CARLO CAPELLI Scambi gassosi respiratori · respiratorio; • x = ml di O 2 (saturo di vapore di...

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Scambi gassosi respiratori DISPENSE AD USO DEGLI STUDENTI CARLO CAPELLI

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Scambi gassosi respiratori

DISPENSE AD USO DEGLI STUDENTI

CARLO CAPELLI

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CAPITOLO 1

Scambi gassosi

In questo capitolo sarà illustrato come sia possibile descrivere in modo quantitativo le relazioni tra la composizione dell’aria am-biente ed alveolare e la ventilazione.In seguito, si illustrerà come la distribuzione della perfusione e della ventilazione alveola-re possano influenzare gli scambi gassosi al-veolo - capillare e determinare in alcuni casi la diminuzione dell’ossigenazione del sangue arterioso

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OBIETTIVI

1. Scambi gassosi: il consumo di O2 e la produzione di CO2

2. Equazione dell’aria alveolare e linee iso-R dell’aria alveolare

3. Linee iso-R del sangue capillare e curva di distribuzione del rapporto V’A/Q’

4. La maldistribuzione del rapporto V’A/Q’ come causa di ipossia

5. Punto ideale alveolare

6. Spazio morto anatomico, alveolare e fisiologico

7. Shunt anatomico e fisiologico

SEZIONE 1

Scambi gassosi alveolo-ca-pillari

Gli scambi gassosi tra aria ambiente e aria alveolare possono essere trattati in modo quantitativo. In particolare, poiché le relazioni tra PACO2 e PAO2 sono funzioni ben definite:

i) della composizione dell'aria inspirata;

ii) del consumo di ossigeno (V’O2) e della produzione di CO2 (V’CO2) e;

iii) della ventilazione alveolare (V’A),

si può ottenere un’espressione algebrica che descriva le conse-guenze della modificazione di una delle variabili sulle altre. L’equazione che stabilisce la relazione quantitativa tra queste variabili è l’equazione dell’aria alveolare.

Prima di addentrarci nella descrizione dettagliata di come si possa ricavare l’equazione alveolare e, per mezzo di essa, com-prendere come V’A influenzi la composizione dell’aria alveola-re, è opportuno descrivere come si possano quantificare gli scambi gassosi alveolari dei due gas implicati nel nostro meta-bolismo terminale: l’ossigeno e l’anidride carbonica.

Consumo di ossigeno e produzione di anidride carbo-nica.

Il volume di O2 consumato in un dato periodo di tempo (V’ O2) è uguale alla differenza tra il volume di O2 introdotto con l’aria inspirata e quello espirato nello stesso periodo di tempo. Questa equazione descrive solo il flusso netto dell’O2 che entra nelle vie aeree.

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V’O2 = V’I • F I O2 - V’E • F E O2 (1,

dove V’I e V’E rappresentano i flussi di aria inspirata e espirata e FIO2 e FEO2 sono le frazioni di ossigeno degli stessi campioni di aria.

Il volume di O2 che attraversa le vie aeree è uguale al volume di O2 tra-sferito attraverso la barriera alveolo capillare nello stesso intervallo di tempo solo se non si hanno contemporaneamente variazioni delle riser-ve polmonari di ossigeno (resO2) contenute negli alveoli polmonari o si ritenga la somma algebrica delle loro variazioni uguale a zero (per esempio, nel corso di periodi di rilevazione di svariati secondi). Nella maggioranza dei casi, quindi, l’equazione 1 è una misura fedele della quantità di O2 introdotta nell’organismo umano, fatta eccezione per quelle condizioni in cui, per esempio nel corso dei transienti all’inizio e alla fine dell’esercizio, resO2 variano significativamente per raggiunge-re rapidamente un livello stabile. Quanto detto ha una rilevanza pratica evidente se si desidera misurare in modo accurato il volume di gas che attraversa la barriera alveolo-capillare respiro per respiro, poiché resO2 variano da un respiro all’altro.

Dal punto di vista pratico, di solito si ha solitamente a dispo-sizione solo V’E. V’I in Equazione 1 può essere calcolato da V’E assumendo che, nel periodo di osservazione, lo scambio netto di azoto (N2) a livello polmonare sia uguale a zero:

V’N2 = V’I • F I N2 - V’E • F E N2 (2.

Così facendo, è possibile risolvere l’uguaglianza per

V’I e ottenere:

(3

L’Equazione 1 può essere quindi riscritta come:

(4

(5.

Il metodo per il calcolo indiretto di V’I prende il nome di cor-rezione di Haldane, dal nome del fisiologo e biochimico ingle-se che la propose per la prima volta. La frazione in volume del-l’azoto nell’aria espirata (FEN2) è calcolata solitamente come complemento all’unità delle frazioni di ossigeno e anidride car-bonica nell’aria espirata partendo dall’analisi dell’aria espirata effettuata con analizzatori per l’ossigeno e per l’anidride carbo-nica: (1 - F E O2 - F E CO2).

Allo stesso modo, la produzione di CO2 può essere calcolata come:

(6,

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dove il termine - V’I.• F I CO2 solitamente scompare nel caso si respiri aria ambiente poichè FICO2 può essere tranquillamen-te assunta uguale a zero. V’CO2, quindi, si riduce al prodotto tra la ventilazione espirata totale e la frazione in volume di CO2 nell’aria espirata mista (F E CO2).

Rapporto di scambio respiratorio

Il rapporto di scambio respiratorio (R) è uguale al rapporto tra la CO2 prodotta e l’O2 consumato:

(7

(8a.

L’equazione può anche essere scritta eliminando al numera-tore e al denominatore V’E:

(8b

oppure, nel caso si abbia accesso alla frazione dei gas alveola-ri:

(8c.

Per inciso, se R è assunto uguale a 1, significa che il volume di O2 sot-tratto al volume di aria inspirata è uguale a quello di CO2 aggiunto. Ne consegue che è possibile porre V’I uguale a V’E . In questo caso, V’O2 può quindi essere espresso per mezzo della relazione semplificata sen-za tenere conto della correzione di Haldane:

(9.

Ventilazione alveolare e equazione dell’aria alveolare

Per descrivere i concetti e le procedure che conducono al-l’equazione dell’aria alveolare, è più semplice partire da un ca-so limite, la respirazione in O2 puro. Alla fine di un’espirazio-ne o di un’espirazione – quando il flusso è nullo – la pressione negli alveoli è uguale alla pressione ambiente, PB. Essa deve anche essere uguale alla somma delle pressioni parziali alveo-lari di ossigeno (PAO2), anidride carbonica (PACO2) e di vapor d’acqua (PAH2O).

(10.

Poiché PAH2O a 37°C = 47 mm Hg, si può anche scrivere:

(11a.

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Ad una determinata altitudine, il termine (PB - 47) è costan-te. Quindi, l’equazione 11a equivale all’equazione di una retta con pendenza uguale a -1 della forma:

(11b.

Fenn, Rahn e Otis nel 1946, e ancor prima Rodolfo Margaria (1941), misero in luce che era possibile rappresentare su un si-stema di assi cartesiani le funzioni respiratorie ponendo sul-l’asse delle y la PACO2 e sull’asse delle x la PAO2. In Figura 1 è rappresentata tale funzione.

Figura 1. Linea iso-R dell’aria quando si respira O2 puro a livello del mare. L’intercetta sull’asse delle x corrisponde al punto dell’aria inspi-rata e la semiretta che si irradia da questo punto definisce tutti i possi-bili valori di PACO2 e PAO2 quando si respira O2 puro. La pendenza, uguale a -1, è uguale al rapporto al rapporto tra la variazione dell’ordi-nata – ΔPACO2 – divisa per la corrispondente variazione dell’ascissa – ΔPAO2. Respirando O2 puro, l’aumento assoluto della PACO2 è uguale alla diminuzione della PAO2.

La semiretta descritta nel grafico è un luogo geometrico. Es-sa, infatti, rappresenta tutte le possibili coppie di valori di PA-

CO2 e PAO2 che possono esistere negli alveoli di un polmone ventilato con O2 puro. Si nota che l’intercetta sull’asse delle x corrisponde al valore della pressione parziale di O2 nell’aria inspirata (PIO2). La seconda osservazione riguarda la penden-za della retta: la figura dimostra che la pendenza è uguale al rapporto tra la variazione dell’ordinata diviso per la corrispon-dente variazione dei valori in ascissa. Nel caso della respirazio-ne in O2 puro, il valore della pendenza indica immediatamen-te che l’aumento della PAO2 è identico alla diminuzione della PACO2.

E’ ovvio ora domandarsi come ci si possa muovere lungo la semiretta, ovvero come sia possibile ottenere tutte le possibili coppie dei valori di PAO2 e PACO2. E’ intuitivo che, se la ventila-zione alveolare (V’A) – o quella in ogni singolo alveolo - au-menta, ci muoveremo verso la PIO2; al contrario, se la ventila-zione diminuisce, ci allontaniamo in alto e a sinistra verso va-lori più bassi di PAO2 e più alti di PACO2.

Il diagramma in Figura 1, rappresenta la condizione più sem-plice. Se anziché O2 puro, si respira aria, la rappresentazione diventa molto più complessa e si deve tenere conto anche del metabolismo del soggetto, come illustrato di seguito.

Quando un individuo respira aria ambiente, con ogni atto re-spiratorio giunge negli alveoli un determinato volume di aria saturo di vapore d’acqua e a 37 °C. A questo volume di aria al-

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veolare il sangue sottrae un certo volume di O2 e aggiunge un certo volume di CO2.

Se poniamo:

• V = volume di aria umida che entra negli alveoli ad ogni atto respiratorio;

• x = ml di O2 (saturo di vapore di acqua) sottratto a V nei pol-moni

• y = ml di CO2 (saturo di vapore di acqua) che viene aggiunto a V nei polmoni

• FA = frazione in volume dei gas alveolari

• FI = frazione in volume dei gas inspirati (FO2 = 0.2093; FCO2 = 0.0003).

• R = y/x (quoziente di scambio respiratorio),

il volume di aria inspirata, dopo il completamento degli scam-bi respiratori, diventa V + y – x.

Poiché la quantità di CO2 eliminata è uguale alla differenza del contenuto in CO2 tra l’aria dopo che siano avvenuti gli scambi e prima che essi si siano attuati, si avrà che:

(12.

Allo stesso modo, l’O2 assorbito è uguale alla differenza tra l’O2 contenuto nell’aria inspirata e l’O2 contenuto al termine del completamento degli scambi respiratori:

(13.

Se poniamo ora nell’Equazione 12 , invece di x, y/R e invece di y, R • x e risolviamo, avremo:

(14a.

(14b

(14c

(14d

(14e

Procedendo allo stesso modo con sostituzioni analoghe, giun-giamo anche a:

(15.

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Dividendo membro a membro le equazioni 14 e 15, si ottie-ne:

(16.

Da questa, risolvendo per FAO2, si ottiene:

(17.

Poiché la pressione parziale di un gas qualsiasi x è uguale al prodotto tra la sua frazione in volume e la pressione totale dei gas che compongono la miscela ad esclusione dell’acqua

(18,

si può descrivere l’equazione 17 in termini di pressione parzia-le:

(19

che è l’equazione dell’aria alveolare nella sua versione più completa.

Risolvendo per PACO2 invece che per PAO2, avremo:

(20

Per l’aria, poiché FICO2 = 0 e PICO2 = 0, si può giungere ad una versione semplificata della 20:

(21a.

L’equazione 21a è la forma dell’equazione alveolare che de-scrive la relazione tra PACO2 e PAO2 durante respirazione in aria ambiente.

Questa formula indica che, per ogni valore di PIO2 (e FIO2) co-stante - quindi di PB e di altitudine sul livello del mare - e per un dato valore di R (posto anch’esso costante), PACO2 è una funzione lineare di PAO2. Infatti, l’equazione 21a diventa una funzione del tipo:

(21b,

cioè del tipo dell’equazione 11b, ove, però, b era posto uguale a -1.

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Sia dall’equazione 20 che dall’equazione 21, infatti, appare immediata-mente chiaro che se: i) R = 1 oppure; ii) FIO2 = 1 (respirazione in O2 puro), avremo rispettivamente:

PACO2 = (PIO2 + PICO2) – PAO2 (22a)

e

PACO2 = PIO2 – PAO2 (22b)

Le equazioni 22a e 22b sono identiche alla 11, poiché quando si respira una miscela di O2 e CO22 o solo di O2 :

PIO2 + PICO2 = PB -47 (23).

L’equazione 11, quindi, costituisce un caso particolare delle equazioni più generali 20 e 21.

In Figura 2 sono riportate le linee iso-R che descrivono l’equazione dell’aria alveolare quando si respira aria ambiente per quattro diversi valori di R. L’inclinazione - il valore b in 21b - dipende da R, cioè dal quoziente respiratorio e quindi dal metabolismo del soggetto. Altrettanto evidente é il fatto che al variare di R si modifica l’intercetta sull’asse delle y. In-fatti, la costante:

aumenta all’aumentare di R. Essa esprime il valore di parten-za della retta, cioè il valore di PACO2 per PIO2 = 0.

Figura 2. Linee iso-R corrisponenti a quattro valori di rapporto di scambio respiratorio. Le isoplete che si irradiano dal punto dell’aria in-spirata definiscono tutti i possibili valori di PACO2 e PAO2 al valore sta-bilito di R. L’origine delle linee - l’intercetta sull’asse delle y – aumenta all’aumentare di R; l’inclinazione delle linee iso-R aumenta per R > 1 e diminuisce per R < 1. Poiché l’intercetta sull’asse delle x corrisponde alla PIO2, ad ogni altezza sul livello del mare avremo un intero fascio di linee iso-R che si irradiano dal punto dell’aria inspirata.

Per quanto riguarda la costante:

che definisce l’inclinazione b della linea iso-R, questa aumenta per R > 1 e diminuisce per R< 1. Il valore di questa costante è indipendente dall’altezza s.l.m., poiché dipende solo da FIO2 e dal metabolismo (R). Solo se PACO2 = 0, PAO2 sarà uguale a PIO2. Quindi, l’intercetta con l’asse delle x – il valore dell’inter-cetta a in Equazione 21b, corrisponde alla pressione parziale di O2 nell’aria inspirata.

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Il fatto che l’inclinazione dipenda da R ha una notevole importanza poi-ché influenza l’effetto dell’iperventilazione o dell’ipoventilazione nel de-terminare le variazioni relative di PAO2 e PACO2. Per esempio, se R = 0.8 e la PAO2 è uguale a 100 mm Hg, un’iperventilazione in grado di au-mentare la pressione parziale alveolare di O2 sino a 120 mm Hg indur-rebbe una riduzione della PACO2 da 41mm Hg a 24 mm Hg, ovvero di soli 17 mm Hg. Se R = 1,5, la stessa iperventilazione sarebbe in grado di diminuire la PACO2 da 67 a 40 mm Hg, quindi di ben 27 mm Hg. E’ da notare che, se respirassimo O2 puro, l’aumento di PAO2 da 100 a 120 mm Hg – 20 mm Hg sarebbe semplicemente uguale alla diminuzione della PACO2.

Ventilazione alveolare e composizione dell’aria alveo-lare

In svariati passaggi dei paragrafi precedenti abbiamo accenna-to come sia possibile, modulando V’A, spostarsi lungo ogni sin-gola linea iso-R e variare, così, i valori di PACO2 e di PAO2. Ora è il momento di vincolare questo concetto ad un’analisi quanti-tativa delle relazioni tra le variabili in gioco.

L’approccio è molto semplificato se consideriamo la respira-zione in aria ambiente con FICO2 = 0. In questo caso sappia-mo già che V’CO2 è uguale al prodotto tra la ventilazione espi-rata e la frazione in volume della CO2 nell’aria espirata mista (Equazione 6). Poiché la produzione allo stato stazionario di CO2 in un dato lasso di tempo è costante1, essa sarà anche uguale al prodotto di V’A per la frazione alveolare di CO2:

(24

(24

dove i fattori che compaiono tra parentesi sono necessari per convertireV’A da BTPS a STPD2. Sostituendo FACO2 con PA-

CO2/(PB – 47), si ottiene:

(25.

L’equazione 25 è anche definita come l’equazione dell’aria al-veolare per il CO2 e mostra che, per un dato V’CO2, PACO2 di-minuisce all’aumentare di V’A (Figura 3) tendendo a zero per una V’A che tende all’infinito. In maniera analoga si può descri-vere la relazione tra PAO2 e V’A:

(26

1V’CO2 allo stato stazionario dipende solo dal metabolismo se l’iperventilazione non causa la deple-zione delle riserve corporee di CO2. Con l’iperventilazione è possibile indurre una liberazione di CO2 da parte del nostro organismo benuperiore alla produzione di CO2 da parte del metabolismo terminale. Infatti, mentre le riserve corporeee di O2 sono assai scarse – circa 500 ml O2 a riposo e a livello del mare – quelle di CO2 equivalgono a circa 110 litri in un individuoa riposo: esse corri-spondono alla CO2 fisicamente discinta nel sangue, a quella legata all’emoglobina e alle proteine, a quella trasportata nel plasma sotto forma di bicarbonato e a quella, mobilizzata con più difficoltà presente nelle ossa sotto la specie di carbonati.

2V’A è sempre espressa in condizioni BTPS, mentre la produzione di CO2, un gas, è espressa in con-dizioni STPD.

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che, nel caso R sia uguale a 1, si riduce a:

(27.

Figura 3. Pressione parziale negli alveoli di CO2 e di O2 in fun-zione della ventilazione alveolare V’A per una produzione di CO2 e di un consumo di O2 uguali a 200 ml al minuto. La PA-CO2 è inversamente proporzionale a V’A e tende a zero se V’ A tende all’infinito. PAO2, invece, tende al valore di pressione par-ziale di O2 nell’aria inspirata (PIO2) all’aumentare di V’A.

La Figura 3 riporta anche la variazione di PAO2 che si osserva in funzione di V’A per R uguale 1.0 e V’O2 uguale a 200 ml min-1. Si osserva che la PAO2 tende a PIO2 se V’A tende all’infi-nito. Queste informazioni possono essere tradotte anche in for-ma grafica su un diagramma PACO2 - PAO2 (Figura 4).

Figura 4. Diagramma PACO2 e PAO2 con le linee iso-R per R = 1.0 e a 0.8 assieme alle linee iso -ventilazione. Le linee isoventi-lazioni orizzontali corrispondono a diversivalori del rapporto V’CO2/V’A e sono state costruite mantenendo costante la produ-zione di CO2; quelle oblique corrispondono a diversi valori del rapporto V’O2/V’A e sono state ottenute mantenendo costante il consumo di O2.

In questa figura, assieme alle linee iso-R, compaiono le linee iso-venti-lazione. Le linee orizzontali che corrispondono all’asse destro delle ordi-nate rappresentano alcune delle linee-iso ventilazione che, per una V’CO2 costante, possono essere soddisfatte da valori di PACO2 e PAO2 posti sul sistema degli assi cartesiani PACO2 - PAO2. Di tutte le possibili

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coppie, solo quelle corrispondenti all’intersezione delle singole linee iso-R con la linea iso V’A in questione possono, in realtà, esistere in un polmone o in un alveolo caratterizzato da una determinata V’A. Per esempio, per un rapporto V’CO2 (ml min-1) / V’A (L min -1) pari a 40 - corrispondente ad una V’A di 5 L min-1 e a V’CO2 è uguale a 200 ml min-1- la condizione sarà solo soddisfatta dalla coppia di valori PACO2 = 35 mm Hg e PAO2 = 114 mm Hg per un R = 1,0 e dalla coppia P PA-

CO2 = 35 mm Hg e PAO2 = 107 mm Hg per un R = 0,8. Le linee iso-ven-tilazione oblique corrispondenti all’asse delle ascisse posto in alto, de-scrivono, invece, linee iso-ventilazione costruite mantenendo V’O2 co-stante.

Ventilazione alveolare e irrorazione sanguigna nei ca-pillari polmonari - Le linee iso – R del sangue

Nei paragrafi precedenti sono stati trattati gli aspetti quantita-tivi che descrivono le relazioni tra composizione dell’aria alveo-lare, ventilazione alveolare, composizione dell’aria ambiente e metabolismo del nostro organismo.

E’ evidente che le modificazioni subite da queste variabili si riflettono anche sulla composizione del sangue nei capillari polmonari. Più precisamente, la quantità di CO2 che è elimina-ta per via polmonare - V’CO2 -, deve essere uguale alla quanti-tà di CO2 ceduta dal sangue venoso misto che si arterializza passando nei capillari polmonari nello stesso intervallo di tem-po. Lo stesso, ovviamente, vale per l’O2 scambiato con l’aria ambiente e acquistato dal sangue durante il passaggio nella re-te dei capillari del polmone. Conditio sine qua non perché l’analisi proposta in questo passaggio risulti coerente è la asso-

luta necessità che in tutto il polmone esista, alla fine di ogni capillare, il perfetto equilibrio tra la pressione parziale dei gas alveolari e quella del sangue. Inevitabile conseguenza di quan-to detto è il fatto che che il rapporto di scambio respiratorio per il sangue e per l’aria di una data unità alveolo capillare è identico, data l’assoluta equivalenza tra i volumi di gas ceduti o acquistati dal sangue e scambiati con la ventilazione. Ciò è vero solo se il transfer alveolo-capillare in ogni singola unità funzionale non sia in alcun modo compromesso, un fatto che possiamo assumere come scontato in polmone sano di un indi-viduo a riposo che respira aria ambiente.

Siano Cc’CO2 e CvCO2 le concentrazioni di CO2 in ml per litro di sangue al termine del capillare polmonare (c’) e nel sangue venoso misto ( v ). Il volume di CO2 ceduto dal sangue ai pol-moni sarà uguale a:

(28.

Poiché esiste un perfetto equilibrio tra alveolo e capillare, la quantità di CO2 ceduta dal sangue deve essere uguale alla quantità scambiata con l’aria ambiente dalle vie respiratorie:

(29.

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Relazione analoga esiste anche per il V’O2, ricavata sostituen-do nell’equazione 5 le frazioni alveolari a quelle del gas espira-to misto e modificando l’equazione 28 per l’ossigeno3:

(30.

Poiché R è uguale per il sangue e per l’aria, si può scrivere:

(31.

Dall’ultimo termine a destra dell’equazione 31 si comprende come, se il rapporto tra CO2 ceduto dal sangue agli alveoli e l’O2 assorbito dai capillari nello stesso passaggio è costante, così deve essere anche il quoziente respiratorio che descrive gli scambi gassosi con l’esterno e i due devono essere uguali a prescindere dai valori di Cc’CO2, CaCO2, CvO2 e CvCO2.

Perciò, se riportiamo in un sistema di coordinate cartesiane (Figura 5) il valore della Cc’CO2 sull’ordinata e della Cc’O2 sul-l’ascissa, una volta fissata la concentrazione di CO2 e O2 3Il termine tra le parentesi quadre rappresenta la frazione di O2 assorbita a livello polmonare riferi-ta all’unità di volume di aria alveolare.

per 100 ml di sangue nel sangue venoso misto (13,2 ml%, CvO2 e 54,1 ml %, CvCO2), è possibile tracciare, in modo analogo a quanto fatto per le linee iso-R dell’aria, le linee iso-R del san-gue.

Figura 5. Curve iso-R del sangue corrispondenti a quattro valori di rapporto di scambio respiratorio. Le quattro isoplete che si irra-diano dal punto del sangue venoso misto definiscono tutti i possi-bili valori di CaCO2 e CaO2 al valore stabilito di R. Aumentando la perfusione capillare polmonare (Q’), i punti di CaCO2 e CaO2 si muovono verso il punto del sangue venoso misto. Viceversa, se Q’ diminuisce, essi si allontanano.

In questa figura, le linee iso-R del sangue appaiono come un fascio di semirette che si dipartono dal punto corrispondente alle condizioni del sangue venoso misto sul quale tutte le rette, a prescindere dal loro valore R, devono convergere.

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Analogamente a quanto osservato per le linee iso-R per l’aria, è possibile muoversi lungo ogni linea iso-R per il sangue variando il flusso ematico nel capillare Q’: se Q’ diminuisce, i valori di Cc’CO2 e Cc’O2 si sposteranno in basso e a destra, vice-versa se Q’ aumenta. Nel primo caso, solo l’incremento della differenza artero-venosa (di O2) - o di quella veno – arteriosa (di CO2) - sarà in grado di sostenere un dato V’O2 e una data V’CO2 a fronte della progressiva diminuzione di Q’. Nel secon-do caso, i volumi di gas scambiato tra capillari ed alveoli po-tranno essere sostenuti anche se le differenze diminuiranno, poiché il flusso aumenta: nella condizione limite – e del tutto ipotetica – di Q’ uguale all’infinito, V’O2 e V’CO2 potrebbero essere sostenuti anche in presenza di differenze artero-venosa e veno – arteriosa uguali a zero !

Le linee iso-R del sangue così rappresentate, però, impedisco-no di essere compendiate in un unico diagramma cartesiano assieme a quelle per l’aria. R.L. Riley e A.F. Cournard (1949) – quest’ultimo premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 1956 per avere inventato assieme W Frossman e D.W. Ri-chards il cateterismo cardiaco - hanno per primi combinato il diagramma dell’aria alveolare con quello del sangue capillare polmonare. Per fare questo, hanno dovuto convertire i valori di concentrazione di CO2 e O2 nei corrispondenti valori di pressione parziale, quali figurano sul diagramma dell’aria al-veolare. A questo scopo, è sufficiente disporre di curve di dis-sociazione dell’O2 di sangue normale in equilibrio con miscele di CO2 e O2, oppure ci si può avvalere di diagrammi come quel-li di Roughton e Severinghaus (1973). In questo modo, facen-

do riferimento ad una determinata semiretta iso-R, sulla qua-le si identificano alcuni punti, si possono ricavare con l’aiuto della curva di dissociazione o del nomogramma, i valori di PO2 e PCO2 corrispondenti ai valori di contenuto di CO2 e CO2. Le pressioni parziali così trovate possono quindi essere riportati sul diagramma dell’aria alveolare per ogni linea iso-R.

I valori uniti da una linea, però, non descriveranno più una semi retta, perché le curve di dissociazione dell’O2 e della CO2 delsangue non sono funzioni lineari di PCO2 o di PO2 (Figura 6). Esse, però, continuano a descrivere delle linee iso-R che in-crociano le corrispondenti linee iso-R dell’aria a diversa altez-za.

Figura 6. Linee iso-R del sangue tracciate in termini di pressioni parziali dei gas. La conversione delle concentrazioni in pressioni parziali avviene scegliendo i punti successivi su una singola linea iso-R del sangue di figura 5 e leggendo i corrispondenti valori di Pa-CO2 e PaO2 dalle curve di dissociazione standard per l’O2 e la CO2.

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Nella Figura 7 sono state disegnate alcune di queste linee iso-R per il sangue sul diagramma dell’aria alveolare. Poiché, come abbiamo più volte affermato, gli scambi gassosi da parte del sangue che scorre nei capillari alveolari avvengono esclusi-vamente con l’aria alveolare, l’R per il sangue deve essere uguale a quello dell’aria alveolare e perciò non potranno esse-re presi in considerazione altro che i punti nei quali le linee iso-R del sangue incrociano le corrispondenti linee iso-R per l’aria.

Figura 7. Linee iso R del sangue e dell’aria rappresentate sullo stes-so diagramma PCO2-PO2.

Se si considerano tutte le possibili linee iso-R del sangue e dell’aria, possiamo anche tracciare una curva che interpola tut-ti i punti in cui esse si incrociano (Figura 8). Questa curva prende il nome di curva di distribuzione ed indica tutti i possi-bili valori di PO2 e PCO2 che possono esistere in un polmone in cui esistano i corrispondenti valori di R. Ancora più impor-tante, però, è notare che ogni punto della curva di distribuzio-

ne, oltre a corrispondere ad un determinato R, corrisponde ad un determinato valore del rapporto tra ventilazione alveolare e perfusione (rapporto V’A/ Q’).

Figura 8. Linee iso-R del sangue e dell’aria rappresentate sullo stesso diagramma PCO2-PO2.

Ciò può essere dimostrato come segue. In aria ambiente, e poiché R = V’CO2/V’O2, dall’equazione 24 si può ricavare:

(32

Se dividiamo membro a membro l’equazione 30 e l’equazione 32, e risolvendo per PACO2 si ottiene:

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(33a

Per la PA O2 si ottiene in maniera simile:

(33b

Dalla 33a, risolvendo per V’A/ Q’, si ottiene finalmente:

(34.

Si vede che per determinati valori di PACO2, R, Cc’CO2 (CvO2 è costante e definito nel punto del sangue venoso misto) si ot-tiene un determinato rapporto V’A/ Q’ che è indipendente da V’O2. Nella Figura 9, la curva di distribuzione è stata disegna-ta indicando lungo di essa i valori del rapporto V’A/ Q’. Si può notare che il rapporto ha due estremi: è uguale a zero nel pun-to corrispondente al sangue venoso misto ed è uguale ad infini-to in coincidenza del punto che definisce l’aria inspirata, assu-mendo valori intermedi lungo l’arco della curva di distribuzio-ne. In effetti, il rapporto V’A/ Q’ nel polmone è distribuito nel polmone secondo un continuum descritto per l’appunto dalla curva di distribuzione.

Figura 9. Curva di distribuzione della figura 8 con i valori dei rap-porti V’A/ Q’ nei punti indicati.

Il punto corrispondente a V’A/ Q’ = ∞ descrive una situazio-ne analoga ad uno spazio morto ventilatorio: i gas entrano in alveoli ventilati e non perfusi e la composizione dell’aria alveolare è uguale a quella dell’aria inspirata. Il punto per il quale V’A/ Q’ = 0 corrisponde ad alveoli perfusi e non venti-lati: il sangue che scorre attraverso i capillari di questi alveo-li non si arterializza, ma mantiene la composizione del san-gue venoso misto. In pratica, questo sangue si mescola a quello arterializzato e si comporta come un vero e proprio shunt venoso.

Il fatto che la curva di distribuzione descriva una relazione biunivoca tra i valori di R e quelli del rapporto V’A/ Q’ ad es-si corrispondenti, una volta note PACO2 e Cc’CO2, potrebbe sembrare un fatto incidentale. In realtà, i due fenomeni so-no inevitabilmente connessi. Se teniamo presente che, per

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ogni linea iso-R dell’aria o del sangue, date PACO2 e CcCO2, anche PAO2 e CcO2 sono inevitabilmente fissate, una sempli-ce analisi grafica ci permette di comprendere quanto affer-mato.

Presupposto essenziale per la comprensione di quanto ci accingiamo a spiegare è la constatazione che le curve di dis-sociazione del sangue per l’O2 e per la CO2 sono molto diver-se tra loro. Come sappiamo, la curva di dissociazione per l’O2, in condizioni fisiologiche, diventa piatta già in corri-spondenza di valori di PO2 uguali o superiori a circa 50 mm Hg. Ciò significa che grandi variazioni di PO2 inducono scar-se modificazioni di concentrazione di O2 dal momento che ci muoviamo sulla parte piatta della curva di dissociazione. Al contrario, la curva di dissociazione del sangue per la CO2, nell’ambito delle pressioni parziali di CO2 di interesse fisio-logico, è ben approssimata da una funzione lineare. Ciò im-plica che variazioni di PCO2 comportino sempre variazioni proporzionali di concentrazione di CO2 (Figura 10a). Poiché la composizione del sangue venoso misto rimane costante ed identica in tutti i capillari alveolari, i volumi di O2 e CO2 scambiati con gli alveoli dipendono dai valori di PO2 e PCO2 alveolari. Gli alveoli con alti valori di V’A/ Q’ sono quelli ca-ratterizzati da bassa PACO2 e alta PAO2 (Equazioni 33a e 33b). Ciò implica che il volume di CO2 ceduto dal sangue sia superiore al volume di O2 ceduto al sangue nello stesso pas-saggio e R sarà elevato. Al contrario, gli alveoli con bassi va-lori di V’A/ Q’ sono quelli in cui prevalgono alta PACO2 e bas-sa PAO2.

Figura 10. Curve di dissociazione del sangue per l’O2 e la CO2 e quantità fisicamente disciolta dei due gas in funzione della loro pres-sione parziale. Le caratteristiche del sangue venoso all’ingresso del capillare polmonare sono: PvCO2 = 50 mm Hg, CvCO2: 55 ml CO2 100 ml-1 di sangue; PvO2: 40 mm Hg, CvCO2: 15 ml OO 100 ml-1 di sangue. Il diagramma A si riferisce ad un alveolo con alto rapporto V’A/Q’. Nel caso esemplificato, la PAO2 si aggira sui 100 mm Hg e la PACO2 sarà di circa 36 mm Hg. Il contenuto di O2 e CO2 al termine del capillare polmonare con il quale questo alveolo ha stabilito gli scambi gassosi sarà: Cc’O2 20 ml O2 100 ml-1 e Cc’CO2 42 ml CO2 100 ml-1. Il rapporto di scambio respiratorio sarà uguale al rapporto tra il volume di CO2 ceduto (12 ml CO2 100 ml-1) e il volume di ossigeno acquisito da sangue (5 ml O2 100 ml-1): 9/5 = 1.8. Il diagramma B si riferisce ad un alveolo con basso rapporto V’A/Q’. Nel caso esemplifi-cato, la PAO2 sarà circa 85 mm Hg e la PACO2 sarà di circa 42 mm Hg. Il contenuto di O2 e CO2 al termine del capillare polmonare con il quale questo alveolo ha stabilito gli scambi gassosi sarà: Cc’O2 20 ml O2 100 ml-1 e Cc’CO2 51 ml O2 100 ml-1. Il contenuto di O2 non è

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molto diverso dal caso precedente. Poiché siamo situati ancora sulla parte piatta della curva di dissociazione; quello della CO2 è sostan-zialmente cambiato poiché la linearità della curva di dissociazione implica una relazione proporzionale tra pressione parziale del gas e contenuto nel sangue. Il rapporto di scambio respiratorio sarà ugua-le al rapporto tra il volume di CO2 ceduto (4 ml CO2 100 ml-1) e il vo-lume di ossigeno acquisito da sangue (5 ml O2 100 ml-1): 4/5 = 0.9.

In questo caso, quindi, è probabile che il punto alveolare della PO2 sia situato sul tratto lineare e ripido della curva di dissociazione dell’ossigeno. Il volume di CO2 ceduto dal san-gue sarà probabilmente inferiore al volume di O2 ceduto al sangue nello stesso passaggio e R sarà basso, addirittura in-feriore all’unità (Figura 10b).

La distribuzione del rapporto V’A/ Q’ nel polmone.

Una volta descritta la curva di distribuzione, diventa imme-diatamente legittimo domandarsi se nel polmone si attuano le condizioni che conducano alla reale esistenza di zone al-veolari caratterizzate dai valori di V’A/Q’ rappresentati dalla curva. In realtà, se consideriamo il polmone nel suo com-plesso, il rapporto complessivo V’A/ Q’ a riposo sarebbe uguale a 0.8 poiché, in media V’A è uguale a 4 L min-1 e Q’ si aggira attorno ai 5 L min -1. Se la ventilazione e la perfusio-ne fossero distribuite in modo omogeneo in tutte le zone del polmone, ogni singolo alveolo avrebbe per l’appunto un V’A/ Q’ = 0.8.

In realtà, sia ventilazione che perfusione non sono distri-buite in modo uniforme nel polmone4.

V’A, per esempio, mostra una tipica distribuzione regiona-le (Figura 11) poiché la ventilazione alveolare per unità di volume polmonare è superiore alle basi del polmone rispet-to agli apici.

Figura 11. Distribuzione regionale della ventilazione misurata con il metodo dell’inspirazione di una miscela con Xe 133. Le basi polmonari sono più ventilate degli apici.

Ciò è dovuto alle caratteristiche non lineari della curva P/V del polmone e al fatto che la pressione pleurica – quella che determina il volume del polmone - è distribuita in senso cranio-caudale secondo un gradiente verticale a causa del peso del parenchima polmonare: essa è più negativa attor-no agli apici e diventa meno negativa mano a mano che ci si avvicina alle basi.4Per semplicità ci riferiamo sempre al polmone di un soggetto in piedi e a riposo. La situazione descritta, infatti, può cambiare radicalmente durante esercizio muscolare o se il soggetto assu-me posizione prona o supina.

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Ciò comporta il fatto che a riposo, partendo da CFR, gli al-veoli della base si trovino sul tratto più ripido della curva P/V, mentre quelli degli apici giacciano generalmente sulla porzione piatta della curva P/V (Figura 12).

Figura 12. Durante la respira-zione a riposo, partendo da CFR, gli alveoli delle basi polmonari sono situati sulla parte più ripida della curva P/V del polmone, mentre quelli degli apici sono si-tuati su una porzione meno ripi-da della stessa curva. Quindi,ap-plicando la stessa variazione di pressione pleurica, i primi si espandono di più dei secondi (A). A volumi polmonari elevati, le differenze si attenuano poiché entrambe le popolazioni di alveo-li giacciono sulla parte piatte del-la curva P/V (B). Infine, parten-do da VR, la situazione si inver-te, poiché ora sono gli alveoli de-gli apici ad essere situati sulla porzione più ripida della curva P/V (C).

Di conseguenza, gli alveoli della base subiscono variazioni volumetriche maggiori di quelli degli apici quando è genera-ta la stessa variazione di pressione pleurica. L’effetto finale di questo stato di cose consiste nel fatto che la ventilazione diminuisce gradualmente passando dalle basi agli apici dei polmoni.

Anche Q’ dimostra una distribuzione regionale nel polmo-ne: la perfusione dei capillari polmonari è distribuita in modo disomogeneo. Infatti, le zone apicali dl polmone sono meno perfuse di quelle nelle zone declivi (Figura 13).

Figura 13. Distribuzione regionale della perfusione dei capillari polmonari in un polmone di un soggetto in postura ortostatica. Le basi sono più perfuse degli apici.

La distribuzione topografica di V’A e di Q’ andando dagli apici alle basi dei polmoni non segue lo stesso andamento: la variazione della perfusione è più evidente e marcata di quella della ventilazione alveolare (Figura 14). Ciò compor-ta che il rapporto V’A/ Q’ non sia a sua volta costante nelle diverse zone del polmone. Infatti, V’A/ Q’ dimostra normal-mente il tipico andamento curvilineo descritto in Figura 14: è molto basso alle basi ed aumenta in modo sempre più marcato proseguendo verso gli apici polmonari.

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Figura 14. Distribuzione regionale della perfusione dei capillari polmonari in un polmone di un soggetto in postura ortostatica. Le basi sono più perfuse degli apici.

Nel polmone, quindi, possiamo osservare alveoli caratte-rizzati da valori di V’A/Q’ che variano tra i due estremi costi-tuiti da alveoli con V’A/Q’ = 0 e alveoli con V’A/ Q’ uguale all’infinito.

In Figura 15 è rappresentata un’esemplificazione di que-sto stato di fatto. Il polmone è stato suddiviso arbitraria-mente in nove fette orizzontali dagli apici alle basi – in teo-ria potremmo dividerlo in un numero molto più grande di fettine-. Proseguendo in direzione cranio-caudale, si nota come il rapporto V’A/Q’ diminuisca e con esso il rapporto di scambio respiratorio. In parallelo, la pressione parziale di O2 diminuisce e quella di CO2 aumenta.

Figura 15. Distribuzione verticale nel polmone di ventilazione al-veolare, perfusione capillare, rapporto VA’/Q’ e di PO2 e PCO22 e R che ne derivano. Il polmone è stato arbitrariamente diviso in nove “fette” orizzontali.

In un polmone sano, le distribuzioni di V’A e Q’ sono omo-genee e poco disperse. Questo fa sì che la maggior parte de-gli alveoli abbia un rapporto V’A/Q’ medio molto vicino al-l’unità e solo pochi alveoli siano caratterizzati da rapporti V’A/Q’ inferiori a 0.3 e superiori a 3.0 (Figura 16a).

In polmoni affetti da patologie – per esempio bronchite cronica ostruttiva – la distribuzione del rapporto V’A/Q’ può essere francamente anormale. Per esempio, ci possono essere areee estese caratterizzate da elevati o bassi valori di V’A/Q’ (Figura 16b).

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Figura 16. A: distribuzione del rapporto V’A/Q’ in un polmo-ne di un soggetto giovane di 22 anni sano misurata con il me-todo dell’eliminazione dei gas inerti. Si nota che la distribuzio-ne è poco dispersa - quasi tutti gli alveoli sono caratterizzati da un rapporto V’A/Q’ assai vicino all’unità- e non vi sono né shunt né spazio morto alveolare. Gli alveoli con rapporto V’A/Q’ molto elevati o molto bassi rappresentano una minoranza. B: distribuzione del rapporto V’A/Q’ in un polmone di un sog-getto affetto da broncopneumopatia ostruttiva. Si nota che gli alveoli con rapporto V’A/Q’ A/ basso rappresentano una larga frazione della popolazione alveolare totale, sono responsabili dell’abbassamento della PaO2 e simulano di fatto uno shunt.

La maldistribuzione del rapporto V’A/Q’ costituisce la causa prevalente dei casi di ipossiemia – PaO2 inferiore alla nor-ma - riscontrata in clinica. Poiché la PaO2 riscontrata in que-sto caso nel sangue è notevolmente inferiore alla PAO2, si parla anche di gradiente di PO2 alveolo-arterioso anormale. Le cause rimanenti di ipossiemia – circa il 20 % di tutti i ca-si – sono dovuti a:

i) ipoventilazione (p.e. crisi respiratoria acuta, fatica dei muscoli respiratori);

ii) riduzione della capacità di diffusione polmonare per l’os-sigeno per riduzione della superficie di scambio o ispessi-mento della membrana alveolo-capillare (p.e. per infiltra-zione cellulare, leucemia acuta);

iii) franco shunt venoso (ostruzione bronchiale o occupazio-ne dello spazio alveolare con trasudato, essudato o cellu-le).

Perché la maldistribuzione del rapporto V’A/Q’ cau-sa ipossiemia.

La maldistribuzione del rapporto V’A/Q’nel polmone impli-ca l’esistenza di aree alveolari più o meno estese costituiti da alveoli ventilati normalmente e relativamente poco per-fusi e da alveoli relativamente poco ventilati e normalmen-te perfusi. Ciò conduce comunque alla riduzione della PaO2. Per comprendere come la maldistribuzione di V’A/Q’ causi ipossiemia, ci è più facile considerare un sistema polmona-re costituito solo da due compartimenti, uno con 4 litri di ventilazione al minuto e 2 litri al minuto di flusso ematico (compartimento x), l’altro con 2 litri al minuto di ventilazio-ne e 4 litri al minuto di perfusione (compartimento y) (Figu-ra 17).

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Figura 17. Esempio di come la maldistribuzione del rapporto V’A/Q’ generi una differenza tra PO2 arteriosa e PO2 alveolare anche se il rapporto V’A/Q’ del sistema nel suo complesso è normale (in que-sto caso 1 = 6/6). Le pressioni parziali nel gas espirato sono quelle della componente alveolare e sono stimate dalle pressioni di fine espirazione (PETO2 e PETCO2). In realtà, il gradiente alveolo-capilla-re di O2 è calcolato di solito come differenza tra la PO2 del punto ideale (PiO2) e la PaO2. Le pressioni parziali dei gas nel sangue arte-rioso si riferiscono a un campione di sangue ottenuto in un’arteria periferica. Il riquadro mostra come le pressioni parziali di fine epi-razione e arteriose siano il risultato di medie pesate per la ventila-zione e la perfusione dei corrispondenti compartimenti.

Il rapporto V’A/Q’ complessivo è uguale a 1: (4 +2)/(2+4) = 1, mentre quello dei due compartimenti sono uguali a 2 e a 0,5 per x e y, rispettivamente. V’A/Q’ è quindi distribuito in modo disomogeneo tra i due compartimenti.

Utilizzando le informazioni illustrate nella figura e le cur-ve di dissociazione standard del sangue per O2 e CO2, si ot-tengono le pressioni parziali alveolari di O2 e CO2 e le con-centrazioni e pressioni parziali vigenti al termine dei capil-lari dei due compartimenti x e y. La PAO2 mista è ottenuta

dalla miscelazione dell’aria alveolare dei due compartimen-ti, ma x contribuisce alla ventilazione totale con una venti-lazione compartimentale doppia rispetto a quella di y. Ciò fa si che la composizione dell’aria alveolare mista abbia una PO2 molto più vicina – 110 mm Hg - a quella del com-partimento più ventilato. Al contrario, la concentrazione di O2 del sangue che lascia il sistema sarà molto più influenza-ta dal contenuto di O2 di y, dal momento che questo compa-timento contribuisce alla perfusione totale con un flusso che è uguale al doppio del compartimento x. Se traducia-mo la concentrazione di O2 di 19.4 ml per 100 ml di sangue in pressione parziale di O2 – utilizzando le solite curve di dissociazione standard – notiamo che essa corrisponde ad una PaO2 di 92 mm Hg. In questo modo si è costituito un gradiente tra le pressioni parziali di O2 alveolare e arterio-sa a dispetto del fatto che il V’A/Q’ complessivo sia uguale a uno.

In pratica, la pressione parziale alveolare che risulta dalla miscelazione dell’aria proveniente da tutti gli alveoli risenti-rà molto di più dei valori di PO2 dei distretti con V’A/Q’ ele-vato. Questo per due ordini di motivi. Per prima cosa, la PAO2 totale non è la media aritmetica delle singole pressio-ni PAO2, ma è la media ponderata secondo le corrisponden-ti ventilazioni alveolari ed è chiaro che i distretti più venti-lati contribuiranno alla media generale in misura maggiore rispetto a quelli poco ventilati. Inoltre, sebbene la PO2 di questi alveoli sia più elevata rispetto a quella dei distretti con basso V’A/Q’, essa si situa sulla parte piatta della curva

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di dissociazione dell’emoglobina per l’O2. Quindi, contribui-scono poco alla cessione di O22 al sangue. Al contrario, quelli con basso V’A/Q’ hanno il punto arterioso della PO2 sulla parte ripida della curva e il loro effetto negativo sul contenuto di O2 nel capillare polmonare è più spiccato.

La concentrazione di O2 nel sangue arterioso a valle del polmone sarà invece molto più influenzata dalla concentra-zione esistente nei distretti con basso V’A/Q’. Anche in que-sto caso , infatti, la concentrazione di O V’A/Q’ del sangue arterioso miscelato non è la media aritmetica dei contenuti di O V’A/Q’ esistenti alla fine del capillare polmonare, ma ne è la media ponderata secondo i flussi ematici distrettua-li. E’ chiaro, quindi, che i distretti più perfusi contribuisco-no alla media generale più di quelli ipoperfusi.

Il modello tri-compartimentale di Riley: quantifica-zione dell’effetto della maldistribuzione del V’A/Q’.

I metodi utilizzati per quantificare l’entità della maldistribu-zione del rapporto V’A/Q’ sono molto complessi dal punto di vista tecnico e non possono essere utilizzati di routine. Un metodo meno preciso, ma molto pratico, deriva dagli studi che Riley portò a termine nella seconda metà degli an-ni 40 a Baltimora. Il punto chiave dell’approccio di Riley consiste nel considerare il polmone come un modello tri-compartimentale costituito da (Figura 18):

1. alveoli ventilati non perfusi

2. alveoli perfusi non ventilati

3. alveoli idealmente perfusi ed ventilati.

Il primo compartimento definisce lo spazio morto alveola-re. Il secondo gruppo è concepito come un vero e proprio shunt. Non c’è ovviamente motivo di pensare che questa suddivisione sia una rappresentazione veritiera e fedele del polmone: probabilmente i compartimenti sono molto di più, ma dal punto di vista pratico questo ha scarso interes-se. Inoltre, come vedremo, i parametri del modello tricom-partimentale possono essere facilmente determinati con ap-parecchiature standard.

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Figura 18. Schema del modello tri-comparitmentale di Riley. Gli alveoli molto ventilati e poco perfusi (rapporto V’A/Q’ elevato) sono di fatto inclusi nello spazio morto alveolare, come se il rapporto V’A/Q’ fosse uguale all’infinito. Gli alveoli normalmente perfusi e ventilati costituiscono il compartimento ideale; quelli poco ventila-ti, ma perfusi (il rapporto V’A/Q’ è molto basso, non rappresentati in figura), costituiscono uno shunt, come se il loro V’A/Q’ fosse uguale a zero.

E’ opportuno, però, precisare che i calcoli che giungono a quantificare la frazione del volume corrente che non parte-cipa agli scambi respiratori – lo spazio morto – e la frazio-ne di gettata cardiaca che costituisce lo shunt forniscono valori di spazio morto e di shunt che includono anche al-veoli relativamente ipoperfusi e alveoli relativamente ipo-ventilati. I primi sono inclusi nella quota

dello spazio morto come se il loro V’A/Q’ fosse uguale a infi-nito; i secondi sono inglobati nella quota di shunt, come se il loro V’A/Q’ fosse identico a zero.

Si assume che nel compartimento ideale gli scambi respi-ratori avvengano con lo stesso R dell’organismo nel suo complesso. Ciò è molto utile perché R può essere facilmen-te calcolato misurando la produzione di CO2 e di O2 dal-l’analisi dei gas espirati misti (equazione 8a). Per quanto riguarda la determinazione delle pressioni parziali di O2 e CO2 del compartimento ideale (PiO2 e PiiCO22), si assume che, anche in presenza di un notevole shunt venoso o di una notevole maldistribuzione del rapporto V’A/Q’, la diffe-renza tra la PCO2 del sangue del compartimento ideale (o PCO2 esistente al termine dei capillari polmonari del com-partimento ideale) e quella arteriosa (PaCO2) sia molto pic-cola. Ciò è ancora più evidente se si considerano le linee iso-R dell’aria e del sangue ideali in un grafico PACO2 – PAO2 (Figura 19) Si nota che la curva iso-R del sangue è pra-ticamente orizzontale in prossimità del punto che corri-sponde alle condizioni di PO2 e PCO2 del compartimento ideale. Ciò implica che, anche nel caso di un apporto note-vole di gas venoso misto – con spostamento verso il punto venoso misto della composizione del sangue arterioso peri-ferico-, PaCO2 rimarrà praticamente identica a PiCO2.

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Figura 19. La figura riporta la curva di distribuzione del rap-porto V’A/Q’ nel diagramma PO2 - PCO2. Sulla curva sono ri-portati i punti corrispondenti a diverse altezze del polmone e alcuni valori del rapporto V’A/Q’. L’inserto in alto a destra ri-porta il tratto ingrandito della curva nelle vicinanze del punto ideale. Si nota che la PaCO2 sia di fatto uguale alla PCO2 del punto ideale (PiCO2), anche se la presenza di shunt fisiologico ne causi lo spostamento verso il punto venoso lungo la linea orizzontale iso-R del sangue.

Ciò permette di stimare PiCO2 misurando la PaCO2 in un campione di sangue arterioso periferico, per esempio dal-l’arteria ulnare o femorale. Il valore di PiCO2 così ottenuto, assieme al valore di R misurato dai gas espirati, è inserito nell’equazione dell’aria alveolare che consente, infine, di calcolare la PiO2. L’equazione dell’aria alveolare, quindi, ci

permette di stimare la composizione dell’aria alveolare del compartimento ideale e si riferisce all’aria che avrebbe ogni singolo alveolo se ventilazione alveolare e perfusione fossero identiche in tutti gli alveoli ed essi attuassero gli scambi gassosi con un R uguale a quello dell’organismo in toto.

L’aria alveolare media

Nella trattazione sino ad ora esposta abbiamo definito ge-nericamente l’aria alveolare come il gas che proviene dagli alveoli, definita anche aria della componente alveolare. In realtà corre l’obbligo di essere più rigorosi. Questa esigen-za è resa evidente dalla semplice constatazione che l’aria espirata è il risultato della miscelazione di aria che provie-ne da diverse zone del sistema respiratorio. Inoltre, lo stes-so compartimento alveolare è costituito da aree disomoge-nee quanto a composizione dell’aria in esso contenuto. Pos-siamo infatti concludere che l’aria alveolare misurata utiliz-zando le metodiche più diffuse è un concetto statistico: l’aria inspirata che entra nei polmoni di un individuo subi-sce delle modificazioni che sono diverse nei singoli alveoli e che dipendono dai corrispondenti rapporti V’A/Q’.

Per rendere più comprensibile quanto accennato, l’esem-pio illustrato di seguito sarà assai esplicativo. Immaginia-mo di misurare in continuo con un opportuno analizzatore la miscela di gas esalato durante un’espirazione prolunga-ta. Il primo gas che lo strumento misurerà – p.e. O2 nel ca-

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so di un ossimetro – sarà il gas contento nello spazio mor-to dell’apparecchiatura (Figura 20). Il secondo campione proverrà dallo spazio morto anatomico – denominato an-che spazio morto in serie.

Figura 20. Componenti del gas espirato. Il rettangolo è una rappresentazione teorica di un volume espirato. Lo spazio morto fisiologico è uguale alla somma dello spazio morto al-veolare più quello anatomico.

Dopo l’esalazione del volume di aria contenuto nello spa-zio morto anatomico, l’aria inizierà a provenire dagli alveo-li. Questi ultimi, come già illustrato, possono essere suddi-visi in tre compartimenti.

Il diagramma mostra due alveoli rappresentativi di due dei compartimenti che fanno parte del modello tricomparti-mentale. Uno è perfuso e da esso proviene una miscela di gas che ha la composizione tipica del compartimento idea-le. L’altro alveolo è ipoperfuso e in esso non si attuano scambi respiratori. Da questo alveolo provengono gas che hanno mantenuto approssimativamente la stessa composi-zione dell’aria ambiente. Questa è l’aliquota di gas definita con il nome di spazio morto alveolare (o in parallelo). La somma dello spazio morto alveolare e di quello anatomico prende il nome di spazio morto fisiologico. La parte finale dell’espirazione, quindi, consiste di una miscela di gas del compartimento ideale e di gas che proviene dallo spazio morto alveolare. Un campione di questo gas –misurato al termine di un’espirazione prolungata e forzata – prende il nome di campione di aria a fine espirazione. In inglese è definito come end tidal, e le pressioni parziali o le frazioni in volume dei gas misurati secondo questa metodica sono indicati con il pedice ET5: p.e. PETO2, PETCO2, PETN2 etc .etc. In un polmone sano, la composizione di questo cam-pione approssima quella dell’aria del compartimento idea-le poiché lo spazio morto alveolare è trascurabile. In molte condizioni patologiche, e durante anestesia, però, il cam-pione end-tidal non è una buona stima della condizione ideale. In questa condizione, l’aria ideale deve essere stima-ta per mezzo della procedura indicata in precedenza e che contempla l’utilizzo della PaCO2, di R e dell’equazione del-l’aria alveolare ed è necessario distinguere l’aria di fine espirazione da quella ideale. Va precisato che la differenza

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– o gradiente - alveolo-arterioso di PO2 si riferisce sempre alla differenza tra PO2 del compartimento ideale e PO2 arte-riosa.

La composizione dell’aria alveolare cambia anche nel tem-po durante un ciclo respiratorio (Figura 21). Durante l’in-spirazione, la PO2 aumenta e la PCO2 diminuisce, il contra-rio avviene nel corso dell’espirazione. A riposo le oscillazio-ni sono di poco conto: 2 – 3 mm Hg, esse diventano 4- 5 mm Hg durante esercizio muscolare.

Figura 21. Oscillazione della PO2 e della PCO22 in un atto respira-torio in funzione del tempo in un soggetto a riposo.

5Esiste ancora un po’ di confusione per quanto riguarda la simbologia. Per alcuni testi, la lette-ra maiuscola A indica la condizione di aria ideale, per altri la stessa condizione è descritta dalla lettera i e A definisce solo la condizione di aria alveolare in modo generico. Per alcuni la condi-zione di fine espirazione è strettamente indicata con la sigla ET, altri preferiscono E con un apostrofo E’).

Il problema è reso ancor più evidente da fatto che, durante eserci-zio muscolare, il volume espirato aumenta e con esso la ventilazio-ne. Durante l’espirazione, quindi, il volume del polmone diminui-sce in modo sostanziale e la sua diminuzione contribuisce ad eleva-re la concentrazione dei gas nella fase di espirazione. Per ovviare a questo problema sono state proposte alcune equazioni che correggo-no il valore ET. In verità, nessuno dei metodi è soddisfacente, per cui si preferisce utilizzare un campione di sangue arterioso sul qua-le misurare PaCO2 e PaO2.

Spazio morto

In questo paragrafo saranno ripresi i concetti che hanno portato alla definizione di spazio morto alveolare, anatomi-co e fisiologico e saranno illustrati i metodi utilizzati per de-terminare la loro entità.

Iniziamo ad illustrare come sia possibile a quantificare lo spazio morto anatomico. La metodica più efficace per la sua misura consiste nella procedura originariamente svilup-pata da Fowler con l’aiuto di un analizzatore rapido di N2. Brevemente, dopo aver fatto inalare un volume inspiratorio di O2 puro, si misura in continuo la concentrazione di N2 alle labbra durante un’espirazione. Essa è posta in funzione del corrispondente volume espirato. Il volume dello spazio morto anatomico è calcolato semplicemente applicando la risoluzione grafica illustrata in Figura 22, ovvero cercando il valore del volume per il quale le due aree a e b sono ugua-li.

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Figura 22. Tracciato della frazione in volume di N2 nel corso di un’espirazione successiva all’inspirazone di un volume di O2 pu-ro in funzione del volume espirato. Secondo Fowler, il volume per il quale l’area a è uguale all’area b fornisce lo spazio morto anatomico.

Sappiamo che la produzione di CO2 è uguale al prodotto tra volume espirato totale e frazione in volume di CO2 del-l’aria espirata mista. Essa sarà anche uguale al prodotto tra la frazione di CO2 del compartimento alveolare – misurata per mezzo della frazione end-tidal, per il volume del com-partimento alveolare - composto dal compartimento ideale e dallo spazio morto alveolare. Sappiamo anche che il volu-me espirato totale è uguale alla somma del volume dello spazio morto anatomico più il volume della componente al-veolare:

(35

Quindi:

(36.

Poichè:

(37a

sostituendo e risolvendo per VD, anat si può ottenere:

(37b

e anche

(37c.

Quindi, il rapporto tra lo spazio morto anatomico e il volu-me corrente è proporzionale alla differenza tra la frazione di CO2 della componente alveolare – stimata dalla end-ti-dal – e la frazione del gas espirato misto divisa per la frazio-ne della componente alveolare. Per esempio, se FETCO2 fos-se 50 mm Hg e FECO2 fosse uguale a 40 mm Hg, il rapporto sarebbe uguale a 0,2 = (50 – 40)/50. Per un volume corren-te di 500 ml, VD,anat sarebbe uguale a 100 ml. Questo meto-do di determinazione dello spazio morto anatomico costitui-

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sce, quindi, un metodo alternativo, seppure utilizzato di ra-do, a quello di Fowler.

Applicando lo stesso approccio possiamo ora calcolare il volume dello spazio morto alveolare. In questo caso, il valo-re dello spazio morto alveolare sarà proporzionale alla diffe-renza tra la pressione parziale di CO2 del compartimento ideale – stimata misurando PaCO2 da un prelievo di sangue arterioso - e la pressione parziale della componente alveola-re, o end-tidal. Infatti, se un paziente ha uno spazio morto alveolare apprezzabile, la PETCO2 sarà minore della PaCO2, assunta uguale a PiCO2. Per esempio se PaCO2 = 40 mm Hg e PETCO2 = 20 mm Hg, ne consegue che la componente al-veolare di fine espirazione sarà formata da parti uguali di gas alveolare “ideale” e di gas dello spazio morto alveolare. Il rapporto tra spazio morto alveolare e volume della com-ponente alveolare – qui indicata per semplicità A - sarebbe descritto da:

(38.

Nell’esempio in questione il rapporto sarebbe uguale a 0.5. Quindi, se VE e VD,anat fossero uguali a 500 ml e 100 ml, rispettivamente, VD,alv e volume della componente alveolare complessiva sarebbero uguali a 200 ml ciascuno.

Il volume dello spazio morto fisiologico (VD,fisiol) è uguale alla somma di VD,anat e VD,alv. Esso è misurato per mezzo del-la cosiddetta equazione di Bohr in cui compaiono le pressio-ni parziali di CO2 del compartimento ideale – stimata di nuovo per mezzo di PaCO2 – e la pressione parziale del gas espirato medio (PECO2). In questo caso, il rapporto tra VD,fi-

siol e volume corrente (VT) è descritto dall’equazione seguen-te:

(39.

Poiché le circostanze che conducono all’aumento dello lo spazio morto anatomico sono assai poche (esso di pende da come mamma ci ha fatto !), ogni aumento osservato dello spazio morto fisiologico può essere ascritto all’aumento del-lo spazio morto alveolare. Il valore normale del rapporto VD,fisiol/VT è del 25 – 30 % e diminuisce durante esercizio muscolare.

Aggiunta di sangue venoso misto e shunt

L’effetto di uno shunt veno-arterioso si rivela sotto forma di una riduzione della concentrazione di O2 e della PO2 nel sangue arterioso. Il flusso fornito dalle equazioni che quan-tificano l’ammontare dello shunt corrisponde al flusso vir-tuale di sangue di sangue venoso misto che sarebbe richie-

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sto per produrre il valore osservato di PaO2, e quindi la diffe-renza osservata tra essa e la PO2 del punto ideale, e non al vero flusso di sangue venoso misto. La differenza tra flusso stimato e reale è dovuta al fatto che le vene di Tebesio e quelle bronchiali non drenano obbligatoriamente sangue che ha la stessa composizione del sangue venoso misto. Il secondo motivo risiede nel fatto che il contributo degli al-veoli con rapporto V’A/Q’ molto basso è assimilato a quello di uno shunt, ma la composizione del sangue drenato da queste aree non è esattamente identica a quella del sangue venoso misto. Quindi, l’aggiunta di sangue venoso misto cal-colata con l’approccio illustrato nei paragrafi successivi co-stituisce un indice molto utile in clinica, ma non definisce precisante né un volume di sangue né il pattern anatomico che sta alla base dello shunt.

In analogia con quanto affermato a proposito dello spazio morto, anche in questo caso è possibile definire a priori tre shunts: anatomico, alveolare e fisiologico.

Lo shunt anatomico esclude il sangue drenato da tutti gli alveoli che hanno un rapporto V’A/Q’ superiore a zero. Il ter-mine anatomico comprende in senso stretto il sangue delle vene di Tebesio e bronchiali. Però, in condizioni patologi-che, descrive anche il sangue venoso misto aggiunto a quel-lo arterioso a causa di atelettasie, ostruzioni bronchiali, ma-lattie congenite del cuore, shunt tra cuore destro e sinistro etc. etc. Quindi, in queste condizioni, si dovrebbe parlare più propriamente di shunt patologico, intendendo descrive-

re tutte le forme di shunt anatomico che non si riscontrano in un soggetto sano.

Lo shunt alveolare definisce l’aggiunta virtuale di sangue venoso misto dovuto all’esistenza di alveoli con rapporto V’A/Q’ anormalmente basso. Infine, lo shunt fisiologico cor-risponde alla somma degli shunt anatomico (patologico) e alveolare.

Descriveremo ora come sia possibile derivare l’equazione dello shunt anatomico. Con le necessarie modificazioni, po-trà poi essere applicato per il calcolo degli atri due. La quan-tità di O2 trasportato nel sangue arterioso del circolo siste-mico è uguale al prodotto della gettata cardiaca totale (Q’T) per la concentrazione arteriosa di O2 (CaO2). Essa sarà an-che uguale al flusso di O2 che passa attraverso lo shunt ana-tomico più il flusso di O2 che passa attraverso i capillari pol-monari. Il primo è uguale al prodotto tra il flusso di sangue dello shunt anatomico (Q’s,anat) per la concentrazione di O2 del sangue venoso misto ( CvO2); il secondo è dato dal flus-so attraverso i capillari polmonari (Q’c') per la concentrazio-ne di O2 osservata al termine dei capillari polmonari (C c'

O2):

(40.

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Si badi che la Cc'O2 è la concentrazione di O2 del sangue drenato dal compartimento efficace e da quello costituito dagli alveoli con rapportoV’A/Q’ molto basso. Essa, quindi, sarà inferiore alla concentrazione di O2 del solo comparti-mento ideale vero e proprio. Poiché Q’c' = Q’T - Q’s,anat, è pos-sibile sostituire questa espressione per Q c' nell’equazione 40. In seguito, riarrangiando e risolvendo per il rapporto Q’s,anat /Q’T , si ottiene:

(41.

Allo stesso modo si può dimostrare che lo shunt alveolare è dato da:

(42,

dove CiO2 definisce la concentrazione di O2 del comparti-mento ideale ed è calcolata dalla PO2 e da una curva di dis-sociazione standard dell’emoglobina per l’ossigeno.

Infine, lo shunt fisiologico sarà dato da:

(43.

Dal punto di vista pratico, è ov-

vio che sia molto più facile calcolare CiO2 e misurare CaO2 e CvO2 di Cc’O2. Di fatto, la concentrazione di O2 immediata-mente a valle del polmone (Cc’O2) sarebbe troppo difficile da determinare con metodiche standard. Quindi, nella real-tà ci si limita a calcolare Q’s,fisiol. Esso può essere calcolato

1) misurando: i) CvO2 con un catetere in atrio destro; ii) Pa-

CO2 con un campione di sangue arterioso; iii) R dalla de-terminazione degli scambi respiratori e;

2) calcolando PiO2 e CiO2 per mezzo dell’equazione alveola-re dopo aver sostituito PaCO2 per PiCO2.

E’ ovvio, però, che lo shunt fisiologico non riesce a distin-guere il contributo dello shunt anatomico o patologico – do-vuto all’aggiunta diretta di sangue venoso misto – dalla si-tuazione riconducibile all’aggiunta di sangue con bassa con-centrazione di O2 proveniente da alveoli con basso V’A/Q’. Se però un soggetto inspira O2 puro, la componente dovuta alla maldistribuzione del rapporto V’A/Q’ diventa minimo e lo shunt residuo che viene calcolato per mezzo dell’equazio-ne 43 fornisce direttamente quello anatomico - patologico. La respirazione con 100 % di O2 rende inoltre molto più ac-curata la determinazione dello shunt. Infatti, l’effetto del-l’aggiunta di sangue venoso misto sulla PaO2 è molto in-fluenzato dalla pendenza della curva di dissociazione del-l’emoglobina e dal tratto della curva sul quale si situa il pun-to arterioso. Per esempio, se respiriamo O2 puro, il punto del capillare polmonare si situa sulla parte piatta della cur-va di dissociazione, in corrispondenza, p.e. di una Pc’O2 di

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500 mm Hg. A questa alta Pc’O2 corrisponde un contenuto di O2 nel sangue di poco superiore a quello che avremmo respirando con un polmone normale aria ambiente poiché la quantità di O2 disciolto è trascurabile e la percentuale di saturazione dell’Hb è il 100 %. L’aggiunta di una piccola ali-quota di sangue venoso misto procura una lieve caduta di CaO2, ma una marcata diminuzione della PaO2 (Figura 23). Se invece Pc’O2 è bassa, p.e. 70 mm Hg, ci troviamo sul trat-to ripido della curva di dissociazione e l’aggiunta di sangue venoso misto ha scarsi effetti sulla PaO2. Insomma, l’aggiun-ta di sangue venoso misto al sangue in uscita dal polmone induce una caduta di PaO2 più accentuata nei pazienti me-glio ossigenati che in quelli meno ossigenati.

L’effetto dell’aggiunta di sangue venoso misto sul conte-nuto di CO2 del sangue arterioso è grosso modo della stessa entità di quello sul contenuto di O2. Tuttavia, a causa della pendenza della curva di dissociazione della CO2 in prossimi-tà del punto arterioso, l’effetto sulla PaCO2 è molto piccolo, comunque molto inferiore a quello sulla PaO2, a meno che lo shunt sia molto grande.

Figura 23. Caduta della PaO2 durante respirazione di miscela inspiratoria arricchita di O2. Nello shunt, l’ipos-siemia non può essere abolita nemmeno inspirando O2 puro, Una piccola diminuzione di CaO2 procura una notevole caduta di PaO2 a causa della non linearità della curva di dissociazione della Hb per l’O2.

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Inserto 1

Metodo dell’eliminazione dei gas inerti (MI-GET)

Il pattern della maldistribuzione di V’A/Q’ può essere sti-mato sulla base di un metodo che contempla l’infusione venosa in continuo di gas inerti caratterizzati da diversi coefficienti di solubilità nel sangue. In polmone ideale (no shunt, nessuna limitazione alla diffusione, nessuna malditribuzione del rapporto V’A/Q’, PA = Pa), l’equazio-ne 29 può essere applicata per ogni gas inerte infuso (FI = 0):

(1

La solubilità di un gas inerte nel sangue è espressa dal coefficiente di partizione, λ, il rapporto tra le concentra-zioni di gas nel sangue e nella fase gassosa all’equilibrio utilizzando le stesse unità di misura, e.g. mlSTPD/100 ml per le due fasi.

λ può essere espressa come:

(2

Se combiniamo le equazioni 1 e 2, ammettendo che PA sia uguale a Pa, otteniamo:

(3

Dal momento che in un polmone ideale PA = Pa, riarran-giando si ottiene:

(3

L’equazione 4 mostra che il rapporto PaX/PvX dipende da λ in un polmone ideale (V’A/Q’ costante). In un siste-ma con V’A Q’ diseguale, la relazione tra PaX/PvX e λ è ov-viamente diversa da quella ideale predetta dall’equazione 4. Dalla differenza tra la relazione misurata e quella pre-detta

dall’equazione 4, si può descrivere il pattern di distribu-zione di

V’A/Q’ (Figura 1.1). In pratica, si utilizza una soluzione di sei gas inerti che hanno coefficienti di solubilità nel san-gue molto diversi tra loro. Le concentrazioni e le pressio-ni parziali dei gas utilizzati sono misurate nel sangue ve-noso misto e nel sangue arterioso con lo spoettrometro di massa o con il gas-cromatografo. La metodica illustra-ta richiede apparecchiature costose e sofisticata e un’altis-sima precisione delle misure.

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Figura 1.1. Tecnica dell’eliminazione dei gas inerti multi-pli per la quantificazione della maldistribuzione del rap-porto V’A/Q’. A: Rapporto Pa /PV di vari gas inerti con diverse solubilità nel sangue in funzione del logaritmo del coefficiente di partizione λ. I valori misurati (punti) sono connessi per mezzo di una linea continua; i valori predetti per uguali V’A e Q’ totali, ma V’A/Q’ costanti so-no rappresentati con una linea tratteggiata. Dalladifferen-z a t r a i v a l o r i m i s u r a t i e predetti, è misurata la distribuzione del rapportoV’A/Q’, mostrata in B come distribuzione di frequenza del flusso Q’ rispetto a compartimenti con diverso V’A/Q’. L’equiva-lente in B della curva tratteggiata in A è la linea verticale a V’A/Q’ = 1.5.

Inserto 2

Metodi di analisi dei gas respiratori

Per eseguire un’analisi in continuo dei gas espirati è ne-cessario utilizzare metodi fisici che consentono di costrui-re strumenti di misura, non solo accurati e precisi, ma anche a risposta molto rapida. Lo spettrometro di mas-sa è lo strumento utilizzato più frequentemente per que-sto scopo in fisiologia respiratoria. Esso ha anche il van-taggio di consentire l’analisi di diversi gas in parallelo e simultaneamente. Il campione di gas rarefatto e ionizza-to è sottoposto ad un campo elettrico in un ambiente in cui è stato generato il vuoto assoluto. Gli ioni dei vari gas sono deviati secondo il rapporto tra carica elettrica e mas-sa e giungono, dopo un tempo di volo tipico di ogni spe-cie, su un captatore che conta il numero di collisioni nel-l’unità di tempo. In questo modo è possibile ottenere lo spettro delle molecole che costituivano la miscela analiz-zata. Il tempo di risposta dello spettrometro di massa è dell’ordine di poche decine di msec. L’analizzatore a rag-gi infrarossi è usato per analizzare la CO2 e il CO. Le mo-lecole eteroatomiche assorbono i raggi infrarossi di una certa lunghezza d’onda. Se usiamo una lunghezza d’onda specifica, si può determinare l’assorbimento di raggi che dipende dalla concentrazione del gas in esame (per esem-pio. per il CO2 i raggi di 4,26 o 14,99 µm; per il CO 4,66; per il vapore d’acqua 2,66 o 6,27). L’analizzatore para-magnetico di O2 ha un tempo di risposta che non è suffi-cientemente rapido per l’analisi in continuo dei gas espi-rati. Esso, però, trova largo utilizzo nell’analisi dei gas espirati raccolti in uno spirometro o in un sacco Douglas. Un dispositivo rilevatore, sostenuto da un filo di quarzo e posto in un campo magnetico, è fatto ruotare in rapporto alla concentrazione di O2 che lo circonda, poiché l’O2 au-menta l’intensità del campo magnetico. L’entità della ro-tazione è tradotta in concentrazione – pressione parziale – di O2 nella miscela di gas del campione. L’analizzatore a campo elettrico è usato per la determinazione di N2. Una miscela gassosa rarefatta in un campo elettrico emet-te radiazioni luminose specifiche di alcuni gas. Si rileva

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con una fotocellula l’intensità luminosa di una certa lun-ghezza d’onda che dipende dalla concentrazione del gas in esame. L’analizzatore a conduttività termica è usato per la determinazione dell’elio (He). La conduttività ter-mica dell’He è quasi 6 volte quella dell’azoto e dell’ossige-no. Dato che la resistenza elettrica di un termistore au-menta con il diminuire della temperatura e che la sua temperatura, quando vi si fa passare una certa corrente elettrica, dipende dalla dispersione del calore, la tempera-tura del termistore (e quindi la sua resistenza elettrica) dipende dalla concentrazione di He nel gas che lo circon-da.

Inserto 3

Differenza alveolo-arteriosa di pressione parzia-le di gas dovuta solo alla malditribuzione del rap-porto V’A/Q’

Nel testo è stato ampiamente illustrato che alla differen-za alveolo-arteriosa di pressione parziale O2 contribuisco-no sia la maldistribuzione del rapporto V’A/Q’ che l’even-tuale aggiunta di sangue venoso misto dovuta allo shunt. Per quanto riguarda la quantificazione dell’entità dello shunt, sappiamo che, respirando miscele ad alta concen-trazione di O2 o O2 puro, la si può quantificare in modo preciso. Non è altrettanto chiaro se sia possibile indivi-duare e determinare con precisione una differenza alveo-lo-arteriosa di gas dovuta solamente alla malditribuzione del rapporto V’A/Q’, non falsata dall’eventuale contributo dello shunt.

In realtà, questo obiettivo può essere raggiunto utiliz-zando un gas inerte che non partecipa agli scambi meta-bolici, cioè che non è prodotto o consumato dal nostro organismo: l’azoto (N2).

Sappiamo che se nel polmone non esiste un solo ed identico rapporto V’A/Q’, i valori alveolari di PO2, PCO2 e PN2 sono diversi in corrispondenza di ogni valore di V’A/

Q’ esistente. La Figura 3.1 illustra questo concetto utiliz-zando un diagramma PCO2-PN2 e mostra tutte le possibi-li copie PCO2-PN2 che potrebbero teoricamente esistere negli alveoli di un polmone che riceve un sangue venoso misto con la tipica composizione a riposo e che inspira aria ambiente. Le semi rette discontinue rappresentano diversi valori di rapporto di scambio respiratorio R e la pressione parziale di N2 varia da 625 mm Hg nel punto A, corrispondente al punto del sangue venoso misto, a 553 mm Hg nel punto I, corrispondente al punto inspira-torio. Quindi, la massima differenza di PN2 che si può teo-ricamente stabilire tra due alveoli è di 72 mm Hg. Il pun-to C corrisponde ad una linea iso-R di 0.8 e a un rappor-to V’A/Q’ di 1, caratteristiche tipiche della maggioranza degli alveoli di un polmone normale ed è caratterizzato da una PAN2 di 572 mm Hg. La PAN2 degli alveoli con V’A/Q’ più basso sarà più alta di questo valore; quella de-gli alveoli con V’A/Q’ superiore all’unità sarà più bassa.

Figura 3.1. La non uniforme distribuzione del rapporto V’A/Q’ produce una differenza regionale di PN2 negli al-veoli. Alveoli caratterizzati da alti V’A/Q’, hanno PAN2 in-feriori al valore del punto C che corrisponde alla linea iso-R uguale a 0.8 e a un V’A/Q’u guale a 1; alveoli caratte-rizzati da bassi valori di V’A/Q’, sono caratterizzati da va-lori più alti di PAN2.

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Il punto chiave dell’approccio consiste nel comprende-re che, se i tessuti periferici non scambiano N2, la PaN2 deve essere uguale alla pressione di N2 nel sangue veno-so misto (PvN2) (Figura 3.2). Il sangue venoso misto rag-giungerà alveoli con diverse PAN2 e l’effetto sarà che la quantità di N2 assunta da alveoli con alto V’A/Q’ e bassa PAN2 deve essere compensata dalla quantità ceduta da quelli con basso V’A/Q’. e PN2 elevata. Il risultato finale consiste in un perfetto bilancio tra volume di N2 ceduto ed assunto in modo che lo scambio netto di N2 a livello polmonare sia uguale a zero ed uguale allo scambio dello stesso gas a livello periferico.

Figura 3.2. Schema di due alveoli caratterizzati a sini-stra da un rapporto V’A/Q’’ = 0.5 e a destra di 2.0. Allo stato stazionario si stabiisce una condizione di equilibrio per la quale lo scambio alveolare è pari a zero. Questo è possibile solo se le PAN2 dei due alveoli sono diversi e se la PN2 arteriosa è identica a quella del sangue venoso mi-sto. La PN2 del compatimento alveolare è il risultato del-la media pesata rispetto alle ventilazioni alveolari di PAN2. Ciò comporta lo stabilirsi di un gradiente alveolo-arterioso di PN2 dovuto solo alla maldistribuzione del rapporto V’A/Q’.

La Figura 3.2 ci aiuta a comprendere quanto affermato. In questo esempio, l’alveolo a sinistra riceve un flusso di sangue doppio rispetto a quello di destra, mentre la sua ventilazione è la metà di quella dell’altro alveolo. Quin-di, l’alveolo di sinistra contribuisce solo a 1/3 del volume espirato totale e ai 2/3 del flusso arterioso totale. I rap-porti di scambio respiratorio che possono essere calcola-to dai V’A/Q’ dei due alveoli (0.5 a sinistra e 2.0 a destra) corrispondono alle concentrazioni di N2 indicate nei due alveoli: 600 mm Hg a sinistra e 570 mm Hg a destra. Se la condizione che ha condotto ai due rapporti V’A/Q’ os-servati permane sino a raggiungere e mantenere uno sta-to stazionario, la pressione parziale di N2 deve raggiun-gere una situazione di equilibrio in cui loscambio alveola-re netto di N2 sia uguale a zero. Infatti, il flusso di N2 dal-l’alveolo di sinistra ai capillari (2 • Q’• (600-590) • αN2) è perfettamente controbilanciato al flusso in direzione opposta dal capillare all’alveolo di destra (Q’• (590-570) • αN2), dove αN2 corrisponde al coefficiente di solubilità per l’N2 del sangue.

Il valore di PN2 ematica che corrisponde a questa condi-zione è uguale a 590 mm ed è, come abbiamo già visto per la PO2, la media pesata di tutti i contributi alveolari al sangue arterioso: 590 = (590 • 2 + 590) / 3. A sua vol-ta, la PN2 dell’aria alveolare mista, avrà un valore uguale 580 mm Hg: (600 + 570 • 2)/3 = 580, essendo il risulta-to della media pesata secondo le rispettive ventilazioni delle PaN2 alveolari. Questo stato di fatto conduce la PaN2 ad avere un valore di 10 mm Hg superiore alla PAN2 mista: si è quindi stabilita una differenza alveolo-arteriosa che dipende solo dalla maldistribuzione del rap-porto V’A/Q’ poiché non vi è alcun contributo provenien-te dallo shunt. Inoltre, il gradiente A-a di PN2 non può essere in alcun modo distorto od amplificato dagli effetti dovuti alla non linearità della curva di dissociazione del sangue per questo gas – come avviene per l’O2 – poiché l’N2 ha una curva di dissociazione per il sangue assoluta-mente lineare.

In conclusione, misurando la PaN2 e la PN2 del compar-timento alveolare per mezzo di una misura di PETN2, sa-

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rebbe possibile descrivere l’entità della malditribuzione del rapporto V’A/Q’ e seguirne l’andamento nel tempo in vari stati patologici e in risposta alle terapie.

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