Caratterizzazione di un analizzatore di fasci di ... 3.3 Analisi sulle caratteristiche del fascio...
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Universita degli studi di Firenze
Facolta di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Caratterizzazione di un analizzatore
di fasci di bassissima intensita per la
linea di isotopi rari del LABEC
Candidato: Paolo Mariani
Relatore: Dott. Francesco Taccetti
Correlatore: Dott. Luca Carraresi
Anno accademico 2007-2008
Indice
Introduzione III
1 Il metodo del 14C 1
1.1 I princıpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.1.1 Determinazione di 14C0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.1.2 La calibrazione dell’eta convenzionale del radiocarbonio . . . . . . . 4
1.1.3 La concentrazione di radiocarbonio all’interno degli esseri viventi . . 8
1.2 Cenni sulla preparazione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.2.1 Il pretrattamento dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.2.2 Il processo di combustione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.2.3 La linea di grafitizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.3 Riepilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
2 I princıpi della spettrometria di massa con acceleratore 17
2.1 La linea di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
2.2 La linea AMS del LABEC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.2.1 La sorgente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.2.2 Bassa energia: l’analizzatore elettrostatico (ESA54) . . . . . . . . . 23
2.2.3 Bassa energia: il magnete iniettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.2.4 L’ acceleratore TANDEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.2.5 Alta energia: il selettore magnetico e quello elettrostatico . . . . . . 29
2.2.6 Il rivelatore per il radiocarbonio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
I
II INDICE
3 La linea IBA del deflettore elettrostatico DEFEL 35
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
3.2 Principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
3.3 Analisi sulle caratteristiche del fascio pulsato . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.3.1 Il moto delle particelle all’interno del deflettore . . . . . . . . . . . 43
3.4 Messa a punto del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.4.1 Il sistema di acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.4.2 Le misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
4 La caratterizzazione del BPM 57
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
4.2 La camera a fili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
4.3 Il Beam Profile Monitor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
4.4 Il setup della misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
4.5 Segnali e descrizione della catena elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
4.5.1 I circuiti di amplificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
4.5.2 Il sistema di acquisizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
4.6 La caratterizzazione del rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
4.6.1 La risoluzione spaziale del rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
4.6.2 La verifica degli spessori delle finestre di Mylar . . . . . . . . . . . 76
4.7 I parametri del visualizzatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
Conclusioni 81
A Il protocollo di trasmissione seriale 83
B Listati 87
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
Introduzione
Nel corso dell’ultimo anno ho svolto, presso il laboratorio di tecniche nucleari per i beni
culturali (LABEC) di Firenze, il mio lavoro di tesi. In questo laboratorio e installato
un acceleratore elettrostatico di particelle di tipo TANDEM dedicato sia ad esperimenti
rivolti alla ricerca nell’ambito della Fisica Nucleare “pura”, sia a misure di fisica applica-
ta con fasci esterni (Ion Beam Analysis) che di spettrometria di massa con acceleratore
(Accelerator Mass Spectrometry, AMS). Quest’ultima tecnica permette, fra le altre cose,
di effettuare misure di concentrazione di 14C con le quali, come vedremo, si riescono a
datare con elevata precisione reperti vegetali o fossili (o comunque relativi ad organismi
viventi) risalenti fino a qualche migliaio di anni fa.
Le misure di spettrometria di massa con acceleratore, tuttavia, non sono effettuate so-
lamente nell’ambito archeometrico, ma si prestano ad essere applicate anche in campi
completamente diversi, come ad esempio in campo biomedico [Gar00] oppure quello delle
scienze ambientali [Szi04]. Inoltre, dato che la tecnica dell’AMS permette di misurare
con elevatissima precisione i rapporti isotopici, puo anche prestarsi ad altri tipi di ap-
plicazioni, come ad esempio lo studio dei materiali, qualora sia necessario conoscere la
concentrazione di elementi presenti solo in traccia.
Il lavoro che ho svolto si inquadra nell’ambito dell’esperimento INFN di V gruppo, MA-
RASMA (Monitoraggio dell’Accuratezza e della Riproducibilita nelle Analisi di Spettro-
metria di Massa con Acceleratori). Scopo di MARASMA e quello di installare, sulla linea
di spettrometria di massa del LABEC di Firenze, dei nuovi elementi di diagnostica e di
misura tra cui un visualizzatore di profilo per fasci di bassissima intensita (Beam Profile
Monitor, BPM) ed un rivelatore di tempo di volo (Time Of Flight, TOF). Il visualizzatore
III
di profilo di fascio su cui, in particolare, si e concentrato in mio lavoro di tesi, permet-
tera di conoscere la dimensione effettiva e la posizione del fascio di isotopi rari prima del
rivelatore di particelle preposto al loro conteggio. Esso permettera quindi di configurare
tutti i parametri dell’acceleratore, come ad esempio i sistemi di selezione, deflessione e
fuocheggiamento, in maniera tale da ottimizzare il trasporto del fascio. I visualizzatori
di profilo di fascio sono comunemente utilizzati per monitorare il trasporto dei fasci negli
acceleratori; nel caso di una misura di spettrometria di massa con acceleratore, tuttavia,
non e possibile installare nessuno dei monitor attualmente in commercio a causa della loro
inadeguata sensibilita. Questi visualizzatori, prevalentemente basati sull’intercettazione
meccanica del fascio, sono pensati per lavorare con fasci continui arrivando a misurare
correnti dell’ordine di qualche frazione di pA. Nel caso di misure di radiocarbonio, invece,
i valori di corrente massima dell’isotopo raro sono quelli relativi al passaggio di circa 50
particelle al secondo (∼ 10−5 pA). E’ necessario quindi disporre di Beam Profile Monitor
molto piu sensibili che riescano a rivelare anche il transito di una singola particella. Per
questo motivo e stato pensato di utilizzare un particolare tipo di BPM che viene utilizzato
anche come rivelatore di particelle nelle misure di Fisica Nucleare.
L’inserimento di questi nuovi dispositivi di diagnostica e discriminazione di fatto compor-
tera la rimozione del canale AMS originario e l’installazione di un nuovo canale, provvisto
della logistica necessaria al loro funzionamento. Questi nuovi elementi dovranno essere
disegnati in modo da mantenere un’alta compatibilita con la linea ad oggi installata, so-
prattutto per quanto riguarda la modalita di acquisizione normalmente utilizzata nelle
misure di datazione di routine.
Prima di introdurre il nuovo tratto di canale, sono state effettuate delle prove di funziona-
mento del visualizzatore di fascio in condizioni di lavoro simili a quelle che si hanno nelle
misure di spettrometria di massa con acceleratore. Per questo motivo e stato canalizzato
un fascio di ioni di carbonio su una linea di Ion Beam Analysis : sulla linea scelta, in par-
ticolare, e presente un deflettore elettrostatico capace di produrre, a partire da un fascio
di ioni continuo, degli impulsi formati da un numero limitato di particelle, eventualmente
IV
impostabile all’unita.
Il mio lavoro di tesi e consistito nello sviluppo e nella realizzazione del sistema di acquisi-
zione e presentazione dati per il visualizzatore di profilo di fascio, comprensivo delle sche-
de necessarie per l’interfaccia e dell’ottimizzazione dell’elettronica di preamplificazione al
fascio di isotopi di interesse. Questa tesi e cosı suddivisa:
• CAPITOLO 1: in questo capitolo vengono descritti i principi del metodo del ra-
diocarbonio con particolare riferimento alle sue problematiche. Vengono inoltre
brevemente descritti il metodo con cui, al LABEC, sono preparati i campioni da
inserire nell’acceleratore e i principi base della misura.
• CAPITOLO 2: vengono qui descritti i principi base della tecnica della spettrome-
tria di massa con acceleratore facendo particolare riferimento alla linea di misura
installata al LABEC.
• CAPITOLO 3: viene analizzato in questo capitolo il principio di funzionamento della
linea di fascio equipaggiata col deflettore elettrostatico. Viene inoltre descritta la
procedura grazie alla quale si e potuto realizzare un fascio pulsato i cui impulsi sono
costituiti da una singola particella.
• CAPITOLO 4: in questo capitolo vengono descritti in dettaglio i test di funzionalita
che sono stati effettuati sul visualizzatore di profilo di fascio. Sara inoltre fornita
un’ampia descrizione dell’elettronica e del sistema di acquisizione dati che sono stati
realizzati.
Sono infine riportati in appendice i codici, scritti in linguaggio C, relativi ai programmi
descritti nel capitolo 4, oltre ad una breve introduzione sul protocollo di trasferimento
dati che e stato utilizzato nelle misure effettuate.
V
Capitolo 1
Il metodo del 14C
1.1 I princıpi
Il metodo del 14C o del radiocarbonio, proposto dal premio Nobel statunitense Willard
Frank Libby a cavallo tra gli anni ’40 e ’50, e una procedura di datazione radiometrica
basata sulla misura delle abbondanze relative degli isotopi del carbonio. Essa permette
la datazione di reperti di origine organica (legno, tessuto, ossa, etc..) risalenti fino ad un
massimo di circa 50000 anni fa e si basa su alcune peculiarita degli isotopi del carbonio
(Z=6) che adesso saranno analizzate.
Il carbonio, all’interno delle diverse sfere geochimiche, e costituito da due isotopi stabili,
il 12C (98.9%) e il 13C (1.1%) e da uno radioattivo, il 14C , presente in traccia (14C /12C ∼
10−12). Quest’ultimo viene normalmente prodotto nell’alta atmosfera grazie alle reazioni
nucleari di neutroni termici, prodotti come raggi cosmici secondari, e di nuclidi di 14N che
rappresentano la quasi totalita dell’azoto presente nell’atmosfera. La reazione puo essere
schematizzata come:
147 N + n →14
6 C + p (1.1.1)
Gli atomi di 14C cosı formati possono quindi reagire con l’ossigeno atmosferico dando
origine a 14CO2 e 14CO . L’ipotesi che sta alla base del metodo del radiocarbonio e
che il 14C e un isotopo radioattivo e decade β− in 14N con tempo di dimezzamento
1
2 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C
Figura 1.1: Schema del decadimento β− del radiocarbonio.
T 1
2
= (5730 ± 30) anni secondo la reazione:
146 C →14
7 N + e− + ν (1.1.2)
Dato che tutti gli organismi viventi scambiano continuamente carbonio con l’ambiente
circostante, attraverso processi di alimentazione (animali) e fotosintesi (vegetali), si puo
dedurre che, finche un organismo e vivo, il rapporto tra la sua concentrazione di 14C e
quella degli altri due isotopi stabili si mantiene costante e uguale a quella presente in
atmosfera.
Si ha quindi che, alla morte dell’organismo, il processo di scambio di 14C con l’ambiente
esterno termina e l’unico processo “attivo”, tramite il quale si possono avere variazio-
ni nella concentrazione di radiocarbonio, risulta essere quello del decadimento. Questo
comporta una diminuzione esponenziale della concentrazione 14C(t) di 14C all’interno
dell’organismo secondo la relazione:
14C(t) =14 C0e−
t−t0
τ (1.1.3)
dove 14C0 e la concentrazione di 14C nell’organismo al momento della morte, t − t0 e
l’intervallo di tempo che e passato dalla morte dell’organismo e τ = T 1
2
/ln2 rappresenta
la vita media del radiocarbonio. Conoscendo quindi 14C0, τ e misurando 14C(t) risulta
1.1. I PRINCIPI 3
possibile ricavare il parametro t − t0 invertendo la relazione precedente:
t − t0 = τln14C0
14C(t)(1.1.4)
Storicamente e detto eta convenzionale del radiocarbonio il valore che viene ricavato
Figura 1.2: Schema di produzione, distribuzione e decadimento del 14C in atmosfera.
sostituendo nella 1.1.4 al valore della vita media τ noto ad oggi il valore misurato da Libby,
ovvero ∼ 8033 anni; per quanto riguarda il valore di 14C0 viene utilizzato comunemente
un valore di riferimento, assunto costante nel corso degli anni, pari alla concentrazione di
14C in atmosfera nel 1950.
Il valore ricavato dall’eta convenzionale non rappresenta l’eta “vera” del reperto in quanto
si basa su ipotesi non completamente soddisfatte e su un valore di τ diverso da quello
noto ad oggi; occorre quindi fare alcune considerazioni su come riuscire ad effettuare una
calibrazione che permetta di passare dall’“eta convenzionale” all’“eta vera”.
1.1.1 Determinazione di 14C0
Uno dei presupposti della validita del metodo e la conoscenza del valore di 14C0 in at-
mosfera al momento della morte dell’organismo; questo valore in realta non e rimasto
4 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C
costante nel corso degli anni sia per effetti dovuti a processi naturali sia per cause di
natura antropogenica.
Una delle principali cause di variazione naturale e dovuta ai cambiamenti del campo
magnetico terrestre: questo infatti e il responsabile della deflessione dei raggi cosmici
provenienti dallo spazio e una sua variazione influenza significativamente il tasso di pro-
duzione di 14C . Un’altra causa e legata all’attivita solare: essa influenza la quantita di
raggi cosmici che entrano nell’atmosfera terrestre. Misure di attivita solare hanno regi-
strato la presenza di due cicli, uno piu lento di periodo di 200 anni e uno piu rapido e
sovrapposto al precedente con periodo di 11 anni. Il ciclo rapido praticamente non com-
porta cambiamenti nella concentrazione di 14C , il ciclo lento ha invece come conseguenza
quella di modulare nel tempo il valore medio della concentrazione di 14C in atmosfera
[Bow90].
Insieme a questi fenomeni di tipo naturale anche alcune attivita umane hanno influenzato
la concentrazione di 14C in atmosfera. Negli ultimi secoli due sono stati gli eventi che
hanno portato a variazioni significative: la rivoluzione industriale e i test di armi nucleari
in atmosfera. In particolare, a causa del combustibile fossile bruciato durante la rivoluzio-
ne industriale, una grande quantita di CO2 povero di 14C e stato rilasciato in atmosfera
facendo sı che gli organismi vissuti in quel periodo possedessero al loro interno una minore
quantita di radiocarbonio. Questo effetto e noto come effetto Suess.
Dagli anni ’50 e fino alla loro proibizione nel 1963 sono stati invece i test nucleari in
atmosfera a produrre i piu drastici cambiamenti nella concentrazione di 14C , questa vol-
ta aumentandone il valore. Le reazioni prodotte durante i test nucleari hanno generato
una grande quantita di neutroni che, reagendo con l’azoto presente nell’atmosfera, hanno
portato ad un aumento della concentrazione del radiocarbonio (vedi Fig.1.3).
1.1.2 La calibrazione dell’eta convenzionale del radiocarbonio
L’analisi della concentrazione residua del 14C di un reperto consente di determinare l’eta
convenzionale del radiocarbonio che, come accennato, e diversa dall’eta “vera” anche a
1.1. I PRINCIPI 5
Figura 1.3: La figura mostra il rapporto 14C /12C in atmosfera relativo alla seconda metadel 20mo secolo. La grande variazione che si puo notare dopo il ’55 e dovuta ai test nucleariin atmosfera.
causa della non costanza della concentrazione del 14C in atmosfera. Per superare questo
Figura 1.4: Ricostruzione della concentrazione di radiocarbonio in atmosfera sulla ba-se di misure dendrocronologiche. Il valore della concentrazione e dato come variazionepercentuale rispetto a quello di riferimento [Stui93].
6 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C
limite e stata “costruita” una cosiddetta curva di calibrazione ottenuta misurando la con-
centrazione di 14C in reperti databili anche in maniera indipendente.
Campioni organici di eta nota possono essere reperiti grazie agli anelli di accrescimento
degli alberi; grazie alla dendrocronologia e possibile risalire all’anno in cui e stato creato
un determinato anello di accrescimento. Questa scienza si basa sul fatto che alberi appar-
tenenti alla stessa area geografica producono nello stesso periodo di tempo serie anulari
simili il cui spessore varia ogni anno a seconda delle condizioni climatiche. Confrontando
quindi sequenze anulari di alberi vissuti nella stessa area geografica in periodi di tempo
sovrapposti (per i quali quindi si avra una parziale sovrapposizione della sequenza degli
anelli, vedi Fig.1.5) e possibile costruire una mappatura che permette di associare ogni
anello di accrescimento ad un preciso anno. Inoltre, grazie al fatto che l’albero costituisce
un sistema che comunica con l’ambiente circostante solo grazie all’anello piu esterno, e
possibile costruire dei veri e propri “archivi di 14C ” misurando, per ogni anello di cui si
conosce l’eta, la concentrazione residua di radiocarbonio. Il parametro utilizzato come
confronto e la variazione percentuale della misura ottenuta con la dendrocronologia (14CD)
rispetto al valore di riferimento (14C0) ed e espressa come:
∆14Ch =14CD −14 C0
14C0x1000 (1.1.5)
Grazie a questo metodo ed alla sua applicazione su alberi millenari (sequoie giganti e cali-
Figura 1.5: Sovrapposizione di sequenze di anelli provenienti da alberi vissuti in periodidi tempo diversi.
1.1. I PRINCIPI 7
forniane, querce, etc..) attualmente si dispone di una serie continua di ∆14Ch che va dal
presente fino a circa 12.000 anni fa (Fig.1.4). “L’archivio” e stato poi ulteriormente esteso
considerando anche altri materiali1 e attualmente si dispone di informazioni che vanno
dal presente fino a circa 26.000 anni fa. Grazie a questi valori e stato successivamente
Figura 1.6: a) la curva di calibrazione (in rosso) b) Una sua espansione che mette inevidenza la struttura a banda dovuta all’incertezza con cui e costruita.
possibile costruire una curva di calibrazione (vedi Fig.1.6) che permette, una volta nota
l’eta convenzionale, di risalire all’eta vera del reperto. La curva di calibrazione usata nor-
malmente nelle applicazioni associa all’ascissa l’eta vera e all’ordinata l’eta convenzionale
del radiocarbonio. L’eta convenzionale del radiocarbonio, trattata come variabile a distri-
buzione gaussiana, viene poi trasformata in eta vera utilizzando la curva di calibrazione
ed un opportuno algoritmo [Bron01]. Un esempio e riportato in Fig.1.7.
1Vengono utilizzati, per queste datazioni, dei frammenti di corallo databili indipendentemente con lacatena uranio-torio.
8 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C
Figura 1.7: Un esempio di calibrazione. Sull’asse delle ordinate l’eta convenzionale eriportata insieme alla sua incertezza sperimentale. Sull’asse delle ascisse viene inveceriportata la funzione di probabilita associata all’eta vera del campione. Essa e ottenutatramite convoluzione dell’eta convenzionale e della curva di calibrazione (in blu) insiemealle relative incertezze. Il programma utilizzato in questa calibrazione e OxCal v.4.
1.1.3 La concentrazione di radiocarbonio all’interno degli esseri
viventi
Una delle ipotesi su cui si basa la datazione e che gli organismi viventi, scambiando con-
tinuamente carbonio con l’ambiente esterno, si portino in equilibrio con la concentrazione
di 14C in atmosfera. Questo non e esattamente corretto perche i processi chimici messi
in atto all’interno dei diversi esseri viventi possono essere tali da privilegiare lo scambio
di un determinato isotopo rispetto ad un altro. Questo effetto prende il nome di “frazio-
namento isotopico”. Nel caso della fotosintesi delle piante, ad esempio, l’assorbimento di
carbonio avviene preferibilmente mediante 12CO2 piuttosto che 14CO2; conseguentemen-
te esse avranno una eta di radiocarbonio “apparente” maggiore dell’eta reale. E’ quindi
necessario correggere per questo effetto il valore della concentrazione di 14C misurata. In
generale, risulta essere vero che, se l’assorbimento del 12C e favorito rispetto al 13C , allora
anche il 13C sara favorito allo stesso modo rispetto all’isotopo 14C . Da considerazioni di
1.2. CENNI SULLA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI 9
meccanica statistica si ricava che vale la relazione [Cra54]
14C12C
= K
(
13C12C
)2
(1.1.6)
con K costante di proporzionalita nota. La misura del frazionamento del 13C , che non
subisce cambiamenti nel tempo in quanto si tratta di un isotopo stabile, permette quindi
di correggere il rapporto 14C /12C .
1.2 Cenni sulla preparazione dei campioni
Per poter effettuare misure di concentrazione di radiocarbonio mediante spettrometria di
massa con acceleratore (AMS), e necessario che il carbonio presente nei reperti da datare
venga estratto e introdotto nell’apparato di misura sotto forma di grafite. E’ adesso
descritta la procedura, utilizzata per la produzione dei campioni da inserire nella linea di
spettrometria di massa per cominciare a spiegare la criticita di una misura AMS.
La procedura utilizzata al LABEC puo essere suddivisa in tre parti: pretrattamento
chimico-fisico, combustione e grafitizzazione. Queste fasi possono essere sintetizzate come
segue:
• pretrattamento chimico-fisico: in questa fase, oltre ad un processo di “pulizia”,
viene selezionata ed isolata la parte di campione che piu si adatta alle misure di
radiocarbonio.
• combustione: una volta selezionata la parte da analizzare, questa viene “bruciata”
in modo tale da trasformare il carbonio in CO2.
• grafitizzazione: la CO2 viene raccolta, trasformata in grafite ed infine pressata al-
l’interno di un supporto che e successivamente inserito all’interno della sorgente
dell’acceleratore.
10 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C
1.2.1 Il pretrattamento dei campioni
La prima operazione da svolgere per la preparazione di un campione da inserire nell’acce-
leratore e una pulizia accurata del frammento di reperto. Con questa procedura vengono
eliminati gli strati piu esterni del reperto, i quali sono solitamente piu esposti a conta-
minazione. Inoltre, nel caso in cui sia presente sul campione terra o altri tipi di corpi
“estranei”, viene preliminarmente effettuato un bagno a ultrasuoni in acqua distillata.
Successivamente, nel caso non sia richiesto alcun pretrattamento specifico, il campione
viene trattato con il metodo A-B-A (Acido-Base-Acido) [Hig99][Moo83]. In questa pro-
cedura il reperto viene inizialmente immerso in una soluzione acquosa contenente acido
cloridrico, poi in una contenente idrossido di sodio ed infine nuovamente in acido cloridri-
co. Dopo ciascun tratamento il campione viene sciacquato con acqua distillata.
Nel primo dei tre trattamenti del metodo A-B-A il carbonio contaminante, tipicamente
presente come carbonato di calcio, viene rimosso dal campione grazie alla reazione
CaCO3 + 2HCl −→ CaCl2 + H2O + CO2
durante la quale si ha la produzione di anidride carbonica in forma gassosa che puo quindi
essere rimossa. Nella seconda parte del trattamento vengono invece rimossi eventuali
residui umici (solubili in soluzioni basiche) che possono contaminare il campione. L’ultimo
bagno in soluzione acida e utilizzato perche durante il secondo processo e possibile che la
CO2 atmosferica si dissolva all’interno della soluzione, contaminando di nuovo il campione.
Dopo questo trattamento il reperto viene solitamente asciugato ed e quindi pronto per i
successivi processi di combustione e grafitizzazione.
1.2.2 Il processo di combustione dei campioni
Il processo di combustione dei campioni permette di produrre CO2 a partire dal carbonio
presente all’interno del reperto. Al laboratorio LABEC, per questo scopo, e utilizzato un
analizzatore elementale illustrato schematicamente in Fig.1.8, che consiste in una colonna
1.2. CENNI SULLA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI 11
di combustione, una colonna gascromatografica e un TCD (Thermal Conductivity Detec-
tor). Il campione da analizzare viene inserito all’interno della colonna di combustione:
Figura 1.8: Rappresentazione schematica della linea di combustione installata presso ilLABEC.
essa e formata da una colonna di quarzo2 contenente una serie di strati di elementi (ossido
di cromo, rame, ossido di cobalto e argento) che permettono sia una completa combu-
stione del campione che la rimozione degli eventuali ossidi di zolfo formatisi durante la
fase di reazione che devono essere eliminati prima di entrare nella linea di grafitizzazio-
ne3. La colonna, in condizioni di riposo, viene mantenuta a 900 C ed al suo interno
viene fatto fluire dell’elio puro (99.999%), necessario per trasportare i gas prodotti nella
combustione. Quando il processo di combustione ha inizio, grazie all’aggiunta di ossigeno
puro (99.999%), la temperatura della colonna sale, per qualche secondo, fino a 1800 C
dando origine alla reazione che produce anidride carbonica insieme ad acqua e N2. Que-
sti prodotti vengono poi inviati alla colonna gascromatografica che permette di separare
le diverse specie gassose generate dalla colonna di combustione. L’uscita della colonna
gascromatografica e collegata ad un Thermal Conductivity Detector che consente di iden-
tificare, per mezzo di un cromatogramma in tempo reale, l’intervallo di tempo in cui
2La colonna e costruita in quarzo per consentire di raggiungere alte temperature durante lacombustione.
3Questi ossidi vengono prodotti all’interno di qualsiasi processo di combustione di materiale organicoinsieme ad acqua e azoto e devono essere in qualche modo eliminati.
12 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C
Figura 1.9: Un tipico esempio di cromatogramma ottenuto con uno 2mg di nicotinamide.
avviene il passaggio della CO2. Durante questo intervallo (t1 − t0 in Fig.1.9) viene infine
permesso al gas di raggiungere la linea di grafitizzazione.
1.2.3 La linea di grafitizzazione
La reazione che permette di trasformare la CO2 in grafite e:
CO2 + 2H2 −→ C + 2H2O (1.2.7)
Uno schema di linea di grafitizzazione molto semplificato, ma nel principio di funziona-
mento analogo a quello utilizzato al LABEC, e mostrato in Fig.1.10.
Preliminarmente alla fase di combustione del campione, la linea di grafitizzazione viene
portata in vuoto da una pompa turbo-molecolare attraverso la valvola V 3.
Quando il processo di combustione non e attivo la linea viene isolata in modo che il gas
in arrivo, non contenente CO2, diffonda in atmosfera. A questo compito sono adibite le
valvole V 1 e V 2 che, in questa fase, sono una aperta (V 1) e l’altra chiusa (V 2).
Quando, sul cromatogramma, appare il picco relativo alla CO2 (istante indicato con t0
in Fig.1.9), viene bloccato il sistema di vuoto (V 3) e commutate le valvole V 1 e V 2. In
questo modo il gas, costituito adesso da CO2 ed elio, puo fluire all’interno della linea. Da
1.2. CENNI SULLA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI 13
Figura 1.10: Schematizazione semplificata dei componenti base della linea digrafitizzazione installata presso il LABEC.
notare inoltre che la valvola V 5, durante questa fase, deve essere tenuta aperta per fare
in modo che il gas fluisca verso le camere di reazione. In questa fase la provetta A viene
tenuta in un bagno di azoto liquido, che permette di congelare la CO2. Successivamente,
quando viene raggiunto l’istante indicato con t1 sul cromatogramma, le valvole V 1 e V 2
vengono riposizionate nella loro configurazione originale, isolando cosı di nuovo il sistema
di grafitizzazione. A questo punto, dopo aver riaperto la valvola V 3 e pompato via l’elio,
all’interno della linea di grafitizzazione rimarra solamente anidride carbonica congelata
nella provetta A. La valvola V 5 viene quindi chiusa e l’azoto rimosso da sotto la provetta
A. Una volta tornati a temperatura ambiente e possibile misurare la pressione di CO2 rag-
giunta all’interno della camera. Successivamente la provetta A viene raffreddata di nuovo
con azoto liquido e la valvola V 5 riaperta. In questo modo la CO2 rimane congelata nella
provetta A e, aprendo la valvola V 4, e possibile far diffondere l’idrogeno all’interno della
camera. Il flusso di idrogeno viene arrestato quando il valore di pressione letto all’inter-
no della camera di reazione (dovuto solo all’idrogeno) e diventato doppio di quello della
CO2 precedentemente misurato. E’ possibile adesso, chiudendo V 5 e rimuovendo l’azoto
14 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C
liquido innescare la reazione di grafitizzazione nella provetta B, dove precedentemente
era stato inserito del ferro come catalizzatore. In questa reazione la temperatura riveste
un ruolo molto importante: se viene mantenuta al di sotto dei 500 C vengono formati
idrocarburi, ad esempio CH4; se viene innalzata al di sopra di 800 C puo essere prodotto
un eccesso di CO. Per questo motivo la temperatura viene mantenuta intorno a 600 C.
Data l’alta temperatura necessaria per far avvenire la reazione e stato montato un forno
estraibile (la camera di combustione di Fig.1.10). Esso e realizzato mediante un filo di
ferro-cromo-alluminio inserito all’interno di un isolante ceramico. All’interno di questo
dispositivo e inoltre inserita una termocoppia che permette di misurare la temperatura e,
grazie ad un sistema di controllo, regolare la temperatura del forno.
Durante la (1.2.7) viene prodotta dell’acqua che deve essere eliminata potendo dare origi-
ne alla reazione inversa. Per questo motivo la provetta A viene inserita all’interno di un
dispositivo di raffreddamento ad effetto Peltier. Questo dispositivo porta la provetta A
ad una temperatura di circa −20 C: in grado quindi di congelare l’acqua lasciando nello
stato gassoso tutti gli altri elementi.
Durante tutto il tempo necessario affinche tutta la CO2 venga trasformata in grafite la
pressione della miscela viene costantemente monitorata. In Fig.1.11 e riportato un esem-
pio di andamento della pressione durante la reazione di grafitizzazione; in questo caso il
valore della pressione decresce fino ad arrivare ad un valore di circa 100 mbar. La pres-
sione residua e dovuta al fatto che, in realta, la quantita di idrogeno (H2) inserita nel
grafitizzatore e maggiore rispetto a quella calcolata in base al rapporto stechiometrico.
Questo accorgimento permette di ridurre tutta l’anidride carbonica in grafite.
Una volta che la reazione e terminata sia il forno che la Peltier vengono rimossi e l’idroge-
no in eccesso viene fatto diffondere fuori dalla camera di grafitizzazione. Per dare un’idea,
l’efficienza di tutto il processo e di circa il 50%.
1.3. RIEPILOGO 15
Figura 1.11: Andamento, in funzione del tempo, della pressione durante un processo digrafitizzazione.
1.3 Riepilogo
Prima di descrivere come viene fatta una misura AMS di radiocarbonio vengono riassunti
brevemente i punti salienti finora incontrati. Come si e visto i processi chimico-organici
sono potenzialmente selettivi rispetto allo stato isotopico dell’elemento: due reperti, de-
rivati da materiali organici chimicamente diversi, anche se coevi non necessariamente
presentano lo stesso rapporto 14C /12C . Come gia accennato, se in una reazione il 14C
e sfavorito (favorito) rispetto al 12C , allora anche il 13C e sfavorito (favorito) rispetto al
12C . Pero, dal momento che il rapporto 13C /12C e indipendente dall’eta del reperto, co-
noscendo sia 14C /12C che 13C /12C si puo correggere il frazionamento. Anche durante le
fasi della misura stessa all’acceleratore vengono introdotti degli effetti sistematici di tipo
fisico tali da privilegiare un isotopo rispetto ad un altro. Cio implica che questo tipo di
misure venga sempre fatto per confronto rispetto a campioni standard di concentrazione
nota.
Inoltre si e visto che la fase di preparazione stessa del campione e assai delicata poi-
che possono essere introdotti involontariamente agenti contaminanti tali da alterare la
concentrazione di radiocarbonio. In particolare, due possono essere le principali fonti di
16 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C
contaminazione: quella introdotta durante la preparazione dei campioni e quella dovuta
ad una non efficiente rimozione degli agenti contaminanti durante i processi di pretrat-
tamento. Per questo motivo normalmente viene inserito anche un campione non attivo
(blank), che viene sottoposto agli stessi pretrattamenti del campione e che puo dare una
stima del fondo presente nella misura. Risulta a questo punto chiaro che nella spettro-
metria di massa con acceleratore le quantita base da misurare sono i rapporti 13C /12C e
14C /12C , sia per il campione in analisi che per lo standard che per un blank.
Capitolo 2
I princıpi della spettrometria di
massa con acceleratore
2.1 La linea di misura
La spettrometria di massa con acceleratore (AMS) e una tecnica che permette di misurare
con elevata precisione la concentrazione di isotopi rari rispetto ai corrispondenti isotopi
abbondanti presenti all’interno di un campione. La misura di questi rapporti, come gia
visto nel capitolo precedente, sta alla base del metodo di datazione del 14C .
Questo metodo di misura, cosı come la spettrometria tradizionale, e basato sul princi-
pio secondo il quale ioni aventi stessa energia e stesso stato di carica, una volta entrati
all’interno di un campo magnetico uniforme e costante diretto perpendicolarmente alla
direzione di moto, compiono una traiettoria di raggio1 direttamente proporzionale alla
massa. E’ quindi possibile effettuare una separazione tra isotopi aventi masse differenti
semplicemente facendo loro attraversare una zona in cui e presente un campo magnetico
e successivamente “contando”, grazie a dei misuratori posti a opportuni valori del raggio,
le particelle deflesse.
Nelle misure di radiocarbonio, anche operando selezioni di questo tipo, non si riescono
ancora a separare in maniera soddisfacente i vari elementi poiche si hanno delle interfe-
1Questo raggio e chiamato “Raggio di Larmor”.
17
18CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
renze “residue” dovute principalmente alla presenza di molecole, come ad esempio 12CH 2
o 13CH ; esse riescono ad eludere questi primi sistemi di selezione potendo avere stati di
energia, massa e carica analoghi a quelli degli ioni che si vogliono analizzare. Le molecole
che possono dare origine a queste interferenze prendono il nome di isobari molecolari.
La tecnica AMS, grazie all’utilizzo di un acceleratore di tipo TANDEM, permette di effet-
tuare le misure di radiocarbonio con sensibilita dell’ordine di una parte su 1015 e consente2
l’eliminazione degli isobari molecolari.
In una misura di radiocarbonio eseguita con il metodo della spettrometria di massa con
acceleratore il campione viene preparato seguendo un processo che riduce il frammento
di reperto (∼ 1 mg) a una mistura di grafite e ferro che viene successivamente pressata
in un portacampione in alluminio e posta all’interno della sorgente dell’acceleratore. Il
fascio, formato da ioni negativi estratti dal campione, viene poi fatto passare attraverso
dei selettori elettrostatici e magnetici che forniscono una prima selezione in energia, mas-
sa e carica delle particelle. Dopo questa prima analisi il fascio entra nel TANDEM ed e
accelerato verso il terminale ad alta tensione (tipicamente posto a 2.5 MV al LABEC)
dove attraversa un canale equipotenziale in cui fluisce Argon. Nell’interazione con il gas
(stripping) le particelle perdono alcuni elettroni e cambiano stato di carica diventando
cosı positive. La procedura di stripping e determinante per la soppressione degli isobari
molecolari 13CH e 12CH2 che sono predominanti rispetto al 14C 3: la cessione di elettroni
fa diventare vantaggioso, dal punto di vista energetico, la scissione di queste molecole nel-
le rispettive componenti atomiche, permettendone una facile rimozione con dei successivi
sistemi di analisi. Una volta diventati positivi, gli ioni vengono accelerati verso l’uscita
di alta energia dell’acceleratore dove incontrano altri selettori magnetici ed elettrostatici.
Infine, grazie alla misura della corrente degli isotopi stabili per mezzo di faraday cup e al
conteggio degli ioni dell’isotopo raro, si riesce a risalire alle loro abbondanze relative. Un
altro vantaggio della spettrometria di massa con acceleratore e legata all’energia finale
2Per dare un’idea, la concentrazione di 14C all’interno di un organismo e al massimo di circa 10−12.3Le componenti 13CH e 12CH2 sono state misurate e producono delle correnti di 0.01 µA [Lazz08].
Questi valori di corrente sono molto maggiori di quelli registrati per il radiocarbonio. In questi casi,infatti, si hanno correnti di ∼10−5 pA.
2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 19
degli isotopi, ∼ 10 MeV, sufficientemente elevata da consentire ulteriori tipi di analisi.
2.2 La linea AMS del LABEC
Al LABEC di Sesto Fiorentino e installato un acceleratore TANDEM normalmente uti-
lizzato sia per misure di spettrometria di massa che di Ion Beam Analisis (IBA).
In Fig.2.1 e riportato lo schema complessivo dell’acceleratore, mentre in Fig.2.2 e stata
ingrandita solamente la parte strettamente dedicata all’AMS.
Con riferimento alla Fig.2.1 si puo notare che il sistema puo essere suddiviso in tre parti:
Figura 2.1: Modello schematico che mostra sia le linee adibite a misure IBA sia quellautilizzata per l’AMS (in basso).
• Parte di bassa energia
Essa e costituita, per quanto riguarda la linea di spettrometria di massa, da una
sorgente di tipo sputtering, un analizzatore elettrostatico (ESA54) a 54 e un ma-
gnete di analisi a 90; per la parte di Ion Beam Analysis sono presenti invece due
sorgenti (una di tipo sputtering e una Duoplasmatron) ed un magnete di analisi a
90;
• L’acceleratore TANDEM
20CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
Figura 2.2: Modello schematico della linea AMS installata al LABEC di Sesto Fiorentino.
2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 21
• La parte di alta energia
Per la linea spettrometria di massa e presente un magnete a 115, un analizzatore
elettrostatico a 65 (ESA65) e i sistemi necessari per la misura delle correnti degli
isotopi stabili e i conteggi dell’isotopo raro; per le linee IBA e presente invece un
magnete (detto di switching) che indirizza il fascio verso uno dei sei canali dispo-
nibili. Nella Fig.2.1 e riportato, non in scala, il canale equipaggiato col deflettore
elettrostatico DEFEL che sara mostrato nel terzo capitolo.
L’acceleratore, grazie alla sua tensione massima di terminale di 3 MV, puo essere utiliz-
zato anche per effettuare misure di AMS con isotopi diversi dal 14C , come ad esempio
10Be, 26Al , 129I . Altri isotopi rari, quali 36Cl , 41Ca, 53Mn, 59Ni , 60Fe, richiederebbero
energie piu elevate per la soppressione sia degli isobari molecolari interferenti sia degli io-
ni competitori4. Verra adesso analizzato singolarmente e in maniera piu dettagliata ogni
elemento della linea di spettrometria di massa.
2.2.1 La sorgente
Nella linea AMS viene utilizzata una sorgente a sputtering di ioni di cesio con cui vengono
estratti dal campione ioni negativi aventi una distribuzione di energia centrata attorno
ad un valore noto.
La sorgente, come si puo vedere dalla Fig.2.3, e formata da un punto di vista funzionale
da tre “blocchi” elettricamente separati: l’elettrodo di estrazione (tenuto a potenziale di
massa), lo ionizzatore (−28 kV) ed il catodo (−35 kV) dove viene alloggiato il campione
da analizzare. Essenzialmente il processo che porta alla produzione degli ioni negativi da
iniettare nell’acceleratore e molto semplice e puo essere schematizzato in 3 fasi distinte:
• Prima fase: il sebatoio di cesio viene portato ad una temperatura di ∼ 75 C. In
questo modo vengono prodotti dei vapori di cesio che, attraverso un apposito canale,
sono fatti diffondere fino ad arrivare in prossimita dello ionizzatore, mantenuto ad
4Gli ioni competitori sono degli atomi che hanno la stessa massa dell’isotopo raro che si vuoleanalizzare ma appartengono ad una specie chimica diversa.
22CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
Figura 2.3: Rappresentazine schematica della sorgente per la linea di spettrometria dimassa del LABEC.
una temperatura di 1100 C. Gli atomi di cesio, una volta venuti a contatto con lo
ionizzatore, subiscono un processo di ionizzazione termica grazie alla quale perdono
uno o piu elettroni diventando cosı degli ioni positivi;
• Seconda fase: gli ioni positivi prodotti nella prima fase vengono accelerati dalla
differenza di potenziale di −7 kV verso il catodo5 dove, interagendo col campione,
provocano l’estrazione di alcuni atomi e molecole6. L’alloggiamento del campione
e mantenuto a temperatura ambiente facendo sı che parte dei vapori di cesio si
condensino sulla superficie del campione stesso. Gli atomi e le molecole estratti dal
campione acquisteranno, nell’attraversare questo strato di cesio7, alcuni elettroni
[Fink93] trasformandosi cosı in ioni con stato di carica negativo;
5La particolare geometria dello ionizzatore permette inoltre che il fascio di ioni di Cs venga focalizzatosu di una piccola superficie del campione.
6Questi processi sono detti di “sputtering”.7Il cesio e uno degli elementi meno elettronegativi (0.79 nella scala di Pauling) e tende a cedere
facilmente l’elettrone dell’ultima shell.
2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 23
• Terza fase: gli ioni negativi cosı prodotti vengono infine accelerati prima verso lo
ionizzatore e successivamente verso l’elettrodo di estrazione8 venendo cosı immessi
all’interno della linea di spettrometria di massa. In conclusione, il fascio creato dalla
sorgente sara formato da ioni negativi aventi una distribuzione di energia centrata
intorno a 35 keV.
L’utilizzo di questo tipo di sorgente permette di eliminare il contributo degli isobari del
carbonio che non formano ioni negativi stabili come, ad esempio nel caso delle misure di
radiocarbonio, dell’isotopo 14N .
La sorgente e inoltre dotata di una ruota sulla quale vengono alloggiati fino a 59 campioni
che possono essere sequenzialmente inseriti, per mezzo di un braccio meccanico, nell’al-
loggiamento del catodo. Quest’ultimo possiede infine la possibilita di potersi muovere
nel piano xy perpendicolare alla direzione del fascio, in modo tale da permettere che il
campione possa essere investito dagli ioni di cesio in punti diversi. In questo modo, grazie
ad un processo di media, si riesce a minimizzare la formazione di crateri e ad ovviare
a problemi legati a possibili disomogeneita superficiali del campione dovute alla fase di
preparazione.
2.2.2 Bassa energia: l’analizzatore elettrostatico (ESA54)
Il fascio estratto dalla sorgente non ha carattere monoenergetico: sono presenti sia delle
code ad alta energia (dovute al trasferimento di energia da parte degli ioni di cesio a
quelli del campione), sia delle componenti di bassa energia (dovute a fenomeni di rottu-
ra molecolare nella fase di accelerazione in sorgente). Dovra quindi essere presente un
elemento discriminatore che permetta la selezione degli ioni del fascio aventi una certa
energia ed un certo stato di carica. Per questo motivo, in uscita dalla sorgente, e pre-
sente un analizzatore elettrostatico (ESA54) a 54 (Vedi Fig.2.2). Questo dispositivo e
costituito da due elettrodi cilindrici concentrici tenuti ad una differenza di potenziale di
∼ 8 kV. Essi generano un campo elettrico diretto radialmente e gli ioni che transitano al
8al centro dello ionizzatore e stato praticato un sottile foro (∼ 4.5 mm) per permettere il passaggiodel fascio.
24CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
suo interno compiono quindi traiettorie circolari con raggio dipendente dall’intensita del
campo9 (ǫ(r)) secondo la legge:
mv2
r= 2
E
r= qeǫ(r) ⇒ 2
E
qe= rǫ(r) (2.2.1)
dove m, v, E, q, sono rispettivamente massa, velocita, energia e stato di carica delle
particelle.
Al LABEC i parametri dell’ESA54 sono scelti per permettere il passaggio di particelle il
cui rapporto E/q sia uguale a -35 keV.
2.2.3 Bassa energia: il magnete iniettore
Il fascio proveniente dall’ESA54 e costituito, oltre che da ioni aventi energia di 35 keV e
carica −1, anche da particelle con valori diversi per i due parametri, ma con medesimo
rapporto10 E/q. Per questo motivo e necessario introdurre un ulteriore stadio di anali-
si, questa volta di tipo magnetico-dispersiva, che consenta di operare un nuovo tipo di
selezione. In questo tipo di analisi, complementare alla precedente, viene effettuata una
selezione in base al rapporto impulso/carica delle particelle, facendo loro attraversare un
tratto di canale a curvatura costante (Fig.2.4) in cui agisce un campo magnetico diretto
perpendicolarmente alla direzione del loro moto. Esse infatti supereranno questa analisi
solamente se il raggio della loro orbita circolare coincidera con quello del tratto del canale.
Il valore del raggio dell’orbita delle particelle, funzione sia di energia, massa e carica delle
particelle, sia del valore del campo magnetico, e esprimibile come:
RL =mv
qeB=
√2mE
qeB(2.2.2)
9Data la particolare geometria costruttiva dell’ESA54, il campo elettrico al suo interno e di modulocirca costante.
10In [Lazz08] e riportata un’analisi dettagliata delle diverse specie chimiche presenti in uscita dall’E-SA54 nelle misure di radiocarbonio. Da questa analisi risulta che sono presenti particelle diverse dalradiocarbonio, alcune aventi una massa di circa 60 u.m.a.
2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 25
Il magnete (magnete iniettore) permette alle particelle che hanno superato la selezione
di entrare correttamente nell’acceleratore (Fig.2.2). Nel caso di misure di radiocarbonio
Figura 2.4: Rappresentazione schematica del sistema di analisi magnetica. In rosso la“camera del magnete”.
le particelle vengono iniettate in maniera sequenziale e ciclica nell’acceleratore. Consi-
derando ancora la (2.2.2), si puo vedere come questo sia realizzabile in due maniere: o
cambiando l’intensita del campo magnetico oppure variando l’energia delle particelle in
ingresso al magnete. Va detto pero che, qualora si optasse per il primo metodo, bisogne-
rebbe tener conto che variazioni rapide11 del campo magnetico sono di fatto impossibili:
l’instaurarsi di fenomeni di isteresi renderebbe non riproducibili i cicli di magnetizzazione.
Per questo motivo, la soluzione comunemente adottata e quella di avere un campo ma-
gnetico costante nel tempo e applicare, a seconda dell’isotopo che si vuole trasmettere, un
valore diverso di tensione al tratto di canale contenuto all’interno del magnete (Fig.2.4).
Come si vede dalla Fig.2.4, la parte della linea di fascio contenuta all’interno del magnete
(camera del magnete) e isolata dal resto dell’acceleratore in modo che possa essere por-
tata fuori massa. Nel caso del radiocarbonio il campo magnetico B e tale da permettere
11Nelle misure di AMS e preferibile iniettare ciclicamente e sequenzialmente gli isotopi nell’accelera-tore per poter mediare temporalmente eventuali effetti di instabilita sia delle tensioni che ambientali, adesempio la temperatura.
26CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
il passaggio dell’isotopo 13; viene alternativamente fornito un valore di tensione positivo
(V12 ∼ 2.9 kV) o negativo (V14 ∼ −2.5 kV) alla camera del magnete quando si voglia far
passare ioni di massa rispettivamente 12 e 14. In uscita dal magnete iniettore e presente
un ulteriore dispositivo di deflessione che non consente alle particelle di raggiungere l’in-
gresso dell’acceleratore durante le transizioni tra i livelli di tensione.
I tempi di iniezione delle particelle nell’acceleratore sono scelti in maniera tale da far
passare quasi sempre ioni di 14C ; al LABEC i valori normalmente utilizzati per i tempi
di iniezione sono:
14C ∼ 8.5 ms
13C ∼ 0.6 ms
12C ∼ 6 µs
Il rapporto tra i tempi di iniezione di 13C e 12C e stato scelto circa pari all’inverso del
loro rapporto isotopico; in questo modo il valore medio di corrente che verra letto nella
parte di alta energia sara circa lo stesso per i due isotopi. Va sottolineato inoltre che
gli eventi di radiocarbonio vengono registrati solo all’interno della finestra temporale di
8.5 ms in cui l’isotopo viene trasmesso dal magnete iniettore. E’ stato visto, infatti, che,
nonostante tutte le precauzioni adottate, durante le fasi di transizione delle tensioni con
gli altri due isotopi, alcuni ioni riescono comunque a raggiungere il rivelatore di radiocar-
bonio. Tenendo conto che e necessario un tempo di circa 250 µs per variare il valore della
tensione applicata al magnete iniettore, il periodo necessario per compiere il ciclo per i
tre isotopi e di circa 10 ms.
La principale fonte di interferenza di misura che ancora rimane e che deve essere eliminata
e dovuta agli isobari molecolari i cui valori di energia/carica e impulso/carica sono tali da
permetter loro di superare questi primi due sistemi di selezione. Questi contributi saranno
eliminati grazie all’utilizzo dell’acceleratore.
2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 27
2.2.4 L’ acceleratore TANDEM
Il TANDEM installato al LABEC, schematizzato in Fig.2.5, e un acceleratore elettrosta-
tico con tensione massima di terminale di 3 MV. E’ caratterizzato da tre parti principali:
colonna di bassa energia (con ingresso a massa), colonna di alta energia (con uscita a
massa) e colonna di carica. La colonna di carica, da un punto di vista elettrico, puo
essere schematizzata come un circuito risonante, seguito da un moltiplicatore di tensione.
All’ingresso del moltiplicatore e applicata una tensione sinusoidale ricavata dal circuito
Figura 2.5: La struttura interna dell’acceleratore TANDEM del LABEC. In basso emostrata la colonna di carica con cui viene generata l’alta tensione.
risonante a sua volta pilotato da un’onda rettangolare con duty-cycle variabile. Essa e
ottenuta tramite dei mosfet di potenza che alternativamente abilitano e interdicono le
uscite bipolari di un generatore di potenza e lavorano alla frequenza propria del sistema
(33kHz). Variando il duty-cycle dell’onda quadra viene quindi regolata la tensione di
terminale. Dal terminale fluisce poi una corrente che si ripartisce nei due rami di ritorno
verso massa: le colonne di alta e di bassa energia dove, grazie a dei partitori resistivi
28CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
formati da delle serie di 78 resistenze da 300 MΩ, sono generate, a passo costante, le
differenze di potenziale di accelerazione per i fasci di ioni. Il sistema primario di controllo
della tensione di terminale e affidato ad un voltmetro generatore, compensato in tempe-
ratura, che agisce da feedback principale sul duty-cycle della tensione di ingresso. Fra le
due colonne e presente un tratto di canale equipotenziale, lungo 130 cm e con aperture
di ingresso e di uscita per il fascio di 13 mm in cui e fatto fluire argon (gas dello stripper)
per mezzo di un sistema di ricircolo a circuito chiuso.
Il fascio di ioni negativi entra nel TANDEM, viene accelerato nella colonna di bassa
energia e giunge nel canale in cui e fatto fluire Argon; qui interagisce col gas perdendo
elettroni e diventando positivo. Il fascio, ora formato da ioni positivi, viene ulteriormente
accelerato nella colonna di alta energia fino all’uscita del TANDEM.
Il processo di stripping
Il processo di stripping [Betz72] consiste nella perdita, da parte di uno ione, di uno o piu
elettroni orbitali a causa dell’attraversamento di uno strato di materia. Esso e un processo
Figura 2.6: Grafico che mostra, per ioni di 12C da 2.4 MeV, la frazione di ioni cheraggiungono uno stato di carica q dopo aver attraversato un dato spessore di Argon. Esisteuno spessore oltre il quale i processi di cattura e cessione di elettroni si compensano e lafrazione di particelle che raggiungono un certo stato di carica ne e indipendente [Whit05].
dinamico nel quale gli ioni perdono e catturano continuamente elettroni: lo stato di carica
in uscita si presenta sotto forma di una distribuzione e dipende dall’energia degli ioni e
dallo spessore del materiale da attraversato. Per esempio, per un fascio di ioni carbonio
2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 29
da 2.4 MeV che attraversa uno stripper formato da Argon di spessore equivalente ≥ 0.8
µg cm−2, lo stato di carica piu probabile sara il 3+; saranno pero presenti anche ioni
carbonio aventi come stato di carica finale 1+, 2+, 4+[Hofm87] (Fig.2.6).
A queste energie di fascio si assiste inoltre al fenomeno dell’esplosione coulombiana: gli
Figura 2.7: Grafico che mostra lo stato di carica piu probabilmente raggiunto da ionicarbonio nell’attraversare uno spessore equivalente di 0.6 µg cm−2 (figura da [Sut06]).
atomi che costituiscono gli isobari molecolari, perdendo alcuni elettroni orbitali grazie
allo stripping, cominciano a respingersi a vicenda facendo sı che risulti vantaggioso per la
molecola scindersi nei suoi componenti atomici.
2.2.5 Alta energia: il selettore magnetico e quello elettrostatico
Il fascio di ioni in uscita dall’acceleratore entra in un nuovo selettore magnetico12 a 115
che separa le traiettorie dei tre isotopi del carbonio. I fasci di 12C 3+ e 13C 3+ vengono
intercettati da due Faraday cup e ne viene letta la corrente; il 14C 3+ prosegue invece lungo
il canale ed entra all’interno di un nuovo selettore elettrostatico ESA65 a 65. Questo
12Il valore di B e impostato in modo tale da permettere il passaggio per gli ioni di radiocarbonio concarica 3+ ed energia di 10.035 MeV.
30CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
Figura 2.8: Il selettore magnetico e l’ESA65 per la parte di alta energia dell’acceleratore.
secondo selettore elettrostatico, impostato in maniera tale da avere rapporto E/q pari
a 10.035/3 MeV13, viene utilizzato perche il solo magnete a 115 non e sufficiente per
identificare gli ioni di 14C in maniera univoca. Questo e dovuto al fatto che possono
essere presenti, al termine del lato di alta energia, ioni aventi rapporti impulso/carica
analoghi a quelli del radiocarbonio. L’utilizzo di questi due sistemi di selezione per la
parte di alta energia fa sı che la maggior parte degli ioni interferenti possa venire rimossa;
rendendo quindi possibile effettuare il conteggio degli ioni di 14C .
2.2.6 Il rivelatore per il radiocarbonio
Una volta uscito dall’ESA65 il fascio di isotopi rari viene focalizzato sulla finestra di
ingresso di una camera di ionizzazione. I segnali prodotti vengono preamplificati (ORTEC
142A) e successivamente discriminati, amplificati, formati (ORTEC 570) e acquisiti dal
software del TANDEM. Nelle misure “convenzionali” di radiocarbonio questo sistema e
estremamente rapido ed efficiente; tuttavia nel caso in cui si vogliano effettuare misure
con campioni estremamente poveri di radiocarbonio o di concentrazione formale nulla
13Si ricorda che q, definito nella 2.2.2, e lo stato di carica della particella.
2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 31
insorgono vari tipi di problemi. Analizzando gli spettri di energia rilasciata dalle particelle
nel rivelatore si registrano infatti un certo numero di conteggi ad energie diverse da quelle
attese (Fig.2.9). Le cause sono principalmente due: particelle che hanno urtato con le
Figura 2.9: Spettri ottenuti con alla camera di ionizzazione. A sinistra viene mostrato ilcaso di un campione ricco in radiocarbonio, a destra il caso di un campione “blank”.
pareti nella parte finale della linea o sul collimatore di ingresso della camera di ionizzazione
oppure ioni che, avendo avuto interazioni di scambio carica14 nella colonna di alta energia,
hanno acquisito stati di impulso/carica ed energia/carica, che, combinati con la loro
traiettoria, hanno permesso il loro ingresso nel rivelatore finale.
La camera di ionizzazione, almeno in linea di principio, potrebbe permettere di identificare
i vari tipi di ioni. Questo rivelatore e costruito in modo tale da avere il catodo suddiviso
in due parti realizzate in modo che la prima, piu vicina alla finestra di ingresso di Mylar,
sia piu corta dell’altra. Questo consente alle particelle di perdere nel primo tratto del
rivelatore solamente una piccola frazione ∆E della loro energia, e di rilasciare la parte
restante sull’altra parte del rivelatore. Le misure fatte con rivelatori di questo tipo,
detti “telescopi”, vengono effettuate accettando solo quegli eventi che siano registrati in
coicidenza sulle due parti del catodo, si effettua quindi una misura di ∆E ed E per ogni
particella incidente.
Per particelle cariche non relativistiche di massa m e carica q si ha, dalla formula di
Bethe-Block, che:
dE
dx= C1
mz2
Eln(
C2E
m) (2.2.3)
14Il gas usato come stripper allinterno del TANDEM puo diffondere in minima parte verso i terminalidi alta e bassa energia facendo in modo che possano verificarsi fenomeni di scambio di carica anche al difuori del terminale.
32CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
Figura 2.10: La camera di ionizzazione installata presso il LABEC. La figura mostral’anodo (a), il catodo (b), la griglia di Frisch (c) e la finestra di ingresso di Mylar (d).
dove C1 e C2 sono delle costanti e z = qe. Questo valore della perdita di energia diffe-
renziale, nel caso in cui lo spessore del primo rivelatore risulti piccolo rispetto al range
medio delle particelle, puo essere assunto costante. L’energia persa all’interno del primo
rivelatore sara quindidE
dx∆x dove ∆x e lo spessore del rivelatore. Se si valuta il prodotto
dE
dxE, il risultato e solo debolmente dipendente dall’energia ma rappresenta un indicatore
sensibile del valore mz2 che caratterizza le particelle. Inoltre, se la radiazione incidente
e costituita da ioni aventi circa la stessa energia il valore ottenuto per le ampiezze de-
gli impulsi provenienti dai due rivelatori (proporzionale all’energia) e caratteristico per
ogni diversa specie atomica. Dato che l’energia incidente puo essere ottenuta sommando
l’energia rilasciata nei due rivelatori e possibile quindi determinare simultaneamente la
massa e l’energia delle particelle incidenti.
Questo tipo di misura non puo pero essere effettuato con la camera attualmente monta-
ta a causa di un valore troppo alto della risoluzione energetica del rivelatore (70 keV).
Un valore cosı alto puo essere imputato a varie cause di cui la principale e la variabilita
dello spessore attraversato dalle particelle nella finestra di ingresso (in Mylar). Questa
variabilita e legata sia alla tolleranza dello spessore che soprattutto alle deformazioni e
2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 33
le sollecitazioni meccaniche che possono alterare lo spessore ai bordi. L’impossibilita di
effettuare misure di tipo telescopico fa sı che, nelle misure di routine di radiocarbonio,
vengano acquisiti solamente spettri di ∆E.
Nell’ambito dell’esperimento MARASMA di V gruppo dell’INFN si e pensato di modifi-
Figura 2.11: Disegno 3D del nuovo tratto di canale.
care radicalmente la parte di alta energia della linea di spettrometria di massa inserendovi
dei nuovi elementi di discriminazione e diagnostica; in Fig.2.11 e riportato il progetto del
nuovo canale. Il progetto prevede la sostituzione della parte finale della linea in modo tale
che possano essere installati, oltre alla camera di ionizzazione, anche un visualizzatore di
profilo per fasci di bassissima intensita (BPM), un sistema di tempo di volo (TOF) ed un
rivelatore al silicio. In Fig.2.12 e riportato lo stato di avanzamento della linea.
Durante la fase di trasporto del fascio e estremamente importante avere degli elementi di
diagnostica che consentano di conoscerne la posizione e la forma. A questo scopo tutte
le macchine acceleratrici sono equipaggiate con Faraday cup per le misure di corrente
e visualizzatori di profilo di fascio. I BPM attualmente in commercio sono basati sulla
misura della corrente elettronica indotta su dei fili dal passaggio del fascio. La loro sensi-
34CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE
Figura 2.12: Lo stato attuale del progetto in cui si puo notare l’alloggiamento del visualiz-zatore di profilo di fascio (a) e quello del rivelatore al silicio (b).La parte relativa al tempodi volo, che comportera di fatto l’introduzione di un altro breve tratto di canale, e in fasedi realizzazione.
bilita, solitamente limitata a qualche decina di pA, permette loro di poter essere utilizzati
lungo la parte di bassa energia della linea AMS. Dopo le due analisi che vengono effet-
tuate nella parte di alta energia, invece, i valori tipici della corrente di fascio (∼ 10−5 pA
per il radiocarbonio) sono molto inferiori della soglia di rivelabilita di questi strumenti.
Per questo motivo e stato pensato di installare, al termine del canale di alta energia, un
particolare tipo di visualizzatore di profilo di fascio, utilizzato negli esperimenti di Fisica
Nucleare, con cui e possibile raggiungere sensibilita molto inferiori potendo rivelare anche
il passaggio delle singole particelle.
Prima di poter introdurre sul nuovo tratto di canale questo dispositivo e stato necessario
effettuare dei test per verificarne la funzionalita in condizioni di fascio analoghe a quelle
che si hanno sulla linea AMS. Nel resto di questa tesi sara mostrato il setup della linea
IBA in grado di riprodurre le stesse condizioni di fascio delle misure di radiocarbonio e i
risultati dei test che sono stati effettuati per caratterizzare il BPM. Si rimanda invece a
[Lazz08] per una discussione piu approfondita sul discriminatore di tempo di volo.
Capitolo 3
La linea IBA del deflettore
elettrostatico DEFEL
3.1 Introduzione
In questo capitolo e descritto il funzionamento della linea DEFEL di Ion Beam Analy-
sis equipaggiata con il deflettore elettrostatico. Questa linea permette di generare fasci
pulsati di ioni con frequenze selezionabili dall’Hz al kHz costituiti da un numero medio
estremamente limitato di particelle, eventualmente impostabile all’unita. Questa carat-
teristica ha permesso di effettuare dei test sul visualizzatore di profilo di fascio (BPM) in
condizioni di misura analoghe a quelle che si hanno sulla linea del radiocarbonio.
Oltre al principio di funzionamento del deflettore elettrostatico sono riportate alcune mi-
sure fatte con un rivelatore al silicio durante l’ottimizzazione dei parametri di trasporto
del fascio.
3.2 Principio di funzionamento
I pacchetti (“bunch”) di ioni sono generati, a partire da un fascio continuo proveniente
dall’acceleratore TANDEM, per mezzo di un doppio sistema di deflessione elettrostatica
che, agendo sulle particelle, ne modifica la traiettoria. Questo consente loro di passare
35
36 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
attraverso delle fenditure, opportunamente predisposte lungo il canale, per brevi intervalli
di tempo. Il sistema di deflessione e formato da un predeflettore e da un deflettore. L’idea
e che il predeflettore generi delle finestre temporali dell’ordine del µs entro le quali al fa-
scio sia consentito procedere lungo il canale producendo1, a partire da un fascio continuo,
una prima serie di pacchetti di ioni della durata di circa 1µs. Il deflettore, che lavora in
sincrono col predeflettore, opera successivamente su questi pacchetti riducendoli a impul-
si formati da qualche particella. La molteplicita associata ad ogni impulso e variabile e
dipende principalmente dall’intensita del fascio e dall’apertura delle fenditure.
In Fig.3.1 sono illustrati in modo schematico gli elementi principali presenti sulla linea di
DEFEL. Dinamica del fascio: gli ioni, prima di entrare nel canale attraverso la fenditura
Figura 3.1: Schema dei componenti principali alloggiati sul canale di DEFEL. Oltre adeflettore e predeflettore sono presenti dei collimatori (S), aperture al tantalio (A), pompeper l’alto vuoto (V ) e elementi di diagnostica RP .
variabile S1, sono focalizzati da un doppietto di quadrupoli elettrostatici e un collimatore
(non presenti in figura). La fenditura S1, posta all’ingresso del canale, seleziona la parte
centrale del fascio (0.5 × 0.5)mm2 e ne regola l’intensita di corrente. Il fascio, dopo aver
superato un primo elemento di diagnostica2 (RP1) e il collimatore A1 (4.5 × 19)mm2
giunge al predeflettore. Il predeflettore, il cui schema elettrico e illustrato in Fig.3.2, e
formato da due armature poste a 7 mm di distanza e disposte parallelamente alla direzio-
ne del fascio (P1 e P2).
Questo dispositivo viene pilotato dall’elettronica in modo tale da avere due stati sta-
1Le frequenze di ripetizione attualmente utilizzabili sono comprese tra l’Hz e il kHz2 Gli elementi indicati con la sigla RP sono delle piattaforme rotanti equipaggiate con dei cristalli di
quarzo per il controllo della posizione e delle Faraday cup per le misure di corrente.
3.2. PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO 37
Figura 3.2: Schema elettrico del predeflettore.
zionari che corrispondono a due diversi valori delle tensioni applicate alle armature. Con
riferimento alla Fig.3.2 questi stati sono ottenuti per mezzo del mosfet Q1, che viene por-
tato in saturazione o in interdizione grazie ad una tensione all’ingresso IN rispettivamente
di 3.3 V oppure 0 V. Quando Q1 e in interdizione alle armature del predeflettore viene
applicata una differenza di potenziale di Vd = 800 V che devia le particelle del fascio dalla
traiettoria originale. Quando Q1 e in saturazione invece le armature si trovano entrambe
al potenziale di massa e la traiettoria del fascio rimane inalterata. All’uscita del prede-
flettore il fascio di ioni incontra l’apertura A2 che puo essere superata solo negli intervalli
temporali in cui le due armature del predeflettore si trovano a massa: dopo A2, saranno
presenti dei pacchetti di ioni la cui durata e tipicamente dell’ordine del microsecondo.
Proseguendo lungo il canale il fascio incontra una seconda fenditura ad apertura variabile
S2 utilizzata come antiscattering, un secondo elemento di diagnostica (RP2) e giunge
infine al collimatore A3 (4.5 × 19)mm2 posto all’ingresso del deflettore. Il collimatore
A3 ha una duplice funzione: blocca il passaggio alle particelle che potrebbero entrare nel
deflettore in zone di campo non uniforme e protegge le placchette (P1 e P2 di Fig.3.3)
dall’urto delle particelle del fascio durante le operazioni di allineamento e fuocheggia-
mento. Il deflettore, a differenza del predeflettore, lavora tra due stati stazionari tali da
deviare completamente il fascio dalla traiettoria originale (schema in Fig.3.3). Eseguendo
38 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
le stesse considerazioni svolte per il predeflettore si trova che, in entrambi i casi, il campo
elettrico prodotto e diretto perpendicolarmente alla direzione del fascio e vale ±Vd
2d. I
Figura 3.3: Schema elettrico del deflettore.
due valori del campo, questa volta di uguale modulo ed opposta direzione, fanno sı che
solo alcune delle particelle presenti all’interno del deflettore al momento della transizione
possano mantenere, in uscita dal dispositivo, traiettorie prossime a quelle originali: solo
particelle che siano state soggette per circa lo stesso tempo ai due campi opposti giunge-
ranno correttamente all’apertura variabile S3 e saranno quindi in grado di attraversarla.
Ritornando allo schema elettrico del deflettore, l’armatura inferiore e sempre mantenuta
a potenziale Vd/2 = 100V , l’armatura superiore si trova invece a potenziale Vd oppure a
massa a seconda che il mosfet Q1 sia interdetto o si trovi nello stato attivo. Nei due casi
viene quindi generato un campo elettrico uniforme e costante diretto verso l’alto o verso
il basso di 50V/mm.
Per meglio capire come lavora complessivamente il sistema di deflessione elettrostatica
sono riportati in Fig.3.4 i segnali che pilotano i terminali di ingresso di predeflettore e de-
flettore. Prima dell’inizio del ciclo l’armatura superiore del predeflettore si trova a 800V e
non permette il passaggio delle particelle che vengono fermate dall’apertura A2. All’inizio
del ciclo, applicando una tensione al terminale di ingresso del predeflettore viene permesso
il passaggio delle particelle; dopo un tempo di poco superiore a quello di transito degli
3.2. PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO 39
Figura 3.4: I canali 4 e 3, con riferimento allo schema di Fig.3.3, sono rispettivamenteall’ingresso “IN” di predeflettore e deflettore. I canali 1 e 3 sono rispettivamente le usciteindicate con “MONITOR” di predeflettore e deflettore.
ioni tra i due dispositivi viene effettuata la transizione tra i due stati del deflettore. Suc-
cessivamente vengono riportati nello stato iniziale prima il predeflettore e poi il deflettore.
Quest’ultima transizione deve avvenire, rispetto a quella del predeflettore, dopo un tempo
tale da permettere un completo svuotamento del canale del deflettore; in questo modo
si e sicuri che le particelle che superano la fenditura sono quelle dovute alla transizione
da 200 V a 0 V dell’armatura superiore del dispositivo: questa transizione viene scelta
perche e intrinsecamente piu veloce dell’altra3.
Questo sistema di deflessione basato su un dispositivo a due stadi e appartentemente mac-
chinoso e assai utile perche riduce in maniera drastica il fondo di radiazione dovuto alle
particelle che, durante gli stati stazionari del deflettore, verrebbero fermate in posizioni
3La commutazione dallo stato attivo allo stato spento del FET (transizione 0-200V delle armature)comporta la rimozione della carica dal canale del FET. Questo effetto e particolarmente evidente inFig.3.4 per il predeflettore (traccia blu) in cui si puo notare un ritardo di 400 ns dall’applicazione delsegnale in ingresso alla risposta del dispositivo.
40 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
casuali sull’ultimo tratto del canale invece che su A2. Questo accorgimento, ininfluente
nel caso di misure con carbonio, diventa molto importante quando si effettuano misure
con protoni di energia superiore a 3 MeV in cui, a causa degli urti con le pareti del canale,
e possibile generare neutroni per mezzo di reazioni p-n. Durante gli stati stazionari il de-
flettore devia le particelle verso le posizioni A e B di Fig.3.1, mentre alcune particelle gia
presenti tra le armature al momento della transizione potranno percorrere traiettorie tali
da attraversare l’apertura. Nel seguito e riportata un’analisi quantitativa che permette
di legare il numero di particelle che attraversano la fenditura con i parametri costruttivi
della linea.
3.3 Analisi sulle caratteristiche del fascio pulsato
In questo paragrafo saranno mostrate le caratteristiche degli impulsi creati con DEFEL e
come esse siano collegate ad una serie di variabili di tipo geometrico e dinamico; in parti-
colare verra mostrato come sia possibile legare il numero delle particelle che costituiscono
un pacchetto con le caratteristiche costruttive della linea. Nel seguito verranno adottate
le seguenti notazioni:
• l, lunghezza delle placchette deflettrici (∼ 60cm)
• d, distanza tra le placchette deflettrici (∼ 3mm)
• L, distanza deflettore-ultima fenditura S3 (∼ 5m)
• s, apertura dell’ultima fenditura (variabile 100µm ÷ 2mm)
• h, diametro del fascio in corrispondenza di S3
• tt, tempo di transito delle particelle all’interno del deflettore
• I, corrente di fascio
3.3. ANALISI SULLE CARATTERISTICHE DEL FASCIO PULSATO 41
• v⊥, velocita media perpendicolare rispetto alla direzione del fascio delle particelle
che attraversano l’apertura della fenditura S3.
Sara inoltre assunto che:
• il campo elettrico sia uniforme e costante all’interno del deflettore e sia diretto lungo
una direzione perpendicolare rispetto a quella di incidenza del fascio. Non vengono
inoltre considerati effetti di bordo;
• la transizione tra gli stati stazionari del deflettore sia istantanea.
In tutta l’analisi che segue verra adottato un sistema di riferimento con l’asse x orientato
lungo la direzione di incidenza del fascio e l’asse y lungo quella del campo elettrico generato
dal deflettore. In questo modo, supponendo nulla la velocita iniziale delle particelle lungo
il terzo asse coordinato, la velocita media v⊥ sara diretta esclusivamente lungo l’asse y
del sistema di riferimento. L’origine degli assi, infine, e posta nel punto in cui le particelle
entrano all’interno del deflettore.
Si consideri inizialmente, con riferimento alla Fig.3.5, che il fascio deflesso dal campo
elettrico inizi ad affacciarsi alla fenditura all’istante di tempo ti e termini di attraversarla
all’istante tf . In questo caso il numero n di ioni che riescono ad attraversare la fenditura,
chiamando IT (t) la corrente trasmessa al tempo t dalla fenditura, puo essere espresso
come:
n =1
qe
∫ tf
ti
IT (t)dt (3.3.1)
Effettuando il cambio di variabili y = v⊥t e considerando la corrente I indipendente dalla
quota lungo l’asse y si ottiene:
n =1
qe
∫ yf
yi
IT (t)
v⊥dy =
1
qev⊥
∫ yf
yi
IT (t)dy (3.3.2)
Il valore dell’integrale e sI ed e calcolato graficamente in Fig.3.6 per i due casi in cui il
diametro h del fascio sia minore dell’apertura s della fenditura (a sinistra) oppure mag-
giore (a destra). In questo calcolo si suppone che la corrente trasmessa cresca linearmente
42 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
Figura 3.5: In figura e schematizzato in giallo il profilo del fascio deflesso e in nero lafenditura S3. L’attraversamento dell’apertura inizia all’istante di tempo ti (a sinistra) etermina al tempo tf (a destra).
con la frazione di diametro di fascio che si affaccia alla feditura, resti poi costante per
tutto il tempo in cui il fascio viene trasmesso per intero ed infine cali ancora linearmente.
Il risultato dell’integrale, come si puo notare dalla figura, risulta essere per entrambi i casi
uguale a sI.
In definitiva, quindi, il numero medio delle particelle trasmesse con ogni impulso e espri-
Figura 3.6: A sinistra e riportato il valore dell’ultimo integrale della 3.3.2 nel caso incui la larghezza del fascio sia minore di quella della fenditura; a destra e invece riportatoil caso opposto. Da notare che, nel caso di destra, la corrente massima trasmessa dallafenditura risultera pari a i = I s
h.
3.3. ANALISI SULLE CARATTERISTICHE DEL FASCIO PULSATO 43
mibile come:
n =sI
qev⊥(3.3.3)
Nel prossimo paragrafo vedremo come sia possibile scrivere il parametro v⊥ in funzione
dei parametri costruttivi della linea.
3.3.1 Il moto delle particelle all’interno del deflettore
Per poter ottenere una relazione che fornisca il valore della velocita delle particelle per-
pendicolare alla direzione di incidenza del fascio, una volta che queste siano arrivate alla
fenditura finale S3, occorre integrare le equazioni di moto ed arrivare cosı ad ottenere la
legge oraria.
Per quanto e stato mostrato nei paragrafi precedenti, il campo elettrico generato tra le
armature del deflettore durante gli stati stazionari vale, in modulo, Vd
2d. Per questo motivo,
supponendo che per t = 0 avvenga la transizione tra i due stati del deflettore, il valore
del campo elettrico E da inserire nelle equazioni di moto sara:
E = −Vd
2dse t ≤ 0
E = Vd
2dse t > 0
Essenzialmente le particelle possono compiere, a seconda dell’istante t0 in cui entrano
all’interno del deflettore, due diverse tipologie di traiettorie: esse possono sperimentare per
tutta la loro permanenza nel deflettore lo stesso valore del campo elettrico oppure possono
essere presenti nel dispositivo durante la commutazione tra i due stati stazionari. La prima
tipologia di traiettoria si ha in due casi: quando le particelle entrano nel deflettore ad
un tempo t0 successivo alla transizione (t0 > 0) e quando invece escono dal dispositivo
prima che la transizione avvenga (t0 < −tt, dove tt e il tempo di transito delle particelle
nel deflettore). Analizzando adesso quest’ultimo caso (l’altro e del tutto analogo a meno
44 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
di un’inversione nel verso del campo) si ha per il moto lungo y:
may = −qeVd
2d(3.3.4)
Quindi:∫ t
t0
maydt′ = mvy(t) − mvy(t0) = −qeVd
2d(t − t0) (3.3.5)
Supponendo vy(t0) = 0, integrando nuovamente e ricordando che la quota y del fascio non
deflesso e nulla si ha:
y(t) = −qeVd
4md(t − t0)
2 (3.3.6)
Eseguendo adesso per il caso t0 > 0 l’inversione Vd → −Vd si ottengono le equazioni:
vy(t) =qeVd
2md(t − t0) y(t) =
qeVd
4md(t − t0)
2 (3.3.7)
In questi due casi, a causa dei valori del campo elettrico che viene impostato, le traiet-
torie delle particelle non sono tali da permettere il passaggio attraverso la fenditura. Le
particelle che verranno trasmesse sono invece alcune di quelle che si trovano nel deflettore
durante la transizione tra i due stati (−tf < t0 < 0) e che sperimentano quindi l’inversione
di campo elettrico. In questi casi, infatti, le equazioni di moto portano a:
vy(t) =qeVd
2md(t + t0) y(t) =
qeVd
2md(t2
2+ t0t −
t202
) (3.3.8)
Questi valori di coordinate e velocita sono limitati superiormente ed inferiormente dagli
stessi valori trovati per il primo tipo di traiettorie. Valutando adesso queste espressioni
per t = t0 + tt, ovvero l’istante in cui le particelle escono dal deflettore, si trova:
vy(t0 + tt) =qeVd
2md(tt + 2t0) y(t0 + tt) =
qeVd
2md(t20 + 2t0tt +
t2t2
) (3.3.9)
Queste particelle, una volta uscite dal deflettore, proseguiranno in linea retta fino ad
incontrare la fenditura S3. L’inclinazione γ rispetto alla direzione del fascio, ottenuta dal
3.3. ANALISI SULLE CARATTERISTICHE DEL FASCIO PULSATO 45
rapporto tra il valore della velocita lungo y e quella lungo x all’istante in cui le particelle
escono dal deflettore, sara:
tgγ =qeVd
2md(tt + 2t0)√
2Em
(3.3.10)
Il valore della coordinata y con cui le particelle arriveranno sulla fenditura e quindi
esprimibile come:
yfend = y(t0 + tt) + Ltgγ = kα + kβt0 + kt20 (3.3.11)
k =qeVd
2md(3.3.12)
α = L
√
m
2Ett +
t2t2
=m
2E(Ll +
l2
2) (3.3.13)
β = 2(L + l)
√
m
2E(3.3.14)
La velocita con cui le particelle si muovono lungo la fenditura, ottenibile direttamente da
yfend, vale:
vfend = kβ + 2kt0 (3.3.15)
Occorre adesso, per ottenere un valore della velocita media v⊥, trovare l’intervallo di valori
di t0 per cui le particelle transitano attraverso la fenditura e successivamente effettuare
una media temporale tra i relativi valori della vfend(t0). A questo scopo occorre impostare
il sistema:
kα + kβt0 + kt20 > −s+h2
kα + kβt0 + kt20 < s+h2
Risolvendo in t0 si ottengono come soluzioni:
β
2(−1 −
√
1 −4α
β2+
2(s + h)
kβ2) < t0 <
β
2(−1 −
√
1 −4α
β2−
2(s + h)
kβ2) (3.3.16)
β
2(−1 +
√
1 −4α
β2−
2(s + h)
kβ2) < t0 <
β
2(−1 +
√
1 −4α
β2+
2(s + h)
kβ2) (3.3.17)
46 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
I parametri che compaiono nelle espressioni possono essere espressi in funzione dei para-
metri costruttivi come:
4α
β2=
Ll + l2
2
(l + L)2(3.3.18)
2(s + h)
kβ2=
2E(s + h)d
qeVd(l + L)2(3.3.19)
Da notare che per avere i valori delle espressioni sotto radice sempre positivi si richiede
che:
E <qeVd
2(s + h)d(L2 + Ll +
l2
2) (3.3.20)
Questa disuguaglianza e sempre soddisfatta dato che i valori di energia che vengono im-
postati sono tali che il valore massimo della quota y raggiunta dal fascio sulla fenditura,
calcolabile impostando t0 = 0 nell’espressione di yfend, sia in modulo maggiore di s+h2
,
ovvero:
yfend(0) =qeVd
4dE(Ll +
l2
2) >
s + h
2→ E <
qeVd
2d(s + h)(Ll +
l2
2) (3.3.21)
Tornando al sistema di disequazioni, l’intervallo con valori di t0 accettabili e dato dalla
seconda delle due soluzioni, difatti utilizzando le (3.3.18) e (3.3.19) si ha che:
√
1 −Ll + l2
2
(L + l)2−
2E(s + h)d
qeVd(l + L)2> (3.3.22)
√
1 −Ll + l2
2
(L + l)2−
2(s + h)d
qeVd(l + L)2
qeVd
2d(s + h)(l2
2+ Ll) >
√
L2
(L + l)2
In questa espressione si e maggiorato inserendo al posto di E il valore massimo calcolato
con la (3.3.21). Valutando adesso il valore minimo del secondo intervallo si trova:
β
2(−1 +
√
1 −4α
β2−
2(s + h)
kβ2) >
√
m
2E(l + L)(−1 +
√
L2
(l + L)2) = −tt + cost (3.3.23)
3.3. ANALISI SULLE CARATTERISTICHE DEL FASCIO PULSATO 47
Da notare anche che il valore nell’espressione tra parentesi nella penultima espressione e
minore di zero. Allo stesso modo per l’estremo superiore:
√
1 −Ll + l2
2
(L + l)2+
2E(s + h)d
qeVd(l + L)2<
√
L2 + l2 + 2lL
(l + L)2= 1 (3.3.24)
In questa espressione una volta si e usato il valore di E calcolato con la (3.3.21).
E’ possibile adesso effettuare la media temporale della velocita perpendicolare delle par-
ticelle; per semplicita di notazione saranno chiamati ti e tf i valori limite dell’intervallo
di tempo per cui le particelle transitano attraverso la fenditura. Effettuando la media si
trova:
v⊥ =1
tf − ti
∫ tf
ti
dt0(kβ + 2kt0) = kβ + kt2f − t2itf − ti
= kβ + k(tf + ti) (3.3.25)
Inserendo infine i valori trovati risolvendo il sistema precedente si ottiene:
v⊥ =qeVd
4d
√
1
2mE(
√
L2 +l2
2+ Ll −
2E(s + h)d
qeVd
+
√
L2 +l2
2+ Ll +
2E(s + h)d
qeVd
)
(3.3.26)
Grazie a questo risultato e possibile esprimere in funzione dei parametri costruttivi il
numero delle particelle che transitano attraverso la fenditura, ovvero:
n =4dsI
√2mE
q2e2Vd(√
L2 + l2
2+ Ll − 2E(s+h)d
qeVd+
√
L2 + l2
2+ Ll + 2E(s+h)d
qeVd)
(3.3.27)
Dato che L, l e Vd sono parametri non modificabili della linea e che s ed h variano al-
l’interno di un piccolo range di valori, alle energie utilizzabili col TANDEM l’espressione
(3.3.27) puo essere ulteriormente semplificata trascurando gli ultimi termini nelle due ra-
dici al denominatore. Inserendo il valori numerici per L, l e Vd nell’espressione precedente
si ricava:
n ≈sI√
2mc2E
q2× 1.2 ∗ 105 1
A · m · eV(3.3.28)
48 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
Dove e stato moltiplicato e diviso per c2 all’interno della radice al numeratore.
Il valore di n ricavato da questa espressione, seppur formalmente corretto, non tiene
conto di fattori di scala che possono essere valutati solo a posteriori. Essi sono dovuti, ad
esempio, all’estensione finita anche lungo l’asse perpendicolare al piano xy dell’apertura
S3 oppure ad una variazione della v⊥ dovuta ad un non perfetto allineamento del fascio
con l’ultima fenditura. Resta comunque il fatto che la (3.3.28) e un buon punto di partenza
per l’impostazione dei parametri del fascio.
3.4 Messa a punto del fascio
Il Beam profile monitor, in situazioni di regime, dovra operare sulla linea di isotopi rari
del TANDEM installato al LABEC. Le tipiche condizioni di fascio che si hanno durante
le fasi di misura del radiocarbonio sono ioni 14C da 10.035 MeV con ritmi di conteg-
gio massimi dell’ordine di 50 Hz. Si e cercato quindi di ricreare un fascio con le stesse
caratteristiche: ioni carbonio sono stati estratti dalla sorgente di tipo sputtering della
linea AMS e accelerati con una tensione di terminale di 2.5 MV. Il fascio cosı ottenuto,
di energia identica al caso AMS, e stato iniettato sulla linea di DEFEL dove, operando
sull’apertura delle fenditure e sull’intensita di corrente si e cercato di creare degli impulsi
formati, almeno nella maggior parte dei casi, da una singola particella di carbonio. La
verifica dell’energia e quindi della molteplicita sono state fatte per mezzo di un rivelatore
al silicio Hamamatsu S3590 con il quale e stato possibile costruire gli spettri relativi ai
vari setup.
La catena elettronica utilizzata per acquisire i segnali provenienti dal rivelatore e formata
da un preamplificatore TENNELEC 171, un amplificatore-formatore ORTEC 572 im-
postato in guadagno unitario e tempo di formazione 1µs e un ADC Silena 7411. I dati
convertiti in digitale dal Silena 7411 sono acquisiti per mezzo di una scheda di interfaccia
che colloquia in modo asincrono sia con l’ADC che con il PC, e da programmi di gestione
che interpretano i dati forniti al computer e li presentano all’utilizzatore.
3.4. MESSA A PUNTO DEL FASCIO 49
3.4.1 Il sistema di acquisizione dati
La scheda, mostrata in Fig.3.7, e stata sviluppata e “sbrogliata” per mezzo dei pacchetti
CISTM e LAYOUTTM presenti nel software ORCADTM. Il “cuore” della scheda e un di-
spositivo CycloneII prodotto da ALTERATM che si occupa della gestione dei segnali di
interfaccia e del temporaneo immagazzinamento dei dati. I dispositivi della serie Cyclone
appartengono alla famiglia FPGA (Field Programmable Gate Array) dei dispositivi digi-
tali la cui funzionalita viene implementata via software e che possono essere programmati
un elevato numero di volte. Nel caso dei dispositivi ALTERATM il produttore mette a
Figura 3.7: La scheda del sistema di acquisizione.
disposizione QUARTUSTM , un software di sviluppo con cui vengono generati dei files
di programmazione a partire dallo schematico del circuito logico disegnato dall’utente o
da dei listati scritti in VHDL4. In generale i dispositivi appartenenti alla famiglia degli
FPGA possiedono una memoria volatile; per questo motivo sono utilizzati insieme a dei
4VHDL, acronimo di ’VHSIC Hardware Description Language’ (VHSIC a sua volta e l’acronimodi ’Very High Speed Integrated Circuits’), e uno dei linguaggi piu usati per la progettazione di sistemielettronici digitali. Esso si presenta in maniera molto simile ad un linguaggio di programmazione; ladifferenza principale e che, dovendo servire per programmare dei dispositivi hardware in cui sono presentidiversi elementi interagenti, diverse parti di codice devono poter essere eseguite contemporaneamente.
50 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
dispositivi con memoria non volatile che siano in grado di tener traccia della configura-
zione di programmazione e di ricaricarla nell’integrato ogni volta che viene acceso. Nel
circuito realizzato e utilizzato un EPCS4: una memoria di tipo flash che consente una
programmazione di tipo seriale del dispositivo. Il principio di funzionamento della scheda
Figura 3.8: Rappresentazione tramite blocchi logici del circuito.
e illustrato in Fig.3.8. Un dato, una volta convertito dall’ADC, viene presentato e man-
tenuto in ingresso alla CycloneII in parallelo su 13 bit fino a quando, con un opportuno
segnale, la CycloneII non comunica al convertitore l’avvenuta ricezione del dato5. Il valore
letto dall’ADC viene immagazzinato su una FIFO (First In First Out), creata all’interno
della CycloneII, che permette di regolare il flusso di dati tra periferiche aventi differenti
velocita. Il circuito e in grado di immagazzinare dati molto velocemente, in modo da poter
registrare eventi anche temporalmente molto vicini e successivamente inviare le “letture”
al PC. La FIFO immagazzina i dati che le vengono presentati e con essi crea una coda da
cui i dati vengono prelevati nello stesso ordine in cui sono arrivati e inviati alla seriale.
Il protocollo di trasmissione tra i vari dispositivi e il seguente: l’ADC, una volta che ha
terminato la conversione di un dato, porta lo stato di un pin (collegato al circuito), detto
di “data ready”, dal valore logico alto a quello basso. Contemporaneamente viene inibito
l’ingresso dell’ADC in modo tale che non possa essere iniziato nessun altro processo di
5Il modo in cui avviene lo scambio di dati tra questi due dispositivi verra illustrato nel prossimoparagrafo.
3.4. MESSA A PUNTO DEL FASCIO 51
Figura 3.9: Risultato della simulazione. Da notare che, rispetto a quanto esposto in questoparagrafo, nella simulazione i dati in uscita dall’ADC sono mantenuti fino al “data ready”successivo.
conversione finche il circuito non avra correttamente immagazzinato il dato. Il circuito,
una volta registrata la transizione sul pin di “data ready”, invia all’ADC la richiesta di let-
tura del dato portando al livello logico alto la tensione su un pin, detto di “data request” o
“output data enable”. L’ADC, come risposta, presenta in ingresso al circuito il valore (in
binario) che ha convertito e lo mantiene, finche non riceve, una volta terminato il processo
di immagazzinamento del dato, un segnale che indica la fine della comunicazione (“data
accepted”). Questo segnale fa sı che vengano cancellate tutte le informazioni relative alla
conversione e, contemporaneamente, permette la riabilitazione dell’ingresso dell’ADC. Il
pin di “data ready” viene quindi riportato al livello logico alto. L’ADC e quindi pronto
per una nuova conversione.
In Fig.3.9 e mostrato il risultato di una simulazione effettuata grazie al programma
QUARTUSTM. In questa figura, oltre ai segnali di Handshake, sono riportati anche diversi
altri segnali tra cui sono presenti data, il risultato della conversione dell’ADC su 13 bit,
clk 18432, il clock della CycloneII a 1.8432 MHz, e serial out, il pin di uscita dei dati in
forma seriale. In questa simulazione sono inoltre presenti un segnale di clear asincrono
52 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
collegato ad un pulsante sulla scheda (naclr), un segnale di clock a 60 MHz generato
internamente alla CyloneII ed utilizzato per le operazioni di letture-scrittura sulla FI-
FO, e due segnali, clk ser en e load che vengono utilizzati per comandare un registro a
scorrimento con cui i dati, presentati in parallelo dall’ADC, vengono scritti in maniera
seriale sul pin di uscita serial out. In particolare con il comando load viene abilitata
l’uscita del registro e con clk ser en viene abilitato il clock, ottenuto da una opportuna
demoltiplicazione di quello in ingresso, che serve per scandire la frequenza con cui i bit
vengono impressi sull’uscita seriale. Questo protocollo supporta gli ADC Silena 7411 e
7423 e potra essere riutilizzato anche nella fase di test del BPM.
I dati in uscita dalla CycloneII e diretti alla porta seriale (57.6 kbps) sono infine convertiti
dallo standard TTL (1 logico: 3.3V , 0 logico: 0V ) con cui lavora tutta la logica inserita
nell’integrato, a quello RS-232, uno degli standard utilizzato per il trasferimento seriale
(1 logico: −12V , 0 logico 12V ). Per questo motivo e stato inserito, tra l’uscita dei dati
dell’integrato e la porta seriale vera e propria, un convertitore tra questi due standard. In
Fig.3.8 e schematizzato anche un I/O esterno, attualmente non utilizzato, che permettera
di impostare i veti necessari per il controllo dell’acquisizione sulla linea di spettrometria
di massa.
I dati inviati al computer sono poi essere letti da un programma che si occupa di imma-
gazzinarli e di presentare all’utente un istogramma con il numero di eventi registrati in
funzione dell’energia delle particelle. Per questo motivo sono stati scritti due programmi
in linguaggio C ; il primo, sostanzialmente un driver, gestisce la ricezione e l’immagazzina-
mento dei dati dal circuito; il secondo utilizza questi dati per costruire istogrammi. Questi
programmi sono poi richiamati all’interno di un terzo programma che genera un’interfaccia
grafica per l’utilizzatore.
3.4.2 Le misure
Con la catena di acquisizione appena descritta sono state provate alcune configurazioni
di fascio. Ricordandosi della (3.3.28) ricavata precedentemente sono state scelti i valori
3.4. MESSA A PUNTO DEL FASCIO 53
di s e I in modo tale da avere dei valori di n dell’ordine dell’unita. In Fig.3.10 e Fig.3.11
sono riportati alcuni risultati ottenuti rispettivamente nei casi di s ∼0.3 mm e I ∼7 nA
ed s ∼0.2 mm e I ∼1 nA. Nelle figure sono riportati, accanto ai rispettivi istogrammi,
i grafici ottenuti all’oscilloscopio (contemporanei all’acquisizione) impostando un valore
infinito per la persistenza della traccia. Nel primo caso le fenditure sono ancora relati-
Figura 3.10: Risultati delle misure impostando S1 e S3 a 0.3 mm e la corrente a 7 nA.
vamente larghe e consentono quindi, in una buona parte dei casi, il passaggio di piu di
Figura 3.11: Risultati delle misure impostando S1 e S3 a 0.2 mm e la corrente a 1 nA.
una particella alla volta; nel secondo caso, invece, e stato ridotto il numero di particel-
le trasmesse stringendo le fenditure e defocalizzando il fascio alla sorgente allo scopo di
54 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
diminuire la densita lineare di ioni. Questi spettri sono stati ottenuti considerando che
i rivelatori al silicio Hamamatsu S3590 presentano in ingresso uno “spessore morto” di
SiO2 di circa 310 nm [Aki05] dove, da delle simulazioni, e stato stimato che le particelle
perdano circa 360 keV.
Vengono adesso presentati, in Fig.3.12, i risultati dei fit gaussiani relativi ai due picchi
Figura 3.12: Risultati dei fit relativi ai primi due picchi della Fig.3.10.
piu popolati dell’istogramma di Fig.3.10. Nella parte di bassa energia sono presenti delle
code molto probabilmente dovute alle particelle che entrano nel rivelatore dopo aver pre-
cedentemente urtato altri elementi, come ad esempio le fenditure.
Dalla Fig.3.13, espansione in scala logaritmica della Fig.3.10, si puo notare come la popo-
lazione dei vari picchi segua un andamento pressoche esponenziale. In realta, da un’analisi
effettuata con dei protoni [Mir07] con impulsi formati anche da qualche decina di parti-
celle, si evince piuttosto che la distribuzione della popolazione dei vari picchi segua un
andamento poissoniano. Questo risultato puo essere giustificato considerando che gli ioni
vengono estratti, sia dalla sorgente di carbonio sia da quella dei protoni, ad intervalli
di tempo che non sono precisi e regolari6: per questo motivo il numero di particelle che
entra all’interno del deflettore nell’intervallo di tempo “giusto” per essere trasmesso dalla
fenditura e, per ogni deflessione, diverso. La statistica di Poisson emerge naturalmen-
te da questo contesto considerando che il problema, dal punto di vista statistico, puo
6Chiaramente la corrente letta sugli strumenti di misura, risultato di una media temporale su un breveperiodo, rimane costante.
3.4. MESSA A PUNTO DEL FASCIO 55
Figura 3.13: Espansione in scala logaritmica lungo l’asse y della Fig.3.10.
essere riformulato in una maniera equivalente: si puo infatti considerare, a causa della
non uniformita nell’emissione temporale di particelle dalla sorgente, che, supponendo in
media costante il numero di particelle presenti nel deflettore, ogni ione possa trovarsi con
probabilita p all’interno della finestra temporale in cui le particelle vengono trasmesse.
Considerando a questo punto che il numero di particelle presenti all’interno del deflettore
e molto grande e che, in queste condizioni di lavoro, la probabilita di trasmissione e molto
piccola7, il numero di particelle trasmesse in ogni deflessione sara distribuito secondo una
distribuzione binomiale dove il numero di eventi e molto alto e la probabilita di successo
molto bassa. Puo essere dimostrato che questa distribuzione tende ad assumere la forma
di una distribuzione di Poisson nel limite in cui il numero di eventi N tenda all’infinito
come il reciproco della probabilita di successo p; il valore di aspettazione e inoltre espri-
mibile come il prodotto Np.
Le considerazioni appena svolte consentono di verificare che i valori di n calcolati inserendo
nella (3.3.28) i valori di E, s e I, pur non riproducendo i risultati osservati sperimental-
mente (si ricava infatti n ∼ 13 nel caso di S3 ∼ 0.3 mm e I ∼7 nA; n ∼ 1.3 per S3 ∼ 0.2
mm e I ∼1 nA), “scalano” correttamente con le quantita s ed I. L’assunzione che il nu-
mero di particelle trasmesse dalla fenditura sia distribuito secondo una curva poissoniana
7Gli impulsi sono costituiti, come si e visto dai grafici, da poche particelle. Considerando che perioni di carbonio 12 da 10MeV ed una corrente di fascio di 1nA sono presenti nel deflettore circa 100particelle, la probabilita di trasmissione attraverso la fenditura puo essere considerata molto piccola.
56 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL
ns (Fig3.11) ns (Fig.3.10)
2A(2)A(1)
0.089±0.002 0.784±0.008
3A(3)A(2)
0.09±0.01 0.78±0.01√
6A(3)A(1)
0.087±0.001 0.782±0.002
Tabella 3.1: Nella prima colonna e riportata l’espressione utilizzata per calcolare il valoredi n con le aree dei primi tre picchi di Fig.3.11 e Fig.3.10 e nelle colonne 2 e 3 sonoriportati i risultati ottenuti. Gli errori sono stati calcolati dalla propagazione delle formulein prima colonna attribuendo ad ogni area un errore pari alla radice del numero di conteggisul ogni picco.
consente infatti di ottenere una stima del valore sperimentale di n dalla divisione di aree
tra picchi successivi che puo essere poi confrontato con il valore predetto dalla (3.3.28).
Si ricorda infatti che, se la popolazione dei picchi in funzione della molteplicita x segue
un andamento poissoniano, i valori delle aree trovate sperimentalmente devono seguire la
relazione:
A(x) = anx
x!(3.4.29)
Dove a e un fattore che tiene conto del numero complessivo di eventi registrati.
In tabella 3.1 sono riportati i valori di n ottenuti utilizzando le aree dei primi tre picchi di
Fig.3.11 e Fig.3.10. I rapporti tra i valori di n sperimentali e di quelli teorici calcolati con
la (3.3.28), per le considerazioni svolte precedentemente, forniscono il valore del “fattore
geometrico” dovuto al posizionamento e all’estensione sul piano perpendicolare a xy della
fenditura S3. Dato che le due misure sono state effettuate senza alcuna variazione su
questi parametri, il fatto che questi due rapporti siano, in entrambi i casi, circa uguali a
0.06, mostra che la dipendenza lineare di n dai parametri s ed I ricavata teoricamente e,
almeno in prima approssimazione, corretta.
La determinazione del valore sperimentale di n consente infine di poter estrarre dalla
distribuzione poissoniana una stima del numero di deflessioni che non hanno portato al
passaggio di alcuna particella. E’ interessante notare che, in una configurazione di fascio
come quella illustrata in (3.3.28), in circa il 90% dei casi non si ha il passaggio di nessuna
particella.
Capitolo 4
La caratterizzazione del BPM
4.1 Introduzione
In questo capitolo sara descritto il visualizzatore di profilo di fascio che verra installato
sulla nuova linea di spettrometria di massa del LABEC spiegandone il principio di fun-
zionamento e le caratteristiche costruttive: meccaniche ed elettroniche. Saranno inoltre
presentate le prove di funzionamento in condizioni di fascio simili a quelle che si hanno
nelle misure di radiocarbonio.
Il visualizzatore di profilo di fascio proposto e un particolare tipo di camera a fili (Multi
Wire Proportional Chamber o MWPC), modificato per le esigenze della linea si spettro-
metria di massa con acceleratore, che permette di registrare il punto di impatto delle
particelle. L’idea di base e quella di introdurre delle linee di ritardo tra i fili della camera
in modo da misurare differenze di tempo in funzione della posizione del filo colpito.
4.2 La camera a fili
Una camera a fili e costituita, almeno nella sua versione piu semplice, da una serie di fili
(anodi) disposti parallelamente e separati da due piani conduttori detti catodi (Fig.4.1). I
fili sono usualmente tenuti a massa, mentre i piani conduttori vengono tenuti a potenziale
negativo. A sufficiente distanza dagli anodi, come mostrato nella Fig.4.2, il campo e
57
58 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
Figura 4.1: Rappresentazione schematica della sezione di una camera a fili.
approssimativamente costante ed ha una forma molto simile a quella che si trova in un
condensatore a facce piane e parallele. In prossimita degli anodi, invece, il campo generato
dal singolo filo prende il sopravvento su quello generato dai rimanenti: il campo diventa
molto piu intenso ed acquisisce una struttura di tipo radiale. L’espressione esatta del
campo elettrico e esprimibile come [Sau77]:
E(x, y) =CV0
2ǫ0s
√
1 + tg2(xπs
)tgh2(yπ
s)
tg2(xπs
) + tgh2(yπ
s)
(4.2.1)
Dove V0 e la tensione di polarizzazione e C e la capacita per unita di lunghezza, ovvero:
C =2πǫ0
Lπs− ln(2aπ
s)
(4.2.2)
La camera e riempita con del gas che, in seguito al passaggio delle particelle, viene io-
nizzato producendo coppie elettrone-ione. Le cariche cosı prodotte migrano quindi verso
il catodo (ioni) oppure verso i fili anodici (elettroni). Di particolare importanza per la
costituzione del segnale e, in questa fase, il moto elettronico.
Si puo supporre di seguire il moto di un elettrone formatosi per ionizzazione in prossimita
4.2. LA CAMERA A FILI 59
Figura 4.2: Superfici equipotenziali (in grigio) e linee di campo (in rosso) all’interno diun Multiwire Proportional Chamber.
di un catodo1 a causa dell’ingresso nel rivelatore di una particella: esso, come e possibile
calcolare dalla (4.2.1), si trovera inizialmente in una zona di campo di bassa intensita
e eseguira quindi un moto di deriva verso il filo piu vicino. Successivamente, a causa
dell’aumento dell’intensita del campo elettrico, la particella acquisira un’energia cinetica
che le permettera di creare nuove coppie elettrone-ione. Queste particelle, a loro volta
potranno innescare nuovi processi di ionizzazione dando luogo alla cosiddetta “valanga
di Townsend”. Se la tensione applicata al rivelatore e compresa all’interno di una certa
finestra di valori, il numero di coppie che vengono create grazie al processo “a valanga”
risulta proporzionale al numero di particelle create per ionizzazione primaria. Il fattore
M di proporzionalita puo essere espresso come [Sau77]
M = eαV0 (4.2.3)
Il segnale prodotto per induzione sull’anodo a seguito della creazione della valanga ha le
caratteristiche di un impulso asimmetrico: il tempo di salita, legato alla carica elettronica
prodotta dalla valanga in prossimita di un filo, e brevissimo, dell’ordine di pochi ns. Il
tempo di discesa e molto piu lungo, essendo dovuto al moto degli ioni, che possiedono
1Questa situazione e relativa, in ordine temporale, alle prime ionizzazioni dato che le particelle entranonel rivelatore attraversando una delle due finestre di ingresso.
60 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
minore mobilita ed inerzia maggiore. Il valore della coordinata di impatto della particella
sul rivelatore e quindi definito una volta che si e a conoscenza del filo su cui e avvenuta
la raccolta di carica.
Prima di procedere alla descrizione della raccolta dei segnali e bene sottolineare che, nel
loro modo usuale di funzionare, questi rivelatori non sono adatti per effettuare misure di
timing. Cio e dovuto al fatto che gli ioni, prima di iniziare a contribuire alla formazione
del segnale, devono attraversare il rivelatore fino a portarsi in prossimita dei fili. Questo
limite puo essere superato, come nel caso del visualizzatore che verra descritto nei prossimi
paragrafi, grazie all’utilizzo di pressioni molto basse del gas e di valori alti della tensione
di polarizzazione. Il questo modo la creazione “a valanga” di coppie, prerogativa della
zona vicino ai fili in condizioni normali di utilizzo, diventa possibile su tutto il volume del
rivelatore. I dispositivi che operano con questi valori di tensione e pressione presentano
in uscita dei segnali piuttosto ampi e sono in grado di fornire anche una buona risoluzione
temporale, per questo motivo sono talvolta utilizzati nelle misure di timing negli esperi-
menti di collisioni tra ioni pesanti.
4.3 Il Beam Profile Monitor
Il visualizzatore di profilo di fascio che e stato sviluppato, diretta evoluzione delle camere
a fili descritte precedentemente, e un rivelatore che permette la ricostruzione su un piano
piuttosto che su di una sola coordinata del punto di impatto sul rivelatore. Il BPM che
verra adesso descritto e basato su due camere a fili posizionate ortogonalmente una ri-
spetto all’altra che condividono lo stesso catodo centrale2. Esso consiste in due gruppi di
fili, uno perpendicolare all’altro, tra cui e posizionato un piano conduttore che funge da
catodo; in questo modo e possibile effettuare una ricostruzione sul piano xy piuttosto che
sulla sola coordinata x del punto di impatto delle particelle. Quando una particella entra
2Esso, seppur con sostanziali modifiche, e derivato dal modello sviluppato dal Gruppo di Ioni Pesantidell’INFN all’interno dell’esperimento FIASCO.
4.3. IL BEAM PROFILE MONITOR 61
Figura 4.3: Rappresentazione in sezione dello schema di un Beam Profile Monitor.
all’interno del rivelatore produce per ionizzazione una serie di coppie elettrone-ione che
verranno raccolte sia dai fili che definiscono la coordinata x che da quelli che determinano
la y. Conoscendo la coppia di fili su cui ha avuto luogo la raccolta di carica e quindi
possibile ricostruire le due coordinate dell’evento. Nel BPM realizzato ognuno dei due
gruppi di anodi si trova ad una distanza dal catodo di 3 mm, Fig.4.3, ed e costituito da
40 fili di tungsteno dorato aventi diametro di 20 µm e distanti 1 mm l’uno dall’altro.
Il gas utilizzato per la produzione delle coppie elettrone-ione e n-eptano (n-C7H16) ed e
fatto flussare nel rivelatore in maniera continua. Le due finestre esterne, che permettono
Figura 4.4: Praticolari costruttivi di un visualizzatore di profilo di fascio. A sinistra eriportata una serie di 40 fili, insieme alla linea di ritardo (b) e al foro (a) necessario ilpassaggio dell’eptano tra le due parti del rivelatore. E’ indicato con (d) uno dei due canaliattraverso cui puo essere introdotto il gas. Nella figura a destra e stato aggiunto a questosistema il catodo (c).
62 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
il contenimento del gas, e il catodo sono realizzate con fogli di Mylar di (40 × 40) mm2;
i fogli sono bialluminati e hanno uno spessore di circa 2 µm. Uno spessore di 2µm rap-
presenta un buon compromesso tra la resistenza meccanica delle finestre e la perdita di
energia causata dal loro attraversamento, che dovrebbe essere la minima possibile.
Il principio di funzionamento del BPM si basa sul creare delle differenze temporali nella
raccolta dei segnali provenienti dai vari fili per mezzo dell’introduzione di linee di ritar-
do tra di essi secondo lo schema elettrico riportato in Fig.4.5. Ogni linea di ritardo e
formata da 39 coppie induttanza-condensatore che forniscono ognuna un’impedenza ca-
ratteristica di ∼ 50 Ω ed un ritardo di 2.7 ns. Quando uno ione attraversa la camera
produce un segnale che viene raccolto da uno dei 40 fili. Il segnale viaggia verso i due
estremi della linea di ritardo giungendo infine alla catena elettronica di amplificazione.
Dal momento che il ritardo introdotto da ogni “blocco” di circuito e definito e costante,
il tempo necessario per raggiungere l’estremo destro del circuito e generalmente diverso
da quello per raggiungere quello sinistro. Grazie a questo fatto e quindi possibile ottenere
Figura 4.5: Schema della linea di ritardo che e stata costruita.
due misure indipendenti sulla posizione del filo, misurando per esempio la differenza di
tempo tra l’arrivo del segnale di catodo (che viene interpretato come l’istante iniziale) e
4.4. IL SETUP DELLA MISURA 63
la raccolta del segnale ad ognuno dei due estremi della linea. In questo modo, conoscendo
il ritardo introdotto da ogni tratto di linea, e possibile conoscere il filo dal quale proviene
il segnale semplicemente dividendo per questo valore la differenza di tempo misurata. Ai
fini di possedere un’informazione su quale sia il filo interessato basterebbe semplicemente
misurare la differenza di tempo relativa ad uno dei due estremi. Il vantaggio nel misurare
anche l’altra differenza di tempo consiste nel discriminare gli eventi realmente collegati
al passaggio di una particella da quelli che si possono generare a causa del rumore. Nel
caso di un evento “reale” la somma dei due tempi di percorrenza deve risultare uguale a
quella necessaria a percorrere l’intera linea.
Infine che esiste un altro metodo di ricostruzione delle posizioni, equivalente a quello appe-
na illustato, che non prevede l’utilizzo del segnale di catodo. E’ infatti possibile misurare
la differenza di tempo che intercorre tra l’arrivo del segnale ad un estremo della linea
e quello, opportunamente ritardato, in arrivo a quello opposto. Tipicamente il ritardo
viene scelto almeno pari al tempo di transito della linea; in questo modo si ha la sicurezza
che, indipendentemente dal punto dove viene registrato l’evento, il segnale utilizzato come
“start” preceda temporalmente quello di “stop”.
4.4 Il setup della misura
Come e stato anticipato nel capitolo precedente, i test sul BPM sono stati effettuati utiliz-
zando il canale del deflettore elettrostatico che consente di riprodurre condizioni di fascio
analoghe a quelle che si hanno nelle misure di spettrometria di massa. Durante la fase di
test si e dovuto molto spesso operare sia sull’elettronica, per modificarne i guadagni, che
sul sistema di vuoto, alternando fasi di misura a fasi di messa a punto in laboratorio. E’
stato quindi necessario realizzare un sistema di controllo dei gas che, oltre alla distribuzio-
ne dell’eptano, permettesse di poter passare rapidamente, senza danneggiare le finestre di
Mylar del BPM, dalla pressione atmosferica all’alto vuoto (10−5−10−6 mbar) e viceversa.
Il sistema di controllo dei gas e illustrato in Fig.4.6 ed e formato principalmente da un
sistema di valvole, dei misuratori di vuoto e da due gruppi di pompaggio indipendenti;
64 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
Figura 4.6: Schema del sistema di vuoto e di flussaggio dell’eptano con sistemi di misuradi alto e basso vuoto (rispettivamente HV1 e LV1-3) e di pompaggio. Le frecce indicanoil percorso seguito dall’eptano durante le fasi di misura.
il visualizzatore e rappresentato all’interno della camera posta al termine del canale del
deflettore. La valvola V 1, detta di Bypass o cortocircuito permette, una volta aperta, la
comunicazione tra la camera esterna del deflettore e il BPM consentendo lo svuotamento
del rivelatore grazie al sistema di pompaggio installato sulla camera o il rientro in aria
per mezzo delle valvole V 5 e V 3. Durante le fasi di svuotamento o rientro in aria, oltre a
V 1, viene tenuta aperta anche la valvola V 2; anche V 2 e una valvola di Bypass e mette in
ulteriore comunicazione3 le due camere del visualizzatore col duplice scopo di evitare che
si possano creare delle differenze di pressioni tra di esse (vedi Fig.4.4) rendendo piu veloci
le fasi di svuotamento e di rientro. Durante la fase di svuotamento le valvole V 3 e V 4
sono tenute chiuse isolando cosı il visualizzatore dal resto della linea. La parte della linea
3Le due camere del BPM sono gia in comunicazione attraverso un piccolo foro (Fig.4.4 dettaglio a).
4.4. IL SETUP DELLA MISURA 65
isolata da V 3 e V 4, in rosso in Fig.4.6, in viene portata in vuoto grazie ad una pompa
preliminare di tipo scroll attraverso la valvola V 7. Quando i livelli di vuoto raggiunti nelle
varie parti della linea sono buoni (∼ 10−5 mbar su HV1 e ∼ 10−2 mbar su LV3), le valvole
V 1, V 2 e V 7 vengono chiuse. Successivamente, aprendo V 6 e regolando opportunamente
V 3 e V 4 viene fatto flussare eptano all’interno del BPM secondo il percorso indicato dalle
frecce in blu di Fig.4.6. Le altre valvole, in questa fase, sono tenute chiuse.
Al termine delle misure, quando si vuole riportare in aria il sistema, e sufficiente spengere
Figura 4.7: Il BPM all’interno della camera di misura.
il sistema di pompe, riaprire le valvole di Bypass V 1 e V 2 e successivamente far rientrare
l’aria attraverso V 3 e V 5.
All’interno della camera e inoltre presente un sistema agganciato a due motori passo-passo
che permette la movimentazione del BPM lungo due direzioni cardinali. Per questo mo-
tivo la parte del circuito di flussaggio collegata al BPM e realizzata interamente con tubi
flessibili in silicone (Fig.4.7).
Questo sistema di flussaggio verra installato, senza sostanziali modifiche, anche sul nuovo
tratto di canale della linea di spettrometria di massa con acceleratore (vedi Fig.4.8).
66 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
Figura 4.8: Il sistema di flussaggio dei gas.
4.5 Segnali e descrizione della catena elettronica
La catena elettronica utilizzata, illustrata in Fig.4.9 e formata da due amplificatori, due
Constant Fraction Discriminator (CFD), un Time to Amplitude Converter (TAC) ed un
Analog to Digital Converter (ADC).
I segnali in uscita dai due lati di una delle due linee di ritardo hanno un’ampiezza correlata
Figura 4.9: Schema che riporta la catena elettronica realizzata.
alla posizione del filo su cui sono stati prodotti; in particolar modo tanto piu vicino e il filo
all’uscita tanto maggiore e l’ampiezza del segnale [Cart07]. Per questo motivo i segnali
in uscita, una volta amplificati, sono mandati in ingresso a dei CFD, dei dispositivi in
grado di fornire un segnale correlato temporalmente con l’arrivo del segnale di ingresso
4.5. SEGNALI E DESCRIZIONE DELLA CATENA ELETTRONICA 67
ed indipendente dall’ampiezza. Questi segnali vengono utilizzati per le marche di tempo
Figura 4.10: Confronto tra due marche di tempo ottenute con un CFD (a destra) oppureottenute impostando una soglia di rivelazione superata la quale viene fornita l’uscita. Icerchi indicano l’istante in cui viene fornita la marca di tempo; il CFD fornisce segnaliin uscita indipendenti dall’ampiezza degli impulsi in ingresso.
che vanno a formare i segnali di “start” e “stop”4 del TAC, il quale fornisce in uscita
un valore di tensione proporzionale alla differenza di tempo che intercorre tra l’arrivo
di questi due segnali. L’uscita di questo dispositivo e infine collegata ad un ADC che
si occupa della conversione analogico-digitale del segnale. I segnali in uscita dall’ADC
vengono infine inviati ad un PC che si occupa di immagazzinare i dati e di presentare i
risultati all’utilizzatore.
4.5.1 I circuiti di amplificazione
I segnali prodotti dal visualizzatore di profilo di fascio sono indirizzati agli amplificatori
presenti alle quattro uscite delle due linee di ritardo e al catodo.
Per poter realizzare questi amplificatori e stato necessario conoscere la forma e l’ampiezza
dei segnali in uscita dal catodo e dai fili di anodo. Per questo motivo, precedentemente
alla realizzazione degli amplificatori, sono state effettuate delle misure5 in cui sono stati
acquisiti all’oscilloscopio solamente i segnali di uscita delle linee di ritardo e del catodo.
Inoltre, per avere la conferma che i segnali fossero realmente attribuibili al passaggio delle
particelle, e stato montato dietro al visualizzatore un rivelatore al silicio6. In Fig.4.11 sono
4Il segnale di stop viene ritardato di 108 ns, la somma dei ritardi della linea. E’ stato scelto questovalore per utilizzare la dinamica del TAC con fondoscala 200 ns.
5Le impostazioni di fascio sono le stesse descritte nel capitolo 36I segnali in uscita da questo dispositivo sono amplificati e formati grazie alla stessa catena elettronica
che e stata illustrata nel terzo capitolo.
68 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
mostrati i risultati di queste misure: come si puo notare il segnale di catodo risulta essere
praticamente doppio rispetto a quello in uscita dalla linea di ritardo; cio e dovuto al fatto
che, sul catodo, sono raccolte le particelle positive ottenute dai processi moltiplicativi di
entrambe le parti del rivelatore.
I circuiti, illustrati in Fig.4.13 e 4.12 mostrano che, in entrambi i casi, l’amplificazione
Figura 4.11: I segnali non amplificati provenienti dal catodo (viola), da una delle uscitedella catena di ritardo (blu). In giallo e mostrato il segnale (amplificato) in uscita darivelatore al silicio.
e ottenuta mediante l’utilizzo di piu stadi indipendenti; questo permette di ottenere le
amplificazioni volute limitando, almeno rispetto ad un amplificatore con un solo stadio,
le perdite in banda passante7.
Nel caso del circuito di amplificazione per i fili di anodo e stato realizzato un circuito a
componenti discreti formato da due stadi Cascode successivi, il primo e formato da due
transistor npn ed opera in configurazione invertente; l’altro, formato da un pnp e un npn,
opera invece in configurazione non invertente. Un amplificatore Cascode e costituito da
uno stadio a emettitore comune (CE) seguito da uno a base comune (CB); entrambi utiliz-
7Va ricordato che, per un singolo amplificatore, il prodotto guadagno-banda passante e una costanteintrinseca del dispositivo.
4.5. SEGNALI E DESCRIZIONE DELLA CATENA ELETTRONICA 69
Figura 4.12: Il circuito di amplificazione per i segnali dei fili.
zati all’interno della regione attiva diretta. In questa configurazione entrambi i dispositivi
possono lavorare come dei generatori di corrente controllata e possono quindi essere uti-
lizzati come amplificatori. La configurazione Cascode prevede inoltre un alto valore sia
per la resistenza di ingresso che per quella di uscita dell’amplificatore. L’elevato valore
della resistenza di uscita fa sı che il guadagno dell’amplificatore sia circa pari a quello ot-
tenibile nel caso in cui si utilizzi solamente uno stadio CE. Il vantaggio di utilizzare anche
uno stadio CB sta nel fatto che esso consente un allargamento della banda passante, in
confronto all’amplificatore formato dal singono stadio CE, riducendo la capacita riportata
all’ingresso per effetto Miller.
Analizzando il circuito da sinistra si trova la resistenza R30; essa e stata inserita per
ottenere un’impedenza di ingresso complessiva di ∼ 50Ω, la stessa presentata in uscita
dal BPM. Il condensatore C10, cosı come C9 e C13, funziona da condensatore di blocco;
la sua funzione e cioe quella di isolare, per quanto riguarda i segnali in continua, la parte
di circuito che si trova a monte da quella che si trova a valle del componente. Per quanto
riguarda invece i segnali in alternata questi condensatori sono, dato il loro elevato valore
di capacita, dei cortocircuiti e permettono quindi il passaggio dei segnali.
Analizzando il primo stadio Cascode si trovano le resistenze R22 e R23 e sono utilizzate,
insieme a R21, R19 e R20, per definire la rete di polarizzazione e i punti di lavoro dei
70 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
transistor. Le resistenze R21 e R19 definiscono inoltre il guadagno dello stadio amplifi-
catore. I condensatori C11 e C12, detti di “bypass”, si comportano da rami aperti per
i segnali in continua e da cortocircuiti per quelli in alternata. La loro funzione e quindi
quella di estromettere, per quanto riguarda i segnali, le resistenze R20 e R27.
Il secondo stadio amplificatore e anch’esso di tipo Cascode ma, a differenza dell’altro, non
opera alcuna inversione del segnale. Esso e stato realizzato utilizzando un transistor pnp
in configurazione ad emettitore comune al posto un npn; il guadagno di questo stadio e
regolato infine da R28 e R29.
Al termine dei due stadi e stato infine inserito un ulteriore amplificatore (OPA 693) che
opera da buffer invertente. La sua funzione e quella di erogare una corrente tale da poter
pilotare 50Ω, ovvero il valore della resistenza di ingresso al CFD. Dalle specifiche tecniche
infatti si trova che esso puo erogare una corrente massima di 120 mA; esso possiede inoltre
una banda passante di 1400 MHz in guadagno +1 e uno slew rate pari a 2500 V/µs.
Il circuito per i segnali di catodo contiene, oltre all’elettronica necessaria per l’amplifi-
Figura 4.13: Il circuito di amplificazione per i segnali di catodo.
cazione dei segnali, anche il filtro di alta tensione per il rivelatore e un condensatore di
pickup per il segnale. A causa degli elevati valori di tensione a cui questa parte di circuito
opera essa deve essere completamente disaccoppiata, grazie al condensatore di blocco C7,
4.5. SEGNALI E DESCRIZIONE DELLA CATENA ELETTRONICA 71
da quella di amplificazione dei segnali8. La parte di amplificazione dei segnali e analoga a
quella utilizzata per i fili; le uniche differenze riguardano il fatto che questo circuito deve
amplificare dei segnali di polarita positiva e quindi il buffer invertente e stato sostituito
da uno non invertente. Inoltre, dato che i segnali di catodo hanno un’ampiezza maggiore
di quelli dei fili, e stato diminuito rispetto all’altro circuito il guadagno del secondo stadio
Cascode. In entrambi i curcuiti, infine, sono presenti due diodi indicati con D1 e D2 nel
circuito dei fili e D3 e D4 in quello di catodo. Essi sono stati inseriti per limitare gli
effetti sull’elettronica di amplificazione di eventuali scariche nel rivelatore.
In Fig.4.14 sono mostrati i segnali amplificati provenienti da tre delle quattro uscite delle
Figura 4.14: I segnali amplificati provenienti dal catodo (canale 1) dalle linee di ritardo(canali 2, 3, 4). I “ringing” sui segnali dei fili sono dovuti ad un non perfetto adattamentodegli amplificatori con la linea di ritardo.
linee di ritardo e dal catodo.
4.5.2 Il sistema di acquisizione
I dati in uscita dall’ADC sono stati acquisiti con la stessa interfaccia descritta al termine
del capitolo precedente; in questo caso, pero, sono stati scritti dei programmi con cui
8Da notare che una configurazione del genere e necessaria dato che, per questo tipo di rivelatori, ilcatodo deve essere utilizzato sia per portare in tensione il rivelatore (−560 V rispetto ai fili) che perottenere i segnali veri e propri.
72 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
vengono generati due tipi di istogramma: il primo riporta il numero di eventi registrati
su ogni filo del visualizzatore di profilo di fascio; il secondo mostra i conteggi ottenuti in
funzione del valore, in mV, letto dall’ADC. Il secondo istogramma, inoltre, effettua un
ridimensionamento in tempo reale della finestra di visualizzazione dati; in altre parole il
programma individua il massimo e il minimo valore di tensione su cui sono stati registrati
eventi ed adatta di conseguenza le dimensioni della finestra di visualizzazione. In questo
modo e possibile apprezzare i dettagli della distribuzione degli eventi, soprattutto quando
questi sono distribuiti su una piccola finestra di valori. Dato che questi programmi sono
stati scritti per essere utilizzati come “strumenti di diagnostica in tempo reale”, e stato
deciso di incorporare in essi una funzione che permetta, a scelta dell’utente, di memoriz-
zare e visualizzare solamente gli ultimi N eventi arrivati. In questo modo, chiamando ad
esempio M il numero massimo di eventi impostati, alla registrazione dell’evento M + 1
viene automaticamente rimosso dal grafico il dato 1, e cosı via per i successivi. Inoltre,
nel caso di fasci estremamente deboli il refresh della grafica puo essere sincronizzato sul
singolo evento.
4.6 La caratterizzazione del rivelatore
Sono di seguito riportati i risultati delle prove effettuate con il fascio pulsato di DEFEL
per determinare il valore della risoluzione spaziale lungo i due assi su cui sono disposti i
fili del visualizzatore. Viene successivamente data una stima del valore dello spessore dei
fogli di Mylar che formano le due finestre e il catodo.
4.6.1 La risoluzione spaziale del rivelatore
Per determinare i valori di risoluzione spaziale del rivelatore sono stati acquisiti degli spet-
tri illuminando il visualizzatore con singoli ioni ottenuti dalla deflessione del fascio di 12C .
In queste misure l’apertura della fenditura finale di DEFEL, indicata con S3 nel capitolo
precedente, e stata impostata a ∼0.2 mm lungo la direzione della deflessione e a ∼1 mm
lungo quella perpendicolare; questo ha permesso il passaggio nella maggior parte dei casi
4.6. LA CARATTERIZZAZIONE DEL RIVELATORE 73
di una singola particella. I risultati, mostrati in Fig.4.15, sono stati ottenuti spostando il
rivelatore a passi di ∼0.25 mm separatamente lungo i due assi coordinati9.
Figura 4.15: I risultati per i fili disposti parallelamente (a sinistra) o perpendicolarmente(a destra) alla direzione di deflessione.
Ciascun picco ha un contenuto di circa 10000 conteggi; su ognuno di essi e stato eseguito
un fit gaussiano e il valore dalla larghezza a meta altezza (FWHM) e riportato in figura.
Come si puo notare dalle figure, il valore ottenuto dal grafico a destra e molto simile a
quello impostato per l’apertura di S3. Questo fatto suggerisce che il valore di ∼0.2 mm
della FWHM debba essere interpretato piu come un limite superiore dovuto al minimo
valore impostabile per l’apertura piuttosto che come una stima effettiva del potere riso-
lutivo del rivelatore. La conferma e data dal fatto che, ruotando di 90 il rivelatore, i
risultati ottenuti per le due risoluzioni sono praticamente “scambiati”. Quest’ultima ana-
lisi potrebbe essere effettuata semplicemente restringendo la fenditura S3 e portandola
a (0.2×0.2)mm2; in questo modo, pero, la grande maggioranza dei “pacchetti” trasmessi
(oltre il 99%) sarebbe risultata vuota. Come visto nel capitolo 3, il numero medio di
eventi atteso dipende linearmente dalla corrente del fascio. Il fascio, durante il trasporto
sul canale, attraversa una serie di collimatori e fenditure, poste a metri di distanza le
une dalle altre, su un percorso complessivo di oltre 10 m. Nelle fasi operative, l’apertura
delle fenditure e tipicamente dell’ordine del mm o sua frazione ed essendo completamente
mobili, cioe composte da 4 slitte indipendenti, e praticamente impossibile che si vengano
a trovare in posizione perfettamente centrata rispetto al cammino ottico del fascio; o me-
9La movimentazione del visualizzatore e stata effettuata grazie a due motori montati all’interno dellacamera e pilotabili da remoto grazie ad un software dedicato.
74 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
glio, e molto improbabile attraversarle tutte col “nocciolo” del fascio. Questa situazione
crea due tipi di problemi: il primo e che la corrente effettiva in arrivo su S3 sia minore di
quella registrata dall’ultima faraday cup, il secondo e che la corrente puo essere soggetta
a fluttuazioni temporali, anche non piccole, dipendenti da variazioni dei campi elettrici e
magnetici che il fascio incontra lungo il suo cammino. Anche impostando la frequenza di
deflessione a ∼1 kHz si acquisirebbe un numero ragionevole di eventi solo in tempi molto
lunghi. Inoltre, la frequenza di deflessione non puo essere aumentata in maniera indiscri-
minata in quanto aumenterebbe la dissipazione sulle resistenze di carica del deflettore e
predeflettore (Fig.3.3 e Fig.3.2); nella configurazione utilizzata in misura, alla frequenza
di 1 kHz e con tempi ricavabili dalla Fig.3.4, la potenza dissipata sulla resistenza del
predeflettore e gia di circa 4.7 W.
Tornando alla Fig.4.15 si nota che e possibile avere dei picchi anche nello spazio compre-
so tra due fili. E’ possibile infatti che, facendo incidere una particella sul rivelatore, la
raccolta di carica sia ripartita su piu fili invece che localizzata su uno solo. I segnali in
uscita dagli amplificatori sono la somma dei contributi dati dai singoli fili: questi sono
dipendenti dalla quantita di carica rilasciata su ciascuno di essi e sfasati tra loro di 2.7
ns. Quindi, a seconda di come si ripartisce la carica, puo variare sensibilmente il tempo
necessario a superare la soglia del CFD facendo sı che diventi possibile ottenere una sen-
sibilita agli spostamenti inferiore della distanza tra i fili. In Tab.4.1 sono riportati i valori
degli spostamenti “nominali” effettuati con i motori e i valori effettivamente misurati dalle
differenze tra i centroidi dei picchi della Fig.4.15. Il fatto che i centroidi dei picchi non
Spostamento nominale (mm) ∆ (mm) ∆ (mm)0.25 0.22 0.240.50 0.44 0.490.75 0.67 0.67
Tabella 4.1: Nella prima colonna sono riportati gli spostamenti nominali effettuati con ilsistema di movimentazione, nelle altre due colonne gli spostamenti “registrati” ottenutidalle differenze tra i centroidi dei picchi della Fig.4.15 a sinistra (colonna 2) e a destra(colonna 3) rispetto al picco piu a sinistra.
siano equispaziati, cosı come il fatto che i valori delle FWHM dei picchi di Fig.4.15 siano
4.6. LA CARATTERIZZAZIONE DEL RIVELATORE 75
diversi fra loro potrebbe essere indicativo di effetti di campo elettrico intenso presente in
prossimita dei fili.
Questi effetti sono ancora in fase di studio. E’ tuttavia importante sottolineare che questi
effetti sono del tutto ininfluenti per quanto riguarda l’utilizzo del BPM sulla linea AMS;
per dare un’idea i BPM commerciali, ad esempio NEC82, hanno risoluzioni dell’ordine
del millimetro con correnti minime superiori al nA.
In Fig.4.16 e mostrato il risultato di una scansione lineare effettuata spostandosi lungo
Figura 4.16: Risultati della misura per i fili disposti lungo un asse coordinato.
uno dei due assi a passo costante. Come si puo notare da questa figura, gli estremi del
visualizzatore (composti da circa 5 fili per parte) non sono stati analizzati. Questo e
dovuto principalmente al fatto che, in questi casi, una delle due parti in cui si divide il
segnale in uscita da un filo deve percorrere praticamente l’intera linea di ritardo venendo
cosı attenuato. La sua ampiezza diventa, in questo modo, minore del valore impostato
come soglia di discriminazione dal rumore del CFD. Queste zone del rivelatore, inoltre,
non vengono mai utilizzate nella pratica a causa del fatto che presentano dei valori di
campo elettrico che si discostano, a causa di effetti di bordo, dal valore calcolato con la
76 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
(4.2.1).
4.6.2 La verifica degli spessori delle finestre di Mylar
Queste misure sono state effettuate per verificare se lo spessore dei fogli di Mylar e compa-
tibile con quello dichiarato dal costruttore. Questo valore e stato determinato misurando
l’energia degli ioni con un rivelatore al silicio in due diverse configurazioni:
• Silicio: in questo caso i pacchetti di particelle vengono intercettati direttamente dal
rivelatore al silicio;
• Silicio+BPM: viene misurata, in questo caso, l’energia residua posseduta dalle par-
ticelle a cui e stato preventivamente fatto attraversare il visualizzatore. All’interno
del BPM, in questo caso, non e stato fatto flussare eptano e quindi la perdita di
energia, rispetto al caso precedente, e maggiore solo a causa dei tre fogli di Mylar
che formano le finestre di ingresso, uscita e il catodo. Infine, al solo scopo di cono-
scere la perdita di energia dovuta all’attraversamento dello strato di eptano, e stato
acquisito uno spettro di energia facendo flussare dell’eptano all’interno del BPM.
Le due valvole che regolano il flusso, in questo caso, sono state regolate in modo da
raggiungere la pressione di 4.20 mbar all’interno del visualizzatore.
La stima degli spessori e stata ottenuta, partendo dai risultati delle misure appena de-
scritte, cercando di ricreare con delle simulazioni le perdite di energia ottenute sperimen-
talmente. In particolare queste sono state effettuate utilizzando un programma, SRIM,
con cui e possibile simulare l’attraversamento di strati di spessore noto di vari materiali
da parte di particelle. Questo programma, inoltre, fornisce in uscita i valori dell’energia
posseduta dalle particelle trasmesse. Va inoltre sottolineato che, a causa del fatto che il
costruttore dichiara per i fogli di Mylar una densita compresa tra 1.3 g/cm3 e 1.4 g/cm3,
e possibile estrarre da queste simulazioni solamente un limite superiore ed uno inferiore
per i valori dello spessore.
I risultati delle misure sono riportati in sovrapposizione in Fig.4.17. La calibrazione
4.6. LA CARATTERIZZAZIONE DEL RIVELATORE 77
Figura 4.17: Risultati delle misure effettuate per la determinazione dello spessore dei foglidi Mylar.
Figura 4.18: Sovrapposizione del picco misurato sperimentalmente (in verde) e della simu-lazione effettuata con un valore della densita di 1.3 g/cm3 e dello spessore di Mylar di 2µm per finestra (in blu). La differenza tra la larghezza del picco simulato e quello misuratoe dovuta sia al contributo di tutta la catena elettronica sia al fatto che le particelle nonentrano nel rivelatore tutte con lo stesso angolo di incidenza.
in energia e stata effettuata, come nel capitolo 3, utilizzando un valore per lo spessore
morto del rivelatore al silicio di circa 310 nm. Nella figura e riportato in rosso lo spettro
di energia nel caso in cui si ha perdita di energia nel solo spessore morto del rivelatore al
78 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
silicio, in verde quello in cui si e aggiunto il BPM ed infine in blu il caso in cui e stato fatto
flussare anche l’eptano. Dai risultati delle simulazioni, di cui un esempio e riportato in
Fig.4.17, e stato ricavato che il valore dello spessore dei singoli fogli di Mylar e compreso10
tra 1.8 µm e 2 µm. Questo risultato risulta essere consistente con quello dichiarato dal
costruttore di (2.0 ± 0.2) µm.
E’ interessante notare che, nei due spettri relativi alle configurazioni dove e inserito il
Figura 4.19: Ingrandimento della Fig.4.17.
BPM di Fig.4.17 sono presenti, oltre ai picchi principali, anche degli eventi ad energia leg-
germente inferiore; essi risultano ancora piu evidenti dall’ingrandimento di Fig.4.19 dove
si distingue un picco molto allargato intorno ai 2000 keV. Essi sono dovuti alle particelle
che hanno perso energia nell’urto con uno dei fili del visualizzatore di profilo di fascio
prima di entrare nel rivelatore al silicio.
10Questo valore non viene riportato nell’usuale notazione con valor medio ed errore perche, a causadell’incertezza con cui il costruttore fornisce la densita, e possibile estrarre dalle simulazioni solo un valoremassimo ed uno minimo per lo spessore.
4.7. I PARAMETRI DEL VISUALIZZATORE 79
4.7 I parametri del visualizzatore
Viene riportata in questo paragrafo una tabella riassuntiva contenente tutti i valori dei
parametri caratteristici del visualizzatore di profilo. In conclusione questi test hanno
permesso di determinare che questo dispositivo puo essere utilizzato, grazie al suo alto
potere di discriminazione, come visualizzatore di profilo di fascio sul nuovo canale di alta
energia della linea di spettrometria di massa con acceleratore.
Valore Min Tipico MaxTensione di esercizio -540 V -560 V -600 VPressione di esercizio 4.00 mbar 4.15 mbar 4.40 mbarSpessore del Mylar 1.8 µm × 2.0 µmRisoluzione spaziale <=0.2 mm × ×
Conclusioni e prospettive
Il lavoro che e stato presentato in questa tesi si inquadra all’interno del progetto MARA-
SMA condotto dal gruppo V dell’INFN, che portera entro l’anno delle modifiche sostanziali
per quanto riguarda la parte di alta energia della linea AMS. E’ stato progettato, infatti,
di modificare questo tratto di canale per inserirvi degli ulteriori elementi di discriminazio-
ne e diagnostica: un visualizzatore di profilo di fascio, un sistema discriminatore di tempo
di volo ed un rivelatore al silicio. Questi dispositivi verranno utilizzati per identificare
ed eliminare quelle interferenze che, nelle misure di radiocarbonio, sono ancora presenti
al termine della parte di alta energia e che di fatto limitano la precisione delle misure di
background dell’acceleratore.
Il lavoro si e concentrato sulla realizzazione dei test di funzionamento sul visualizzatore di
profilo di fascio; in particolare nella progettazione e nella realizzazione della parte hard-
ware e software legata all’acquisizione e all’immagazzinamento dei segnali generati dal
Beam Profile Monitor. E’ stata inoltre attrezzata la linea IBA di DEFEL con l’hardware
necessario per poter effettuare test (sistemi di flussaggio gas, elettronica e software di ac-
quisizione). Un fascio di ioni carbonio e stato canalizzato su questa linea e ha consentito
di ricreare con successo le condizioni tipiche di una misura di radiocarbonio in cui i valori
di corrente sono quelli relativi al passaggio di circa 50 particelle al secondo.
Con questo fascio e stato illuminato il Beam Profile Monitor su posizioni diverse; la ri-
soluzione ottenuta per il visualizzatore e risultata essere almeno dell’ordine del minimo
valore del diametro che e stato possibile impostare per il fascio di particelle (∼0.2 mm).
Questo valore, che molto probabilmente rappresenta solamente un limite superiore per la
risoluzione, consente gia di affermare che questo dispositivo soddisfa pienamente tutti i
81
82 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM
requisiti richiesti per essere utilizzato come visualizzatore di profilo di fascio al termine
del canale di alta energia della linea AMS di radiocarbonio.
Sono previsti inoltre nuovi test sul visualizzatore per verificare le sue prestazioni anche
con fasci di 127I in cui lo spessore della finestra di ingresso in Mylar (∼2 µm) del BPM
potrebbe essere tale da degradarne le sue prestazioni. Questi ulteriori test risultano utili
perche, entro pochi mesi, sulla linea AMS del LABEC sara possibile iniziare ad effettuare
misure con 127I (isotopo stabile) e 129I (isotopo raro) in campioni di natura idrologica per
il monitoraggio delle scorie di fissione provenienti dalle centrali nucleari.
Appendice A
Il protocollo di trasmissione seriale
Sara adesso descritto brevemente il modo in cui avviene una comunicazione tramite porta
seriale tra dispositivi digitali facendo riferimento agli standard di un particolare protocollo
di trasmissione detto RS−232. Questo standard, presente ormai su moltissimi PC, utilizza
un protocollo seriale, asincrono, non bilanciato e con collegamenti di tipo “point-to-point”.
Viene adesso illustrato il significato di questi termini:
• Seriale: i dati vengono tramessi in maniera sequenziale su di un solo filo.
• Asincrono: i dati vengono trasmessi senza inviare un segnale di clock che sincronizzi
le operazioni effettuate dal dispositivo che trasmette e da quello che riceve, chiara-
mente sia il trasmettitore che il ricevitore devono sia conoscere la frequenza con cui
i dati vengono scritti sulla seriale sia disporre di un proprio clock con cui effettuare
tutte le operazioni.
• Non bilanciato: la trasmissione di un segnale di questo tipo e caratterizzata dal
fatto che il valore di tensione relativo ad ogni bit tramesso e misurato rispetto ad
un riferimento, detto massa, che puo essere positivo o negativo[Viv].
• Point-to-point : in questi tipologie di trasmissione il segnale viene inviato da un
trasmettitore ad un solo ricevitore.
83
84 APPENDICE A. IL PROTOCOLLO DI TRASMISSIONE SERIALE
E’ evidente inoltre la necessita di disporre di un parametro che in qualche modo definisca
le “prestazioni” della trasmissione ed in particolare la sua velocita ; a questo scopo la
quantita che viene definita e il cosiddetto baud rate, ovvero il numero di transizioni al
secondo che avvengono sulla linea. Esso coincide numericamente, almeno nel caso del
protocollo RS − 232, che si basa solo su due livelli logici, con il numero di bit che vengo-
no trasmessi ogni secondo sulla linea (bps). Nel caso di transizioni a piu livelli e invece
possibile trasmettere con una sola transizione piu bit ottenendo un baud rate minore a
parita di bit trasmessi1. Lo standard originale prevede una velocita di trasmissione fino
a 20Kbps. Uno standard successivo (RS-562) ha portato il limite a 64Kbps lasciando gli
altri parametri elettrici praticamente invariati e rendendo quindi i due standard compa-
tibili a bassa velocita. Nei normali PC le cosiddette interfacce seriali RS-232 arrivano in
genere almeno a 115Kbps, 230Kbps o anche piu: pur essendo tali valori formalmente al
di fuori di ogni standard ufficiale non si hanno particolari problemi di interconnessione.
Inoltre, dato che le funzioni di invio e ricezione di dati da parte di un dispositivo avvengo-
no su due fili separati l’interfaccia seriale permette di operare sia in modalita Half-duplex
dove la trasmissione e bidirezionale ma non contemporanea nei due versi sia in modalita
Full-duplex dove invece la trasmissione puo invece avvenire contemporaneamente sui due
fili.
La codifica dei segnali nello standard seriale viene effettuata, come gia anticipato, uti-
lizzando due livelli logici corrispondenti ai valori di tensione ±12V . In particolare un
segnale di +12V , detto di “Space”, viene interpretato come un livello logico basso, men-
tre un segnale di −12V , detto di “Mark” come un livello logico alto. Come si puo notare
Figura A.1: Un esempio di trasmissione dati tramite porta seriale.
1Ad esempio il protocollo PAM5 sono utilizzati cinque livelli, −2 −1 0 1 2, di cui quattro sono utilizzateper la codifica dei dati ed ognuno di essi rappresenta due bit.
85
il protocollo di trasmissione funziona su un tipo di logica “ribaltata” rispetto a quella
usuale e viene chiamata “logica negativa”. Dato che i dispositivi logici programmabili che
montano i nostri circuiti funzionano con la normale logica TTL (valore logico alto di 3.3V
e basso do 0V ) abbiamo inserito dei dispositivi di interfaccia tra la logica TTL standard
e quella negativa precedentemente esposta. In Fig.A si puo vedere una rappresentazione
ideale di come apparirebbe il segnale binario 00110000 se si disponesse di una trasmissione
seriale di 9600bps. Come si puo notare i bit vengono inviati in sequenza in pacchetti da 8
bit2 partendo dal meno significativo e facendo precedere al primo bit del dato un segnale
di start di +12V che viene introdotto per indicare l’inizio della trasmissione del dato ed
un bit di stop settato a −12V per segnalare la fine del pacchetto. Tra un bit di stop ed
il successivo start deve inoltre seguire almeno il tempo necessario per il trasferimento di
un bit (in alcuni casi questo tempo viene aumentato fino a 1.5 oppure 2 bit). Talvolta
viene infine inserito anche un bit ulteriore, detto bit di parita che viene utilizzato per
controllare se il dato trasmesso e stato ricevuto correttamente. Esistono diversi tipi di
parita:
• Nessuno: nessun tipo di bit di parita
• Dispari : il numero di bit “Mark” del pacchetto incluso il bit di parita deve essere
dispari
• Pari : il numero di bit “Mark” del pacchetto incluso il bit di parita deve essere pari
L’idea e quella di predeterminare la quantita di “Mark” e di Space da trasmettere, facendo
in modo che il loro numero sia sempre pari (o dispari, a secondo della scelta che si vuole
fare): cosı facendo, se durante la trasmissione dovesse accadere un errore su un singolo
bit, il ricevitore sarebbe in grado di rilevare l’errore, ma non di correggerlo. Si tratta
ovviamente di un protocollo di controllo degli errori elementare e di conseguenza in disuso
2Da notare che questo non e uno standard dato che e possibile anche trasmettere pacchetti da 7 o 9bit. In generale i vari tipi di trasmissione vengono indicati con delle sigle ad esempio 8n1,9e2; il primonumero indica il numero di bit trasmessi in ogni pacchetto, la lettera indica il tipo di parita (illustrata nelseguito) e il secondo numero indica il numero di bit di stop presenti alla fine del pacchetto (anche questipossono essere piu di uno.
86 APPENDICE A. IL PROTOCOLLO DI TRASMISSIONE SERIALE
a favore di altri sistemi basati su codici a ridondanza ciclica (CRC) o altri algoritmi piu
complessi.
Nel sistema di acquisizione che e stato analizzato nella tesi e stata utilizzata una velocita
di connessione di 57.6 kbps. E’ stato inoltre scelto di inviare, prima della trasmissione di
ogni dato al PC, un pacchetto di 8 bit contenente un valore alfanumerico. Questa scelta
e dovuta al fatto che, se fossero stati acquisiti contemporaneamente i segnali dalle serie
di fili del BPM, sarebbe servito un segnale che permettesse di identificare facilmente i
dati provenienti dalle due linee. Questo sarebbe potuto essere effettuato semplicemente
utilizzando due valori alfanumerici diversi per i segnali provenienti dalle due linee di
ritardo.
Il sistema di acquisizione, cosı come la trasmissione dei dati su seriale, e stato testato fino
ad un massimo rate di 1 kHz, 20 volte superiore al massimo ottenibile in una misura di
radiocarbonio.
Appendice B
Listati
Vengono riportati in questa appendice i listati dei due programmi con cui vengono gestiti
ed elaborati i dati ricevuti dall’ADC. Di questi uno ha la funzione di “server” ed imma-
gazzina i dati che vengono scritti sulla porta seriale su delle locazioni di memoria che sono
comuni all’altro programma il quale, funzionando da “client”, si occupa di costruire, con
i dati letti dal server, dei grafici grazie al programma Gnuplot.
Vengono riportati solo una volta i files di libreria da includere dato che sono comuni ad
entrambi i programmi. Essi devono essere inseriti all’inizio del programma grazie all’i-
struzione #include < nome libreria > e sono: stdio.h, sys/types.h, sys/ipc.h, sys/shm.h,
stdlib.h, time.h, string.h, unistd.h, fcntl.h, time.h, stdint.h, inttypes.h, sys/file.h, sys/ti-
me.h, signal.h.
I listati scritti per generare le interfacce grafiche, non riportati in questa appendice, sono
stati realizzati grazie ad un programma scritto in C che utilizza delle funzioni dette di
“callback”. Esse agiscono in maniera tale da collegare ogni evento che avviene sull’inter-
faccia (ad esempio la pressione di un tasto) con una specifica sequenza di comandi presenti
nel listato. Le finestre che costituiscono l’interfaccia sono disegnate grazie al programma
Glade.
Il Server
1 #define NMAXX 100001
87
88 APPENDICE B. LISTATI
#define SHMSZ 33000
3 #define waitsample 500000
#define i e v s t o p 2000000
5 #define SHMSZ2 33000
7 void te rminat i on ( int ) ;
9 struct te rmios o l d t i o , newtio ;
struct s i g a c t i o n s i g a c t ;
11 int fddx ,∗ shm ;
int NMAX=NMAXX;
13 int ∗ s ,∗ shm2 ;
f loat delay ,wb ;
15 FILE ∗wirebin ,∗Nmass ;
int main ( )
17
int data A0 , data A1 , answer [ 2 ] , d=0, i ev ;
19 f loat data A2 ;
f loat h , t imede l ;
21 int shmid , j , n , aux [NMAXX] ;
key t key ;
23 FILE ∗ f p i d ;
int shmid2 ;
25 key t key2 ;
int h2 , aux2 [NMAXX] ;
27 int ∗ s2 , k ;
29 wi r eb in=fopen ( ” w i r e b i n ” , ” r ” ) ; /∗ # di i n t e r v a l l i in cu i e ’ d i v i s o un f i l o ∗/
f s c a n f ( wirebin , ”%f ” ,&wb) ;
31 p r i n t f ( ”wb : %f \n” ,wb) ;
33 Nmass=fopen ( ”NMAX” , ” r ” ) ; /∗ # max di e v en t i da r e g i s t r a r e ∗/
f s c a n f (Nmass , ”%d”,&NMAX) ;
35 NMAX=NMAX+1;
p r i n t f ( ”Nmass : %d\n” ,NMAX) ;
37
s i g a c t . sa hand l er=terminat i on ; /∗ Gestione s e g n a l i da t a s t i e r a ∗/
39 s i gemptyset(& s i g a c t . sa mask ) ;
s i g a c t . s a f l a g s =0;
41 s i g a c t i o n (SIGTERM,& s i gac t ,NULL) ;
s i g a c t i o n (SIGINT,& s i ga c t ,NULL) ;
43 s i g a c t i o n (SIGQUIT,& s i ga c t ,NULL) ;
89
45 f p i d=fopen ( ” getp id ” , ”w+” ) ; /∗ Sc r i t t u ra pid per k i l l da i n t e r f a c c i a ∗/
f p r i n t f ( fp id , ”%d\n” , getp id ( ) ) ;
47 f c l o s e ( f p i d ) ;
49 key =5022; /∗Memoria condiv i sa co l c l i e n t ∗/
for ( j =0; j<NMAXX; j++) aux [ j ]=0; /∗ g r a f i c o f i l i ∗/
51 i f ( ( shmid=shmget ( key ,SHMSZ,IPC CREAT | 0666) ) <0)
per ror ( ”shmget” ) ; return 0 ;
53 i f ( ( shm=shmat ( shmid ,NULL, 0 ) )==(int ∗)−1)
per ror ( ”shmat” ) ; return 0 ;
55 key2=5021; /∗Memoria condiv i sa co l c l i e n t ∗/
for ( j =0; j<NMAXX; j++) aux2 [ j ]=0; /∗ g r a f i c o mV∗/
57 i f ( ( shmid2=shmget ( key2 ,SHMSZ2, IPC CREAT | 0666) ) <0)
per ror ( ”shmget2 ” ) ; return 0 ;
59 i f ( ( shm2=shmat ( shmid2 ,NULL, 0 ) )==(int ∗)−1)
per ror ( ”shmat2 ” ) ; return 0 ;
61
fddx = open ( ”/dev/ ttyS0” , ORDWR | O NOCTTY | O NDELAY) ;
63 i f ( fddx <0)
65 per ror ( ” open port : unable to open /dev/ ttyS0 − ” ) ;
e x i t (0) ;
67
else p r i n t f ( ” port ttyS0 opened \n” ) ;
69
t c g e t a t t r ( fddx ,& o l d t i o ) ; /∗ Se t t i n g s porta s e r i a l e ∗/
71 c f s e t i s p e e d (&newtio , B57600 ) ;
c f s e t o speed (&newtio , B57600 ) ;
73 newtio . c c f l a g &= ˜PARENB; // No par i t a
newtio . c c f l a g &= ˜CSTOPB; // Uno s top b i t
75 newtio . c c f l a g &= ˜CSIZE ; // No mask
newtio . c c f l a g |= CS8 ; // 8 b i t
77 newtio . c c f l a g |= (CLOCAL | CREAD) ;
newtio . c c c [VMIN]=0;
79 newtio . c c c [VTIME]=10;
t c f l u s h ( fddx , TCIFLUSH) ;
81 t c s e t a t t r ( fddx , TCSANOW, &newtio ) ;
p r i n t f ( ”\n i n i z i a l i z a t i o n complete \n\n” ) ;
83 t imede l =0.5;
85 p r i n t f ( ”\n\n∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n ACQUISITION STARTED \n
∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n\n” ) ;
90 APPENDICE B. LISTATI
87 s=shm ;
∗( shm+8230)=wb ;
89 for ( j =0; j <=(40∗wb) ; j++) ∗( s+j +1)=0;
s2=shm2 ;
91 for ( j =0; j <8192; j++) ∗( s2+j ) =0;
93 for ( i ev =0; i ev<i e v s t o p ; i ev++) /∗ I n i z i o c i c l o ac qu i s i z i one ∗/
95 while ( d != 25 ) n=read ( fddx ,&d , 1 ) ; /∗Let tura da s e r i a l e ∗/
n=read ( fddx , answer , 1 ) ;
97 n=read ( fddx , answer +1 ,1) ;
data A0=answer [ 0 ] ;
99 data A1=answer [ 1 ] ;
data A2=data A1∗256+data A0 ;
101 p r i n t f ( ” event number : \ t%d\n” , i ev ) ;
p r i n t f ( ” byte 1 :\ t%d\n” , answer [ 0 ] ) ;
103 p r i n t f ( ” byte 2 :\ t%d\n” , answer [ 1 ] ) ;
p r i n t f ( ”data :\ t%f \n\n” , data A2 ) ;
105
s=shm ;
107 h=(1.0∗data A2 ) /8000∗39+1.0; /∗Conversione cana l i− f i l i ∗/
i f ( ( h>=1)&&(h<=40))
109
for ( j=wb ; j <=(40∗wb) ; j++) /∗ Immagazzinamento da t i g r a f i c o f i l i ∗/
111
i f ( ( ( h )>=(j /wb) )&&((h ) <(( j +1)/wb) ) )
113
∗( s+j +1)=∗( s+j +1)+1;break ;
115
aux [ ( i ev )%(NMAX) ]= j ; /∗Eliminazione da t i dopo NMAX even t i ∗/
117 i f ( i ev >=(NMAX−1) ) ∗( s+aux [ ( i ev+1)%(NMAX) ]+1)=∗( s+aux [ ( i ev+1)%(NMAX) ]+1) −1;
119 s2=shm2 ;
h2=data A2 ; /∗Graf ico mV∗/
121 i f ( i ev==0)∗( s2+8248)=h2 ; ∗ ( s2+8247)=h2 ;
i f ( i ev >=1)
123 /∗Determinazione estremi f i n e s t r a d i v i s u a l i z z a z i on e ∗/
i f ( h2>∗( s2+8248) ) ∗( s2+8248)=h2 ;
125 i f ( h2<∗( s2+8247) ) ∗( s2+8247)=h2 ;
127 ∗( s2+h2 )=∗( s2+h2 )+1; /∗ Immagazzinamento da t i g r a f i c o mV∗/
aux2 [ ( i ev )%(NMAX) ]=h2 ;
129 i f ( i ev >=(NMAX−1) ) /∗Eliminazione da t i e aggiornamento estremi ∗/
91
/∗ d e l l a f i n e s t r a d i v i s u a l i z z a z i o n e ∗/
131 ∗( s2+aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] ) =∗( s2+aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] ) −1;
i f (∗ ( s2+aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] )==0) /∗Aggiornamento ∗/
133 /∗ estremo sx ∗/
i f ( aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ]==∗( s2+8248) )
135
for (k=aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] ; k>=0;k−−)
137
i f (∗ ( s2+k )>0) ∗( s2+8248)=k ; break ;
139
141 i f (∗ ( s2+aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] )==0) /∗Aggiornamento ∗/
/∗ estremo dx∗/
143 i f ( aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ]==∗( s2+8247) )
145 for (k=aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] ; k<8192; k++)
147 i f (∗ ( s2+k )>0) ∗( s2+8247)=k ; break ;
149 else i ev−−;
d=0;
151
t c f l u s h ( fddx , TCIFLUSH) ;
153 t c s e t a t t r ( fddx , TCSANOW, &o l d t i o ) ; /∗Chiusura s e r i a l e ∗/
c l o s e ( fddx ) ;
155 p r i n t f ( ”\n . . . . . . . . . . . . C los ing S e r i a l . . . . . . . . ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ . . . . . . \ n” ) ;
p r i n t f ( ” . . . Res tor ing Or i g i na l S e r i a l S e t t i ng s . . . \ n” ) ;
157 p r i n t f ( ” . . . . . . . . . . . . . . . Ex i t ing . . . . . . . . . . . . . . . . . . \ n\n” ) ;
p r i n t f ( ”\n\n∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n WAITING FOR START \n
∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n\n” ) ;
159 return 0 ;
161
void te rminat i on ( int p) /∗Usci ta da c t r l+c o k i l l da i n t e r f a c c i a ∗/
163
char a , nome [ 5 0 ] ,∗mode=”w+” ;
165 int i ;
FILE ∗ fp ,∗ fpmv ;
167 system (” c l e a r ” ) ;
p r i n t f ( ”\n . . . . . . . . . . . . C los ing S e r i a l . . . . . . . . . . . . . . \ n” ) ;
169 t c f l u s h ( fddx , TCIFLUSH) ;
p r i n t f ( ” . . . Res tor ing Or i g i na l S e r i a l S e t t i ng s . . . \ n” ) ;
171 c l o s e ( fddx ) ;
92 APPENDICE B. LISTATI
p r i n t f ( ” . . . . . . . . . . . . . . . Ex i t ing . . . . . . . . . . . . . . . . . . \ n\n” ) ;
173 p r i n t f ( ”\n\n∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n WAITING FOR START \n
∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n\n” ) ;
f p r i n t f ( stdout , ”Save ? (y/n) \n” ) ;
175 f s c an f ( stdin , ”%c” ,&a ) ;
f f l u s h ( s td i n ) ;
177 f f l u s h ( stdout ) ;
i f ( a==’y ’ ) /∗ Sa l v a t ag g i o da t i ∗/
179
p r i n t f ( ”Save the data as . . ( a f i l e with the same name w i l l be overwr i t ten ) \n” ) ;
181 f f l u s h ( stdout ) ;
f g e t c ( s td i n ) ;
183 f s c an f ( stdin , ”%s ” ,nome) ;
p r i n t f ( ”%s ” ,nome) ;
185 f f l u s h ( stdout ) ;
i f ( ( fp=fopen (nome , mode) )==NULL) p r i n t f ( ”can ’ t open %s \n” ,nome) ; e x i t (1) ;
187 for ( i=wb ; i <=(40∗wb) ; i++) f p r i n t f ( fp , ”%f \ t%d\n” , i /wb,∗ ( shm+1+i ) ) ;
i f ( ( fpmv=fopen ( ”data mv” ,mode) )==NULL) p r i n t f ( ”can ’ t open data mv\n” ) ; e x i t (1) ;
189 for ( s=shm2 ; ( s−shm2) <8192; s++) f p r i n t f ( fpmv , ”%d\ t%d\n” , ( s−shm2) ,∗ ( s ) ) ;
p r i n t f ( ” . . . . . . the f i l e s has been cr eated \n” ) ;
191 f f l u s h ( stdout ) ;
193 e x i t (1) ;
Il Client
#define SHMSZ2 33000
2 #define SHMSZ 33000
4 int main ( )
6 int shmid , shmid2 , i , Usleep ;
f loat wb ;
8 key t key , key2 ;
int∗shm ,∗ s ;
10 FILE ∗plot ,∗ f p id1 ;
FILE ∗ r e f r ;
12 int ∗shm2 ,∗ s2 ;
FILE ∗ plot2 ;
14
fp id1=fopen ( ” getp id1 ” , ”w+” ) ; /∗Pid per k i l l da i n t e r f a c c i a ∗/
93
16 f p r i n t f ( fp id1 , ”%d\n” , getp id ( ) ) ;
f c l o s e ( fp id1 ) ;
18
r e f r=fopen ( ” Ref r esh t ime ” , ” r ” ) ; /∗Refresh time de i g r a f i c i ∗/
20 f s c an f ( r e f r , ”%d\n” ,&Usleep ) ;
f c l o s e ( r e f r ) ;
22
key =5022; /∗Apertura memoria condiv i sa g r a f i c o f i l i e pipe su gnup lo t ∗/
24 p l o t=popen ( ” gnuplot −p e r s i s t ” , ”w” ) ;
i f ( p l o t==NULL) p r i n t f ( ”can ’ t open pipe1 \n” ) ; return 0 ;
26 f p r i n t f ( plot , ” s e t s t y l e data boxes\n” ) ;
i f ( ( shmid=shmget ( key ,SHMSZ,0666) )<0)
28
per ror ( ”shmget” ) ;
30 return 0 ;
32 i f ( ( shm=shmat ( shmid ,NULL, 0 ) )==(int ∗)−1)
34 per ror ( ”shmat” ) ;
return 0 ;
36
38 key2=5021; /∗Apertura memoria condiv i sa g r a f i c o mV e pipe su gnup lo t ∗/
plot2=popen ( ” gnuplot −p e r s i s t ” , ”w” ) ;
40 i f ( p l ot2==NULL) p r i n t f ( ”can ’ t open pipe2 \n” ) ; return 0 ;
f p r i n t f ( plot2 , ” s e t s t y l e data boxes \n” ) ;
42 i f ( ( shmid2=shmget ( key2 ,SHMSZ2,0666) )<0)
44 per ror ( ”shmget2 ” ) ;
return 0 ;
46
i f ( ( shm2=shmat ( shmid2 ,NULL, 0 ) )==(int ∗)−1)
48
per ror ( ”shmat2” ) ;
50 return 0 ;
52 wb=∗(shm+8230) ; /∗Prende da l se rver i l numero di i n t e r v a l l i in cu i
s i d i v i de un f i l o ∗/
54 for ( ; ; )
56 f p r i n t f ( plot , ” s e t t i t l e \”BPM\”\n” ) ; /∗Graf ico f i l i ∗/
f p r i n t f ( plot , ” s e t x l abe l \” wire \”\n” ) ;
58 f p r i n t f ( plot , ” s e t y l abe l \” events \”\n” ) ;
94 APPENDICE B. LISTATI
f p r i n t f ( plot , ” s e t nokey \n” ) ;
60 f p r i n t f ( plot , ” p l o t ’− ’\n” ) ;
for ( i=wb ; i <=(40∗wb) ; i++)
62 f p r i n t f ( plot , ”%f %d\n” , ( i /wb) ,∗ ( shm+i +1) ) ;
f p r i n t f ( plot , ”e\n” ) ;
64
s2=shm2 ; /∗Graf ico mV∗/
66 f p r i n t f ( plot2 , ” s e t xrange [%d:%d ] \n” ,∗ ( s2+8247) ,∗ ( s2+8248) ) ;
f p r i n t f ( plot2 , ” s e t t i t l e \”zoom on data \”\n” ) ;
68 f p r i n t f ( plot2 , ” s e t x l abe l \” channel \”\n” ) ;
f p r i n t f ( plot2 , ” s e t y l abe l \” events \”\n” ) ;
70 f p r i n t f ( plot2 , ” s e t nokey \n” ) ;
f p r i n t f ( plot2 , ” p l o t ’− ’ l t rgb \”navy \”\n” ) ;
72 for ( s2=shm2 ; ( s2−shm2) <8192; s2++)
f p r i n t f ( plot2 , ”%d %d\n” , ( s2−shm2) ,∗ ( s2 ) ) ;
74 f p r i n t f ( plot2 , ” e\n” ) ;
76 f f l u s h ( p l o t ) ;
f f l u s h ( p l ot2 ) ;
78 us l eep ( Usleep ∗1 e3 ) ; /∗Fine c i c l o d i p l o t ∗/
80 return 1 ;
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