Caratterizzazione dell’osso corticale immaturo e studio...
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Caratterizzazione dell’osso corticale immaturo e studio di una placca in materiale composito
Carla Pani
DOTTORATO DI RICERCA IN INGEGNERIA INDUSTRIALE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI XX CICLO
iii
iv
v
INDICE Abstract .................................................................................................. 1
Introduzione........................................................................................... 3
I Capitolo: Introduzione anatomica .................................................... 9
1.1 L’apparato scheletrico...................................................................... 9 1.2 Le ossa ........................................................................................... 12
1.2.1 Forma e anatomia delle ossa ................................................ 12 1.3 Composizione dell’osso ................................................................. 16
1.3.1 Struttura microscopica.......................................................... 17 1.3.2 Struttura macroscopica ......................................................... 18 1.3.3 Osso corticale............................................................................... 20 1.3.4 Osso spugnoso.............................................................................. 22
1.4 Rimodellamento osseo ................................................................... 24
II Capitolo: Caratterizzazione meccanica e del tessuto osseo ......... 27
2.1 Prove meccaniche................................................................................. 27 2.1.1 Prove di compressione ................................................................ 27 2.1.2 Prova di trazione monoassiale.................................................... 28 2.1.3 Prova a flessione ......................................................................... 28 2.1.4 Proprietà a fatica ........................................................................ 29 2.1.5 Prove ad ultrasuoni............................................................... 29 2.1.6 Prove di durezza.......................................................................... 31
2.2 Importanza del protocollo di prova per la determinazione delle
proprietà meccaniche.................................................................................. 33 2.2.1 Effetto della modalità di trattamento del tessuto osseo ............... 33 2.1.2 Effetto della geometria e dimensioni del provino ........................ 38 2.1.3 Effetto delle modalità di applicazione del carico......................... 39 2.1.4 Conclusioni .................................................................................. 41
2.3 Le ossa come materiale elastico lineare ............................................... 41
vi
III Capitolo: Comportamento a compressione dell’osso
corticale immaturo...............................................................................43
3.1 Stato dell’arte........................................................................................ 43 3.2 Materiali ............................................................................................... 45 3.3 Metodi .................................................................................................. 46
3.3.1 Prove di compressione ................................................................. 49 3.3.2 Misure della densità a cenere....................................................... 51 3.3.3 Misure di microdurezza................................................................ 53
3.4 Analisi statistica dei dati sperimentali .................................................. 54 3.5 Conclusioni........................................................................................... 64
IV Capitolo: Studio preliminare di un materiale composito
per la realizzazione di dispositivi ortopedici .....................................67
4.1 Biocompatibilità dei compositi............................................................. 68 4.2 Materiali compositi tessuti ................................................................... 72
4.2.1 I compositi tessuti intrecciati........................................................ 73 4.2.2 Metodologia di analisi.................................................................. 74 4.2.3 Il modello mosaico ....................................................................... 75
4.3 Applicazione del modello mosaico al nostro caso................................ 79 4.4 Teoria dei laminati in breve.................................................................. 81
4.4.1 Criteri di rottura........................................................................... 85 4.5 Geometria della placca ......................................................................... 87 4.6 Applicazione dei carichi sulla placca ................................................... 89 4.7 Risultati................................................................................................. 93 4.8 Discussione........................................................................................... 99
V Capitolo: Conclusioni ....................................................................101
5.1 Conclusioni......................................................................................... 101 5.2 Sviluppi futuri..................................................................................... 103
Appendice A .......................................................................................105
Bibliografia .........................................................................................111
vii
Ringraziamenti ................................................................................... 121
viii
1
Abstract L’osteosarcoma è un tumore dell’apparato scheletrico ad alta
malignità che coinvolge per lo più le ossa lunghe degli arti
inferiori di pazienti in età pediatrica e giovanile adulta.
Negli ultimi anni la chirurgia del tumore e successiva
ricostruzione scheletrica si è affermata quale trattamento
d’elezione. Il punto debole delle diverse tecniche ricostruttive
ossee risiede nel fatto che si basano su esperienze cliniche e dati
provenienti da tessuto osseo adulto.
Data la carenza in letteratura di studi riguardanti la
caratterizzazione del tessuto osseo immaturo, il primo scopo di
questo lavoro è stato quello di studiarne le proprietà meccaniche e
fisiche. I risultati potranno essere inseriti in un modello agli
elementi finiti della ricostruzione del segmento osseo con
l’intento di ottimizzare la tecnica ricostruttiva e programmare la
successiva fase riabilitativa.
Inoltre i pazienti che subiscono questo tipo di intervento
generalmente vengono trattati con placche e viti di bloccaggio ,
che servono per mantenere in posizione corretta le parti dell’osso
disgiunte. Attualmente tali dispositivi sono realizzati con
materiali metallici, che presentano proprietà elastiche molto
superiori a quelle dell’osso. Questa differenza comporta un
trasferimento del carico fisiologico prevalentemente sulla placca
andando così a scaricare l’osso e contrastando la corretta
formazione del callo osseo , l’ossificazione e l’unione delle due
parti (“stress shielding”). Un’altra problematica riguarda il fatto
che tali placche sono soggette a carichi estremamente elevati e
2
purtroppo tendono a rompersi durante la vita utile anche sotto
stress relativamente limitati.
Quindi, dato che le proprietà meccaniche di un materiale
composito cambiano al variare dei parametri costituenti, quali i
materiali, le loro quantità, le fibre utilizzate per il rinforzo, la
geometria etc. si è pensato di studiare un materiale che avesse
delle caratteristiche meccaniche che rispettassero le specifiche
desiderate; con l’obbiettivo cioè di raggiungere la rigidezza e la
resistenza a flessione tali da ridurre gli effetti indesiderati dovuti
al differente comportamento elastico.
3
Introduzione Il tumore osseo è una malattia molto rara che per lo più colpisce
gli adolescenti e i bambini, coinvolgendo soprattutto gli arti
inferiori dello scheletro. La rimozione chirurgica del tumore
rappresenta un passo cruciale del trattamento, ma ovviamente
comporta un danneggiamento della struttura ossea da un punto di
vista sia meccanico che funzionale, tanto che i sopravvissuti alla
malattia devono imparare a convivere con una serie di handicap
fisici. L’esperienza con questo tipo di pazienti è limitata, ma
grazie ai progressi fatti dalla chemioterapia e dalla tomografia
diagnostica, negli ultimi 20 anni l’uso della chirurgia ricostruttiva
è aumentato, evitando l’amputazione dell’arto interessato [1] .
Attualmente la chirurgia prevede infatti tre tipi di intervento:
l’amputazione dell’arto, la giroplastica, e la chirurgia volta al
salvataggio dell’arto e successiva ricostruzione scheletrica [2].
Negli ultimi anni, come già detto, si è cercato, quando possibile,
di utilizzare il terzo tipo di intervento.
Ad oggi l’intervento di salvataggio dell’arto rappresenta
approssimativamente l’85% delle operazioni svolte sul sarcoma
primario dell’osso, e il 70% di questa popolazione ha una
sopravvivenza a lungo termine [1].
Dopo la resezione del segmento osseo interessato dal sarcoma, si
procede ad un impianto massivo di tessuto osseo umano adulto,
proveniente da Banca dell’Osso, e attraverso l’uso di placche
metalliche, si mantengono i diversi segmenti in posizione corretta
fino alla loro saldatura [1,2]; purtroppo però si è visto che dopo
4
diversi anni essendo scarsamente vascolarizzato spesso l’impianto
tende a rompersi [3,4,5] .
Il processo di guarigione dopo un intervento ricostruttivo di
questo tipo dovrebbe essere ragionevolmente veloce; inoltre
l’impianto biologico ideale dovrebbe comportarsi da un punto di
vista meccanico come un osso normale, minimizzando così il
rischio di rottura e quindi la necessità di nuovi interventi
chirurgici ricostruttivi.
Al fine di garantire la vascolarizzazione dell’impianto , dal 1989
presso gli Istituti Ortopedici Rizzoli, si introduce all’interno
dell’impianto osseo la fibula vascolarizzata prelevata del paziente
stesso [1,2].
Ad oggi sono stati eseguiti numerosi interventi di questo tipo su
bambini e giovani adulti che presentavano questa patologia e per
un 38% di loro si è visto che i risultati sono molto promettenti
dopo un primo follow-up ad un anno dall’intervento [6].
Il punto debole di questa tecnica ricostruttiva è che basa le sue
fondamenta su informazioni provenienti da osso adulto, infatti
esistono pochissimi studi riguardanti le caratteristiche meccaniche
dell’osso corticale immaturo. Inoltre non è stato eseguito alcuno
studio sulla relazione esistente tra densità dell’osso immaturo e la
sua resistenza meccanica come invece è stato fatto per l’osso
adulto [7].
Risulta pertanto chiara la necessità di investigare le caratteristiche
meccaniche dell’osso immaturo, in modo da assegnare le
opportune proprietà del materiale ad un modello agli elementi
finiti del segmento osseo capace di simulare la vita dell’impianto
e poter quindi rafforzare la tecnica ricostruttiva e programmare la
successiva fase di riabilitazione.
5
Inoltre, sia i pazienti che subiscono tali interventi ricostruttivi che
quelli che presentano delle fratture delle diafisi femorali
generalmente vengono trattati con placche e viti di bloccaggio,
che vengono inserite per mantenere in posizione corretta le due
parti dell’osso disgiunte a seguito dell’intervento o della frattura
e che vengono rimosse dopo un periodo compreso tra gli uno e i
due anni. Attualmente, tali placche, sono realizzate in acciaio
inossidabile, oppure con leghe di cobalto-cromo, o ancora in
titanio. Il modulo elastico di tali metalli è compreso in un range
che varia tra i 110 GPa e 220 GPa, e risulta essere molto più
elevato di quello dell’osso corticale umano che si aggira tra i 12
GPa e i 24 GPa [3,4,5].
E’ stato ormai riconosciuto che questa differenza tra i moduli
elastici della placca e dell’osso porta al cosiddetto effetto di
“stress shielding” [8] ; questo fenomeno si sviluppa quando due
componenti con differente modulo elastico formano un unico
sistema meccanico; il sistema con modulo di Young più elevato
si prende la maggior parte del carico “proteggendo” così l’altro
componente [9]. Nel nostro caso, la maggior parte del carico
viene trasferito sulla placca scaricando così l’osso. Pertanto a
causa del trasferimento del carico sulla placca metallica si ha che
la formazione del callo osseo, l’ossificazione, e l’unione delle
due parti disgiunte viene rallentata dopo il suo impianto , e che la
struttura dell’intero osso (non solo nella zona fratturata) tenda a
diventare osteoporotica. Questo è uno dei principali svantaggi
legati all’uso delle placche metalliche [10]. Inoltre queste placche
sono solitamente soggette a carichi sia statici che dinamici
estremamente elevati, e quelle metalliche possono rompersi
durante la vita utile dell’impianto anche sotto sforzi
6
relativamente piccoli [11,12]. La soluzione al fenomeno dello
“stress shielding” è legata alla necessità di diminuire il gap
esistente tra i moduli elastici dei due componenti (placca-osso),
così che anche l’osso prendendo parte del carico venga
opportunamente stimolato alla formazione del callo osseo. Inoltre
al fine di evitare che la placca possa rompersi durante la vita utile
dell’impianto è necessario utilizzare un materiale che abbia anche
la resistenza sufficiente a sopportarne i carichi fisiologici
[10,11,12,13].
Quindi, poiché le performance meccaniche di un composito
variano in funzione di diversi parametri, quali i materiali
costituenti, le loro quantità, le fibre utilizzate per il rinforzo, la
geometria etc. [14] si è pensato di studiare un materiale
composito che avesse delle caratteristiche meccaniche che
rispettassero le specifiche desiderate; con l’obbiettivo cioè di
raggiungere la rigidezza e la resistenza a flessione tali da ridurre
gli effetti indesiderati legati allo “stress shielding” , a parità di
resistenza nel tempo e di affidabilità di una placca tradizionale.
Il presente lavoro è così strutturato. Nel capitolo 1 è stata fatta
una breve introduzione dell’anatomia macroscopica e
microscopica del tessuto osseo. Nel secondo capitolo si sono
invece illustrate le principali prove meccaniche che vengono
utilizzate per la caratterizzazione del tessuto osseo, e il protocollo
di prova. Nel terzo capitolo si è studiato il comportamento del
tessuto osseo proveniente da pazienti giovani utilizzando prove di
compressione di microdurezza e misure di densità a cenere. Nel
quarto capitolo vengono analizzati differenti materiali compositi
7
per la realizzazione di una placca generalmente utilizzata per la
riduzione delle fratture delle diafisi femorali.
8
9
I Capitolo: Introduzione anatomica
In questo capitolo verrà presentato l’apparato scheletrico e le sue
principali funzioni. Verranno quindi illustrate le ossa e la loro
denominazione in base alla forma, alla loro composizione e alla
struttura macroscopica e microscopica.
1.1 L’apparato scheletrico L’apparato scheletrico è costituito dalle ossa e dai tessuti
connettivi associati, che comprendono cartilagine, tendini e
legamenti. [1,2]
La cartilagine è ampiamente presente nell’embrione e nel feto, nei
quali funge da precursore dello scheletro adulto. Rappresenta
quindi la sede principale dell’accrescimento scheletrico
dell’embrione, del feto e del bambino.
Tendini e legamenti sono fasci resistenti di tessuto connettivo
fibroso. I tendini costituiscono il collegamento fra muscolo ed
osso, mentre i legamenti connettono tra loro le ossa.
L’apparato scheletrico svolge principalmente cinque funzioni per
il corpo:
• Sostegno. L’osso in quanto rigido e resistente è ideale per
sopportare il peso ed è l’elemento di supporto più
significativo del corpo. La cartilagine fornisce un
supporto solido e flessibile all’interno di alcune specifiche
10
Fig1: Scheletro umano
(Spalteholz-Spanner, “Manuale Atlante di Anatomia
Umana” Società Editrice Libraria-Milano,1962 )
strutture, quali il naso, l’orecchio esterno, le costole e la
trachea.
11
• Protezione. L’osso è una struttura rigida che protegge gli
organi da esso circondati. Come esempio si possono
riportare il cervello, racchiuso e protetto dalla scatola
cranica, il midollo spinale circondato dalle vertebre,
oppure cuore e polmoni protetti dalla gabbia toracica.
• Movimento. I muscoli si innestano nei segmenti ossei
tramite i tendini. La contrazione dei muscoli determina il
movimento relativo fra i segmenti ossei, che permette il
movimento del corpo. Le articolazioni situate nel contatto
tra due o più segmenti ossei, permettono e definiscono il
loro movimento relativo. La superficie articolare è
costituita da una cartilagine liscia. I legamenti connettono
tra loro le ossa prevenendone movimenti eccessivi.
• Deposito. I minerali in eccesso nel sangue vengono
trasportati all’interno dell’osso e immagazzinati in esso.
Quando i livelli ematici di minerali diminuiscono questi
ultimi vengono rilasciati dall’osso. Principalmente
vengono accumulati calcio e fosforo. L’osso serve anche
come deposito di tessuto adiposo contenuto all’interno di
apposite cavità. In caso di necessità questo grasso viene
immesso in circolo e utilizzato da altri tessuti come fonte
di energia.
• Produzione di cellule ematiche. Le cavità dell’osso
possono anche contenere midollo osseo produttore di
cellule ematiche e piastrine che possono lasciare le cavità
ed entrare in circolo.
12
1.2 Le ossa
1.2.1 Forma e anatomia delle ossa
Fig.2: Principali forme anatomiche delle ossa
(Olivieri “Elementi di Anatomia e Fisiologia”-V. Idelson
di E. Gnocchi&F.1971)
Ciascun osso può essere classificato in base alla propria forma [1,2]:
• Ossa lunghe. Hanno la dimensione longitudinale
maggiore delle due trasversali. La maggior parte delle
ossa degli arti sono ossa lunghe come per esempio
femore, tibia e omero.
• Ossa corte. Hanno una forma piuttosto tozza quindi
approssimativamente le tre dimensioni spaziali sono
13
paragonabili. Possiamo nominare le ossa del polso
(carpali) e della caviglia (tarsali).
• Ossa piatte. Hanno una forma relativamente sottile e
appiattita. Ne sono esempio alcune ossa del cranio, le
coste e le scapole.
• Ossa irregolari. Sono quelle con forma che non rientra
nelle categorie elencate precedentemente, come esempio
le vertebre e le ossa facciali.
1.2.2 Struttura delle ossa lunghe
Le ossa lunghe sono formate dalle seguenti strutture: diafisi,
epifisi, cartilagine articolare, periostio, cavità midollare (midollo
osseo) ed endostio.
• Diafisi. Parte principale bastoniforme la cui forma cava e
cilindrica, oltre allo spessore dell’osso compatto, rende la
diafisi adatta a svolgere bene la funzione di sostegno
senza gravare eccessivamente sul peso corporeo.
• Epifisi. Entrambe le estremità dell’osso lungo. Hanno
forma rotondeggiante atta a fornire un ampio spazio per
l’inserzione dei tendini collegati ai muscoli che agiscono
sulle articolazioni, offrendo in questo modo maggiore
stabilità alle articolazioni stesse. Le epifisi sono costituite
da osso spugnoso, le cui cavità contengono nella maggior
parte dei casi midollo giallo, ad eccezione delle epifisi
prossimali dell’omero e del femore contenenti midollo
rosso. La superficie esterna delle epifisi è formata da un
sottile strato di osso compatto
14
Fig.3: Epifisi femorale prossimale
(Spalteholz-Spanner, “Manuale Atlante di Anatomia
Umana”-Società Editrice Libraria-Milano ,1962)
. • Cartilagine articolare. Sottile strato di cartilagine che
ricopre la superficie articolare di ciascuna epifisi. La sua
elasticità è di fondamentale importanza in quanto
ammortizza eventuali impatti tra le superfici articolari, e
riduce i picchi di pressione generati dalle forze di
contatto.
• Periostio. Membrana fibrosa densa e biancastra che
ricopre l’osso ad eccezione delle superfici articolari. Il
periostio contiene numerosi vasi sanguigni che si
diramano all’interno dell’osso. Gli osteoblasti, cellule
produttrici dell’osso, formano lo strato interno del
periostio. Per la presenza dei vasi e degli osteoblasti, il
periostio è indispensabile per la sopravvivenza delle
15
cellule ossee e per la formazione dell’osso stesso grazie
alle sue qualità osteogeniche. La produzione di cellule
accompagna tutta la vita dell’essere umano sano.
• Cavità midollare (midollo). Cavità interna presente nella
diafisi delle ossa lunghe. In tale cavità è presente midollo
giallo. Il midollo osseo è formato da stroma, tessuto
mieloide, cellule di grasso, vasi sanguigni e alcuni tessuti
linfatici. Il midollo giallo contiene principalmente cellule
di grasso, il midollo rosso principalmente elementi di
tessuto eritropoietico. Non ci sono differenze di forma tra
i due tipi di midollo. Il rapporto fra le quantità delle due
tipologie di midollo varia a secondo della posizione nello
scheletro. In ogni caso con l’avanzamento dell’età questo
rapporto si modifica a favore del midollo giallo.
• Endostio. Membrana che ricopre la cavità midollare delle
ossa lunghe e le piccole cavità dell’osso spugnoso. Ha
proprietà osteogeniche.
1.2.3 Struttura macroscopica delle ossa brevi,
piatte e irregolari
Le ossa brevi, piatte e irregolari hanno tutte una parte più interna
di osso spugnoso circoscritto in superficie da osso compatto
(corticale). Il midollo osseo riempie gli spazi dell’osso spugnoso
all’interno di molte ossa irregolari e piatte, per esempio in
vertebre e sterno.
16
1.3 Composizione dell’osso La matrice di un osso corticale maturo è composta
approssimativamente dal 28.1% in peso di sostanza organica, dal
59.9% di sostanza inorganica ed il rimanente 12% di acqua (in
volume 38.4% sost. organica, 37.7% sost. inorganica e 23.9%
acqua). La parte organica rappresenta la componente tenace e
cedevole, quella inorganica invece è rigida e fragile.[3]
La matrice organica dell’osso è un composto di fibre di collagene
ed un insieme amorfo di proteine e polisaccaridi chiamata
sostanza fondamentale.
La matrice inorganica è principalmente rappresentata da cristalli
di idrossiapatite in cui il composto principale è il fosfato di calcio.
La formula dell’idrossiapatite è Ca10(PO4)6(OH)2. Le proprietà
meccaniche del tessuto osseo dipendono dalla composizione di
minerale e collagene.
La matrice ossea è paragonabile ad un materiale composito: il
collagene conferisce tenacità alla matrice mentre la componente
minerale ne determina la resistenza a compressione. Se da un osso
lungo venissero rimossi tutti i minerali, rimarrebbe il solo
collagene e l’osso diventerebbe flessibile. Se al contrario venisse
rimosso il collagene, i minerali rimasti risulterebbero rigidi ma
anche molto fragili.
Le cellule ossee appartengono principalmente a tre famiglie [3]:
• Osteoblasti. Entrano nella formazione del tessuto osseo
secernendo i componenti organici della matrice e
regolando la deposizione dei sali minerali. Sono cellule
piuttosto grandi con nucleo rotondo provvisto di nucleolo
e citoplasma intensamente basofilo. Tali cellule, dopo
aver prodotto la sostanza intercellulare, rimangono
17
imprigionate nella matrice mineralizzata all’interno di
lacune ossee e diventano pertanto osteociti. Gli osteoblasti
derivano da cellule indifferenziate presenti nel periostio e
nell’endostio.
• Osteociti. Sono le cellule più numerose nell’osso che ha
completato il suo sviluppo. Gli osteociti riproducono
l’aspetto delle lacune ossee, che si presentano in forma
lenticolare per cui, in tali cellule, il corpo è appiattito e
provvisto di numerosi e sottili prolungamenti contenuti
nei canalicoli ossei.
• Osteoclasti. Derivano da cellule indifferenziate del
midollo rosso e sono in grado di distruggere la matrice
ossea. Si trovano sulla superficie di trabecole ossee in via
di riassorbimento e si presentano come cellule giganti
polinucleate contenenti alcune decine di nuclei. Gli
osteoclasti svolgono una funzione importante nel
rimodellamento osseo e nell’omeostasi dei minerali.
1.3.1 Struttura microscopica
I tessuti ossei sono resistenti e relativamente leggeri. Questo
compromesso resistenza/peso dipende dalla loro organizzazione
interna.
A seconda che la matrice ossea sia disposta a formare lamelle o
meno, si distingue morfologicamente in tessuto osseo lamellare e
non lamellare. [1,2]
Il tessuto lamellare si differenzia in osso corticale e osso
spugnoso, come spiegato nel paragrafo seguente.
Il tessuto osseo non lamellare è un tessuto in cui le fibre di
collagene non sono distribuite regolarmente, ma sono raccolte in
18
grossi fasci paralleli o intrecciati. Le lacune sono disperse
irregolarmente. Questo tipo di tessuto si trova in scheletri meno
evoluti (pesci, anfibi, uccelli) e nello scheletro fetale ed
embrionale dei mammiferi.
Fig.4: Elemento osseo a livello molecolare
(Chiarugi ,“Istituzioni di anatomia umana”– Editrice
Vallardi,1968)
1.3.2 Struttura macroscopica
Ad un’osservazione macroscopica, tutte le ossa sono formate da
due strutture distinte: osso corticale (osso compatto) e osso
spugnoso (fig.5). L’osso compatto e l’osso spugnoso sono presenti
in tutte le ossa, ma in rapporti e con distribuzione diversa.
19
Fig.5: Osso corticale e spugnoso nell’epifisi femorale prossimale[3]
Le due strutture differiscono per il contenuto di midollo e di
tessuto molle: questi costituiscono meno del 10% in volume
dell’osso corticale, mentre occupano circa il 75% del volume
dell’osso spugnoso. Circa l’80% in peso dello scheletro consta di
osso corticale, anche se l’osso spugnoso occupa la maggior parte
del volume. Nell’osso spugnoso le lamelle si aggregano formando
trabecole disposte in maniera disordinata, mentre nell’osso
compatto le lamelle si dispongono parallelamente le une alle altre,
formando strutture molto regolari dette osteoni. È stato mostrato
che l’idrossiapatite contribuisce in modo significativo alla
rigidezza del tessuto osseo corticale mentre il contenuto di
collagene ne determina la tenacità. Il tessuto dell’osso spugnoso
ha un minore contenuto di calcio rispetto l’osso corticale, ma lo
stesso contenuto di fosforo.
20
Fig.4: Sistemi di Havers
(Marieb, “Elementi di Anatomia e Fisiologia dell’uomo” Zanichelli, 2004)
1.3.3 Osso corticale
La matrice dell’osso compatto [1] consiste di unità strutturali
chiamate sistemi di Havers o osteoni. Cinque strutture
costituiscono ciascun osteone:
21
Fig.5: Immagine al microscopio di un osteone [1]
• Lamelle. Lamine di matrice calcificata di forma cilindrica,
concentriche, con spessore compreso tra i 3 e 7 µm.
Solitamente si formano anelli di 4-20 lamelle disposte
concentricamente attorno ad un canale vascolare.
L’orientamento delle fibre di collagene varia da lamella a
lamella.
• Lacune. Piccoli spazi che contengono liquido interstiziale
nel quale si trovano gli osteociti.
• Canali di Havers. Si estendono longitudinalmente al
centro di ogni osteone. Contengono vasi sanguigni e vasi
linfatici. Dal canale di Havers il liquido interstiziale
raggiunge, attraverso i canalicoli, le lacune e le loro
cellule ossee. Queste cellule distano dal canale di Havers
che provvede al loro nutrimento ed ossigenazione circa
un decimo di millimetro o meno .
• Canalicoli. Canali microscopici che irradiano in tutte le
direzioni dalle lacune per connetterle tra loro e con un
canale di Havers.
22
• Canali di Volkman. Canali microscopici che connettono i
canali di Havers tra loro e con il periostio.
Si può notare come ogni osteone sia circondato da una linea
cementante, strato di 1-2 µm di matrice mineralizzata, povera di
fibra di collagene. Le linee cementanti agiscono da
deconcentratori di tensione rispetto alla propagazione di cricche
causate per esempio da fenomeni di fatica. La propagazione della
cricca è infatti rallentata o interrotta quando incontra una linea
cementante. Quest’ultima, cedendo in modo esteso, distribuisce le tensioni su un’area più ampia rispetto alla precedente pertanto
l’ulteriore propagazione della cricca richiede un’energia
maggiore per proseguire.
Gli osteoni non occupano tutta la sezione dell’osso corticale. Sono
presenti degli insiemi di lamelle disposte disordinatamente che si
possono trovare interne alla sezione (lamelle interstiziali) o in
prossimità del perimetro della stessa (lamelle circonferenziali).
1.3.4 Osso spugnoso
L’osso spugnoso (altrimenti chiamato trabecolare o spongioso) è
una struttura porosa a celle aperte che è presente alla fine delle
ossa lunghe , nel corpo delle vertebre e all’interno delle ossa
piatte. Questa struttura è unita alla superficie interna del guscio di
osso corticale ed è formato da un insieme di piani e trabecole
ovvero colonne di osso formate da lamelle disposte parallelamente
tra loro. [2]
Studi precedenti riportano uno spessore medio delle trabecole
(femore umano) da circa 140 µm fino a circa 280 µm e una
lunghezza fino a 1 mm sebbene questi valori siano da considerare
23
indicativi in quanto le trabecole possono avere dimensioni molto
variabili.[4] . Il rimodellamento osseo è regolato anche da carichi
che sollecitano il tessuto quindi la densità dell’osso trabecolare
dipende anche dal modulo delle forze agenti, mentre
l’orientamento delle trabecole dipende dalla loro direzione. L’osso
trabecolare a bassa densità si può ricondurre ad una struttura a
celle aperte mentre quello ad alta densità è più simile ad una
struttura a piani con perforazioni attraverso i piani stessi. La
tipologia di struttura trabecolare cambia continuamente durante
l’invecchiamento e, in alcuni casi di rimodellamento dell’osso
spugnoso, vi sono perforazioni di piani trabecolari e dissoluzione
di elementi connettivi. La struttura si differenzia anche nelle
diverse parti dello scheletro. E’ stato mostrato che le strutture a
travi a bassa densità si sviluppano in regioni a bassa sollecitazione
mentre le strutture a piani ad alta densità si sviluppano in zone
maggiormente sollecitate. Questo fenomeno suggerisce che la
tipologia di struttura trabecolare giochi un ruolo fondamentale
nelle proprietà meccaniche dell’osso spugnoso. Queste comunque
dipendono anche dalla qualità dell’osso spugnoso stesso. [5]
La direzione delle trabecole può variare da uniformemente
distribuite in tutte le direzioni, come in alcune zone del femore
prossimale, fino ad una forma simile ad una griglia rettangolare,
come nel corpo delle vertebre. Proprio per queste differenze
nell’architettura delle trabecole e nella densità, si riscontrano
grandi variazioni nella rigidezza e nella resistenza dell’osso
trabecolare.
L’osso spugnoso è sostanzialmente una struttura porosa quindi
meno resistente e meno rigido dell’osso corticale. In ogni caso le
sue funzioni non sono da sottovalutare:
24
• Irrigidimento della struttura
• Distribuzione dei carichi per impatti laterali
• Trasferimento e distribuzione del carico all’osso corticale
circostante
• Protezione delle ossa cave da fenomeni di instabilità
1.4 Rimodellamento osseo Nei tessuti maturi si osserva un continuo rimodellamento osseo
(bone remodelling). Questo processo avviene quando le cellule di
rivestimento osseo scoprono la superficie ossea. Gli osteoclasti e i
macrofagi creano una lacuna, dove consecutivamente sono
richiamati gli osteoblasti che costruiscono osteomi non
mineralizzati (osteoidi), che infine vengono mineralizzati. La fase
di assorbimento dura circa 8 giorni mentre la neoformazione 80
giorni.
Questo processo è necessario perché lo scheletro è il maggior
deposito di calcio e quindi deve regolare l’omeostasi del sangue.
Inoltre questo processo garantisce l’integrità strutturale, perché
ripara le microfratture fisiologiche della matrice extracellulare.
Il rimodellamento osseo può essere anche patologico, dovuto ad
esempio alla progressiva riduzione della struttura dell’osso
(osteoporosi), o parafisiologico, dovuto ad una alterazione dei
carichi fisiologici causata dalla protesizzazione del segmento
osseo.
25
Fig. 8: Schematizzate dellle linee di orientazione delle trabecole
(Spalteholz-Spanner, “Manuale Atlante di Anatomia Umana” Società Editrice
Libraria-Milano,1962 )
Ci sono varie teorie che cercano di spiegare come si possa attivare
il rimodellamento. La teoria di Wolff (o postulato del meccano-
tensore) ipotizza che un segnale meccanico viene convertito,
tramite un trasduttore interno, in segnale chimico con conseguente
attivazione delle cellule [6].
Non è ancora chiaro quale sia l’attivazione di tale fenomeno, ma è
dimostrato che forze e deformazioni meccaniche influenzano il
processo di rimodellamento osseo e conseguentemente la struttura
e la resistenza dell’osso in esame. In generale la direzione delle
trabecole è legata alla direzione delle sollecitazioni: le trabecole,
tramite l’adattamento, nel tempo tendono ad allinearsi secondo le
direzioni principali delle sollecitazioni. Come si può vedere in
figura 8 le trabecole della testa del femore sono allineate per
resistere ai carichi che si generano nell’articolazione
coxofemorale. [7]
26
27
II Capitolo: Caratterizzazione meccanica e del
tessuto osseo In questo capitolo vengono prese in considerazione tutte le prove
meccaniche che sono state effettuate al fine della
caratterizzazione meccanica del tessuto osseo, e l’importanza
della procedura di prova.
2.1 Prove meccaniche
Le prove meccaniche tradizionali come prove di compressione e trazione monoassiali e prove di flessione a tre o quattro punti sono usate abitudinariamente per misurare le proprietà dell’osso corticale.
2.1.1 Prove di compressione
La prova a compressione è quella maggiormente usata per caratterizzare meccanicamente le proprietà del tessuto osseo, sia corticale che spugnoso. Keller nel 1994 [1] usò ad esempio tale prova per ricavare le principali proprietà del tessuto osseo testando campioni di vertebre e di femori umani. Lespesailles et all. [2] invece l’hanno utilizzata per studiare il tessuto osseo del calcagno da un punto di vista meccanico.
28
2.1.2 Prova di trazione monoassiale
La prova di trazione è stata raramente utilizzata dai ricercatori sia
perché richiede provini con estremità adatte a permettere il
montaggio sulla macchina di prova, con conseguente difficoltà
nella lavorazione del provino, sia perché in alcuni distretti
anatomici è impossibile prelevare questi campioni.
Nel caso di prove su singole trabecole le difficoltà per questa
tecnica sono associate alle prove a trazione su piccoli provini: per
garantire lo stato monoassiale è necessario assicurare il corretto
allineamento che però è difficile da effettuare per l’irregolarità
della geometria della trabecola e le piccole dimensioni. Inoltre
l’irregolarità della geometria dell’osso spugnoso rende
impossibile la misura precisa delle dimensioni del campione.
2.1.3 Prova a flessione
Questa prova è stata spesso utilizzata per caratterizzare il tessuto
osseo corticale in quanto è facile ricavare i campioni su cui
eseguire le prove.
In alcuni studi la prova è stata eseguita anche sulla singola
trabecola. In questi casi l’anisotropia e l’eterogeneità del tessuto
osseo causa delle complesse distribuzioni non lineari delle
tensioni che si traducono in errori nei risultati se viene applicata
una formula per la semplice flessione elastica. Inoltre la
concentrazione dei carichi nei punti di applicazione determina
picchi locali di tensione, che possono essere aumentati dai difetti
presenti sulla superficie del tessuto. L’irregolarità della
geometria della trabecola è stata presa in considerazione con due
approcci. Lewis e Goldsmith [3] hanno confrontato prove su un
campione assimilabile ad una trave a sbalzo con calcoli agli
29
elementi finiti per stimare errori derivanti dal calcolo
semplificato; da Kuhn et al. [4] hanno invece eseguito
microlavorazioni sulla trabecola per ottenere campioni
rettangolari, per riprodurre sperimentalmente la condizione
teorica.
2.1.4 Proprietà a fatica
Oltre alle proprietà meccaniche statiche, alcuni ricercatori hanno
studiato le proprietà a fatica dell’osso corticale e spugnoso per
studiare meglio il comportamento meccanico alle sollecitazioni
fisiologiche che generano sollecitazioni dinamiche. Utilizzando
prove a flessione a quattro punti su microstrutture Choi and
Goldstein [5] hanno dimostrato che il tessuto osseo spugnoso ha
una resistenza a fatica significativamente più bassa rispetto al
tessuto osseo corticale. Questa differenza può essere dovuta alla
diversità della loro microstruttura: infatti i campioni di osso
corticale sono formati da un insieme di lamelle parallele all’asse
longitudinale del segmento osseo (direzione in cui è stato ricavato
il provino), invece il campione di osso spugnoso contiene diverse
linee cementate e un mosaico di microstrutture con lamelle
inclinate rispetto all’asse del provino. [2]
2.1.5 Prove ad ultrasuoni
Un altro metodo utile per misurare le proprietà elastiche dell’osso
corticale e spugnoso è la tecnica ad ultrasuoni. Questa tecnica
utilizza un trasduttore piezoelettrico applicato direttamente al
campione di osso per trasmettere e ricevere un’onda elastica. Le
proprietà elastiche possono essere dedotte da misure di velocità
delle onde trasversali e longitudinali che si propagano in
30
particolari direzioni del campione. Il modulo elastico ha una
semplice relazione con la velocità del suono:
Equazione 1
2ρυ=E
Dove ρ è la densità del materiale e υ è la velocità del suono.
Perché questa formula abbia senso la lunghezza dell’onda
supersonica deve essere maggiore della dimensione trasversale
del campione. Inoltre, la lunghezza d’onda deve essere anche più
grande della caratteristica dimensionale della struttura (il
diametro di un osteone per esempio per il tessuto osseo corticale)
per fare in modo che un’onda supersonica si propaghi alla
velocità governata dall’elasticità dell’intera struttura. Un pregio di
questo metodo è la possibilità di determinare le proprietà
anisotrope del tessuto osseo di uno stesso campione propagando
onde supersoniche in diverse direzioni del campioni. [2]
La tecnica ad ultrasuoni può essere applicata anche per misurare il
modulo elastico del tessuto osseo spugnoso prendendo un
campione che rappresenta la struttura (dimensioni di alcuni mm)
o microcampioni (singola trabecola). In entrambi i casi viene
usata una frequenza di 2.25 MHz per avere una lunghezza d’onda
di circa 1 mm. La lunghezza d’onda di 1 mm è più grande della
sezione trasversale della trabecola (circa dai 200 ai 500 µm ) e più
piccola delle dimensioni totali del campione (5 mm). Negli
esperimenti che utilizzano cubi di osso spugnoso la densità del
tessuto di ogni cubo è misurata e usata nei calcoli mentre per le
prove con le microstrutture viene utilizzata una densità media del
31
tessuto. La limitazione dell’utilizzo della tecnica ad ultrasuoni ai
cubi di osso spugnoso deriva dal fatto che la reale lunghezza
dell’onda supersonica è sconosciuta per lo smorzamento dovuto
all’attraversamento del campione, e il calcolo della velocità è
basato sulla lunghezza globale di ogni campione che
probabilmente è più breve del reale percorso che l’onda percorre
nel campione di osso spugnoso. Inoltre il valore del modulo è una
misura media di tutto il provino trascurando la natura eterogenea
dell’osso spugnoso. Un’altra difficoltà di applicazione di questa
tecnica a microcampioni sta nel fatto che è difficile misurare
accuratamente la densità del campione stesso.
2.1.6 Prove di durezza
La microdurezza H è determinata dalla misura della dimensione
dell’impronta A fatta da un penetratore di diamante, che è
impresso sulla superficie del tessuto osseo con un carico noto
Pmax :
Equazione 2
APH max=
Anche se la durezza è correlata alla tensione di snervamento in
materie plastiche e metalli, tale correlazione nei tessuti biologici
come l’osso è meno evidente. Le proprietà elastiche e di
snervamento contribuiscono alle misure di durezza, perciò è
difficile dedurre soltanto proprietà elastiche come il modulo
elastico da queste misure. Misure del modulo elastico in prove di
32
microindentazione sono possibili se durante la prova si misura la
curva carico-spostamento. La microindentazione è stata usata per
trovare la durezza e il modulo elastico dell’osso e di altri tessuti
duri come la dentina e lo smalto dei denti [Currey et al. 1990,
Meredith 1996, Xu 1998] [6][7][8]. La durezza dell’osso e il
modulo elastico sono direttamente collegati alla microstruttura e
alla composizione del materiale nella zona di impronta .[6]
Il termine “microdurezza”, o meglio microindentazione, prevede
il calcolo del campo di durezza con l’inserimento di un apposito
dispositivo, il penetratore, nel materiale da sottoporre a prova,
con specifici carichi di prova e durata di applicazione. Dopo aver
tolto il penetratore, l’impronta da esso prodotta viene misurata e
da questa si calcola il cosiddetto “numero di durezza”.
Le variazioni prodotte dall’ingresso del penetratore nel materiale
dipendono principalmente dalle proprietà elasto-plastiche del
materiale stesso. Altri fattori determinanti sono rappresentati dalla
tensione interna, dalle proprietà di trazione e compressione, dalla
coesione, dalla fragilità ecc., ed anche il processo produttivo
gioca un ruolo importante. Con sistemi eterogenei, ad esempio
con sottili strati su un materiale di base, il numero di durezza
dipende anche dal modo in cui lo strato sottile è applicato al
materiale di base.
In letteratura si trovano diverse applicazioni di questa
metodologia di prova in dipendenza dalla forma del penetratore,
ad esempio:
• Sfera in acciaio temprato (prova Brinell)
• Punta doppia di diamante (prova Grodzinski)
• Piramide di diamante a tre facce (prova Berkovich)
• Piramide di diamante retta (prova Knoop, Vickers)
33
I metodi di prova Knoop e Vickers sono stati generalmente
riconosciuti e accettati e sono i metodi più frequentemente
adottati.
2.2 Importanza del protocollo di prova per
la determinazione delle proprietà
meccaniche
Le proprietà biomeccaniche di un provino osseo non possono essere
definite in modo univoco, ma sono influenzate da diversi fattori: le
modalità di conservazione, la geometria e le dimensioni del provino, il
tipo di test meccanico, etc. Nel capitolo precedente è stata descritta la
struttura dell’osso. Dato che il tessuto osseo è non omogeneo e non
isotropo è presumibile che il modo in cui si misurano le proprietà
meccaniche influenzi il risultato della prova. Di seguito si riporta una
panoramica sugli effetti della procedura di prova e successivamente sui
dati disponibili in letteratura, relativi alle proprietà meccaniche del
tessuto osseo.
2.2.1 Effetto della modalità di trattamento del
tessuto osseo
Gli studi sperimentali per la caratterizzazione delle proprietà
meccaniche del tessuto osseo sono eseguiti in vitro su campioni
espiantati. Pertanto il protocollo sperimentale deve prevedere una
procedura di estrazione del provino ed eventualmente di
34
conservazione del tessuto. Pertanto le procedure di
caratterizzazione del tessuto osseo pongono due dei problemi:
1. se sono presenti differenze nelle proprietà meccaniche dell’osso
fresco (cioè immediatamente dopo l’espianto) o conservato;
2. se le proprietà meccaniche del tessuto osseo sono influenzate
dalla modalità di conservazione dei campioni.
La presenza di acqua nel tessuto osseo influisce sulle proprietà
meccaniche come descritto in precedenza. L’acqua è contenuta
nell’osso in una percentuale compresa tra il 10-20% in peso, in
funzione dell’età dell’individuo. L’ acqua è intrappolata nel tessuto
spugnoso e all’interno della struttura del collagene. L’osso fresco
idratato ha un comportamento elasto-plastico, con una certa
duttilità, subisce creep (deformazione crescente a carico costante)
marcato ed ha una buona tenacità. Diversamente l’osso disidratato
è fragile, ha un modulo di elasticità maggiore, è meno tenace ed ha
un comportamento viscoso meno marcato. Questo comportamento
si può osservare in figura 2.1. Townsend et al. (1975), [9] hanno
infatti osservato che i provini di osso trabecolare disidratato sono il
25% più resistenti dei provini idratati. Questo risultato è in accordo
con le osservazioni sui provini di osso corticale riportate da Sedlin
(1965) [10] e Evans (1969) [11].
Il comportamento biomeccanico dell’osso spugnoso è influenzato
dalla presenza o meno della componente midollare. Carter et al.
(1980) [12] hanno trovato che provini a cui è stato tolto il midollo,
disidratati e reidratati, provati a compressione ad una velocità di
0.01 s-1, sono più rigidi e resistenti rispetto a provini con midollo in
35
situ. Linde et al.(1993) [13] hanno confermato che la presenza o
meno del midollo può avere effetto significativo sulle proprietà
biomeccaniche, portando ad un aumento del 30% della rigidezza e
dell’energia di scarico sui provini privi di midollo. Gli autori però
pensano che la rigidezza così elevata è causata dal poco tempo di
reidratazione. Inoltre la risposta del materiale dipende dalla velocità
di sollecitazione: al crescere di questo parametro l’osso compatto
appare più rigido, meno duttile e più resistente, come mostrato in
figura 2.2.
Fig.2.1 Curve stress-strain di un femore umano idratato(WET) e
disidratato(DRY) (da Evans,1969)
36
Fig.2.2 Curve stress-strain per un osso compatto al variare della velocità di
deformazione in una prova di trazione (McElhaney,1966)
Inoltre il comportamento meccanico dell’osso è influenzato dalla
storia di carico (condizionamento). Infatti si osserva un aumento di
rigidezza nel caso in cui il provino sia condizionato con cicli di
carico dello stesso tipo di quello scelto per la prova di
caratterizzazione del materiale (irrigidimento ciclico).
Diversamente la rigidezza si riduce se la sollecitazione ciclica è
applicata nel verso opposto a quella della prova finale (figura 2.3).
Per quanto riguarda le modalità di conservazione, Sonstegard and
Matthews (1977) [14] hanno osservato una diminuzione del 10%
sulla rigidezza dell’osso trabecolare dopo averlo congelato,
ipotizzando un danneggiamento dovuto all’espansione dei fluidi
interstiziali durante il congelamento. Diversamente Pelker et al.
(1984) [15] hanno misurato un piccolo incremento sulla rigidezza a
causa del congelamento. Panjabi et al. (1985) [16] non hanno
osservato significativi effetti del congelamento sulle proprietà
meccaniche. Linde et al.(1993) [13] hanno testato provini cilindrici
di osso trabecolare dell’epifisi prossimale tibiale in modo non
37
distruttivo dopo un intervallo di tempo variabile tra 1.5 e 2.5 ore
dall’asportazione dell’arto e nuovamente dopo 24 ore, conservando
i provini in soluzione salina. I risultati hanno evidenziato una
diminuzione del 10% nella rigidezza e nell’energia rilasciata allo
scarico (area sotto la curva forza-spostamento misurata in fase di
scarico), e un incremento del 10% nel rapporto tra l’energia
d’isteresi e quella di carico, quantificando con questo parametro la
variazione della pendenza tra la curva di carico e quella di scarico.
Successivamente gli autori hanno eseguito prove a 1, 10 e 100
giorni, dopo aver conservato i provini in soluzione contenente il
70% di etanolo ad una temperatura di +10°C e dopo averli reidratati
in soluzione salina per 3 ore a temperatura ambiente prima della
prova. Gli autori non hanno trovato un aumento significativo della
rigidezza e del modulo elastico.
Fig.2.2 Curve stress-strain per diverse applicazioni cicliche di carico
(Bonfiel and Li, 1967).
38
Altri provini invece sono stati congelati a -20°C per 1, 10 e 100
giorni. Anche in questo caso prima del test i provini sono stati
scongelati e immersi in soluzione salina a temperatura ambiente per
3 ore. I dati non evidenziano trend significativi, ad eccezione di un
cambiamento nel rapporto tra l’energia d’isteresi e quella di carico,
cambiamento correlato al tempo di congelamento. Infine gli autori
hanno studiato l’effetto di cicli di congelamento, eseguendo 5 cicli
consecutivi di congelamento e scongelamento. Anche in questo
caso le prove non hanno evidenziato un’alterazione significativa
delle proprietà meccaniche.
2.1.2 Effetto della geometria e dimensioni del
provino
L’analisi della bibliografia è stata condotta concentrandosi sui
lavori riguardanti prove a compressione, in particolare in questo
paragrafo si è preso in considerazione come la geometria e la
dimensione del provino influenzano i parametri meccanici.
L’importanza delle dimensioni e della geometria del provino è stata
dimostrata da uno studio condotto da Linde et al (1992).[17]
Studiando l’osso trabecolare della tibia prossimale umana, si è
dimostrato che il modulo elastico aumenta significativamente
all’aumentare del rapporto di snellezza (rapporto altezza/diametro
in provini cilindrici o altezza/base in provini di forma
parallelepipeda), ma non hanno trovato differenze nel modulo
elastico e nella tensione di rottura di provini cubici e cilindrico con
rapporto di snellezza 1:1. Successivamente uno studio condotto da
Keaveny et al (1993) [18] ha dimostrato che sia il modulo che la
tensione di rottura dipendono dalla geometria del provino. I risultati
39
dimostrano che il cilindro con rapporto 2:1 riduce gli errori
sperimentali. Inoltre gli autori hanno trovato che la predizione del
modulo e della tensione di rottura, basandosi sulla densità
apparente dell’osso spugnoso, è più accurata con un cilindro di
rapporto 2:1 che con un cubo di ugual lunghezza. Diversi autori
[19,20] hanno scelto di provare provini cubici rispetto a provini
cilindrici perché possono essere testati in tre direzioni ortogonali e
consentono pertanto di determinare le proprietà meccaniche del
tessuto osseo nelle tre dimensioni principali. Purtroppo i risultati di
questi studi sono affetti dai limiti evidenziati dallo studio di
Keaveny et al. [18,21].
2.1.3 Effetto delle modalità di applicazione del
carico
Le modalità di applicazione del carico a compressione si dividono
sostanzialmente in due tipi: libera o vincolata. I test di
compressione con applicazione del carico libera consistono nel
comprimere provini cubici o cilindrici mediante due piastre. Questa
tecnica, con la quale sono stati condotti la maggior parte degli studi
biomeccanici sull’osso trabecolare, è stata criticata perché
introduce un errore nel calcolo del modulo elastico. Questo
artefatto è dovuto al danneggiamento delle estremità del provino,
causate dall’interruzione della rete trabecolare all’estremità del
provino. Il modulo elastico medio, calcolato usando la misura di
deformazione dell’intero provino, è sottostimato del 22% per la
tibia prossimale umana o del 38% per l’omero prossimale bovino
(Odgaard et al, 1991) [22]. Keaveny et al. (1993) [21] calcolarono
40
un errore superiore al 75%, che dipendeva dalla forma delle
superfici, dal rapporto di snellezza, dal coefficiente di Poisson e
dalle condizioni di interfaccia provino-piatto. Gli stessi autori nel
1994 [23] introdussero una modifica alla tecnica per la
caratterizzazione meccanica: usare provini con una ridotta sezione
nella lunghezza utile (figura 2.4). In questo modo la rottura
avveniva nella zona con superficie ridotta, dove le tensioni erano
uniformi e non vi era artefatto delle superfici. Purtroppo questa
tecnica introduce la difficoltà della lavorazione di un campione
snello di tessuto osseo con relativo rischio di danneggiamento del
tessuto stesso.
Fig.2.4 Immagine di provino con ridotta sezione nella lunghezza utile,
utilizzati da Keaveny et al. (1994) nelle prove di compressione.
Pertanto gli stessi autori nel 1997 [24]
introdussero un semplice
metodo per eseguire prove meccaniche in modo accurato:
l’applicazione del carico su un provino vincolato agli estremi. La
tecnica consiste nel vincolare le estremità del provino cilindrico con
appositi afferraggi che impediscono la deformazione radiale delle
estremità del tessuto. Con questa tecnica sono stati provati
campioni di osso trabecolare di 8 mm di diametro incastrati agli
41
estremi, con lunghezza libera di 16 mm (rapporto di snellezza 2:1);
al centro di questa lunghezza è stato posizionato l’estensometro.
2.1.4 Conclusioni
Per quanto esposto nei precedenti paragrafi i risultati delle prove di
caratterizzazione del tessuto osseo dipendono dal tipo di prova
eseguita sul tessuto osseo, per le caratteristiche di questo materiale.
Inoltre, a parità di tipo di sollecitazione anche il protocollo di prova
è importante, pertanto i dati sperimentali sono confrontabili solo se
ottenuti con procedure paragonabili.
2.3 Le ossa come materiale elastico lineare I fenomeni tempo-dipendenti sono meno significativi rispetto alla
componente elastica, quindi spesso in prima approssimazione si
descrive l’osso come un materiale elastico lineare. E’ difficile
indicare le proprietà tipiche dell’osso, a causa della non omogeneità
e dell’anisotropia del tessuto osseo in funzione del distretto
anatomico. Infatti la variazione della struttura del tessuto è legata
alle diverse funzioni nelle diverse aree, come accennato nel
capitolo 1. In prima approssimazione rigidezza e carico di rottura
dell’osso sono correlati e dipendono dalla densità ossea, parametro
indicatore del contenuto di mineral e dalla dimensione delle
porosità, la cui dimensione può variare da pochi µm ad alcuni mm.
La maggior parte delle ossa subisce carichi in una direzione
predominante. Pertanto la struttura macroscopica e la disposizione
delle trabecole sono organizzate per ottimizzare la resistenza della
struttura composita, a questo tipo di sollecitazione, con conseguente
42
marcata anisotropia nella maggior parte delle ossa.
Nella tabella 2.1 si può osservare come il modulo elastico
differisca fino al 50% a seconda della direzione di carico.
Differenze maggiori si possono osservare sui carichi di rottura
[25,26].
Tabella 2.1 Modulo elastico e resistenza di rottura di ossa corticali
umane e bovine (da Reilly et al. 1974; Reilly e Burstein, 1975).
43
III Capitolo: Comportamento a compressione
dell’osso corticale immaturo
Si vuole studiare il comportamento meccanico dell’osso compatto
proveniente da soggetti non adulti, al fine di inserirli in un
modello agli elementi finiti del segmento osseo e per poter
identificare le caratteristiche ideali del materiale idoneo alla
realizzazione di placche per la ricostruzione dei segmenti operati
in seguito ad osteosarcoma.
3.1 Stato dell’arte Esistono pochissimi studi in letteratura riguardanti le
caratteristiche meccaniche dell’osso corticale immaturo. Inoltre
non è stato eseguito alcuno studio sulla relazione esistente tra
densità dell’osso corticale immaturo e la sua resistenza meccanica
come invece è stato fatto per l’osso adulto.
Il più importante studio effettuato su ossa corticali di bambino è
quello riportato da Currey et. All. nel 1975 [1]. In questo lavoro
vengono analizzate le principali proprietà meccaniche dell’osso
corticale immaturo e confrontate con quelle dell’osso adulto. Gli
esperimenti sono stati condotti su provini ricavati da femori di
cadavere con età variabile tra i 2 e i 48 anni. I provini (circa 130),
44
di forma rettangolare prismatica (25 X 3 X 2 mm), sono stati
caricati a flessione a tre punti da cui si sono ricavati:
• Resistenza a flessione
• Modulo di elasticità a flessione
• Lavoro assorbito
• Deflessione in mezzeria al momento della frattura
• Contenuto delle ceneri
Dai risultati ottenuti in queste prove si evince che la resistenza, il
modulo di elasticità a fatica e il contenuto delle ceneri aumentano
con l’età, mentre l’energia assorbita durante la prova e la freccia
in mezzeria ( indicativa della deformazione del tessuto)
decrescono con la stessa. Sebbene più deboli come misurato dalla
resistenza a flessione e meno rigide, le ossa immature assorbono
maggiore energia prima di arrivare alla rottura.
Questi risultati trovano conferma in uno studio precedente di Karl
Muller et. Al. [2] in cui si dimostra che il grado di
mineralizzazione nelle ossa umane cresce dalla nascita fino ai
60/70 anni e poi sembra diminuire. In questo studio sono stati
esaminati quasi duecento provini provenienti dalle vertebre
lombari e dall’osso iliaco di cadaveri di entrambi i sessi e con età
variabile tra i 7 mesi e gli 85 anni. All’aumento del grado di
calcificazione sarebbe legata la diminuzione del contenuto
d’acqua, dato che suggerisce una variazione con l’età della
composizione del tessuto osseo. Questa variazione sembra non
interessare la frazione organica della matrice ossea che appare
una quantità invariante rispetto all’età. Oltre alla composizione, è
stata osservata una variazione della densità del tessuto che tende a
ridursi nella tarda età.
45
I dati disponibili sono insufficienti per assegnare le proprietà
meccaniche al tessuto osseo in modelli numerici specifici per il
singolo paziente a partire dalle informazioni contenute in
immagini diagnostiche quali immagini TC. Pertanto lo scopo
delle attività descritte in questo capitolo è quello di acquisire dati
sul comportamento meccanico del tessuto osseo corticale
immaturo.
3.2 Materiali I campioni di osso utilizzati per la nostra campagna sperimentale
sono stati prelevati da pazienti giovani con problemi oncologici
sottoposti a trattamento chirurgico finalizzato alla rimozione del
tumore e successiva ricostruzione del segmento osseo trattato.
Durante l’intervento chirurgico al paziente viene prelevata una
porzione di segmento osseo maggiore della dimensione del
tumore. Tale tecnica si rende necessaria per ridurre il rischio di
recidiva. In seguito alle analisi dei tessuti espiantati si può rendere
disponibile una porzione di diafisi del segmento sottoposto ad
intervento. Tale porzione non è interessata dal tumore. In
aggiunta a tale campione si rende disponibile anche un campione
di segmento osseo, residuo del tessuto utilizzato in sede
chirurgica per la ricostruzione del segmento operato. Tali
campioni sono stati prelevati dalla Banca dell’Osso da adulti
deceduti che non presentavano patologie a carico del sistema
muscolo-scheletrico. Pertanto dalla porzione residua di questi
segmenti sono stati ricavati dei campioni di tessuto
rappresentativi del tessuto corticale adulto, per permettere così un
46
confronto tra il comportamento meccanico dell’osso corticale
immaturo e quello adulto.
Le porzioni di segmento osseo sono state ricavate da diafisi di
femori e di tibie di 12 giovani pazienti sottoposti ad intervento
chirurgico. L’età dei giovani pazienti variava tra i 4 e i 15 anni.
Anche il gruppo di controllo è stato ottenuto da porzioni di diafisi
prelevate da altrettanti donatori di età compresa tra i 42 e i 61
anni.
3.3 Metodi Prima di essere lavorati tutti i campioni sono stati conservati in
una soluzione alcolica al 70% per almeno quattro settimane per
prevenire la trasmissione di infezioni durante la loro
manipolazione in laboratorio. E’ stato dimostrato che questo
trattamento non influenza il comportamento elastico dell’osso [3].
La procedura sperimentale sviluppata per l’estrazione dei
campioni cilindrici che sono stati sottoposti a prove meccaniche è
complessa.
Infatti tali provini sono stati estratti nello spessore della parete di
corticale che , soprattutto nei giovani pazienti, si riduce fino a
spessori prossimi ai 3 mm, ovvero il diametro del provino che
deve essere estratto. Pertanto per ottenere il massimo numero di
provini da ogni porzione di diafisi, è stato necessario fissare con
resina acrilica la porzione di parete di corticale controllandone
l’allineamento con la verticale, come mostrato in figura 3.1.
Questo ha permesso che l’estrazione avvenisse nella medesima
direzione coincidente con l’asse locale del segmento di diafisi.
47
I provini estratti avevano forma cilindrica di diametro di 3 mm e
lunghezza di 16 mm. Il diametro dei provini è stato definito
cercando un compromesso tra il diametro massimo ottenibile
nello spessore di corticale delle porzioni di diafisi a disposizione.
Fig.3.1: Preparazione campione di tessuto per la fresatura
Tale considerazione era però vincolata anche alla lunghezza del
provino ottenibile dalle porzioni di diafisi. Infatti la lunghezza del
provino doveva essere tale da permettere che durante la prova si
avesse una lunghezza libera pari a 4 volte il diametro del provino.
Tali rapporti derivano da raccomandazioni riportate da altri autori
48
per la conduzione di prove di compressione su campioni di
tessuto osseo. Il provino deve però essere più lungo della
lunghezza libera poiché deve essere anche vincolato alla
macchina di prova. Da questa considerazioni sono state definite le
dimensioni del provino sopraindicate.
I provini sono stati estratti utilizzando una fresa a controllo
numerico. I parametri di taglio sono stati definiti in modo tale da
non danneggiare il tessuto durante la lavorazione meccanica che è
avvenuta con il provino immerso in acqua (fig.3.2).
Figura 3.2: Estrazione del provino con fresa diamantata cava
Per tagliare il provino cilindrico è stata usata una fresa diamantata
cava. Dai segmenti di diafisi sono stati estratti un totale di 105
provini di cui 51 da tessuto osseo prelevato da pazienti giovani e
54 da pazienti adulti. Nel caso peggiore è stato possibile estrarre
solo due campioni da una porzione di diafisi fino ad arrivare ad un
49
massimo di 10 campioni nel migliore di casi. Questa variazione è
dipesa dalla dimensione e dallo spessore del segmento di diafisi
disponibile.
Tali provini sono stati sottoposti a prove di compressione, prove
di microindentazione ed infine inceneriti per poter determinare
rispettivamente il comportamento a compressione del tessuto , la
sua durezza, e la sua densità.
3.3.1 Prove di compressione
Prima dell’esecuzione delle prove i provini sono stati reidratati
per almeno 24 ore in soluzione salina. Successivamente si è
Fig.3.3: Provino bloccato sui supporti (foto successiva alla
prova)
proceduto all’esecuzione della prova a compressione. Per evitare
problemi di disallineamento del campione rispetto all’asse della
50
macchina di prova , disallineamento che può indurre errori
sperimentali nella misura delle proprietà meccaniche del
tessuto[4], i provini sono stati allineati e vincolati mediante resina
acrilica (polimetilmetacrilato PMMA) direttamente sulla
macchina di prova. Per tale operazione sono stati utilizzati
supporti appositamente progettati per assicurare l’allineamento
del provino con la direzione del carico (fig. 3.3)
Subito dopo il posizionamento i provini sono stati mantenuti
immersi in soluzione salina per un’ulteriore ora prima
dell’esecuzione della prova.
I test di compressione sono stati effettuati utilizzando una
macchina di prova per materiali (Mini Bionix 858). Il protocollo
sperimentale ha previsto l’uso di due estensimetri [5].
Fig. 3.4: Set-up di prova con estensimetri in evidenza
Il primo estensimetro, munito di due bracci, è stato collegato
direttamente alla parte centrale del provino utilizzando due
51
elastici di gomma , per misurare direttamente sul tessuto la
deformazione. Il secondo ad un solo braccio è stato collegato al
piano di supporto del provino per misurare con precisione lo
spostamento dell’attuatore della macchina di prova (fig. 3.4).
La prova è stata eseguita con una velocità dell’attuatore tale da
comprimere il campione con velocità di deformazione pari a
0.1s-1.
Tale valore è stato definito per simulare la velocità di
deformazione a cui è sottoposto il tessuto durante le normali
attività fisiche.
Durante la prova sono stati acquisiti la forza applicata, la
deformazione del tessuto e lo spostamento della traversa. I dati
acquisiti sono stati elaborati con un algoritmo di calcolo
sviluppato in Matlab. E’ stato così ottenuto il modulo di Young
definito come l’inclinazione della parte lineare della curva sforzo-
deformazione [6,7,8], la tensione di snervamento definita come
quella tensione che produce una deformazione dello 0.2 % [9,
10], e la tensione massima ovvero lo sforzo di picco.
3.3.2 Misure della densità a cenere
Completata la caratterizzazione meccanica mediante prove a
compressione, ogni singolo campione è stato recuperato
assicurandosi che nessun frammento si perdesse, per determinare
la sua densità a cenere. Per definire tale parametro ogni provino è
stato incenerito in un forno a muffola.
Al fine di stabilire la temperatura di incenerimento adeguata, una
serie preliminare di prove è stata condotta su campioni di tessuto
osseo trasecolare ricavato dalla testa di femore di bovino. Cinque
52
provini cilindrici del diametro di 10 mm e altezza libera di 20 mm
sono stati inceneriti ad una temperatura di 600°C, temperatura
minima riscontrata in bibliografia per l’incenerimento [2,8,10].
Dopo aver misurato il peso delle ceneri, il ciclo di incenerimento è
stato ripetuto ad una temperatura superiore a quella del ciclo
precedente di 50°C. La procedura è stata ripetuta è stata ripetuta
fino a quando non sono state più riscontrate riduzioni significative
di peso al variare della temperatura.
Da tali prove si è visto che la temperatura di 650°C rappresenta
quella ottimale per l’incenerimento di campioni di tessuto
spugnoso. Con l’intento di verificare che tale temperatura fosse
effettivamente quella idonea a ridurre completamente in cenere
anche i provini di osso corticale, la procedura è stata ripetuta su
provini di osso corticale delle medesime dimensioni di quelli
descritti precedentemente. Tali campioni cilindrici di tessuto
osseo corticale sono stati bruciati per 24 ore a partire da 650°C.
Anche in questo caso in seguito alla prima misura del peso delle
ceneri, la procedura è stata ripetuta ad una temperatura
incrementata di 50°C rispetto al ciclo precedente. I dati
sperimentali hanno confermato che la temperatura di 650°C è
idonea ad incenerire i campioni di tessuto osseo corticale.
Pertanto le prove di misura della densità a cenere sono state
condotte incenerendo i provini a questa temperatura. Il peso delle
ceneri è stato determinato utilizzando una bilancia analitica ad
alta precisione.
Per ogni provino sono state effettuate tre pesate al fine di ridurre
l’errore di misura, ed è stato preso come valore finale quello
medio delle tre pesate. La densità a cenere è stata calcolata come
53
rapporto tra il peso delle ceneri e del volume del provino
cilindrico misurato prima della prova di compressione [9,10,11].
3.3.3 Misure di microdurezza
Al fine di verificare se la durezza dell’osso fosse funzione del suo
grado di mineralizzazione e quindi dell’età, sono state eseguite
prove di microindentazione sia sull’osso corticale adulto che su
quello immaturo [7].
Per le prove di microdurezza i provini sono stati ricavati dagli
stessi campioni ossei utilizzati per le prove di compressione.
Prima del test ogni provino è stato dapprima pulito con della carta
abrasiva e quindi lucidato utilizzando della pasta diamantata con
grani di dimensione decrescente (da 6, 3, e 1 µm) [12,13,14]. Sia
la procedura di sgrossatura che di lucidatura sono state eseguite in
acqua. Il provino è stato infine immerso in acqua per almeno
un’ora prima della prova per assicurare l’idratazione del tessuto
[12,13]. Le prove di microdurezza sono state eseguite utilizzando
la macchina Leica VMHT dotata di una punta di diamante a
forma piramidale (indentatore) . Il valore della microdurezza
viene calcolato dalla macchina stessa utilizzando la formula:
ddFF
AFHV 22 4.1854
)2
sin(2 ===
α
Equazione 4
dove HV rappresenta la durezza Vickers, F il carico applicato, A
l’area dell’impronta in µm, α/2 la metà dell’angolo di apertura
della piramide indentatrice (nel nostro caso 68°) e d il valore della
54
diagonale media dell’impronta espresse in µm . Tutte le prove
sono state eseguite applicando un carico costante di 100 gf per 15
secondi. Sono state fatte 30 impronte per ogni provino e al fine di
minimizzare l’errore di misura le letture delle diagonali
dell’impronta sono state ripetute tre volte.
La distanza minima tra le porosità del provino, che nell’osso
corticale sono rappresentate dagli osteoni, e tra le differenti
indentazioni è stata scelta sulla base delle regole per la misura di
durezza riportate sul manuale del microduromentro. Tali regole
prevedono una distanza minima tra le indentazioni pari a quattro
volte la diagonale dell’impronta e una distanza dal bordo esterno
di due volte e mezza la diagonale dell’impronta. Come è noto per
materiali perfettamente isotropi l’impronta è quadrata, mentre se
c’è anisotropia nel materiale questa presenta due diagonali di
differente lunghezza. Sono state scartate quelle impronte che
presentavano una differenza tra le due diagonali maggiore del
15%, e successivamente sono stati esclusi valori di microdurezza
anomali applicando il criterio di Chauvenet [15].
3.4 Analisi statistica dei dati sperimentali I dati sperimentali ottenuti sono stati analizzati per verificare
l’esistenza di una correlazione tra le caratteristiche meccaniche e
le caratteristiche fisiche del tessuto osseo corticale.
Inizialmente si è valutata l’esistenza di una correlazione tra carico
di snervamento ( Sy) e densità a cenere (Ash density), si riportano
due grafici separati (adulti e bambini) dei dati raccolti durante le
prove sperimentali (fig.3.4).
55
BAMBINI
0,0
50,0
100,0
150,0
200,0
250,0
0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00 1,20 1,40
Ash Density [mg/mm3]
Sy [
MPa
]
.
ADULTI
0.0
50.0
100.0
150.0
200.0
250.0
300.0
0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 1.2 1.4
Ash Density [mg/mm3]
Sy [M
Pa]
.
Fig.3.4: Diagramma densità a cenere VS carico di
snervamento
I dati sono stati interpolati utilizzando il metodo dei minimi
quadrati selezionando sia un modello lineare che un modello di
potenza cercando la migliore correlazione per i dati.
I primi risultati ottenuti utilizzando gli algoritmi di analisi
statistica presenti nel programma Matlab, indicano che
l’andamento lineare è quello che meglio modella il problema per i
dati relativi al tessuto osseo prelevato da giovani pazienti. Al
contrario, i dati ricavati da tessuto osseo prelevato da adulti
56
mostrano un’elevata dispersione e quindi un basso grado di
correlazione con la densità a cenere (fig. 3.5).
Fig.3.5: Fitting lineare dei dati
Questa osservazione visiva è confermata dal coefficiente di
determinazione R2 che nel caso del tessuto osseo prelevato da
giovani pazienti assume un valore significativo (0.7) mentre nel
secondo caso è molto basso (0.2) evidenziando il fatto che
l’andamento non è lineare. Però per i campioni provenienti da
osso maturo i dati sono riassunti in uno stretto intervallo di
densità a cenere. Pertanto i dati sono stati integrati in un unico
57
grafico per verificare l’esistenza di una correlazione soddisfacente
tra le due variabili.
Fig.3.6: Fitting lineare per i dati aggregati
Utilizzando dapprima una relazione lineare (fig.3.6) si è trovato
un valore del coefficiente di determinazione R2 pari a 0.69, valore
elevato ma non ancora soddisfacente. Si è pensato allora di
migliorare il fitting, supponendo un andamento quadratico
(fig.3.7) e trovando un valore del coefficiente più elevato (0.73);
la legge suggerita dal toolbox di Matlab è :
9.2377.155.141 2 +−= xxy
Equazione 5
58
Fig.3.7: Fitting quadratico per i dati aggregati
Dall’osservazione dei coefficienti dell’equazione 5 si è notato che
il termine di primo grado e il termine noto risultano più piccoli
del termine di secondo grado, si è quindi verificato che
un’equazione in cui questi termini non compaiano sia capace di
descrivere meglio l’andamento dei punti sperimentali. Eliminando
il termine di primo grado l’equazione trovata è :
11,167,133 2 += xy
Equazione 6
A cui corrisponde un valore del coefficiente di determinazione
pari a 0.7, che risulta essere praticamente identico a quello
iniziale.
Si è infine pensato di indagare se un modello cubico desse dei
risultati ancora più soddisfacenti trovando un valore di R2
confrontabile (0.69), ma comunque inferiore (fig.3.8). Pertanto si
è visto che esiste una discreta correlazione tra i due parametri
investigati e che tale correlazione è di tipo quadratico.
59
Fig.3.8: Fitting cubico per i dati aggregati
Fig.3.9: Residui standardizzati di Ash density
60
I dati sono stati esaminati con l’analisi dei residui standardizzati
[15].Utilizzando gli algoritmi di analisi statistica di Matlab si è
verificata l’eventuale presenza di punti outlier rispetto alla
regressione stimata, ovvero dei punti che presentano dei residui
molto grandi. Si riporta il grafico dei residui standardizzati
derivanti dall’analisi (fig.3.9).
Da tale osservazione si sono trovati due punti al di fuori del
campo di significatività; tali punti sono stati eliminati per il
criterio di Chauvenet e si è eseguita una nuova regressione dei
dati sperimentali. Si è considerata dapprima una regressione di
tipo quadratico (fig. 3.10) che ha portato ad un valore del
coefficiente di determinazione R2 molto maggiore; si passa infatti
da 0.72 a 0.88. per completezza si è voluto analizzare se un
modello esponenziale fosse in grado di rappresentare ancora
meglio i dati sperimentali. Come si può notare dalla figura 3.11,
le due curve sono praticamente sovrapponibili, ma data la
semplicità del modello esponenziale si è pensato di scegliere
quest’ultimo come rappresentativo del problema. Pertanto la
legge che meglio descrive la relazione esistente tra densità a
cenere e carico di snervamento è:
026.26.151 xy =
Equazione 7
61
Fig. 3.10: Fitting quadratico per i dati epurati
Fig. 3.11: Confronto tra modello esponenziale e quadratico
62
Un’analisi analoga è stata eseguita per verificare l’esistenza di
una correlazione tra modulo di elasticità dell’osso corticale e il
suo contenuto di ceneri. Si riportano solo i risultati finali.
Fig.3.12: Modello esponenziale per curva Ash density VS Modulo
di Young
Come è possibile vedere dall’andamento della curva (fig. 3.12)
anche in questo caso ci troviamo davanti ad un modello
esponenziale, che riproduce in maniera soddisfacente
l’andamento dei dati sperimentali. In questo caso il valore del
coefficiente di determinazione è risultato pari a R2=0.75 e
l’equazione che descrive tale andamento è : 21.2256,11 xy =
Equazione 8
63
Anche i dati relativi alla microdurezza dell’osso sono stati
analizzati statisticamente utilizzando il criterio di Chauvenet per
identificare eventuali valori anomali [15].
Poiché per ogni campione si è ottenuto un solo valore di
microdurezza, i diversi valori di densità a cenere ottenuti da ogni
provino proveniente dallo stesso campione sono stati mediati, al
fine di ottenere un solo punto per ogni campione.
Anche per questi punti si riportano solo i risultati ottenuti in
figura 3.13.
Fig.3.13: Modello lineare curva HV vs Ash density
L’andamento che meglio rappresenta i punti sperimentali in
questo caso è quello lineare anche se il valore del coefficiente di
determinazione non risulta molto alto (0.51), e l’equazione
derivante dal fitting è:
64
8.1003.28 += xy
Equazione 9
3.5 Conclusioni Per il tessuto corticale proveniente da pazienti adulti è stato
dimostrato che esiste una relazione tra densità a cenere e modulo
elastico e tra densità a cenere e resistenza allo snervamento. I dati
ottenuti in questo studio confermano che tali relazioni rimangono
valide anche per l’osso corticale proveniente da giovani pazienti.
Durante le prove si è inoltre notato un differente comportamento
a rottura tra le due famiglie di campioni. Tale differenza come già
spiegato da Currey[1] è dovuta al fatto che le ossa derivanti da
giovani pazienti possono subire maggiori deformazioni plastiche
rispetto a quelle adulte, ed anche ad una modalità di rottura
differente. Infatti l’osso adulto solitamente, sopporta carichi
crescenti fino alla rottura, e quindi si rompe di netto con
soluzione di continuità o lasciando un sottile spessore di fibre
ossee intatte; invece l’osso immaturo mostra una leggera
diminuzione del carico prima della rottura e molto spesso la
frattura viaggia rapidamente attraverso l’osso ma senza passare da
parte a parte mostrando la classica frattura a legno verde. Questo
tipo di frattura avviene quando l’energia esercitata sull’osso è
sufficiente a far partire la cricca ma non è sufficiente a guidarne la
sua propagazione all’interno dell’osso.
Tale discrepanza nel modo di rottura (fig.3.14) è probabilmente
legata al contenuto minerale presente nelle ossa in percentuale
differente a seconda dell’età. Pertanto trova conferma la tecnica di
desumere le caratteristiche meccaniche dalle immagini
65
diagnostiche. Infatti è stato dimostrato che esiste una correlazione
tra i valori di HU di un’immagine TC e la densità del tessuto [19].
A ciò si aggiunge che il materiale che costituisce il tessuto
corticale tende ad aumentare in termini di durezza a cui deve
corrispondere una variazione di composizione del tessuto. Questo
troverebbe conferma nella riduzione del contenuto d’acqua del
tessuto a favore del contenuto minerale, riportato da Muller. Tale
variazione nella composizione del tessuto spiegherebbe anche la
correlazione di tipo non lineare esistente tra le proprietà
meccaniche del tessuto. Infatti la non linearità del legame non
potrebbe essere spiegata solo con un aumento della densità ma
anche con la variazione della qualità dei costituenti il tessuto
corticale.
Fig.3.14: a) Campione di tessuto giovane;e b) campione di tessuto adulto dopo la
prova di compressione
66
67
IV Capitolo: Studio preliminare di un
materiale composito per la
realizzazione di dispositivi
ortopedici
Come è stato già detto nel capitolo introduttivo, i pazienti con
fratture delle diafisi femorali sono generalmente trattati con
placche e viti di bloccaggio (fig.4.1), che vengono inserite per
mantenere in posizione corretta le parti dell’osso disgiunte a
seguito della frattura o a seguito dell’intervento ricostruttivo
dovuto all’osteosarcoma [1, 2, 3].
Fig.4.1: Schemi di placche per la riduzione delle fratture
femorali (www.engine.umich.edu/.../bonefracture.htm)
68
Sono stati anche introdotti i vari problemi derivanti dal tipo di
materiale utilizzato per la realizzazione delle placche.
In questo capitolo si è cercato di trovare un materiale composito
che avesse le caratteristiche meccaniche più vicine a quelle
dell’osso umano rispetto a quelle delle placche metalliche; con
l’obbiettivo cioè di raggiungere la rigidezza e la resistenza a
flessione tali da ridurre gli effetti indesiderati legati allo “stress
shielding” [4]. La procedura è stata sviluppata con le dimensioni
e il peso di un paziente adulto standard, ma modificando
opportunamente i dati antropometrici la placca può essere
applicata su pazienti di qualunque età.
4.1 Biocompatibilità dei compositi Uno dei problemi fondamentali da affrontare legato all’uso dei
materiali compositi è la loro biocompatibilità. Con questo termine
si intende definire la particolare proprietà di sostanze, organi o
materiali, di essere ben tollerati da un organismo vivente e
comprende l’idea dell’accettazione di un impianto artificiale da
parte dei tessuti circostanti e da parte del corpo come un tutt’uno
[5]. La compatibilità è fondamentalmente legata a tre aspetti:
Compatibilità morfologica: riguarda gli aspetti dimensionali e
di forma; infatti un dispositivo ortopedico deve avere
dimensioni tali da essere inserito al posto del tessuto naturale;
Compatibilità funzionale: in quanto l’organo artificiale si deve
comportare in maniera tale da assolvere alla funzione per la
quale è stato inserito;
69
Compatibilità biologica: riguarda tutti gli aspetti di natura
chimica e biologica che possono indurre alterazioni dannose sia
per i tessuti naturali, sia per i materiali impiegati per la
costruzione di dispositivi a contatto con tali tessuti;
la biocompatibiltà non è una proprietà generale, ma specifica
dell’applicazione per la quale viene valutata.
Diversi materiali compositi sono stati studiati negli ultimi
decenni per possibili applicazioni biomediche, e l’esperienza
clinica ha evidenziato che non tutti sono adeguati all’uso medico.
I vari materiali usati per applicazioni biomediche possono essere
raggruppati in (a) metallici, (b) ceramici, (c) polimerici, e (d)
compositi costituiti con diverse combinazioni di (a), (b), (c).
E’ importante introdurre anche il concetto di bioattivo, bioinerte
e biodegradabile (riassorbibile) ; per bioattivo si intende un
materiale capace di provocare azioni e reazioni controllate
nell'ambiente fisiologico, per riassorbibile invece si intende la
capacità di degradarsi chimicamente e riassorbirsi in maniera
controllata, in modo da essere sostituito dal tessuto che lo ospita,
ed infine con bioinerte si intende un materiale che non induce il
tessuto ad interagire con esso, ma non da vita nemmeno a
fenomeni di intolleranza [6]. Ogni materiale presenta aspetti
positivi e negativi a seconda dell’applicazione. In particolare nel
nostro caso , in base a degli studi precedentemente svolti sui
materiali utilizzati per applicazioni biomediche [7], è stata presa
in considerazione la configurazione resina epossidica e diverse
fibre di rinforzo (carbonio, vetro e kevlar).
La resina epossidica è una resina termoindurente (cioè, avvenuta
la reticolazione, non è più possibile sciogliere i legami e tornare
70
ad un insieme di monomeri) studiata da molti ricercatori anche
per l’uso in campo biomedico. Presenta una buona
biocompatibilità, mostrando infatti una modesta citotossicità, e
una ridotta inibizione all’attività osteoblastica (attività di
ricostruzione ossea). Riferito ai materiali metallici, non sono state
rilevate comunque differenze tra la ricrescita dell’osso attorno ad
una resina epossidica e attorno a leghe di titanio rivestite da
idrossiapatite. Un miglioramento delle sue caratteristiche di
biocompatibilità può essere inoltre misurato attraverso la
sterilizzazione. Questa può essere effettuata sia in autoclave sia
con radiazioni ionizzanti.
Le fibre aramidiche (Kevlar) invece sono dotate di elevata
tenacità, buona resistenza a trazione, bassa densità e resistenza al
taglio elevata. In ambito biomedico vengono ampiamente usate
per la ricostruzione dei legamenti.
Test in vitro sulla tossicità e l’attività mutagenica del Kevlar 29 e
149 hanno dato esito negativo [7], mostrando una sostanziale
inattività in svariate condizioni di temperatura, con diversi tipi di
cellule. Altre ricerche sono giunte alla conclusione che non
esistono dati che suggeriscano che le fibre aramidiche aumentino
il rischio di tumore [8]. Lo studio comparato di materiali
utilizzabili in chirurgia ha mostrato una attività tossica
leggermente superiore del Kevlar rispetto agli altri (ad esempio
Teflon e Gore-Tex). Tale attività è però scomparsa trattando la
fibra con metanolo. Test in vivo sulla risposta dei tessuti
all’impianto di fibre aramidiche hanno mostrato reazioni
paragonabili a quelle del silicone (ritenuto biocompatibile) usato
come materiale di confronto. Per quanto riguarda le fibre di
carbonio diversi studi hanno affrontato il problema della
71
biocompatibilità [6,9], dimostrando che i materiali compositi
realizzati con tali fibre non presentano particolari reazioni a
contatto coi tessuti biologici ,infatti si possono elencare numerose
applicazioni in ortopedia e in odontoiatria (fig. 4.2). In realtà in
alcune applicazioni si è notata una reazione a tali fibre dovuta ai
piccoli detriti di fibre che si liberano nei tessuti durante la fase di
impianto che però non portano a reazione da corpo estraneo o
rigetto dell’impianto.
Fig. 4.2: Varie applicazioni biomediche di differenti compositi
polimerici [6]
72
4.2 Materiali compositi tessuti I materiali compositi tessuti [10,11] sono ottenuti intrecciando tra
loro fibre con orientazione diversa. I compositi tessuti strutturali
stanno ottenendo un sempre crescente interesse ed importanza
tecnologica. Questi materiali sono in grado di fornire requisiti
diversi:
stabilità dimensionale
ottima conformabilità
maggior bilanciamento delle proprietà nel piano rispetto ad una
lamina unidirezionale
rinforzo bidirezionale in una singola lamina
minore efficacia di rinforzo rispetto ad una doppia lamina
unidirezionale
ottima resistenza all’impatto
bassi costi di fabbricazione
facilità di lavorazione
Esistono svariate tipologie di tessuti compositi:
tessuti intrecciati: sono generalmente tessuti bidimensionali
che posseggono buona stabilità nelle due direzioni ortogonali
tessuti triassiali intrecciati: costruiti con tre set di fili
intrecciati a 60°, forniscono elevata rigidezza al taglio
altri tessuti bidimensionali sono i braid e i weft-inserted warp
knit in grado di fornire caratteristiche e prestazioni variabili
in funzione del tipo di intreccio
tessuti compositi tridimensionali: hanno forma estremamente
complessa in grado di fornire elevata resistenza all’impatto e
al taglio
73
Fig. 4.3. Esempi di tessuti bidimensionali
4.2.1 I compositi tessuti intrecciati
I tessuti compositi intrecciati sono costituiti da due set di fili
ortogonali fra loro (trame e ordito) che possono essere costituiti
dallo stesso o da materiali diversi (tessuti ibridi). La direzione
longitudinale è l’ordito (warp), mentre quella trasversale è
chiamata trama (fill o weft) [10].
I diversi tipi di tessuti possono essere identificati in base alla
ripetizione del disegno delle zone intrecciate. Due parametri
geometrici possono essere utilizzati per caratterizzare un tessuto:
nfg indica il numero di set di fili in cui un ordito si intreccia
con una trama
nwg indica il numero di set di fili in cui una trama si intreccia
con un ordito
La nostra analisi si limita a tessuti con nfg = nwg = ng = 2 . Tessuti
con ng ≥ 4 e in cui le zone intrecciate non sono collegate vengono
chiamati satin weaves. In base al valore di ng i tessuti sono
chiamati in modo diverso. I più utilizzati sono:
• plain weave (ng =2)
• twill weave (ng =3)
74
• 4-harness satin (ng =4)
• 5-harness satin (ng =5)
• 8-harness satin (ng =8)
A causa della ripetitività geometrica del materiale, una lamina
può essere considerata ottenuta dalla ripetizione lungo le due
direzioni ortogonali di una cella elementare (unit cell).
Fig. 4.4. Diverse tipologie di tessuto piano (plain weave, twill
weave, 4-harness satin) [11]
4.2.2 Metodologia di analisi
Lo studio del comportamento dei compositi tessuti si basa sulla
teoria dei laminati piani.
75
Esistono diversi modelli analitici che permettono di determinare
le caratteristiche meccaniche ed il comportamento dei compositi
tessuti:
• Mosaic Model [10]: simula la geometria del laminato con
delle tessere di laminato cross-ply, non tenendo conto
dell’ondulazione delle fibre
• Crimp (fiber undulation) model [10,12]: tiene conto
dell’ondulazione delle fibre lungo solo una direzione
• Bridging model [10,12]: deriva dal modello precedente e può
essere ampliato con un criterio di danneggiamento
4.2.3 Il modello mosaico
L’idealizzazione del “modello mosaico “ può essere osservata in
figura 4.5. In questo modello la rappresentazione di un tessuto in
materiale composito viene semplificata omettendo la continuità
delle fibre e la loro ondulazione. La lamina può essere considerata
come un assemblaggio di pezzi di cross-ply asimmetrici.
Data la matrice di rigidezza di una lamina unidirezionale
posizionata nel piano xy con le fibre orientate in direzione x,
possiamo ricavare le costanti elastiche di rigidezza del laminato
cross-ply. Partiamo da un laminato composto da due lamine aventi
spessore hlay e, avendo posizionato l’origine del piano medio xy
nella mezzeria del laminato, avremo che i termini non nulli sono:
( )νD
hEEAA2
212211
+==
ν
νD
hEA 12212 =
hGA 1266 = ( )
νDhEEBB
8
221
2211−
=−=
76
( )νD
hEEDD24
321
2211+
== ν
νD
EhD12
1223
12 =
1212
3
66GhD =
Fig. 4.5: Schema del modello mosaico[10]
I termini della matrice di accoppiamento trazione-flessione B11 e
B22 non si annullano in quanto E1 è diverso da E2. Come per la
matrice Q, anche Aij, Bij e Dij sono simmetriche.
Nel bound approach [9] si ricavano i limiti delle caratteristiche
meccaniche della lamina composita tessuta. Per fare questo si
considerano due modelli monodimensionali dove i pezzi sono
assemblati in serie o in parallelo (fig. 4.5 b, d).
77
Fig. 4.6. Schematizzazione di un tessuto con il modello mosaico [10]
Nel modello parallelo si assume, in prima approssimazione, uno
stato uniforme di deformazione ε0 e una curvatura k in
corrispondenza del piano medio del laminato. Per una regione di
lunghezza nga, dove a rappresenta la larghezza del filo, lo sforzo
medio agente è dato da:
1110212
0
011111
211 kBn
AAdzNan
N L
g
an
g
g
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−++== ∫
−
εε
78
Il fattore (1-2/ng) compare a causa del fatto che i termini B11 della
zona intrecciata (B11T) e di quella non intrecciata (B11
L) hanno
segno opposto. Nella stessa maniera possono essere scritte le
espressioni per i termini simili.
Possiamo a questo punto scrivere le espressioni dei termini della
matrice di rigidezza relativi alle sollecitazioni medie:
ijij AA =−
ijg
ij Bn
B ⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−=
− 21
ijij DD =−
Queste componenti costituiscono il limite superiore delle costanti
di rigidezza di un tessuto composito. Invertendo queste matrici si
ottengono i limiti inferiori delle matrici di cedevolezza.
Nel modello in serie consideriamo l’elemento sottoposto
all’azione di una forza normale N agente in direzione
longitudinale. La curvatura media può essere così determinata:
1110
11211 Nb
ndzk
ank L
g
an
g
g
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−== ∫
−
Anche in questo caso il fattore (1-2/ng) compare a causa del fatto
che i termini b11 della zona intrecciata (b11T) e di quella non
intrecciata (b11L) hanno segno opposto.
ijij aa =−
ijg
ij bn
b ⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛−=
− 21
ijij dd =−
79
Scritte le espressioni per i termini simili si ottiene il limite
superiore delle costanti di cedevolezza, mentre invertite queste
matrici si ottiene il limite inferiore delle contanti di rigidezza.
In questo modo si possono ricavare i limiti superiori ed inferiori
delle costanti di rigidezza e cedevolezza. Si nota subito la loro
dipendenza dal termine 1/ng. Il comportamento di una lamina
unidirezionale può essere ricavato in corrispondenza di 1/ng che
tende a zero. In corrispondenza di tale valore i limiti superiori ed
inferiori coincidono tra essi. I tessuti plain weave invece
corrispondono al caso ng=2. In questo caso gli effetti di
accoppiamento si annullano e i termini bij ed Bij sono entrambi
nulli. Non si annullano invece i termini aij ed Aij .[10]
4.3 Applicazione del modello mosaico al
nostro caso Nel nostro studio è stato sviluppato in Matlab un programma che
impiegando il modello mosaico fosse in grado di predire le
costanti elastiche di una lamina costituita da un tessuto plain
weave con trama e ordito disposti a 0°/90° . Sono stati studiati
cinque diversi compositi in cui la matrice è sempre costituita da
resina epossidica mentre come fibre di rinforzo sono state
considerate dapprima due tipologie di fibre di carbonio, quindi
fibre di vetro e infine due varianti di Kevlar (29 e 149). Nel
modello mosaico da noi sviluppato vengono inserite le proprietà
elastiche tipiche dei preimpregnati unidirezionali costituiti da
matrice e rinforzi sopraelencati [13]. Il modello utilizzando la
80
teoria dei laminati piani è in grado di fornire le caratteristiche
principali di un laminato tessuto costituito da due strati
unidirezionali 0°/90°. In particolare si ha :
E1 E2 G12 ν12
Alta resistenza Carbon/epoxy
140 10 5 0.3
Alto modulo Carbon/epoxy
180 8 5 0.3
E-glass/epoxy 40 8 4 0.25
Kevlar(29)/epoxy 75 6 2 0.34
Kevlar(149)/epoxy 90 5 2 0.34
Tab.4.1: Proprietà tipiche di preimpregnati unidirezionali [GPa]
Mentre una volta inseriti nel modello si ha:
Tab.4.2: Proprietà della lamina tessuta ottenuta “intrecciando” due strati
0°/90°, [GPa]
E1 E2 G12 ν12
Alta resistenza Carbon/epoxy
75.4 75.4 5 0.04
Alto modulo Carbon/epoxy
94.3 94.3 5 0.025
E-glass/epoxy 24 24 4 0.083
Kevlar(29)/epoxy 40.8 40.8 2 0.05
Kevlar(149)/epoxy 47.7 47.7 2.14 0.04
Dove:
E1 = modulo di Young nella direzione principale [GPa]
E2 = modulo di Young in direzione trasversale [GPa]
G12 = modulo di elasticità tangenziale [GPa]
ν12 = coefficiente di Poisson
81
Fig.4.7: Laminato 0°/90°[13]
Quindi utilizzando la teoria dei laminati si è sviluppato un
programma in Matlab che simulasse un laminato che avesse le
dimensioni tipiche di tali placche e che fosse in grado di verificare
lo stato di sforzo agente su di esse durante il loro utilizzo.
4.4 Teoria dei laminati in breve
In un laminato (fig.4.7) le equazioni costitutive per uno stato di
deformazione piana sono del tipo:
82
⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢
⎣
⎡
−×
⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢
⎣
⎡
−−−−−−=
⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢
⎣
⎡
−
6
2
1
6
2
1
666261666261
262221262221
161211161211
666261666261
262221262221
161211161211
6
2
1
6
2
1
|||||||
kkk
DDDBBBDDDBBBDDDBBB
BBBAAABBBAAABBBAAA
MMM
NNN
εεε
In forma abbreviata:
⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢
⎣
⎡
−×⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢
⎣
⎡
−−=⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢
⎣
⎡
−
ij
ij
ijij
ijij
ij
ij
kDB
BA
M
N ε
|||
dove:
Nij = matrice delle azioni normali;
Mij = matrice dei momenti;
εij = matrice delle deformazioni piane;
kij = matrice delle curvature;
Aij = matrice di rigidezza normale;
Bij = matrice di accoppiamento rigidezza flessionale-normale;
Dij = matrice di rigidezza flessionale.
I componenti delle matrici di rigidezza Aij, Bij e Dij si ottengono
tramite integrazione lungo la direzione dello spessore z (fig.4.6):
83
dzQlAN
n
h
hijij
k
k
∑ ∫=
−
⋅=1
1
dzQzBN
n
h
hijij
k
k
∑ ∫=
−
⋅=1
1
dzQzDN
n
h
hijij
k
k
∑ ∫=
−
⋅=1
2
1
dove Qij sono i termini della matrice di rigidezza di una lamina
unidirezionale nel piano xy con le fibre orientate in direzione x.
Essa è espressa come:
⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢
⎣
⎡
=
xy
yyyx
yxyx
ij
GDE
DE
DE
DE
Q
00
0
0
νν
ννν
ν
dove
yxxyD ννν −= 1
I termini Ex ed Ey sono i moduli di elasticità longitudinali lungo le
direzioni x e y rispettivamente, Gxy il modulo di elasticità
trasversale e nxy il modulo di Poisson. La matrice di rigidezza Q è
una matrice simmetrica.
In termini finiti le costanti di rigidezza valgono:
( ) ( )11
−=
−= ∑ kk
N
nkijij hhQA
84
( ) ( )21
2
1 21
−=
−= ∑ kk
N
nkijij hhQB
( ) ( )31
3
1 31
−=
−= ∑ kk
N
nkijij hhQD
L’inversione della matrice di rigidezza fornisce:
⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢
⎣
⎡
−×⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢
⎣
⎡
−−=⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢
⎣
⎡
−
ij
ij
ijij
ijij
ij
ij
M
N
db
ba
k |||ε
dove i termini aij, bij e dij sono i termini della matrice di
cedevolezza. Nota la matrice di cedevolezza è possibile ricavare
le caratteristiche equivalenti del laminato tramite le equazioni:
11
1at
Ex ∗=
22
1at
E y ∗=
66
1at
Gxy ∗=
Il limite superiore delle costanti di cedevolezza è ottenuto con la
condizione di isosforzo, mentre il limite inferiore delle costanti di
rigidezza è ricavato dall’inversione della matrice di cedevolezza.
Ugualmente, il limite superiore delle costanti di rigidezza è
ottenuto con la condizione di isodeformazione, mentre il limite
inferiore delle costanti di cedevolezza è ricavato dall’inversione
della matrice di rigidezza. Una volta noto lo stato di sforzo è
85
4.4.1 Criteri di rottura
sistono diversi metodi per verificare la rottura di un laminato,
azione
i Tsai-Wu
ai-Wu
mo: tale criterio
ura che
t che rappresenta il carico di rottura di trazione in direzione
ppresenta il carico di rottura di compressione in
l carico di rottura di trazione in direzione
possibile verificare attraverso l’uso uno dei criteri di rottura la
resistenza del laminato sotto quei carichi [13,14].
E
ma i più comunemente usati sono sei, in particolare si hanno:
1) Teoria del massimo sforzo
2) Teoria della massima deform
3) Teoria di Tsai-Hill
4) Teoria di Hoffman
5) Teoria dello stress d
6) Teoria della deformazione di Ts
Nel nostro programma è stato sviluppato il pri
afferma che la rottura di un piano del laminato avviene quando
qualunque valore dello sforzo nelle direzioni degli assi del
materiale eccede il rispettivo valore del carico di rottura.
Ci sono in generale cinque valori di carico di rott
definiscono completamente la rottura di un composito piano sotto
un sistema di carico multiassiale. Tali valori sono (fig. 4.8):
X
delle fibre
Xc che ra
direzione delle fibre
Yt che rappresenta i
della matrice
86
Yc che rappresenta il carico di rottura di compressione in
direzione della matrice
S che rappresenta il carico di rottura di taglio
Fig.4.8: Carichi di rottura per l’analisi della resistenza del laminato[13]
Quindi il criterio del massimo stress è verificato quando:
1) per sforzi di trazione:
1/1 <tXf
1/2 <tYf
2) per sforzi di compressione:
1/1 <cXf
1/2 <cYf
3) per sforzi di taglio:
1/12 <Sf
se una di queste disequazioni non viene soddisfatta si assume che
il piano in considerazione si è rotto seguendo un meccanismo
legato a un modo di rottura di trazione o compressione
87
longitudinale, di trazione o compressione trasversale , o infine di
taglio [13].
4.5 Geometria della placca
Esistono diverse geometrie per le placche di compressione che
variano a seconda della posizione della frattura lungo il femore.
Nel nostro studio si è considerata la frattura delle diafisi femorali
per cui della parte centrale del femore; per tali fratture vengono
solitamente utilizzate delle placche come quelle di fig. 4.9.
Fig.4.9: Placche per la riduzione delle fratture delle diafisi
femorali (www.sisortho.com/product3.htm)
Come dimensioni della placca sono state considerate quelle
relative allo standard della Dynamic Compression Plate (DCP)
dell’istituto di Arberitsgemeinschaft für Osteosynthesefragen
(AO) fig. 4.10.
88
Fig.4.10: Schema di placca DCP dell’AO institute [15]
La nostra placca però essendo ancora ad uno stadio preliminare è
stata considerata senza curvatura perciò a sezione rettangolare e
lo spessore è stato fatto variare tra i 3.6 mm e i 4.2 mm, in base al
numero di lamine che compongono la placca, valori confrontabili
con quelli della placca DCP [15] .
Per quanto riguarda il contatto placca-osso, si è considerata una
situazione di perfetto incollaggio, senza fenomeni di slittamento
[16,17], e quindi anche senza fori per le viti.
Per le dimensioni del femore si sono considerate quelle dell’osso
in materiale composito prodotto dalla Pacific Research Labs,
Vashon Island e distribuito in Europa dalla Sawbones Europe,
con sede in Svezia che rappresentano lo standard per un femore
maschile adulto (fig.4.11)
89
a b c d e f
455 43 33 135° 28 78
Fig.4.11: Femore di seconda generazione della Pacific Research Labs
(misure in mm).
4.6 Applicazione dei carichi sulla placca
La scelta del sistema di forze da applicare al femore, sia negli
studi sperimentali che in quelli computazionali, può risultare
molto complessa e con considerevoli diversità tra i differenti
autori [18,19].
La maggior parte degli studi considera però il femore
semplicemente caricato. In generale viene applicata soltanto una
forza di reazione congiunta (risultante dell’anca) alla testa del
femore, e solo in alcuni casi anche quella dovuta al muscolo
adduttore applicata al grande trocantere. Entrambe le componenti
di carico producono un caratteristico sforzo flettente distribuito
90
lungo il femore. La placca nei primi giorni successivi alla
riduzione della frattura, avrà il compito di tenere in posizione
corretta i due monconi al fine di garantire la formazione del callo
osseo.
Fig.4.11: Sistema di forze agenti sul femore
Pertanto la placca verrà caricata utilizzando il sistema di carico in
figura 4.11, dove si considerano le sole forze dovute alla
risultante dell’anca applicata alla testa del femore e al muscolo
91
adduttore applicata al grande trocantere; in particolare la prima
viene considerata inclinata di 16° nel piano trasversale e di 13° in
quello sagittale (fig. 4.12) con un valore pari a una volta il peso
corporeo (1BW), mentre la seconda è inclinata di 20° nel piano
frontale ed assume un valore pari a 0.46 volte il peso corporeo
(0.46BW) [20].
Fig. 4.12: Sistema di riferimento dei carichi sui piani anatomici [20]
Poiché nel primo periodo di guarigione le due sezioni della
frattura sono ancora disgiunte, in attesa della formazione del callo
osseo il paziente viene tenuto a letto e viene sottoposto ad una
accurata fisioterapia: per le prime 6 settimane è in grado solo di
appoggiare il piede a terra da seduto (che corrisponde ad un
carico di 15 Kg), dopodiché viene fatto camminare con l’aiuto di
92
una stampella per le successive 12 settimane (35 Kg) e infine
dovrebbe essere in grado di muoversi senza alcun sostegno [21].
Questo comporta che al livello della placca il massimo stato di
carico si ha durante le prime sei settimane in cui non essendo
ancora avvenuta la formazione del callo osseo, tutto il carico è
sopportato dalla placca; pertanto analizzando la condizione di
femore semplicemente caricato si ha che le forze che agiscono su
di esso sono:
RISULTANTE ANCA = 150 N
MUSCOLO ADDUTTORE = 69 N
Se si considera, quindi, una placca come quella di figura 4.13
incollata al femore (fig. 4.9), in cui l’asse x coincide con l’asse del
femore, il piano x-z è quello anatomico frontale, ed infine il piano
x-y è quello anatomico sagittale, le componenti per unità di
larghezza (pari a 15 mm) che si trasmettono su di essa risultano
essere:
Fx = 5.4 N/mm
Fy = 0.62 N/mm
Fig.4.13: Schema generale della placca [13]
93
Tali componenti producono anche una componente flessionale ed
una componente torcente pari a
Mx = -532 N
Mxy = 44.64 N
4.7 Risultati Come abbiamo detto sono state analizzate diverse fibre di
rinforzo tessute e resina epossidica come matrice per realizzare la
placca in materiale composito. Le principali caratteristiche di tali
materiali sono state introdotte nel modello matematico realizzato
con l’ausilio di Matlab e una volta inseriti anche spessore e
numero delle lamine è stato possibile ricavare la matrice di
rigidezza per ogni materiale (vedi appendice A).
Sono state quindi inserite le componenti di carico ed è stata
ricavata la matrice degli sforzi agenti nelle tre direzioni principali
e per ogni strato del laminato.
Immettendo infine i valori dei carichi di rottura (tab. 4.3) si è
potuta verificare la resistenza del laminato sottoposto al sistema
di carico.
Xt Xc Yt Yc S
High stregth Carbon/epoxy
600 570 600 570 90
High modulus Carbon/epoxy
350 150 350 150 35
E-glass/epoxy 440 425 440 425 40
Kevlar(29)/epoxy 480 190 480 190 50
Kevlar(149)/epoxy 245 179 245 179 50
Tab.4.3: Carichi di rottura dei diversi laminati [MPa]
94
Tab. 4.4: Carbon/Epoxy ad alta resistenza 14 strati Direzione X Y XY
Strato1 0.3152 0.0002 -0.1687
Strato2 0.2699 0.0002 -0.1446
Strato3 0.2245 0.0002 -0.1205
Strato4 0.1792 0.0002 -0.0964
Strato5 0.1338 0.0002 -0.0723
Strato6 0.0884 0.0002 -0.0482
Strato7 0.0431 0.0002 -0.0241
Strato8 0.0452 0.0002 0.0241
Strato9 0.0883 0.0002 0.0482
Strato10 0.1314 0.0002 0.0723
Strato11 0.1745 0.0002 0.0964
Strato12 0.2176 0.0002 0.1205
Strato13 0.2606 0.0002 0.1446
Strato14 0.3037 0.0002 0.1687
Tab. 4.5: Carbon/Epoxy ad alta resistenza 12 strati Direzione X Y XY
Strato1 0.4295 0.0003 -0.2296
Strato2 0.3575 0.0003 -0.1914
Strato3 0.2854 0.0003 -0.1531
Strato4 0.2134 0.0003 -0.1148
Strato5 0.1414 0.0003 -0.0765
Strato6 0.0694 0.0003 -0.0383
Strato7 0.0709 0.0003 0.0383
Strato8 0.1393 0.0003 0.0765
Strato9 0.2077 0.0003 0.1148
Strato10 0.2762 0.0003 0.1531
Strato11 0.3446 0.0003 0.1914
Strato12 0.4130 0.0003 0.2296
Si sono dapprima studiate due configurazioni costituite da
matrice in resina epossidica e fibre di carbonio; la prima ad alta
resistenza alla rottura, e la seconda con un elevato modulo di
elasticità.
Lo spessore di ogni strato è di 0.3 mm e lo spessore totale è
ovviamente funzione del numero di strati considerati; analizzando
95
perciò inizialmente uno spessore totale di 4.2 mm (corrispondente
a 14 strati) si sono ottenuti i valori degli indici di rottura riportati
nella tabella 4.4.
Dall’analisi di tali indici si evince che il maggiore di questi è pari
a 0.3152 , appartiene al primo strato in direzione x ed essendo
molto inferiore all’unità, soddisfatta ampiamente la condizione di
sicurezza .
Si è pertanto pensato di diminuire il numero degli strati
portandolo a 12 (per uno spessore totale del laminato pari a 3.6
mm), al fine di ottimizzare la progettazione della placca; i risultati
ottenuti sono ancora soddisfacenti come si può vedere dalla
tabella 4.5.
Tab 4.6: Carbon/Epoxy ad elevato modulo 14 strati Direzione X Y XY
Strato1 1.1978 0.0004 -0.4336
Strato2 1.0254 0.0004 -0.3717
Strato3 0.8531 0.0004 -0.3097
Strato4 0.6808 0.0004 -0.2478
Strato5 0.5084 0.0004 -0.1858
Strato6 0.3361 0.0004 -0.1239
Strato7 0.1638 0.0004 -0.0619
Strato8 0.0775 0.0004 0.0619
Strato9 0.1514 0.0004 0.1239
Strato10 0.2252 0.0004 0.1858
Strato11 0.2991 0.0004 0.2478
Strato12 0.3730 0.0004 0.3097
Strato13 0.4468 0.0004 0.3717
Strato14 0.5207 0.0004 0.4336
Per quanto riguarda la seconda configurazione resina epossidica e
fibre di carbonio caratterizzata da un elevato modulo di elasticità
si è visto che già con uno spessore di 4.2 mm non si
raggiungevano le condizioni di sicurezza per cui tale
configurazione è stata subito scartata (tab.4.6).
96
Tab. 4.7: Glass/Epoxy 14 strati Direzione X Y XY
Strato1 0.4227 0.0003 -0.3794
Strato2 0.3619 0.0003 -0.3252
Strato3 0.3011 0.0003 -0.2710
Strato4 0.2403 0.0003 -0.2168
Strato5 0.1794 0.0003 -0.1626
Strato6 0.1186 0.0003 -0.1084
Strato7 0.0578 0.0003 -0.0542
Strato8 0.0617 0.0003 0.0542
Strato9 0.1204 0.0003 0.1084
Strato10 0.1792 0.0003 0.1626
Strato11 0.2379 0.0003 0.2168
Strato12 0.2967 0.0003 0.2710
Strato13 0.3554 0.0003 0.3252
Strato14 0.4142 0.0003 0.3794
Tab. 4.8: Glass/Epoxy 12 strati Direzione X Y XY
Strato1 0.5760 0.0004 -0.5167
Strato2 0.4794 0.0004 -0.4306
Strato3 0.3828 0.0004 -0.3444
Strato4 0.2862 0.0004 -0.2583
Strato5 0.1896 0.0004 -0.1722
Strato6 0.0931 0.0004 -0.0861
Strato7 0.0967 0.0004 0.0861
Strato8 0.1900 0.0004 0.1722
Strato9 0.2833 0.0004 0.2583
Strato10 0.3766 0.0004 0.3444
Strato11 0.4699 0.0004 0.4306
Strato12 0.5632 0.0004 0.5167
Si è poi studiata la configurazione resina epossidica-fibre di vetro;
in questo caso i risultati sono stati soddisfacenti sia per un numero
di strati pari a 14 che per la configurazione con lo spessore pari
3.6 mm. Si riportano di le due tabelle relative agli indici di
rottura.(Tabelle 4.7 e 4.8)
97
Tab. 4.9: Kevlar29/Epoxy 14 strati Direzione X Y XY
Strato1 0.9456 0.0003 -0.3037
Strato2 0.8096 0.0003 -0.2603
Strato3 0.6735 0.0003 -0.2169
Strato4 0.5375 0.0003 -0.1735
Strato5 0.4014 0.0003 -0.1301
Strato6 0.2653 0.0003 -0.0868
Strato7 0.1293 0.0003 -0.0434
Strato8 0.0565 0.0003 0.0434
Strato9 0.1104 0.0003 0.0868
Strato10 0.1642 0.0003 0.1301
Strato11 0.2181 0.0003 0.1735
Strato12 0.2720 0.0003 0.2169
Strato13 0.3258 0.0003 0.2603
Strato14 0.3797 0.0003 0.3037
Tab. 4.10: Kevlar29/Epoxy 12 strati Direzione X Y XY
Strato1 1.2884 0.0004 -0.4133
Strato2 1.0724 0.0004 -0.3444
Strato3 0.8563 0.0004 -0.2756
Strato4 0.6403 0.0004 -0.2067
Strato5 0.4242 0.0004 -0.1378
Strato6 0.2082 0.0004 -0.0689
Strato7 0.0886 0.0004 0.0689
Strato8 0.1742 0.0004 0.1378
Strato9 0.2597 0.0004 0.2067
Strato10 0.3452 0.0004 0.2756
Strato11 0.4307 0.0004 0.3444
Strato12 0.5162 0.0004 0.4133
Infine si sono studiate due configurazioni per il kevlar e la resina
epossidica. La prima ad essere stata analizzata è quella
denominata kevlar 29 per la quale sono stati controllati entrambi
gli spessori.
98
Tab. 4.11: Kevlar149/Epoxy 14 strati Direzione X Y XY
Strato1 0.9712 0.0006 -0.3037
Strato2 0.8314 0.0006 -0.2603
Strato3 0.6917 0.0006 -0.2169
Strato4 0.5520 0.0006 -0.1735
Strato5 0.4122 0.0006 -0.1301
Strato6 0.2725 0.0006 -0.0868
Strato7 0.1328 0.0006 -0.0434
Strato8 0.1085 0.0006 0.0434
Strato9 0.2119 0.0006 0.0868
Strato10 0.3153 0.0006 0.1301
Strato11 0.4187 0.0006 0.1735
Strato12 0.5221 0.0006 0.2169
Strato13 0.6256 0.0006 0.2603
Strato14 0.7290 0.0006 0.3037
Tab. 4.12: Kevlar149/Epoxy 12 strati Strato1 1.3232 0.0007 -0.4133
Strato2 1.1013 0.0007 -0.3444
Strato3 0.8794 0.0007 -0.2756
Strato4 0.6576 0.0007 -0.2067
Strato5 0.4357 0.0007 -0.1378
Strato6 0.2138 0.0007 -0.0689
Strato7 0.1702 0.0007 0.0689
Strato8 0.3344 0.0007 0.1378
Strato9 0.4986 0.0007 0.2067
Strato10 0.6628 0.0007 0.2756
Strato11 0.8270 0.0007 0.3444
Strato12 0.9912 0.0007 0.4133
Come si può notare la struttura a 14 strati resiste ai carichi mentre
quella con spessore inferiore si rompe sul primo strato.
Si è esaminata infine la configurazione denominata kevlar149
resina epossidica; i risultati trovati sono del tutto analoghi a quelli
della condizione precedente.
99
4.8 Discussione Riassumendo i risultati ottenuti con una tabella, risulta chiaro che
per spessori di 4.2 mm tutti i materiali analizzati verificano la
condizione di sicurezza richiesta tranne la configurazione
Carbon/Epoxy ad elevato modulo di elasticità.
Materiale 14 strati 12 strati
High strength Carbon/epoxy
Si Si
High modulus Carbon/epoxy
No
E-glass/epoxy Si Si Kevlar(29)/epoxy Si No Kevlar(149)/epoxy Si No
Tab.4.13: schema riassuntivo dei risultati
Per quanto riguarda le configurazioni a 12 strati solo due sono
verificate.
Quindi ricordando che lo scopo dell’analisi era quello di trovare
un materiale che avesse dei valori del modulo di elasticità più
simili a quelle dell’osso per evitare i fenomeni di stress shielding,
ma che allo stesso tempo potesse resistere ai carichi fisiologici
durante la guarigione, si può affermare che il primo punto è stato
raggiunto con tutti e cinque i materiali presi in considerazione.
Per quanto riguarda il secondo obiettivo possiamo dire che anche
se con 14 strati quattro dei cinque materiali soddisfano le
condizioni cercate, in realtà la placca “effettiva” è collegata
all’osso attraverso delle viti di bloccaggio per cui ci sarebbero da
considerare anche gli effetti legati ai fori.
100
Pertanto poiché le due configurazioni in kevlar presentano degli
indici di rottura molto prossimi al limite queste dovranno essere
scartate, mentre le strutture Carbon/Epoxy ad alta resistenza alla
rottura e Glass/Epoxy hanno dei valori di tali indic molto lontani
dall’unità per entrambi gli spessori e possono quindi essere
accettati.
101
V Capitolo: Conclusioni
5.1 Conclusioni
Sono state investigate le caratteristiche meccaniche del tessuto
osseo proveniente da giovani pazienti e da pazienti adulti, con lo
scopo di assegnare le opportune proprietà del materiale ad un
modello agli elementi finiti del segmento osseo capace di
simulare la vita dell’impianto e poter quindi rafforzare la tecnica
ricostruttiva e programmare la successiva fase di riabilitazione.
I dati ottenuti in questo studio confermano che esiste una
relazione tra densità a cenere e modulo elastico e tra densità a
cenere e resistenza allo snervamento del tessuto osseo adulto e
tali relazioni rimangono valide anche per l’osso corticale
proveniente da giovani pazienti.
Durante le prove si è inoltre notato un differente comportamento
a rottura tra le due famiglie di campioni. Tale discrepanza nella
modalità di rottura è probabilmente legata al contenuto minerale
presente nelle ossa in percentuale differente a seconda dell’età.
Pertanto trova conferma la tecnica di desumere le caratteristiche
meccaniche dalle immagini diagnostiche provenienti da TC. Si è
inoltre visto che il materiale che costituisce l’osso corticale tende
ad aumentare in termini di durezza e a questo deve corrispondere
una variazione di composizione del tessuto; si ha infatti una
102
riduzione del contenuto d’acqua nell’osso a favore del contenuto
minerale, come riportato da Muller. Questa variazione nella
composizione del tessuto spiegherebbe anche la correlazione di
tipo non lineare esistente tra le sue proprietà meccaniche .Tale
non linearità infatti non potrebbe essere spiegata solo con un
aumento della densità ma anche con la variazione della qualità dei
costituenti il tessuto corticale.
Abbiamo inoltre visto che sia i pazienti che subiscono tali
interventi ricostruttivi che quelli che presentano delle fratture
delle diafisi femorali generalmente vengono trattati con placche in
titanio o acciaio inossidabile e viti di bloccaggio. Purtroppo però
spesso tali impianti tendono a rompersi per le diverse proprietà
meccaniche che hanno rispetto all’osso che li ospita Si è perciò
pensato di trovare un materiale composito che avesse delle
caratteristiche meccaniche che rispettassero le specifiche
desiderate; con l’obbiettivo cioè di raggiungere la rigidezza e la
resistenza a flessione tali da ridurre gli effetti indesiderati legati
allo “stress shielding”.
E’ stato perciò implementato un programma in Matlab che
simulasse il comportamento di un laminato che avesse le
dimensioni tipiche di tali placche e che fosse in grado di verificare
lo stato di sforzo agente su di esse durante il loro utilizzo.
Si sono analizzati diversi materiali compositi costituiti tutti da
lamine tessute plain weave con trama e ordito disposti a 0°/90° ,
con matrice in resina epossidica e differenti fibre di rinforzo
(carbonio, vetro e Kevlar) (Tab. 5.1).
Tutti i materiali analizzati verificano la prima specifica che
richiedeva un valore del modulo di elasticità più vicino a quello
dell’osso. Per quanto riguarda invece la resistenza ai carichi
103
durante la vita della placca, solo due dei cinque materiali possono
essere presi in considerazione.
Materiale Modulo di elasticità
E1=E2 [GPa]
14
strati
12
strati
High strength Carbon/epoxy
75.4 Si Si
High modulus Carbon/epoxy
94.3 No
E-glass/epoxy 24 Si Si Kevlar(29)/epoxy 40.8 Si No Kevlar(149)/epoxy 47.5 Si No
Tab.5.1: schema riassuntivo dei risultati
5.2 Sviluppi futuri Eseguita la scelta del materiale si procederà alla progettazione e
realizzazione della placca. Verranno quindi affrontate le
problematiche legate allo sviluppo della tecnologia necessaria per
la produzione del prototipo della stessa. Il processo di foratura
delle placche deve infatti avvenire senza che si abbia alcuna
rottura delle fibre tessute utilizzate come rinforzo, al fine di non
alterarne le prestazioni. Sarà infine effettuata una campagna
sperimentale comprendente sia prove di tipo statico che dinamico
realizzata su femori di bovino, al fine di verificare la resistenza ai
carichi richiesti della placca realizzata.
104
105
Appendice A
Matrice degli sforzi nelle tre direzioni per ogni strato (14) ST = -179.67 0.148 -15.18
-153.81 0.148 -13.01
-127.96 0.148 -10.84
-102.11 0.148 -8.67
-76.26 0.148 -6.51
-50.41 0.148 -4.34
-24.56 0.148 -2.17
27.14 0.148 2.17
52.98 0.148 4.34
78.83 0.148 6.51
104.69 0.148 8.67
130.53 0.148 10.84
156.39 0.148 13.01
182.23 0.148 15.18
Matrice degli sforzi nelle tre direzioni per ogni strato (12) ST = -244.8 0.172 -20.67
-203.75 0.172 -17.22
-162.7 0.172 -13.78
-121.65 0.172 -10.33
-80.60 0.172 -6.89
-39.55 0.172 -3.44
42.55 0.172 3.44
83.60 0.172 6.89
124.65 0.172 10.33
165.70 0.172 13.78
206.75 0.172 17.22
247.80 0.172 20.67
1) CARBON/EPOXY AD ALTA RESISTENZA
106
E1=75.3645
E2=75.3645
G12=5
Matrice di rigidezza E (14 strati) = 317.0382 12.6815 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
12.6815 317.0382 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 21.0000 -0.0000 0.0000 0.0000
0.0000 0.0000 -0.0000 466.0461 18.6418 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 18.6418 466.0461 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 30.8700
Matrice di rigidezza E (12 strati) = 271.7470 10.8699 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
10.8699 271.7470 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 18.0000 -0.0000 0.0000 0.0000
0.0000 0.0000 -0.0000 293.4868 11.7395 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 11.7395 293.4868 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 19.4400
2) CARBON/EPOXY AD ALEVATO MODULO DI
ELASTICITA'
E1=94.31
E2=94.31
G12=5
v12=0.0255
Matrice di rigidezza E (14 strati) = 396.3597 10.1072 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
10.1072 396.3597 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 21.0000 -0.0000 0.0000 0.0000
107
0.0000 0.0000 -0.0000 582.6488 14.8575 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 14.8575 582.6488 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 30.8700
3) GLASS/EPOXY
E1=24.135
E2=24.135
G12=4
v12=0.0833
Matrice di rigidezza E (14 strati) = 102.0753 8.5029 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
8.5029 102.0753 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 16.8000 -0.0000 0.0000 0.0000
0.0000 0.0000 -0.0000 150.0507 12.4992 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 12.4992 150.0507 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 24.6960
Matrice di rigidezza E (12 strati) = 87.4931 7.2882 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
7.2882 87.4931 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 14.4000 -0.0000 0.0000 0.0000
0.0000 0.0000 -0.0000 94.4926 7.8712 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 7.8712 94.4926 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 15.5520
4) KEVLAR 29/EPOXY
E1=35.2125
E2=35.2125
G12=2
108
v12=0.0504
Matrice di rigidezza E (14 strati) = 148.2691 7.4728 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
7.4728 148.2691 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 8.4000 -0.0000 0.0000 0.0000
0.0000 0.0000 -0.0000 217.9556 10.9850 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 10.9850 217.9556 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 12.3480
Matrice di rigidezza E (12 strati) = 127.0878 6.4052 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
6.4052 127.0878 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 7.2000 -0.0000 0.0000 0.0000
0.0000 0.0000 -0.0000 137.2548 6.9176 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 6.9176 137.2548 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 7.7760
5) KEVLAR 149/EPOXY
E1=46.47
E2=46.47
G12=2.138
v12=0.041
Matrice di rigidezza E (14 strati) =
195.5026 8.0156 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
8.0156 195.5026 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 8.9796 -0.0000 0.0000 0.0000
0.0000 0.0000 -0.0000 287.3889 11.7829 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 11.7829 287.3889 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 13.2000
109
Matrice di rigidezza E (12 strati) =
167.5737 6.8705 -0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000
6.8705 167.5737 0.0000 0.0000 0.0000 0.0000
-0.0000 0.0000 7.6968 -0.0000 0.0000 0.0000
0.0000 0.0000 -0.0000 180.9796 7.4202 -0.0000
0.0000 0.0000 0.0000 7.4202 180.9796 0.0000
-0.0000 0.0000 0.0000 -0.0000 0.0000 8.3125
110
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Ringraziamenti Durante questi anni ho avuto il piacere di collaborare con diverse persone che hanno contribuito alla mia crescita professionale e umana e che vorrei ringraziare. Un sentito ringraziamento va al mio tutor Prof. Pierluigi Priolo per il supporto e la guida durante l’attività di ricerca. Vorrei poi ringraziare il Prof. Francesco Aymerich per il sostegno e per i continui insegnamenti durante questi anni di ricerca. Un ringraziamento speciale va a tutti i colleghi che ho avuto il piacere di conoscere al Laboratorio di Tecnologia Medica presso gli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna, con i quali ho trascorso sei mesi indimenticabili. Ringrazio in particolare l’Ing. Massimiliano Baleani per il continuo supporto scientifico i consigli forniti e per la sua infinita pazienza, e l’Ing. Caroline Öhman per la sua amicizia e i tanti consigli. Vorrei inoltre ringraziare l’Ing. Massimiliano Grosso per i preziosi consigli riguardo l’elaborazione statistica dei dati. Desidero ringraziare anche tutti i miei colleghi e amici del DIMECA in particolare: Andrea, Michele, e Carlo per avermi sostenuto nei momenti difficili e per avermi dedicato parte del loro tempo. Ringrazio infine la mia famiglia con particolare gratitudine a Giuseppe per avermi sempre incoraggiato e sostenuto durante tutti questi anni.
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Questa Tesi può essere utilizzata, nei limiti stabiliti dalla normativa vigente sul Diritto d’Autore (Legge 22 aprile 1941 n. 633 e succ. modificazioni e articoli da 2575 a 2583 del Codice civile) ed esclusivamente per scopi didattici e di ricerca; è vietato qualsiasi utilizzo per fini commerciali. In ogni caso tutti gli utilizzi devono riportare la corretta citazione delle fonti. La traduzione, l'adattamento totale e parziale, sono riservati per tutti i Paesi. I documenti depositati sono sottoposti alla legislazione italiana in vigore nel rispetto del Diritto di Autore, da qualunque luogo essi siano fruiti.