Caratterizzazione di un analizzatore di fasci di ... 3.3 Analisi sulle caratteristiche del fascio...

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Universit` a degli studi di Firenze Facolt` a di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Caratterizzazione di un analizzatore di fasci di bassissima intensit` a per la linea di isotopi rari del LABEC Candidato: Paolo Mariani Relatore: Dott. Francesco Taccetti Correlatore: Dott. Luca Carraresi Anno accademico 2007-2008

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Universita degli studi di Firenze

Facolta di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Caratterizzazione di un analizzatore

di fasci di bassissima intensita per la

linea di isotopi rari del LABEC

Candidato: Paolo Mariani

Relatore: Dott. Francesco Taccetti

Correlatore: Dott. Luca Carraresi

Anno accademico 2007-2008

Indice

Introduzione III

1 Il metodo del 14C 1

1.1 I princıpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

1.1.1 Determinazione di 14C0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

1.1.2 La calibrazione dell’eta convenzionale del radiocarbonio . . . . . . . 4

1.1.3 La concentrazione di radiocarbonio all’interno degli esseri viventi . . 8

1.2 Cenni sulla preparazione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

1.2.1 Il pretrattamento dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

1.2.2 Il processo di combustione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . 10

1.2.3 La linea di grafitizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

1.3 Riepilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

2 I princıpi della spettrometria di massa con acceleratore 17

2.1 La linea di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2.2 La linea AMS del LABEC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2.2.1 La sorgente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2.2.2 Bassa energia: l’analizzatore elettrostatico (ESA54) . . . . . . . . . 23

2.2.3 Bassa energia: il magnete iniettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

2.2.4 L’ acceleratore TANDEM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

2.2.5 Alta energia: il selettore magnetico e quello elettrostatico . . . . . . 29

2.2.6 Il rivelatore per il radiocarbonio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

I

II INDICE

3 La linea IBA del deflettore elettrostatico DEFEL 35

3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

3.2 Principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

3.3 Analisi sulle caratteristiche del fascio pulsato . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

3.3.1 Il moto delle particelle all’interno del deflettore . . . . . . . . . . . 43

3.4 Messa a punto del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

3.4.1 Il sistema di acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

3.4.2 Le misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

4 La caratterizzazione del BPM 57

4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

4.2 La camera a fili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

4.3 Il Beam Profile Monitor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

4.4 Il setup della misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

4.5 Segnali e descrizione della catena elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . 66

4.5.1 I circuiti di amplificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

4.5.2 Il sistema di acquisizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

4.6 La caratterizzazione del rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

4.6.1 La risoluzione spaziale del rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

4.6.2 La verifica degli spessori delle finestre di Mylar . . . . . . . . . . . 76

4.7 I parametri del visualizzatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

Conclusioni 81

A Il protocollo di trasmissione seriale 83

B Listati 87

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

Introduzione

Nel corso dell’ultimo anno ho svolto, presso il laboratorio di tecniche nucleari per i beni

culturali (LABEC) di Firenze, il mio lavoro di tesi. In questo laboratorio e installato

un acceleratore elettrostatico di particelle di tipo TANDEM dedicato sia ad esperimenti

rivolti alla ricerca nell’ambito della Fisica Nucleare “pura”, sia a misure di fisica applica-

ta con fasci esterni (Ion Beam Analysis) che di spettrometria di massa con acceleratore

(Accelerator Mass Spectrometry, AMS). Quest’ultima tecnica permette, fra le altre cose,

di effettuare misure di concentrazione di 14C con le quali, come vedremo, si riescono a

datare con elevata precisione reperti vegetali o fossili (o comunque relativi ad organismi

viventi) risalenti fino a qualche migliaio di anni fa.

Le misure di spettrometria di massa con acceleratore, tuttavia, non sono effettuate so-

lamente nell’ambito archeometrico, ma si prestano ad essere applicate anche in campi

completamente diversi, come ad esempio in campo biomedico [Gar00] oppure quello delle

scienze ambientali [Szi04]. Inoltre, dato che la tecnica dell’AMS permette di misurare

con elevatissima precisione i rapporti isotopici, puo anche prestarsi ad altri tipi di ap-

plicazioni, come ad esempio lo studio dei materiali, qualora sia necessario conoscere la

concentrazione di elementi presenti solo in traccia.

Il lavoro che ho svolto si inquadra nell’ambito dell’esperimento INFN di V gruppo, MA-

RASMA (Monitoraggio dell’Accuratezza e della Riproducibilita nelle Analisi di Spettro-

metria di Massa con Acceleratori). Scopo di MARASMA e quello di installare, sulla linea

di spettrometria di massa del LABEC di Firenze, dei nuovi elementi di diagnostica e di

misura tra cui un visualizzatore di profilo per fasci di bassissima intensita (Beam Profile

Monitor, BPM) ed un rivelatore di tempo di volo (Time Of Flight, TOF). Il visualizzatore

III

di profilo di fascio su cui, in particolare, si e concentrato in mio lavoro di tesi, permet-

tera di conoscere la dimensione effettiva e la posizione del fascio di isotopi rari prima del

rivelatore di particelle preposto al loro conteggio. Esso permettera quindi di configurare

tutti i parametri dell’acceleratore, come ad esempio i sistemi di selezione, deflessione e

fuocheggiamento, in maniera tale da ottimizzare il trasporto del fascio. I visualizzatori

di profilo di fascio sono comunemente utilizzati per monitorare il trasporto dei fasci negli

acceleratori; nel caso di una misura di spettrometria di massa con acceleratore, tuttavia,

non e possibile installare nessuno dei monitor attualmente in commercio a causa della loro

inadeguata sensibilita. Questi visualizzatori, prevalentemente basati sull’intercettazione

meccanica del fascio, sono pensati per lavorare con fasci continui arrivando a misurare

correnti dell’ordine di qualche frazione di pA. Nel caso di misure di radiocarbonio, invece,

i valori di corrente massima dell’isotopo raro sono quelli relativi al passaggio di circa 50

particelle al secondo (∼ 10−5 pA). E’ necessario quindi disporre di Beam Profile Monitor

molto piu sensibili che riescano a rivelare anche il transito di una singola particella. Per

questo motivo e stato pensato di utilizzare un particolare tipo di BPM che viene utilizzato

anche come rivelatore di particelle nelle misure di Fisica Nucleare.

L’inserimento di questi nuovi dispositivi di diagnostica e discriminazione di fatto compor-

tera la rimozione del canale AMS originario e l’installazione di un nuovo canale, provvisto

della logistica necessaria al loro funzionamento. Questi nuovi elementi dovranno essere

disegnati in modo da mantenere un’alta compatibilita con la linea ad oggi installata, so-

prattutto per quanto riguarda la modalita di acquisizione normalmente utilizzata nelle

misure di datazione di routine.

Prima di introdurre il nuovo tratto di canale, sono state effettuate delle prove di funziona-

mento del visualizzatore di fascio in condizioni di lavoro simili a quelle che si hanno nelle

misure di spettrometria di massa con acceleratore. Per questo motivo e stato canalizzato

un fascio di ioni di carbonio su una linea di Ion Beam Analysis : sulla linea scelta, in par-

ticolare, e presente un deflettore elettrostatico capace di produrre, a partire da un fascio

di ioni continuo, degli impulsi formati da un numero limitato di particelle, eventualmente

IV

impostabile all’unita.

Il mio lavoro di tesi e consistito nello sviluppo e nella realizzazione del sistema di acquisi-

zione e presentazione dati per il visualizzatore di profilo di fascio, comprensivo delle sche-

de necessarie per l’interfaccia e dell’ottimizzazione dell’elettronica di preamplificazione al

fascio di isotopi di interesse. Questa tesi e cosı suddivisa:

• CAPITOLO 1: in questo capitolo vengono descritti i principi del metodo del ra-

diocarbonio con particolare riferimento alle sue problematiche. Vengono inoltre

brevemente descritti il metodo con cui, al LABEC, sono preparati i campioni da

inserire nell’acceleratore e i principi base della misura.

• CAPITOLO 2: vengono qui descritti i principi base della tecnica della spettrome-

tria di massa con acceleratore facendo particolare riferimento alla linea di misura

installata al LABEC.

• CAPITOLO 3: viene analizzato in questo capitolo il principio di funzionamento della

linea di fascio equipaggiata col deflettore elettrostatico. Viene inoltre descritta la

procedura grazie alla quale si e potuto realizzare un fascio pulsato i cui impulsi sono

costituiti da una singola particella.

• CAPITOLO 4: in questo capitolo vengono descritti in dettaglio i test di funzionalita

che sono stati effettuati sul visualizzatore di profilo di fascio. Sara inoltre fornita

un’ampia descrizione dell’elettronica e del sistema di acquisizione dati che sono stati

realizzati.

Sono infine riportati in appendice i codici, scritti in linguaggio C, relativi ai programmi

descritti nel capitolo 4, oltre ad una breve introduzione sul protocollo di trasferimento

dati che e stato utilizzato nelle misure effettuate.

V

VI

Capitolo 1

Il metodo del 14C

1.1 I princıpi

Il metodo del 14C o del radiocarbonio, proposto dal premio Nobel statunitense Willard

Frank Libby a cavallo tra gli anni ’40 e ’50, e una procedura di datazione radiometrica

basata sulla misura delle abbondanze relative degli isotopi del carbonio. Essa permette

la datazione di reperti di origine organica (legno, tessuto, ossa, etc..) risalenti fino ad un

massimo di circa 50000 anni fa e si basa su alcune peculiarita degli isotopi del carbonio

(Z=6) che adesso saranno analizzate.

Il carbonio, all’interno delle diverse sfere geochimiche, e costituito da due isotopi stabili,

il 12C (98.9%) e il 13C (1.1%) e da uno radioattivo, il 14C , presente in traccia (14C /12C ∼

10−12). Quest’ultimo viene normalmente prodotto nell’alta atmosfera grazie alle reazioni

nucleari di neutroni termici, prodotti come raggi cosmici secondari, e di nuclidi di 14N che

rappresentano la quasi totalita dell’azoto presente nell’atmosfera. La reazione puo essere

schematizzata come:

147 N + n →14

6 C + p (1.1.1)

Gli atomi di 14C cosı formati possono quindi reagire con l’ossigeno atmosferico dando

origine a 14CO2 e 14CO . L’ipotesi che sta alla base del metodo del radiocarbonio e

che il 14C e un isotopo radioattivo e decade β− in 14N con tempo di dimezzamento

1

2 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C

Figura 1.1: Schema del decadimento β− del radiocarbonio.

T 1

2

= (5730 ± 30) anni secondo la reazione:

146 C →14

7 N + e− + ν (1.1.2)

Dato che tutti gli organismi viventi scambiano continuamente carbonio con l’ambiente

circostante, attraverso processi di alimentazione (animali) e fotosintesi (vegetali), si puo

dedurre che, finche un organismo e vivo, il rapporto tra la sua concentrazione di 14C e

quella degli altri due isotopi stabili si mantiene costante e uguale a quella presente in

atmosfera.

Si ha quindi che, alla morte dell’organismo, il processo di scambio di 14C con l’ambiente

esterno termina e l’unico processo “attivo”, tramite il quale si possono avere variazio-

ni nella concentrazione di radiocarbonio, risulta essere quello del decadimento. Questo

comporta una diminuzione esponenziale della concentrazione 14C(t) di 14C all’interno

dell’organismo secondo la relazione:

14C(t) =14 C0e−

t−t0

τ (1.1.3)

dove 14C0 e la concentrazione di 14C nell’organismo al momento della morte, t − t0 e

l’intervallo di tempo che e passato dalla morte dell’organismo e τ = T 1

2

/ln2 rappresenta

la vita media del radiocarbonio. Conoscendo quindi 14C0, τ e misurando 14C(t) risulta

1.1. I PRINCIPI 3

possibile ricavare il parametro t − t0 invertendo la relazione precedente:

t − t0 = τln14C0

14C(t)(1.1.4)

Storicamente e detto eta convenzionale del radiocarbonio il valore che viene ricavato

Figura 1.2: Schema di produzione, distribuzione e decadimento del 14C in atmosfera.

sostituendo nella 1.1.4 al valore della vita media τ noto ad oggi il valore misurato da Libby,

ovvero ∼ 8033 anni; per quanto riguarda il valore di 14C0 viene utilizzato comunemente

un valore di riferimento, assunto costante nel corso degli anni, pari alla concentrazione di

14C in atmosfera nel 1950.

Il valore ricavato dall’eta convenzionale non rappresenta l’eta “vera” del reperto in quanto

si basa su ipotesi non completamente soddisfatte e su un valore di τ diverso da quello

noto ad oggi; occorre quindi fare alcune considerazioni su come riuscire ad effettuare una

calibrazione che permetta di passare dall’“eta convenzionale” all’“eta vera”.

1.1.1 Determinazione di 14C0

Uno dei presupposti della validita del metodo e la conoscenza del valore di 14C0 in at-

mosfera al momento della morte dell’organismo; questo valore in realta non e rimasto

4 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C

costante nel corso degli anni sia per effetti dovuti a processi naturali sia per cause di

natura antropogenica.

Una delle principali cause di variazione naturale e dovuta ai cambiamenti del campo

magnetico terrestre: questo infatti e il responsabile della deflessione dei raggi cosmici

provenienti dallo spazio e una sua variazione influenza significativamente il tasso di pro-

duzione di 14C . Un’altra causa e legata all’attivita solare: essa influenza la quantita di

raggi cosmici che entrano nell’atmosfera terrestre. Misure di attivita solare hanno regi-

strato la presenza di due cicli, uno piu lento di periodo di 200 anni e uno piu rapido e

sovrapposto al precedente con periodo di 11 anni. Il ciclo rapido praticamente non com-

porta cambiamenti nella concentrazione di 14C , il ciclo lento ha invece come conseguenza

quella di modulare nel tempo il valore medio della concentrazione di 14C in atmosfera

[Bow90].

Insieme a questi fenomeni di tipo naturale anche alcune attivita umane hanno influenzato

la concentrazione di 14C in atmosfera. Negli ultimi secoli due sono stati gli eventi che

hanno portato a variazioni significative: la rivoluzione industriale e i test di armi nucleari

in atmosfera. In particolare, a causa del combustibile fossile bruciato durante la rivoluzio-

ne industriale, una grande quantita di CO2 povero di 14C e stato rilasciato in atmosfera

facendo sı che gli organismi vissuti in quel periodo possedessero al loro interno una minore

quantita di radiocarbonio. Questo effetto e noto come effetto Suess.

Dagli anni ’50 e fino alla loro proibizione nel 1963 sono stati invece i test nucleari in

atmosfera a produrre i piu drastici cambiamenti nella concentrazione di 14C , questa vol-

ta aumentandone il valore. Le reazioni prodotte durante i test nucleari hanno generato

una grande quantita di neutroni che, reagendo con l’azoto presente nell’atmosfera, hanno

portato ad un aumento della concentrazione del radiocarbonio (vedi Fig.1.3).

1.1.2 La calibrazione dell’eta convenzionale del radiocarbonio

L’analisi della concentrazione residua del 14C di un reperto consente di determinare l’eta

convenzionale del radiocarbonio che, come accennato, e diversa dall’eta “vera” anche a

1.1. I PRINCIPI 5

Figura 1.3: La figura mostra il rapporto 14C /12C in atmosfera relativo alla seconda metadel 20mo secolo. La grande variazione che si puo notare dopo il ’55 e dovuta ai test nucleariin atmosfera.

causa della non costanza della concentrazione del 14C in atmosfera. Per superare questo

Figura 1.4: Ricostruzione della concentrazione di radiocarbonio in atmosfera sulla ba-se di misure dendrocronologiche. Il valore della concentrazione e dato come variazionepercentuale rispetto a quello di riferimento [Stui93].

6 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C

limite e stata “costruita” una cosiddetta curva di calibrazione ottenuta misurando la con-

centrazione di 14C in reperti databili anche in maniera indipendente.

Campioni organici di eta nota possono essere reperiti grazie agli anelli di accrescimento

degli alberi; grazie alla dendrocronologia e possibile risalire all’anno in cui e stato creato

un determinato anello di accrescimento. Questa scienza si basa sul fatto che alberi appar-

tenenti alla stessa area geografica producono nello stesso periodo di tempo serie anulari

simili il cui spessore varia ogni anno a seconda delle condizioni climatiche. Confrontando

quindi sequenze anulari di alberi vissuti nella stessa area geografica in periodi di tempo

sovrapposti (per i quali quindi si avra una parziale sovrapposizione della sequenza degli

anelli, vedi Fig.1.5) e possibile costruire una mappatura che permette di associare ogni

anello di accrescimento ad un preciso anno. Inoltre, grazie al fatto che l’albero costituisce

un sistema che comunica con l’ambiente circostante solo grazie all’anello piu esterno, e

possibile costruire dei veri e propri “archivi di 14C ” misurando, per ogni anello di cui si

conosce l’eta, la concentrazione residua di radiocarbonio. Il parametro utilizzato come

confronto e la variazione percentuale della misura ottenuta con la dendrocronologia (14CD)

rispetto al valore di riferimento (14C0) ed e espressa come:

∆14Ch =14CD −14 C0

14C0x1000 (1.1.5)

Grazie a questo metodo ed alla sua applicazione su alberi millenari (sequoie giganti e cali-

Figura 1.5: Sovrapposizione di sequenze di anelli provenienti da alberi vissuti in periodidi tempo diversi.

1.1. I PRINCIPI 7

forniane, querce, etc..) attualmente si dispone di una serie continua di ∆14Ch che va dal

presente fino a circa 12.000 anni fa (Fig.1.4). “L’archivio” e stato poi ulteriormente esteso

considerando anche altri materiali1 e attualmente si dispone di informazioni che vanno

dal presente fino a circa 26.000 anni fa. Grazie a questi valori e stato successivamente

Figura 1.6: a) la curva di calibrazione (in rosso) b) Una sua espansione che mette inevidenza la struttura a banda dovuta all’incertezza con cui e costruita.

possibile costruire una curva di calibrazione (vedi Fig.1.6) che permette, una volta nota

l’eta convenzionale, di risalire all’eta vera del reperto. La curva di calibrazione usata nor-

malmente nelle applicazioni associa all’ascissa l’eta vera e all’ordinata l’eta convenzionale

del radiocarbonio. L’eta convenzionale del radiocarbonio, trattata come variabile a distri-

buzione gaussiana, viene poi trasformata in eta vera utilizzando la curva di calibrazione

ed un opportuno algoritmo [Bron01]. Un esempio e riportato in Fig.1.7.

1Vengono utilizzati, per queste datazioni, dei frammenti di corallo databili indipendentemente con lacatena uranio-torio.

8 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C

Figura 1.7: Un esempio di calibrazione. Sull’asse delle ordinate l’eta convenzionale eriportata insieme alla sua incertezza sperimentale. Sull’asse delle ascisse viene inveceriportata la funzione di probabilita associata all’eta vera del campione. Essa e ottenutatramite convoluzione dell’eta convenzionale e della curva di calibrazione (in blu) insiemealle relative incertezze. Il programma utilizzato in questa calibrazione e OxCal v.4.

1.1.3 La concentrazione di radiocarbonio all’interno degli esseri

viventi

Una delle ipotesi su cui si basa la datazione e che gli organismi viventi, scambiando con-

tinuamente carbonio con l’ambiente esterno, si portino in equilibrio con la concentrazione

di 14C in atmosfera. Questo non e esattamente corretto perche i processi chimici messi

in atto all’interno dei diversi esseri viventi possono essere tali da privilegiare lo scambio

di un determinato isotopo rispetto ad un altro. Questo effetto prende il nome di “frazio-

namento isotopico”. Nel caso della fotosintesi delle piante, ad esempio, l’assorbimento di

carbonio avviene preferibilmente mediante 12CO2 piuttosto che 14CO2; conseguentemen-

te esse avranno una eta di radiocarbonio “apparente” maggiore dell’eta reale. E’ quindi

necessario correggere per questo effetto il valore della concentrazione di 14C misurata. In

generale, risulta essere vero che, se l’assorbimento del 12C e favorito rispetto al 13C , allora

anche il 13C sara favorito allo stesso modo rispetto all’isotopo 14C . Da considerazioni di

1.2. CENNI SULLA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI 9

meccanica statistica si ricava che vale la relazione [Cra54]

14C12C

= K

(

13C12C

)2

(1.1.6)

con K costante di proporzionalita nota. La misura del frazionamento del 13C , che non

subisce cambiamenti nel tempo in quanto si tratta di un isotopo stabile, permette quindi

di correggere il rapporto 14C /12C .

1.2 Cenni sulla preparazione dei campioni

Per poter effettuare misure di concentrazione di radiocarbonio mediante spettrometria di

massa con acceleratore (AMS), e necessario che il carbonio presente nei reperti da datare

venga estratto e introdotto nell’apparato di misura sotto forma di grafite. E’ adesso

descritta la procedura, utilizzata per la produzione dei campioni da inserire nella linea di

spettrometria di massa per cominciare a spiegare la criticita di una misura AMS.

La procedura utilizzata al LABEC puo essere suddivisa in tre parti: pretrattamento

chimico-fisico, combustione e grafitizzazione. Queste fasi possono essere sintetizzate come

segue:

• pretrattamento chimico-fisico: in questa fase, oltre ad un processo di “pulizia”,

viene selezionata ed isolata la parte di campione che piu si adatta alle misure di

radiocarbonio.

• combustione: una volta selezionata la parte da analizzare, questa viene “bruciata”

in modo tale da trasformare il carbonio in CO2.

• grafitizzazione: la CO2 viene raccolta, trasformata in grafite ed infine pressata al-

l’interno di un supporto che e successivamente inserito all’interno della sorgente

dell’acceleratore.

10 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C

1.2.1 Il pretrattamento dei campioni

La prima operazione da svolgere per la preparazione di un campione da inserire nell’acce-

leratore e una pulizia accurata del frammento di reperto. Con questa procedura vengono

eliminati gli strati piu esterni del reperto, i quali sono solitamente piu esposti a conta-

minazione. Inoltre, nel caso in cui sia presente sul campione terra o altri tipi di corpi

“estranei”, viene preliminarmente effettuato un bagno a ultrasuoni in acqua distillata.

Successivamente, nel caso non sia richiesto alcun pretrattamento specifico, il campione

viene trattato con il metodo A-B-A (Acido-Base-Acido) [Hig99][Moo83]. In questa pro-

cedura il reperto viene inizialmente immerso in una soluzione acquosa contenente acido

cloridrico, poi in una contenente idrossido di sodio ed infine nuovamente in acido cloridri-

co. Dopo ciascun tratamento il campione viene sciacquato con acqua distillata.

Nel primo dei tre trattamenti del metodo A-B-A il carbonio contaminante, tipicamente

presente come carbonato di calcio, viene rimosso dal campione grazie alla reazione

CaCO3 + 2HCl −→ CaCl2 + H2O + CO2

durante la quale si ha la produzione di anidride carbonica in forma gassosa che puo quindi

essere rimossa. Nella seconda parte del trattamento vengono invece rimossi eventuali

residui umici (solubili in soluzioni basiche) che possono contaminare il campione. L’ultimo

bagno in soluzione acida e utilizzato perche durante il secondo processo e possibile che la

CO2 atmosferica si dissolva all’interno della soluzione, contaminando di nuovo il campione.

Dopo questo trattamento il reperto viene solitamente asciugato ed e quindi pronto per i

successivi processi di combustione e grafitizzazione.

1.2.2 Il processo di combustione dei campioni

Il processo di combustione dei campioni permette di produrre CO2 a partire dal carbonio

presente all’interno del reperto. Al laboratorio LABEC, per questo scopo, e utilizzato un

analizzatore elementale illustrato schematicamente in Fig.1.8, che consiste in una colonna

1.2. CENNI SULLA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI 11

di combustione, una colonna gascromatografica e un TCD (Thermal Conductivity Detec-

tor). Il campione da analizzare viene inserito all’interno della colonna di combustione:

Figura 1.8: Rappresentazione schematica della linea di combustione installata presso ilLABEC.

essa e formata da una colonna di quarzo2 contenente una serie di strati di elementi (ossido

di cromo, rame, ossido di cobalto e argento) che permettono sia una completa combu-

stione del campione che la rimozione degli eventuali ossidi di zolfo formatisi durante la

fase di reazione che devono essere eliminati prima di entrare nella linea di grafitizzazio-

ne3. La colonna, in condizioni di riposo, viene mantenuta a 900 C ed al suo interno

viene fatto fluire dell’elio puro (99.999%), necessario per trasportare i gas prodotti nella

combustione. Quando il processo di combustione ha inizio, grazie all’aggiunta di ossigeno

puro (99.999%), la temperatura della colonna sale, per qualche secondo, fino a 1800 C

dando origine alla reazione che produce anidride carbonica insieme ad acqua e N2. Que-

sti prodotti vengono poi inviati alla colonna gascromatografica che permette di separare

le diverse specie gassose generate dalla colonna di combustione. L’uscita della colonna

gascromatografica e collegata ad un Thermal Conductivity Detector che consente di iden-

tificare, per mezzo di un cromatogramma in tempo reale, l’intervallo di tempo in cui

2La colonna e costruita in quarzo per consentire di raggiungere alte temperature durante lacombustione.

3Questi ossidi vengono prodotti all’interno di qualsiasi processo di combustione di materiale organicoinsieme ad acqua e azoto e devono essere in qualche modo eliminati.

12 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C

Figura 1.9: Un tipico esempio di cromatogramma ottenuto con uno 2mg di nicotinamide.

avviene il passaggio della CO2. Durante questo intervallo (t1 − t0 in Fig.1.9) viene infine

permesso al gas di raggiungere la linea di grafitizzazione.

1.2.3 La linea di grafitizzazione

La reazione che permette di trasformare la CO2 in grafite e:

CO2 + 2H2 −→ C + 2H2O (1.2.7)

Uno schema di linea di grafitizzazione molto semplificato, ma nel principio di funziona-

mento analogo a quello utilizzato al LABEC, e mostrato in Fig.1.10.

Preliminarmente alla fase di combustione del campione, la linea di grafitizzazione viene

portata in vuoto da una pompa turbo-molecolare attraverso la valvola V 3.

Quando il processo di combustione non e attivo la linea viene isolata in modo che il gas

in arrivo, non contenente CO2, diffonda in atmosfera. A questo compito sono adibite le

valvole V 1 e V 2 che, in questa fase, sono una aperta (V 1) e l’altra chiusa (V 2).

Quando, sul cromatogramma, appare il picco relativo alla CO2 (istante indicato con t0

in Fig.1.9), viene bloccato il sistema di vuoto (V 3) e commutate le valvole V 1 e V 2. In

questo modo il gas, costituito adesso da CO2 ed elio, puo fluire all’interno della linea. Da

1.2. CENNI SULLA PREPARAZIONE DEI CAMPIONI 13

Figura 1.10: Schematizazione semplificata dei componenti base della linea digrafitizzazione installata presso il LABEC.

notare inoltre che la valvola V 5, durante questa fase, deve essere tenuta aperta per fare

in modo che il gas fluisca verso le camere di reazione. In questa fase la provetta A viene

tenuta in un bagno di azoto liquido, che permette di congelare la CO2. Successivamente,

quando viene raggiunto l’istante indicato con t1 sul cromatogramma, le valvole V 1 e V 2

vengono riposizionate nella loro configurazione originale, isolando cosı di nuovo il sistema

di grafitizzazione. A questo punto, dopo aver riaperto la valvola V 3 e pompato via l’elio,

all’interno della linea di grafitizzazione rimarra solamente anidride carbonica congelata

nella provetta A. La valvola V 5 viene quindi chiusa e l’azoto rimosso da sotto la provetta

A. Una volta tornati a temperatura ambiente e possibile misurare la pressione di CO2 rag-

giunta all’interno della camera. Successivamente la provetta A viene raffreddata di nuovo

con azoto liquido e la valvola V 5 riaperta. In questo modo la CO2 rimane congelata nella

provetta A e, aprendo la valvola V 4, e possibile far diffondere l’idrogeno all’interno della

camera. Il flusso di idrogeno viene arrestato quando il valore di pressione letto all’inter-

no della camera di reazione (dovuto solo all’idrogeno) e diventato doppio di quello della

CO2 precedentemente misurato. E’ possibile adesso, chiudendo V 5 e rimuovendo l’azoto

14 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C

liquido innescare la reazione di grafitizzazione nella provetta B, dove precedentemente

era stato inserito del ferro come catalizzatore. In questa reazione la temperatura riveste

un ruolo molto importante: se viene mantenuta al di sotto dei 500 C vengono formati

idrocarburi, ad esempio CH4; se viene innalzata al di sopra di 800 C puo essere prodotto

un eccesso di CO. Per questo motivo la temperatura viene mantenuta intorno a 600 C.

Data l’alta temperatura necessaria per far avvenire la reazione e stato montato un forno

estraibile (la camera di combustione di Fig.1.10). Esso e realizzato mediante un filo di

ferro-cromo-alluminio inserito all’interno di un isolante ceramico. All’interno di questo

dispositivo e inoltre inserita una termocoppia che permette di misurare la temperatura e,

grazie ad un sistema di controllo, regolare la temperatura del forno.

Durante la (1.2.7) viene prodotta dell’acqua che deve essere eliminata potendo dare origi-

ne alla reazione inversa. Per questo motivo la provetta A viene inserita all’interno di un

dispositivo di raffreddamento ad effetto Peltier. Questo dispositivo porta la provetta A

ad una temperatura di circa −20 C: in grado quindi di congelare l’acqua lasciando nello

stato gassoso tutti gli altri elementi.

Durante tutto il tempo necessario affinche tutta la CO2 venga trasformata in grafite la

pressione della miscela viene costantemente monitorata. In Fig.1.11 e riportato un esem-

pio di andamento della pressione durante la reazione di grafitizzazione; in questo caso il

valore della pressione decresce fino ad arrivare ad un valore di circa 100 mbar. La pres-

sione residua e dovuta al fatto che, in realta, la quantita di idrogeno (H2) inserita nel

grafitizzatore e maggiore rispetto a quella calcolata in base al rapporto stechiometrico.

Questo accorgimento permette di ridurre tutta l’anidride carbonica in grafite.

Una volta che la reazione e terminata sia il forno che la Peltier vengono rimossi e l’idroge-

no in eccesso viene fatto diffondere fuori dalla camera di grafitizzazione. Per dare un’idea,

l’efficienza di tutto il processo e di circa il 50%.

1.3. RIEPILOGO 15

Figura 1.11: Andamento, in funzione del tempo, della pressione durante un processo digrafitizzazione.

1.3 Riepilogo

Prima di descrivere come viene fatta una misura AMS di radiocarbonio vengono riassunti

brevemente i punti salienti finora incontrati. Come si e visto i processi chimico-organici

sono potenzialmente selettivi rispetto allo stato isotopico dell’elemento: due reperti, de-

rivati da materiali organici chimicamente diversi, anche se coevi non necessariamente

presentano lo stesso rapporto 14C /12C . Come gia accennato, se in una reazione il 14C

e sfavorito (favorito) rispetto al 12C , allora anche il 13C e sfavorito (favorito) rispetto al

12C . Pero, dal momento che il rapporto 13C /12C e indipendente dall’eta del reperto, co-

noscendo sia 14C /12C che 13C /12C si puo correggere il frazionamento. Anche durante le

fasi della misura stessa all’acceleratore vengono introdotti degli effetti sistematici di tipo

fisico tali da privilegiare un isotopo rispetto ad un altro. Cio implica che questo tipo di

misure venga sempre fatto per confronto rispetto a campioni standard di concentrazione

nota.

Inoltre si e visto che la fase di preparazione stessa del campione e assai delicata poi-

che possono essere introdotti involontariamente agenti contaminanti tali da alterare la

concentrazione di radiocarbonio. In particolare, due possono essere le principali fonti di

16 CAPITOLO 1. IL METODO DEL 14C

contaminazione: quella introdotta durante la preparazione dei campioni e quella dovuta

ad una non efficiente rimozione degli agenti contaminanti durante i processi di pretrat-

tamento. Per questo motivo normalmente viene inserito anche un campione non attivo

(blank), che viene sottoposto agli stessi pretrattamenti del campione e che puo dare una

stima del fondo presente nella misura. Risulta a questo punto chiaro che nella spettro-

metria di massa con acceleratore le quantita base da misurare sono i rapporti 13C /12C e

14C /12C , sia per il campione in analisi che per lo standard che per un blank.

Capitolo 2

I princıpi della spettrometria di

massa con acceleratore

2.1 La linea di misura

La spettrometria di massa con acceleratore (AMS) e una tecnica che permette di misurare

con elevata precisione la concentrazione di isotopi rari rispetto ai corrispondenti isotopi

abbondanti presenti all’interno di un campione. La misura di questi rapporti, come gia

visto nel capitolo precedente, sta alla base del metodo di datazione del 14C .

Questo metodo di misura, cosı come la spettrometria tradizionale, e basato sul princi-

pio secondo il quale ioni aventi stessa energia e stesso stato di carica, una volta entrati

all’interno di un campo magnetico uniforme e costante diretto perpendicolarmente alla

direzione di moto, compiono una traiettoria di raggio1 direttamente proporzionale alla

massa. E’ quindi possibile effettuare una separazione tra isotopi aventi masse differenti

semplicemente facendo loro attraversare una zona in cui e presente un campo magnetico

e successivamente “contando”, grazie a dei misuratori posti a opportuni valori del raggio,

le particelle deflesse.

Nelle misure di radiocarbonio, anche operando selezioni di questo tipo, non si riescono

ancora a separare in maniera soddisfacente i vari elementi poiche si hanno delle interfe-

1Questo raggio e chiamato “Raggio di Larmor”.

17

18CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

renze “residue” dovute principalmente alla presenza di molecole, come ad esempio 12CH 2

o 13CH ; esse riescono ad eludere questi primi sistemi di selezione potendo avere stati di

energia, massa e carica analoghi a quelli degli ioni che si vogliono analizzare. Le molecole

che possono dare origine a queste interferenze prendono il nome di isobari molecolari.

La tecnica AMS, grazie all’utilizzo di un acceleratore di tipo TANDEM, permette di effet-

tuare le misure di radiocarbonio con sensibilita dell’ordine di una parte su 1015 e consente2

l’eliminazione degli isobari molecolari.

In una misura di radiocarbonio eseguita con il metodo della spettrometria di massa con

acceleratore il campione viene preparato seguendo un processo che riduce il frammento

di reperto (∼ 1 mg) a una mistura di grafite e ferro che viene successivamente pressata

in un portacampione in alluminio e posta all’interno della sorgente dell’acceleratore. Il

fascio, formato da ioni negativi estratti dal campione, viene poi fatto passare attraverso

dei selettori elettrostatici e magnetici che forniscono una prima selezione in energia, mas-

sa e carica delle particelle. Dopo questa prima analisi il fascio entra nel TANDEM ed e

accelerato verso il terminale ad alta tensione (tipicamente posto a 2.5 MV al LABEC)

dove attraversa un canale equipotenziale in cui fluisce Argon. Nell’interazione con il gas

(stripping) le particelle perdono alcuni elettroni e cambiano stato di carica diventando

cosı positive. La procedura di stripping e determinante per la soppressione degli isobari

molecolari 13CH e 12CH2 che sono predominanti rispetto al 14C 3: la cessione di elettroni

fa diventare vantaggioso, dal punto di vista energetico, la scissione di queste molecole nel-

le rispettive componenti atomiche, permettendone una facile rimozione con dei successivi

sistemi di analisi. Una volta diventati positivi, gli ioni vengono accelerati verso l’uscita

di alta energia dell’acceleratore dove incontrano altri selettori magnetici ed elettrostatici.

Infine, grazie alla misura della corrente degli isotopi stabili per mezzo di faraday cup e al

conteggio degli ioni dell’isotopo raro, si riesce a risalire alle loro abbondanze relative. Un

altro vantaggio della spettrometria di massa con acceleratore e legata all’energia finale

2Per dare un’idea, la concentrazione di 14C all’interno di un organismo e al massimo di circa 10−12.3Le componenti 13CH e 12CH2 sono state misurate e producono delle correnti di 0.01 µA [Lazz08].

Questi valori di corrente sono molto maggiori di quelli registrati per il radiocarbonio. In questi casi,infatti, si hanno correnti di ∼10−5 pA.

2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 19

degli isotopi, ∼ 10 MeV, sufficientemente elevata da consentire ulteriori tipi di analisi.

2.2 La linea AMS del LABEC

Al LABEC di Sesto Fiorentino e installato un acceleratore TANDEM normalmente uti-

lizzato sia per misure di spettrometria di massa che di Ion Beam Analisis (IBA).

In Fig.2.1 e riportato lo schema complessivo dell’acceleratore, mentre in Fig.2.2 e stata

ingrandita solamente la parte strettamente dedicata all’AMS.

Con riferimento alla Fig.2.1 si puo notare che il sistema puo essere suddiviso in tre parti:

Figura 2.1: Modello schematico che mostra sia le linee adibite a misure IBA sia quellautilizzata per l’AMS (in basso).

• Parte di bassa energia

Essa e costituita, per quanto riguarda la linea di spettrometria di massa, da una

sorgente di tipo sputtering, un analizzatore elettrostatico (ESA54) a 54 e un ma-

gnete di analisi a 90; per la parte di Ion Beam Analysis sono presenti invece due

sorgenti (una di tipo sputtering e una Duoplasmatron) ed un magnete di analisi a

90;

• L’acceleratore TANDEM

20CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

Figura 2.2: Modello schematico della linea AMS installata al LABEC di Sesto Fiorentino.

2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 21

• La parte di alta energia

Per la linea spettrometria di massa e presente un magnete a 115, un analizzatore

elettrostatico a 65 (ESA65) e i sistemi necessari per la misura delle correnti degli

isotopi stabili e i conteggi dell’isotopo raro; per le linee IBA e presente invece un

magnete (detto di switching) che indirizza il fascio verso uno dei sei canali dispo-

nibili. Nella Fig.2.1 e riportato, non in scala, il canale equipaggiato col deflettore

elettrostatico DEFEL che sara mostrato nel terzo capitolo.

L’acceleratore, grazie alla sua tensione massima di terminale di 3 MV, puo essere utiliz-

zato anche per effettuare misure di AMS con isotopi diversi dal 14C , come ad esempio

10Be, 26Al , 129I . Altri isotopi rari, quali 36Cl , 41Ca, 53Mn, 59Ni , 60Fe, richiederebbero

energie piu elevate per la soppressione sia degli isobari molecolari interferenti sia degli io-

ni competitori4. Verra adesso analizzato singolarmente e in maniera piu dettagliata ogni

elemento della linea di spettrometria di massa.

2.2.1 La sorgente

Nella linea AMS viene utilizzata una sorgente a sputtering di ioni di cesio con cui vengono

estratti dal campione ioni negativi aventi una distribuzione di energia centrata attorno

ad un valore noto.

La sorgente, come si puo vedere dalla Fig.2.3, e formata da un punto di vista funzionale

da tre “blocchi” elettricamente separati: l’elettrodo di estrazione (tenuto a potenziale di

massa), lo ionizzatore (−28 kV) ed il catodo (−35 kV) dove viene alloggiato il campione

da analizzare. Essenzialmente il processo che porta alla produzione degli ioni negativi da

iniettare nell’acceleratore e molto semplice e puo essere schematizzato in 3 fasi distinte:

• Prima fase: il sebatoio di cesio viene portato ad una temperatura di ∼ 75 C. In

questo modo vengono prodotti dei vapori di cesio che, attraverso un apposito canale,

sono fatti diffondere fino ad arrivare in prossimita dello ionizzatore, mantenuto ad

4Gli ioni competitori sono degli atomi che hanno la stessa massa dell’isotopo raro che si vuoleanalizzare ma appartengono ad una specie chimica diversa.

22CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

Figura 2.3: Rappresentazine schematica della sorgente per la linea di spettrometria dimassa del LABEC.

una temperatura di 1100 C. Gli atomi di cesio, una volta venuti a contatto con lo

ionizzatore, subiscono un processo di ionizzazione termica grazie alla quale perdono

uno o piu elettroni diventando cosı degli ioni positivi;

• Seconda fase: gli ioni positivi prodotti nella prima fase vengono accelerati dalla

differenza di potenziale di −7 kV verso il catodo5 dove, interagendo col campione,

provocano l’estrazione di alcuni atomi e molecole6. L’alloggiamento del campione

e mantenuto a temperatura ambiente facendo sı che parte dei vapori di cesio si

condensino sulla superficie del campione stesso. Gli atomi e le molecole estratti dal

campione acquisteranno, nell’attraversare questo strato di cesio7, alcuni elettroni

[Fink93] trasformandosi cosı in ioni con stato di carica negativo;

5La particolare geometria dello ionizzatore permette inoltre che il fascio di ioni di Cs venga focalizzatosu di una piccola superficie del campione.

6Questi processi sono detti di “sputtering”.7Il cesio e uno degli elementi meno elettronegativi (0.79 nella scala di Pauling) e tende a cedere

facilmente l’elettrone dell’ultima shell.

2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 23

• Terza fase: gli ioni negativi cosı prodotti vengono infine accelerati prima verso lo

ionizzatore e successivamente verso l’elettrodo di estrazione8 venendo cosı immessi

all’interno della linea di spettrometria di massa. In conclusione, il fascio creato dalla

sorgente sara formato da ioni negativi aventi una distribuzione di energia centrata

intorno a 35 keV.

L’utilizzo di questo tipo di sorgente permette di eliminare il contributo degli isobari del

carbonio che non formano ioni negativi stabili come, ad esempio nel caso delle misure di

radiocarbonio, dell’isotopo 14N .

La sorgente e inoltre dotata di una ruota sulla quale vengono alloggiati fino a 59 campioni

che possono essere sequenzialmente inseriti, per mezzo di un braccio meccanico, nell’al-

loggiamento del catodo. Quest’ultimo possiede infine la possibilita di potersi muovere

nel piano xy perpendicolare alla direzione del fascio, in modo tale da permettere che il

campione possa essere investito dagli ioni di cesio in punti diversi. In questo modo, grazie

ad un processo di media, si riesce a minimizzare la formazione di crateri e ad ovviare

a problemi legati a possibili disomogeneita superficiali del campione dovute alla fase di

preparazione.

2.2.2 Bassa energia: l’analizzatore elettrostatico (ESA54)

Il fascio estratto dalla sorgente non ha carattere monoenergetico: sono presenti sia delle

code ad alta energia (dovute al trasferimento di energia da parte degli ioni di cesio a

quelli del campione), sia delle componenti di bassa energia (dovute a fenomeni di rottu-

ra molecolare nella fase di accelerazione in sorgente). Dovra quindi essere presente un

elemento discriminatore che permetta la selezione degli ioni del fascio aventi una certa

energia ed un certo stato di carica. Per questo motivo, in uscita dalla sorgente, e pre-

sente un analizzatore elettrostatico (ESA54) a 54 (Vedi Fig.2.2). Questo dispositivo e

costituito da due elettrodi cilindrici concentrici tenuti ad una differenza di potenziale di

∼ 8 kV. Essi generano un campo elettrico diretto radialmente e gli ioni che transitano al

8al centro dello ionizzatore e stato praticato un sottile foro (∼ 4.5 mm) per permettere il passaggiodel fascio.

24CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

suo interno compiono quindi traiettorie circolari con raggio dipendente dall’intensita del

campo9 (ǫ(r)) secondo la legge:

mv2

r= 2

E

r= qeǫ(r) ⇒ 2

E

qe= rǫ(r) (2.2.1)

dove m, v, E, q, sono rispettivamente massa, velocita, energia e stato di carica delle

particelle.

Al LABEC i parametri dell’ESA54 sono scelti per permettere il passaggio di particelle il

cui rapporto E/q sia uguale a -35 keV.

2.2.3 Bassa energia: il magnete iniettore

Il fascio proveniente dall’ESA54 e costituito, oltre che da ioni aventi energia di 35 keV e

carica −1, anche da particelle con valori diversi per i due parametri, ma con medesimo

rapporto10 E/q. Per questo motivo e necessario introdurre un ulteriore stadio di anali-

si, questa volta di tipo magnetico-dispersiva, che consenta di operare un nuovo tipo di

selezione. In questo tipo di analisi, complementare alla precedente, viene effettuata una

selezione in base al rapporto impulso/carica delle particelle, facendo loro attraversare un

tratto di canale a curvatura costante (Fig.2.4) in cui agisce un campo magnetico diretto

perpendicolarmente alla direzione del loro moto. Esse infatti supereranno questa analisi

solamente se il raggio della loro orbita circolare coincidera con quello del tratto del canale.

Il valore del raggio dell’orbita delle particelle, funzione sia di energia, massa e carica delle

particelle, sia del valore del campo magnetico, e esprimibile come:

RL =mv

qeB=

√2mE

qeB(2.2.2)

9Data la particolare geometria costruttiva dell’ESA54, il campo elettrico al suo interno e di modulocirca costante.

10In [Lazz08] e riportata un’analisi dettagliata delle diverse specie chimiche presenti in uscita dall’E-SA54 nelle misure di radiocarbonio. Da questa analisi risulta che sono presenti particelle diverse dalradiocarbonio, alcune aventi una massa di circa 60 u.m.a.

2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 25

Il magnete (magnete iniettore) permette alle particelle che hanno superato la selezione

di entrare correttamente nell’acceleratore (Fig.2.2). Nel caso di misure di radiocarbonio

Figura 2.4: Rappresentazione schematica del sistema di analisi magnetica. In rosso la“camera del magnete”.

le particelle vengono iniettate in maniera sequenziale e ciclica nell’acceleratore. Consi-

derando ancora la (2.2.2), si puo vedere come questo sia realizzabile in due maniere: o

cambiando l’intensita del campo magnetico oppure variando l’energia delle particelle in

ingresso al magnete. Va detto pero che, qualora si optasse per il primo metodo, bisogne-

rebbe tener conto che variazioni rapide11 del campo magnetico sono di fatto impossibili:

l’instaurarsi di fenomeni di isteresi renderebbe non riproducibili i cicli di magnetizzazione.

Per questo motivo, la soluzione comunemente adottata e quella di avere un campo ma-

gnetico costante nel tempo e applicare, a seconda dell’isotopo che si vuole trasmettere, un

valore diverso di tensione al tratto di canale contenuto all’interno del magnete (Fig.2.4).

Come si vede dalla Fig.2.4, la parte della linea di fascio contenuta all’interno del magnete

(camera del magnete) e isolata dal resto dell’acceleratore in modo che possa essere por-

tata fuori massa. Nel caso del radiocarbonio il campo magnetico B e tale da permettere

11Nelle misure di AMS e preferibile iniettare ciclicamente e sequenzialmente gli isotopi nell’accelera-tore per poter mediare temporalmente eventuali effetti di instabilita sia delle tensioni che ambientali, adesempio la temperatura.

26CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

il passaggio dell’isotopo 13; viene alternativamente fornito un valore di tensione positivo

(V12 ∼ 2.9 kV) o negativo (V14 ∼ −2.5 kV) alla camera del magnete quando si voglia far

passare ioni di massa rispettivamente 12 e 14. In uscita dal magnete iniettore e presente

un ulteriore dispositivo di deflessione che non consente alle particelle di raggiungere l’in-

gresso dell’acceleratore durante le transizioni tra i livelli di tensione.

I tempi di iniezione delle particelle nell’acceleratore sono scelti in maniera tale da far

passare quasi sempre ioni di 14C ; al LABEC i valori normalmente utilizzati per i tempi

di iniezione sono:

14C ∼ 8.5 ms

13C ∼ 0.6 ms

12C ∼ 6 µs

Il rapporto tra i tempi di iniezione di 13C e 12C e stato scelto circa pari all’inverso del

loro rapporto isotopico; in questo modo il valore medio di corrente che verra letto nella

parte di alta energia sara circa lo stesso per i due isotopi. Va sottolineato inoltre che

gli eventi di radiocarbonio vengono registrati solo all’interno della finestra temporale di

8.5 ms in cui l’isotopo viene trasmesso dal magnete iniettore. E’ stato visto, infatti, che,

nonostante tutte le precauzioni adottate, durante le fasi di transizione delle tensioni con

gli altri due isotopi, alcuni ioni riescono comunque a raggiungere il rivelatore di radiocar-

bonio. Tenendo conto che e necessario un tempo di circa 250 µs per variare il valore della

tensione applicata al magnete iniettore, il periodo necessario per compiere il ciclo per i

tre isotopi e di circa 10 ms.

La principale fonte di interferenza di misura che ancora rimane e che deve essere eliminata

e dovuta agli isobari molecolari i cui valori di energia/carica e impulso/carica sono tali da

permetter loro di superare questi primi due sistemi di selezione. Questi contributi saranno

eliminati grazie all’utilizzo dell’acceleratore.

2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 27

2.2.4 L’ acceleratore TANDEM

Il TANDEM installato al LABEC, schematizzato in Fig.2.5, e un acceleratore elettrosta-

tico con tensione massima di terminale di 3 MV. E’ caratterizzato da tre parti principali:

colonna di bassa energia (con ingresso a massa), colonna di alta energia (con uscita a

massa) e colonna di carica. La colonna di carica, da un punto di vista elettrico, puo

essere schematizzata come un circuito risonante, seguito da un moltiplicatore di tensione.

All’ingresso del moltiplicatore e applicata una tensione sinusoidale ricavata dal circuito

Figura 2.5: La struttura interna dell’acceleratore TANDEM del LABEC. In basso emostrata la colonna di carica con cui viene generata l’alta tensione.

risonante a sua volta pilotato da un’onda rettangolare con duty-cycle variabile. Essa e

ottenuta tramite dei mosfet di potenza che alternativamente abilitano e interdicono le

uscite bipolari di un generatore di potenza e lavorano alla frequenza propria del sistema

(33kHz). Variando il duty-cycle dell’onda quadra viene quindi regolata la tensione di

terminale. Dal terminale fluisce poi una corrente che si ripartisce nei due rami di ritorno

verso massa: le colonne di alta e di bassa energia dove, grazie a dei partitori resistivi

28CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

formati da delle serie di 78 resistenze da 300 MΩ, sono generate, a passo costante, le

differenze di potenziale di accelerazione per i fasci di ioni. Il sistema primario di controllo

della tensione di terminale e affidato ad un voltmetro generatore, compensato in tempe-

ratura, che agisce da feedback principale sul duty-cycle della tensione di ingresso. Fra le

due colonne e presente un tratto di canale equipotenziale, lungo 130 cm e con aperture

di ingresso e di uscita per il fascio di 13 mm in cui e fatto fluire argon (gas dello stripper)

per mezzo di un sistema di ricircolo a circuito chiuso.

Il fascio di ioni negativi entra nel TANDEM, viene accelerato nella colonna di bassa

energia e giunge nel canale in cui e fatto fluire Argon; qui interagisce col gas perdendo

elettroni e diventando positivo. Il fascio, ora formato da ioni positivi, viene ulteriormente

accelerato nella colonna di alta energia fino all’uscita del TANDEM.

Il processo di stripping

Il processo di stripping [Betz72] consiste nella perdita, da parte di uno ione, di uno o piu

elettroni orbitali a causa dell’attraversamento di uno strato di materia. Esso e un processo

Figura 2.6: Grafico che mostra, per ioni di 12C da 2.4 MeV, la frazione di ioni cheraggiungono uno stato di carica q dopo aver attraversato un dato spessore di Argon. Esisteuno spessore oltre il quale i processi di cattura e cessione di elettroni si compensano e lafrazione di particelle che raggiungono un certo stato di carica ne e indipendente [Whit05].

dinamico nel quale gli ioni perdono e catturano continuamente elettroni: lo stato di carica

in uscita si presenta sotto forma di una distribuzione e dipende dall’energia degli ioni e

dallo spessore del materiale da attraversato. Per esempio, per un fascio di ioni carbonio

2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 29

da 2.4 MeV che attraversa uno stripper formato da Argon di spessore equivalente ≥ 0.8

µg cm−2, lo stato di carica piu probabile sara il 3+; saranno pero presenti anche ioni

carbonio aventi come stato di carica finale 1+, 2+, 4+[Hofm87] (Fig.2.6).

A queste energie di fascio si assiste inoltre al fenomeno dell’esplosione coulombiana: gli

Figura 2.7: Grafico che mostra lo stato di carica piu probabilmente raggiunto da ionicarbonio nell’attraversare uno spessore equivalente di 0.6 µg cm−2 (figura da [Sut06]).

atomi che costituiscono gli isobari molecolari, perdendo alcuni elettroni orbitali grazie

allo stripping, cominciano a respingersi a vicenda facendo sı che risulti vantaggioso per la

molecola scindersi nei suoi componenti atomici.

2.2.5 Alta energia: il selettore magnetico e quello elettrostatico

Il fascio di ioni in uscita dall’acceleratore entra in un nuovo selettore magnetico12 a 115

che separa le traiettorie dei tre isotopi del carbonio. I fasci di 12C 3+ e 13C 3+ vengono

intercettati da due Faraday cup e ne viene letta la corrente; il 14C 3+ prosegue invece lungo

il canale ed entra all’interno di un nuovo selettore elettrostatico ESA65 a 65. Questo

12Il valore di B e impostato in modo tale da permettere il passaggio per gli ioni di radiocarbonio concarica 3+ ed energia di 10.035 MeV.

30CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

Figura 2.8: Il selettore magnetico e l’ESA65 per la parte di alta energia dell’acceleratore.

secondo selettore elettrostatico, impostato in maniera tale da avere rapporto E/q pari

a 10.035/3 MeV13, viene utilizzato perche il solo magnete a 115 non e sufficiente per

identificare gli ioni di 14C in maniera univoca. Questo e dovuto al fatto che possono

essere presenti, al termine del lato di alta energia, ioni aventi rapporti impulso/carica

analoghi a quelli del radiocarbonio. L’utilizzo di questi due sistemi di selezione per la

parte di alta energia fa sı che la maggior parte degli ioni interferenti possa venire rimossa;

rendendo quindi possibile effettuare il conteggio degli ioni di 14C .

2.2.6 Il rivelatore per il radiocarbonio

Una volta uscito dall’ESA65 il fascio di isotopi rari viene focalizzato sulla finestra di

ingresso di una camera di ionizzazione. I segnali prodotti vengono preamplificati (ORTEC

142A) e successivamente discriminati, amplificati, formati (ORTEC 570) e acquisiti dal

software del TANDEM. Nelle misure “convenzionali” di radiocarbonio questo sistema e

estremamente rapido ed efficiente; tuttavia nel caso in cui si vogliano effettuare misure

con campioni estremamente poveri di radiocarbonio o di concentrazione formale nulla

13Si ricorda che q, definito nella 2.2.2, e lo stato di carica della particella.

2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 31

insorgono vari tipi di problemi. Analizzando gli spettri di energia rilasciata dalle particelle

nel rivelatore si registrano infatti un certo numero di conteggi ad energie diverse da quelle

attese (Fig.2.9). Le cause sono principalmente due: particelle che hanno urtato con le

Figura 2.9: Spettri ottenuti con alla camera di ionizzazione. A sinistra viene mostrato ilcaso di un campione ricco in radiocarbonio, a destra il caso di un campione “blank”.

pareti nella parte finale della linea o sul collimatore di ingresso della camera di ionizzazione

oppure ioni che, avendo avuto interazioni di scambio carica14 nella colonna di alta energia,

hanno acquisito stati di impulso/carica ed energia/carica, che, combinati con la loro

traiettoria, hanno permesso il loro ingresso nel rivelatore finale.

La camera di ionizzazione, almeno in linea di principio, potrebbe permettere di identificare

i vari tipi di ioni. Questo rivelatore e costruito in modo tale da avere il catodo suddiviso

in due parti realizzate in modo che la prima, piu vicina alla finestra di ingresso di Mylar,

sia piu corta dell’altra. Questo consente alle particelle di perdere nel primo tratto del

rivelatore solamente una piccola frazione ∆E della loro energia, e di rilasciare la parte

restante sull’altra parte del rivelatore. Le misure fatte con rivelatori di questo tipo,

detti “telescopi”, vengono effettuate accettando solo quegli eventi che siano registrati in

coicidenza sulle due parti del catodo, si effettua quindi una misura di ∆E ed E per ogni

particella incidente.

Per particelle cariche non relativistiche di massa m e carica q si ha, dalla formula di

Bethe-Block, che:

dE

dx= C1

mz2

Eln(

C2E

m) (2.2.3)

14Il gas usato come stripper allinterno del TANDEM puo diffondere in minima parte verso i terminalidi alta e bassa energia facendo in modo che possano verificarsi fenomeni di scambio di carica anche al difuori del terminale.

32CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

Figura 2.10: La camera di ionizzazione installata presso il LABEC. La figura mostral’anodo (a), il catodo (b), la griglia di Frisch (c) e la finestra di ingresso di Mylar (d).

dove C1 e C2 sono delle costanti e z = qe. Questo valore della perdita di energia diffe-

renziale, nel caso in cui lo spessore del primo rivelatore risulti piccolo rispetto al range

medio delle particelle, puo essere assunto costante. L’energia persa all’interno del primo

rivelatore sara quindidE

dx∆x dove ∆x e lo spessore del rivelatore. Se si valuta il prodotto

dE

dxE, il risultato e solo debolmente dipendente dall’energia ma rappresenta un indicatore

sensibile del valore mz2 che caratterizza le particelle. Inoltre, se la radiazione incidente

e costituita da ioni aventi circa la stessa energia il valore ottenuto per le ampiezze de-

gli impulsi provenienti dai due rivelatori (proporzionale all’energia) e caratteristico per

ogni diversa specie atomica. Dato che l’energia incidente puo essere ottenuta sommando

l’energia rilasciata nei due rivelatori e possibile quindi determinare simultaneamente la

massa e l’energia delle particelle incidenti.

Questo tipo di misura non puo pero essere effettuato con la camera attualmente monta-

ta a causa di un valore troppo alto della risoluzione energetica del rivelatore (70 keV).

Un valore cosı alto puo essere imputato a varie cause di cui la principale e la variabilita

dello spessore attraversato dalle particelle nella finestra di ingresso (in Mylar). Questa

variabilita e legata sia alla tolleranza dello spessore che soprattutto alle deformazioni e

2.2. LA LINEA AMS DEL LABEC 33

le sollecitazioni meccaniche che possono alterare lo spessore ai bordi. L’impossibilita di

effettuare misure di tipo telescopico fa sı che, nelle misure di routine di radiocarbonio,

vengano acquisiti solamente spettri di ∆E.

Nell’ambito dell’esperimento MARASMA di V gruppo dell’INFN si e pensato di modifi-

Figura 2.11: Disegno 3D del nuovo tratto di canale.

care radicalmente la parte di alta energia della linea di spettrometria di massa inserendovi

dei nuovi elementi di discriminazione e diagnostica; in Fig.2.11 e riportato il progetto del

nuovo canale. Il progetto prevede la sostituzione della parte finale della linea in modo tale

che possano essere installati, oltre alla camera di ionizzazione, anche un visualizzatore di

profilo per fasci di bassissima intensita (BPM), un sistema di tempo di volo (TOF) ed un

rivelatore al silicio. In Fig.2.12 e riportato lo stato di avanzamento della linea.

Durante la fase di trasporto del fascio e estremamente importante avere degli elementi di

diagnostica che consentano di conoscerne la posizione e la forma. A questo scopo tutte

le macchine acceleratrici sono equipaggiate con Faraday cup per le misure di corrente

e visualizzatori di profilo di fascio. I BPM attualmente in commercio sono basati sulla

misura della corrente elettronica indotta su dei fili dal passaggio del fascio. La loro sensi-

34CAPITOLO 2. I PRINCIPI DELLA SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE

Figura 2.12: Lo stato attuale del progetto in cui si puo notare l’alloggiamento del visualiz-zatore di profilo di fascio (a) e quello del rivelatore al silicio (b).La parte relativa al tempodi volo, che comportera di fatto l’introduzione di un altro breve tratto di canale, e in fasedi realizzazione.

bilita, solitamente limitata a qualche decina di pA, permette loro di poter essere utilizzati

lungo la parte di bassa energia della linea AMS. Dopo le due analisi che vengono effet-

tuate nella parte di alta energia, invece, i valori tipici della corrente di fascio (∼ 10−5 pA

per il radiocarbonio) sono molto inferiori della soglia di rivelabilita di questi strumenti.

Per questo motivo e stato pensato di installare, al termine del canale di alta energia, un

particolare tipo di visualizzatore di profilo di fascio, utilizzato negli esperimenti di Fisica

Nucleare, con cui e possibile raggiungere sensibilita molto inferiori potendo rivelare anche

il passaggio delle singole particelle.

Prima di poter introdurre sul nuovo tratto di canale questo dispositivo e stato necessario

effettuare dei test per verificarne la funzionalita in condizioni di fascio analoghe a quelle

che si hanno sulla linea AMS. Nel resto di questa tesi sara mostrato il setup della linea

IBA in grado di riprodurre le stesse condizioni di fascio delle misure di radiocarbonio e i

risultati dei test che sono stati effettuati per caratterizzare il BPM. Si rimanda invece a

[Lazz08] per una discussione piu approfondita sul discriminatore di tempo di volo.

Capitolo 3

La linea IBA del deflettore

elettrostatico DEFEL

3.1 Introduzione

In questo capitolo e descritto il funzionamento della linea DEFEL di Ion Beam Analy-

sis equipaggiata con il deflettore elettrostatico. Questa linea permette di generare fasci

pulsati di ioni con frequenze selezionabili dall’Hz al kHz costituiti da un numero medio

estremamente limitato di particelle, eventualmente impostabile all’unita. Questa carat-

teristica ha permesso di effettuare dei test sul visualizzatore di profilo di fascio (BPM) in

condizioni di misura analoghe a quelle che si hanno sulla linea del radiocarbonio.

Oltre al principio di funzionamento del deflettore elettrostatico sono riportate alcune mi-

sure fatte con un rivelatore al silicio durante l’ottimizzazione dei parametri di trasporto

del fascio.

3.2 Principio di funzionamento

I pacchetti (“bunch”) di ioni sono generati, a partire da un fascio continuo proveniente

dall’acceleratore TANDEM, per mezzo di un doppio sistema di deflessione elettrostatica

che, agendo sulle particelle, ne modifica la traiettoria. Questo consente loro di passare

35

36 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

attraverso delle fenditure, opportunamente predisposte lungo il canale, per brevi intervalli

di tempo. Il sistema di deflessione e formato da un predeflettore e da un deflettore. L’idea

e che il predeflettore generi delle finestre temporali dell’ordine del µs entro le quali al fa-

scio sia consentito procedere lungo il canale producendo1, a partire da un fascio continuo,

una prima serie di pacchetti di ioni della durata di circa 1µs. Il deflettore, che lavora in

sincrono col predeflettore, opera successivamente su questi pacchetti riducendoli a impul-

si formati da qualche particella. La molteplicita associata ad ogni impulso e variabile e

dipende principalmente dall’intensita del fascio e dall’apertura delle fenditure.

In Fig.3.1 sono illustrati in modo schematico gli elementi principali presenti sulla linea di

DEFEL. Dinamica del fascio: gli ioni, prima di entrare nel canale attraverso la fenditura

Figura 3.1: Schema dei componenti principali alloggiati sul canale di DEFEL. Oltre adeflettore e predeflettore sono presenti dei collimatori (S), aperture al tantalio (A), pompeper l’alto vuoto (V ) e elementi di diagnostica RP .

variabile S1, sono focalizzati da un doppietto di quadrupoli elettrostatici e un collimatore

(non presenti in figura). La fenditura S1, posta all’ingresso del canale, seleziona la parte

centrale del fascio (0.5 × 0.5)mm2 e ne regola l’intensita di corrente. Il fascio, dopo aver

superato un primo elemento di diagnostica2 (RP1) e il collimatore A1 (4.5 × 19)mm2

giunge al predeflettore. Il predeflettore, il cui schema elettrico e illustrato in Fig.3.2, e

formato da due armature poste a 7 mm di distanza e disposte parallelamente alla direzio-

ne del fascio (P1 e P2).

Questo dispositivo viene pilotato dall’elettronica in modo tale da avere due stati sta-

1Le frequenze di ripetizione attualmente utilizzabili sono comprese tra l’Hz e il kHz2 Gli elementi indicati con la sigla RP sono delle piattaforme rotanti equipaggiate con dei cristalli di

quarzo per il controllo della posizione e delle Faraday cup per le misure di corrente.

3.2. PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO 37

Figura 3.2: Schema elettrico del predeflettore.

zionari che corrispondono a due diversi valori delle tensioni applicate alle armature. Con

riferimento alla Fig.3.2 questi stati sono ottenuti per mezzo del mosfet Q1, che viene por-

tato in saturazione o in interdizione grazie ad una tensione all’ingresso IN rispettivamente

di 3.3 V oppure 0 V. Quando Q1 e in interdizione alle armature del predeflettore viene

applicata una differenza di potenziale di Vd = 800 V che devia le particelle del fascio dalla

traiettoria originale. Quando Q1 e in saturazione invece le armature si trovano entrambe

al potenziale di massa e la traiettoria del fascio rimane inalterata. All’uscita del prede-

flettore il fascio di ioni incontra l’apertura A2 che puo essere superata solo negli intervalli

temporali in cui le due armature del predeflettore si trovano a massa: dopo A2, saranno

presenti dei pacchetti di ioni la cui durata e tipicamente dell’ordine del microsecondo.

Proseguendo lungo il canale il fascio incontra una seconda fenditura ad apertura variabile

S2 utilizzata come antiscattering, un secondo elemento di diagnostica (RP2) e giunge

infine al collimatore A3 (4.5 × 19)mm2 posto all’ingresso del deflettore. Il collimatore

A3 ha una duplice funzione: blocca il passaggio alle particelle che potrebbero entrare nel

deflettore in zone di campo non uniforme e protegge le placchette (P1 e P2 di Fig.3.3)

dall’urto delle particelle del fascio durante le operazioni di allineamento e fuocheggia-

mento. Il deflettore, a differenza del predeflettore, lavora tra due stati stazionari tali da

deviare completamente il fascio dalla traiettoria originale (schema in Fig.3.3). Eseguendo

38 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

le stesse considerazioni svolte per il predeflettore si trova che, in entrambi i casi, il campo

elettrico prodotto e diretto perpendicolarmente alla direzione del fascio e vale ±Vd

2d. I

Figura 3.3: Schema elettrico del deflettore.

due valori del campo, questa volta di uguale modulo ed opposta direzione, fanno sı che

solo alcune delle particelle presenti all’interno del deflettore al momento della transizione

possano mantenere, in uscita dal dispositivo, traiettorie prossime a quelle originali: solo

particelle che siano state soggette per circa lo stesso tempo ai due campi opposti giunge-

ranno correttamente all’apertura variabile S3 e saranno quindi in grado di attraversarla.

Ritornando allo schema elettrico del deflettore, l’armatura inferiore e sempre mantenuta

a potenziale Vd/2 = 100V , l’armatura superiore si trova invece a potenziale Vd oppure a

massa a seconda che il mosfet Q1 sia interdetto o si trovi nello stato attivo. Nei due casi

viene quindi generato un campo elettrico uniforme e costante diretto verso l’alto o verso

il basso di 50V/mm.

Per meglio capire come lavora complessivamente il sistema di deflessione elettrostatica

sono riportati in Fig.3.4 i segnali che pilotano i terminali di ingresso di predeflettore e de-

flettore. Prima dell’inizio del ciclo l’armatura superiore del predeflettore si trova a 800V e

non permette il passaggio delle particelle che vengono fermate dall’apertura A2. All’inizio

del ciclo, applicando una tensione al terminale di ingresso del predeflettore viene permesso

il passaggio delle particelle; dopo un tempo di poco superiore a quello di transito degli

3.2. PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO 39

Figura 3.4: I canali 4 e 3, con riferimento allo schema di Fig.3.3, sono rispettivamenteall’ingresso “IN” di predeflettore e deflettore. I canali 1 e 3 sono rispettivamente le usciteindicate con “MONITOR” di predeflettore e deflettore.

ioni tra i due dispositivi viene effettuata la transizione tra i due stati del deflettore. Suc-

cessivamente vengono riportati nello stato iniziale prima il predeflettore e poi il deflettore.

Quest’ultima transizione deve avvenire, rispetto a quella del predeflettore, dopo un tempo

tale da permettere un completo svuotamento del canale del deflettore; in questo modo

si e sicuri che le particelle che superano la fenditura sono quelle dovute alla transizione

da 200 V a 0 V dell’armatura superiore del dispositivo: questa transizione viene scelta

perche e intrinsecamente piu veloce dell’altra3.

Questo sistema di deflessione basato su un dispositivo a due stadi e appartentemente mac-

chinoso e assai utile perche riduce in maniera drastica il fondo di radiazione dovuto alle

particelle che, durante gli stati stazionari del deflettore, verrebbero fermate in posizioni

3La commutazione dallo stato attivo allo stato spento del FET (transizione 0-200V delle armature)comporta la rimozione della carica dal canale del FET. Questo effetto e particolarmente evidente inFig.3.4 per il predeflettore (traccia blu) in cui si puo notare un ritardo di 400 ns dall’applicazione delsegnale in ingresso alla risposta del dispositivo.

40 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

casuali sull’ultimo tratto del canale invece che su A2. Questo accorgimento, ininfluente

nel caso di misure con carbonio, diventa molto importante quando si effettuano misure

con protoni di energia superiore a 3 MeV in cui, a causa degli urti con le pareti del canale,

e possibile generare neutroni per mezzo di reazioni p-n. Durante gli stati stazionari il de-

flettore devia le particelle verso le posizioni A e B di Fig.3.1, mentre alcune particelle gia

presenti tra le armature al momento della transizione potranno percorrere traiettorie tali

da attraversare l’apertura. Nel seguito e riportata un’analisi quantitativa che permette

di legare il numero di particelle che attraversano la fenditura con i parametri costruttivi

della linea.

3.3 Analisi sulle caratteristiche del fascio pulsato

In questo paragrafo saranno mostrate le caratteristiche degli impulsi creati con DEFEL e

come esse siano collegate ad una serie di variabili di tipo geometrico e dinamico; in parti-

colare verra mostrato come sia possibile legare il numero delle particelle che costituiscono

un pacchetto con le caratteristiche costruttive della linea. Nel seguito verranno adottate

le seguenti notazioni:

• l, lunghezza delle placchette deflettrici (∼ 60cm)

• d, distanza tra le placchette deflettrici (∼ 3mm)

• L, distanza deflettore-ultima fenditura S3 (∼ 5m)

• s, apertura dell’ultima fenditura (variabile 100µm ÷ 2mm)

• h, diametro del fascio in corrispondenza di S3

• tt, tempo di transito delle particelle all’interno del deflettore

• I, corrente di fascio

3.3. ANALISI SULLE CARATTERISTICHE DEL FASCIO PULSATO 41

• v⊥, velocita media perpendicolare rispetto alla direzione del fascio delle particelle

che attraversano l’apertura della fenditura S3.

Sara inoltre assunto che:

• il campo elettrico sia uniforme e costante all’interno del deflettore e sia diretto lungo

una direzione perpendicolare rispetto a quella di incidenza del fascio. Non vengono

inoltre considerati effetti di bordo;

• la transizione tra gli stati stazionari del deflettore sia istantanea.

In tutta l’analisi che segue verra adottato un sistema di riferimento con l’asse x orientato

lungo la direzione di incidenza del fascio e l’asse y lungo quella del campo elettrico generato

dal deflettore. In questo modo, supponendo nulla la velocita iniziale delle particelle lungo

il terzo asse coordinato, la velocita media v⊥ sara diretta esclusivamente lungo l’asse y

del sistema di riferimento. L’origine degli assi, infine, e posta nel punto in cui le particelle

entrano all’interno del deflettore.

Si consideri inizialmente, con riferimento alla Fig.3.5, che il fascio deflesso dal campo

elettrico inizi ad affacciarsi alla fenditura all’istante di tempo ti e termini di attraversarla

all’istante tf . In questo caso il numero n di ioni che riescono ad attraversare la fenditura,

chiamando IT (t) la corrente trasmessa al tempo t dalla fenditura, puo essere espresso

come:

n =1

qe

∫ tf

ti

IT (t)dt (3.3.1)

Effettuando il cambio di variabili y = v⊥t e considerando la corrente I indipendente dalla

quota lungo l’asse y si ottiene:

n =1

qe

∫ yf

yi

IT (t)

v⊥dy =

1

qev⊥

∫ yf

yi

IT (t)dy (3.3.2)

Il valore dell’integrale e sI ed e calcolato graficamente in Fig.3.6 per i due casi in cui il

diametro h del fascio sia minore dell’apertura s della fenditura (a sinistra) oppure mag-

giore (a destra). In questo calcolo si suppone che la corrente trasmessa cresca linearmente

42 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

Figura 3.5: In figura e schematizzato in giallo il profilo del fascio deflesso e in nero lafenditura S3. L’attraversamento dell’apertura inizia all’istante di tempo ti (a sinistra) etermina al tempo tf (a destra).

con la frazione di diametro di fascio che si affaccia alla feditura, resti poi costante per

tutto il tempo in cui il fascio viene trasmesso per intero ed infine cali ancora linearmente.

Il risultato dell’integrale, come si puo notare dalla figura, risulta essere per entrambi i casi

uguale a sI.

In definitiva, quindi, il numero medio delle particelle trasmesse con ogni impulso e espri-

Figura 3.6: A sinistra e riportato il valore dell’ultimo integrale della 3.3.2 nel caso incui la larghezza del fascio sia minore di quella della fenditura; a destra e invece riportatoil caso opposto. Da notare che, nel caso di destra, la corrente massima trasmessa dallafenditura risultera pari a i = I s

h.

3.3. ANALISI SULLE CARATTERISTICHE DEL FASCIO PULSATO 43

mibile come:

n =sI

qev⊥(3.3.3)

Nel prossimo paragrafo vedremo come sia possibile scrivere il parametro v⊥ in funzione

dei parametri costruttivi della linea.

3.3.1 Il moto delle particelle all’interno del deflettore

Per poter ottenere una relazione che fornisca il valore della velocita delle particelle per-

pendicolare alla direzione di incidenza del fascio, una volta che queste siano arrivate alla

fenditura finale S3, occorre integrare le equazioni di moto ed arrivare cosı ad ottenere la

legge oraria.

Per quanto e stato mostrato nei paragrafi precedenti, il campo elettrico generato tra le

armature del deflettore durante gli stati stazionari vale, in modulo, Vd

2d. Per questo motivo,

supponendo che per t = 0 avvenga la transizione tra i due stati del deflettore, il valore

del campo elettrico E da inserire nelle equazioni di moto sara:

E = −Vd

2dse t ≤ 0

E = Vd

2dse t > 0

Essenzialmente le particelle possono compiere, a seconda dell’istante t0 in cui entrano

all’interno del deflettore, due diverse tipologie di traiettorie: esse possono sperimentare per

tutta la loro permanenza nel deflettore lo stesso valore del campo elettrico oppure possono

essere presenti nel dispositivo durante la commutazione tra i due stati stazionari. La prima

tipologia di traiettoria si ha in due casi: quando le particelle entrano nel deflettore ad

un tempo t0 successivo alla transizione (t0 > 0) e quando invece escono dal dispositivo

prima che la transizione avvenga (t0 < −tt, dove tt e il tempo di transito delle particelle

nel deflettore). Analizzando adesso quest’ultimo caso (l’altro e del tutto analogo a meno

44 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

di un’inversione nel verso del campo) si ha per il moto lungo y:

may = −qeVd

2d(3.3.4)

Quindi:∫ t

t0

maydt′ = mvy(t) − mvy(t0) = −qeVd

2d(t − t0) (3.3.5)

Supponendo vy(t0) = 0, integrando nuovamente e ricordando che la quota y del fascio non

deflesso e nulla si ha:

y(t) = −qeVd

4md(t − t0)

2 (3.3.6)

Eseguendo adesso per il caso t0 > 0 l’inversione Vd → −Vd si ottengono le equazioni:

vy(t) =qeVd

2md(t − t0) y(t) =

qeVd

4md(t − t0)

2 (3.3.7)

In questi due casi, a causa dei valori del campo elettrico che viene impostato, le traiet-

torie delle particelle non sono tali da permettere il passaggio attraverso la fenditura. Le

particelle che verranno trasmesse sono invece alcune di quelle che si trovano nel deflettore

durante la transizione tra i due stati (−tf < t0 < 0) e che sperimentano quindi l’inversione

di campo elettrico. In questi casi, infatti, le equazioni di moto portano a:

vy(t) =qeVd

2md(t + t0) y(t) =

qeVd

2md(t2

2+ t0t −

t202

) (3.3.8)

Questi valori di coordinate e velocita sono limitati superiormente ed inferiormente dagli

stessi valori trovati per il primo tipo di traiettorie. Valutando adesso queste espressioni

per t = t0 + tt, ovvero l’istante in cui le particelle escono dal deflettore, si trova:

vy(t0 + tt) =qeVd

2md(tt + 2t0) y(t0 + tt) =

qeVd

2md(t20 + 2t0tt +

t2t2

) (3.3.9)

Queste particelle, una volta uscite dal deflettore, proseguiranno in linea retta fino ad

incontrare la fenditura S3. L’inclinazione γ rispetto alla direzione del fascio, ottenuta dal

3.3. ANALISI SULLE CARATTERISTICHE DEL FASCIO PULSATO 45

rapporto tra il valore della velocita lungo y e quella lungo x all’istante in cui le particelle

escono dal deflettore, sara:

tgγ =qeVd

2md(tt + 2t0)√

2Em

(3.3.10)

Il valore della coordinata y con cui le particelle arriveranno sulla fenditura e quindi

esprimibile come:

yfend = y(t0 + tt) + Ltgγ = kα + kβt0 + kt20 (3.3.11)

k =qeVd

2md(3.3.12)

α = L

m

2Ett +

t2t2

=m

2E(Ll +

l2

2) (3.3.13)

β = 2(L + l)

m

2E(3.3.14)

La velocita con cui le particelle si muovono lungo la fenditura, ottenibile direttamente da

yfend, vale:

vfend = kβ + 2kt0 (3.3.15)

Occorre adesso, per ottenere un valore della velocita media v⊥, trovare l’intervallo di valori

di t0 per cui le particelle transitano attraverso la fenditura e successivamente effettuare

una media temporale tra i relativi valori della vfend(t0). A questo scopo occorre impostare

il sistema:

kα + kβt0 + kt20 > −s+h2

kα + kβt0 + kt20 < s+h2

Risolvendo in t0 si ottengono come soluzioni:

β

2(−1 −

1 −4α

β2+

2(s + h)

kβ2) < t0 <

β

2(−1 −

1 −4α

β2−

2(s + h)

kβ2) (3.3.16)

β

2(−1 +

1 −4α

β2−

2(s + h)

kβ2) < t0 <

β

2(−1 +

1 −4α

β2+

2(s + h)

kβ2) (3.3.17)

46 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

I parametri che compaiono nelle espressioni possono essere espressi in funzione dei para-

metri costruttivi come:

β2=

Ll + l2

2

(l + L)2(3.3.18)

2(s + h)

kβ2=

2E(s + h)d

qeVd(l + L)2(3.3.19)

Da notare che per avere i valori delle espressioni sotto radice sempre positivi si richiede

che:

E <qeVd

2(s + h)d(L2 + Ll +

l2

2) (3.3.20)

Questa disuguaglianza e sempre soddisfatta dato che i valori di energia che vengono im-

postati sono tali che il valore massimo della quota y raggiunta dal fascio sulla fenditura,

calcolabile impostando t0 = 0 nell’espressione di yfend, sia in modulo maggiore di s+h2

,

ovvero:

yfend(0) =qeVd

4dE(Ll +

l2

2) >

s + h

2→ E <

qeVd

2d(s + h)(Ll +

l2

2) (3.3.21)

Tornando al sistema di disequazioni, l’intervallo con valori di t0 accettabili e dato dalla

seconda delle due soluzioni, difatti utilizzando le (3.3.18) e (3.3.19) si ha che:

1 −Ll + l2

2

(L + l)2−

2E(s + h)d

qeVd(l + L)2> (3.3.22)

1 −Ll + l2

2

(L + l)2−

2(s + h)d

qeVd(l + L)2

qeVd

2d(s + h)(l2

2+ Ll) >

L2

(L + l)2

In questa espressione si e maggiorato inserendo al posto di E il valore massimo calcolato

con la (3.3.21). Valutando adesso il valore minimo del secondo intervallo si trova:

β

2(−1 +

1 −4α

β2−

2(s + h)

kβ2) >

m

2E(l + L)(−1 +

L2

(l + L)2) = −tt + cost (3.3.23)

3.3. ANALISI SULLE CARATTERISTICHE DEL FASCIO PULSATO 47

Da notare anche che il valore nell’espressione tra parentesi nella penultima espressione e

minore di zero. Allo stesso modo per l’estremo superiore:

1 −Ll + l2

2

(L + l)2+

2E(s + h)d

qeVd(l + L)2<

L2 + l2 + 2lL

(l + L)2= 1 (3.3.24)

In questa espressione una volta si e usato il valore di E calcolato con la (3.3.21).

E’ possibile adesso effettuare la media temporale della velocita perpendicolare delle par-

ticelle; per semplicita di notazione saranno chiamati ti e tf i valori limite dell’intervallo

di tempo per cui le particelle transitano attraverso la fenditura. Effettuando la media si

trova:

v⊥ =1

tf − ti

∫ tf

ti

dt0(kβ + 2kt0) = kβ + kt2f − t2itf − ti

= kβ + k(tf + ti) (3.3.25)

Inserendo infine i valori trovati risolvendo il sistema precedente si ottiene:

v⊥ =qeVd

4d

1

2mE(

L2 +l2

2+ Ll −

2E(s + h)d

qeVd

+

L2 +l2

2+ Ll +

2E(s + h)d

qeVd

)

(3.3.26)

Grazie a questo risultato e possibile esprimere in funzione dei parametri costruttivi il

numero delle particelle che transitano attraverso la fenditura, ovvero:

n =4dsI

√2mE

q2e2Vd(√

L2 + l2

2+ Ll − 2E(s+h)d

qeVd+

L2 + l2

2+ Ll + 2E(s+h)d

qeVd)

(3.3.27)

Dato che L, l e Vd sono parametri non modificabili della linea e che s ed h variano al-

l’interno di un piccolo range di valori, alle energie utilizzabili col TANDEM l’espressione

(3.3.27) puo essere ulteriormente semplificata trascurando gli ultimi termini nelle due ra-

dici al denominatore. Inserendo il valori numerici per L, l e Vd nell’espressione precedente

si ricava:

n ≈sI√

2mc2E

q2× 1.2 ∗ 105 1

A · m · eV(3.3.28)

48 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

Dove e stato moltiplicato e diviso per c2 all’interno della radice al numeratore.

Il valore di n ricavato da questa espressione, seppur formalmente corretto, non tiene

conto di fattori di scala che possono essere valutati solo a posteriori. Essi sono dovuti, ad

esempio, all’estensione finita anche lungo l’asse perpendicolare al piano xy dell’apertura

S3 oppure ad una variazione della v⊥ dovuta ad un non perfetto allineamento del fascio

con l’ultima fenditura. Resta comunque il fatto che la (3.3.28) e un buon punto di partenza

per l’impostazione dei parametri del fascio.

3.4 Messa a punto del fascio

Il Beam profile monitor, in situazioni di regime, dovra operare sulla linea di isotopi rari

del TANDEM installato al LABEC. Le tipiche condizioni di fascio che si hanno durante

le fasi di misura del radiocarbonio sono ioni 14C da 10.035 MeV con ritmi di conteg-

gio massimi dell’ordine di 50 Hz. Si e cercato quindi di ricreare un fascio con le stesse

caratteristiche: ioni carbonio sono stati estratti dalla sorgente di tipo sputtering della

linea AMS e accelerati con una tensione di terminale di 2.5 MV. Il fascio cosı ottenuto,

di energia identica al caso AMS, e stato iniettato sulla linea di DEFEL dove, operando

sull’apertura delle fenditure e sull’intensita di corrente si e cercato di creare degli impulsi

formati, almeno nella maggior parte dei casi, da una singola particella di carbonio. La

verifica dell’energia e quindi della molteplicita sono state fatte per mezzo di un rivelatore

al silicio Hamamatsu S3590 con il quale e stato possibile costruire gli spettri relativi ai

vari setup.

La catena elettronica utilizzata per acquisire i segnali provenienti dal rivelatore e formata

da un preamplificatore TENNELEC 171, un amplificatore-formatore ORTEC 572 im-

postato in guadagno unitario e tempo di formazione 1µs e un ADC Silena 7411. I dati

convertiti in digitale dal Silena 7411 sono acquisiti per mezzo di una scheda di interfaccia

che colloquia in modo asincrono sia con l’ADC che con il PC, e da programmi di gestione

che interpretano i dati forniti al computer e li presentano all’utilizzatore.

3.4. MESSA A PUNTO DEL FASCIO 49

3.4.1 Il sistema di acquisizione dati

La scheda, mostrata in Fig.3.7, e stata sviluppata e “sbrogliata” per mezzo dei pacchetti

CISTM e LAYOUTTM presenti nel software ORCADTM. Il “cuore” della scheda e un di-

spositivo CycloneII prodotto da ALTERATM che si occupa della gestione dei segnali di

interfaccia e del temporaneo immagazzinamento dei dati. I dispositivi della serie Cyclone

appartengono alla famiglia FPGA (Field Programmable Gate Array) dei dispositivi digi-

tali la cui funzionalita viene implementata via software e che possono essere programmati

un elevato numero di volte. Nel caso dei dispositivi ALTERATM il produttore mette a

Figura 3.7: La scheda del sistema di acquisizione.

disposizione QUARTUSTM , un software di sviluppo con cui vengono generati dei files

di programmazione a partire dallo schematico del circuito logico disegnato dall’utente o

da dei listati scritti in VHDL4. In generale i dispositivi appartenenti alla famiglia degli

FPGA possiedono una memoria volatile; per questo motivo sono utilizzati insieme a dei

4VHDL, acronimo di ’VHSIC Hardware Description Language’ (VHSIC a sua volta e l’acronimodi ’Very High Speed Integrated Circuits’), e uno dei linguaggi piu usati per la progettazione di sistemielettronici digitali. Esso si presenta in maniera molto simile ad un linguaggio di programmazione; ladifferenza principale e che, dovendo servire per programmare dei dispositivi hardware in cui sono presentidiversi elementi interagenti, diverse parti di codice devono poter essere eseguite contemporaneamente.

50 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

dispositivi con memoria non volatile che siano in grado di tener traccia della configura-

zione di programmazione e di ricaricarla nell’integrato ogni volta che viene acceso. Nel

circuito realizzato e utilizzato un EPCS4: una memoria di tipo flash che consente una

programmazione di tipo seriale del dispositivo. Il principio di funzionamento della scheda

Figura 3.8: Rappresentazione tramite blocchi logici del circuito.

e illustrato in Fig.3.8. Un dato, una volta convertito dall’ADC, viene presentato e man-

tenuto in ingresso alla CycloneII in parallelo su 13 bit fino a quando, con un opportuno

segnale, la CycloneII non comunica al convertitore l’avvenuta ricezione del dato5. Il valore

letto dall’ADC viene immagazzinato su una FIFO (First In First Out), creata all’interno

della CycloneII, che permette di regolare il flusso di dati tra periferiche aventi differenti

velocita. Il circuito e in grado di immagazzinare dati molto velocemente, in modo da poter

registrare eventi anche temporalmente molto vicini e successivamente inviare le “letture”

al PC. La FIFO immagazzina i dati che le vengono presentati e con essi crea una coda da

cui i dati vengono prelevati nello stesso ordine in cui sono arrivati e inviati alla seriale.

Il protocollo di trasmissione tra i vari dispositivi e il seguente: l’ADC, una volta che ha

terminato la conversione di un dato, porta lo stato di un pin (collegato al circuito), detto

di “data ready”, dal valore logico alto a quello basso. Contemporaneamente viene inibito

l’ingresso dell’ADC in modo tale che non possa essere iniziato nessun altro processo di

5Il modo in cui avviene lo scambio di dati tra questi due dispositivi verra illustrato nel prossimoparagrafo.

3.4. MESSA A PUNTO DEL FASCIO 51

Figura 3.9: Risultato della simulazione. Da notare che, rispetto a quanto esposto in questoparagrafo, nella simulazione i dati in uscita dall’ADC sono mantenuti fino al “data ready”successivo.

conversione finche il circuito non avra correttamente immagazzinato il dato. Il circuito,

una volta registrata la transizione sul pin di “data ready”, invia all’ADC la richiesta di let-

tura del dato portando al livello logico alto la tensione su un pin, detto di “data request” o

“output data enable”. L’ADC, come risposta, presenta in ingresso al circuito il valore (in

binario) che ha convertito e lo mantiene, finche non riceve, una volta terminato il processo

di immagazzinamento del dato, un segnale che indica la fine della comunicazione (“data

accepted”). Questo segnale fa sı che vengano cancellate tutte le informazioni relative alla

conversione e, contemporaneamente, permette la riabilitazione dell’ingresso dell’ADC. Il

pin di “data ready” viene quindi riportato al livello logico alto. L’ADC e quindi pronto

per una nuova conversione.

In Fig.3.9 e mostrato il risultato di una simulazione effettuata grazie al programma

QUARTUSTM. In questa figura, oltre ai segnali di Handshake, sono riportati anche diversi

altri segnali tra cui sono presenti data, il risultato della conversione dell’ADC su 13 bit,

clk 18432, il clock della CycloneII a 1.8432 MHz, e serial out, il pin di uscita dei dati in

forma seriale. In questa simulazione sono inoltre presenti un segnale di clear asincrono

52 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

collegato ad un pulsante sulla scheda (naclr), un segnale di clock a 60 MHz generato

internamente alla CyloneII ed utilizzato per le operazioni di letture-scrittura sulla FI-

FO, e due segnali, clk ser en e load che vengono utilizzati per comandare un registro a

scorrimento con cui i dati, presentati in parallelo dall’ADC, vengono scritti in maniera

seriale sul pin di uscita serial out. In particolare con il comando load viene abilitata

l’uscita del registro e con clk ser en viene abilitato il clock, ottenuto da una opportuna

demoltiplicazione di quello in ingresso, che serve per scandire la frequenza con cui i bit

vengono impressi sull’uscita seriale. Questo protocollo supporta gli ADC Silena 7411 e

7423 e potra essere riutilizzato anche nella fase di test del BPM.

I dati in uscita dalla CycloneII e diretti alla porta seriale (57.6 kbps) sono infine convertiti

dallo standard TTL (1 logico: 3.3V , 0 logico: 0V ) con cui lavora tutta la logica inserita

nell’integrato, a quello RS-232, uno degli standard utilizzato per il trasferimento seriale

(1 logico: −12V , 0 logico 12V ). Per questo motivo e stato inserito, tra l’uscita dei dati

dell’integrato e la porta seriale vera e propria, un convertitore tra questi due standard. In

Fig.3.8 e schematizzato anche un I/O esterno, attualmente non utilizzato, che permettera

di impostare i veti necessari per il controllo dell’acquisizione sulla linea di spettrometria

di massa.

I dati inviati al computer sono poi essere letti da un programma che si occupa di imma-

gazzinarli e di presentare all’utente un istogramma con il numero di eventi registrati in

funzione dell’energia delle particelle. Per questo motivo sono stati scritti due programmi

in linguaggio C ; il primo, sostanzialmente un driver, gestisce la ricezione e l’immagazzina-

mento dei dati dal circuito; il secondo utilizza questi dati per costruire istogrammi. Questi

programmi sono poi richiamati all’interno di un terzo programma che genera un’interfaccia

grafica per l’utilizzatore.

3.4.2 Le misure

Con la catena di acquisizione appena descritta sono state provate alcune configurazioni

di fascio. Ricordandosi della (3.3.28) ricavata precedentemente sono state scelti i valori

3.4. MESSA A PUNTO DEL FASCIO 53

di s e I in modo tale da avere dei valori di n dell’ordine dell’unita. In Fig.3.10 e Fig.3.11

sono riportati alcuni risultati ottenuti rispettivamente nei casi di s ∼0.3 mm e I ∼7 nA

ed s ∼0.2 mm e I ∼1 nA. Nelle figure sono riportati, accanto ai rispettivi istogrammi,

i grafici ottenuti all’oscilloscopio (contemporanei all’acquisizione) impostando un valore

infinito per la persistenza della traccia. Nel primo caso le fenditure sono ancora relati-

Figura 3.10: Risultati delle misure impostando S1 e S3 a 0.3 mm e la corrente a 7 nA.

vamente larghe e consentono quindi, in una buona parte dei casi, il passaggio di piu di

Figura 3.11: Risultati delle misure impostando S1 e S3 a 0.2 mm e la corrente a 1 nA.

una particella alla volta; nel secondo caso, invece, e stato ridotto il numero di particel-

le trasmesse stringendo le fenditure e defocalizzando il fascio alla sorgente allo scopo di

54 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

diminuire la densita lineare di ioni. Questi spettri sono stati ottenuti considerando che

i rivelatori al silicio Hamamatsu S3590 presentano in ingresso uno “spessore morto” di

SiO2 di circa 310 nm [Aki05] dove, da delle simulazioni, e stato stimato che le particelle

perdano circa 360 keV.

Vengono adesso presentati, in Fig.3.12, i risultati dei fit gaussiani relativi ai due picchi

Figura 3.12: Risultati dei fit relativi ai primi due picchi della Fig.3.10.

piu popolati dell’istogramma di Fig.3.10. Nella parte di bassa energia sono presenti delle

code molto probabilmente dovute alle particelle che entrano nel rivelatore dopo aver pre-

cedentemente urtato altri elementi, come ad esempio le fenditure.

Dalla Fig.3.13, espansione in scala logaritmica della Fig.3.10, si puo notare come la popo-

lazione dei vari picchi segua un andamento pressoche esponenziale. In realta, da un’analisi

effettuata con dei protoni [Mir07] con impulsi formati anche da qualche decina di parti-

celle, si evince piuttosto che la distribuzione della popolazione dei vari picchi segua un

andamento poissoniano. Questo risultato puo essere giustificato considerando che gli ioni

vengono estratti, sia dalla sorgente di carbonio sia da quella dei protoni, ad intervalli

di tempo che non sono precisi e regolari6: per questo motivo il numero di particelle che

entra all’interno del deflettore nell’intervallo di tempo “giusto” per essere trasmesso dalla

fenditura e, per ogni deflessione, diverso. La statistica di Poisson emerge naturalmen-

te da questo contesto considerando che il problema, dal punto di vista statistico, puo

6Chiaramente la corrente letta sugli strumenti di misura, risultato di una media temporale su un breveperiodo, rimane costante.

3.4. MESSA A PUNTO DEL FASCIO 55

Figura 3.13: Espansione in scala logaritmica lungo l’asse y della Fig.3.10.

essere riformulato in una maniera equivalente: si puo infatti considerare, a causa della

non uniformita nell’emissione temporale di particelle dalla sorgente, che, supponendo in

media costante il numero di particelle presenti nel deflettore, ogni ione possa trovarsi con

probabilita p all’interno della finestra temporale in cui le particelle vengono trasmesse.

Considerando a questo punto che il numero di particelle presenti all’interno del deflettore

e molto grande e che, in queste condizioni di lavoro, la probabilita di trasmissione e molto

piccola7, il numero di particelle trasmesse in ogni deflessione sara distribuito secondo una

distribuzione binomiale dove il numero di eventi e molto alto e la probabilita di successo

molto bassa. Puo essere dimostrato che questa distribuzione tende ad assumere la forma

di una distribuzione di Poisson nel limite in cui il numero di eventi N tenda all’infinito

come il reciproco della probabilita di successo p; il valore di aspettazione e inoltre espri-

mibile come il prodotto Np.

Le considerazioni appena svolte consentono di verificare che i valori di n calcolati inserendo

nella (3.3.28) i valori di E, s e I, pur non riproducendo i risultati osservati sperimental-

mente (si ricava infatti n ∼ 13 nel caso di S3 ∼ 0.3 mm e I ∼7 nA; n ∼ 1.3 per S3 ∼ 0.2

mm e I ∼1 nA), “scalano” correttamente con le quantita s ed I. L’assunzione che il nu-

mero di particelle trasmesse dalla fenditura sia distribuito secondo una curva poissoniana

7Gli impulsi sono costituiti, come si e visto dai grafici, da poche particelle. Considerando che perioni di carbonio 12 da 10MeV ed una corrente di fascio di 1nA sono presenti nel deflettore circa 100particelle, la probabilita di trasmissione attraverso la fenditura puo essere considerata molto piccola.

56 CAPITOLO 3. LA LINEA IBA DEL DEFLETTORE ELETTROSTATICO DEFEL

ns (Fig3.11) ns (Fig.3.10)

2A(2)A(1)

0.089±0.002 0.784±0.008

3A(3)A(2)

0.09±0.01 0.78±0.01√

6A(3)A(1)

0.087±0.001 0.782±0.002

Tabella 3.1: Nella prima colonna e riportata l’espressione utilizzata per calcolare il valoredi n con le aree dei primi tre picchi di Fig.3.11 e Fig.3.10 e nelle colonne 2 e 3 sonoriportati i risultati ottenuti. Gli errori sono stati calcolati dalla propagazione delle formulein prima colonna attribuendo ad ogni area un errore pari alla radice del numero di conteggisul ogni picco.

consente infatti di ottenere una stima del valore sperimentale di n dalla divisione di aree

tra picchi successivi che puo essere poi confrontato con il valore predetto dalla (3.3.28).

Si ricorda infatti che, se la popolazione dei picchi in funzione della molteplicita x segue

un andamento poissoniano, i valori delle aree trovate sperimentalmente devono seguire la

relazione:

A(x) = anx

x!(3.4.29)

Dove a e un fattore che tiene conto del numero complessivo di eventi registrati.

In tabella 3.1 sono riportati i valori di n ottenuti utilizzando le aree dei primi tre picchi di

Fig.3.11 e Fig.3.10. I rapporti tra i valori di n sperimentali e di quelli teorici calcolati con

la (3.3.28), per le considerazioni svolte precedentemente, forniscono il valore del “fattore

geometrico” dovuto al posizionamento e all’estensione sul piano perpendicolare a xy della

fenditura S3. Dato che le due misure sono state effettuate senza alcuna variazione su

questi parametri, il fatto che questi due rapporti siano, in entrambi i casi, circa uguali a

0.06, mostra che la dipendenza lineare di n dai parametri s ed I ricavata teoricamente e,

almeno in prima approssimazione, corretta.

La determinazione del valore sperimentale di n consente infine di poter estrarre dalla

distribuzione poissoniana una stima del numero di deflessioni che non hanno portato al

passaggio di alcuna particella. E’ interessante notare che, in una configurazione di fascio

come quella illustrata in (3.3.28), in circa il 90% dei casi non si ha il passaggio di nessuna

particella.

Capitolo 4

La caratterizzazione del BPM

4.1 Introduzione

In questo capitolo sara descritto il visualizzatore di profilo di fascio che verra installato

sulla nuova linea di spettrometria di massa del LABEC spiegandone il principio di fun-

zionamento e le caratteristiche costruttive: meccaniche ed elettroniche. Saranno inoltre

presentate le prove di funzionamento in condizioni di fascio simili a quelle che si hanno

nelle misure di radiocarbonio.

Il visualizzatore di profilo di fascio proposto e un particolare tipo di camera a fili (Multi

Wire Proportional Chamber o MWPC), modificato per le esigenze della linea si spettro-

metria di massa con acceleratore, che permette di registrare il punto di impatto delle

particelle. L’idea di base e quella di introdurre delle linee di ritardo tra i fili della camera

in modo da misurare differenze di tempo in funzione della posizione del filo colpito.

4.2 La camera a fili

Una camera a fili e costituita, almeno nella sua versione piu semplice, da una serie di fili

(anodi) disposti parallelamente e separati da due piani conduttori detti catodi (Fig.4.1). I

fili sono usualmente tenuti a massa, mentre i piani conduttori vengono tenuti a potenziale

negativo. A sufficiente distanza dagli anodi, come mostrato nella Fig.4.2, il campo e

57

58 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

Figura 4.1: Rappresentazione schematica della sezione di una camera a fili.

approssimativamente costante ed ha una forma molto simile a quella che si trova in un

condensatore a facce piane e parallele. In prossimita degli anodi, invece, il campo generato

dal singolo filo prende il sopravvento su quello generato dai rimanenti: il campo diventa

molto piu intenso ed acquisisce una struttura di tipo radiale. L’espressione esatta del

campo elettrico e esprimibile come [Sau77]:

E(x, y) =CV0

2ǫ0s

1 + tg2(xπs

)tgh2(yπ

s)

tg2(xπs

) + tgh2(yπ

s)

(4.2.1)

Dove V0 e la tensione di polarizzazione e C e la capacita per unita di lunghezza, ovvero:

C =2πǫ0

Lπs− ln(2aπ

s)

(4.2.2)

La camera e riempita con del gas che, in seguito al passaggio delle particelle, viene io-

nizzato producendo coppie elettrone-ione. Le cariche cosı prodotte migrano quindi verso

il catodo (ioni) oppure verso i fili anodici (elettroni). Di particolare importanza per la

costituzione del segnale e, in questa fase, il moto elettronico.

Si puo supporre di seguire il moto di un elettrone formatosi per ionizzazione in prossimita

4.2. LA CAMERA A FILI 59

Figura 4.2: Superfici equipotenziali (in grigio) e linee di campo (in rosso) all’interno diun Multiwire Proportional Chamber.

di un catodo1 a causa dell’ingresso nel rivelatore di una particella: esso, come e possibile

calcolare dalla (4.2.1), si trovera inizialmente in una zona di campo di bassa intensita

e eseguira quindi un moto di deriva verso il filo piu vicino. Successivamente, a causa

dell’aumento dell’intensita del campo elettrico, la particella acquisira un’energia cinetica

che le permettera di creare nuove coppie elettrone-ione. Queste particelle, a loro volta

potranno innescare nuovi processi di ionizzazione dando luogo alla cosiddetta “valanga

di Townsend”. Se la tensione applicata al rivelatore e compresa all’interno di una certa

finestra di valori, il numero di coppie che vengono create grazie al processo “a valanga”

risulta proporzionale al numero di particelle create per ionizzazione primaria. Il fattore

M di proporzionalita puo essere espresso come [Sau77]

M = eαV0 (4.2.3)

Il segnale prodotto per induzione sull’anodo a seguito della creazione della valanga ha le

caratteristiche di un impulso asimmetrico: il tempo di salita, legato alla carica elettronica

prodotta dalla valanga in prossimita di un filo, e brevissimo, dell’ordine di pochi ns. Il

tempo di discesa e molto piu lungo, essendo dovuto al moto degli ioni, che possiedono

1Questa situazione e relativa, in ordine temporale, alle prime ionizzazioni dato che le particelle entranonel rivelatore attraversando una delle due finestre di ingresso.

60 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

minore mobilita ed inerzia maggiore. Il valore della coordinata di impatto della particella

sul rivelatore e quindi definito una volta che si e a conoscenza del filo su cui e avvenuta

la raccolta di carica.

Prima di procedere alla descrizione della raccolta dei segnali e bene sottolineare che, nel

loro modo usuale di funzionare, questi rivelatori non sono adatti per effettuare misure di

timing. Cio e dovuto al fatto che gli ioni, prima di iniziare a contribuire alla formazione

del segnale, devono attraversare il rivelatore fino a portarsi in prossimita dei fili. Questo

limite puo essere superato, come nel caso del visualizzatore che verra descritto nei prossimi

paragrafi, grazie all’utilizzo di pressioni molto basse del gas e di valori alti della tensione

di polarizzazione. Il questo modo la creazione “a valanga” di coppie, prerogativa della

zona vicino ai fili in condizioni normali di utilizzo, diventa possibile su tutto il volume del

rivelatore. I dispositivi che operano con questi valori di tensione e pressione presentano

in uscita dei segnali piuttosto ampi e sono in grado di fornire anche una buona risoluzione

temporale, per questo motivo sono talvolta utilizzati nelle misure di timing negli esperi-

menti di collisioni tra ioni pesanti.

4.3 Il Beam Profile Monitor

Il visualizzatore di profilo di fascio che e stato sviluppato, diretta evoluzione delle camere

a fili descritte precedentemente, e un rivelatore che permette la ricostruzione su un piano

piuttosto che su di una sola coordinata del punto di impatto sul rivelatore. Il BPM che

verra adesso descritto e basato su due camere a fili posizionate ortogonalmente una ri-

spetto all’altra che condividono lo stesso catodo centrale2. Esso consiste in due gruppi di

fili, uno perpendicolare all’altro, tra cui e posizionato un piano conduttore che funge da

catodo; in questo modo e possibile effettuare una ricostruzione sul piano xy piuttosto che

sulla sola coordinata x del punto di impatto delle particelle. Quando una particella entra

2Esso, seppur con sostanziali modifiche, e derivato dal modello sviluppato dal Gruppo di Ioni Pesantidell’INFN all’interno dell’esperimento FIASCO.

4.3. IL BEAM PROFILE MONITOR 61

Figura 4.3: Rappresentazione in sezione dello schema di un Beam Profile Monitor.

all’interno del rivelatore produce per ionizzazione una serie di coppie elettrone-ione che

verranno raccolte sia dai fili che definiscono la coordinata x che da quelli che determinano

la y. Conoscendo la coppia di fili su cui ha avuto luogo la raccolta di carica e quindi

possibile ricostruire le due coordinate dell’evento. Nel BPM realizzato ognuno dei due

gruppi di anodi si trova ad una distanza dal catodo di 3 mm, Fig.4.3, ed e costituito da

40 fili di tungsteno dorato aventi diametro di 20 µm e distanti 1 mm l’uno dall’altro.

Il gas utilizzato per la produzione delle coppie elettrone-ione e n-eptano (n-C7H16) ed e

fatto flussare nel rivelatore in maniera continua. Le due finestre esterne, che permettono

Figura 4.4: Praticolari costruttivi di un visualizzatore di profilo di fascio. A sinistra eriportata una serie di 40 fili, insieme alla linea di ritardo (b) e al foro (a) necessario ilpassaggio dell’eptano tra le due parti del rivelatore. E’ indicato con (d) uno dei due canaliattraverso cui puo essere introdotto il gas. Nella figura a destra e stato aggiunto a questosistema il catodo (c).

62 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

il contenimento del gas, e il catodo sono realizzate con fogli di Mylar di (40 × 40) mm2;

i fogli sono bialluminati e hanno uno spessore di circa 2 µm. Uno spessore di 2µm rap-

presenta un buon compromesso tra la resistenza meccanica delle finestre e la perdita di

energia causata dal loro attraversamento, che dovrebbe essere la minima possibile.

Il principio di funzionamento del BPM si basa sul creare delle differenze temporali nella

raccolta dei segnali provenienti dai vari fili per mezzo dell’introduzione di linee di ritar-

do tra di essi secondo lo schema elettrico riportato in Fig.4.5. Ogni linea di ritardo e

formata da 39 coppie induttanza-condensatore che forniscono ognuna un’impedenza ca-

ratteristica di ∼ 50 Ω ed un ritardo di 2.7 ns. Quando uno ione attraversa la camera

produce un segnale che viene raccolto da uno dei 40 fili. Il segnale viaggia verso i due

estremi della linea di ritardo giungendo infine alla catena elettronica di amplificazione.

Dal momento che il ritardo introdotto da ogni “blocco” di circuito e definito e costante,

il tempo necessario per raggiungere l’estremo destro del circuito e generalmente diverso

da quello per raggiungere quello sinistro. Grazie a questo fatto e quindi possibile ottenere

Figura 4.5: Schema della linea di ritardo che e stata costruita.

due misure indipendenti sulla posizione del filo, misurando per esempio la differenza di

tempo tra l’arrivo del segnale di catodo (che viene interpretato come l’istante iniziale) e

4.4. IL SETUP DELLA MISURA 63

la raccolta del segnale ad ognuno dei due estremi della linea. In questo modo, conoscendo

il ritardo introdotto da ogni tratto di linea, e possibile conoscere il filo dal quale proviene

il segnale semplicemente dividendo per questo valore la differenza di tempo misurata. Ai

fini di possedere un’informazione su quale sia il filo interessato basterebbe semplicemente

misurare la differenza di tempo relativa ad uno dei due estremi. Il vantaggio nel misurare

anche l’altra differenza di tempo consiste nel discriminare gli eventi realmente collegati

al passaggio di una particella da quelli che si possono generare a causa del rumore. Nel

caso di un evento “reale” la somma dei due tempi di percorrenza deve risultare uguale a

quella necessaria a percorrere l’intera linea.

Infine che esiste un altro metodo di ricostruzione delle posizioni, equivalente a quello appe-

na illustato, che non prevede l’utilizzo del segnale di catodo. E’ infatti possibile misurare

la differenza di tempo che intercorre tra l’arrivo del segnale ad un estremo della linea

e quello, opportunamente ritardato, in arrivo a quello opposto. Tipicamente il ritardo

viene scelto almeno pari al tempo di transito della linea; in questo modo si ha la sicurezza

che, indipendentemente dal punto dove viene registrato l’evento, il segnale utilizzato come

“start” preceda temporalmente quello di “stop”.

4.4 Il setup della misura

Come e stato anticipato nel capitolo precedente, i test sul BPM sono stati effettuati utiliz-

zando il canale del deflettore elettrostatico che consente di riprodurre condizioni di fascio

analoghe a quelle che si hanno nelle misure di spettrometria di massa. Durante la fase di

test si e dovuto molto spesso operare sia sull’elettronica, per modificarne i guadagni, che

sul sistema di vuoto, alternando fasi di misura a fasi di messa a punto in laboratorio. E’

stato quindi necessario realizzare un sistema di controllo dei gas che, oltre alla distribuzio-

ne dell’eptano, permettesse di poter passare rapidamente, senza danneggiare le finestre di

Mylar del BPM, dalla pressione atmosferica all’alto vuoto (10−5−10−6 mbar) e viceversa.

Il sistema di controllo dei gas e illustrato in Fig.4.6 ed e formato principalmente da un

sistema di valvole, dei misuratori di vuoto e da due gruppi di pompaggio indipendenti;

64 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

Figura 4.6: Schema del sistema di vuoto e di flussaggio dell’eptano con sistemi di misuradi alto e basso vuoto (rispettivamente HV1 e LV1-3) e di pompaggio. Le frecce indicanoil percorso seguito dall’eptano durante le fasi di misura.

il visualizzatore e rappresentato all’interno della camera posta al termine del canale del

deflettore. La valvola V 1, detta di Bypass o cortocircuito permette, una volta aperta, la

comunicazione tra la camera esterna del deflettore e il BPM consentendo lo svuotamento

del rivelatore grazie al sistema di pompaggio installato sulla camera o il rientro in aria

per mezzo delle valvole V 5 e V 3. Durante le fasi di svuotamento o rientro in aria, oltre a

V 1, viene tenuta aperta anche la valvola V 2; anche V 2 e una valvola di Bypass e mette in

ulteriore comunicazione3 le due camere del visualizzatore col duplice scopo di evitare che

si possano creare delle differenze di pressioni tra di esse (vedi Fig.4.4) rendendo piu veloci

le fasi di svuotamento e di rientro. Durante la fase di svuotamento le valvole V 3 e V 4

sono tenute chiuse isolando cosı il visualizzatore dal resto della linea. La parte della linea

3Le due camere del BPM sono gia in comunicazione attraverso un piccolo foro (Fig.4.4 dettaglio a).

4.4. IL SETUP DELLA MISURA 65

isolata da V 3 e V 4, in rosso in Fig.4.6, in viene portata in vuoto grazie ad una pompa

preliminare di tipo scroll attraverso la valvola V 7. Quando i livelli di vuoto raggiunti nelle

varie parti della linea sono buoni (∼ 10−5 mbar su HV1 e ∼ 10−2 mbar su LV3), le valvole

V 1, V 2 e V 7 vengono chiuse. Successivamente, aprendo V 6 e regolando opportunamente

V 3 e V 4 viene fatto flussare eptano all’interno del BPM secondo il percorso indicato dalle

frecce in blu di Fig.4.6. Le altre valvole, in questa fase, sono tenute chiuse.

Al termine delle misure, quando si vuole riportare in aria il sistema, e sufficiente spengere

Figura 4.7: Il BPM all’interno della camera di misura.

il sistema di pompe, riaprire le valvole di Bypass V 1 e V 2 e successivamente far rientrare

l’aria attraverso V 3 e V 5.

All’interno della camera e inoltre presente un sistema agganciato a due motori passo-passo

che permette la movimentazione del BPM lungo due direzioni cardinali. Per questo mo-

tivo la parte del circuito di flussaggio collegata al BPM e realizzata interamente con tubi

flessibili in silicone (Fig.4.7).

Questo sistema di flussaggio verra installato, senza sostanziali modifiche, anche sul nuovo

tratto di canale della linea di spettrometria di massa con acceleratore (vedi Fig.4.8).

66 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

Figura 4.8: Il sistema di flussaggio dei gas.

4.5 Segnali e descrizione della catena elettronica

La catena elettronica utilizzata, illustrata in Fig.4.9 e formata da due amplificatori, due

Constant Fraction Discriminator (CFD), un Time to Amplitude Converter (TAC) ed un

Analog to Digital Converter (ADC).

I segnali in uscita dai due lati di una delle due linee di ritardo hanno un’ampiezza correlata

Figura 4.9: Schema che riporta la catena elettronica realizzata.

alla posizione del filo su cui sono stati prodotti; in particolar modo tanto piu vicino e il filo

all’uscita tanto maggiore e l’ampiezza del segnale [Cart07]. Per questo motivo i segnali

in uscita, una volta amplificati, sono mandati in ingresso a dei CFD, dei dispositivi in

grado di fornire un segnale correlato temporalmente con l’arrivo del segnale di ingresso

4.5. SEGNALI E DESCRIZIONE DELLA CATENA ELETTRONICA 67

ed indipendente dall’ampiezza. Questi segnali vengono utilizzati per le marche di tempo

Figura 4.10: Confronto tra due marche di tempo ottenute con un CFD (a destra) oppureottenute impostando una soglia di rivelazione superata la quale viene fornita l’uscita. Icerchi indicano l’istante in cui viene fornita la marca di tempo; il CFD fornisce segnaliin uscita indipendenti dall’ampiezza degli impulsi in ingresso.

che vanno a formare i segnali di “start” e “stop”4 del TAC, il quale fornisce in uscita

un valore di tensione proporzionale alla differenza di tempo che intercorre tra l’arrivo

di questi due segnali. L’uscita di questo dispositivo e infine collegata ad un ADC che

si occupa della conversione analogico-digitale del segnale. I segnali in uscita dall’ADC

vengono infine inviati ad un PC che si occupa di immagazzinare i dati e di presentare i

risultati all’utilizzatore.

4.5.1 I circuiti di amplificazione

I segnali prodotti dal visualizzatore di profilo di fascio sono indirizzati agli amplificatori

presenti alle quattro uscite delle due linee di ritardo e al catodo.

Per poter realizzare questi amplificatori e stato necessario conoscere la forma e l’ampiezza

dei segnali in uscita dal catodo e dai fili di anodo. Per questo motivo, precedentemente

alla realizzazione degli amplificatori, sono state effettuate delle misure5 in cui sono stati

acquisiti all’oscilloscopio solamente i segnali di uscita delle linee di ritardo e del catodo.

Inoltre, per avere la conferma che i segnali fossero realmente attribuibili al passaggio delle

particelle, e stato montato dietro al visualizzatore un rivelatore al silicio6. In Fig.4.11 sono

4Il segnale di stop viene ritardato di 108 ns, la somma dei ritardi della linea. E’ stato scelto questovalore per utilizzare la dinamica del TAC con fondoscala 200 ns.

5Le impostazioni di fascio sono le stesse descritte nel capitolo 36I segnali in uscita da questo dispositivo sono amplificati e formati grazie alla stessa catena elettronica

che e stata illustrata nel terzo capitolo.

68 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

mostrati i risultati di queste misure: come si puo notare il segnale di catodo risulta essere

praticamente doppio rispetto a quello in uscita dalla linea di ritardo; cio e dovuto al fatto

che, sul catodo, sono raccolte le particelle positive ottenute dai processi moltiplicativi di

entrambe le parti del rivelatore.

I circuiti, illustrati in Fig.4.13 e 4.12 mostrano che, in entrambi i casi, l’amplificazione

Figura 4.11: I segnali non amplificati provenienti dal catodo (viola), da una delle uscitedella catena di ritardo (blu). In giallo e mostrato il segnale (amplificato) in uscita darivelatore al silicio.

e ottenuta mediante l’utilizzo di piu stadi indipendenti; questo permette di ottenere le

amplificazioni volute limitando, almeno rispetto ad un amplificatore con un solo stadio,

le perdite in banda passante7.

Nel caso del circuito di amplificazione per i fili di anodo e stato realizzato un circuito a

componenti discreti formato da due stadi Cascode successivi, il primo e formato da due

transistor npn ed opera in configurazione invertente; l’altro, formato da un pnp e un npn,

opera invece in configurazione non invertente. Un amplificatore Cascode e costituito da

uno stadio a emettitore comune (CE) seguito da uno a base comune (CB); entrambi utiliz-

7Va ricordato che, per un singolo amplificatore, il prodotto guadagno-banda passante e una costanteintrinseca del dispositivo.

4.5. SEGNALI E DESCRIZIONE DELLA CATENA ELETTRONICA 69

Figura 4.12: Il circuito di amplificazione per i segnali dei fili.

zati all’interno della regione attiva diretta. In questa configurazione entrambi i dispositivi

possono lavorare come dei generatori di corrente controllata e possono quindi essere uti-

lizzati come amplificatori. La configurazione Cascode prevede inoltre un alto valore sia

per la resistenza di ingresso che per quella di uscita dell’amplificatore. L’elevato valore

della resistenza di uscita fa sı che il guadagno dell’amplificatore sia circa pari a quello ot-

tenibile nel caso in cui si utilizzi solamente uno stadio CE. Il vantaggio di utilizzare anche

uno stadio CB sta nel fatto che esso consente un allargamento della banda passante, in

confronto all’amplificatore formato dal singono stadio CE, riducendo la capacita riportata

all’ingresso per effetto Miller.

Analizzando il circuito da sinistra si trova la resistenza R30; essa e stata inserita per

ottenere un’impedenza di ingresso complessiva di ∼ 50Ω, la stessa presentata in uscita

dal BPM. Il condensatore C10, cosı come C9 e C13, funziona da condensatore di blocco;

la sua funzione e cioe quella di isolare, per quanto riguarda i segnali in continua, la parte

di circuito che si trova a monte da quella che si trova a valle del componente. Per quanto

riguarda invece i segnali in alternata questi condensatori sono, dato il loro elevato valore

di capacita, dei cortocircuiti e permettono quindi il passaggio dei segnali.

Analizzando il primo stadio Cascode si trovano le resistenze R22 e R23 e sono utilizzate,

insieme a R21, R19 e R20, per definire la rete di polarizzazione e i punti di lavoro dei

70 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

transistor. Le resistenze R21 e R19 definiscono inoltre il guadagno dello stadio amplifi-

catore. I condensatori C11 e C12, detti di “bypass”, si comportano da rami aperti per

i segnali in continua e da cortocircuiti per quelli in alternata. La loro funzione e quindi

quella di estromettere, per quanto riguarda i segnali, le resistenze R20 e R27.

Il secondo stadio amplificatore e anch’esso di tipo Cascode ma, a differenza dell’altro, non

opera alcuna inversione del segnale. Esso e stato realizzato utilizzando un transistor pnp

in configurazione ad emettitore comune al posto un npn; il guadagno di questo stadio e

regolato infine da R28 e R29.

Al termine dei due stadi e stato infine inserito un ulteriore amplificatore (OPA 693) che

opera da buffer invertente. La sua funzione e quella di erogare una corrente tale da poter

pilotare 50Ω, ovvero il valore della resistenza di ingresso al CFD. Dalle specifiche tecniche

infatti si trova che esso puo erogare una corrente massima di 120 mA; esso possiede inoltre

una banda passante di 1400 MHz in guadagno +1 e uno slew rate pari a 2500 V/µs.

Il circuito per i segnali di catodo contiene, oltre all’elettronica necessaria per l’amplifi-

Figura 4.13: Il circuito di amplificazione per i segnali di catodo.

cazione dei segnali, anche il filtro di alta tensione per il rivelatore e un condensatore di

pickup per il segnale. A causa degli elevati valori di tensione a cui questa parte di circuito

opera essa deve essere completamente disaccoppiata, grazie al condensatore di blocco C7,

4.5. SEGNALI E DESCRIZIONE DELLA CATENA ELETTRONICA 71

da quella di amplificazione dei segnali8. La parte di amplificazione dei segnali e analoga a

quella utilizzata per i fili; le uniche differenze riguardano il fatto che questo circuito deve

amplificare dei segnali di polarita positiva e quindi il buffer invertente e stato sostituito

da uno non invertente. Inoltre, dato che i segnali di catodo hanno un’ampiezza maggiore

di quelli dei fili, e stato diminuito rispetto all’altro circuito il guadagno del secondo stadio

Cascode. In entrambi i curcuiti, infine, sono presenti due diodi indicati con D1 e D2 nel

circuito dei fili e D3 e D4 in quello di catodo. Essi sono stati inseriti per limitare gli

effetti sull’elettronica di amplificazione di eventuali scariche nel rivelatore.

In Fig.4.14 sono mostrati i segnali amplificati provenienti da tre delle quattro uscite delle

Figura 4.14: I segnali amplificati provenienti dal catodo (canale 1) dalle linee di ritardo(canali 2, 3, 4). I “ringing” sui segnali dei fili sono dovuti ad un non perfetto adattamentodegli amplificatori con la linea di ritardo.

linee di ritardo e dal catodo.

4.5.2 Il sistema di acquisizione

I dati in uscita dall’ADC sono stati acquisiti con la stessa interfaccia descritta al termine

del capitolo precedente; in questo caso, pero, sono stati scritti dei programmi con cui

8Da notare che una configurazione del genere e necessaria dato che, per questo tipo di rivelatori, ilcatodo deve essere utilizzato sia per portare in tensione il rivelatore (−560 V rispetto ai fili) che perottenere i segnali veri e propri.

72 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

vengono generati due tipi di istogramma: il primo riporta il numero di eventi registrati

su ogni filo del visualizzatore di profilo di fascio; il secondo mostra i conteggi ottenuti in

funzione del valore, in mV, letto dall’ADC. Il secondo istogramma, inoltre, effettua un

ridimensionamento in tempo reale della finestra di visualizzazione dati; in altre parole il

programma individua il massimo e il minimo valore di tensione su cui sono stati registrati

eventi ed adatta di conseguenza le dimensioni della finestra di visualizzazione. In questo

modo e possibile apprezzare i dettagli della distribuzione degli eventi, soprattutto quando

questi sono distribuiti su una piccola finestra di valori. Dato che questi programmi sono

stati scritti per essere utilizzati come “strumenti di diagnostica in tempo reale”, e stato

deciso di incorporare in essi una funzione che permetta, a scelta dell’utente, di memoriz-

zare e visualizzare solamente gli ultimi N eventi arrivati. In questo modo, chiamando ad

esempio M il numero massimo di eventi impostati, alla registrazione dell’evento M + 1

viene automaticamente rimosso dal grafico il dato 1, e cosı via per i successivi. Inoltre,

nel caso di fasci estremamente deboli il refresh della grafica puo essere sincronizzato sul

singolo evento.

4.6 La caratterizzazione del rivelatore

Sono di seguito riportati i risultati delle prove effettuate con il fascio pulsato di DEFEL

per determinare il valore della risoluzione spaziale lungo i due assi su cui sono disposti i

fili del visualizzatore. Viene successivamente data una stima del valore dello spessore dei

fogli di Mylar che formano le due finestre e il catodo.

4.6.1 La risoluzione spaziale del rivelatore

Per determinare i valori di risoluzione spaziale del rivelatore sono stati acquisiti degli spet-

tri illuminando il visualizzatore con singoli ioni ottenuti dalla deflessione del fascio di 12C .

In queste misure l’apertura della fenditura finale di DEFEL, indicata con S3 nel capitolo

precedente, e stata impostata a ∼0.2 mm lungo la direzione della deflessione e a ∼1 mm

lungo quella perpendicolare; questo ha permesso il passaggio nella maggior parte dei casi

4.6. LA CARATTERIZZAZIONE DEL RIVELATORE 73

di una singola particella. I risultati, mostrati in Fig.4.15, sono stati ottenuti spostando il

rivelatore a passi di ∼0.25 mm separatamente lungo i due assi coordinati9.

Figura 4.15: I risultati per i fili disposti parallelamente (a sinistra) o perpendicolarmente(a destra) alla direzione di deflessione.

Ciascun picco ha un contenuto di circa 10000 conteggi; su ognuno di essi e stato eseguito

un fit gaussiano e il valore dalla larghezza a meta altezza (FWHM) e riportato in figura.

Come si puo notare dalle figure, il valore ottenuto dal grafico a destra e molto simile a

quello impostato per l’apertura di S3. Questo fatto suggerisce che il valore di ∼0.2 mm

della FWHM debba essere interpretato piu come un limite superiore dovuto al minimo

valore impostabile per l’apertura piuttosto che come una stima effettiva del potere riso-

lutivo del rivelatore. La conferma e data dal fatto che, ruotando di 90 il rivelatore, i

risultati ottenuti per le due risoluzioni sono praticamente “scambiati”. Quest’ultima ana-

lisi potrebbe essere effettuata semplicemente restringendo la fenditura S3 e portandola

a (0.2×0.2)mm2; in questo modo, pero, la grande maggioranza dei “pacchetti” trasmessi

(oltre il 99%) sarebbe risultata vuota. Come visto nel capitolo 3, il numero medio di

eventi atteso dipende linearmente dalla corrente del fascio. Il fascio, durante il trasporto

sul canale, attraversa una serie di collimatori e fenditure, poste a metri di distanza le

une dalle altre, su un percorso complessivo di oltre 10 m. Nelle fasi operative, l’apertura

delle fenditure e tipicamente dell’ordine del mm o sua frazione ed essendo completamente

mobili, cioe composte da 4 slitte indipendenti, e praticamente impossibile che si vengano

a trovare in posizione perfettamente centrata rispetto al cammino ottico del fascio; o me-

9La movimentazione del visualizzatore e stata effettuata grazie a due motori montati all’interno dellacamera e pilotabili da remoto grazie ad un software dedicato.

74 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

glio, e molto improbabile attraversarle tutte col “nocciolo” del fascio. Questa situazione

crea due tipi di problemi: il primo e che la corrente effettiva in arrivo su S3 sia minore di

quella registrata dall’ultima faraday cup, il secondo e che la corrente puo essere soggetta

a fluttuazioni temporali, anche non piccole, dipendenti da variazioni dei campi elettrici e

magnetici che il fascio incontra lungo il suo cammino. Anche impostando la frequenza di

deflessione a ∼1 kHz si acquisirebbe un numero ragionevole di eventi solo in tempi molto

lunghi. Inoltre, la frequenza di deflessione non puo essere aumentata in maniera indiscri-

minata in quanto aumenterebbe la dissipazione sulle resistenze di carica del deflettore e

predeflettore (Fig.3.3 e Fig.3.2); nella configurazione utilizzata in misura, alla frequenza

di 1 kHz e con tempi ricavabili dalla Fig.3.4, la potenza dissipata sulla resistenza del

predeflettore e gia di circa 4.7 W.

Tornando alla Fig.4.15 si nota che e possibile avere dei picchi anche nello spazio compre-

so tra due fili. E’ possibile infatti che, facendo incidere una particella sul rivelatore, la

raccolta di carica sia ripartita su piu fili invece che localizzata su uno solo. I segnali in

uscita dagli amplificatori sono la somma dei contributi dati dai singoli fili: questi sono

dipendenti dalla quantita di carica rilasciata su ciascuno di essi e sfasati tra loro di 2.7

ns. Quindi, a seconda di come si ripartisce la carica, puo variare sensibilmente il tempo

necessario a superare la soglia del CFD facendo sı che diventi possibile ottenere una sen-

sibilita agli spostamenti inferiore della distanza tra i fili. In Tab.4.1 sono riportati i valori

degli spostamenti “nominali” effettuati con i motori e i valori effettivamente misurati dalle

differenze tra i centroidi dei picchi della Fig.4.15. Il fatto che i centroidi dei picchi non

Spostamento nominale (mm) ∆ (mm) ∆ (mm)0.25 0.22 0.240.50 0.44 0.490.75 0.67 0.67

Tabella 4.1: Nella prima colonna sono riportati gli spostamenti nominali effettuati con ilsistema di movimentazione, nelle altre due colonne gli spostamenti “registrati” ottenutidalle differenze tra i centroidi dei picchi della Fig.4.15 a sinistra (colonna 2) e a destra(colonna 3) rispetto al picco piu a sinistra.

siano equispaziati, cosı come il fatto che i valori delle FWHM dei picchi di Fig.4.15 siano

4.6. LA CARATTERIZZAZIONE DEL RIVELATORE 75

diversi fra loro potrebbe essere indicativo di effetti di campo elettrico intenso presente in

prossimita dei fili.

Questi effetti sono ancora in fase di studio. E’ tuttavia importante sottolineare che questi

effetti sono del tutto ininfluenti per quanto riguarda l’utilizzo del BPM sulla linea AMS;

per dare un’idea i BPM commerciali, ad esempio NEC82, hanno risoluzioni dell’ordine

del millimetro con correnti minime superiori al nA.

In Fig.4.16 e mostrato il risultato di una scansione lineare effettuata spostandosi lungo

Figura 4.16: Risultati della misura per i fili disposti lungo un asse coordinato.

uno dei due assi a passo costante. Come si puo notare da questa figura, gli estremi del

visualizzatore (composti da circa 5 fili per parte) non sono stati analizzati. Questo e

dovuto principalmente al fatto che, in questi casi, una delle due parti in cui si divide il

segnale in uscita da un filo deve percorrere praticamente l’intera linea di ritardo venendo

cosı attenuato. La sua ampiezza diventa, in questo modo, minore del valore impostato

come soglia di discriminazione dal rumore del CFD. Queste zone del rivelatore, inoltre,

non vengono mai utilizzate nella pratica a causa del fatto che presentano dei valori di

campo elettrico che si discostano, a causa di effetti di bordo, dal valore calcolato con la

76 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

(4.2.1).

4.6.2 La verifica degli spessori delle finestre di Mylar

Queste misure sono state effettuate per verificare se lo spessore dei fogli di Mylar e compa-

tibile con quello dichiarato dal costruttore. Questo valore e stato determinato misurando

l’energia degli ioni con un rivelatore al silicio in due diverse configurazioni:

• Silicio: in questo caso i pacchetti di particelle vengono intercettati direttamente dal

rivelatore al silicio;

• Silicio+BPM: viene misurata, in questo caso, l’energia residua posseduta dalle par-

ticelle a cui e stato preventivamente fatto attraversare il visualizzatore. All’interno

del BPM, in questo caso, non e stato fatto flussare eptano e quindi la perdita di

energia, rispetto al caso precedente, e maggiore solo a causa dei tre fogli di Mylar

che formano le finestre di ingresso, uscita e il catodo. Infine, al solo scopo di cono-

scere la perdita di energia dovuta all’attraversamento dello strato di eptano, e stato

acquisito uno spettro di energia facendo flussare dell’eptano all’interno del BPM.

Le due valvole che regolano il flusso, in questo caso, sono state regolate in modo da

raggiungere la pressione di 4.20 mbar all’interno del visualizzatore.

La stima degli spessori e stata ottenuta, partendo dai risultati delle misure appena de-

scritte, cercando di ricreare con delle simulazioni le perdite di energia ottenute sperimen-

talmente. In particolare queste sono state effettuate utilizzando un programma, SRIM,

con cui e possibile simulare l’attraversamento di strati di spessore noto di vari materiali

da parte di particelle. Questo programma, inoltre, fornisce in uscita i valori dell’energia

posseduta dalle particelle trasmesse. Va inoltre sottolineato che, a causa del fatto che il

costruttore dichiara per i fogli di Mylar una densita compresa tra 1.3 g/cm3 e 1.4 g/cm3,

e possibile estrarre da queste simulazioni solamente un limite superiore ed uno inferiore

per i valori dello spessore.

I risultati delle misure sono riportati in sovrapposizione in Fig.4.17. La calibrazione

4.6. LA CARATTERIZZAZIONE DEL RIVELATORE 77

Figura 4.17: Risultati delle misure effettuate per la determinazione dello spessore dei foglidi Mylar.

Figura 4.18: Sovrapposizione del picco misurato sperimentalmente (in verde) e della simu-lazione effettuata con un valore della densita di 1.3 g/cm3 e dello spessore di Mylar di 2µm per finestra (in blu). La differenza tra la larghezza del picco simulato e quello misuratoe dovuta sia al contributo di tutta la catena elettronica sia al fatto che le particelle nonentrano nel rivelatore tutte con lo stesso angolo di incidenza.

in energia e stata effettuata, come nel capitolo 3, utilizzando un valore per lo spessore

morto del rivelatore al silicio di circa 310 nm. Nella figura e riportato in rosso lo spettro

di energia nel caso in cui si ha perdita di energia nel solo spessore morto del rivelatore al

78 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

silicio, in verde quello in cui si e aggiunto il BPM ed infine in blu il caso in cui e stato fatto

flussare anche l’eptano. Dai risultati delle simulazioni, di cui un esempio e riportato in

Fig.4.17, e stato ricavato che il valore dello spessore dei singoli fogli di Mylar e compreso10

tra 1.8 µm e 2 µm. Questo risultato risulta essere consistente con quello dichiarato dal

costruttore di (2.0 ± 0.2) µm.

E’ interessante notare che, nei due spettri relativi alle configurazioni dove e inserito il

Figura 4.19: Ingrandimento della Fig.4.17.

BPM di Fig.4.17 sono presenti, oltre ai picchi principali, anche degli eventi ad energia leg-

germente inferiore; essi risultano ancora piu evidenti dall’ingrandimento di Fig.4.19 dove

si distingue un picco molto allargato intorno ai 2000 keV. Essi sono dovuti alle particelle

che hanno perso energia nell’urto con uno dei fili del visualizzatore di profilo di fascio

prima di entrare nel rivelatore al silicio.

10Questo valore non viene riportato nell’usuale notazione con valor medio ed errore perche, a causadell’incertezza con cui il costruttore fornisce la densita, e possibile estrarre dalle simulazioni solo un valoremassimo ed uno minimo per lo spessore.

4.7. I PARAMETRI DEL VISUALIZZATORE 79

4.7 I parametri del visualizzatore

Viene riportata in questo paragrafo una tabella riassuntiva contenente tutti i valori dei

parametri caratteristici del visualizzatore di profilo. In conclusione questi test hanno

permesso di determinare che questo dispositivo puo essere utilizzato, grazie al suo alto

potere di discriminazione, come visualizzatore di profilo di fascio sul nuovo canale di alta

energia della linea di spettrometria di massa con acceleratore.

Valore Min Tipico MaxTensione di esercizio -540 V -560 V -600 VPressione di esercizio 4.00 mbar 4.15 mbar 4.40 mbarSpessore del Mylar 1.8 µm × 2.0 µmRisoluzione spaziale <=0.2 mm × ×

80 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

Conclusioni e prospettive

Il lavoro che e stato presentato in questa tesi si inquadra all’interno del progetto MARA-

SMA condotto dal gruppo V dell’INFN, che portera entro l’anno delle modifiche sostanziali

per quanto riguarda la parte di alta energia della linea AMS. E’ stato progettato, infatti,

di modificare questo tratto di canale per inserirvi degli ulteriori elementi di discriminazio-

ne e diagnostica: un visualizzatore di profilo di fascio, un sistema discriminatore di tempo

di volo ed un rivelatore al silicio. Questi dispositivi verranno utilizzati per identificare

ed eliminare quelle interferenze che, nelle misure di radiocarbonio, sono ancora presenti

al termine della parte di alta energia e che di fatto limitano la precisione delle misure di

background dell’acceleratore.

Il lavoro si e concentrato sulla realizzazione dei test di funzionamento sul visualizzatore di

profilo di fascio; in particolare nella progettazione e nella realizzazione della parte hard-

ware e software legata all’acquisizione e all’immagazzinamento dei segnali generati dal

Beam Profile Monitor. E’ stata inoltre attrezzata la linea IBA di DEFEL con l’hardware

necessario per poter effettuare test (sistemi di flussaggio gas, elettronica e software di ac-

quisizione). Un fascio di ioni carbonio e stato canalizzato su questa linea e ha consentito

di ricreare con successo le condizioni tipiche di una misura di radiocarbonio in cui i valori

di corrente sono quelli relativi al passaggio di circa 50 particelle al secondo.

Con questo fascio e stato illuminato il Beam Profile Monitor su posizioni diverse; la ri-

soluzione ottenuta per il visualizzatore e risultata essere almeno dell’ordine del minimo

valore del diametro che e stato possibile impostare per il fascio di particelle (∼0.2 mm).

Questo valore, che molto probabilmente rappresenta solamente un limite superiore per la

risoluzione, consente gia di affermare che questo dispositivo soddisfa pienamente tutti i

81

82 CAPITOLO 4. LA CARATTERIZZAZIONE DEL BPM

requisiti richiesti per essere utilizzato come visualizzatore di profilo di fascio al termine

del canale di alta energia della linea AMS di radiocarbonio.

Sono previsti inoltre nuovi test sul visualizzatore per verificare le sue prestazioni anche

con fasci di 127I in cui lo spessore della finestra di ingresso in Mylar (∼2 µm) del BPM

potrebbe essere tale da degradarne le sue prestazioni. Questi ulteriori test risultano utili

perche, entro pochi mesi, sulla linea AMS del LABEC sara possibile iniziare ad effettuare

misure con 127I (isotopo stabile) e 129I (isotopo raro) in campioni di natura idrologica per

il monitoraggio delle scorie di fissione provenienti dalle centrali nucleari.

Appendice A

Il protocollo di trasmissione seriale

Sara adesso descritto brevemente il modo in cui avviene una comunicazione tramite porta

seriale tra dispositivi digitali facendo riferimento agli standard di un particolare protocollo

di trasmissione detto RS−232. Questo standard, presente ormai su moltissimi PC, utilizza

un protocollo seriale, asincrono, non bilanciato e con collegamenti di tipo “point-to-point”.

Viene adesso illustrato il significato di questi termini:

• Seriale: i dati vengono tramessi in maniera sequenziale su di un solo filo.

• Asincrono: i dati vengono trasmessi senza inviare un segnale di clock che sincronizzi

le operazioni effettuate dal dispositivo che trasmette e da quello che riceve, chiara-

mente sia il trasmettitore che il ricevitore devono sia conoscere la frequenza con cui

i dati vengono scritti sulla seriale sia disporre di un proprio clock con cui effettuare

tutte le operazioni.

• Non bilanciato: la trasmissione di un segnale di questo tipo e caratterizzata dal

fatto che il valore di tensione relativo ad ogni bit tramesso e misurato rispetto ad

un riferimento, detto massa, che puo essere positivo o negativo[Viv].

• Point-to-point : in questi tipologie di trasmissione il segnale viene inviato da un

trasmettitore ad un solo ricevitore.

83

84 APPENDICE A. IL PROTOCOLLO DI TRASMISSIONE SERIALE

E’ evidente inoltre la necessita di disporre di un parametro che in qualche modo definisca

le “prestazioni” della trasmissione ed in particolare la sua velocita ; a questo scopo la

quantita che viene definita e il cosiddetto baud rate, ovvero il numero di transizioni al

secondo che avvengono sulla linea. Esso coincide numericamente, almeno nel caso del

protocollo RS − 232, che si basa solo su due livelli logici, con il numero di bit che vengo-

no trasmessi ogni secondo sulla linea (bps). Nel caso di transizioni a piu livelli e invece

possibile trasmettere con una sola transizione piu bit ottenendo un baud rate minore a

parita di bit trasmessi1. Lo standard originale prevede una velocita di trasmissione fino

a 20Kbps. Uno standard successivo (RS-562) ha portato il limite a 64Kbps lasciando gli

altri parametri elettrici praticamente invariati e rendendo quindi i due standard compa-

tibili a bassa velocita. Nei normali PC le cosiddette interfacce seriali RS-232 arrivano in

genere almeno a 115Kbps, 230Kbps o anche piu: pur essendo tali valori formalmente al

di fuori di ogni standard ufficiale non si hanno particolari problemi di interconnessione.

Inoltre, dato che le funzioni di invio e ricezione di dati da parte di un dispositivo avvengo-

no su due fili separati l’interfaccia seriale permette di operare sia in modalita Half-duplex

dove la trasmissione e bidirezionale ma non contemporanea nei due versi sia in modalita

Full-duplex dove invece la trasmissione puo invece avvenire contemporaneamente sui due

fili.

La codifica dei segnali nello standard seriale viene effettuata, come gia anticipato, uti-

lizzando due livelli logici corrispondenti ai valori di tensione ±12V . In particolare un

segnale di +12V , detto di “Space”, viene interpretato come un livello logico basso, men-

tre un segnale di −12V , detto di “Mark” come un livello logico alto. Come si puo notare

Figura A.1: Un esempio di trasmissione dati tramite porta seriale.

1Ad esempio il protocollo PAM5 sono utilizzati cinque livelli, −2 −1 0 1 2, di cui quattro sono utilizzateper la codifica dei dati ed ognuno di essi rappresenta due bit.

85

il protocollo di trasmissione funziona su un tipo di logica “ribaltata” rispetto a quella

usuale e viene chiamata “logica negativa”. Dato che i dispositivi logici programmabili che

montano i nostri circuiti funzionano con la normale logica TTL (valore logico alto di 3.3V

e basso do 0V ) abbiamo inserito dei dispositivi di interfaccia tra la logica TTL standard

e quella negativa precedentemente esposta. In Fig.A si puo vedere una rappresentazione

ideale di come apparirebbe il segnale binario 00110000 se si disponesse di una trasmissione

seriale di 9600bps. Come si puo notare i bit vengono inviati in sequenza in pacchetti da 8

bit2 partendo dal meno significativo e facendo precedere al primo bit del dato un segnale

di start di +12V che viene introdotto per indicare l’inizio della trasmissione del dato ed

un bit di stop settato a −12V per segnalare la fine del pacchetto. Tra un bit di stop ed

il successivo start deve inoltre seguire almeno il tempo necessario per il trasferimento di

un bit (in alcuni casi questo tempo viene aumentato fino a 1.5 oppure 2 bit). Talvolta

viene infine inserito anche un bit ulteriore, detto bit di parita che viene utilizzato per

controllare se il dato trasmesso e stato ricevuto correttamente. Esistono diversi tipi di

parita:

• Nessuno: nessun tipo di bit di parita

• Dispari : il numero di bit “Mark” del pacchetto incluso il bit di parita deve essere

dispari

• Pari : il numero di bit “Mark” del pacchetto incluso il bit di parita deve essere pari

L’idea e quella di predeterminare la quantita di “Mark” e di Space da trasmettere, facendo

in modo che il loro numero sia sempre pari (o dispari, a secondo della scelta che si vuole

fare): cosı facendo, se durante la trasmissione dovesse accadere un errore su un singolo

bit, il ricevitore sarebbe in grado di rilevare l’errore, ma non di correggerlo. Si tratta

ovviamente di un protocollo di controllo degli errori elementare e di conseguenza in disuso

2Da notare che questo non e uno standard dato che e possibile anche trasmettere pacchetti da 7 o 9bit. In generale i vari tipi di trasmissione vengono indicati con delle sigle ad esempio 8n1,9e2; il primonumero indica il numero di bit trasmessi in ogni pacchetto, la lettera indica il tipo di parita (illustrata nelseguito) e il secondo numero indica il numero di bit di stop presenti alla fine del pacchetto (anche questipossono essere piu di uno.

86 APPENDICE A. IL PROTOCOLLO DI TRASMISSIONE SERIALE

a favore di altri sistemi basati su codici a ridondanza ciclica (CRC) o altri algoritmi piu

complessi.

Nel sistema di acquisizione che e stato analizzato nella tesi e stata utilizzata una velocita

di connessione di 57.6 kbps. E’ stato inoltre scelto di inviare, prima della trasmissione di

ogni dato al PC, un pacchetto di 8 bit contenente un valore alfanumerico. Questa scelta

e dovuta al fatto che, se fossero stati acquisiti contemporaneamente i segnali dalle serie

di fili del BPM, sarebbe servito un segnale che permettesse di identificare facilmente i

dati provenienti dalle due linee. Questo sarebbe potuto essere effettuato semplicemente

utilizzando due valori alfanumerici diversi per i segnali provenienti dalle due linee di

ritardo.

Il sistema di acquisizione, cosı come la trasmissione dei dati su seriale, e stato testato fino

ad un massimo rate di 1 kHz, 20 volte superiore al massimo ottenibile in una misura di

radiocarbonio.

Appendice B

Listati

Vengono riportati in questa appendice i listati dei due programmi con cui vengono gestiti

ed elaborati i dati ricevuti dall’ADC. Di questi uno ha la funzione di “server” ed imma-

gazzina i dati che vengono scritti sulla porta seriale su delle locazioni di memoria che sono

comuni all’altro programma il quale, funzionando da “client”, si occupa di costruire, con

i dati letti dal server, dei grafici grazie al programma Gnuplot.

Vengono riportati solo una volta i files di libreria da includere dato che sono comuni ad

entrambi i programmi. Essi devono essere inseriti all’inizio del programma grazie all’i-

struzione #include < nome libreria > e sono: stdio.h, sys/types.h, sys/ipc.h, sys/shm.h,

stdlib.h, time.h, string.h, unistd.h, fcntl.h, time.h, stdint.h, inttypes.h, sys/file.h, sys/ti-

me.h, signal.h.

I listati scritti per generare le interfacce grafiche, non riportati in questa appendice, sono

stati realizzati grazie ad un programma scritto in C che utilizza delle funzioni dette di

“callback”. Esse agiscono in maniera tale da collegare ogni evento che avviene sull’inter-

faccia (ad esempio la pressione di un tasto) con una specifica sequenza di comandi presenti

nel listato. Le finestre che costituiscono l’interfaccia sono disegnate grazie al programma

Glade.

Il Server

1 #define NMAXX 100001

87

88 APPENDICE B. LISTATI

#define SHMSZ 33000

3 #define waitsample 500000

#define i e v s t o p 2000000

5 #define SHMSZ2 33000

7 void te rminat i on ( int ) ;

9 struct te rmios o l d t i o , newtio ;

struct s i g a c t i o n s i g a c t ;

11 int fddx ,∗ shm ;

int NMAX=NMAXX;

13 int ∗ s ,∗ shm2 ;

f loat delay ,wb ;

15 FILE ∗wirebin ,∗Nmass ;

int main ( )

17

int data A0 , data A1 , answer [ 2 ] , d=0, i ev ;

19 f loat data A2 ;

f loat h , t imede l ;

21 int shmid , j , n , aux [NMAXX] ;

key t key ;

23 FILE ∗ f p i d ;

int shmid2 ;

25 key t key2 ;

int h2 , aux2 [NMAXX] ;

27 int ∗ s2 , k ;

29 wi r eb in=fopen ( ” w i r e b i n ” , ” r ” ) ; /∗ # di i n t e r v a l l i in cu i e ’ d i v i s o un f i l o ∗/

f s c a n f ( wirebin , ”%f ” ,&wb) ;

31 p r i n t f ( ”wb : %f \n” ,wb) ;

33 Nmass=fopen ( ”NMAX” , ” r ” ) ; /∗ # max di e v en t i da r e g i s t r a r e ∗/

f s c a n f (Nmass , ”%d”,&NMAX) ;

35 NMAX=NMAX+1;

p r i n t f ( ”Nmass : %d\n” ,NMAX) ;

37

s i g a c t . sa hand l er=terminat i on ; /∗ Gestione s e g n a l i da t a s t i e r a ∗/

39 s i gemptyset(& s i g a c t . sa mask ) ;

s i g a c t . s a f l a g s =0;

41 s i g a c t i o n (SIGTERM,& s i gac t ,NULL) ;

s i g a c t i o n (SIGINT,& s i ga c t ,NULL) ;

43 s i g a c t i o n (SIGQUIT,& s i ga c t ,NULL) ;

89

45 f p i d=fopen ( ” getp id ” , ”w+” ) ; /∗ Sc r i t t u ra pid per k i l l da i n t e r f a c c i a ∗/

f p r i n t f ( fp id , ”%d\n” , getp id ( ) ) ;

47 f c l o s e ( f p i d ) ;

49 key =5022; /∗Memoria condiv i sa co l c l i e n t ∗/

for ( j =0; j<NMAXX; j++) aux [ j ]=0; /∗ g r a f i c o f i l i ∗/

51 i f ( ( shmid=shmget ( key ,SHMSZ,IPC CREAT | 0666) ) <0)

per ror ( ”shmget” ) ; return 0 ;

53 i f ( ( shm=shmat ( shmid ,NULL, 0 ) )==(int ∗)−1)

per ror ( ”shmat” ) ; return 0 ;

55 key2=5021; /∗Memoria condiv i sa co l c l i e n t ∗/

for ( j =0; j<NMAXX; j++) aux2 [ j ]=0; /∗ g r a f i c o mV∗/

57 i f ( ( shmid2=shmget ( key2 ,SHMSZ2, IPC CREAT | 0666) ) <0)

per ror ( ”shmget2 ” ) ; return 0 ;

59 i f ( ( shm2=shmat ( shmid2 ,NULL, 0 ) )==(int ∗)−1)

per ror ( ”shmat2 ” ) ; return 0 ;

61

fddx = open ( ”/dev/ ttyS0” , ORDWR | O NOCTTY | O NDELAY) ;

63 i f ( fddx <0)

65 per ror ( ” open port : unable to open /dev/ ttyS0 − ” ) ;

e x i t (0) ;

67

else p r i n t f ( ” port ttyS0 opened \n” ) ;

69

t c g e t a t t r ( fddx ,& o l d t i o ) ; /∗ Se t t i n g s porta s e r i a l e ∗/

71 c f s e t i s p e e d (&newtio , B57600 ) ;

c f s e t o speed (&newtio , B57600 ) ;

73 newtio . c c f l a g &= ˜PARENB; // No par i t a

newtio . c c f l a g &= ˜CSTOPB; // Uno s top b i t

75 newtio . c c f l a g &= ˜CSIZE ; // No mask

newtio . c c f l a g |= CS8 ; // 8 b i t

77 newtio . c c f l a g |= (CLOCAL | CREAD) ;

newtio . c c c [VMIN]=0;

79 newtio . c c c [VTIME]=10;

t c f l u s h ( fddx , TCIFLUSH) ;

81 t c s e t a t t r ( fddx , TCSANOW, &newtio ) ;

p r i n t f ( ”\n i n i z i a l i z a t i o n complete \n\n” ) ;

83 t imede l =0.5;

85 p r i n t f ( ”\n\n∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n ACQUISITION STARTED \n

∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n\n” ) ;

90 APPENDICE B. LISTATI

87 s=shm ;

∗( shm+8230)=wb ;

89 for ( j =0; j <=(40∗wb) ; j++) ∗( s+j +1)=0;

s2=shm2 ;

91 for ( j =0; j <8192; j++) ∗( s2+j ) =0;

93 for ( i ev =0; i ev<i e v s t o p ; i ev++) /∗ I n i z i o c i c l o ac qu i s i z i one ∗/

95 while ( d != 25 ) n=read ( fddx ,&d , 1 ) ; /∗Let tura da s e r i a l e ∗/

n=read ( fddx , answer , 1 ) ;

97 n=read ( fddx , answer +1 ,1) ;

data A0=answer [ 0 ] ;

99 data A1=answer [ 1 ] ;

data A2=data A1∗256+data A0 ;

101 p r i n t f ( ” event number : \ t%d\n” , i ev ) ;

p r i n t f ( ” byte 1 :\ t%d\n” , answer [ 0 ] ) ;

103 p r i n t f ( ” byte 2 :\ t%d\n” , answer [ 1 ] ) ;

p r i n t f ( ”data :\ t%f \n\n” , data A2 ) ;

105

s=shm ;

107 h=(1.0∗data A2 ) /8000∗39+1.0; /∗Conversione cana l i− f i l i ∗/

i f ( ( h>=1)&&(h<=40))

109

for ( j=wb ; j <=(40∗wb) ; j++) /∗ Immagazzinamento da t i g r a f i c o f i l i ∗/

111

i f ( ( ( h )>=(j /wb) )&&((h ) <(( j +1)/wb) ) )

113

∗( s+j +1)=∗( s+j +1)+1;break ;

115

aux [ ( i ev )%(NMAX) ]= j ; /∗Eliminazione da t i dopo NMAX even t i ∗/

117 i f ( i ev >=(NMAX−1) ) ∗( s+aux [ ( i ev+1)%(NMAX) ]+1)=∗( s+aux [ ( i ev+1)%(NMAX) ]+1) −1;

119 s2=shm2 ;

h2=data A2 ; /∗Graf ico mV∗/

121 i f ( i ev==0)∗( s2+8248)=h2 ; ∗ ( s2+8247)=h2 ;

i f ( i ev >=1)

123 /∗Determinazione estremi f i n e s t r a d i v i s u a l i z z a z i on e ∗/

i f ( h2>∗( s2+8248) ) ∗( s2+8248)=h2 ;

125 i f ( h2<∗( s2+8247) ) ∗( s2+8247)=h2 ;

127 ∗( s2+h2 )=∗( s2+h2 )+1; /∗ Immagazzinamento da t i g r a f i c o mV∗/

aux2 [ ( i ev )%(NMAX) ]=h2 ;

129 i f ( i ev >=(NMAX−1) ) /∗Eliminazione da t i e aggiornamento estremi ∗/

91

/∗ d e l l a f i n e s t r a d i v i s u a l i z z a z i o n e ∗/

131 ∗( s2+aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] ) =∗( s2+aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] ) −1;

i f (∗ ( s2+aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] )==0) /∗Aggiornamento ∗/

133 /∗ estremo sx ∗/

i f ( aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ]==∗( s2+8248) )

135

for (k=aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] ; k>=0;k−−)

137

i f (∗ ( s2+k )>0) ∗( s2+8248)=k ; break ;

139

141 i f (∗ ( s2+aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] )==0) /∗Aggiornamento ∗/

/∗ estremo dx∗/

143 i f ( aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ]==∗( s2+8247) )

145 for (k=aux2 [ ( i ev+1)%(NMAX) ] ; k<8192; k++)

147 i f (∗ ( s2+k )>0) ∗( s2+8247)=k ; break ;

149 else i ev−−;

d=0;

151

t c f l u s h ( fddx , TCIFLUSH) ;

153 t c s e t a t t r ( fddx , TCSANOW, &o l d t i o ) ; /∗Chiusura s e r i a l e ∗/

c l o s e ( fddx ) ;

155 p r i n t f ( ”\n . . . . . . . . . . . . C los ing S e r i a l . . . . . . . . ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ . . . . . . \ n” ) ;

p r i n t f ( ” . . . Res tor ing Or i g i na l S e r i a l S e t t i ng s . . . \ n” ) ;

157 p r i n t f ( ” . . . . . . . . . . . . . . . Ex i t ing . . . . . . . . . . . . . . . . . . \ n\n” ) ;

p r i n t f ( ”\n\n∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n WAITING FOR START \n

∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n\n” ) ;

159 return 0 ;

161

void te rminat i on ( int p) /∗Usci ta da c t r l+c o k i l l da i n t e r f a c c i a ∗/

163

char a , nome [ 5 0 ] ,∗mode=”w+” ;

165 int i ;

FILE ∗ fp ,∗ fpmv ;

167 system (” c l e a r ” ) ;

p r i n t f ( ”\n . . . . . . . . . . . . C los ing S e r i a l . . . . . . . . . . . . . . \ n” ) ;

169 t c f l u s h ( fddx , TCIFLUSH) ;

p r i n t f ( ” . . . Res tor ing Or i g i na l S e r i a l S e t t i ng s . . . \ n” ) ;

171 c l o s e ( fddx ) ;

92 APPENDICE B. LISTATI

p r i n t f ( ” . . . . . . . . . . . . . . . Ex i t ing . . . . . . . . . . . . . . . . . . \ n\n” ) ;

173 p r i n t f ( ”\n\n∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n WAITING FOR START \n

∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗∗\n\n” ) ;

f p r i n t f ( stdout , ”Save ? (y/n) \n” ) ;

175 f s c an f ( stdin , ”%c” ,&a ) ;

f f l u s h ( s td i n ) ;

177 f f l u s h ( stdout ) ;

i f ( a==’y ’ ) /∗ Sa l v a t ag g i o da t i ∗/

179

p r i n t f ( ”Save the data as . . ( a f i l e with the same name w i l l be overwr i t ten ) \n” ) ;

181 f f l u s h ( stdout ) ;

f g e t c ( s td i n ) ;

183 f s c an f ( stdin , ”%s ” ,nome) ;

p r i n t f ( ”%s ” ,nome) ;

185 f f l u s h ( stdout ) ;

i f ( ( fp=fopen (nome , mode) )==NULL) p r i n t f ( ”can ’ t open %s \n” ,nome) ; e x i t (1) ;

187 for ( i=wb ; i <=(40∗wb) ; i++) f p r i n t f ( fp , ”%f \ t%d\n” , i /wb,∗ ( shm+1+i ) ) ;

i f ( ( fpmv=fopen ( ”data mv” ,mode) )==NULL) p r i n t f ( ”can ’ t open data mv\n” ) ; e x i t (1) ;

189 for ( s=shm2 ; ( s−shm2) <8192; s++) f p r i n t f ( fpmv , ”%d\ t%d\n” , ( s−shm2) ,∗ ( s ) ) ;

p r i n t f ( ” . . . . . . the f i l e s has been cr eated \n” ) ;

191 f f l u s h ( stdout ) ;

193 e x i t (1) ;

Il Client

#define SHMSZ2 33000

2 #define SHMSZ 33000

4 int main ( )

6 int shmid , shmid2 , i , Usleep ;

f loat wb ;

8 key t key , key2 ;

int∗shm ,∗ s ;

10 FILE ∗plot ,∗ f p id1 ;

FILE ∗ r e f r ;

12 int ∗shm2 ,∗ s2 ;

FILE ∗ plot2 ;

14

fp id1=fopen ( ” getp id1 ” , ”w+” ) ; /∗Pid per k i l l da i n t e r f a c c i a ∗/

93

16 f p r i n t f ( fp id1 , ”%d\n” , getp id ( ) ) ;

f c l o s e ( fp id1 ) ;

18

r e f r=fopen ( ” Ref r esh t ime ” , ” r ” ) ; /∗Refresh time de i g r a f i c i ∗/

20 f s c an f ( r e f r , ”%d\n” ,&Usleep ) ;

f c l o s e ( r e f r ) ;

22

key =5022; /∗Apertura memoria condiv i sa g r a f i c o f i l i e pipe su gnup lo t ∗/

24 p l o t=popen ( ” gnuplot −p e r s i s t ” , ”w” ) ;

i f ( p l o t==NULL) p r i n t f ( ”can ’ t open pipe1 \n” ) ; return 0 ;

26 f p r i n t f ( plot , ” s e t s t y l e data boxes\n” ) ;

i f ( ( shmid=shmget ( key ,SHMSZ,0666) )<0)

28

per ror ( ”shmget” ) ;

30 return 0 ;

32 i f ( ( shm=shmat ( shmid ,NULL, 0 ) )==(int ∗)−1)

34 per ror ( ”shmat” ) ;

return 0 ;

36

38 key2=5021; /∗Apertura memoria condiv i sa g r a f i c o mV e pipe su gnup lo t ∗/

plot2=popen ( ” gnuplot −p e r s i s t ” , ”w” ) ;

40 i f ( p l ot2==NULL) p r i n t f ( ”can ’ t open pipe2 \n” ) ; return 0 ;

f p r i n t f ( plot2 , ” s e t s t y l e data boxes \n” ) ;

42 i f ( ( shmid2=shmget ( key2 ,SHMSZ2,0666) )<0)

44 per ror ( ”shmget2 ” ) ;

return 0 ;

46

i f ( ( shm2=shmat ( shmid2 ,NULL, 0 ) )==(int ∗)−1)

48

per ror ( ”shmat2” ) ;

50 return 0 ;

52 wb=∗(shm+8230) ; /∗Prende da l se rver i l numero di i n t e r v a l l i in cu i

s i d i v i de un f i l o ∗/

54 for ( ; ; )

56 f p r i n t f ( plot , ” s e t t i t l e \”BPM\”\n” ) ; /∗Graf ico f i l i ∗/

f p r i n t f ( plot , ” s e t x l abe l \” wire \”\n” ) ;

58 f p r i n t f ( plot , ” s e t y l abe l \” events \”\n” ) ;

94 APPENDICE B. LISTATI

f p r i n t f ( plot , ” s e t nokey \n” ) ;

60 f p r i n t f ( plot , ” p l o t ’− ’\n” ) ;

for ( i=wb ; i <=(40∗wb) ; i++)

62 f p r i n t f ( plot , ”%f %d\n” , ( i /wb) ,∗ ( shm+i +1) ) ;

f p r i n t f ( plot , ”e\n” ) ;

64

s2=shm2 ; /∗Graf ico mV∗/

66 f p r i n t f ( plot2 , ” s e t xrange [%d:%d ] \n” ,∗ ( s2+8247) ,∗ ( s2+8248) ) ;

f p r i n t f ( plot2 , ” s e t t i t l e \”zoom on data \”\n” ) ;

68 f p r i n t f ( plot2 , ” s e t x l abe l \” channel \”\n” ) ;

f p r i n t f ( plot2 , ” s e t y l abe l \” events \”\n” ) ;

70 f p r i n t f ( plot2 , ” s e t nokey \n” ) ;

f p r i n t f ( plot2 , ” p l o t ’− ’ l t rgb \”navy \”\n” ) ;

72 for ( s2=shm2 ; ( s2−shm2) <8192; s2++)

f p r i n t f ( plot2 , ”%d %d\n” , ( s2−shm2) ,∗ ( s2 ) ) ;

74 f p r i n t f ( plot2 , ” e\n” ) ;

76 f f l u s h ( p l o t ) ;

f f l u s h ( p l ot2 ) ;

78 us l eep ( Usleep ∗1 e3 ) ; /∗Fine c i c l o d i p l o t ∗/

80 return 1 ;

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