prima tra loro intorno alla etàin cui questi poeti vivessero, e intorno a' loro nomi; per-ciocchè veggo gli uni dagli altri discordi assai nel ragio-nare di essi. Il Montucla arreca (Hist. des Mathém. t. 1,p. 436) alcuni versi francesi di Guyot di Provins, il qua-le, dic'egli, visse nel XII secolo; perciocchè l'an. 1181,era in Magonza alla corte di Federigo I. In questi versi siappella la calamita col nome di Marinetta; e chiaramen-te vi si esprime la proprietà di rivolgersi al polo. Posciasoggiugne che questi versi medesimi da altri si attribui-scono ad Ugo di Bercy monaco al tempo del re s. Luigi,cioè circa la metà del XIII secolo. Gli autori dell'Enci-clopedia citano gli stessi versi, gli attribuiscono a Guyotdi Provins, autore secondo essi, del romanzo della Rosa,e affermano essi pure (art. Boussole) ch'ei visse a tempidi Federigo I. Quasi le stesse parole sono state ripetutedal Sabbatier (Dict. des Aut. class. t. 7, p. 314). Il For-mey ha pubblicata una lettera di un anonimo di Ginevra(Nouv. Bibl. german. t. 14, p. 435), in cui riprended'errore gli enciclopedisti, perchè abbian detto que' versileggersi nel romanzo della Rosa; ed afferma che essi sitrovano in un altro più antico romanzo attribuito per er-rore allo stesso Guyot; e che nel romanzo della Rosa siaccenna bensì l'ago calamitato, ma non col nome di ma-rinetta, e che questo nome è usato da Ugo di Bercy, chevivea al tempo di s. Luigi. Il le Gendre citando la Storia

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niamo dapprima in qual tempo siasi cominciato a farnemenzione. I Francesi ci mettono innanzi alcuni versi dicerti loro antichi poeti, ne' quali essa vien nominata. Maio li prego ad accordarsi prima tra loro intorno alla etàin cui questi poeti vivessero, e intorno a' loro nomi; per-ciocchè veggo gli uni dagli altri discordi assai nel ragio-nare di essi. Il Montucla arreca (Hist. des Mathém. t. 1,p. 436) alcuni versi francesi di Guyot di Provins, il qua-le, dic'egli, visse nel XII secolo; perciocchè l'an. 1181,era in Magonza alla corte di Federigo I. In questi versi siappella la calamita col nome di Marinetta; e chiaramen-te vi si esprime la proprietà di rivolgersi al polo. Posciasoggiugne che questi versi medesimi da altri si attribui-scono ad Ugo di Bercy monaco al tempo del re s. Luigi,cioè circa la metà del XIII secolo. Gli autori dell'Enci-clopedia citano gli stessi versi, gli attribuiscono a Guyotdi Provins, autore secondo essi, del romanzo della Rosa,e affermano essi pure (art. Boussole) ch'ei visse a tempidi Federigo I. Quasi le stesse parole sono state ripetutedal Sabbatier (Dict. des Aut. class. t. 7, p. 314). Il For-mey ha pubblicata una lettera di un anonimo di Ginevra(Nouv. Bibl. german. t. 14, p. 435), in cui riprended'errore gli enciclopedisti, perchè abbian detto que' versileggersi nel romanzo della Rosa; ed afferma che essi sitrovano in un altro più antico romanzo attribuito per er-rore allo stesso Guyot; e che nel romanzo della Rosa siaccenna bensì l'ago calamitato, ma non col nome di ma-rinetta, e che questo nome è usato da Ugo di Bercy, chevivea al tempo di s. Luigi. Il le Gendre citando la Storia

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della Poesia francese dell'ab. Massieu, ch'io non ho ve-duta, attribuisce i suddetti versi a Ugo di Bercy (Traitède l'Opinion t. 7, p. 406 ed. de Paris 1758), ma aggiu-gne lui essere lo stesso che Guyot di Provins, e lui esservissuto al principio del XII secolo sotto Filippo Augu-sto, ed avere composta un'opera in versi intitolata laBibl. Guyot. Qui non finiscono i diversi pareri su questiversi. M. le Grand nella sua raccolta di Fabliaux etContes du XII et du XIII Siecle riporta, dic'egli, assai piùesattamente questi versi medesimi, e ci assicura (l. 2, p.26, ec.) ch'essi sono non già nel romanzo della Rosa, main una satira intitolata Bible del già nominato Guyot deProvins, che visse, secondo lui, verso la fine del XII se-colo. In essi, secondo la lezione di m. le Grand, la cala-mita dicesi non marinette, ma mariniere e ci si descriveil modo con cui allora si usava, cioè che l'ago calamitatoponevasi sopra una paglia, e questa mettevasi a galleg-giare sull'acqua, sicchè l'ago potesse facilmente volgersial polo. In tanta discordanza di sentimenti, che possiamofar noi, se non aspettare che gli eruditi Francesi stabili-scano finalmente di chi sian que' versi, e a qual temposiano stati composti? Allora potrem giudicare qual argo-mento se ne possa dedurre per l'uso della bussola nauti-ca.

XXX. Io lascio alcuni altri scrittori che daalcuni si accennano senza recarne le pre-cise parole, come Apollinare Sidonio, e la

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Testimonianza di alcuni scrit-tori del sec. XIII, che ne ragionano.

della Poesia francese dell'ab. Massieu, ch'io non ho ve-duta, attribuisce i suddetti versi a Ugo di Bercy (Traitède l'Opinion t. 7, p. 406 ed. de Paris 1758), ma aggiu-gne lui essere lo stesso che Guyot di Provins, e lui esservissuto al principio del XII secolo sotto Filippo Augu-sto, ed avere composta un'opera in versi intitolata laBibl. Guyot. Qui non finiscono i diversi pareri su questiversi. M. le Grand nella sua raccolta di Fabliaux etContes du XII et du XIII Siecle riporta, dic'egli, assai piùesattamente questi versi medesimi, e ci assicura (l. 2, p.26, ec.) ch'essi sono non già nel romanzo della Rosa, main una satira intitolata Bible del già nominato Guyot deProvins, che visse, secondo lui, verso la fine del XII se-colo. In essi, secondo la lezione di m. le Grand, la cala-mita dicesi non marinette, ma mariniere e ci si descriveil modo con cui allora si usava, cioè che l'ago calamitatoponevasi sopra una paglia, e questa mettevasi a galleg-giare sull'acqua, sicchè l'ago potesse facilmente volgersial polo. In tanta discordanza di sentimenti, che possiamofar noi, se non aspettare che gli eruditi Francesi stabili-scano finalmente di chi sian que' versi, e a qual temposiano stati composti? Allora potrem giudicare qual argo-mento se ne possa dedurre per l'uso della bussola nauti-ca.

XXX. Io lascio alcuni altri scrittori che daalcuni si accennano senza recarne le pre-cise parole, come Apollinare Sidonio, e la

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Testimonianza di alcuni scrit-tori del sec. XIII, che ne ragionano.

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Geografia della Nubia, citati dal p. Fournier (Hydrogr. l.11, c. 9), e un cotal Pietro Pellegrino citato dal p. Cabeo(Philos. magnetica l. 1, c. 6), di cui però dice che il cre-dea vissuto sol due, o tre secoli innanzi, cioè nel XV, oXVI secolo, e altri cotali autori, o più incerti di età, opiù oscuri di nome, o di cui non abbastanza si prova cheabbian parlato dell'ago calamitato. Le più antiche certetestimonianze che noi ne abbiamo, sono del sec. XIII. Eil più antico di tutti ch'io sappia, è il card. Jacopo di Vi-try, che finì di vivere l'an. 1244 (V. Oudin de Script.eccl. t. 3, p. 46) Ecco com'ei ne ragiona: Adamas in In-dia reperitur... Ferrum occulta quadam natura ad se tra-hit. Acus ferrea postquam adamantem contigerit, adstellam septentrionalem... semper convertitur, unde val-de necessarius est navigantibus in mari. (De Hist. Hie-rosol. c. 89)". Si direbbe che il card. di Vitry non fossetroppo bene versato nella storia naturale, poichè attribui-sce al diamante, ciò ch'è proprio della calamita. Ma noivedremo fra poco in un passo di Brunetto Latini, che aquesti tempi davasi alla calamita il nome ancora di dia-mante; anzi da questo passo e da un altro che or ora rife-riremo, di Vincenzo di Beauvais, raccogliamo che cre-devasi che la calamita fosse una specie di diamante, per-ciocchè amendue parlano prima di quel genere di dia-mante, che noi ancora chiamiam con tal nome, e posciadell'altro che noi diciam calamita. Ma ancorchè il card.di Vitry avesse errato, questo errore non toglie che ilpasso soprallegato non ci faccia veder chiaramente chel'ago calamitato era a' suoi tempi notissimo, e che di

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Geografia della Nubia, citati dal p. Fournier (Hydrogr. l.11, c. 9), e un cotal Pietro Pellegrino citato dal p. Cabeo(Philos. magnetica l. 1, c. 6), di cui però dice che il cre-dea vissuto sol due, o tre secoli innanzi, cioè nel XV, oXVI secolo, e altri cotali autori, o più incerti di età, opiù oscuri di nome, o di cui non abbastanza si prova cheabbian parlato dell'ago calamitato. Le più antiche certetestimonianze che noi ne abbiamo, sono del sec. XIII. Eil più antico di tutti ch'io sappia, è il card. Jacopo di Vi-try, che finì di vivere l'an. 1244 (V. Oudin de Script.eccl. t. 3, p. 46) Ecco com'ei ne ragiona: Adamas in In-dia reperitur... Ferrum occulta quadam natura ad se tra-hit. Acus ferrea postquam adamantem contigerit, adstellam septentrionalem... semper convertitur, unde val-de necessarius est navigantibus in mari. (De Hist. Hie-rosol. c. 89)". Si direbbe che il card. di Vitry non fossetroppo bene versato nella storia naturale, poichè attribui-sce al diamante, ciò ch'è proprio della calamita. Ma noivedremo fra poco in un passo di Brunetto Latini, che aquesti tempi davasi alla calamita il nome ancora di dia-mante; anzi da questo passo e da un altro che or ora rife-riremo, di Vincenzo di Beauvais, raccogliamo che cre-devasi che la calamita fosse una specie di diamante, per-ciocchè amendue parlano prima di quel genere di dia-mante, che noi ancora chiamiam con tal nome, e posciadell'altro che noi diciam calamita. Ma ancorchè il card.di Vitry avesse errato, questo errore non toglie che ilpasso soprallegato non ci faccia veder chiaramente chel'ago calamitato era a' suoi tempi notissimo, e che di

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esso già usavano i nocchieri. Ed è ad osservare ch'ei nonparla di ciò come di recente scoperta, ma come di cosacui niuno ignorava, e che era stata perciò già da moltotempo addietro avvertita. A questo cardinale succedonodue celebri Domenicani vissuti circa la metà di questosecolo stesso, uno tedesco, cioè Alberto Magno, l'altrofrancese, cioè Vincenzo di Beauvais. Il primo in più luo-ghi del trattato de' Minerali, che si posson vedere citatidal p. ab. Trombelli (l. c. p. 334, 352), parla della cala-mita, e in mezzo a molte favole che ne racconta, mento-va ancora la proprietà di volgersi al polo; e, ciò ch'è più,reca un passo del libro che dice scritto da Aristotele in-torno alle pietre, che ha così: "Angulus magnetis cuju-sdam est, cujus vittus convertendi ferrum ad Zorum(hoc est Septentrionem); et hoc utuntur nautae. Angulusvero alius magnetis illi oppositus trahit ad Aphron (idestpolum meridionalem) et si approximes ferrum adZorum, et si ad oppositum angulum approximes,convertit se directe ad Aphron". Parole le quali, benchènon intendasene chiaramente il senso, pur abbastanzachiaramente ci mostrano che conoscevasi allora da tuttiquesta proprietà della calamita. Io so bene che l'opera diquesto filosofo citata da Alberto Magno non trovasi nèmanoscritta in alcun codice, nè in alcuna edizione stam-pata. Anzi il p. ab. Trombelli crede anche (ib. p. 351)che il libro de' Minerali sia supposto ad Alberto Magno,e ne reca per fondamento le cose ridicolose d'astrologiae di magia, che vi sono sparse per entro. I pp. Quetif edEchard parlando di quest'opera (Script. Ord. Praed. t. 1,

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esso già usavano i nocchieri. Ed è ad osservare ch'ei nonparla di ciò come di recente scoperta, ma come di cosacui niuno ignorava, e che era stata perciò già da moltotempo addietro avvertita. A questo cardinale succedonodue celebri Domenicani vissuti circa la metà di questosecolo stesso, uno tedesco, cioè Alberto Magno, l'altrofrancese, cioè Vincenzo di Beauvais. Il primo in più luo-ghi del trattato de' Minerali, che si posson vedere citatidal p. ab. Trombelli (l. c. p. 334, 352), parla della cala-mita, e in mezzo a molte favole che ne racconta, mento-va ancora la proprietà di volgersi al polo; e, ciò ch'è più,reca un passo del libro che dice scritto da Aristotele in-torno alle pietre, che ha così: "Angulus magnetis cuju-sdam est, cujus vittus convertendi ferrum ad Zorum(hoc est Septentrionem); et hoc utuntur nautae. Angulusvero alius magnetis illi oppositus trahit ad Aphron (idestpolum meridionalem) et si approximes ferrum adZorum, et si ad oppositum angulum approximes,convertit se directe ad Aphron". Parole le quali, benchènon intendasene chiaramente il senso, pur abbastanzachiaramente ci mostrano che conoscevasi allora da tuttiquesta proprietà della calamita. Io so bene che l'opera diquesto filosofo citata da Alberto Magno non trovasi nèmanoscritta in alcun codice, nè in alcuna edizione stam-pata. Anzi il p. ab. Trombelli crede anche (ib. p. 351)che il libro de' Minerali sia supposto ad Alberto Magno,e ne reca per fondamento le cose ridicolose d'astrologiae di magia, che vi sono sparse per entro. I pp. Quetif edEchard parlando di quest'opera (Script. Ord. Praed. t. 1,

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p. 172) non fanno alcun cenno di dubitare ch'ella non sialegittima; ma non isciolgon nemmeno i dubbj che controdi essa si posson muovere, e solo dicono che Alberto inessa afferma di aver colla sua sperienza provata l'utilitàdell'alchimia. Ma o ella sia questa, o nol sia, operad'Alberto Magno, è certamente opera di antico scrittore,perciocchè i suddetti autori ne allegano un codice ms.dell'an. 1303. Dunque ad Alberto Magno, o a chi neusurpò il nome, fin dal sec. XIII era nota questa virtùdella calamita; anzi credevasi allora che da Aristoteleancora fusse stata avvertita; tanto eran lungi dal crederlascoperta ed invenzione moderna. Vincenzo di Beauvaisin più luoghi parla della calamita che anche egli dice es-sere una specie di diamante. Io ne recherò un passo cheveggo comunemente non osservato da chi ha scritto suquesto argomento; e che pure è il più pregevole, perchèci descrive in qual maniera apparecchiavasi e usavasil'ago calamitato: "Aliud (adamantis genus), dic'egli(Specul. doctrin. l. 17, c. 134), in Arabia reperitur... stel-lam maris indicem itineris inter obscuras nebulas perdiem vel noctem nautis prodit. Cum enim vias suas adportum dirigere nesciunt, cacumen acus ad adamantemlapidem fricatum per transversum in festuca parva infin-gunt et vasi pleno aquae immittunt; tunc adamantemvasi circumducunt, et mox secundum motum ejus sequi-tur in circuito cacumen acus. Rotatum ergo perinde ci-tius per circuitum lapidem subito retrahunt, moxque ca-cumen acus avulso ductore contra stellam aciem dirigit,statimque subsistit, nec per punctum movetur, et nautae

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p. 172) non fanno alcun cenno di dubitare ch'ella non sialegittima; ma non isciolgon nemmeno i dubbj che controdi essa si posson muovere, e solo dicono che Alberto inessa afferma di aver colla sua sperienza provata l'utilitàdell'alchimia. Ma o ella sia questa, o nol sia, operad'Alberto Magno, è certamente opera di antico scrittore,perciocchè i suddetti autori ne allegano un codice ms.dell'an. 1303. Dunque ad Alberto Magno, o a chi neusurpò il nome, fin dal sec. XIII era nota questa virtùdella calamita; anzi credevasi allora che da Aristoteleancora fusse stata avvertita; tanto eran lungi dal crederlascoperta ed invenzione moderna. Vincenzo di Beauvaisin più luoghi parla della calamita che anche egli dice es-sere una specie di diamante. Io ne recherò un passo cheveggo comunemente non osservato da chi ha scritto suquesto argomento; e che pure è il più pregevole, perchèci descrive in qual maniera apparecchiavasi e usavasil'ago calamitato: "Aliud (adamantis genus), dic'egli(Specul. doctrin. l. 17, c. 134), in Arabia reperitur... stel-lam maris indicem itineris inter obscuras nebulas perdiem vel noctem nautis prodit. Cum enim vias suas adportum dirigere nesciunt, cacumen acus ad adamantemlapidem fricatum per transversum in festuca parva infin-gunt et vasi pleno aquae immittunt; tunc adamantemvasi circumducunt, et mox secundum motum ejus sequi-tur in circuito cacumen acus. Rotatum ergo perinde ci-tius per circuitum lapidem subito retrahunt, moxque ca-cumen acus avulso ductore contra stellam aciem dirigit,statimque subsistit, nec per punctum movetur, et nautae

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secundum demonstrationem factam ad portum vias diri-gunt". Così egli.

XXXI. Finalmente Brunetto Latini, il qua-le, come altrove vedremo, morì l'an. 1294,parla egli pure della bussola nautica come

di cosa da niuno ignorata. Ognun può vederne il passo,qual l'abbiamo alle stampe nella traduzione italiana delsuo Tesoro (l. 2, c. 49). Io per più certa pruova nerecherò le parole dell'inedito originale francese antico,in cui quell'opera da Brunetto fu scritta, che sono statepubblicate da m. Falconnet (Hist. de l'Acad. des Inscr. t.7, p. 299): Les gens qui sont en Europe, najent ils àtramontaine devers Septentrion, et les autres najent àcelle de Midy; et que ce soit la verité, prenés une pierred'jamant, ce est calamite, vous trouverés, qu'elle a deuxfaces, l'une gist vers une tramontaine, et l'autre versl'autre; et chacune des faces allie l'aiguille vers celletramontaine, vers qui cette face gisoit; et pour ceseroient les mariniers deceus, se ils ne preissent garde".Brunetto non parla qui in linguaggio troppo filosofico.Ma pur qui ancora veggiamo un'espressa menzionedell'ago calamitato, che non ci può lasciare alcun dubbioche fin d'allora non fosse esso a tutto il mondo notissi-mo, e da' marinari usato generalmente. E questo insiemecon gli altri passi poc'anzi recati ci convincono ad evi-denza che nel XIII secolo non era più cosa nuova che lacalamita si volgesse a Settentrione.

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Passo di Bru-netto Latini.

secundum demonstrationem factam ad portum vias diri-gunt". Così egli.

XXXI. Finalmente Brunetto Latini, il qua-le, come altrove vedremo, morì l'an. 1294,parla egli pure della bussola nautica come

di cosa da niuno ignorata. Ognun può vederne il passo,qual l'abbiamo alle stampe nella traduzione italiana delsuo Tesoro (l. 2, c. 49). Io per più certa pruova nerecherò le parole dell'inedito originale francese antico,in cui quell'opera da Brunetto fu scritta, che sono statepubblicate da m. Falconnet (Hist. de l'Acad. des Inscr. t.7, p. 299): Les gens qui sont en Europe, najent ils àtramontaine devers Septentrion, et les autres najent àcelle de Midy; et que ce soit la verité, prenés une pierred'jamant, ce est calamite, vous trouverés, qu'elle a deuxfaces, l'une gist vers une tramontaine, et l'autre versl'autre; et chacune des faces allie l'aiguille vers celletramontaine, vers qui cette face gisoit; et pour ceseroient les mariniers deceus, se ils ne preissent garde".Brunetto non parla qui in linguaggio troppo filosofico.Ma pur qui ancora veggiamo un'espressa menzionedell'ago calamitato, che non ci può lasciare alcun dubbioche fin d'allora non fosse esso a tutto il mondo notissi-mo, e da' marinari usato generalmente. E questo insiemecon gli altri passi poc'anzi recati ci convincono ad evi-denza che nel XIII secolo non era più cosa nuova che lacalamita si volgesse a Settentrione.

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Passo di Bru-netto Latini.

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XXXII. Da tutto il detto fin qui si rendemanifesto abbastanza che se quel FlavioGioia di Amalfi, a cui da molti si attribuiscel'invenzion della bussola, visse come, comu-nemente si scrive, verso il 1300, a lui non si

può certamente conceder tal gloria. L'avv. Gregorio Gri-maldi napoletano ha pubblicata una assai erudita disser-tazione (Saggi dell'Accad. di Cortona t. 3, p. 195) in cuisi è sforzato di comprovare questa opinione. Ma collostabilire che fa egli stesso la età del Gioia al principiodel XIV secolo, sembra distruggerla interamente; e par-mi strano ch'ei non abbia avvertito alle tante pruove cheabbiamo fin dal principio del sec. XIII, e che solo alcu-ne pochissime e quelle appunto che sono men certe, neabbia toccato sfuggitamente. A me sembra che al suo in-tento sarebbe tornato meglio il provare che il Gioia vis-se assai prima del 1300. Nel che però sarebbe stato diffi-cile il trovar pruove e monumenti valevoli a confermar-lo; perciocchè, a parlare sinceramente, tutto ciò che civien raccontato di Flavio Gioia è così incerto, ed appog-giato a sì deboli fondamenti, che mi sembra impossibilelo stabilir cosa alcuna con qualche probabilità. L'avv.Grimaldi cita non pochi autori che gli danno la lode diquesta scoperta (l. c. p. 215, ec.); molti altri ne cita il p.abat. Trombelli (l. c. p. 367), molti il Gimma (Idea dellaStoria letter. d'Ital. t. 2, c. 41), e molti potrei io pure ar-recarne. Ma essi son tutti scrittori del sec. XV, e di esso

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Non si pruova che esso fosse invenzione di Flavio Gioia di Amalfi.

XXXII. Da tutto il detto fin qui si rendemanifesto abbastanza che se quel FlavioGioia di Amalfi, a cui da molti si attribuiscel'invenzion della bussola, visse come, comu-nemente si scrive, verso il 1300, a lui non si

può certamente conceder tal gloria. L'avv. Gregorio Gri-maldi napoletano ha pubblicata una assai erudita disser-tazione (Saggi dell'Accad. di Cortona t. 3, p. 195) in cuisi è sforzato di comprovare questa opinione. Ma collostabilire che fa egli stesso la età del Gioia al principiodel XIV secolo, sembra distruggerla interamente; e par-mi strano ch'ei non abbia avvertito alle tante pruove cheabbiamo fin dal principio del sec. XIII, e che solo alcu-ne pochissime e quelle appunto che sono men certe, neabbia toccato sfuggitamente. A me sembra che al suo in-tento sarebbe tornato meglio il provare che il Gioia vis-se assai prima del 1300. Nel che però sarebbe stato diffi-cile il trovar pruove e monumenti valevoli a confermar-lo; perciocchè, a parlare sinceramente, tutto ciò che civien raccontato di Flavio Gioia è così incerto, ed appog-giato a sì deboli fondamenti, che mi sembra impossibilelo stabilir cosa alcuna con qualche probabilità. L'avv.Grimaldi cita non pochi autori che gli danno la lode diquesta scoperta (l. c. p. 215, ec.); molti altri ne cita il p.abat. Trombelli (l. c. p. 367), molti il Gimma (Idea dellaStoria letter. d'Ital. t. 2, c. 41), e molti potrei io pure ar-recarne. Ma essi son tutti scrittori del sec. XV, e di esso

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Non si pruova che esso fosse invenzione di Flavio Gioia di Amalfi.

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ancora innoltrato. Or come ci posson essi assicurare ab-bastanza chi fosse l'inventor della bussola ch'era già inuso più di due secoli innanzi? Gli scrittori del XIII seco-lo da noi allegati sembra che non sapessero a chi si do-vesse un tale ritrovamento. Certo niun di essi cel nomi-na. L'avran dunque saputo gli scrittori del sec. XV? Maalmeno qual pruova ci adducon essi della loro opinione?Null'altra fuorchè la loro autorità. Io la rispetto; ma essanon basta a persuadermi una cosa di tempo tanto ante-riore. Essi sono in gran numero. Ma chi non sa chegrandissimo è sempre stato il numero de' copiatori? eche spesso cento scrittori equivalgono a un solo, perchèda un solo tutti han tratto lo stesso racconto senza chia-marlo ad esame? Qualche incerta tradizion popolarepotè essere il fondamento di questa opinione; e a que'tempi ciò poteva sembrar bastante a spacciarla per certa.Ma l'esperienza ci ha convinti che cotali tradizioni po-polari molte volte son false, e fondate su qualche equi-voco. Convien dunque vedere se questa abbia validepruove su cui sostenersi.

XXXIII. Due sole io ne trovo che po-trebbon parere a lei favorevoli. Una è unbel passo di Guglielmo da Puglia scrit-tor del sec. XII il quale parlando diAmalfi ne fa questo magnifico elogio:

Urbs haec dives opum, populoque referta videtur:Nulla magis locuples argento, vestibus, auro;

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Risposta ad alcu-ni argomenti in favor degli Amalfitani.

ancora innoltrato. Or come ci posson essi assicurare ab-bastanza chi fosse l'inventor della bussola ch'era già inuso più di due secoli innanzi? Gli scrittori del XIII seco-lo da noi allegati sembra che non sapessero a chi si do-vesse un tale ritrovamento. Certo niun di essi cel nomi-na. L'avran dunque saputo gli scrittori del sec. XV? Maalmeno qual pruova ci adducon essi della loro opinione?Null'altra fuorchè la loro autorità. Io la rispetto; ma essanon basta a persuadermi una cosa di tempo tanto ante-riore. Essi sono in gran numero. Ma chi non sa chegrandissimo è sempre stato il numero de' copiatori? eche spesso cento scrittori equivalgono a un solo, perchèda un solo tutti han tratto lo stesso racconto senza chia-marlo ad esame? Qualche incerta tradizion popolarepotè essere il fondamento di questa opinione; e a que'tempi ciò poteva sembrar bastante a spacciarla per certa.Ma l'esperienza ci ha convinti che cotali tradizioni po-polari molte volte son false, e fondate su qualche equi-voco. Convien dunque vedere se questa abbia validepruove su cui sostenersi.

XXXIII. Due sole io ne trovo che po-trebbon parere a lei favorevoli. Una è unbel passo di Guglielmo da Puglia scrit-tor del sec. XII il quale parlando diAmalfi ne fa questo magnifico elogio:

Urbs haec dives opum, populoque referta videtur:Nulla magis locuples argento, vestibus, auro;

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Risposta ad alcu-ni argomenti in favor degli Amalfitani.

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Partibus innumeris, ac plurimas orbe moratur Nauta maris coelique vias numerare peritus. Huc et Alexandri diversa feruntur ab urbe Regi et Antiochi: haec freta plurima transit: Hic Arabes, Indi, Siculi noscuntur et Afri; Haec gens est totum prope nobilitata per orbem, Et mercanda ferens, et amans mereata referre (Script. rer.

ital. vol. 5, p. 267).

Questo sì vasto e sì universale commercio degli amalfi-tani, queste loro sì lunghe e sì ardite navigazioni, e sin-golarmente questa perizia de' lor nocchieri nel misurarele vie del mare e del cielo, sembrano indicarci che fossead essi nota la bussola, senza cui non pare possibilech'essi osassero tanto. Ciò non ostante, io credo che nonsia questa una troppo sicura prova. Anche di alcuni po-poli antichi, come de' Tirj, de' Sidonj, de' Fenicj, e di al-tri, sappiamo che intrapresero lunghe navigazioni, e diessi ancora si sarebbon potute usare l'espressioni mede-sime che veggiamo usarsi riguardo agli Amalfitani. Enondimeno di essi sappiamo che non conobber la busso-la. Se dunque le navigazioni di quei popoli antichi nonbastano a provarci ch'essi facesser uso di questo stru-mento, perchè ci basteranno quelle de' cittadini di Amal-fi a provare che ne usassero essi? L'altro argomento èquello che arrecasi dal Brenemanno (Diss. de Rep.Amalph. n. 22. ad calcem Hist. Pandect.), e da altri, cioèche la città e forse tutto il ducato di Amalfi ha per suostemma la bussola. E certo, se si potesse provare che gliAmalfitani avessero questo stemma fin da' tempi più an-

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Partibus innumeris, ac plurimas orbe moratur Nauta maris coelique vias numerare peritus. Huc et Alexandri diversa feruntur ab urbe Regi et Antiochi: haec freta plurima transit: Hic Arabes, Indi, Siculi noscuntur et Afri; Haec gens est totum prope nobilitata per orbem, Et mercanda ferens, et amans mereata referre (Script. rer.

ital. vol. 5, p. 267).

Questo sì vasto e sì universale commercio degli amalfi-tani, queste loro sì lunghe e sì ardite navigazioni, e sin-golarmente questa perizia de' lor nocchieri nel misurarele vie del mare e del cielo, sembrano indicarci che fossead essi nota la bussola, senza cui non pare possibilech'essi osassero tanto. Ciò non ostante, io credo che nonsia questa una troppo sicura prova. Anche di alcuni po-poli antichi, come de' Tirj, de' Sidonj, de' Fenicj, e di al-tri, sappiamo che intrapresero lunghe navigazioni, e diessi ancora si sarebbon potute usare l'espressioni mede-sime che veggiamo usarsi riguardo agli Amalfitani. Enondimeno di essi sappiamo che non conobber la busso-la. Se dunque le navigazioni di quei popoli antichi nonbastano a provarci ch'essi facesser uso di questo stru-mento, perchè ci basteranno quelle de' cittadini di Amal-fi a provare che ne usassero essi? L'altro argomento èquello che arrecasi dal Brenemanno (Diss. de Rep.Amalph. n. 22. ad calcem Hist. Pandect.), e da altri, cioèche la città e forse tutto il ducato di Amalfi ha per suostemma la bussola. E certo, se si potesse provare che gliAmalfitani avessero questo stemma fin da' tempi più an-

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tichi, sarebbe questo un non leggero argomento a favordella lor tradizione. Ma come si prova ciò? Chi sa dirciquando abbiano essi cominciato ad averlo? E se essofosse posteriore a' primi scrittori del sec. XV, che conce-derono loro il vanto di una tale scoperta, non perderebbequesto argomento ogni sua forza? Io dunque non rigettoper falsa la tradizione di que' di Amalfi; anzi dico ch'ellaha in suo favore qualche non improbabile congettura.Ma credo che troppo ancora siam lungi dal poterla ab-bracciare qual certa.

XXXIV. Ma se non è abbastanzafondata l'opinione degli Amalfitani,quella delle tre nazioni che si arroga-no un tal vanto, è molto più rovinosa.A' Francesi sembra in lor favore as-

sai forte l'argomento tratto dal giglio, di cui comune-mente si suole ornare la bussola (Hist. de la litter. de laFrance t. 9, p. 99; Encyclop. art. Boussole). Ma dopoaver dimostrata non troppo valida la congettura trattadallo stemma di quel di Amalfi, parmi di poter con ra-gione affermar lo stesso di quella tratta dal giglio. Pos-sono forse i Francesi mostrarci quando siasi cominciatoad aggiugnere alla bussola un tale ornamento? E se nolpossono, come certamente niun finora lo ha potuto,come possono essi provare che esso abbia preso l'origi-ne dal primo ritrovamento dell'ago calamitato? Non potèforse aver origine da qualche nuova forma di bussola da'

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Nè i Francesi, nè i Tedeschi, nè gli In-glesi se ne possono dire inventori.

tichi, sarebbe questo un non leggero argomento a favordella lor tradizione. Ma come si prova ciò? Chi sa dirciquando abbiano essi cominciato ad averlo? E se essofosse posteriore a' primi scrittori del sec. XV, che conce-derono loro il vanto di una tale scoperta, non perderebbequesto argomento ogni sua forza? Io dunque non rigettoper falsa la tradizione di que' di Amalfi; anzi dico ch'ellaha in suo favore qualche non improbabile congettura.Ma credo che troppo ancora siam lungi dal poterla ab-bracciare qual certa.

XXXIV. Ma se non è abbastanzafondata l'opinione degli Amalfitani,quella delle tre nazioni che si arroga-no un tal vanto, è molto più rovinosa.A' Francesi sembra in lor favore as-

sai forte l'argomento tratto dal giglio, di cui comune-mente si suole ornare la bussola (Hist. de la litter. de laFrance t. 9, p. 99; Encyclop. art. Boussole). Ma dopoaver dimostrata non troppo valida la congettura trattadallo stemma di quel di Amalfi, parmi di poter con ra-gione affermar lo stesso di quella tratta dal giglio. Pos-sono forse i Francesi mostrarci quando siasi cominciatoad aggiugnere alla bussola un tale ornamento? E se nolpossono, come certamente niun finora lo ha potuto,come possono essi provare che esso abbia preso l'origi-ne dal primo ritrovamento dell'ago calamitato? Non potèforse aver origine da qualche nuova forma di bussola da'

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Nè i Francesi, nè i Tedeschi, nè gli In-glesi se ne possono dire inventori.

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Francesi ideata e ricevuta poscia dagli altri? I Tedeschipoi e gl'inglesi che, per provare nata tra essi questa in-venzione, ricorrono alle etimologie (V. Encyclop. etMontucla l. c.), si appoggiano a una troppo fragile can-na, perchè dobbiam trattenerci a combattere con essi. Eperciò dal disputato finora non altro possiam raccoglierese non che, quanto più pregevole e quanto più vantag-giosa è stata questa scoperta, tanto più è incerto a chidobbiamo esserne debitori.

XXXV. Mi sia lecito finalmente il propor-re ciò che a me sembra meno improbabilesu questo argomento. Abbiam veduto ci-tarsi da Alberto Magno un libro scritto daAristotele intorno le pietre, in cui parladel volgersi che fa al polo la calamita.

Che questo filosofo scrivesse un libro intitolato in grecoπερὶ τη̃ς λίθου ossia de Lapide, affermasi da DiogeneLaerzio (Vit. Philosophor. l. 5, n. 26), e dall'anonimo an-tico autor greco di una vita di Aristotele pubblicata dalMenagio (in not. ad Diog. Laert. t. 2, p. 202 ed. Amstel.1692). Quest'opera di Aristotele nè in greco nè in latinonoi or non l'abbiamo; ma il p. Labbe cita un codice ms.di un'opera di Aristotele de Gemmis tradotta in arabico(Bibl. MSS. p. 255). Essa forse è la stessa che l'opera deLapide mentovata poc'anzi. Ma ancorchè fossero esseopere diverse è assai probabile che quella che Aristotelescrisse in greco intorno alle pietre, fosse recata dagli

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Non è impro-babile che questa scoper-ta si debba agliArabi.

Francesi ideata e ricevuta poscia dagli altri? I Tedeschipoi e gl'inglesi che, per provare nata tra essi questa in-venzione, ricorrono alle etimologie (V. Encyclop. etMontucla l. c.), si appoggiano a una troppo fragile can-na, perchè dobbiam trattenerci a combattere con essi. Eperciò dal disputato finora non altro possiam raccoglierese non che, quanto più pregevole e quanto più vantag-giosa è stata questa scoperta, tanto più è incerto a chidobbiamo esserne debitori.

XXXV. Mi sia lecito finalmente il propor-re ciò che a me sembra meno improbabilesu questo argomento. Abbiam veduto ci-tarsi da Alberto Magno un libro scritto daAristotele intorno le pietre, in cui parladel volgersi che fa al polo la calamita.

Che questo filosofo scrivesse un libro intitolato in grecoπερὶ τη̃ς λίθου ossia de Lapide, affermasi da DiogeneLaerzio (Vit. Philosophor. l. 5, n. 26), e dall'anonimo an-tico autor greco di una vita di Aristotele pubblicata dalMenagio (in not. ad Diog. Laert. t. 2, p. 202 ed. Amstel.1692). Quest'opera di Aristotele nè in greco nè in latinonoi or non l'abbiamo; ma il p. Labbe cita un codice ms.di un'opera di Aristotele de Gemmis tradotta in arabico(Bibl. MSS. p. 255). Essa forse è la stessa che l'opera deLapide mentovata poc'anzi. Ma ancorchè fossero esseopere diverse è assai probabile che quella che Aristotelescrisse in greco intorno alle pietre, fosse recata dagli

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Non è impro-babile che questa scoper-ta si debba agliArabi.

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Arabi nella lor lingua, come essi fecero delle altre operedi questo illustre filosofo. E perchè nel sec. XIII eranoassai frequenti le traduzioni che di esse facevansidall'arabico nel latino, è assai probabile ancora chel'opera di Aristotele citata da Alberto Magno fosse ve-nuta dagli Arabi. Io credo certo che Aristotele non par-lasse punto di questa proprietà della calamita, poichèabbiam dimostrato che agli antichi essa fu sconosciuta.Ma è assai verisimile che gli Arabi ve l'aggiugnessero.Or non potremo noi credere che essi fossero stati i primia scoprirla? I codici mss. delle lor opere, che si conser-vano in molte biblioteche, e singolarmente in quelladell'Escurial, de' quali abbiamo avuto di fresco un am-pio Catalogo scritto con esattezza e con erudizione nonordinaria, e stampato con regia magnificenza, questi co-dici, dico, ci fan conoscere con quanto ardore si colti-vassero da quella nazione ne' bassi secoli gli studj d'ognimaniera; e benchè molte cose in essi s'incontrino super-stiziose e puerili, vi si veggono ancor nondimeno cogni-zioni e scoperte pregevoli assai. Quindi mi sembra chepossiamo non senza ragione sospettare ch'essi giunges-sero prima d'ogni altra nazione a scoprire la proprietàdell'ago calamitato. Le lunghe navigazioni ch'essi intra-prendevano spesso, e a cui davano occasione gli ampjdominj che aveano in ogni parte, poterono facilmentecondurli a questa scoperta. Le voci Zoron e Aphron, chesi adducono da Alberto Magno, come usate da Aristote-le, non son certamente nè latine nè greche; dunque nè

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Arabi nella lor lingua, come essi fecero delle altre operedi questo illustre filosofo. E perchè nel sec. XIII eranoassai frequenti le traduzioni che di esse facevansidall'arabico nel latino, è assai probabile ancora chel'opera di Aristotele citata da Alberto Magno fosse ve-nuta dagli Arabi. Io credo certo che Aristotele non par-lasse punto di questa proprietà della calamita, poichèabbiam dimostrato che agli antichi essa fu sconosciuta.Ma è assai verisimile che gli Arabi ve l'aggiugnessero.Or non potremo noi credere che essi fossero stati i primia scoprirla? I codici mss. delle lor opere, che si conser-vano in molte biblioteche, e singolarmente in quelladell'Escurial, de' quali abbiamo avuto di fresco un am-pio Catalogo scritto con esattezza e con erudizione nonordinaria, e stampato con regia magnificenza, questi co-dici, dico, ci fan conoscere con quanto ardore si colti-vassero da quella nazione ne' bassi secoli gli studj d'ognimaniera; e benchè molte cose in essi s'incontrino super-stiziose e puerili, vi si veggono ancor nondimeno cogni-zioni e scoperte pregevoli assai. Quindi mi sembra chepossiamo non senza ragione sospettare ch'essi giunges-sero prima d'ogni altra nazione a scoprire la proprietàdell'ago calamitato. Le lunghe navigazioni ch'essi intra-prendevano spesso, e a cui davano occasione gli ampjdominj che aveano in ogni parte, poterono facilmentecondurli a questa scoperta. Le voci Zoron e Aphron, chesi adducono da Alberto Magno, come usate da Aristote-le, non son certamente nè latine nè greche; dunque nè

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latino nè greco era il libro da cui erano tratte (29). In qualaltra lingua poteva dunque essere scritto, se non nell'ara-bica, poichè queste tre sole erano allora le lingue in cui ilibri filosofici si potean leggere. Or se esse son voci ara-biche, o almen dagli Arabi usate, non è egli questo indi-cio che dagli Arabi appunto fossero state fatte le osser-vazioni che a quelle voci dieder l'origine? Queste nonsono che semplici congetture; ma nondimeno il riflettereche niuno fra gli scrittori delle altre nazioni d'Europa cilasciò memoria di questa sì bella scoperta che a' suoitempi si fosse fatta; e ch'essa, poichè già era notissimanel secolo XIII, dovette farsi probabilmente nel X, onell'XI secolo, quando la filosofia fra noi appena si co-nosceva di nome, e fra gli Arabi al contrario era assaicoltivata (30), queste riflessioni, io dico, aggiunte alle al-

29 Ho detto che la voce Aphron non è parola greca, e ho voluto dire in quelsenso di cui qui si ragiona, cioè polo meridionale. Perciò io non credo chealcuno possa qui oppormi la parola Αφρὸς che significa spuma, e che nul-la ha di comune con ciò di che nel detto luogo si tratta.

30 Degli studj e delle scoperte degli Arabi e della parte ch'essi ebbero nel ri-sorgimento degli studj in Europa, ha scritto lungamente non meno che eru-ditamente il ch. si. ab. Andres, il quale prima di ogni altro ha trattato a fon-do di questo argomento e lo ha esposto nella più chiara luce a cui era pos-sibile condurlo (Dell'Orig e Progr. d'ogni Letter. t. 1, p. 116, 331). Nè puònegarsi, e io stesso l'ho affermato, che quella nazione fosse coltivatrice in-stancabile di quasi ogni sorta di letteratura. A me par nondimeno che il va-loroso autore siasi talvolta lasciato guidar tropp'oltre dal suo amore per gliArabi. Ma non è di quest'opera disputarne. Di qualche particolare inven-zione ch'ei lor attribuisce sarà altrove luogo di ragionare. E se io dovròcombatterne l'opinione, il farò con quel rispetto che a un uom sì dotto èdovuto, e non imiterò i trasporti di un troppo focoso scrittore che su questoargomento medesimo lo ha con tale asprezza impugnato, che, lungi dalnuocere, è anzi favorevole alla causa del suo avversario.

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latino nè greco era il libro da cui erano tratte (29). In qualaltra lingua poteva dunque essere scritto, se non nell'ara-bica, poichè queste tre sole erano allora le lingue in cui ilibri filosofici si potean leggere. Or se esse son voci ara-biche, o almen dagli Arabi usate, non è egli questo indi-cio che dagli Arabi appunto fossero state fatte le osser-vazioni che a quelle voci dieder l'origine? Queste nonsono che semplici congetture; ma nondimeno il riflettereche niuno fra gli scrittori delle altre nazioni d'Europa cilasciò memoria di questa sì bella scoperta che a' suoitempi si fosse fatta; e ch'essa, poichè già era notissimanel secolo XIII, dovette farsi probabilmente nel X, onell'XI secolo, quando la filosofia fra noi appena si co-nosceva di nome, e fra gli Arabi al contrario era assaicoltivata (30), queste riflessioni, io dico, aggiunte alle al-

29 Ho detto che la voce Aphron non è parola greca, e ho voluto dire in quelsenso di cui qui si ragiona, cioè polo meridionale. Perciò io non credo chealcuno possa qui oppormi la parola Αφρὸς che significa spuma, e che nul-la ha di comune con ciò di che nel detto luogo si tratta.

30 Degli studj e delle scoperte degli Arabi e della parte ch'essi ebbero nel ri-sorgimento degli studj in Europa, ha scritto lungamente non meno che eru-ditamente il ch. si. ab. Andres, il quale prima di ogni altro ha trattato a fon-do di questo argomento e lo ha esposto nella più chiara luce a cui era pos-sibile condurlo (Dell'Orig e Progr. d'ogni Letter. t. 1, p. 116, 331). Nè puònegarsi, e io stesso l'ho affermato, che quella nazione fosse coltivatrice in-stancabile di quasi ogni sorta di letteratura. A me par nondimeno che il va-loroso autore siasi talvolta lasciato guidar tropp'oltre dal suo amore per gliArabi. Ma non è di quest'opera disputarne. Di qualche particolare inven-zione ch'ei lor attribuisce sarà altrove luogo di ragionare. E se io dovròcombatterne l'opinione, il farò con quel rispetto che a un uom sì dotto èdovuto, e non imiterò i trasporti di un troppo focoso scrittore che su questoargomento medesimo lo ha con tale asprezza impugnato, che, lungi dalnuocere, è anzi favorevole alla causa del suo avversario.

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tre che abbiam recate finora, se non rendono certa que-sta opinione, la rendono almeno, s'io non m'inganno, piùdelle altre probabile. E forse ancora potè avvenire chequesta scoperta si facesse dagli Arabi nel regno di Na-poli di cui essi in que' tempi furono in gran parte signo-ri, che i primi ad usarne nella navigazione fossero gliamalfitani, e che perciò ne fossero essi creduti i primi ri-trovatori (31). Io so che questa opinione è stata rigettatacome improbabile nella prefazione premessa al primotomo della Storia generale de' Viaggi. Ho lette le diffi-coltà che ad essa si oppongono, e che a me non sembra-no di molta forza. Ma come io non iscrivo la storia lette-raria degli Arabi, non giova che mi trattenga a farne undiligente esame. Ognun ne senta come meglio gli piace.A me basta aver dimostrato che, se vogliamo esser sin-ceri, non possiamo vantarci con sicurezza di essere statii primi autori di tale scoperta (32).31 Mi sembra non improbabile la maniera con cui il sig. Landi nel compendio

francese della mia Storia si studia di conciliare la comune opinione, percui si dà al Gioia l'onore di questa scoperta, co' monumenti certissimi checi dimostrano ch'essa era assai più antica (t. 2, p. 335). Crede egli dunqueche fino a' tempi del Gioia si usasse dell'ago calamitato nel modo che sidescrive dal Bellovacense e da altri, cioè col porre l'ago calamitato soprauna festuca, adagiando poi questa in un vaso d'acqua; e che poscia il Giojatrovasse il modo di formare la bussola, come ora si usa, e che essendo allo-ra il regno di Napoli, di cui era natio sotto il dominio della casa di Angiò,egli vi aggiugnesse l'ornamento del giglio, che tuttor si segue nelle bussolenautiche.

32 L'erudito sig. d. Pietro Napoli Signorelli ha trattato egli pure a lungo que-sto argomento (Vicende della coltura nelle due Sicilie, t. 2, p. 287, ec.), edopo aver mostrata l'insussistenza delle altre opinioni, e riconosciuta anco-ra troppo incerta quella che fa lo scopritor della bussola l'amalfitano FlavioGioia, propone alcune difficoltà contro la mia opinione, le quali però pruo-

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tre che abbiam recate finora, se non rendono certa que-sta opinione, la rendono almeno, s'io non m'inganno, piùdelle altre probabile. E forse ancora potè avvenire chequesta scoperta si facesse dagli Arabi nel regno di Na-poli di cui essi in que' tempi furono in gran parte signo-ri, che i primi ad usarne nella navigazione fossero gliamalfitani, e che perciò ne fossero essi creduti i primi ri-trovatori (31). Io so che questa opinione è stata rigettatacome improbabile nella prefazione premessa al primotomo della Storia generale de' Viaggi. Ho lette le diffi-coltà che ad essa si oppongono, e che a me non sembra-no di molta forza. Ma come io non iscrivo la storia lette-raria degli Arabi, non giova che mi trattenga a farne undiligente esame. Ognun ne senta come meglio gli piace.A me basta aver dimostrato che, se vogliamo esser sin-ceri, non possiamo vantarci con sicurezza di essere statii primi autori di tale scoperta (32).31 Mi sembra non improbabile la maniera con cui il sig. Landi nel compendio

francese della mia Storia si studia di conciliare la comune opinione, percui si dà al Gioia l'onore di questa scoperta, co' monumenti certissimi checi dimostrano ch'essa era assai più antica (t. 2, p. 335). Crede egli dunqueche fino a' tempi del Gioia si usasse dell'ago calamitato nel modo che sidescrive dal Bellovacense e da altri, cioè col porre l'ago calamitato soprauna festuca, adagiando poi questa in un vaso d'acqua; e che poscia il Giojatrovasse il modo di formare la bussola, come ora si usa, e che essendo allo-ra il regno di Napoli, di cui era natio sotto il dominio della casa di Angiò,egli vi aggiugnesse l'ornamento del giglio, che tuttor si segue nelle bussolenautiche.

32 L'erudito sig. d. Pietro Napoli Signorelli ha trattato egli pure a lungo que-sto argomento (Vicende della coltura nelle due Sicilie, t. 2, p. 287, ec.), edopo aver mostrata l'insussistenza delle altre opinioni, e riconosciuta anco-ra troppo incerta quella che fa lo scopritor della bussola l'amalfitano FlavioGioia, propone alcune difficoltà contro la mia opinione, le quali però pruo-

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XXXVI. Mentre in tal maniera si richiama-vano a luce gli studj fisici e matematici, lafilosofia morale cominciò ella ancora adavere chi ad essa si rivolgesse, e la illustras-

se scrivendo; e ne abbiamo le pruove in più opere diquesti tempi, che sono alle stampe, o che conservansimanoscritte. Brunetto Latini, di cui parleremo nel terzolibro, credesi che formasse il compendio dell'Eticad'Aristotele stampato prima in Lione l'an. 1568, posciaassai più correttamente in Firenze l'an. 1734. Ma il co.Giammaria Mazzucchelli nelle sue note a Filippo Villa-ni (pag. 58, nota 6) e l'ab. Mehus (Vita Ambr. camald. p.157) osservano giustamente che questo compendio nonè altro che il VI libro del Tesoro dallo stesso Latini scrit-to in francese. In fatti niuno degli antichi scrittori cheragionano del Latini, i passi dei quali sono stati diligen-temente raccolti dallo stesso ch. Mehus fa espressa men-zione di tal lavoro. Anche il Tesoro del Latini appartienein parte alla filosofia morale; ma di esso ragioneremo aluogo più opportuno. Abbiam di sopra fatta menzionedel trattato del Governo della Famiglia, scritto l'an. 1299da Sandro di Pipozzo di Sandro fiorentino, e rammenta-to dal Redi. I Comenti fatti da s. Tommaso sulla Eticad'Aristotele, le opere da lui e da Egidio Colonna compo-ste sul Reggimento de' Principi, la seconda delle quali

vano solamente ciò che anch'io ho confessato, che solo per congettura sipuò attribuire agli Arabi questa scoperta, e conchiude, come io pure hoconchiuso, che potè ancora quell'invenzione esser propria degli Arabi sta-biliti nella Puglia.

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Scrittori di filosofia morale.

XXXVI. Mentre in tal maniera si richiama-vano a luce gli studj fisici e matematici, lafilosofia morale cominciò ella ancora adavere chi ad essa si rivolgesse, e la illustras-

se scrivendo; e ne abbiamo le pruove in più opere diquesti tempi, che sono alle stampe, o che conservansimanoscritte. Brunetto Latini, di cui parleremo nel terzolibro, credesi che formasse il compendio dell'Eticad'Aristotele stampato prima in Lione l'an. 1568, posciaassai più correttamente in Firenze l'an. 1734. Ma il co.Giammaria Mazzucchelli nelle sue note a Filippo Villa-ni (pag. 58, nota 6) e l'ab. Mehus (Vita Ambr. camald. p.157) osservano giustamente che questo compendio nonè altro che il VI libro del Tesoro dallo stesso Latini scrit-to in francese. In fatti niuno degli antichi scrittori cheragionano del Latini, i passi dei quali sono stati diligen-temente raccolti dallo stesso ch. Mehus fa espressa men-zione di tal lavoro. Anche il Tesoro del Latini appartienein parte alla filosofia morale; ma di esso ragioneremo aluogo più opportuno. Abbiam di sopra fatta menzionedel trattato del Governo della Famiglia, scritto l'an. 1299da Sandro di Pipozzo di Sandro fiorentino, e rammenta-to dal Redi. I Comenti fatti da s. Tommaso sulla Eticad'Aristotele, le opere da lui e da Egidio Colonna compo-ste sul Reggimento de' Principi, la seconda delle quali

vano solamente ciò che anch'io ho confessato, che solo per congettura sipuò attribuire agli Arabi questa scoperta, e conchiude, come io pure hoconchiuso, che potè ancora quell'invenzione esser propria degli Arabi sta-biliti nella Puglia.

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Scrittori di filosofia morale.

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trovasi recata in lingua italiana fin dall'an. 1288 (ib. p.159), appartengono a questa medesima classe. Ed altresomiglianti opere potrei qui rammentare, se non temessidi recar noia a chi legge con un'ignuda serie di nomi econ troppo minute e sterili discussioni. Ristringerommiperciò a un solo che è degno di particolar rimembranza,dico ad Albertano giudice di Brescia.

XXXVII. Assai scarse son le notizie che dilui ci hanno lasciate gli antichi scrittori el'unico tra essi, presso cui io ne abbia trova-ta menzione, è Jacopo Malvezzi brescianoscrittore del sec. XV, il quale parlando de'

tempi di Federigo II così ne dice: "Per haec tempora Al-bertanus de Albertanis jurisperitus civis egregius in haccivitate habebatur, vir praecipuus, sapientia plenus. Hicmulta Moralium dogmata ad utilitatem suorum civiumceterorumque legentium quosdam libros componens mi-rabiliter scripsit (Script. rer. ital. vol. 14, p. 907)". Qual-che più distinta notizia ne abbiamo al fine del primo de'tre trattati da lui composti, ove così si legge: "Qui ècompiuto il libro della forma dell'onesta vita, il qualecompilò Albertano Giudice di Brescia della contrada dis. Agata quando era nella prigione di Messer lo impera-dore Federigo, nella quale fu messo, quando egli era Ca-pitano di Gavardo, per difendere quel luogo ad utilitàdei Comuni di Brescia negli anni di Cristo milledugen-totrentotto del mese d'Agosto nella undecima indizio-

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Notizie di Albertano giudice e delle sue opere.

trovasi recata in lingua italiana fin dall'an. 1288 (ib. p.159), appartengono a questa medesima classe. Ed altresomiglianti opere potrei qui rammentare, se non temessidi recar noia a chi legge con un'ignuda serie di nomi econ troppo minute e sterili discussioni. Ristringerommiperciò a un solo che è degno di particolar rimembranza,dico ad Albertano giudice di Brescia.

XXXVII. Assai scarse son le notizie che dilui ci hanno lasciate gli antichi scrittori el'unico tra essi, presso cui io ne abbia trova-ta menzione, è Jacopo Malvezzi brescianoscrittore del sec. XV, il quale parlando de'

tempi di Federigo II così ne dice: "Per haec tempora Al-bertanus de Albertanis jurisperitus civis egregius in haccivitate habebatur, vir praecipuus, sapientia plenus. Hicmulta Moralium dogmata ad utilitatem suorum civiumceterorumque legentium quosdam libros componens mi-rabiliter scripsit (Script. rer. ital. vol. 14, p. 907)". Qual-che più distinta notizia ne abbiamo al fine del primo de'tre trattati da lui composti, ove così si legge: "Qui ècompiuto il libro della forma dell'onesta vita, il qualecompilò Albertano Giudice di Brescia della contrada dis. Agata quando era nella prigione di Messer lo impera-dore Federigo, nella quale fu messo, quando egli era Ca-pitano di Gavardo, per difendere quel luogo ad utilitàdei Comuni di Brescia negli anni di Cristo milledugen-totrentotto del mese d'Agosto nella undecima indizio-

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Notizie di Albertano giudice e delle sue opere.

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ne". La stessa cosa si legge narrata in lingua latina indue codici mss. dello stesso trattato, che si conservanol'un nella real biblioteca di Torino (Cat. Bibl. Taurin. t.2, p. 42), l'altro in quella di s. Marco in Venezia (Cod.Bibl. s. Marci t. 2, p. 80) se non che in questo il castelloda Albertano difeso dicesi Gavarallo; e in amendue siaggiugne ch'egli era tenuto prigione in Cremona. Il fattoperò, che qui ci vien raccontato, soffre non piccola diffi-coltà, poichè non sembra possibile ch'ei potesse difende-re il castel di Gavardo contro di Federigo l'an. 1138, chefu l'anno medesimo in cui Brescia sostenne con sì rarovalore l'assedio inutilmente postole dal medesimo Fede-rigo. Il castel di Gavardo fin dall'anno innanzi, comenarra il sopraccitato Malvezzi (l. c. p. 909, 914), erasi ri-bellato contro i Bresciani, ed avea abbracciato il partitodi Federigo; nè i Bresciani il poterono soggettare primadell'an. 1240. Come potea dunque Albertano difenderlocontro di Federigo l'an. 1238? L'unica spiegazione chemi sembrano ammettere queste parole, quando si credadi dover conciliare insieme i codici antichi collo storicoMalvezzi si è che allor quando il castel di Gavardo ri-bellossi a' Bresciani, Albertano che vi presiedeva, si te-nesse fermo per essi e che perciò fosse chiuso in prigio-ne da Federigo, e in essa l'anno seguente componesse ildetto trattato. Seppure non dobbiamo anzi in parte atte-nerci a ciò che leggesi in un codice ms. dello stesso trat-tato, ch'è citato dall'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 189),ove dicesi ch'ei fu fatto prigione da Federigo allor quan-do fu espugnata Brescia, cui egli difendeva. Brescia non

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ne". La stessa cosa si legge narrata in lingua latina indue codici mss. dello stesso trattato, che si conservanol'un nella real biblioteca di Torino (Cat. Bibl. Taurin. t.2, p. 42), l'altro in quella di s. Marco in Venezia (Cod.Bibl. s. Marci t. 2, p. 80) se non che in questo il castelloda Albertano difeso dicesi Gavarallo; e in amendue siaggiugne ch'egli era tenuto prigione in Cremona. Il fattoperò, che qui ci vien raccontato, soffre non piccola diffi-coltà, poichè non sembra possibile ch'ei potesse difende-re il castel di Gavardo contro di Federigo l'an. 1138, chefu l'anno medesimo in cui Brescia sostenne con sì rarovalore l'assedio inutilmente postole dal medesimo Fede-rigo. Il castel di Gavardo fin dall'anno innanzi, comenarra il sopraccitato Malvezzi (l. c. p. 909, 914), erasi ri-bellato contro i Bresciani, ed avea abbracciato il partitodi Federigo; nè i Bresciani il poterono soggettare primadell'an. 1240. Come potea dunque Albertano difenderlocontro di Federigo l'an. 1238? L'unica spiegazione chemi sembrano ammettere queste parole, quando si credadi dover conciliare insieme i codici antichi collo storicoMalvezzi si è che allor quando il castel di Gavardo ri-bellossi a' Bresciani, Albertano che vi presiedeva, si te-nesse fermo per essi e che perciò fosse chiuso in prigio-ne da Federigo, e in essa l'anno seguente componesse ildetto trattato. Seppure non dobbiamo anzi in parte atte-nerci a ciò che leggesi in un codice ms. dello stesso trat-tato, ch'è citato dall'Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 189),ove dicesi ch'ei fu fatto prigione da Federigo allor quan-do fu espugnata Brescia, cui egli difendeva. Brescia non

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fu espugnata; ma nondimeno poteva Albertano in qual-che sortita rimaner prigione. Par nondimeno che mag-gior fede si debba a tre codici da noi rammentati, chenon a un solo veduto dall'Oudin, e di cui inoltre ei nonreca le espresse parole. Comunque sia, egli standosi inprigione compose il trattato Dell'amore e dilezione diDio e del prossimo, e della forma dell'onesta vita, cuiindirizzò a Vincenzo suo figliuolo. Poscia un altro nescrisse Della consolazione e del consiglio, e indirizzolloa Giovanni altro suo figlio, di cui dice nel proemio: A tefigliuol mio Giovanni, lo qual t'aoperi nell'arte di cirur-gia. L'Oudin afferma che questo libro ancora fu da luiscritto in prigione; ma nel codice di cui si valse Bastiande Tossi per farne la prima edizione italiana in Firenzel'an. 1610, al fin di questo trattato si legge ciò solamente"Finisce il libro d'Albertano Giudice da Brescia dellaContrada di s. Agata della Consolazione e del consigliocomposto sotto anni Domini 1246 delli mesi d'Aprile edi Maggio". Per ultimo un altro assai più breve ne ab-biamo scritto innanzi al secondo e indirizzato a Stefanopur suo figliuolo, intitolato Delle sei maniere del parla-re, o altrimenti ammaestramento di dire e di tacere, cheda lui fu composto, come si legge al fine dello stesso co-dice, nel dicembre dell'an. 1245. Questi trattati, da cuinon sembran diversi que' che il Muratori afferma esiste-re manoscritti nella biblioteca ambrosiana (Antiq. Ital. t.3, p. 916, 917), furono da Albertano scritti in latino. Manello stesso sec. XIII, e non molti anni dopo la loro pub-blicazione, furon tradotti in lingua italiana come si scuo-

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fu espugnata; ma nondimeno poteva Albertano in qual-che sortita rimaner prigione. Par nondimeno che mag-gior fede si debba a tre codici da noi rammentati, chenon a un solo veduto dall'Oudin, e di cui inoltre ei nonreca le espresse parole. Comunque sia, egli standosi inprigione compose il trattato Dell'amore e dilezione diDio e del prossimo, e della forma dell'onesta vita, cuiindirizzò a Vincenzo suo figliuolo. Poscia un altro nescrisse Della consolazione e del consiglio, e indirizzolloa Giovanni altro suo figlio, di cui dice nel proemio: A tefigliuol mio Giovanni, lo qual t'aoperi nell'arte di cirur-gia. L'Oudin afferma che questo libro ancora fu da luiscritto in prigione; ma nel codice di cui si valse Bastiande Tossi per farne la prima edizione italiana in Firenzel'an. 1610, al fin di questo trattato si legge ciò solamente"Finisce il libro d'Albertano Giudice da Brescia dellaContrada di s. Agata della Consolazione e del consigliocomposto sotto anni Domini 1246 delli mesi d'Aprile edi Maggio". Per ultimo un altro assai più breve ne ab-biamo scritto innanzi al secondo e indirizzato a Stefanopur suo figliuolo, intitolato Delle sei maniere del parla-re, o altrimenti ammaestramento di dire e di tacere, cheda lui fu composto, come si legge al fine dello stesso co-dice, nel dicembre dell'an. 1245. Questi trattati, da cuinon sembran diversi que' che il Muratori afferma esiste-re manoscritti nella biblioteca ambrosiana (Antiq. Ital. t.3, p. 916, 917), furono da Albertano scritti in latino. Manello stesso sec. XIII, e non molti anni dopo la loro pub-blicazione, furon tradotti in lingua italiana come si scuo-

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pre da parecchi codici che si citano dal co. Mazzucchelli(Scritt. ital. t. 1, par. 1, art. Albertano), in alcuni de'quali vi ha qualche diversità nell'assegnar l'anno in cui ilsecondo e il terzo trattato scritti furono da Albertano. Daquesto scrittore non convien certo aspettarci nè metododi discorso, nè forza di raziocinio, nè precisione d'idee.Ei non fa quasi altro che accozzare insieme, detti dellasacra Scrittura e di molti autori sacri e profani sull'argo-mento di cui ragiona; e a' tempi in cui egli vivea, non èpiccola lode che potesse far tanto. Di qualche altra suaoperetta e di alcuni sermoni inediti da lui scritti veggan-si i due sopraccitati scrittori, l'Oudin e il co. Mazzuc-chelli il quale avverte, recando l'autorità del card. Queri-ni, che il Crescimbeni e il Quario hanno affermato tro-varsi ancora di lui alcune poesie italiane nella bibliotecastrozziana ma che ogni possibile diligenza fatta per rin-venirle era stata inutile.

XXXVIII. Questi furon coloro che del lorsapere in filosofia ci lasciaron monumentinelle loro opere. Alcuni altri ve n'ebbe de'quali è a credere che fossero ne' medesimistudj ben istruiti, perchè furon trascelti a te-

nerne pubblica scuola; ma che non ci han tramandato al-cun testimonio della loro erudizione. I professoridell'università di Bologna dovrebbon qui aver luogo.Essi dovean certo goder di gran nome, poichè FederigoII li trascelse fra tutti per inviar loro le opere d'Aristote-

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Scarso nu-mero de' professori di filosofia in Bologna.

pre da parecchi codici che si citano dal co. Mazzucchelli(Scritt. ital. t. 1, par. 1, art. Albertano), in alcuni de'quali vi ha qualche diversità nell'assegnar l'anno in cui ilsecondo e il terzo trattato scritti furono da Albertano. Daquesto scrittore non convien certo aspettarci nè metododi discorso, nè forza di raziocinio, nè precisione d'idee.Ei non fa quasi altro che accozzare insieme, detti dellasacra Scrittura e di molti autori sacri e profani sull'argo-mento di cui ragiona; e a' tempi in cui egli vivea, non èpiccola lode che potesse far tanto. Di qualche altra suaoperetta e di alcuni sermoni inediti da lui scritti veggan-si i due sopraccitati scrittori, l'Oudin e il co. Mazzuc-chelli il quale avverte, recando l'autorità del card. Queri-ni, che il Crescimbeni e il Quario hanno affermato tro-varsi ancora di lui alcune poesie italiane nella bibliotecastrozziana ma che ogni possibile diligenza fatta per rin-venirle era stata inutile.

XXXVIII. Questi furon coloro che del lorsapere in filosofia ci lasciaron monumentinelle loro opere. Alcuni altri ve n'ebbe de'quali è a credere che fossero ne' medesimistudj ben istruiti, perchè furon trascelti a te-

nerne pubblica scuola; ma che non ci han tramandato al-cun testimonio della loro erudizione. I professoridell'università di Bologna dovrebbon qui aver luogo.Essi dovean certo goder di gran nome, poichè FederigoII li trascelse fra tutti per inviar loro le opere d'Aristote-

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Scarso nu-mero de' professori di filosofia in Bologna.

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le, come sopra si detto. E pare perciò che belle e copiosenotizie avremmo dovuto intorno ad essi aspettarci nellarecente eruditissima Storia di quella Università. Ma noiveggiamo con maraviglia che la serie dei professori filo-sofi si ristringe a pochissimi, e inoltre non ci presentacomunemente di essi che i nudi nomi. In questo secoloveggiam nominato il Moneta cremonese dell'Ord. de'Predicatori, di cui abbiamo altrove parlato, e abbiam ve-duto che prima di entrare in quest'ordine era stato in Bo-logna, pubblico professore di filosofia. A lui sieguemaestro Lapo fiorentino, di cui provano i registri dellacomunità di Bologna, che fu scelto da' frati detti delSacco l'an. 1270 a leggere logica e fisica nel lor conven-to collo stipendio di 30 lire bolognesi oltre il vitto (DeProf. Bonon. t. 1, p. 499). Sei altri se ne aggiungono, de'quali altro non ci vien detto se non che furono in questosecolo professori di filosofia (p. 500, ec.), e sono mae-stro Gentile da Cingoli, maestro Guglielmo da Dessara,maestro Teodolico da Cremona, maestro Reginaldo daMelanto, maestro Martino spagnuolo, e maestro Pelle-grino da Piumazzo. Vi sarà forse chi pensi che con unesame più diligente de' monumenti di questo secolo altrepiù copiose notizie si potesse raccogliere su questo ar-gomento. Ma il ch. P. abate Fattorini, continuator dellaStoria della detta Università, ci assicura che niun'altramemoria se ne ritrova; e di questa sì scarsa serie di pro-fessori filosofi egli ne incolpa (ib. p. 500) la troppomaggiore stima in cui erano gli altri studj, per cui avve-niva che assai più erano, professori delle altre scienze, e

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le, come sopra si detto. E pare perciò che belle e copiosenotizie avremmo dovuto intorno ad essi aspettarci nellarecente eruditissima Storia di quella Università. Ma noiveggiamo con maraviglia che la serie dei professori filo-sofi si ristringe a pochissimi, e inoltre non ci presentacomunemente di essi che i nudi nomi. In questo secoloveggiam nominato il Moneta cremonese dell'Ord. de'Predicatori, di cui abbiamo altrove parlato, e abbiam ve-duto che prima di entrare in quest'ordine era stato in Bo-logna, pubblico professore di filosofia. A lui sieguemaestro Lapo fiorentino, di cui provano i registri dellacomunità di Bologna, che fu scelto da' frati detti delSacco l'an. 1270 a leggere logica e fisica nel lor conven-to collo stipendio di 30 lire bolognesi oltre il vitto (DeProf. Bonon. t. 1, p. 499). Sei altri se ne aggiungono, de'quali altro non ci vien detto se non che furono in questosecolo professori di filosofia (p. 500, ec.), e sono mae-stro Gentile da Cingoli, maestro Guglielmo da Dessara,maestro Teodolico da Cremona, maestro Reginaldo daMelanto, maestro Martino spagnuolo, e maestro Pelle-grino da Piumazzo. Vi sarà forse chi pensi che con unesame più diligente de' monumenti di questo secolo altrepiù copiose notizie si potesse raccogliere su questo ar-gomento. Ma il ch. P. abate Fattorini, continuator dellaStoria della detta Università, ci assicura che niun'altramemoria se ne ritrova; e di questa sì scarsa serie di pro-fessori filosofi egli ne incolpa (ib. p. 500) la troppomaggiore stima in cui erano gli altri studj, per cui avve-niva che assai più erano, professori delle altre scienze, e

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che alcuni ancora di quelli ch'erano destinati alle filoso-fiche cattedre, trascorsi alcuni anni, passavano ad altrescuole più onorevoli insieme e più vantaggiose.

XXXIX. Lo stesso dee dirsi dell'universitàdi Padova, dei cui professori filosofi abbiamfinora assai scarse notizie. Parlando dell'ori-gine e della vicende di essa, abbiam recatoil passo dello storico Rolandino, in cui ci ha

conservati i nomi di quattro tra essi che l'an. 1161 legge-vano uno la logica, gli altri la fisica. Questo basta, mo-strarci che non pochi dovettero ivi essere in questo seco-lo, professori di tale scienza. Abbiam pure ivi parlato diquel Guglielmo da Brescia, che ivi teneva scuola di filo-sofia l'an. 1274. Oltre questi, altri non ci nomina il ch.Facciolati (Fasti Gymn. patav. pars 1, p. 13), fuorchè uncerto Pace del Friuli di cui rammenta alcuni componi-menti poetici che rimangono manoscritti, uno de' qualisulla festa detta delle Marie è stato dato alla luce dal ch.ed eruditiss. senatore Flaminio Cornaro (Eccles. ven.dec. 5, p. 303); e mostra insieme ch'ei non era nè ferra-rese, nè forlivese, come da alcuni è stato scritto, ma sìdel Friuli. Ei nomina ancora Matteo Roncalitrio profes-sore di medicina insieme e di filosofia. Il Papadopoli(Hist. Gymn. patav. l. 3, sect. 2, c. 2) pone al fine di que-sto secolo stesso Jacopo di Forlì medico esso pure e in-sieme filosofo, e detto nell'iscrizion sepolcrale nuovoAristotele e nuovo Ippocrate. Il Facciolati il fa vissutoun secol più tardi (l. c. pars 2, p. 101). Se questi scritto-

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Anche in Padova se ne trovano assai pochi.

che alcuni ancora di quelli ch'erano destinati alle filoso-fiche cattedre, trascorsi alcuni anni, passavano ad altrescuole più onorevoli insieme e più vantaggiose.

XXXIX. Lo stesso dee dirsi dell'universitàdi Padova, dei cui professori filosofi abbiamfinora assai scarse notizie. Parlando dell'ori-gine e della vicende di essa, abbiam recatoil passo dello storico Rolandino, in cui ci ha

conservati i nomi di quattro tra essi che l'an. 1161 legge-vano uno la logica, gli altri la fisica. Questo basta, mo-strarci che non pochi dovettero ivi essere in questo seco-lo, professori di tale scienza. Abbiam pure ivi parlato diquel Guglielmo da Brescia, che ivi teneva scuola di filo-sofia l'an. 1274. Oltre questi, altri non ci nomina il ch.Facciolati (Fasti Gymn. patav. pars 1, p. 13), fuorchè uncerto Pace del Friuli di cui rammenta alcuni componi-menti poetici che rimangono manoscritti, uno de' qualisulla festa detta delle Marie è stato dato alla luce dal ch.ed eruditiss. senatore Flaminio Cornaro (Eccles. ven.dec. 5, p. 303); e mostra insieme ch'ei non era nè ferra-rese, nè forlivese, come da alcuni è stato scritto, ma sìdel Friuli. Ei nomina ancora Matteo Roncalitrio profes-sore di medicina insieme e di filosofia. Il Papadopoli(Hist. Gymn. patav. l. 3, sect. 2, c. 2) pone al fine di que-sto secolo stesso Jacopo di Forlì medico esso pure e in-sieme filosofo, e detto nell'iscrizion sepolcrale nuovoAristotele e nuovo Ippocrate. Il Facciolati il fa vissutoun secol più tardi (l. c. pars 2, p. 101). Se questi scritto-

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Anche in Padova se ne trovano assai pochi.

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ri, che potean consultare gli autentici monumenti diquella università, non si accordano insieme su questopunto, come potrem noi conciliarli, o accertare chi diessi abbia colpito nel vero? De' professori di altre uni-versità non abbiam alcuna particolare contezza. Sarebbequi finalmente luogo opportuno a parlare di Pier de'Crescenzi, che visse in gran parte a questo secolo, e dicui abbiamo un'opera di Agricoltura. Ma questa non fuscritta che al principio del secolo seguente, come a suoluogo proveremo, e ad altro tempo perciò ci riserbiamoa trattarne.

CAPO III.Medicina.

I. Quell'impegno medesimo e quella solle-citudine con cui alcuni de' sovrani ch'ebbea questi tempi l'Italia, si accinsero a com-battere e a discacciar l'ignoranza che la in-gombrava miseramente, fu da essi rivoltonon meno a far rifiorire la medicina. Ben-

chè la scuola salernitana fosse in quest'arte salita a grannome, non eransi però ancora nè conosciuti, nè sradicatigli errori che l'ignoranza e i pregiudizi de' secoli barbariaveano in questa scienza, come in tutte le altre, introdot-ti. Era necessario adunque che i principi da una partecon leggi e con provvedimenti opportuni ne togliesser

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Sollecitudine dei principi nel promuo-ver lo studio della medici-na.

ri, che potean consultare gli autentici monumenti diquella università, non si accordano insieme su questopunto, come potrem noi conciliarli, o accertare chi diessi abbia colpito nel vero? De' professori di altre uni-versità non abbiam alcuna particolare contezza. Sarebbequi finalmente luogo opportuno a parlare di Pier de'Crescenzi, che visse in gran parte a questo secolo, e dicui abbiamo un'opera di Agricoltura. Ma questa non fuscritta che al principio del secolo seguente, come a suoluogo proveremo, e ad altro tempo perciò ci riserbiamoa trattarne.

CAPO III.Medicina.

I. Quell'impegno medesimo e quella solle-citudine con cui alcuni de' sovrani ch'ebbea questi tempi l'Italia, si accinsero a com-battere e a discacciar l'ignoranza che la in-gombrava miseramente, fu da essi rivoltonon meno a far rifiorire la medicina. Ben-

chè la scuola salernitana fosse in quest'arte salita a grannome, non eransi però ancora nè conosciuti, nè sradicatigli errori che l'ignoranza e i pregiudizi de' secoli barbariaveano in questa scienza, come in tutte le altre, introdot-ti. Era necessario adunque che i principi da una partecon leggi e con provvedimenti opportuni ne togliesser

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Sollecitudine dei principi nel promuo-ver lo studio della medici-na.

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gli abusi, e ne fomentasser lo studio, e dall'altra che al-cuni di quelli che nella medicina avean fatti più feliciprogressi, prendessero ad istruire gli altri, col tenernepubblica scuola, e col dare alla luce opere in tale argo-mento pregevoli e vantaggiose. Dell'una e dell'altra cosasi videro lieti principj in Italia nel tempo di cui parlia-mo, nel quale la medicina fu condotta a quella qualun-que siasi perfezione cui le calamità de' tempi e la man-canza de' necessari mezzi potea permettere. Dobbiamqui ragionare di scrittori, e di opere su cui niuno ora sidegna di volgere un guardo, e che si giacciono per lo piùabbandonate nelle polverose biblioteche. Nè col lodarnegli autori io intendo di persuaderne ad alcuno la molestae forse inutil lettura. Qualunque però sia il valore di co-tai libri, noi dobbiam rimirarli come le prime sorgenti diquegli ampi e copiosi fiumi che si son poi venuti for-mando, e non poco dobbiamo esser tenuti a coloro chefurono i primi a sboscare un terreno nel quale noi pas-seggiamo al presente sicuri e lieti.

II. Gli antichi imperadori romani aveanocon leggi utilissime provveduto, come siè da noi mostrato a suo luogo, perchè la

medicina non fosse esercitata se da chi avesse dati inessa bastevoli saggi del suo valore. La barbarie de' tem-pi che sopravvennero dopo, avea fatti dimenticare questiutilissimi provvedimenti, ed è verisimile che si tornasseall'antico abuso di cui doleasi Plinio; cioè che a chiun-

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Leggi perciò promulgate.

gli abusi, e ne fomentasser lo studio, e dall'altra che al-cuni di quelli che nella medicina avean fatti più feliciprogressi, prendessero ad istruire gli altri, col tenernepubblica scuola, e col dare alla luce opere in tale argo-mento pregevoli e vantaggiose. Dell'una e dell'altra cosasi videro lieti principj in Italia nel tempo di cui parlia-mo, nel quale la medicina fu condotta a quella qualun-que siasi perfezione cui le calamità de' tempi e la man-canza de' necessari mezzi potea permettere. Dobbiamqui ragionare di scrittori, e di opere su cui niuno ora sidegna di volgere un guardo, e che si giacciono per lo piùabbandonate nelle polverose biblioteche. Nè col lodarnegli autori io intendo di persuaderne ad alcuno la molestae forse inutil lettura. Qualunque però sia il valore di co-tai libri, noi dobbiam rimirarli come le prime sorgenti diquegli ampi e copiosi fiumi che si son poi venuti for-mando, e non poco dobbiamo esser tenuti a coloro chefurono i primi a sboscare un terreno nel quale noi pas-seggiamo al presente sicuri e lieti.

II. Gli antichi imperadori romani aveanocon leggi utilissime provveduto, come siè da noi mostrato a suo luogo, perchè la

medicina non fosse esercitata se da chi avesse dati inessa bastevoli saggi del suo valore. La barbarie de' tem-pi che sopravvennero dopo, avea fatti dimenticare questiutilissimi provvedimenti, ed è verisimile che si tornasseall'antico abuso di cui doleasi Plinio; cioè che a chiun-

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Leggi perciò promulgate.

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que affermasse di esser medico, si credesse senza altro.Federigo II, il quale fu avvolto in guerre e turbolenze sìgrandi che non parea possibile che potesse pensare aglistudj, e che nondimeno pensò agli studj in modo comese non avesse nè turbolenze nè guerre alcune da soste-nere, Federigo II, dico, fu il primo a rinnovar cotai legginel suo regno di Sicilia. Veggonsi anche al presente nel-le Costituzioni da lui pubblicate quelle con cui comanda(Giannone Stor. di Nap. l. 16, c. 3, Lindbebrog. Cod.Legum antiquar. p. 808) che niuno sia ammesso allo stu-dio della medicina, se prima non abbia per tre anni ap-presa la logica, e che a niuno sia lecito di tenere scuolao di esercitar l'arte della medicina, o della chirurgia, seprima non sia stato esaminato da' medici di Salerno, ov-ver di Napoli; e che, quando da essi fosse stato approva-to, debba prima d'intraprenderne l'esercizio presentarsial re stesso, o a' regj ufficiali, e ottenerne lettere patentiche gliel permettano. La qual legge ci mostra che nonostante l'università eretta in Napoli da Federigo, oveperciò dovean essere ancora professori di medicina, einondimeno volle che la scuola de' medici di Salerno perla celebrità del suo nome ancor sussistesse; il che purfece Manfredi, allor quando l'università di Napoli, ch'eravenuta meno, fu da lui richiamata all'antico splendore,come a suo luogo si è detto. Che il riferito comando diFederigo fosse condotto ad effetto, ne abbiam la pruovain una delle lettere da Pier delle Vigne scritte in nomedel suo sovrano (l. 6, c. 24), ch'è appunto una patentedata ad un medico a cui Federigo concede la facoltà di

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que affermasse di esser medico, si credesse senza altro.Federigo II, il quale fu avvolto in guerre e turbolenze sìgrandi che non parea possibile che potesse pensare aglistudj, e che nondimeno pensò agli studj in modo comese non avesse nè turbolenze nè guerre alcune da soste-nere, Federigo II, dico, fu il primo a rinnovar cotai legginel suo regno di Sicilia. Veggonsi anche al presente nel-le Costituzioni da lui pubblicate quelle con cui comanda(Giannone Stor. di Nap. l. 16, c. 3, Lindbebrog. Cod.Legum antiquar. p. 808) che niuno sia ammesso allo stu-dio della medicina, se prima non abbia per tre anni ap-presa la logica, e che a niuno sia lecito di tenere scuolao di esercitar l'arte della medicina, o della chirurgia, seprima non sia stato esaminato da' medici di Salerno, ov-ver di Napoli; e che, quando da essi fosse stato approva-to, debba prima d'intraprenderne l'esercizio presentarsial re stesso, o a' regj ufficiali, e ottenerne lettere patentiche gliel permettano. La qual legge ci mostra che nonostante l'università eretta in Napoli da Federigo, oveperciò dovean essere ancora professori di medicina, einondimeno volle che la scuola de' medici di Salerno perla celebrità del suo nome ancor sussistesse; il che purfece Manfredi, allor quando l'università di Napoli, ch'eravenuta meno, fu da lui richiamata all'antico splendore,come a suo luogo si è detto. Che il riferito comando diFederigo fosse condotto ad effetto, ne abbiam la pruovain una delle lettere da Pier delle Vigne scritte in nomedel suo sovrano (l. 6, c. 24), ch'è appunto una patentedata ad un medico a cui Federigo concede la facoltà di

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esercitare la medicina, poichè avea dato buon saggio dise medesimo nell'esame al quale erasi sottoposto. Carlo,come imitò gli esempi di Federigo nell'onorare di suaprotezione l'università di Napoli, così pure promossesingolarmente lo studio di medicina, di che il Giannone,citando l'autorità del Summonte, reca in pruova (Stor. diNap. l. 20, c. 1, parag. 2) il chiamarvi ch'ei fece profes-sore di medicina, coll'annuo stipendio di 12 once d'oro,Filippo da Castelcielo medico allor famoso, di cui perònon ci è rimasta, ch'io sappia, memoria alcuna.

III. Ma, come si è accennato, più celebreassai per medici e professori dottissimi erala scuola antichissima di Salerno. Egidio daCorbeil, il cui poema intitolato de Virtutibuset laudibus compositorum medicaminum èstato dato alla luce da Policarpo Leisero

(Hist. Poet. med. aevi p. 502, ec.), e che fu da lui scrittoo alla fine del secolo XII, o al cominciar del seguente,ne fa magnifici elogi, dicendo:

Hunc celebri ritu medicandi provida morem Excolit, et digne veneratur terra Salerni, Urbs Phoebo sacrata, Minervae sedula nutrix, Fons Physicae, pugil eucrasiae, cultrix medicinae. (l. 3, v.

467, ec.).

Quindi dopo aver descritta la situazione di Salerno, el'arte e l'industria con cui vi si curavano le malattie, pro-siegue:

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Celebrità incui conti-nuava ad essere la scuola sa-lernitana.

esercitare la medicina, poichè avea dato buon saggio dise medesimo nell'esame al quale erasi sottoposto. Carlo,come imitò gli esempi di Federigo nell'onorare di suaprotezione l'università di Napoli, così pure promossesingolarmente lo studio di medicina, di che il Giannone,citando l'autorità del Summonte, reca in pruova (Stor. diNap. l. 20, c. 1, parag. 2) il chiamarvi ch'ei fece profes-sore di medicina, coll'annuo stipendio di 12 once d'oro,Filippo da Castelcielo medico allor famoso, di cui perònon ci è rimasta, ch'io sappia, memoria alcuna.

III. Ma, come si è accennato, più celebreassai per medici e professori dottissimi erala scuola antichissima di Salerno. Egidio daCorbeil, il cui poema intitolato de Virtutibuset laudibus compositorum medicaminum èstato dato alla luce da Policarpo Leisero

(Hist. Poet. med. aevi p. 502, ec.), e che fu da lui scrittoo alla fine del secolo XII, o al cominciar del seguente,ne fa magnifici elogi, dicendo:

Hunc celebri ritu medicandi provida morem Excolit, et digne veneratur terra Salerni, Urbs Phoebo sacrata, Minervae sedula nutrix, Fons Physicae, pugil eucrasiae, cultrix medicinae. (l. 3, v.

467, ec.).

Quindi dopo aver descritta la situazione di Salerno, el'arte e l'industria con cui vi si curavano le malattie, pro-siegue:

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Celebrità incui conti-nuava ad essere la scuola sa-lernitana.

Page 333: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favor delle

O si tantum annis, quantum virtute vigeret Bellandi, quantum medicandi praeminet arte, Non ea Teutonici posset trepidare furoris Barbariem, non haec gladios nec bella timeret. (v. 508, ec.)

Nel qual passo a intenderne il senso, convien s'io nonerro, leggere il primo verso così:

O si tantum armis, tantum virtute vigeret, ec.

Colle quali parole ci sembra accennare l'arrendersi cheSalerno fece all'imp. Arrigo V l'an. 1191, (Murat. Ann.d'Ital. ad h. an.) nella guerra da lui mossa a Tancredi.Altrove ancora così ragiona di questa illustre città:

Cujus forma nitet late diffusa per orbem, Quam medicinalis ratio, quam physicus ordo Incolit atque regit quam nostrae providus artis Cultus odoriferis specierum imbalsamat ortis. (l. 4, v. 696,

ec.).

Nè solo egli generalmente esalta quella scuola di medi-cina, ma nomina ancora con grandi elogi al principio delsuo poema que' professori i quali o allor vi fiorivano, ovi erano poco innanzi fioriti. La maggior parte di essisono stati sinora, ch'io sappia, totalmente dimenticati, eparmi perciò conveniente ch'io qui ne rinnovi la ricor-danza.

IV. Il primo, di cui egli ragiona, è PietroMusandino. Musandinus apex, quo tamquam Sole nitenti

333

Professori di essa ce-lebri: PietroMusandino,e Mauro.

O si tantum annis, quantum virtute vigeret Bellandi, quantum medicandi praeminet arte, Non ea Teutonici posset trepidare furoris Barbariem, non haec gladios nec bella timeret. (v. 508, ec.)

Nel qual passo a intenderne il senso, convien s'io nonerro, leggere il primo verso così:

O si tantum armis, tantum virtute vigeret, ec.

Colle quali parole ci sembra accennare l'arrendersi cheSalerno fece all'imp. Arrigo V l'an. 1191, (Murat. Ann.d'Ital. ad h. an.) nella guerra da lui mossa a Tancredi.Altrove ancora così ragiona di questa illustre città:

Cujus forma nitet late diffusa per orbem, Quam medicinalis ratio, quam physicus ordo Incolit atque regit quam nostrae providus artis Cultus odoriferis specierum imbalsamat ortis. (l. 4, v. 696,

ec.).

Nè solo egli generalmente esalta quella scuola di medi-cina, ma nomina ancora con grandi elogi al principio delsuo poema que' professori i quali o allor vi fiorivano, ovi erano poco innanzi fioriti. La maggior parte di essisono stati sinora, ch'io sappia, totalmente dimenticati, eparmi perciò conveniente ch'io qui ne rinnovi la ricor-danza.

IV. Il primo, di cui egli ragiona, è PietroMusandino. Musandinus apex, quo tamquam Sole nitenti

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Professori di essa ce-lebri: PietroMusandino,e Mauro.

Page 334: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favor delle

Et nitet et nituit illustris fama Salerni (l. 1, v. 91, ec.).

Questi era allora già morto, e perciò Egidio soggiungeche lo spirito e il sapere di lui era passato in Mauro, ilquale compensava la perdita fatta di Pietro:

Cujus si fuerit resolutum funere corpus, Spiritus occultat, et magni pectora MauriTota replet. Maurus redimit, damnumque rependitPrima quod in Petro passa est et perdidit aetas.

Di questi due medici non ha fatta menzione alcuna il Fa-bricio nè nella biblioteca latina de' secoli bassi, nè nelcopiosissimo suo indice de' medici antichi (Bibl. gr. t.13). Essi nondimeno furono non sol professori, ma scrit-tori ancora di medicina; e alcuni dei loro trattati tuttor siconservano, ma sol manoscritti. così di Pier Musandinotroviam registrato nel catalogo de' MSS. della Bibliotecadel re di Francia: Summula de preparatione ciborum etpotuum infirmorum secundum Musandinum (t. 4, p. 297,cod. 6954); ch'è forse lo stesso che con altro titolo si ri-trova ne' manoscritti delle Biblioteche d'Inghilterra ed'Irlanda: De diaetis infirmorum secundum MagistrumPetrum de Musanda (Cat. Codd. MSS. Angl. et Hib. t. 1,p. 128, cod. 2461). Più trattati ancora troviam registratidi Mauro nel Catalogo della Biblioteca del re di Francia:Magistri Mauri tractatus de urinis (l. c. p. 298, cod.6963, 6964), e in que' d'Inghilterra e d'Irlanda: LiberPhlebotomiae secundum Magistrum Maurum (t. 2 interCodd. Collegii Novi cod. 1135), e inoltre Maurus Saler-nitanus de urina et febribus (ib. inter Codd. Franc. Ber-

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Et nitet et nituit illustris fama Salerni (l. 1, v. 91, ec.).

Questi era allora già morto, e perciò Egidio soggiungeche lo spirito e il sapere di lui era passato in Mauro, ilquale compensava la perdita fatta di Pietro:

Cujus si fuerit resolutum funere corpus, Spiritus occultat, et magni pectora MauriTota replet. Maurus redimit, damnumque rependitPrima quod in Petro passa est et perdidit aetas.

Di questi due medici non ha fatta menzione alcuna il Fa-bricio nè nella biblioteca latina de' secoli bassi, nè nelcopiosissimo suo indice de' medici antichi (Bibl. gr. t.13). Essi nondimeno furono non sol professori, ma scrit-tori ancora di medicina; e alcuni dei loro trattati tuttor siconservano, ma sol manoscritti. così di Pier Musandinotroviam registrato nel catalogo de' MSS. della Bibliotecadel re di Francia: Summula de preparatione ciborum etpotuum infirmorum secundum Musandinum (t. 4, p. 297,cod. 6954); ch'è forse lo stesso che con altro titolo si ri-trova ne' manoscritti delle Biblioteche d'Inghilterra ed'Irlanda: De diaetis infirmorum secundum MagistrumPetrum de Musanda (Cat. Codd. MSS. Angl. et Hib. t. 1,p. 128, cod. 2461). Più trattati ancora troviam registratidi Mauro nel Catalogo della Biblioteca del re di Francia:Magistri Mauri tractatus de urinis (l. c. p. 298, cod.6963, 6964), e in que' d'Inghilterra e d'Irlanda: LiberPhlebotomiae secundum Magistrum Maurum (t. 2 interCodd. Collegii Novi cod. 1135), e inoltre Maurus Saler-nitanus de urina et febribus (ib. inter Codd. Franc. Ber-

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nardi cod. 3654). Egidio era stato scolaro di Musandino,e prosiegue perciò dolendosi di non potergli inviare isuoi versi che da lui sarebbono certamente graditi assai:

O utinam Musandinus nunc viveret auctor! Ille meos versus digno celebraret honore. Et quod in irriguis illius creverat hortis Ipse meum sentiret olus, gustuque probaret, Ex proprio sale doctrinae traxisse saporem (v. 100, ec.)

Ma poichè egli era morto, si volge a Mauro di lui suc-cessore, e il prega a sostenerne le veci e sembra accen-nare di aver avuto lui pure a maestro.

Suppleat, et Petri Maurus mihi damna reformet;Pastor ovem, membrunque caput, famulumque patronus,Doctor discipulum, noscat sua mater alumnum.

V. Passa quindi a parlare di quel MatteoPlateario, di cui abbiam ragionato nel ter-zo tomo, e di lui pure si duole che più nonviva; poichè goderebbe in veder esposti

poeticamente i rimedj ch'egli già in prosa avea descritti: Vellem quod Medicae doctor Platearius artis Munere divino vitales carperet auras:Gauderet metricis pedibus sua scripta ligari,Et numeris parere meis (v. 110, ec.).

Di mezzo a questi medici ei nomina un eloquente causi-dico, cioè Ursone o Orso salernitano esso pure, di cuidice che goderebbe non poco, se riveder potesse il suoconcittadin Plateario:

335

Altri profes-sori ivi rinno-mati.

nardi cod. 3654). Egidio era stato scolaro di Musandino,e prosiegue perciò dolendosi di non potergli inviare isuoi versi che da lui sarebbono certamente graditi assai:

O utinam Musandinus nunc viveret auctor! Ille meos versus digno celebraret honore. Et quod in irriguis illius creverat hortis Ipse meum sentiret olus, gustuque probaret, Ex proprio sale doctrinae traxisse saporem (v. 100, ec.)

Ma poichè egli era morto, si volge a Mauro di lui suc-cessore, e il prega a sostenerne le veci e sembra accen-nare di aver avuto lui pure a maestro.

Suppleat, et Petri Maurus mihi damna reformet;Pastor ovem, membrunque caput, famulumque patronus,Doctor discipulum, noscat sua mater alumnum.

V. Passa quindi a parlare di quel MatteoPlateario, di cui abbiam ragionato nel ter-zo tomo, e di lui pure si duole che più nonviva; poichè goderebbe in veder esposti

poeticamente i rimedj ch'egli già in prosa avea descritti: Vellem quod Medicae doctor Platearius artis Munere divino vitales carperet auras:Gauderet metricis pedibus sua scripta ligari,Et numeris parere meis (v. 110, ec.).

Di mezzo a questi medici ei nomina un eloquente causi-dico, cioè Ursone o Orso salernitano esso pure, di cuidice che goderebbe non poco, se riveder potesse il suoconcittadin Plateario:

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Altri profes-sori ivi rinno-mati.

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Urso suum te concivem gaudebis (leg. gauderet) adesse Strenuus ambiguos causarum solvere nodos (v. 121, ec.)

Dopo aver dette altre cose in lode di Orso, passa a uncerto Giovanni ch'egli avea conosciuto in Salerno fan-ciullo e scolaro di Musandino, e di cui ora standosi inParigi udiva farsi grandissimi elogi:

Mente bona mea Castalius decreta Joannes Suscipiat, quem, dum pueriles volveret annos,Myrtum humilem Musandino sub praeside vidi, Audio nunc ipsum summis contendere lauris, Et sua nobilibus aequasse cacumina cedris (v. 126, ec.).

Chi fosse questo Giovanni, se il nome aggiuntogli diCastalius sia cognome, o soprannome, ovver se spieghiApollineo, e in tal caso, se debba intendersi di seguaced'Apolline per riguardo alla poesia, di cui è il dio, o perriguardo alla medicina a cui pure per voler de' poeti pre-siede, nol possiamo in alcun modo determinare permancanza di documenti. Finalmente tra' medici salerni-tani nomina Romoaldo, a cui dà il nome di presidentedella medicina, e dopo avere scherzato sul coprirsich'egli facea anche di mezza state il capo con un cappel-lo a tre doppi, dice che egli prima era stato un famosogiureconsulto, ma allora esercitava in Roma la medici-na, ed era, per quanto sembra, medico del papa.

Hos physicae Antistes, quos Aegidiana libellosSanctio produxit, digno Romoaldus honore Consecret, et celebret, qui ne penetrabilis auraeSolvatur radiis, populo mirante, per aestum Obnubit caput et triplici domat astra galero:

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Urso suum te concivem gaudebis (leg. gauderet) adesse Strenuus ambiguos causarum solvere nodos (v. 121, ec.)

Dopo aver dette altre cose in lode di Orso, passa a uncerto Giovanni ch'egli avea conosciuto in Salerno fan-ciullo e scolaro di Musandino, e di cui ora standosi inParigi udiva farsi grandissimi elogi:

Mente bona mea Castalius decreta Joannes Suscipiat, quem, dum pueriles volveret annos,Myrtum humilem Musandino sub praeside vidi, Audio nunc ipsum summis contendere lauris, Et sua nobilibus aequasse cacumina cedris (v. 126, ec.).

Chi fosse questo Giovanni, se il nome aggiuntogli diCastalius sia cognome, o soprannome, ovver se spieghiApollineo, e in tal caso, se debba intendersi di seguaced'Apolline per riguardo alla poesia, di cui è il dio, o perriguardo alla medicina a cui pure per voler de' poeti pre-siede, nol possiamo in alcun modo determinare permancanza di documenti. Finalmente tra' medici salerni-tani nomina Romoaldo, a cui dà il nome di presidentedella medicina, e dopo avere scherzato sul coprirsich'egli facea anche di mezza state il capo con un cappel-lo a tre doppi, dice che egli prima era stato un famosogiureconsulto, ma allora esercitava in Roma la medici-na, ed era, per quanto sembra, medico del papa.

Hos physicae Antistes, quos Aegidiana libellosSanctio produxit, digno Romoaldus honore Consecret, et celebret, qui ne penetrabilis auraeSolvatur radiis, populo mirante, per aestum Obnubit caput et triplici domat astra galero:

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In Physica celebrem, quem Justiniana favore Divitis eloquii prudentia tempore longo Detinuit; sed eum Romanae Curia sedis Nunc colit auctorem physicae, vitaeque parentem (v. 131,

ec.).

Anche di questo Romoaldo, che certamente non può es-ser veruno de' due arcivescovi di Salerno di questonome, siamo totalmente all'oscuro chi egli fosse (33). Ioperò ho creduto che convenisse serbar memoria di que-sti medici italiani, che a quel tempo godeano di tantafama, anche per non tacere una nuova gloria della scuo-la salernitana, cioè che lo stesso Egidio di Corbeil medi-co di Filippo Augusto re di Francia avea ivi appresa lamedicina. Ei per ultimo si rivolge a due medici di Mont-pellier, che non appartengono a questa Storia, e de' qualiperciò io lascio di ragionare. Aggiungo soltanto che ne'codici mss. della Biblioteca dei re di Francia troviamoanche un'opera di un Calabrese, detto Giordano Ruffo,sulle Malattie de' Cavalli, scritta a' tempi di Federigo II.Liber de cura equorum, compositus a Jordano Ruffo mi-lite Calabrensi, et familiari Friderici II Imperatoris (t.4, p. 309, cod. 7058) (34).

33 Di questo Romoaldo veggasi la bell'opera degli Archiatri pontificj del ch.ab. Gaetano Marini, il quale ancor fa menzione di un opuscolo a lui attri-buito (t. 1, p. 9, 10.)

34 Dell'opera di Giordano Ruffo trovansi copie in altre librerie, e tra esse nel-la Nani in Venezia, ove ancora si conserva un trattato sulla Natura e su' ri-medj degli uccelli tradotto dal persiano in latino, e il sig. d. Jacopo Morelliafferma di aver veduta nella pubblica libreria di Padova una traduzionefrancese di questo libro, e di un'altra opera di somigliante argomento fattada un certo Daniello cremonese ad istanza di Enzo figlio dell'imp. Federi-

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In Physica celebrem, quem Justiniana favore Divitis eloquii prudentia tempore longo Detinuit; sed eum Romanae Curia sedis Nunc colit auctorem physicae, vitaeque parentem (v. 131,

ec.).

Anche di questo Romoaldo, che certamente non può es-ser veruno de' due arcivescovi di Salerno di questonome, siamo totalmente all'oscuro chi egli fosse (33). Ioperò ho creduto che convenisse serbar memoria di que-sti medici italiani, che a quel tempo godeano di tantafama, anche per non tacere una nuova gloria della scuo-la salernitana, cioè che lo stesso Egidio di Corbeil medi-co di Filippo Augusto re di Francia avea ivi appresa lamedicina. Ei per ultimo si rivolge a due medici di Mont-pellier, che non appartengono a questa Storia, e de' qualiperciò io lascio di ragionare. Aggiungo soltanto che ne'codici mss. della Biblioteca dei re di Francia troviamoanche un'opera di un Calabrese, detto Giordano Ruffo,sulle Malattie de' Cavalli, scritta a' tempi di Federigo II.Liber de cura equorum, compositus a Jordano Ruffo mi-lite Calabrensi, et familiari Friderici II Imperatoris (t.4, p. 309, cod. 7058) (34).

33 Di questo Romoaldo veggasi la bell'opera degli Archiatri pontificj del ch.ab. Gaetano Marini, il quale ancor fa menzione di un opuscolo a lui attri-buito (t. 1, p. 9, 10.)

34 Dell'opera di Giordano Ruffo trovansi copie in altre librerie, e tra esse nel-la Nani in Venezia, ove ancora si conserva un trattato sulla Natura e su' ri-medj degli uccelli tradotto dal persiano in latino, e il sig. d. Jacopo Morelliafferma di aver veduta nella pubblica libreria di Padova una traduzionefrancese di questo libro, e di un'altra opera di somigliante argomento fattada un certo Daniello cremonese ad istanza di Enzo figlio dell'imp. Federi-

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VI. Nè fu solo il regno di Napoli, in cui sivedesse risorgere in qualche modo la medi-cina. Cominciamo in questo secol medesi-mo a trovar menzione de' collegi de' mediciin alcune città stabiliti, de' quali doveva es-

ser pensiero l'avvivare e il regolare, come meglio fossepossibile, gli studj proprj della lor arte. Nella descriziondello stato in cui era la città di Milano l'an. 1188, di cuiabbiamo parlato altrove, dicesi che i medici giugneanoal numero di 200 (Script. rer. ital. vol. 11, p. 712). Ebenchè non vi si faccia espressa menzion di Collegio,appena sembra possibile che non si fosse pensato a uni-re insieme un corpo sì numeroso. Più certi monumentiabbiamo del collegio de' medici ch'era in Ferrara; per-ciocchè negli antichi Statuti di quella città, altre volte danoi rammentati, esso è nominato (V. Borset. de Gymn.Ferr. p. 11), e vi si accenna ancora l'approvazionech'esso dava a coloro che esercitar voleano la medicina.Ivi inoltre si spiegano i privilegi e l'esenzioni di cui go-deano i medici; e lor si comanda che abbian ciascuno uncavallo di cui valersi nel visitare gl'infermi, e che do-vendo un tal numero di truppe o del comun di Ferrara, odel marchese d'Este andare in campagna, due di essi ledebbano accompagnare. In Brescia ancora è verisimileche fosse un tal collegio perciocchè veggiamo che il ve-

co II. (Codd. MSS. Bibl. Nan. p. 71; Codici ital. p. 66). "L'opera di Giorda-no Ruffo vedesi anche tradotta in italiano da Gabriel Bruno de' Frati Mino-ri ad istanza di Lazzaro Bartolomeo Mazzarello da Modena, e stampata inVenezia nel 1492 per Maistro Pier Bergamasco".

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Collegi de' medici in-stituiti in alcune cit-tà.

VI. Nè fu solo il regno di Napoli, in cui sivedesse risorgere in qualche modo la medi-cina. Cominciamo in questo secol medesi-mo a trovar menzione de' collegi de' mediciin alcune città stabiliti, de' quali doveva es-

ser pensiero l'avvivare e il regolare, come meglio fossepossibile, gli studj proprj della lor arte. Nella descriziondello stato in cui era la città di Milano l'an. 1188, di cuiabbiamo parlato altrove, dicesi che i medici giugneanoal numero di 200 (Script. rer. ital. vol. 11, p. 712). Ebenchè non vi si faccia espressa menzion di Collegio,appena sembra possibile che non si fosse pensato a uni-re insieme un corpo sì numeroso. Più certi monumentiabbiamo del collegio de' medici ch'era in Ferrara; per-ciocchè negli antichi Statuti di quella città, altre volte danoi rammentati, esso è nominato (V. Borset. de Gymn.Ferr. p. 11), e vi si accenna ancora l'approvazionech'esso dava a coloro che esercitar voleano la medicina.Ivi inoltre si spiegano i privilegi e l'esenzioni di cui go-deano i medici; e lor si comanda che abbian ciascuno uncavallo di cui valersi nel visitare gl'infermi, e che do-vendo un tal numero di truppe o del comun di Ferrara, odel marchese d'Este andare in campagna, due di essi ledebbano accompagnare. In Brescia ancora è verisimileche fosse un tal collegio perciocchè veggiamo che il ve-

co II. (Codd. MSS. Bibl. Nan. p. 71; Codici ital. p. 66). "L'opera di Giorda-no Ruffo vedesi anche tradotta in italiano da Gabriel Bruno de' Frati Mino-ri ad istanza di Lazzaro Bartolomeo Mazzarello da Modena, e stampata inVenezia nel 1492 per Maistro Pier Bergamasco".

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Collegi de' medici in-stituiti in alcune cit-tà.

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scovo e signore di quella città Bernardo de' Maggi con-fermò ampiamente a' medici que' privilegi d'immunitàche dagl'imperadori e dal popolo erano stati lor conce-duti (Jac. Malvet. Chron. Brixiens. c. 125, Script. rer.ital. vol. 14, p. 962). In Firenze per ultimo, come rac-conta Giacchetto Malespini continuator della Storia diRicordano suo zio, l'an. 1282 alle arti maggiori si ag-giunse l'Arte de' Medici e Speziali (Stor. fiorent. c. 214).Nella università di Padova non pare che questa scienzafosse ancora in gran pregio; almen non troviamo memo-ria d'alcun celebre professore distinto da' professori filo-sofi, che ivi ne tenesse scuola, fino verso il principio delsecol seguente, nel qual tempo e' vi fu chiamato il cele-bre Pietro d'Abano di cui a suo luogo ragioneremo. Anzidalla maniera con cui ne parlano il Papadopoli e il Fac-ciolati, sembra che non vi fosse ancora collegio di medi-ci (Papadop. Hist. Gymn. patav. t. 1, p. 33, ec.; Facciol.Fasti Gymn. patav. pars 1, p. 14), ma che solo alcuni,quasi di autorità loro privata, vi tenessero scuola.

VII. Non così in Bologna. Ivi veggiamo chesin da' tempi di Onorio III dovea essere infiore la scuola di medicina; perciocchè que-sto pontefice avendo udito che non ostanteil divieto fattone da Alessandro III nel Con-

cilio di Tours alcuni religiosi proseguivano ad uscire da'chiostri per recarsi nelle pubbliche scuole allo studiodella medicina, non meno che delle leggi, rinnovò lo

339

Quanto fio-risse lo stu-dio dellamedicina inBologna.

scovo e signore di quella città Bernardo de' Maggi con-fermò ampiamente a' medici que' privilegi d'immunitàche dagl'imperadori e dal popolo erano stati lor conce-duti (Jac. Malvet. Chron. Brixiens. c. 125, Script. rer.ital. vol. 14, p. 962). In Firenze per ultimo, come rac-conta Giacchetto Malespini continuator della Storia diRicordano suo zio, l'an. 1282 alle arti maggiori si ag-giunse l'Arte de' Medici e Speziali (Stor. fiorent. c. 214).Nella università di Padova non pare che questa scienzafosse ancora in gran pregio; almen non troviamo memo-ria d'alcun celebre professore distinto da' professori filo-sofi, che ivi ne tenesse scuola, fino verso il principio delsecol seguente, nel qual tempo e' vi fu chiamato il cele-bre Pietro d'Abano di cui a suo luogo ragioneremo. Anzidalla maniera con cui ne parlano il Papadopoli e il Fac-ciolati, sembra che non vi fosse ancora collegio di medi-ci (Papadop. Hist. Gymn. patav. t. 1, p. 33, ec.; Facciol.Fasti Gymn. patav. pars 1, p. 14), ma che solo alcuni,quasi di autorità loro privata, vi tenessero scuola.

VII. Non così in Bologna. Ivi veggiamo chesin da' tempi di Onorio III dovea essere infiore la scuola di medicina; perciocchè que-sto pontefice avendo udito che non ostanteil divieto fattone da Alessandro III nel Con-

cilio di Tours alcuni religiosi proseguivano ad uscire da'chiostri per recarsi nelle pubbliche scuole allo studiodella medicina, non meno che delle leggi, rinnovò lo

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Quanto fio-risse lo stu-dio dellamedicina inBologna.

Page 340: Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...dj. XVI. Lo stesso fanno Carlo I, e Carlo II. XVII. Profondo sape-re di Innocenzo III, papa. XVIII. Leggi da lui promulgate in favor delle

stesso divieto con una sua decretale (l. 3 Decret. tit. 50ne Clerici c. 10 super Specula), e ordinò che chi in av-venire lo trasgredisse si dichiarasse incorso nella sco-munica (35). La qual decretale afferma il p. Sarti (DeProf. Bonon. t. 1, p. 433), e io penso che non lo affermisenza probabile fondamento, che fu da lui indirizzata alvescovo di Bologna, perchè in questa città singolarmen-te dovea ciò avvenire. E certo molti medici veggiam no-minati ne' monumenti di quella città presso il medesimoautore, non solo nel sec. XIII, ma anche nel precedente;e veggiamo ancora acuni tra' medici cominciare a pren-dere l'onorevol titolo di maestri, tra i quali il primo fuJacopo da Bertinoro, il quale poscia l'an. 1199 entrò tra'Canonici regolari di s. Giovanni in Monte (ib. p. 441).Ma perchè non vi era quasi medico alcuno che si arro-gasse il titolo di maestro, dopo la metà del XIII secolo siprese a conferire la laurea, e ad onorar col titolo di dot-tori quei che in quest'arte erano meglio istruiti (ib. p.434). Quindi una certa lodevole emulazione si accesetra' medici e tra i legisti; e i primi presero ad imitare isecondi nel far le chiose alle opere de' medici antichi, enell'illustrarle con dichiarazioni e comenti; anzi preteserquesti in certa maniera di fare un corpo separato dal ri-

35 Prima ancora di Onorio III, avea Innocenzo III vietato agli ecclesiasticil'esercizio della chirurgia, che portasse seco abbruciamento, o incisione dimembra. Quindi Bonifacio VIII, di cui l'Haller si duole che vietasse agliecclesiastici tutti la chirurgia, tanto fu lungi dal farlo, che anzi dichiarò chela legge di Onorio III non doveasi stendere che a' soli monaci. Veggasi suciò la bella opera del sig. ab. Gaetano Marini (Degli Archiatri pontificj t. 1,p. 5, ec.).

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stesso divieto con una sua decretale (l. 3 Decret. tit. 50ne Clerici c. 10 super Specula), e ordinò che chi in av-venire lo trasgredisse si dichiarasse incorso nella sco-munica (35). La qual decretale afferma il p. Sarti (DeProf. Bonon. t. 1, p. 433), e io penso che non lo affermisenza probabile fondamento, che fu da lui indirizzata alvescovo di Bologna, perchè in questa città singolarmen-te dovea ciò avvenire. E certo molti medici veggiam no-minati ne' monumenti di quella città presso il medesimoautore, non solo nel sec. XIII, ma anche nel precedente;e veggiamo ancora acuni tra' medici cominciare a pren-dere l'onorevol titolo di maestri, tra i quali il primo fuJacopo da Bertinoro, il quale poscia l'an. 1199 entrò tra'Canonici regolari di s. Giovanni in Monte (ib. p. 441).Ma perchè non vi era quasi medico alcuno che si arro-gasse il titolo di maestro, dopo la metà del XIII secolo siprese a conferire la laurea, e ad onorar col titolo di dot-tori quei che in quest'arte erano meglio istruiti (ib. p.434). Quindi una certa lodevole emulazione si accesetra' medici e tra i legisti; e i primi presero ad imitare isecondi nel far le chiose alle opere de' medici antichi, enell'illustrarle con dichiarazioni e comenti; anzi preteserquesti in certa maniera di fare un corpo separato dal ri-

35 Prima ancora di Onorio III, avea Innocenzo III vietato agli ecclesiasticil'esercizio della chirurgia, che portasse seco abbruciamento, o incisione dimembra. Quindi Bonifacio VIII, di cui l'Haller si duole che vietasse agliecclesiastici tutti la chirurgia, tanto fu lungi dal farlo, che anzi dichiarò chela legge di Onorio III non doveasi stendere che a' soli monaci. Veggasi suciò la bella opera del sig. ab. Gaetano Marini (Degli Archiatri pontificj t. 1,p. 5, ec.).

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manente della università, e non dipendente da alcuno(ib.). Ma come per lungo tempo i professori di leggenon avean avuto determinato stipendio, così avvenneancora e per tempo assai più lungo, de' professori di me-dicina poichè il primo che fosse scelto a leggere medici-na collo stipendio assegnato dal pubblico, fu Giovannida Parma l'an. 1308 (ib. p. 435). Assai prima però veg-giamo assegnato stipendio a quelli che non insegnavanonelle scuole, ma esercitavano a pro degl'infermi la medi-cina; poichè Ugo da Lucca, di cui parleremo tra poco,l'an. 1214 fu dalla comunità di Bologna chiamato a suomedico e chirurgo, e furongli perciò donate 600 lire bo-lognesi (ib. p. 444). E in somigliante maniera in una car-ta di Reggio dell'an. 1271, data alle luce dal co. AchilleTaccoli (Mem. stor. di Reggio t. 2, p. 269), veggiamoche un medico bergamasco, detto Magister PergamusMedicus de Pergamo fu da quel comune condotto coldonativo di 100 lire reggiane, le quali da lui doveansiimpiegare nel comperare una casa in Reggio per fare ivistabil dimora. Quanto fosse grande in Bologna il nume-ro di coloro ch'esercitavano la medicina, raccogliesi dalvedere, diversi titoli con cui si appellavano, secondo lediverse parti di questa scienza, a cui si applicavano. Al-tri ne' monumenti di questo secolo si chiaman medici fi-sici, altri medici barbieri, altri medici degli occhi, ed al-tri altrimenti (Sarti ib. p. 434, 436). Allo studio dellamedicina eran congiunti quegli altri che ad essa tropposon ncessarj, cioè dell'anatomia, della chimica, e dellabotanica. Dell'anatomia e della chimica ne vedremo le

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manente della università, e non dipendente da alcuno(ib.). Ma come per lungo tempo i professori di leggenon avean avuto determinato stipendio, così avvenneancora e per tempo assai più lungo, de' professori di me-dicina poichè il primo che fosse scelto a leggere medici-na collo stipendio assegnato dal pubblico, fu Giovannida Parma l'an. 1308 (ib. p. 435). Assai prima però veg-giamo assegnato stipendio a quelli che non insegnavanonelle scuole, ma esercitavano a pro degl'infermi la medi-cina; poichè Ugo da Lucca, di cui parleremo tra poco,l'an. 1214 fu dalla comunità di Bologna chiamato a suomedico e chirurgo, e furongli perciò donate 600 lire bo-lognesi (ib. p. 444). E in somigliante maniera in una car-ta di Reggio dell'an. 1271, data alle luce dal co. AchilleTaccoli (Mem. stor. di Reggio t. 2, p. 269), veggiamoche un medico bergamasco, detto Magister PergamusMedicus de Pergamo fu da quel comune condotto coldonativo di 100 lire reggiane, le quali da lui doveansiimpiegare nel comperare una casa in Reggio per fare ivistabil dimora. Quanto fosse grande in Bologna il nume-ro di coloro ch'esercitavano la medicina, raccogliesi dalvedere, diversi titoli con cui si appellavano, secondo lediverse parti di questa scienza, a cui si applicavano. Al-tri ne' monumenti di questo secolo si chiaman medici fi-sici, altri medici barbieri, altri medici degli occhi, ed al-tri altrimenti (Sarti ib. p. 434, 436). Allo studio dellamedicina eran congiunti quegli altri che ad essa tropposon ncessarj, cioè dell'anatomia, della chimica, e dellabotanica. Dell'anatomia e della chimica ne vedremo le

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pruove nel decorso di questo capo. Per ciò che appartie-ne alla botanica, il p. Sarti arreca più documenti (ib. p.437, 438), dai quali sembra raccogliersi che alcuni finda que' tempi in essa si esercitassero, e ne facessero pro-fessione. Così non vi avessero molti congiunta ancoral'astrologia. Ma questo era il pregiudizio di quella età, incui credevasi comunemente che non potesse esser medi-co valoroso, chi non fosse eccellente astrologo. Ciò peròavvenne singolarmente, dacchè Cecco d'Ascoli e Pietrod'Abano ebbero a questa frivola scienza conciliato grannome, cioè al principio del secolo susseguente. Così de-scritto in breve lo stato in cui era la medicina di questitempi, passiamo a ragionare di quelli che in essa si ren-deron più illustri; e cominciam da coloro che fiorironoin Bologna, seguendo le traccie del diligentissimo p.Sarti.

VIII. Molti egli ne annovera, che vissero oal fine del XII secolo, o nel XIII (ib. p. 439,ec.); ma io lasciando in disparte quelli de'quali null'altro quasi sappiamo se non chefurono medici, mi restringerò a parlare

d'alcuni pochi che ottennero maggior nome. Il primo acui dal comun di Bologna fosse assegnato stipendio, fu,come abbiam detto, Ugo da Lucca, ch'era, come pruovail p. Sarti (ib. p. 444), della famiglia de' Borgognoni. Lostesso autore ha pubblicato lo stromento perciò rogatol'an. 1214 (pars 2, p. 146), in cui contengonsi i patti co'

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Alcuni de' più celebri professori ivi: Ugo da Lucca.

pruove nel decorso di questo capo. Per ciò che appartie-ne alla botanica, il p. Sarti arreca più documenti (ib. p.437, 438), dai quali sembra raccogliersi che alcuni finda que' tempi in essa si esercitassero, e ne facessero pro-fessione. Così non vi avessero molti congiunta ancoral'astrologia. Ma questo era il pregiudizio di quella età, incui credevasi comunemente che non potesse esser medi-co valoroso, chi non fosse eccellente astrologo. Ciò peròavvenne singolarmente, dacchè Cecco d'Ascoli e Pietrod'Abano ebbero a questa frivola scienza conciliato grannome, cioè al principio del secolo susseguente. Così de-scritto in breve lo stato in cui era la medicina di questitempi, passiamo a ragionare di quelli che in essa si ren-deron più illustri; e cominciam da coloro che fiorironoin Bologna, seguendo le traccie del diligentissimo p.Sarti.

VIII. Molti egli ne annovera, che vissero oal fine del XII secolo, o nel XIII (ib. p. 439,ec.); ma io lasciando in disparte quelli de'quali null'altro quasi sappiamo se non chefurono medici, mi restringerò a parlare

d'alcuni pochi che ottennero maggior nome. Il primo acui dal comun di Bologna fosse assegnato stipendio, fu,come abbiam detto, Ugo da Lucca, ch'era, come pruovail p. Sarti (ib. p. 444), della famiglia de' Borgognoni. Lostesso autore ha pubblicato lo stromento perciò rogatol'an. 1214 (pars 2, p. 146), in cui contengonsi i patti co'

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Alcuni de' più celebri professori ivi: Ugo da Lucca.

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quali Ugo si obbliga a servire la detta comunità, da cuidovea in ricompensa ricevere un capitale di 600 lire bo-lognesi. Fra essi è degno d'osservazione quello che ri-guarda le malattie di que' del contado; perciocchè nellealtre malattie ordinarie ei dovea servirli senza esigere ri-compensi; ma in occasione di grave ferita, o di osso rot-to, o slogato, trattine i poveri, a' quali dovea prestaregratuitamente l'opera sua, da que' di condizione medio-cre poteva esigere un carro di legna; da' ricchi potevaesigere 20 soldi, o un carro di fieno. Egli era tenuto an-cora ad accompagnare, ove fosse d'uopo, le truppe diquel comune, e perciò l'an. 1218 egli andossene coi Bo-lognesi alla spedizione di Terra Santa, e vi si trattennefin verso l'an. 1221 dopo il qual tempo, tornato in Italia,continuò il suo soggiorno in Bologna dove, come con-getturasi dal p. Sarti, ei morì verso l'an. 1258. Fu egliuno de' primi a curare col solo vino quasi tutte le ferite,come prova il detto p. Sarti col testimonio di Teodoricodi lui figliuolo, di cui or or parleremo, dal quale inoltreraccogliesi che Ugo ebbe nella chimica ancora qualcheperizia. Oltre Teodorico, tre altri figliuoli egli ebbe, duedei quali, cioè Veltro e Francesco, furon da lui istruitinella medicina, e lungamente l'esercitarono in Bologna(ib. pars 1, p. 457).

IX. Tra quelli che tennero in Bologna scuo-la pubblica di medicina, annovera il p. Sarti,come i più antichi, quel Rolando di Cremo-

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Rolando cremonese, Niccolò di Fernham, Sinigardo d'Arezzo.

quali Ugo si obbliga a servire la detta comunità, da cuidovea in ricompensa ricevere un capitale di 600 lire bo-lognesi. Fra essi è degno d'osservazione quello che ri-guarda le malattie di que' del contado; perciocchè nellealtre malattie ordinarie ei dovea servirli senza esigere ri-compensi; ma in occasione di grave ferita, o di osso rot-to, o slogato, trattine i poveri, a' quali dovea prestaregratuitamente l'opera sua, da que' di condizione medio-cre poteva esigere un carro di legna; da' ricchi potevaesigere 20 soldi, o un carro di fieno. Egli era tenuto an-cora ad accompagnare, ove fosse d'uopo, le truppe diquel comune, e perciò l'an. 1218 egli andossene coi Bo-lognesi alla spedizione di Terra Santa, e vi si trattennefin verso l'an. 1221 dopo il qual tempo, tornato in Italia,continuò il suo soggiorno in Bologna dove, come con-getturasi dal p. Sarti, ei morì verso l'an. 1258. Fu egliuno de' primi a curare col solo vino quasi tutte le ferite,come prova il detto p. Sarti col testimonio di Teodoricodi lui figliuolo, di cui or or parleremo, dal quale inoltreraccogliesi che Ugo ebbe nella chimica ancora qualcheperizia. Oltre Teodorico, tre altri figliuoli egli ebbe, duedei quali, cioè Veltro e Francesco, furon da lui istruitinella medicina, e lungamente l'esercitarono in Bologna(ib. pars 1, p. 457).

IX. Tra quelli che tennero in Bologna scuo-la pubblica di medicina, annovera il p. Sarti,come i più antichi, quel Rolando di Cremo-

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Rolando cremonese, Niccolò di Fernham, Sinigardo d'Arezzo.

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na (ib. p. 447) ch'entrò poscia nell'Ord. de' Predicatori,di cui abbiam ragionato nel primo capo di questo libro,e Niccolò di Fernham o di Foly inglese, che, dopo esse-re stato professore di filosofia nell'università di Parigi,venne ad insegnare in Bologna la medicina; e rivoltosiposcia agli studi sacri, fu l'an. 1241 eletto vescovo diDurham in Inghilterra (ib. p. 448). Verso la metà di que-sto medesimo secolo era in Bologna professore di medi-cina Sinigardo natìo d'Arezzo, canonico di Faenza, e po-scia arciprete della metropolitana di Bologna, di cui piùaltre notizie, ma poco appartenenti alla storia della me-dicina, veggansi presso il più volte citato e sempre esat-tissimo p. Sarti (ib. p. 460). Ma non giova il trattenersipiù lungamente a ricercare di quelli che o esercitarono,o insegnarono la medicina, se essi non han lasciato a po-steri qualche monumento del lor sapere. Assai maggiorvantaggio hanno a questi studj recato coloro che la me-dicina, o la chirurgia illustrarono co' loro scritti, e diloro perciò dobbiam ragionare con qualche maggioreesattezza.

X. Il più celebre fra tutti i medici di questaetà fu Taddeo figliuolo d'Alderotto fiorenti-no, di cui ha scritta la Vita Filippo Villani.Essa è stata pubblicata insieme colle Vite dialtri illustri Fiorentini, scritte dallo stesso

Villani, dal co. Giammaria Mazzucchelli, non secondol'originale latino, cui il Villani le scrisse, ma secondo

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Taddeo d'Alderotto;notizie del-la sua vita.

na (ib. p. 447) ch'entrò poscia nell'Ord. de' Predicatori,di cui abbiam ragionato nel primo capo di questo libro,e Niccolò di Fernham o di Foly inglese, che, dopo esse-re stato professore di filosofia nell'università di Parigi,venne ad insegnare in Bologna la medicina; e rivoltosiposcia agli studi sacri, fu l'an. 1241 eletto vescovo diDurham in Inghilterra (ib. p. 448). Verso la metà di que-sto medesimo secolo era in Bologna professore di medi-cina Sinigardo natìo d'Arezzo, canonico di Faenza, e po-scia arciprete della metropolitana di Bologna, di cui piùaltre notizie, ma poco appartenenti alla storia della me-dicina, veggansi presso il più volte citato e sempre esat-tissimo p. Sarti (ib. p. 460). Ma non giova il trattenersipiù lungamente a ricercare di quelli che o esercitarono,o insegnarono la medicina, se essi non han lasciato a po-steri qualche monumento del lor sapere. Assai maggiorvantaggio hanno a questi studj recato coloro che la me-dicina, o la chirurgia illustrarono co' loro scritti, e diloro perciò dobbiam ragionare con qualche maggioreesattezza.

X. Il più celebre fra tutti i medici di questaetà fu Taddeo figliuolo d'Alderotto fiorenti-no, di cui ha scritta la Vita Filippo Villani.Essa è stata pubblicata insieme colle Vite dialtri illustri Fiorentini, scritte dallo stesso

Villani, dal co. Giammaria Mazzucchelli, non secondol'originale latino, cui il Villani le scrisse, ma secondo

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Taddeo d'Alderotto;notizie del-la sua vita.

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una traduzione italiana non troppo esatta, che gli vennealle mani. Alcune di queste Vite sono state di nuovo nelloro original pubblicate dal Sarti (ib. pars 2, p. 203), efra esse quella di Taddeo, nella quale però alcune cosesembrano a ragione non troppo degne di fede. Fra essevuolsi riporre ciò ch'ei narra al principio, cioè che Tad-deo fu di vilissima nascita, e che fino a 30 anni fud'ingegno grosso ed ottuso per modo che vegliando an-cora sembrava dormire, e che vivea miseramente colvendere le candele nell'oratorio di s. Michele in Orto. Ildott. Antonio Maria Biscioni nell'erudite sue note alConvivio di Dante (p. 68) ha confutata questa popolartradizione, mostrando ch'egli era di famiglia cittadinescae ben agiata. La melensaggine poi di Taddeo cambiataimprovvisamente in acutezza d'ingegno, benchè forsenon si possa dire impossibile, ha nondimeno un cotal sa-pore di favola, che difficilmente ottien fede. Siegue po-scia a raccontare il Villani, che Taddeo, rivoltosi aglistudj, in breve tempo apparò la gramatica, e che passatoa Bologna si applicò con istancabile diligenza allo stu-dio dell'arti liberali, della filosofia, e finalmente dellamedicina, a cui interamente si consacrò, e dopo essersiin questa ben istruito, prese ad esercitarla insieme e a te-nerne scuola, avendo perciò dal pubblico un determinatostipendio. Quest'ultima circostanza rigettasi a buon dirit-to dal p. Sarti (De Prof. Bon. t. 1, pars 1, p. 467), per-ciocchè egli osserva che avendo Taddeo cominciato atenere scuola di medicina verso l'an. 1260, non era an-cor di que' tempi introdotto il costume di assegnare a'

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una traduzione italiana non troppo esatta, che gli vennealle mani. Alcune di queste Vite sono state di nuovo nelloro original pubblicate dal Sarti (ib. pars 2, p. 203), efra esse quella di Taddeo, nella quale però alcune cosesembrano a ragione non troppo degne di fede. Fra essevuolsi riporre ciò ch'ei narra al principio, cioè che Tad-deo fu di vilissima nascita, e che fino a 30 anni fud'ingegno grosso ed ottuso per modo che vegliando an-cora sembrava dormire, e che vivea miseramente colvendere le candele nell'oratorio di s. Michele in Orto. Ildott. Antonio Maria Biscioni nell'erudite sue note alConvivio di Dante (p. 68) ha confutata questa popolartradizione, mostrando ch'egli era di famiglia cittadinescae ben agiata. La melensaggine poi di Taddeo cambiataimprovvisamente in acutezza d'ingegno, benchè forsenon si possa dire impossibile, ha nondimeno un cotal sa-pore di favola, che difficilmente ottien fede. Siegue po-scia a raccontare il Villani, che Taddeo, rivoltosi aglistudj, in breve tempo apparò la gramatica, e che passatoa Bologna si applicò con istancabile diligenza allo stu-dio dell'arti liberali, della filosofia, e finalmente dellamedicina, a cui interamente si consacrò, e dopo essersiin questa ben istruito, prese ad esercitarla insieme e a te-nerne scuola, avendo perciò dal pubblico un determinatostipendio. Quest'ultima circostanza rigettasi a buon dirit-to dal p. Sarti (De Prof. Bon. t. 1, pars 1, p. 467), per-ciocchè egli osserva che avendo Taddeo cominciato atenere scuola di medicina verso l'an. 1260, non era an-cor di que' tempi introdotto il costume di assegnare a'

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professori certo stipendio. Alla pubblica sua scuola con-giunse Taddeo non solo l'esercizio della sua arte ma lafatica ancora di scriver più opere, delle quali fra pocoragioneremo e fu egli uno de' primi che prendessero adillustrare con ampj comenti i libri d'Ippocrate e di Gale-no, usando a ciò le opere ancor de' filosofi, e congiun-gendo in tal modo, ciò che niuno avea ancor fatto, lamedicina colla filosofia. Egli è vero che dagli scritti de-gli Arabi trasse in gran parte Taddeo ciò che ci lasciò ne'suoi libri; e che molte cose da lui insegnate, si rigettanoe si deridono ora da' medici valorosi. E io son ben lungidal fare l'apologia di Taddeo e degli altri medici di que'tempi o dal consigliare alcuno ad apprender da essi lamedicina. Ma in quella universale e profonda ignoranzache allor regnava per ogni parte, qual maraviglia chemolti error s'insegnassero, e che qualunque cosa si tro-vasse scritta da altri, si adottasse come infallibile dog-ma? Questi errori finalmente sono quelli appunto chehanno coll'andar del tempo condotti i medici delle etàsusseguenti a scoprire il vero; e forse la medicina nonmeno che le altre scienze si giacerebbono ancoranell'antico squallore, se i nostri buoni maggiori inciam-pando e cadendo non ci avessero insegnato a camminaredirittamente.

XI. Ciò ch'è certo si è che Taddeo a' suoitempi e in quelli a lui più vicini, fu avuto inconto di oracolo. Filippo Villani così ne ra-

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Di quanta stima ei go-desse.

professori certo stipendio. Alla pubblica sua scuola con-giunse Taddeo non solo l'esercizio della sua arte ma lafatica ancora di scriver più opere, delle quali fra pocoragioneremo e fu egli uno de' primi che prendessero adillustrare con ampj comenti i libri d'Ippocrate e di Gale-no, usando a ciò le opere ancor de' filosofi, e congiun-gendo in tal modo, ciò che niuno avea ancor fatto, lamedicina colla filosofia. Egli è vero che dagli scritti de-gli Arabi trasse in gran parte Taddeo ciò che ci lasciò ne'suoi libri; e che molte cose da lui insegnate, si rigettanoe si deridono ora da' medici valorosi. E io son ben lungidal fare l'apologia di Taddeo e degli altri medici di que'tempi o dal consigliare alcuno ad apprender da essi lamedicina. Ma in quella universale e profonda ignoranzache allor regnava per ogni parte, qual maraviglia chemolti error s'insegnassero, e che qualunque cosa si tro-vasse scritta da altri, si adottasse come infallibile dog-ma? Questi errori finalmente sono quelli appunto chehanno coll'andar del tempo condotti i medici delle etàsusseguenti a scoprire il vero; e forse la medicina nonmeno che le altre scienze si giacerebbono ancoranell'antico squallore, se i nostri buoni maggiori inciam-pando e cadendo non ci avessero insegnato a camminaredirittamente.

XI. Ciò ch'è certo si è che Taddeo a' suoitempi e in quelli a lui più vicini, fu avuto inconto di oracolo. Filippo Villani così ne ra-

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Di quanta stima ei go-desse.

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giona secondo la traduzion pubblicata dal co. Mazzuc-chelli (Vite d'ill. Fiorent. p. 43, 44), che in questa parte èconforme all'original latino. "Fu costui dei primi infra'moderni, che dimostrò le segretissime cose dell'arti na-scoste sotto i detti degli autori, e la spinosa terra e incol-ta solcando, all'ottimo futuro seme apparecchiò. Nellaqual cosa fu di tanta autorità, che quello ch'egli scrisse,è tenuto per ordinarie chiose, le quali furono poste ne'principali libri di medicina. E fu in quell'arte di tanta ri-putazione, quanto nelle civili leggi fu Accorso, al qualeegli fu contemporaneo: certamente due stelle della no-stra città: le quali due arti più che eccelse e utili infra lealtre a conservazione della umana natura, che allora ingrandissima autorità poste erano, e faticose, fecero facilied aperte. Questi essendo presso gl'Italiani tenuti comeun altro Ippocrate, ec.". E prima di lui Giovanni Villaniavea scritto: "Maestro Taddeo ... il quale fu sommo fisi-co sopra tutti quelli de' Cristiani (Cron. l. 8, c. 65). Ben-venuto da Imola nei suoi Comenti sulla Commedia diDante il chiama medico famoso, e dice ch'egli era a'suoi tempi appellato più che comentatore (Antiq. Ital. t.1, p. 1262). Ricobaldo ferrarese lo dice peritissimo mae-stro de' medici (Script. rer. ital. vol. 9, p. 143, 253).Quindi non è a stupire che i Bolognesi accordassero aquest'uomo sì famoso amplissimi privilegi, quai si veg-gon negli Statuti pubblicati dal p. Sarti (pars 2, p. 227),ove fra le altre cose si ordina ch'egli e i suoi eredi nonsien costretti a pagare i comuni aggravj; che gli sia leci-to l'acquistare poderi, ovunque egli voglia; e che gli sco-

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giona secondo la traduzion pubblicata dal co. Mazzuc-chelli (Vite d'ill. Fiorent. p. 43, 44), che in questa parte èconforme all'original latino. "Fu costui dei primi infra'moderni, che dimostrò le segretissime cose dell'arti na-scoste sotto i detti degli autori, e la spinosa terra e incol-ta solcando, all'ottimo futuro seme apparecchiò. Nellaqual cosa fu di tanta autorità, che quello ch'egli scrisse,è tenuto per ordinarie chiose, le quali furono poste ne'principali libri di medicina. E fu in quell'arte di tanta ri-putazione, quanto nelle civili leggi fu Accorso, al qualeegli fu contemporaneo: certamente due stelle della no-stra città: le quali due arti più che eccelse e utili infra lealtre a conservazione della umana natura, che allora ingrandissima autorità poste erano, e faticose, fecero facilied aperte. Questi essendo presso gl'Italiani tenuti comeun altro Ippocrate, ec.". E prima di lui Giovanni Villaniavea scritto: "Maestro Taddeo ... il quale fu sommo fisi-co sopra tutti quelli de' Cristiani (Cron. l. 8, c. 65). Ben-venuto da Imola nei suoi Comenti sulla Commedia diDante il chiama medico famoso, e dice ch'egli era a'suoi tempi appellato più che comentatore (Antiq. Ital. t.1, p. 1262). Ricobaldo ferrarese lo dice peritissimo mae-stro de' medici (Script. rer. ital. vol. 9, p. 143, 253).Quindi non è a stupire che i Bolognesi accordassero aquest'uomo sì famoso amplissimi privilegi, quai si veg-gon negli Statuti pubblicati dal p. Sarti (pars 2, p. 227),ove fra le altre cose si ordina ch'egli e i suoi eredi nonsien costretti a pagare i comuni aggravj; che gli sia leci-to l'acquistare poderi, ovunque egli voglia; e che gli sco-

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lari che ne frequenteranno la scuola, abbiano i privilegie i diritti medesimi di cui godevano gli studenti dell'unae dell'altra legge; sollevandosi per tal modo la medicinaper riguardo a Taddeo al grado stesso di onore, in cuierano le scienze allor più pregiate.

XII. E ben seppe Taddeo rendersi vantag-giosa la stima di cui godea col porre ad al-tissimo prezzo l'opera sua nella guarigiondegl'infermi. Piacevoli a leggersi son duemonumenti pubblicati dal p. Sarti (pars 2,

p. 153). Nel primo, ch'è de' 21 di luglio 1285, Taddeodovendo recarsi a Modena per curare il nobil uomoGherardo Rangone, si protesta innanzi a tre procuratoridal detto cavaliere speditigli in suo nome, ch'essi glidebbon promettere ed esser garanti che nel suo viaggionon soffrirà alcun danno; che il ricondurranno a Bolo-gna sano e salvo nella persona non men che ne' beni chenon sarà molestato nè da' ladri ne da' nimici, e che nonsarà costretto a fermarsi suo malgrado in Modena; e chein caso di contravvenzione gli si dovranno pagare millelire imperiali per ciascheduno de' suddetti articoli a cuiin qualunque modo si contravvenga; e inoltre che i tremedesimi procuratori gli dovran rendere tremila lire bo-lognesi, ch'essi confessano di aver da lui ricevute in de-posito. Somigliante a questo è l'altro documento de' 13di maggio 1288, in cui quasi gli stessi articoli si rinno-vano tra lui e i procuratori di Guido de' Guidoni nobile

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Ricchezze insigni da lui raccolte colla sua arte.

lari che ne frequenteranno la scuola, abbiano i privilegie i diritti medesimi di cui godevano gli studenti dell'unae dell'altra legge; sollevandosi per tal modo la medicinaper riguardo a Taddeo al grado stesso di onore, in cuierano le scienze allor più pregiate.

XII. E ben seppe Taddeo rendersi vantag-giosa la stima di cui godea col porre ad al-tissimo prezzo l'opera sua nella guarigiondegl'infermi. Piacevoli a leggersi son duemonumenti pubblicati dal p. Sarti (pars 2,

p. 153). Nel primo, ch'è de' 21 di luglio 1285, Taddeodovendo recarsi a Modena per curare il nobil uomoGherardo Rangone, si protesta innanzi a tre procuratoridal detto cavaliere speditigli in suo nome, ch'essi glidebbon promettere ed esser garanti che nel suo viaggionon soffrirà alcun danno; che il ricondurranno a Bolo-gna sano e salvo nella persona non men che ne' beni chenon sarà molestato nè da' ladri ne da' nimici, e che nonsarà costretto a fermarsi suo malgrado in Modena; e chein caso di contravvenzione gli si dovranno pagare millelire imperiali per ciascheduno de' suddetti articoli a cuiin qualunque modo si contravvenga; e inoltre che i tremedesimi procuratori gli dovran rendere tremila lire bo-lognesi, ch'essi confessano di aver da lui ricevute in de-posito. Somigliante a questo è l'altro documento de' 13di maggio 1288, in cui quasi gli stessi articoli si rinno-vano tra lui e i procuratori di Guido de' Guidoni nobile

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Ricchezze insigni da lui raccolte colla sua arte.

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modenese, cui egli dovea andare a curare in una sua ma-lattia. Il p. Sarti sospetta (pars 1, p. 469) che il mentova-to deposito di tremila lire, di cui non si vede ragione al-cuna, fosse una finzione usata a que' tempi anche dagliavvocati, i quali volendo esigere da' lor clienti una som-ma eccessiva e temendo di venire un giorno perciò trattiin giudizio convenivan con essi che la detta somma nonsi esprimesse nelle carte giuridiche come dovuta per pa-gamento, ma come dovuta per restituzion di deposito. Everamente ciò che racconta Filippo Villani, quando siavero, ci fa vedere che Taddeo vendeva a troppo altoprezzo il suo sapere. Udiamo come ei narri la cosa (l. c.p. 44). "Essendo al suo tempo il Sommo Pontefice in in-fermità mortale caduto, e comandando che alla sua curafosse chiamato Taddeo, non si accordando co' suoi man-datari del diurno salario, imperciocchè egli pertinacissi-mamente cento ducati d'oro il dì addimandava, e di ciòmaravigliandosi il Pontefice, finalmente consentì a' pia-ceri di Taddeo per desiderio della sua sanità ed essendoa lui pervenuto Taddeo, cominciò il Papa onestissima-mente a riprender la sua durezza e avarizia: al qualeTaddeo fingendo gran maraviglia d'animo disse: Io mimaraviglio, conciossiacosachè dagli altri Signori e Ti-ranni provocato comunemente da ciascuno spontanea-mente mi sieno stati donati il dì cinquanta ducati d'oro,che tu il quale se' il principale Signore tra' Cristiani, mene abbi negato cento, facendone mercato; destramente, econ modestia riprendendo l'avarizia dei Cherici. Avven-ne di poi che guarito il Sommo Pontefice, ovvero per

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modenese, cui egli dovea andare a curare in una sua ma-lattia. Il p. Sarti sospetta (pars 1, p. 469) che il mentova-to deposito di tremila lire, di cui non si vede ragione al-cuna, fosse una finzione usata a que' tempi anche dagliavvocati, i quali volendo esigere da' lor clienti una som-ma eccessiva e temendo di venire un giorno perciò trattiin giudizio convenivan con essi che la detta somma nonsi esprimesse nelle carte giuridiche come dovuta per pa-gamento, ma come dovuta per restituzion di deposito. Everamente ciò che racconta Filippo Villani, quando siavero, ci fa vedere che Taddeo vendeva a troppo altoprezzo il suo sapere. Udiamo come ei narri la cosa (l. c.p. 44). "Essendo al suo tempo il Sommo Pontefice in in-fermità mortale caduto, e comandando che alla sua curafosse chiamato Taddeo, non si accordando co' suoi man-datari del diurno salario, imperciocchè egli pertinacissi-mamente cento ducati d'oro il dì addimandava, e di ciòmaravigliandosi il Pontefice, finalmente consentì a' pia-ceri di Taddeo per desiderio della sua sanità ed essendoa lui pervenuto Taddeo, cominciò il Papa onestissima-mente a riprender la sua durezza e avarizia: al qualeTaddeo fingendo gran maraviglia d'animo disse: Io mimaraviglio, conciossiacosachè dagli altri Signori e Ti-ranni provocato comunemente da ciascuno spontanea-mente mi sieno stati donati il dì cinquanta ducati d'oro,che tu il quale se' il principale Signore tra' Cristiani, mene abbi negato cento, facendone mercato; destramente, econ modestia riprendendo l'avarizia dei Cherici. Avven-ne di poi che guarito il Sommo Pontefice, ovvero per

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merito della cura, o per purgare il sospetto dell'avarizia,donò ad esso Taddeo 10000 ducati, quali tutti l'uomo disanta vita, essendo ritornato a Bologna, spese a edificarChiese e Spedali; e a Bologna già d'ottanta anni fu sep-pellito". Questo fatto medesimo si racconta da GiovanniTortelli scrittore del sec. XV (V. Zeno Diss. Voss. t. 1, p.151), il quale esprime il nome del papa dal Villani taciu-to, e dice che fu Onorio IV, e che Taddeo avendo adogni modo voluto dal Papa cento scudi d'oro al giorno,fece acquisto per tal maniera di duecentomila scudi. Ioconfesso che parmi per que' tempi sì eccessiva tal som-ma, ch'io non so arrendermi a seguire l'autorità di questiscrittori, e di altri addotti dal ch. Mazzucchelli e damonsig. Mansi (Fabr. Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p.221). E molto più che questo fatto medesimo da altri sinarra di Pietro d'Abano medico illustre che fiorì singo-larmente al principio del secolo seguente, di cui perciòci riserberemo a parlare in altro tomo.

XIII. Non può negarsi però, che grandinon fossero le ricchezze da Taddeo rac-colte coll'esercizio della sua arte. E neabbiamo una prova troppo più certa che

non l'autorità di qualunque scrittore nell'ultimo testa-mento da lui fatto in Bologna l'an. 1293, e pubblicatodal p. Sarti (pars 2, 155) in cui fra le altre disposizioni,egli ordina che diecimila lire bolognesi s'impieghino indiverse opere pie ch'egli poi spiega partitamente; tra le

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Suo testamento, sua morte e sue opere.

merito della cura, o per purgare il sospetto dell'avarizia,donò ad esso Taddeo 10000 ducati, quali tutti l'uomo disanta vita, essendo ritornato a Bologna, spese a edificarChiese e Spedali; e a Bologna già d'ottanta anni fu sep-pellito". Questo fatto medesimo si racconta da GiovanniTortelli scrittore del sec. XV (V. Zeno Diss. Voss. t. 1, p.151), il quale esprime il nome del papa dal Villani taciu-to, e dice che fu Onorio IV, e che Taddeo avendo adogni modo voluto dal Papa cento scudi d'oro al giorno,fece acquisto per tal maniera di duecentomila scudi. Ioconfesso che parmi per que' tempi sì eccessiva tal som-ma, ch'io non so arrendermi a seguire l'autorità di questiscrittori, e di altri addotti dal ch. Mazzucchelli e damonsig. Mansi (Fabr. Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p.221). E molto più che questo fatto medesimo da altri sinarra di Pietro d'Abano medico illustre che fiorì singo-larmente al principio del secolo seguente, di cui perciòci riserberemo a parlare in altro tomo.

XIII. Non può negarsi però, che grandinon fossero le ricchezze da Taddeo rac-colte coll'esercizio della sua arte. E neabbiamo una prova troppo più certa che

non l'autorità di qualunque scrittore nell'ultimo testa-mento da lui fatto in Bologna l'an. 1293, e pubblicatodal p. Sarti (pars 2, 155) in cui fra le altre disposizioni,egli ordina che diecimila lire bolognesi s'impieghino indiverse opere pie ch'egli poi spiega partitamente; tra le

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Suo testamento, sua morte e sue opere.

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quali due son degne di special ricordanza; cioè duemila-cinquecento lire da impiegarsi nel comperar beni a van-taggio de' poveri vergognosi; e gli alimenti da pagarsiad un religioso dell'Ord. dei Minori, che andasse allostudio della teologia in Parigi, e vi stesse fino ad averlocompito e a cui poscia ne succedesse un altro di mano inmano. Morì Taddeo come provasi dal p. Sarti (pars 1,472), e come ancor si asserisce da Ricobaldo ferrarese(l. c.) e dall'autore degli Annali di Cesena (Script. rer.ital. vol. 14, p. 1112) l'an. 1295, e Benvenuto da Imolaaggiugne (l. c.) che morì all'improvviso, e che fu sepoltoin Bologna innanzi alla porta de' Minori in un bel sepol-cro di marmo, di cui però non rimane ora vestigio alcu-no. Più altre notizie intorno a Taddeo si posson leggerepresso il p. Sarti, il quale ancora esattamente ragionadelle opere mediche da lui composte, altre stampate, esono singolarmente comenti sugli Aforismi e su' Prono-stici e su altre opere d'Ippocrate e di Galeno, oltre unpiccol libro sull'arte di conservare la sanità, altre ancormanoscritte che conservansi nella Vaticana e in altre bi-blioteche. Egli ancora tradusse in italiano l'Etica d'Ari-stotele, ossia il compendio che nel suo Tesoro aveanefatto Brunetto Latini; la qual traduzione però fu biasi-mata da Dante, come sconcia e deforme (Convivio p. 68,ed. Fir. 1723; V. Mehus Vit. Ambros. camald. p. 156,157).

XIV. Due Guglielmi vissero al tempo mede-

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Guglielmoda Brescia.

quali due son degne di special ricordanza; cioè duemila-cinquecento lire da impiegarsi nel comperar beni a van-taggio de' poveri vergognosi; e gli alimenti da pagarsiad un religioso dell'Ord. dei Minori, che andasse allostudio della teologia in Parigi, e vi stesse fino ad averlocompito e a cui poscia ne succedesse un altro di mano inmano. Morì Taddeo come provasi dal p. Sarti (pars 1,472), e come ancor si asserisce da Ricobaldo ferrarese(l. c.) e dall'autore degli Annali di Cesena (Script. rer.ital. vol. 14, p. 1112) l'an. 1295, e Benvenuto da Imolaaggiugne (l. c.) che morì all'improvviso, e che fu sepoltoin Bologna innanzi alla porta de' Minori in un bel sepol-cro di marmo, di cui però non rimane ora vestigio alcu-no. Più altre notizie intorno a Taddeo si posson leggerepresso il p. Sarti, il quale ancora esattamente ragionadelle opere mediche da lui composte, altre stampate, esono singolarmente comenti sugli Aforismi e su' Prono-stici e su altre opere d'Ippocrate e di Galeno, oltre unpiccol libro sull'arte di conservare la sanità, altre ancormanoscritte che conservansi nella Vaticana e in altre bi-blioteche. Egli ancora tradusse in italiano l'Etica d'Ari-stotele, ossia il compendio che nel suo Tesoro aveanefatto Brunetto Latini; la qual traduzione però fu biasi-mata da Dante, come sconcia e deforme (Convivio p. 68,ed. Fir. 1723; V. Mehus Vit. Ambros. camald. p. 156,157).

XIV. Due Guglielmi vissero al tempo mede-

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Guglielmoda Brescia.

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simo con Taddeo, famosi amendue e pel loro sapere, epe' libri da lor pubblicati. Il primo è Guglielmo da Sali-ceto piacentino di patria, di cui oltre una somma di Me-dicina abbiamo anco un trattato di Chirurgia, e perciònoi ne parleremo ove cadrà il discorso degli scrittori diquesto argomento. Dell'altro ignoriam la famiglia, masappiam solo la patria. Egli è Guglielmo da Brescia,cioè quel medesimo che parlando dell'università di Pa-dova abbiam veduto che vi fu per più anni professore difilosofia. L'ab. Engelberto che ivi ne avea frequentata lascuola, racconta (Pez. Thes. Anecdot. t. 1, p. 430) cheGuglielmo, dopo essere stato più anni professore in Pa-dova, andò a Bologna, e vi si fece scolaro del suddettoTaddeo, e che sotto un sì illustre maestro prese la laurea;che poscia da Bonifacio VIII fu fatto canonico in Parigi,e ancor suo medico; e il p. Sarti aggiugne (pars 1, p.435) che fu ancora arcidiacono di Bologna. Di lui abbia-mo una Pratica di medicina per tutte le malattie stampa-ta in Venezia l'an. 1508, insieme con un trattato delleFebbri, e un altro della Peste, al fin del quale ei si dà ilnome di Aggregatore bresciano, perchè egli avea damolti autori raccolti i diversi rimedj che in detta sommaprescrive. Questo soprannome medesimo fu poi presonel secol seguente da Jacopo Dondi, di cui parleremo asuo luogo. Di questo medico e dell'opera da lui compo-sta, di cui pure fa menzione il Lipanio (Bibl. Med. p.369), non han detto parola nè il Freind nella sua Storiadella Medicina, nè il Fabricio nella sua Biblioteca latina

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simo con Taddeo, famosi amendue e pel loro sapere, epe' libri da lor pubblicati. Il primo è Guglielmo da Sali-ceto piacentino di patria, di cui oltre una somma di Me-dicina abbiamo anco un trattato di Chirurgia, e perciònoi ne parleremo ove cadrà il discorso degli scrittori diquesto argomento. Dell'altro ignoriam la famiglia, masappiam solo la patria. Egli è Guglielmo da Brescia,cioè quel medesimo che parlando dell'università di Pa-dova abbiam veduto che vi fu per più anni professore difilosofia. L'ab. Engelberto che ivi ne avea frequentata lascuola, racconta (Pez. Thes. Anecdot. t. 1, p. 430) cheGuglielmo, dopo essere stato più anni professore in Pa-dova, andò a Bologna, e vi si fece scolaro del suddettoTaddeo, e che sotto un sì illustre maestro prese la laurea;che poscia da Bonifacio VIII fu fatto canonico in Parigi,e ancor suo medico; e il p. Sarti aggiugne (pars 1, p.435) che fu ancora arcidiacono di Bologna. Di lui abbia-mo una Pratica di medicina per tutte le malattie stampa-ta in Venezia l'an. 1508, insieme con un trattato delleFebbri, e un altro della Peste, al fin del quale ei si dà ilnome di Aggregatore bresciano, perchè egli avea damolti autori raccolti i diversi rimedj che in detta sommaprescrive. Questo soprannome medesimo fu poi presonel secol seguente da Jacopo Dondi, di cui parleremo asuo luogo. Di questo medico e dell'opera da lui compo-sta, di cui pure fa menzione il Lipanio (Bibl. Med. p.369), non han detto parola nè il Freind nella sua Storiadella Medicina, nè il Fabricio nella sua Biblioteca latina

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de' secoli bassi (36).XV. Essi ancora non hanno fatta menzio-ne alcuna di Bartolommeo da Varignanacastello del bolognese, scolaro dello stes-so Taddeo, nè è a stupirne perciocchè le

varie opere da lui composte, che sono esse pure comentisu alcuni libri d'Ippocrate e di Galeno, delle quali ragio-na diligentemente il p. Sarti (pars 1, p. 448), si conser-vano sol manoscritte in alcune biblioteche. Fu egli nonsolo scolaro, ma, per quanto sembra, rivale ancor diTaddeo; perciocchè alcuni scolari di questo essendo pas-sati a udire Battolommeo, ne fu tra' due professori qual-che dissapore, come raccogliesi da un monumento pub-blicato dal medesimo p. Sarti (pars 2, p. 155). Egli an-cora fu adoperato nelle lor malattie da gran personaggi;e fra gli altri dal march. Aldobrandino d'Este, a cui per-ciò ebbe in ricompensa 390 lire bolognesi, che, secondoil computo del p. Sarti (pars 1, p. 481), corrispondono a

36 Di Guglielmo da Brescia alcune belle notizie ci ha date di fresco il valoro-so sig. ab. Gaetano Marini (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 34, ec. Append.Doc. VIII, XXI, XIV). Egli ha osservato che in una carta del 1286, citata dalp. Sarti, egli è detto figliuolo di Giacomo de Corvis, che sembra il nomedella famiglia: che ne' documenti dell'archivio vaticano egli è detto Guilel-mus de Caneto de Brixia, ove s'indica probabilmente il luogo in cui eglinacque: ch'ebbe alcuni beneficj ecclesiastici, e oltre a essi una regalia coltitolo di feudo sulle rive del Po nel ferrarese; che fu medico non solo diBonifacio VIII, ma anche di Clemente V e di Giovanni XXII; ch'ei morìpoco dopo il maggio del 1326, e ch'egli prima di morire in una sua disposi-zione testamentaria ordinò la fondazion di un collegio in Bologna a van-taggio di alcuni poveri studenti presso s. Barbanzino, il qual fu di fattoaperto, e dal nome del suo fondatore detto il Collegio bresciano, e fu poisoppresso da Eugenio IV, e unito al Collegio gregoriano.

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Bartolommeo da Varignana.

de' secoli bassi (36).XV. Essi ancora non hanno fatta menzio-ne alcuna di Bartolommeo da Varignanacastello del bolognese, scolaro dello stes-so Taddeo, nè è a stupirne perciocchè le

varie opere da lui composte, che sono esse pure comentisu alcuni libri d'Ippocrate e di Galeno, delle quali ragio-na diligentemente il p. Sarti (pars 1, p. 448), si conser-vano sol manoscritte in alcune biblioteche. Fu egli nonsolo scolaro, ma, per quanto sembra, rivale ancor diTaddeo; perciocchè alcuni scolari di questo essendo pas-sati a udire Battolommeo, ne fu tra' due professori qual-che dissapore, come raccogliesi da un monumento pub-blicato dal medesimo p. Sarti (pars 2, p. 155). Egli an-cora fu adoperato nelle lor malattie da gran personaggi;e fra gli altri dal march. Aldobrandino d'Este, a cui per-ciò ebbe in ricompensa 390 lire bolognesi, che, secondoil computo del p. Sarti (pars 1, p. 481), corrispondono a

36 Di Guglielmo da Brescia alcune belle notizie ci ha date di fresco il valoro-so sig. ab. Gaetano Marini (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 34, ec. Append.Doc. VIII, XXI, XIV). Egli ha osservato che in una carta del 1286, citata dalp. Sarti, egli è detto figliuolo di Giacomo de Corvis, che sembra il nomedella famiglia: che ne' documenti dell'archivio vaticano egli è detto Guilel-mus de Caneto de Brixia, ove s'indica probabilmente il luogo in cui eglinacque: ch'ebbe alcuni beneficj ecclesiastici, e oltre a essi una regalia coltitolo di feudo sulle rive del Po nel ferrarese; che fu medico non solo diBonifacio VIII, ma anche di Clemente V e di Giovanni XXII; ch'ei morìpoco dopo il maggio del 1326, e ch'egli prima di morire in una sua disposi-zione testamentaria ordinò la fondazion di un collegio in Bologna a van-taggio di alcuni poveri studenti presso s. Barbanzino, il qual fu di fattoaperto, e dal nome del suo fondatore detto il Collegio bresciano, e fu poisoppresso da Eugenio IV, e unito al Collegio gregoriano.

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Bartolommeo da Varignana.

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circa 260 fiorini d'oro. Veggansi presso questo esattoscrittore le più certe notizie appartenenti a Bartolom-meo, il quale volle ancora aver parte ne' pubblici affari;e insinuatosi nella grazia di Arrigo VII, e perciò esiliatoda' Bolognesi nimici di questo imperadore, fu da lui di-chiarato suo primo medico. E se Arrigo ne avesse segui-to i consigli, avrebbe forse avuta più lunga vita; percioc-chè essendo egli in Pisa, e volendo marciar coll'esercitoin tempo di somma state, Bartolommeo avvertillo chenon si esponesse con ciò a un grave pericol di vita, chegli soprastava. Ma Arrigo, avendo pur voluto mettersi inviaggio, frappoco se ne morì. Della qual sua predizionefece poscia Bartolommeo rogare un atto autentico perismentire la calunniosa voce che allora si sparse, e cheanche al presente si va francamente ripetendo da alcuniscrittori, presso i quali è certa ogni cosa che giova ad in-colpare la Religione, cioè che Arrigo morisse per velenodatogli da un religioso nel Sacramento della Eucaristia.Questo medico illustre morì verso l'an. 1318.

XVI. L'ultimo tra' medici valorosi diquesta età celebri pe' loro libri è Simoneda Genova a cui da alcuni si dà il co-gnome di Cordo, e che da altri si dicemonaco, senza recarne alcun fondamen-

to. Ove esercitasse egli la sua arte, non vi ha monumen-to che cel dichiari; e nulla di lui sapremmo, se di lui nonci parlassero le sue opere stesse. Quella che più delle al-

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Simone da Geno-va: risposta ad una accusa del Marchand.

circa 260 fiorini d'oro. Veggansi presso questo esattoscrittore le più certe notizie appartenenti a Bartolom-meo, il quale volle ancora aver parte ne' pubblici affari;e insinuatosi nella grazia di Arrigo VII, e perciò esiliatoda' Bolognesi nimici di questo imperadore, fu da lui di-chiarato suo primo medico. E se Arrigo ne avesse segui-to i consigli, avrebbe forse avuta più lunga vita; percioc-chè essendo egli in Pisa, e volendo marciar coll'esercitoin tempo di somma state, Bartolommeo avvertillo chenon si esponesse con ciò a un grave pericol di vita, chegli soprastava. Ma Arrigo, avendo pur voluto mettersi inviaggio, frappoco se ne morì. Della qual sua predizionefece poscia Bartolommeo rogare un atto autentico perismentire la calunniosa voce che allora si sparse, e cheanche al presente si va francamente ripetendo da alcuniscrittori, presso i quali è certa ogni cosa che giova ad in-colpare la Religione, cioè che Arrigo morisse per velenodatogli da un religioso nel Sacramento della Eucaristia.Questo medico illustre morì verso l'an. 1318.

XVI. L'ultimo tra' medici valorosi diquesta età celebri pe' loro libri è Simoneda Genova a cui da alcuni si dà il co-gnome di Cordo, e che da altri si dicemonaco, senza recarne alcun fondamen-

to. Ove esercitasse egli la sua arte, non vi ha monumen-to che cel dichiari; e nulla di lui sapremmo, se di lui nonci parlassero le sue opere stesse. Quella che più delle al-

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Simone da Geno-va: risposta ad una accusa del Marchand.

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tre merita d'essere rammentata, è quella ch'è intitolataClavis sanationis, di cui v'ha un'antica edizione fatta inMilano l'an. 1473, oltre più altre posteriori. L'eruditiss.dott. Sassi ha date alla luce (Hist. Typogr. mediol. p.451) due lettere ad essa premesse, una dell'autore a mae-stro Campano a cui manda questo suo libro, l'altra delCampano all'autore. Il Sassi dice di non saper chi fossequesto Campano, e pare ch'egli il creda un dotto filosofofrancese. Ma noi abbiam già mostrato ch'egli è il nova-rese Campano, filosofo e matematico celebre di questitempi; e che, come da questa lettera raccogliamo, eracappellano del papa, e canonico di Parigi. Simone pren-de il titolo di suddiacono del papa e scrivendo al Cam-pano, gli dice ch'ei gli manda questa sua opera, poichèper comando di lui l'aveva intrapresa: e il prega a cor-reggerla. Il Campano a lui rispondendo gli scrive di averricevuto il suo libro dal priore di Paverano, il che mi facredere che Simone allora abitasse in Genova, ove eraanticamente un monastero di questo nome. Aggiugneposcia di aver dato a quel libro il seguente titolo: ClavisSanationis elaborata per magistrum Simonem Genuen-sem Domini Papae Sub diaconum et Cappellanum, Me-dico quondam felicis recordationis Nicolai Papae quar-ti, qui fuit primus Papa de Ordine Minorum. Avea dun-que Simone avuto l'impiego di medico del papa NiccolòIV morto l'an. 1292, ed era allora suddiacono e cappella-no del Papa, cioè di Bonifacio VIII anzi, come racco-gliesi dal titolo della lettera stessa del Campano a Simo-ne, godeva ancora di un canonicato di Rouen: Venerabi-

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tre merita d'essere rammentata, è quella ch'è intitolataClavis sanationis, di cui v'ha un'antica edizione fatta inMilano l'an. 1473, oltre più altre posteriori. L'eruditiss.dott. Sassi ha date alla luce (Hist. Typogr. mediol. p.451) due lettere ad essa premesse, una dell'autore a mae-stro Campano a cui manda questo suo libro, l'altra delCampano all'autore. Il Sassi dice di non saper chi fossequesto Campano, e pare ch'egli il creda un dotto filosofofrancese. Ma noi abbiam già mostrato ch'egli è il nova-rese Campano, filosofo e matematico celebre di questitempi; e che, come da questa lettera raccogliamo, eracappellano del papa, e canonico di Parigi. Simone pren-de il titolo di suddiacono del papa e scrivendo al Cam-pano, gli dice ch'ei gli manda questa sua opera, poichèper comando di lui l'aveva intrapresa: e il prega a cor-reggerla. Il Campano a lui rispondendo gli scrive di averricevuto il suo libro dal priore di Paverano, il che mi facredere che Simone allora abitasse in Genova, ove eraanticamente un monastero di questo nome. Aggiugneposcia di aver dato a quel libro il seguente titolo: ClavisSanationis elaborata per magistrum Simonem Genuen-sem Domini Papae Sub diaconum et Cappellanum, Me-dico quondam felicis recordationis Nicolai Papae quar-ti, qui fuit primus Papa de Ordine Minorum. Avea dun-que Simone avuto l'impiego di medico del papa NiccolòIV morto l'an. 1292, ed era allora suddiacono e cappella-no del Papa, cioè di Bonifacio VIII anzi, come racco-gliesi dal titolo della lettera stessa del Campano a Simo-ne, godeva ancora di un canonicato di Rouen: Venerabi-

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li viro Magistro Simoni, Genuensi, Domini Papae Sub-diacono et Capellano, Canonico Rothomagensj, amicosuo carissimo tamquam fratri, Campanus ejusdem Do-mini Papae Capellanus, Canonicus Parisiensis, salu-tem, ec. Nella prefazione a quest'Opera confessa Simonedi aver impiegati in comporla quasi 30 anni, e che nonpicciola fatica avea ei sostenuta nel raccogliere, ordinaree spiegare tanti e sì varj medicamenti, i cui nomi erantratti altri dal greco, altri dall'arabo, altri dal latino; ag-giugne che avea ancora viaggiato in lontani paesi perprender le opportune notizie, e che una volta fra altreerasi accompagnato con una vecchia di Creta, ch'era pe-rita nell'erbe e ne' lor nomi greci; e che con essa erasiaggirato per monti e per valli affin di osservare e cono-scer le cose di cui allora scriveva. Quindi si puòquest'opera considerare come il primo dizionario di Me-dicina e di Botanica che dopo i tempi più antichi sia sta-to dato alla luce. In qualche edizione ella è intitolata Sy-nonima Medicinae; il che ha dato occasione ad alcuni dicrederla opera diversa, mentre veramente non è diversoche il titolo (Sax. l. c. p. 130), il quale anche dal Fabri-cio è stato poco esattamente cambiato in Synonima Al-chimiae (Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p. 189). Due opereancora ei tradusse dalla lingua arabica nella latina, cioèil Libro de' semplici Medicamenti di Giovanni figliuolodi Strapione stampato in Milano l'an. 1473 (Sax. l. c.), eun libro di Bulcasi intitolato Liber Servitoris stampatoin Venezia l'an. 1471. Di lui inoltre si hanno alle stampealcune note sull'antico medico Alessandro (Fabr. l. c.).

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li viro Magistro Simoni, Genuensi, Domini Papae Sub-diacono et Capellano, Canonico Rothomagensj, amicosuo carissimo tamquam fratri, Campanus ejusdem Do-mini Papae Capellanus, Canonicus Parisiensis, salu-tem, ec. Nella prefazione a quest'Opera confessa Simonedi aver impiegati in comporla quasi 30 anni, e che nonpicciola fatica avea ei sostenuta nel raccogliere, ordinaree spiegare tanti e sì varj medicamenti, i cui nomi erantratti altri dal greco, altri dall'arabo, altri dal latino; ag-giugne che avea ancora viaggiato in lontani paesi perprender le opportune notizie, e che una volta fra altreerasi accompagnato con una vecchia di Creta, ch'era pe-rita nell'erbe e ne' lor nomi greci; e che con essa erasiaggirato per monti e per valli affin di osservare e cono-scer le cose di cui allora scriveva. Quindi si puòquest'opera considerare come il primo dizionario di Me-dicina e di Botanica che dopo i tempi più antichi sia sta-to dato alla luce. In qualche edizione ella è intitolata Sy-nonima Medicinae; il che ha dato occasione ad alcuni dicrederla opera diversa, mentre veramente non è diversoche il titolo (Sax. l. c. p. 130), il quale anche dal Fabri-cio è stato poco esattamente cambiato in Synonima Al-chimiae (Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p. 189). Due opereancora ei tradusse dalla lingua arabica nella latina, cioèil Libro de' semplici Medicamenti di Giovanni figliuolodi Strapione stampato in Milano l'an. 1473 (Sax. l. c.), eun libro di Bulcasi intitolato Liber Servitoris stampatoin Venezia l'an. 1471. Di lui inoltre si hanno alle stampealcune note sull'antico medico Alessandro (Fabr. l. c.).

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Finalmente nella Biblioteca riccardiana (Cat. Bibl. ric-card. p. 354) rammentasi un'opera di Simone, che sem-bra in parte la stessa colla chiave nominata poc'anzi, main parte ancora diversa: Simon de Janua de Synonimis etponderibus; collationes super Avicenna et expositio no-minum Arabicorum quoad Medicinam. Le quali operecomposte dal nostro Simone pareva che gli potesseromeritar qualche luogo nella Storia della Medicina delFreind, che non ne ha pur fatto motto. Ben ne ha parlato,e più lungamente ancora che non facesse bisogno, ilMarchand (Dict. art. Simon), di cui io non posso non dirqui alcuna cosa per rispondere alla ingiuriosa manieracon cui parla degli italiani scrittori di Storia letteraria."Gl'Italiani, dic'egli (ib. n. D), son sempre prodighiall'estremo di lodi eccessive ed esagerate per quelli deilor nazionali, che hanno la sorte di piacer loro, mentrene' magnifici e pomposi elogi che ne fanno, trascuran lecose più necessarie e più essenziali, come le date,gl'impieghi, il carattere proprio e particolare, le parente-le, la famiglia, il tempo preciso della morte, gli scritti, leloro edizioni, ec.". Così questo scrittor francese rifugiatoin Olanda è prodigo all'estremo di biasimo e di disprez-zo verso gl'Italiani, perchè essi son prodighi all'estremodi lodi. Ma chi sono eglino mai gl'italiani contro i qualicosì si scaglia il Marchand? Sono il Bracelli, il Soprani,il Giustiniani, L'Oldoini, il Mandosio, scrittori tutti vis-suti in quel tempo in cui la critica e l'esattezza non eraancor conosciuta. I suoi biografi e bibliotecarj francesivissuti a quei tempi, il Nostradamus, il Jacob, il Thevet,

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Finalmente nella Biblioteca riccardiana (Cat. Bibl. ric-card. p. 354) rammentasi un'opera di Simone, che sem-bra in parte la stessa colla chiave nominata poc'anzi, main parte ancora diversa: Simon de Janua de Synonimis etponderibus; collationes super Avicenna et expositio no-minum Arabicorum quoad Medicinam. Le quali operecomposte dal nostro Simone pareva che gli potesseromeritar qualche luogo nella Storia della Medicina delFreind, che non ne ha pur fatto motto. Ben ne ha parlato,e più lungamente ancora che non facesse bisogno, ilMarchand (Dict. art. Simon), di cui io non posso non dirqui alcuna cosa per rispondere alla ingiuriosa manieracon cui parla degli italiani scrittori di Storia letteraria."Gl'Italiani, dic'egli (ib. n. D), son sempre prodighiall'estremo di lodi eccessive ed esagerate per quelli deilor nazionali, che hanno la sorte di piacer loro, mentrene' magnifici e pomposi elogi che ne fanno, trascuran lecose più necessarie e più essenziali, come le date,gl'impieghi, il carattere proprio e particolare, le parente-le, la famiglia, il tempo preciso della morte, gli scritti, leloro edizioni, ec.". Così questo scrittor francese rifugiatoin Olanda è prodigo all'estremo di biasimo e di disprez-zo verso gl'Italiani, perchè essi son prodighi all'estremodi lodi. Ma chi sono eglino mai gl'italiani contro i qualicosì si scaglia il Marchand? Sono il Bracelli, il Soprani,il Giustiniani, L'Oldoini, il Mandosio, scrittori tutti vis-suti in quel tempo in cui la critica e l'esattezza non eraancor conosciuta. I suoi biografi e bibliotecarj francesivissuti a quei tempi, il Nostradamus, il Jacob, il Thevet,

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il la Croix du Maine, il Verdier, il Bullart ed altri somi-glianti scrittori son forse più esatti? Perchè dunque rim-proverare agl'Italiani un difetto ch'era allora comune atutti? Il più leggiadro si è che il Marchand si trattienelunghissimamente a ponderare ciò che di Simone hannoscritto i suddetti autori; e non tocca punto ciò che nehanno scritto altri moderni e più esatti. Egli, morto solol'an. 1756, potè pure vedere la Storia tipografica milane-se del ch. dott. Sassi italiano stampata l'an. 1745, e danoi poc'anzi citata; e se l'avesse letta, avrebbe vedutofatta ivi menzione dell'edizione dell'opera di Simone fat-ta l'an 1475, cui egli sembra vantarsi di aver prima diogni altro scoperta; avrebbe veduto che questo valentuo-mo ci ha date intorno a Simone assai prima di lui tuttequelle notizie che gli è stato possibile di raccogliere;avrebbe veduto che il titolo dell'opera di Serapione ossiadi Giovanni di lui figliuolo tradotta dall'arabico in latinonon è già stato sfigurato dal p. Orlandi, ma che tale è ve-ramente in una copia stampata in Milano lo stesso an.1473, della quale edizione il Marchand, uomo per altroche tanto avidamente ricerca cotai notizie, non ha avutacontezza; avrebbe finalmente veduto che gli errori de'precedenti scrittori intorno a Simone erano già stati sco-perti e confutati in Italia prima ch'egli dall'Olanda ce nedesse avviso. Se gli Oltramontani, invece di procacciarsile opere de' nostri buoni scrittori, non si curan che diquelle de' più screditati di chi hanno essi a dolersi?

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il la Croix du Maine, il Verdier, il Bullart ed altri somi-glianti scrittori son forse più esatti? Perchè dunque rim-proverare agl'Italiani un difetto ch'era allora comune atutti? Il più leggiadro si è che il Marchand si trattienelunghissimamente a ponderare ciò che di Simone hannoscritto i suddetti autori; e non tocca punto ciò che nehanno scritto altri moderni e più esatti. Egli, morto solol'an. 1756, potè pure vedere la Storia tipografica milane-se del ch. dott. Sassi italiano stampata l'an. 1745, e danoi poc'anzi citata; e se l'avesse letta, avrebbe vedutofatta ivi menzione dell'edizione dell'opera di Simone fat-ta l'an 1475, cui egli sembra vantarsi di aver prima diogni altro scoperta; avrebbe veduto che questo valentuo-mo ci ha date intorno a Simone assai prima di lui tuttequelle notizie che gli è stato possibile di raccogliere;avrebbe veduto che il titolo dell'opera di Serapione ossiadi Giovanni di lui figliuolo tradotta dall'arabico in latinonon è già stato sfigurato dal p. Orlandi, ma che tale è ve-ramente in una copia stampata in Milano lo stesso an.1473, della quale edizione il Marchand, uomo per altroche tanto avidamente ricerca cotai notizie, non ha avutacontezza; avrebbe finalmente veduto che gli errori de'precedenti scrittori intorno a Simone erano già stati sco-perti e confutati in Italia prima ch'egli dall'Olanda ce nedesse avviso. Se gli Oltramontani, invece di procacciarsile opere de' nostri buoni scrittori, non si curan che diquelle de' più screditati di chi hanno essi a dolersi?

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XVII. Mentre la medicina era per tal modocoltivata in Italia, e vi facea que' progressiche soli in quelle circostanze potevanoaspettarsi, la chirurgia ancora venivasi forse

anche più felicemente illustrando. Guido da Cauliac,scrittor francese di Chirurgia del sec. XIV, ci ha traman-data la memoria de' primi che dopo gli antichi e dopo gliArabi presero ad illustrare la chirurgia. E il primo ch'einomina, è Ruggeri: Quorum primus fuit Rogerius (Chi-rurg. Proem.). Io non so, su qual fondamento il Freind(Hist. med. p. 169 ed. ven. 1735), e dopo lui m. Portal(Hist. de l'Anatom. t. 1, p. 174), abbian lasciato in dub-bio s'ei fosse parmigiano, ovvero salernitano. Non vi ha,ch'io sappia, alcun codice in cui egli sia detto natio diSalerno, ma in alcuni gli si da per patria Parma (Cat.MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 297, cod. 7954), e da alcu-ni altri noi raccogliamo ch'egli per qualche tempo fu inMontpellier, e vi ebbe la carica di cancelliere di quellafamosa università: Auctore Rogerio Studii Montispessu-lani Cancellario (ib. p. 306, cod. 7035; p. 308, cod.6056). Molto meno è incerto, come afferma m. Portal, iltempo a cui egli visse; poichè e l'età de' codici mentova-ti, e il citarlo che fanno gli altri scrittori che gli vennerodopo, ci mostra ad evidenza ch'ei visse verso la metà delsec. XIII. Di lui abbiamo un'opera intitolata Pratica diMedicina maggiore e minore, e con altro nome Rogeri-na. Così in un codice della biblioteca del re di Francia:

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Progressidella chi-rurgia:Ruggieroda Parma.

XVII. Mentre la medicina era per tal modocoltivata in Italia, e vi facea que' progressiche soli in quelle circostanze potevanoaspettarsi, la chirurgia ancora venivasi forse

anche più felicemente illustrando. Guido da Cauliac,scrittor francese di Chirurgia del sec. XIV, ci ha traman-data la memoria de' primi che dopo gli antichi e dopo gliArabi presero ad illustrare la chirurgia. E il primo ch'einomina, è Ruggeri: Quorum primus fuit Rogerius (Chi-rurg. Proem.). Io non so, su qual fondamento il Freind(Hist. med. p. 169 ed. ven. 1735), e dopo lui m. Portal(Hist. de l'Anatom. t. 1, p. 174), abbian lasciato in dub-bio s'ei fosse parmigiano, ovvero salernitano. Non vi ha,ch'io sappia, alcun codice in cui egli sia detto natio diSalerno, ma in alcuni gli si da per patria Parma (Cat.MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 297, cod. 7954), e da alcu-ni altri noi raccogliamo ch'egli per qualche tempo fu inMontpellier, e vi ebbe la carica di cancelliere di quellafamosa università: Auctore Rogerio Studii Montispessu-lani Cancellario (ib. p. 306, cod. 7035; p. 308, cod.6056). Molto meno è incerto, come afferma m. Portal, iltempo a cui egli visse; poichè e l'età de' codici mentova-ti, e il citarlo che fanno gli altri scrittori che gli vennerodopo, ci mostra ad evidenza ch'ei visse verso la metà delsec. XIII. Di lui abbiamo un'opera intitolata Pratica diMedicina maggiore e minore, e con altro nome Rogeri-na. Così in un codice della biblioteca del re di Francia:

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Progressidella chi-rurgia:Ruggieroda Parma.

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Rogerii Parmensis practica medicinae major et minor(l. c. p. 297, cod. 6954) e in un altro: Rogerina major etminor, sive Rogerii practica Medicinae (ib. p. 308, cod.7056), anzi in un altro ella si divide in tre parti: RogeriiSumma Medicinae major et minor et media (ib.). Alcuneperò di queste sembran esser compendi, o parti dell'ope-ra intera, e tale è, certamente un codice che conservasiin questa biblioteca estense. Dell'opera di Ruggiero sihanno ancora più edizioni rammentate dal Fabricio(Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p. 119), il quale inoltre ac-cenna un trattato delle Emissioni di sangue da lui com-posto e dato poscia alla luce, e due altri opuscoli mediciche si han manoscritti nella Riccardiana di Firenze (Cat.Bibl. riccard. p. 343). La Chirurgia di Ruggiero, che tro-vasi in alcuni codici rammentata (Cat. Bibl. reg. paris. l.c. p. 306, cod. 1035; Cat. MSS. Angl. et Hibern. t. 1, p.169, cod. 3500), non è a mio parere diversa dalla Praticadi Medicina; perciocchè questa appunto più alla chirur-gia appartiene che alla medicina. M. Portal ce ne ha datoun compendioso estratto ov'ei riflette che quasi ognicosa egli ha tolta dall'arabo Albucasi, e che, benchè inpiù luoghi le sue osservazioni non siano troppo confor-mi alla sperienza, più volte egli ha parlato esattamente,e in alcune cose ha preceduti i moderni.

XVIII. Parmigiano ancora fu Rolando, chedopo Ruggiero vien nominato dal suddettoGuido di Cauliac. Egli visse al tempo mede-

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Rolando pure da Parma.

Rogerii Parmensis practica medicinae major et minor(l. c. p. 297, cod. 6954) e in un altro: Rogerina major etminor, sive Rogerii practica Medicinae (ib. p. 308, cod.7056), anzi in un altro ella si divide in tre parti: RogeriiSumma Medicinae major et minor et media (ib.). Alcuneperò di queste sembran esser compendi, o parti dell'ope-ra intera, e tale è, certamente un codice che conservasiin questa biblioteca estense. Dell'opera di Ruggiero sihanno ancora più edizioni rammentate dal Fabricio(Bibl. med. et inf. Latin. t. 6, p. 119), il quale inoltre ac-cenna un trattato delle Emissioni di sangue da lui com-posto e dato poscia alla luce, e due altri opuscoli mediciche si han manoscritti nella Riccardiana di Firenze (Cat.Bibl. riccard. p. 343). La Chirurgia di Ruggiero, che tro-vasi in alcuni codici rammentata (Cat. Bibl. reg. paris. l.c. p. 306, cod. 1035; Cat. MSS. Angl. et Hibern. t. 1, p.169, cod. 3500), non è a mio parere diversa dalla Praticadi Medicina; perciocchè questa appunto più alla chirur-gia appartiene che alla medicina. M. Portal ce ne ha datoun compendioso estratto ov'ei riflette che quasi ognicosa egli ha tolta dall'arabo Albucasi, e che, benchè inpiù luoghi le sue osservazioni non siano troppo confor-mi alla sperienza, più volte egli ha parlato esattamente,e in alcune cose ha preceduti i moderni.

XVIII. Parmigiano ancora fu Rolando, chedopo Ruggiero vien nominato dal suddettoGuido di Cauliac. Egli visse al tempo mede-

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Rolando pure da Parma.

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simo con Ruggiero e ancora gli sopravvisse; perciocchèei confessa modestamente che nella sua Chirurgia avea-lo poco men che copiato. Ego Rolandus Parmensis inopere praesenti juxta meum posse in omnibus sensum etliteraturam Rogerii sum sectus; nec mirum si imperitiamea hoc egerit, cum paene omnes sapientes hoc egissenoscantur (ad fin Chirurg.). Ei soggiornò almeno perqualche tempo in Bologna, come prova da un passo del-la Chirurgia da lui pubblicata il p. Sarti (pars 1, p. 449),il quale rammenta un'accusa datagli da Teodorico, cheallor pur vivea, cioè ch'ei si vantasse di aver sanato unocol tagliarli parte del polmone: il che Teodorico affermaessersi fatto da Ugo da Lucca da noi mentovatopoc'anzi. Il p. Sarti procura di riunire insieme i due di-scordanti chirurghi, dicendo che forse l'uno e l'altro in-trapresero in diverso tempo l'operazione medesima. Maio penso che la miglior maniera a troncar questa contesasia quella di Guido di Cauliac, che afferma (tract. 3,doctr. 2, c. 1) ciò non essere possibile, e che l'uno el'altro o si sono ingannati, o ci han venduta una fola.Abbiamo alle stampe in più edizioni la Chirurgia da luicomposta, la qual si ebbe allora in pregio sì grande, chequattro insigni dottori in chirurgia presero a comentarla,come vedesi da un codice ms. che ha per titolo: Glossu-la seu Apparatus quatuor Magistrorum super Chirur-giam Rolandi (Cat. MSS. Angl. et Hibern. t. 1, p. 169,cod. 3501). Di questi quattro maestri fa menzione anco-ra il suddetto Guido di Cauliac (l. c.). Anzi egli di Rug-gieri, di Rolando, e de' quattro maestri forma in certo

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simo con Ruggiero e ancora gli sopravvisse; perciocchèei confessa modestamente che nella sua Chirurgia avea-lo poco men che copiato. Ego Rolandus Parmensis inopere praesenti juxta meum posse in omnibus sensum etliteraturam Rogerii sum sectus; nec mirum si imperitiamea hoc egerit, cum paene omnes sapientes hoc egissenoscantur (ad fin Chirurg.). Ei soggiornò almeno perqualche tempo in Bologna, come prova da un passo del-la Chirurgia da lui pubblicata il p. Sarti (pars 1, p. 449),il quale rammenta un'accusa datagli da Teodorico, cheallor pur vivea, cioè ch'ei si vantasse di aver sanato unocol tagliarli parte del polmone: il che Teodorico affermaessersi fatto da Ugo da Lucca da noi mentovatopoc'anzi. Il p. Sarti procura di riunire insieme i due di-scordanti chirurghi, dicendo che forse l'uno e l'altro in-trapresero in diverso tempo l'operazione medesima. Maio penso che la miglior maniera a troncar questa contesasia quella di Guido di Cauliac, che afferma (tract. 3,doctr. 2, c. 1) ciò non essere possibile, e che l'uno el'altro o si sono ingannati, o ci han venduta una fola.Abbiamo alle stampe in più edizioni la Chirurgia da luicomposta, la qual si ebbe allora in pregio sì grande, chequattro insigni dottori in chirurgia presero a comentarla,come vedesi da un codice ms. che ha per titolo: Glossu-la seu Apparatus quatuor Magistrorum super Chirur-giam Rolandi (Cat. MSS. Angl. et Hibern. t. 1, p. 169,cod. 3501). Di questi quattro maestri fa menzione anco-ra il suddetto Guido di Cauliac (l. c.). Anzi egli di Rug-gieri, di Rolando, e de' quattro maestri forma in certo

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modo la prima setta di chirurgia; perciocchè, dopo averdetto che a' suoi tempi erano state cinque sette di chirur-gia l'una dall'altra diverse nel curar le ferite, soggiugne:Et prima fuit Rogerii, Rolandi, et quatuor Magistrorum,qui indifferenter omnibus vulneribus et apostematibussaniem cum suis pulsibus procurabant. Chi fossero que-sti quattro maestri, niuno ce ne ha lasciata memoria.Solo da un codice ms. sembra che possiamo raccoglierech'essi erano della scuola salernitana: Expositio quatuorMagistrorum Salerni super Chirurgia Rogeri (Cat.Codd. MSS. Angl. et Hibern. t. 2 in Codd. Coll. CajoGonvil. cod. 971), ed essi furono probabilmente gli stes-si che chiosarono quella ancor di Rolando. Oltre la Chi-rurgia abbiamo ancora alle stampe un trattato di Rolan-do sulla Cura delle posteme pestilenziali (Fabr. l. c. p.122), e un'opera che conservasi manoscritta e divisa insei libri, sopra la Fisionomia: Rolandi Physionomia insex libros divisa (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 344,cod. 7340). Il Fabricio, non so su qual fondamento, glidà il cognome di Capelluti, il dice crisopolitano, nomeche non s'intenderebbe a qual città appartenesse, se nonsapessimo, come altre volte abbiamo osservato, che Par-ma ne' bassi secoli fu talvolta appellata Crisopoli; e fi-nalmente con assai più grave errore il dice vissuto versol'an. 1468 (37).37 Ho ripreso di errore il Fabricio perchè al chirurgo Rolando da Parma attri-

buisce il cognome di Capelluto, e perchè lo dice vissuto nel 1468. A qual-che scusa però del Fabricio deesi avvertire che fu veramente al sec. XV unRolando Capelluti parmigiano. Perciocchè nella real biblioteca di Parma,come mi ha avvertito l'eruditiss. p. Affò, si ha una Raccolta di Trattati Me-

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modo la prima setta di chirurgia; perciocchè, dopo averdetto che a' suoi tempi erano state cinque sette di chirur-gia l'una dall'altra diverse nel curar le ferite, soggiugne:Et prima fuit Rogerii, Rolandi, et quatuor Magistrorum,qui indifferenter omnibus vulneribus et apostematibussaniem cum suis pulsibus procurabant. Chi fossero que-sti quattro maestri, niuno ce ne ha lasciata memoria.Solo da un codice ms. sembra che possiamo raccoglierech'essi erano della scuola salernitana: Expositio quatuorMagistrorum Salerni super Chirurgia Rogeri (Cat.Codd. MSS. Angl. et Hibern. t. 2 in Codd. Coll. CajoGonvil. cod. 971), ed essi furono probabilmente gli stes-si che chiosarono quella ancor di Rolando. Oltre la Chi-rurgia abbiamo ancora alle stampe un trattato di Rolan-do sulla Cura delle posteme pestilenziali (Fabr. l. c. p.122), e un'opera che conservasi manoscritta e divisa insei libri, sopra la Fisionomia: Rolandi Physionomia insex libros divisa (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 344,cod. 7340). Il Fabricio, non so su qual fondamento, glidà il cognome di Capelluti, il dice crisopolitano, nomeche non s'intenderebbe a qual città appartenesse, se nonsapessimo, come altre volte abbiamo osservato, che Par-ma ne' bassi secoli fu talvolta appellata Crisopoli; e fi-nalmente con assai più grave errore il dice vissuto versol'an. 1468 (37).37 Ho ripreso di errore il Fabricio perchè al chirurgo Rolando da Parma attri-

buisce il cognome di Capelluto, e perchè lo dice vissuto nel 1468. A qual-che scusa però del Fabricio deesi avvertire che fu veramente al sec. XV unRolando Capelluti parmigiano. Perciocchè nella real biblioteca di Parma,come mi ha avvertito l'eruditiss. p. Affò, si ha una Raccolta di Trattati Me-

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XIX. Guido di Cauliac rammenta posciaun certo Jamerio, di cui non ci è rimastanotizia alcuna, nè era a bramare che ci ri-

manesse, perciocchè dice di lui che Chirurgiam quam-dam brutalem edidit. Fu al tempo medesimo, cioè circala metà del sec. XIII, un chirurgo di nome Bruno, la cuiChirurgia suole andare unita con quelle de' due sopran-nomati Ruggiero e Rolando. Di lui parlando Guido lodail raccogliere e il compendiar ch'egli fece le cose mi-

dici e Chirurgici, la quale ha in fronte il nome: Rolandus CappellutusChrysopolitanus. E al fine di essa si legge un trattato de Curatione pestife-rorum, in cui dice di se medesimo: Currente MCCCCLXVIII anno me inurbe nostra reperi, in qua non parva et horrida viguit pestis, quam simi-lem numquam vidisse nec videre credo. Nullus amor, nulla charitas inParmigenis erat. Un altro codice della stessa real biblioteca dà il cognomedi Capelluto all'antico Rolando: Incipit Cyrugia Rolandi Capelluti de Par-ma; e in fine della Chirurgia si legge Mille CCC (Quindi è cancellatol'altro numero che sembra esser LX quarto, e vi è aggiunto d'altra mano74) hoc opus cyrugicum, quod Rolandina nuncupatur, compositum fuit Bo-nonie a Magistro Rolando parmensi ibi legente. Ma il codice è scritto cer-tamente nel sec. XV, e perciò non può essere abbastanza autorevol per as-sicurare il cognome di Rolando, e la pubblica cattedra da lui sostenuta inBologna. Nel medesimo codice si legge una questione medica di JacopoCapelluto, utrum in antrace vel carbunculo competat somnus: e ad essaaggiugnesi una nota storica intorno a questo Jacopo, che non dee qui omet-tersi: Anno MCCCXLIII, die XIII Octobris obit famosus artium et medici-nae doctor dominus magister Jacobus de Capellutis de Parma Avinioni, etfuit sepultus ad domum fratrum heremitanor, cum maximo honore et fue-runt ad faciendum sibi honorem undecim Cardinales, sexdecim Episcopos(sic) cum multis procuratoribus sanctissimi Papae, et dominus Papa fecitei gratiam, quod posset testare, et fecit, ac dedit gratiam, quod esset abso-lutus a paena et culpa. Finalmente in un altro codice, che fu di Rolando ilgiovine, ed ora è nella stessa real biblioteca, si contiene un'altra opera me-dica attribuita a un Rinaldo de' Capelluti da Parma. "Si è anche stampata inRoma sulla fine del sec XV un'opera di Rolando Capelluti De Curationepestiferorum apostematum (Audifredi Cat. rom. Edit. saec. XV, p. 380)".

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Bruno daLongoburgo.

XIX. Guido di Cauliac rammenta posciaun certo Jamerio, di cui non ci è rimastanotizia alcuna, nè era a bramare che ci ri-

manesse, perciocchè dice di lui che Chirurgiam quam-dam brutalem edidit. Fu al tempo medesimo, cioè circala metà del sec. XIII, un chirurgo di nome Bruno, la cuiChirurgia suole andare unita con quelle de' due sopran-nomati Ruggiero e Rolando. Di lui parlando Guido lodail raccogliere e il compendiar ch'egli fece le cose mi-

dici e Chirurgici, la quale ha in fronte il nome: Rolandus CappellutusChrysopolitanus. E al fine di essa si legge un trattato de Curatione pestife-rorum, in cui dice di se medesimo: Currente MCCCCLXVIII anno me inurbe nostra reperi, in qua non parva et horrida viguit pestis, quam simi-lem numquam vidisse nec videre credo. Nullus amor, nulla charitas inParmigenis erat. Un altro codice della stessa real biblioteca dà il cognomedi Capelluto all'antico Rolando: Incipit Cyrugia Rolandi Capelluti de Par-ma; e in fine della Chirurgia si legge Mille CCC (Quindi è cancellatol'altro numero che sembra esser LX quarto, e vi è aggiunto d'altra mano74) hoc opus cyrugicum, quod Rolandina nuncupatur, compositum fuit Bo-nonie a Magistro Rolando parmensi ibi legente. Ma il codice è scritto cer-tamente nel sec. XV, e perciò non può essere abbastanza autorevol per as-sicurare il cognome di Rolando, e la pubblica cattedra da lui sostenuta inBologna. Nel medesimo codice si legge una questione medica di JacopoCapelluto, utrum in antrace vel carbunculo competat somnus: e ad essaaggiugnesi una nota storica intorno a questo Jacopo, che non dee qui omet-tersi: Anno MCCCXLIII, die XIII Octobris obit famosus artium et medici-nae doctor dominus magister Jacobus de Capellutis de Parma Avinioni, etfuit sepultus ad domum fratrum heremitanor, cum maximo honore et fue-runt ad faciendum sibi honorem undecim Cardinales, sexdecim Episcopos(sic) cum multis procuratoribus sanctissimi Papae, et dominus Papa fecitei gratiam, quod posset testare, et fecit, ac dedit gratiam, quod esset abso-lutus a paena et culpa. Finalmente in un altro codice, che fu di Rolando ilgiovine, ed ora è nella stessa real biblioteca, si contiene un'altra opera me-dica attribuita a un Rinaldo de' Capelluti da Parma. "Si è anche stampata inRoma sulla fine del sec XV un'opera di Rolando Capelluti De Curationepestiferorum apostematum (Audifredi Cat. rom. Edit. saec. XV, p. 380)".

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Bruno daLongoburgo.

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gliori di Galeno, di Avicenna, di Albucasi; ma insiemesi duole ch'ei non avesse tutti i libri di Galeno tradotti inlatino, e che trascurasse in tutto l'Anatomia. Chi eglifosse, è sembrato ad alcuni difficile a diffinire. Dino delGarbo illustre medico fiorentino al principio del secolseguente ebbe per padre, come afferma Domenico Are-tino (Mehus Vita Ambr. camald. p. 135, p. 163), un valo-roso chirurgo detto per nome Bruno. E potrebbe perciòparere ch'ei fosse l'autore di cui cerchiamo. Ma da Filip-po Villani (ib. et Vite d'ill. Fiorent. p. 46) il padre diDino si appella Buono; e degli altri autori posteriori altrigli dà il primo, altri il secondo nome. Il p. Negri (Scritt.fiorent. p. 113) lo chiama Bruno; gli dà il cognome diLasca ignorato da' più antichi scrittori, dice che conser-vò una strettissima e virtuosissima corrispondenza conFrancesco Petrarca, di che io non trovo nell'opere delPetrarca vestigio alcuno; e aggiugne per ultimo che la-sciò molte belle e dotte fatiche nell'arte di chirurgia.Egli però non reca altra pruova delle sue asserzioni chel'autorità del Poccianti. Ma checchessia del padre diDino del Garbo, il Bruno, di cui ci è rimasto il trattato diChirurgia, certamente non fu fiorentino, ma calabrese enatio di Longoburgo, o, come traduce il co. Mazzuc-chelli, di Longobucco (Scritt. ital. t. 2, par. 4, p. 2227);la qual voce ha forse data occasione all'errore di m. Por-tal che il dice nato nella bassa Lombardia (Hist. del'Anat. ec. t. 1, p. 178). Alcuni codici gli assegnanochiaramente la suddetta patria: Bruni LongoburgensisChirurgia (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 315, cod.

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gliori di Galeno, di Avicenna, di Albucasi; ma insiemesi duole ch'ei non avesse tutti i libri di Galeno tradotti inlatino, e che trascurasse in tutto l'Anatomia. Chi eglifosse, è sembrato ad alcuni difficile a diffinire. Dino delGarbo illustre medico fiorentino al principio del secolseguente ebbe per padre, come afferma Domenico Are-tino (Mehus Vita Ambr. camald. p. 135, p. 163), un valo-roso chirurgo detto per nome Bruno. E potrebbe perciòparere ch'ei fosse l'autore di cui cerchiamo. Ma da Filip-po Villani (ib. et Vite d'ill. Fiorent. p. 46) il padre diDino si appella Buono; e degli altri autori posteriori altrigli dà il primo, altri il secondo nome. Il p. Negri (Scritt.fiorent. p. 113) lo chiama Bruno; gli dà il cognome diLasca ignorato da' più antichi scrittori, dice che conser-vò una strettissima e virtuosissima corrispondenza conFrancesco Petrarca, di che io non trovo nell'opere delPetrarca vestigio alcuno; e aggiugne per ultimo che la-sciò molte belle e dotte fatiche nell'arte di chirurgia.Egli però non reca altra pruova delle sue asserzioni chel'autorità del Poccianti. Ma checchessia del padre diDino del Garbo, il Bruno, di cui ci è rimasto il trattato diChirurgia, certamente non fu fiorentino, ma calabrese enatio di Longoburgo, o, come traduce il co. Mazzuc-chelli, di Longobucco (Scritt. ital. t. 2, par. 4, p. 2227);la qual voce ha forse data occasione all'errore di m. Por-tal che il dice nato nella bassa Lombardia (Hist. del'Anat. ec. t. 1, p. 178). Alcuni codici gli assegnanochiaramente la suddetta patria: Bruni LongoburgensisChirurgia (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 315, cod.

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7128; Cat. MSS. Ingl. et Hibern. t. 1, p. 169, cod. 3500);ed egli stesso, come ora vedremo, si chiama Longobur-gensis. Più certe notizie e intorno alla patria e intornoall'età di Bruno ci somministran due altri codici, uno ci-tato dall'eruditiss. Apostolo Zeno (Ap. Fabr. Bibl. med.et inf. Latin. t. 1, p. 290), in cui la Chirurgia da lui scrit-ta è intitolata Chirurgia Magistri Bruni Longoburgensisex dictis Sapientum breviter elucidata et compilata; etermina con queste parole: Anno ab Incarnatione Domi-ni 1252. mense Januarii Ind. X. Paduae in loco s. Pauli.Ego Brunus Longoburgensis Calaber huic, operi finemimposui; l'altro citato dal ch. Angelo Zavarroni (Bibl.calabra p. 50), in cui oltre le stesse parole si aggiugneuna protesta di Bruno di aver tratto ciò ch'egli insegnada' libri di molti antichi, ch'egli avea letti; ma che insie-me ei vi avea aggiunto ciò che la ragione e la sperienzagli avean dettato. La qual protesta e le quali parole me-desime veggonsi pure nell'edizione della Chirurgia gran-de di Bruno fatta in Venezia l'an. 1546, che è l'unica dame veduta, in cui si aggiugne un compendio di Chirur-gia dello stesso autore detto Chirurgia parva; e come lagrande da lui vedesi dedicata a un certo Andrea da Vi-cenza, così egli indirizza la piccola a un cotal Lazzaroda Padova. Vivea dunque Bruno in Padova l'an. 1252,ove però non abbiamo argomento a conchiudere ch'eifosse pubblico professore. L'opera chirurgica da luicomposta è quasi un tessuto, com'egli stesso confessa, diciò che detto aveano i Greci e gli Arabi; ma questo an-cora non era a que' tempi un leggier beneficio che al

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7128; Cat. MSS. Ingl. et Hibern. t. 1, p. 169, cod. 3500);ed egli stesso, come ora vedremo, si chiama Longobur-gensis. Più certe notizie e intorno alla patria e intornoall'età di Bruno ci somministran due altri codici, uno ci-tato dall'eruditiss. Apostolo Zeno (Ap. Fabr. Bibl. med.et inf. Latin. t. 1, p. 290), in cui la Chirurgia da lui scrit-ta è intitolata Chirurgia Magistri Bruni Longoburgensisex dictis Sapientum breviter elucidata et compilata; etermina con queste parole: Anno ab Incarnatione Domi-ni 1252. mense Januarii Ind. X. Paduae in loco s. Pauli.Ego Brunus Longoburgensis Calaber huic, operi finemimposui; l'altro citato dal ch. Angelo Zavarroni (Bibl.calabra p. 50), in cui oltre le stesse parole si aggiugneuna protesta di Bruno di aver tratto ciò ch'egli insegnada' libri di molti antichi, ch'egli avea letti; ma che insie-me ei vi avea aggiunto ciò che la ragione e la sperienzagli avean dettato. La qual protesta e le quali parole me-desime veggonsi pure nell'edizione della Chirurgia gran-de di Bruno fatta in Venezia l'an. 1546, che è l'unica dame veduta, in cui si aggiugne un compendio di Chirur-gia dello stesso autore detto Chirurgia parva; e come lagrande da lui vedesi dedicata a un certo Andrea da Vi-cenza, così egli indirizza la piccola a un cotal Lazzaroda Padova. Vivea dunque Bruno in Padova l'an. 1252,ove però non abbiamo argomento a conchiudere ch'eifosse pubblico professore. L'opera chirurgica da luicomposta è quasi un tessuto, com'egli stesso confessa, diciò che detto aveano i Greci e gli Arabi; ma questo an-cora non era a que' tempi un leggier beneficio che al

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pubblico si rendesse, e per aprir la via a nuove scoperteconveniva prima vedere ciò che da altri fosse stato giàdetto. Di questo scrittore non han fatta menzione alcunanè il Toppi, nè il Nicodemo nelle loro Biblioteche degliScrittori napoletani. Il Tafuri ne ha ragionato, ma conpoca esattezza (Scritt. napol. t. 3, par. 4, p. 284).

XX. Dopo aver parlato di Bruno, passaGuido di Cauliac a ragionare di Teodori-co, e dice ch'egli tolse quasi ogni cosa daBruno, e che solo vi aggiunse alcune cosefavolose che da Ugo da Lucca suo mae-

stro avea imparate: "Post ipsum immediate venit Theo-doricus, qui rapiendo omnia, quae dixit Brunus, cumquibusdam fabulis Hugonis de Luca Magistri sui, librumedidit". Poco appresso però parla di Teodorico e di Bru-no come di due inventori di una nuova setta di chirurgia:Secundo fuit Bruni ac Theodorici, qui indifferenter om-nia vulnera cum solo vino exsiccabant. Il p. Sarti ha ra-gionato a lungo e coll'esattezza sua consueta (De Prof.Bon. t. 1, pars 1, p. 450, ec.) di questo chirurgo, e ioperciò sarò pago di accennare in breve ciò ch'egli ha giàsvolto abbastanza, e provato con autentici documenti.Teodorico figliuolo dello stesso Ugo da Lucca, di cui fuscolaro, venuto ancor fanciullo a Bologna insiem consuo padre l'an. 1214, e sotto la direzione paterna eserci-tatosi per qualche tempo nella medicina, entrò poscianell'Ord. de' Predicatori, ove continuò e a coltivare il

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Teodorico da Lucca domeni-cano, e poi ve-scovo.

pubblico si rendesse, e per aprir la via a nuove scoperteconveniva prima vedere ciò che da altri fosse stato giàdetto. Di questo scrittore non han fatta menzione alcunanè il Toppi, nè il Nicodemo nelle loro Biblioteche degliScrittori napoletani. Il Tafuri ne ha ragionato, ma conpoca esattezza (Scritt. napol. t. 3, par. 4, p. 284).

XX. Dopo aver parlato di Bruno, passaGuido di Cauliac a ragionare di Teodori-co, e dice ch'egli tolse quasi ogni cosa daBruno, e che solo vi aggiunse alcune cosefavolose che da Ugo da Lucca suo mae-

stro avea imparate: "Post ipsum immediate venit Theo-doricus, qui rapiendo omnia, quae dixit Brunus, cumquibusdam fabulis Hugonis de Luca Magistri sui, librumedidit". Poco appresso però parla di Teodorico e di Bru-no come di due inventori di una nuova setta di chirurgia:Secundo fuit Bruni ac Theodorici, qui indifferenter om-nia vulnera cum solo vino exsiccabant. Il p. Sarti ha ra-gionato a lungo e coll'esattezza sua consueta (De Prof.Bon. t. 1, pars 1, p. 450, ec.) di questo chirurgo, e ioperciò sarò pago di accennare in breve ciò ch'egli ha giàsvolto abbastanza, e provato con autentici documenti.Teodorico figliuolo dello stesso Ugo da Lucca, di cui fuscolaro, venuto ancor fanciullo a Bologna insiem consuo padre l'an. 1214, e sotto la direzione paterna eserci-tatosi per qualche tempo nella medicina, entrò poscianell'Ord. de' Predicatori, ove continuò e a coltivare il

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Teodorico da Lucca domeni-cano, e poi ve-scovo.

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suo studio, e a farne uso ad altrui giovamento, i divietidi questo studio fatti a' religiosi dai romani pontefici onon erano allora in vigore, o Teodorico ne fu dispensato.Ei certo non lasciò per questo di esser caro agli stessipontefici, da uno de' quali, cioè, come sembra più verisi-mile, da Innocenzo IV fu fatto suo penitenziere (38). Fuposcia innalzato alla sede vescovil di Bitonto primadell'an. 1262, e circa l'an. 1266 trasferito a quella diCervia, cui tenne fino alla sua morte avvenuta l'an.1298. Ciò non ostante ei fece quasi continua residenzain Bologna, e proseguì ancor vescovo ad esercitare l'artedella medicina, con cui ei venne a raccogliere non ordi-narie ricchezze. Tutto ciò sembra difficile a credersi diun religioso e di un vescovo, e più strano riesce ancora ariflettere ch'egli nella sua opera di Chirurgia facendospesso menzione di Ugo da Lucca, non mai accennich'egli era suo padre. Queste riflessioni mi avean mossosospetto che il Teodorico scrittore di Chirurgia fosse di-verso dal Teodorico figliuol di Ugo, e vescovo di Biton-to e poi di Cervia. Ma per quanto inverisimile sembri talcosa, nondimeno non possiam dubitarne. Che Teodoricolo scrittore di Chirurgia fosse domenicano già peniten-ziere del papa e allora vescovo di Bitonto, ce ne assicuraegli stesso nella introduzione al suo libro riferita dal p.Sarti. "Vener. Patri et amico carissimo D. A. (Andreae)Dei gratia Episcopo Valentino Fr. Theodoricus ejusdempatientia Botontinensis Ecclesiae minister indignus,38 L'ab. Marini crede non improbabile che Teodorico fosse anche medico

d'Innocenzo IV (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 19).

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suo studio, e a farne uso ad altrui giovamento, i divietidi questo studio fatti a' religiosi dai romani pontefici onon erano allora in vigore, o Teodorico ne fu dispensato.Ei certo non lasciò per questo di esser caro agli stessipontefici, da uno de' quali, cioè, come sembra più verisi-mile, da Innocenzo IV fu fatto suo penitenziere (38). Fuposcia innalzato alla sede vescovil di Bitonto primadell'an. 1262, e circa l'an. 1266 trasferito a quella diCervia, cui tenne fino alla sua morte avvenuta l'an.1298. Ciò non ostante ei fece quasi continua residenzain Bologna, e proseguì ancor vescovo ad esercitare l'artedella medicina, con cui ei venne a raccogliere non ordi-narie ricchezze. Tutto ciò sembra difficile a credersi diun religioso e di un vescovo, e più strano riesce ancora ariflettere ch'egli nella sua opera di Chirurgia facendospesso menzione di Ugo da Lucca, non mai accennich'egli era suo padre. Queste riflessioni mi avean mossosospetto che il Teodorico scrittore di Chirurgia fosse di-verso dal Teodorico figliuol di Ugo, e vescovo di Biton-to e poi di Cervia. Ma per quanto inverisimile sembri talcosa, nondimeno non possiam dubitarne. Che Teodoricolo scrittore di Chirurgia fosse domenicano già peniten-ziere del papa e allora vescovo di Bitonto, ce ne assicuraegli stesso nella introduzione al suo libro riferita dal p.Sarti. "Vener. Patri et amico carissimo D. A. (Andreae)Dei gratia Episcopo Valentino Fr. Theodoricus ejusdempatientia Botontinensis Ecclesiae minister indignus,38 L'ab. Marini crede non improbabile che Teodorico fosse anche medico

d'Innocenzo IV (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 19).

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opus diutius affectatum. Dudum, pater charissime, Ro-mae pariter existentes me vestrum tunc temporis Capel-lanum, ei Poenitentiarium Domini Papae affectuose ro-gastis". Che il Teodorico vescovo di Bitonto fosse poitrasferito alla sede di Cervia provasi da un monumentodell'archivio pubblico di Bologna presso il medesimo p.Sarti dell'anno 1291, ipsum ven. pat. Dn. Fr. Theodori-gum olim Botontinum nunc Cerviensem Episcopum. Fi-nalmente che il Teodorico vescovo di Bitonto e posciadi Cervia fosse figliuol di Ugo da Lucca, si afferma inun altro monumento dell'an. 1288 del medesimo archi-vio: "Cum ven. pat. Fr. Theodoric. Dei gratia EpiscopusCerviensis... suum testamentum condidisset, voluit,quod Dn. Fr. Ubertus et Francisciscus, filii quondamDn. Hugonis de Luca, germani sui illud ratificarent".Veggansi presso il p. Sarti altri monumenti che semprepiù chiaramente confermano ciò che abbiam finora ac-cennato. Io non saprei certo indovinare per qual ragionesfuggisse Teodorico nelle sue opere di dirsi figliuol diUgo; ma è indubitabile e che egli gli era veramente fi-gliuolo, e che nol nominò mai col nome di padre, e dob-biamo perciò ripor questo fatto tra quelli che, benchèsembrin difficili a credersi, debbonsi nondimeno crederesicuramente. Abbiam già accennato il rimprovero chegli fa Guido di Cauliac, di aver in gran parte nella suaChirurgia copiata quella di Bruno. Questo stesso rim-provero gli fa il Freind (Hist. Medic. p. 169), e dopo luim. Portal (Hist. de l'Anat. t. 1, p. 181) che fedelmente iltraduce, adottando fra le altre cose, come un leggiadro

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opus diutius affectatum. Dudum, pater charissime, Ro-mae pariter existentes me vestrum tunc temporis Capel-lanum, ei Poenitentiarium Domini Papae affectuose ro-gastis". Che il Teodorico vescovo di Bitonto fosse poitrasferito alla sede di Cervia provasi da un monumentodell'archivio pubblico di Bologna presso il medesimo p.Sarti dell'anno 1291, ipsum ven. pat. Dn. Fr. Theodori-gum olim Botontinum nunc Cerviensem Episcopum. Fi-nalmente che il Teodorico vescovo di Bitonto e posciadi Cervia fosse figliuol di Ugo da Lucca, si afferma inun altro monumento dell'an. 1288 del medesimo archi-vio: "Cum ven. pat. Fr. Theodoric. Dei gratia EpiscopusCerviensis... suum testamentum condidisset, voluit,quod Dn. Fr. Ubertus et Francisciscus, filii quondamDn. Hugonis de Luca, germani sui illud ratificarent".Veggansi presso il p. Sarti altri monumenti che semprepiù chiaramente confermano ciò che abbiam finora ac-cennato. Io non saprei certo indovinare per qual ragionesfuggisse Teodorico nelle sue opere di dirsi figliuol diUgo; ma è indubitabile e che egli gli era veramente fi-gliuolo, e che nol nominò mai col nome di padre, e dob-biamo perciò ripor questo fatto tra quelli che, benchèsembrin difficili a credersi, debbonsi nondimeno crederesicuramente. Abbiam già accennato il rimprovero chegli fa Guido di Cauliac, di aver in gran parte nella suaChirurgia copiata quella di Bruno. Questo stesso rim-provero gli fa il Freind (Hist. Medic. p. 169), e dopo luim. Portal (Hist. de l'Anat. t. 1, p. 181) che fedelmente iltraduce, adottando fra le altre cose, come un leggiadro

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scherzo, il detto del Freind; che Teodorico essendo mo-naco credeva di aver diritto a' beni di un laico qual eraBruno; il qual grazioso concetto tanto è piaciuto a m.Portal che non gli ha permesso di riflettere al grave erro-re in cui poco appresso è caduto, scrivendo che Teodori-co dedicò a suo padre la sua Chirurgia, mentre chiunquela legge, conosce ch'ella è dedicata al vescovo di Valen-za, cui, secondo lo stile usato parlando a' vescovi, dà ilnome di padre. Benchè però Teodorico siasi giovato nonpoco delle fatiche di Bruno, lo stesso Freind confessache in alcune cose egli è stato inventore, e che fra le al-tre ha scritto prima di ogni altro della salivazione procu-rata colle unzioni mercuriali. Alcune altre opere scrisseTeodorico, che ci rimangono manoscritte, e che si anno-verano dal p. Sarti, fra le quali è degno d'esser rammen-tato un trattato sulla Cura e sulle malattie de' cavalli. Al-cune di queste opere veggonsi scritte a mano nell'anticalingua di Catalogna, e queste han data occasion a' pp.Quetif ed Echard di credere (Script. Ord. Praed. t. 1, p.354), che Teodorico fosse di patria catalano. Ma le coseche finora abbiam dette, ci convincono del contrario; edè probabile che Teodorico scrivesse la sua Chirurgia inlatino, qual l'abbiamo alle stampe insieme colle operedegli altri antichi chirurghi de' quali si è da noi ragiona-to; e che il vescovo di Valenza, a cui aveala dedicata, lafacesse poi traslatare nel volgar dialetto di Catalogna.

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scherzo, il detto del Freind; che Teodorico essendo mo-naco credeva di aver diritto a' beni di un laico qual eraBruno; il qual grazioso concetto tanto è piaciuto a m.Portal che non gli ha permesso di riflettere al grave erro-re in cui poco appresso è caduto, scrivendo che Teodori-co dedicò a suo padre la sua Chirurgia, mentre chiunquela legge, conosce ch'ella è dedicata al vescovo di Valen-za, cui, secondo lo stile usato parlando a' vescovi, dà ilnome di padre. Benchè però Teodorico siasi giovato nonpoco delle fatiche di Bruno, lo stesso Freind confessache in alcune cose egli è stato inventore, e che fra le al-tre ha scritto prima di ogni altro della salivazione procu-rata colle unzioni mercuriali. Alcune altre opere scrisseTeodorico, che ci rimangono manoscritte, e che si anno-verano dal p. Sarti, fra le quali è degno d'esser rammen-tato un trattato sulla Cura e sulle malattie de' cavalli. Al-cune di queste opere veggonsi scritte a mano nell'anticalingua di Catalogna, e queste han data occasion a' pp.Quetif ed Echard di credere (Script. Ord. Praed. t. 1, p.354), che Teodorico fosse di patria catalano. Ma le coseche finora abbiam dette, ci convincono del contrario; edè probabile che Teodorico scrivesse la sua Chirurgia inlatino, qual l'abbiamo alle stampe insieme colle operedegli altri antichi chirurghi de' quali si è da noi ragiona-to; e che il vescovo di Valenza, a cui aveala dedicata, lafacesse poi traslatare nel volgar dialetto di Catalogna.

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XXI. Gli ultimi due chirurghi di questo se-colo, che da Guido di Cauliac si nominano,sono Guglielmo da Saliceto piacentino di

patria, e Lanfranco. Di Guglielmo ei fa un bell'elogio di-cendo che fu un valent'uomo, e che scrisse due somme,una di Medicina, l'altra di Chirurgia, e che di quelle cosedi cui prese a trattare, trattò assai bene (l. c.). Due sonodunque le opere che di lui abbiamo, amendue più voltestampate. La prima è un Compendio di Medicina da luiintitolato Summa conservationis et curationis, ch'eglinel proemio dichiara d'aver composta ad istanza di Rufi-no priore di s. Ambrogio in Piacenza, e di un suo pro-prio figliuolo detto Leonardino. L'altra è la Chirurgia (39),al fine della quale così egli scrive: "Sigillavimus et com-plevimus librum Chyrurgiae nostrae die Sabbati octavodie Junii in civitate Veronae, in qua faciebamus tuncmoram, eo quod salarium recipiebamus a Communianno corrente MCCLXXV. Verum est, quod ipsum ordi-navimus cursorie ante hoc tempus Bononia per annosquatuor". Il qual passo ci mostra ch'ei fu chiamato e sti-pendiato a loro medico da' Veronesi, e che prima egli

39 La più antica edizione delle due opere qui nominate di Guglielmo da Sali-ceto è quella fatta in Piacenza l'an. 1476. Essa ha per titolo: Liber in Scien-tia Medicinali, et specialiter perfectis, qui summa Conservationis et Cura-tionis appellatur; e al fine si legge: Placentiae ad exemplar Originalis ip-sius M. Guilelmi anno ab Incarnatione Domini MCCCCLXXVI. Siegueposcia l'altra intitolata Cyrugia ejusdem; e al fine di essa si leggono quelleparole da me riferite sigillavimus, ec. Copia di questa edizione, ch'è bellis-sima ed in folio imperiale, conservasi in Crema nella libreria di s. Agosti-no, come mi ha avvertito il già lodato p. lettor Tommaso Verani, ed ora èin Bergamo presso il ch. sig. co. Gius. Beltramelli.

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Guglielmoda Saliceto.

XXI. Gli ultimi due chirurghi di questo se-colo, che da Guido di Cauliac si nominano,sono Guglielmo da Saliceto piacentino di

patria, e Lanfranco. Di Guglielmo ei fa un bell'elogio di-cendo che fu un valent'uomo, e che scrisse due somme,una di Medicina, l'altra di Chirurgia, e che di quelle cosedi cui prese a trattare, trattò assai bene (l. c.). Due sonodunque le opere che di lui abbiamo, amendue più voltestampate. La prima è un Compendio di Medicina da luiintitolato Summa conservationis et curationis, ch'eglinel proemio dichiara d'aver composta ad istanza di Rufi-no priore di s. Ambrogio in Piacenza, e di un suo pro-prio figliuolo detto Leonardino. L'altra è la Chirurgia (39),al fine della quale così egli scrive: "Sigillavimus et com-plevimus librum Chyrurgiae nostrae die Sabbati octavodie Junii in civitate Veronae, in qua faciebamus tuncmoram, eo quod salarium recipiebamus a Communianno corrente MCCLXXV. Verum est, quod ipsum ordi-navimus cursorie ante hoc tempus Bononia per annosquatuor". Il qual passo ci mostra ch'ei fu chiamato e sti-pendiato a loro medico da' Veronesi, e che prima egli

39 La più antica edizione delle due opere qui nominate di Guglielmo da Sali-ceto è quella fatta in Piacenza l'an. 1476. Essa ha per titolo: Liber in Scien-tia Medicinali, et specialiter perfectis, qui summa Conservationis et Cura-tionis appellatur; e al fine si legge: Placentiae ad exemplar Originalis ip-sius M. Guilelmi anno ab Incarnatione Domini MCCCCLXXVI. Siegueposcia l'altra intitolata Cyrugia ejusdem; e al fine di essa si leggono quelleparole da me riferite sigillavimus, ec. Copia di questa edizione, ch'è bellis-sima ed in folio imperiale, conservasi in Crema nella libreria di s. Agosti-no, come mi ha avvertito il già lodato p. lettor Tommaso Verani, ed ora èin Bergamo presso il ch. sig. co. Gius. Beltramelli.

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Guglielmoda Saliceto.

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era stato alcuni anni in Bologna (40). In fatti il p. Sartiproduce un monumento di quel pubblico archiviodell'an. 1269, in cui maestro Guglielmo medico di Pia-cenza promette a Guido di Rossiglione scolaro tedescodi medicarlo a sue spese da certa infermità ch'ei chiamaFleume sarse, quando ne fosse compreso ne' due primianni seguenti, e ciò pel prezzo di 36 lire bolognesi. Del-la Medicina e della Chirurgia di Guglielmo han fattoampj estratti il Freind (Hist. Med. p. 170) e m. Portal(Hist. de l'Anat. t. 1, p. 185), i quali osservano che ben-40 Il ch. sig. Vincenzo Malacarne avendo trovata un'opera ms. di Chirurgia

intitolata de Operatione Manuali, al fin della quale si legge il nome diMaestro Giovanni da Carbondala professore di chirurgia in Santià nel ver-cellese, ebbe qualche sospetto che fosse questa l'opera stessa che fu stam-pata sotto il nome di Guglielmo piacentino; ma non potè farne il confron-to, non avendo trovata l'opera al Piacentino attribuita (Delle Op. de' Med.e de' Cerus., ec. t. 1, p. 24 ec.). E che quelle due non sieno che un'operasola, è certo dall'esaminar ch'io ho fatto la descrizione che ci dà della pri-ma il medesimo autore, coll'edizione della seconda fatta in Venezia nel1502. Ma non parmi che se ne possa inferire ch'essa sia opera del Carbon-dala, non del Piacentino. Questi dagli scrittori di Chirurgia, che gli venne-ro appresso, è citato come autore dell'opera stessa; niuno la cita come ope-ra del Carbondala. L'opera fu composta in Verona; e altri monumenti dame recati ci mostrano che Guglielmo fu in Verona, niun documento ci mo-stra che vi fosse Giovanni. Tutti i codici dell'opera portano in fronte ilnome di Guglielmo, niuno ha quel di Giovanni, trattone quello descrittodal sig. Malacarne. Ma questo codice ancora non ne fa autore Giovanni:solo al fin di esso si legge: Iste liber est mei marcii de Vergasco, qui pergoad scolas Magistri Johannis de Carbondala habitatorque Sancte Agathead honorem Dei et omnium Sanctorum: cum praticha sua ipse operavit etvictum. Or queste parole pruovan bensì che il possessore del codice andavaalla scuola di Giovanni, non pruovano che Giovanni sia l'autore del libro.Finalmente l'opera di Giovanni fu scritta nel 1257, cioè ventun anni primadi quel che suppongasi scritto questo codice. Il valoroso autore sopralloda-to, il qual non cerca che il vero, e a cui ho comunicate queste mie riflessio-ni, con quella docilità ch'è propria de' dotti, se n'è mostrato convinto.

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era stato alcuni anni in Bologna (40). In fatti il p. Sartiproduce un monumento di quel pubblico archiviodell'an. 1269, in cui maestro Guglielmo medico di Pia-cenza promette a Guido di Rossiglione scolaro tedescodi medicarlo a sue spese da certa infermità ch'ei chiamaFleume sarse, quando ne fosse compreso ne' due primianni seguenti, e ciò pel prezzo di 36 lire bolognesi. Del-la Medicina e della Chirurgia di Guglielmo han fattoampj estratti il Freind (Hist. Med. p. 170) e m. Portal(Hist. de l'Anat. t. 1, p. 185), i quali osservano che ben-40 Il ch. sig. Vincenzo Malacarne avendo trovata un'opera ms. di Chirurgia

intitolata de Operatione Manuali, al fin della quale si legge il nome diMaestro Giovanni da Carbondala professore di chirurgia in Santià nel ver-cellese, ebbe qualche sospetto che fosse questa l'opera stessa che fu stam-pata sotto il nome di Guglielmo piacentino; ma non potè farne il confron-to, non avendo trovata l'opera al Piacentino attribuita (Delle Op. de' Med.e de' Cerus., ec. t. 1, p. 24 ec.). E che quelle due non sieno che un'operasola, è certo dall'esaminar ch'io ho fatto la descrizione che ci dà della pri-ma il medesimo autore, coll'edizione della seconda fatta in Venezia nel1502. Ma non parmi che se ne possa inferire ch'essa sia opera del Carbon-dala, non del Piacentino. Questi dagli scrittori di Chirurgia, che gli venne-ro appresso, è citato come autore dell'opera stessa; niuno la cita come ope-ra del Carbondala. L'opera fu composta in Verona; e altri monumenti dame recati ci mostrano che Guglielmo fu in Verona, niun documento ci mo-stra che vi fosse Giovanni. Tutti i codici dell'opera portano in fronte ilnome di Guglielmo, niuno ha quel di Giovanni, trattone quello descrittodal sig. Malacarne. Ma questo codice ancora non ne fa autore Giovanni:solo al fin di esso si legge: Iste liber est mei marcii de Vergasco, qui pergoad scolas Magistri Johannis de Carbondala habitatorque Sancte Agathead honorem Dei et omnium Sanctorum: cum praticha sua ipse operavit etvictum. Or queste parole pruovan bensì che il possessore del codice andavaalla scuola di Giovanni, non pruovano che Giovanni sia l'autore del libro.Finalmente l'opera di Giovanni fu scritta nel 1257, cioè ventun anni primadi quel che suppongasi scritto questo codice. Il valoroso autore sopralloda-to, il qual non cerca che il vero, e a cui ho comunicate queste mie riflessio-ni, con quella docilità ch'è propria de' dotti, se n'è mostrato convinto.

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chè egli pure secondo l'usanza dei suoi tempi, e forseancora de' nostri, abbia da' suoi predecessori preso nonpoco, molte cose però ha nuovamente scoperte, e inoltreha parlato con esattezza maggiore assai di quella che si-nallora si fosse usata. Egli insiem con Lanfranco daGuido Cauliac vien detto autore di una terza setta di chi-rurgia: "Tertia secta fuit Guilelmi de Saliceto, et Lan-franci, qui volentes medicare inter istos, procurabantomnia vulnera cum unguentis et emplastris dulcibus".

XXII. Lanfranco, di cui ci rimane a par-lare, non si contenne, come gli altri fi-nor nominati, entro L'Italia, ma passò in

Francia, e vi salì a gran fama. Egli era milanese di pa-tria, come si raccoglie da un codice ms. della sua Chi-rurgia grande: Lanfranci Mediolanensis Magne chyrur-giae libri V. (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 301, cod.6992), il che pur vedesi nell'edizioni della stessa opera.Nel proemio di essa egli accenna di essere stato costret-to a partir dalla sua patria, e a recarsi a Parigi, della qualcittà fa grandissimi elogj; e aggiugne di aver compostaquest'opera a onore del re Filippo, alle preghiere de' pro-fessori di medicina, e a vantaggio degli scolari che loaccompagnavano; "propter fraternum amorem valen-tium Medicinae Scholarium, mihi tam honorabilem fa-cientium comitivam". Le quali parole sembrano indicar-ci ch'ei tenesse scuola di medicina in Parigi. Ma piùchiaramente ei parla di se medesimo al fin dell'opera, e

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Lanfranco mila-nese.

chè egli pure secondo l'usanza dei suoi tempi, e forseancora de' nostri, abbia da' suoi predecessori preso nonpoco, molte cose però ha nuovamente scoperte, e inoltreha parlato con esattezza maggiore assai di quella che si-nallora si fosse usata. Egli insiem con Lanfranco daGuido Cauliac vien detto autore di una terza setta di chi-rurgia: "Tertia secta fuit Guilelmi de Saliceto, et Lan-franci, qui volentes medicare inter istos, procurabantomnia vulnera cum unguentis et emplastris dulcibus".

XXII. Lanfranco, di cui ci rimane a par-lare, non si contenne, come gli altri fi-nor nominati, entro L'Italia, ma passò in

Francia, e vi salì a gran fama. Egli era milanese di pa-tria, come si raccoglie da un codice ms. della sua Chi-rurgia grande: Lanfranci Mediolanensis Magne chyrur-giae libri V. (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 301, cod.6992), il che pur vedesi nell'edizioni della stessa opera.Nel proemio di essa egli accenna di essere stato costret-to a partir dalla sua patria, e a recarsi a Parigi, della qualcittà fa grandissimi elogj; e aggiugne di aver compostaquest'opera a onore del re Filippo, alle preghiere de' pro-fessori di medicina, e a vantaggio degli scolari che loaccompagnavano; "propter fraternum amorem valen-tium Medicinae Scholarium, mihi tam honorabilem fa-cientium comitivam". Le quali parole sembrano indicar-ci ch'ei tenesse scuola di medicina in Parigi. Ma piùchiaramente ei parla di se medesimo al fin dell'opera, e

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Lanfranco mila-nese.

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narra di essere stato cacciato da Milano, e, trasportato inFrancia per comando di Matteo Visconti signor di Mila-no; che venuto a Lione vi si trattenne alcun tempo, e viscrisse il Compendio di Chirurgia, che pure abbiamoalle stampe; che ivi attese all'educazion de' suoi figli (ilche ci mostra l'errore di m. Portal che ha scritto (l. c. p.189) che Lanfranco era ecclesiastico), e che insieme re-cossi per esercizio della sua arte in diversi paesi; che fi-nalmente l'anno 1295 venne a Parigi, ove dice ch'ebbetal comitiva, cioè come sembra doversi intendere, talnumero di scolari, che ben conosceva di non meritarnela centesima parte e che accintosi ivi a scrivere questasua opera a richiesta de' maestri di medicina, e singolar-mente di Giovanni Passavanti, aveala condotta a finel'an. 1296. Da un altro passo della sua opera raccoglia-mo ch'egli anche in Milano avea esercitata la chirurgiapoichè narra (Chirurg. magna tract. 2, c. 1) di aver risa-nato ivi un Canonico regolare di s. Agostino, che peruna pericolosa caduta da cavallo già era creduto morto.Ed altre cure ancora da sè fatte nella stessa città ei ram-menta in più luoghi (ib. tract. 3, c. 2, 5). M. Portal hafatto di quest'opera ancora un non breve estratto; e mol-te osservazioni ne accenna, che ci scuoprono che Lan-franco si avanzò ancora più oltre che i precedenti scrit-tori. Ma io mi compiaccio singolarmente di poter quiusare l'autorità di questo scrittor francese, dicendo che aLanfranco deesi in gran parte che la chirurgia uscisse fi-nalmente dall'ignoranza in cui finallora era giaciuta inFrancia. E in vero in tutto il sec. XIII appena troviamo

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narra di essere stato cacciato da Milano, e, trasportato inFrancia per comando di Matteo Visconti signor di Mila-no; che venuto a Lione vi si trattenne alcun tempo, e viscrisse il Compendio di Chirurgia, che pure abbiamoalle stampe; che ivi attese all'educazion de' suoi figli (ilche ci mostra l'errore di m. Portal che ha scritto (l. c. p.189) che Lanfranco era ecclesiastico), e che insieme re-cossi per esercizio della sua arte in diversi paesi; che fi-nalmente l'anno 1295 venne a Parigi, ove dice ch'ebbetal comitiva, cioè come sembra doversi intendere, talnumero di scolari, che ben conosceva di non meritarnela centesima parte e che accintosi ivi a scrivere questasua opera a richiesta de' maestri di medicina, e singolar-mente di Giovanni Passavanti, aveala condotta a finel'an. 1296. Da un altro passo della sua opera raccoglia-mo ch'egli anche in Milano avea esercitata la chirurgiapoichè narra (Chirurg. magna tract. 2, c. 1) di aver risa-nato ivi un Canonico regolare di s. Agostino, che peruna pericolosa caduta da cavallo già era creduto morto.Ed altre cure ancora da sè fatte nella stessa città ei ram-menta in più luoghi (ib. tract. 3, c. 2, 5). M. Portal hafatto di quest'opera ancora un non breve estratto; e mol-te osservazioni ne accenna, che ci scuoprono che Lan-franco si avanzò ancora più oltre che i precedenti scrit-tori. Ma io mi compiaccio singolarmente di poter quiusare l'autorità di questo scrittor francese, dicendo che aLanfranco deesi in gran parte che la chirurgia uscisse fi-nalmente dall'ignoranza in cui finallora era giaciuta inFrancia. E in vero in tutto il sec. XIII appena troviamo

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altri scrittori di Medicina e di Chirurgia fuorchè gl'Ita-liani de' quali abbiam ragionato; e parmi perciò che cipossiamo non senza ragione vantare che noi siamo statii primi a ravvivar questi studj che si giaceano dimenti-cati; e che benchè questi primi scrittori altro non abbianfatto comunemente che tradurre e copiare gli autori gre-ci e gli arabi, molto però hanno giovato a risvegliare franoi e fra le altre nazioni quell'ardore con cui gli studjmedesimi si sono poscia ne' secoli susseguenti coltivaticotanto felicemente.

XXIII. Quel Giovanni Passavanti che ab-biam veduto poc'anzi nominato dal chirurgoLanfranco, sembra che fosse professore di

medicina nella università di Parigi. Ma di lui non ci sonpervenute più distinte notizie, seppur egli non è quelGiovanni di Gherardo Passavanti, che l'an. 1299 fu scel-to professore di diritto canonico nell'università di Bolo-gna (De Prof. Bon. t. 1, pars 1, p. 416).

Fine del Tomo IV. Par. I.

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GiovanniPassavanti.

altri scrittori di Medicina e di Chirurgia fuorchè gl'Ita-liani de' quali abbiam ragionato; e parmi perciò che cipossiamo non senza ragione vantare che noi siamo statii primi a ravvivar questi studj che si giaceano dimenti-cati; e che benchè questi primi scrittori altro non abbianfatto comunemente che tradurre e copiare gli autori gre-ci e gli arabi, molto però hanno giovato a risvegliare franoi e fra le altre nazioni quell'ardore con cui gli studjmedesimi si sono poscia ne' secoli susseguenti coltivaticotanto felicemente.

XXIII. Quel Giovanni Passavanti che ab-biam veduto poc'anzi nominato dal chirurgoLanfranco, sembra che fosse professore di

medicina nella università di Parigi. Ma di lui non ci sonpervenute più distinte notizie, seppur egli non è quelGiovanni di Gherardo Passavanti, che l'an. 1299 fu scel-to professore di diritto canonico nell'università di Bolo-gna (De Prof. Bon. t. 1, pars 1, p. 416).

Fine del Tomo IV. Par. I.

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