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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione Pagina 1 Caratteristiche di Base Prefazione Questa “dispensa” non vuole e non può essere una trattazione esaustiva della tecnologia e dell’uso dei microfoni, ma intende dare una preparazione di base per permettere ad ognuno di non fare errori di principio ed elaborare correttamente una propria tecnica/metodologia di lavoro. Al primo approccio le trattazioni preliminari risulteranno pesanti ed un poco astratte. Spesso si cerca di saltare la teoria nella speranza di trovare facili istruzioni che portino velocemente al risultato voluto. Ma è necessaria attenzione e preparazione! Con la teoria si evitano tentativi senza senso che portano a perdite di tempo ed a conclusioni ingannevoli. Se si conoscono a fondo la teoria e le caratteristiche degli apparecchi che si utilizzano, si giunge più velocemente e con maggior sicurezza al risultato cercato. Il mestiere di Tecnico del Suono unisce Scienza ed Arte! Ambedue sono necessarie per raggiungere qualità e continuità nel lavoro. Ci tengo ad enfatizzare questo aspetto: un “difetto” di una apparecchiatura, se ben utilizzato, può diventare un pregio! Quello che conta è sapere quando e come sfruttarlo! Possiamo quindi anche decidere di fare qualcosa di teoricamente “sbagliato”; l’importante è esserne assolutamente consapevoli. Nella trattazione delle caratteristiche e dell’uso dei microfoni, si considerano come prerequisiti nozioni basilari di fisica, matematica, acustica, elettrotecnica ed elettronica. Si presume inoltre di lavorare in tecnica completamente digitale per la produzione di audio su CD, DVD, SACD, BLU- RAY considerando la registrazione analogica ormai una nicchia tanto piccola e particolare da essere considerata trascurabile. Introduzione In un mondo in cui l’elettronica “invecchia” anche nel professionale ad una velocità micidiale, i microfoni, assieme ad altre dispositivi analogici, rimangono fra le apparecchiature più “stabili” e durature nel tempo. I migliori microfoni sono tutt’ora prodotti artigianalmente, tarati a mano e controllati uno ad uno (come fosse uno strumento musicale vero e proprio). La “tecnologia” risiede in gran parte nella costruzione e lavorazione del trasduttore che cattura il suono. La catena di registrazione/elaborazione/riproduzione del suono Il suono prodotto dagli strumentisti/cantanti viene percepito dal nostro microfono; questo suono contiene una percentuale di suono diretto ed una di suono riflesso; la percentuale di suono riflesso dipende da: acustica dell’ambiente di registrazione, posizione del microfono, tipo di microfono. Dato per assunto che non possiamo intervenire sulla sorgente del suono e sull’acustica dell’ambiente di registrazione, il tecnico può e deve intervenire scegliendo il tipo di microfono ed il suo posizionamento. Giacchè il segnale di uscita è generalmente piuttosto basso, collegato al microfono, tramite un cavo, abbiamo il preamplificatore che innalza il livello del segnale in modo da poterlo poi utilizzare e/o elaborare correttamente; il preamplificatore può essere un apparecchio dedicato o parte di un mixer o di un convertitore; nel caso dei microfoni digitali il preamplificatore, come vedremo, non c’è. Dopo il preamplificatore, il segnale passa nel dominio digitale tramite un convertitore analogico- digitale per essere registrato, elaborato, editato, mixato, equalizzato, compresso, etc.. Al termine di questo processo viene prodotto un master, che può essere in vari formati a seconda della destinazione, da cui vengono stampate le copie in vendita nei negozi. A questo punto il segnale viene riprodotto e convertito in analogico da un apposita unità di lettura (CD player, DVD player, SACD player, BLU-RAY player) per essere poi opportunamente amplificato e riprodotto da due o più diffusori. Si noti la simmetria della parte iniziale e finale della catena: Microfono/preamplificatore da una parte e amplificatore/diffusori dall’altra; questi due sezioni della catena sono in assoluto le più stabili e durature e sono anche le più determinanti per la qualità del suono.

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Caratteristiche di Base Prefazione Questa “dispensa” non vuole e non può essere una trattazione esaustiva della tecnologia e dell’uso dei microfoni, ma intende dare una preparazione di base per permettere ad ognuno di non fare errori di principio ed elaborare correttamente una propria tecnica/metodologia di lavoro. Al primo approccio le trattazioni preliminari risulteranno pesanti ed un poco astratte. Spesso si cerca di saltare la teoria nella speranza di trovare facili istruzioni che portino velocemente al risultato voluto. Ma è necessaria attenzione e preparazione! Con la teoria si evitano tentativi senza senso che portano a perdite di tempo ed a conclusioni ingannevoli. Se si conoscono a fondo la teoria e le caratteristiche degli apparecchi che si utilizzano, si giunge più velocemente e con maggior sicurezza al risultato cercato. Il mestiere di Tecnico del Suono unisce Scienza ed Arte! Ambedue sono necessarie per raggiungere qualità e continuità nel lavoro. Ci tengo ad enfatizzare questo aspetto: un “difetto” di una apparecchiatura, se ben utilizzato, può diventare un pregio! Quello che conta è sapere quando e come sfruttarlo! Possiamo quindi anche decidere di fare qualcosa di teoricamente “sbagliato”; l’importante è esserne assolutamente consapevoli. Nella trattazione delle caratteristiche e dell’uso dei microfoni, si considerano come prerequisiti nozioni basilari di fisica, matematica, acustica, elettrotecnica ed elettronica. Si presume inoltre di lavorare in tecnica completamente digitale per la produzione di audio su CD, DVD, SACD, BLU-RAY considerando la registrazione analogica ormai una nicchia tanto piccola e particolare da essere considerata trascurabile. Introduzione In un mondo in cui l’elettronica “invecchia” anche nel professionale ad una velocità micidiale, i microfoni, assieme ad altre dispositivi analogici, rimangono fra le apparecchiature più “stabili” e durature nel tempo. I migliori microfoni sono tutt’ora prodotti artigianalmente, tarati a mano e controllati uno ad uno (come fosse uno strumento musicale vero e proprio). La “tecnologia” risiede in gran parte nella costruzione e lavorazione del trasduttore che cattura il suono. La catena di registrazione/elaborazione/riproduzione del suono Il suono prodotto dagli strumentisti/cantanti viene percepito dal nostro microfono; questo suono contiene una percentuale di suono diretto ed una di suono riflesso; la percentuale di suono riflesso dipende da: acustica dell’ambiente di registrazione, posizione del microfono, tipo di microfono. Dato per assunto che non possiamo intervenire sulla sorgente del suono e sull’acustica dell’ambiente di registrazione, il tecnico può e deve intervenire scegliendo il tipo di microfono ed il suo posizionamento. Giacchè il segnale di uscita è generalmente piuttosto basso, collegato al microfono, tramite un cavo, abbiamo il preamplificatore che innalza il livello del segnale in modo da poterlo poi utilizzare e/o elaborare correttamente; il preamplificatore può essere un apparecchio dedicato o parte di un mixer o di un convertitore; nel caso dei microfoni digitali il preamplificatore, come vedremo, non c’è. Dopo il preamplificatore, il segnale passa nel dominio digitale tramite un convertitore analogico-digitale per essere registrato, elaborato, editato, mixato, equalizzato, compresso, etc.. Al termine di questo processo viene prodotto un master, che può essere in vari formati a seconda della destinazione, da cui vengono stampate le copie in vendita nei negozi. A questo punto il segnale viene riprodotto e convertito in analogico da un apposita unità di lettura (CD player, DVD player, SACD player, BLU-RAY player) per essere poi opportunamente amplificato e riprodotto da due o più diffusori. Si noti la simmetria della parte iniziale e finale della catena: Microfono/preamplificatore da una parte e amplificatore/diffusori dall’altra; questi due sezioni della catena sono in assoluto le più stabili e durature e sono anche le più determinanti per la qualità del suono.

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Come parametri di base della catena si deve tenere presente che la parte digitale intermedia ha oggi usualmente una risoluzione di 24 bit ovvero una dinamica teorica di 144,49 db ed una banda passante che va dai 20 kHz per un campionamento a 44.1/48 kHz, circa 40 kHz per un campionamento a 88.2/96 kHz, circa 80 kHz per un campionamento a 176.4/192 kHz ed infine teoricamente circa 100 kHz per un campionamento DSD/wide DSD (1 bit 64 x oversampling, 1 bit 256 x oversampling) o a 352.8/384 kHz. La gamma dinamica è però limitata dai convertitori analogico/digitali e digitali/analogici (AD e DA); un buon convertitore AD 24 bit ha una dinamica di circa 120 db pari a circa 20 bit effettivi ed i migliori arrivano a circa 132 db pari a 22 bit effettivi mentre i convertitori DA difficilmente riescono a superare a 115 db di dinamica pari a circa 19 bit di risoluzione; il resto è solo tutto rumore e distorsione. Dal lato della riproduzione i “limiti” degli impianti di riproduzione migliori sono su gamme dinamiche utili dell’ordine di 100 db e su una banda passante che solo rarissimamente supera i 40 kHz ma che usualmente si ferma in alto nell’intorno dei 20-25 kHz e che molto difficilmente scende sotto i 30 Hz; il limite di dinamica è imposto dalla differenza fra la massima pressione sonora indistorta riproducibile alle varie frequenze ed il rumore di fondo dell’ambiente mentre la risposta in frequenza è limitata dalle caratteristiche del Woofer/subwoofer da un parte e dal Tweeter/Supertweeter dall’altra. Tenendo presente che il Tecnico del Suono non può intervenire sulla parte di “riproduzione” del suono, ma solo sulla sua “produzione” e considerando che almeno il 70 % della qualità di un prodotto (sia esso CD, SACD o DVD) deriva dalla ripresa iniziale, risulta evidente come sia fondamentale una precisa conoscenza delle caratteristiche dei microfoni e degli effetti del loro posizionamento rispetto alla sorgente sonora. Il risultato di tutto il lavoro deve essere una registrazione che, come dinamica, risposta in frequenza, timbrica, abbia qualità assai superiori a qualsiasi impianto di riproduzione; in altre parole tutta la catena controllata dal Tecnico deve avere caratteristiche tali da non dar luogo a limitazioni udibili negli impianti di ascolto; sarà poi l’impianto dell’utilizzatore a definire la qualità della riproduzione. Di questi argomenti si occuperà la trattazione di questa dispensa; si partirà pertanto da un approfondimento delle caratteristiche dei microfoni proseguendo sino all’ingresso del preamplificatore microfonico, si proseguirà con l’esposizione delle principali tecniche di ripresa stereofoniche, con la ripresa ravvicinata di singoli strumenti, con una dissertazione sulle riprese orientate al multicanale; un capitolo dedicato riguarda i radiomicrofoni ed un altro i microfoni digitali. Caratteristiche costruttive dei microfoni Il microfono è un dispositivo elettroacustico atto a trasformare una pressione sonora (ovvero una variazione della pressione atmosferica in banda audio) in un segnale elettrico. Come banda audio, in base a quando detto sopra, si intende una ragionevole estensione della risposta del nostro apparato uditivo. Quindi se consideriamo che la risposta in frequenza di un giovane sia circa 20 Hz-20 kHz e teniamo conto che le frequenze inferiori sono percepite a livello corporeo e le superiori come precisione dinamica, possiamo ragionevolmente definire banda audio un intervallo compreso fra 5 Hz e 40 kHz. I microfoni sono classificabili in base:

a) al principio di funzionamento (condensatore, dinamico, piezoelettrico, etc..); b) ad avere un trasduttore attivo (cioè che necessita di una sorgente di energia esterna come i

microfoni a carbone e a condensatore) o passivo (microfoni dinamici, magnetici, piezoelettrici)

c) ad essere dei trasduttori di velocità (ovvero la tensione di uscita è proporzionale alla velocità del movimento come per i dinamici) o di posizione (il segnale di uscita dipende dalla posizione del diaframma come per i microfoni a condensatore e piezoelettrici)

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d) ad essere sensibili alla pressione (come si vedrà più avanti, omnidirezionali) o al gradiente di pressione (direzionali di vario tipo)

e) alla tipologia di utilizzo: misura, intrattenimento, amplificazione, trasmissione, registrazione Le tecniche per ottenere questa trasformazione/trasduzione, sono principalmente tre:

a) a condensatore b) a nastro c) a bobina mobile

Il microfono a condensatore (figura 1) sfrutta la pressione dell’aria per ottenere una variazione della capacità di un condensatore e di conseguenza, avendo una tensione di polarizzazione fissa (vedi figura 1a), una variazione di carica e quindi di corrente; questo segnale debolissimo e con una impedenza di uscita altissima deve essere poi opportunamente amplificato dall’elettronica contenuta nel corpo del microfono. Il microfono electret sfrutta lo stesso principio, ma non necessita di una polarizzazione esterna in quanto il condensatore è pre-polarizzato in modo permanente all’atto della sua costruzione in fabbrica. La legge che governa i condensatori porta il nome del fisico Coulomb ed è Q = C V dove Q è la quantità di carica (espressa in Coulomb), C la capacità (espressa in Farad) e V la tensione (espressa in Volt). La capacità C per due lastre piane equidistanti dette elettrodi, come avviene per i microfoni, è data da: C = ε S / d dove S è la superficie in m2, d è la distanza in m ed ε è la costante dielettrica (che dipende esclusivamente dal materiale impiegato per separare i due elettrodi). Il principio di funzionamento appare dunque evidente: ad una variazione positiva della pressione atmosferica corrisponde una diminuzione della distanza fra le due lamine (una fissa ed una mobile), e di conseguenza un aumento della capacità; alla variazione di capacità corrisponde una variazione di carica e quindi un segnale in uscita come esemplificato in figura 1. Se si pensa che la corrente è la derivata nel tempo della carica (ovvero in termini matematici i = dq/dt = V dC/dt dove V è l’unica costante essendo la tensione di alimentazione del sistema) si capisce come questa debolissima corrente non sovraccaricherà il condensatore solo se applicata ad un opportuno circuito con impedenza di ingresso altissima; pertanto, solo in queste condizioni, il condensatore potrà dare un segnale in tensione direttamente proporzionale alla pressione sonora. Da quanto esposto, risulta evidente che il microfono a condensatore ha assolutamente bisogno di una alimentazione e di una opportuna elettronica; questa elettronica viene usualmente alloggiata nel corpo del microfono; infatti non è possibile trasportare un segnale così debole per più di pochi metri (tipicamente non più di 10 metri). L’elettronica in questione viene chiamata adattatore di impedenza; si tratta di un circuito in grado di abbassare l’altissima impedenza di uscita del condensatore fino a renderla maggiormente immune ai disturbi esterno ed utilizzabile in un normale circuito. Un particolare tipo di microfono a condensatore è il così detto “electret” o a polarizzazione permanente. L’electret è costituito da un condensatore a polarizzazione permanente ovvero da un condensatore che viene caricato in fabbrica e quindi non richiede alcuna alimentazione per funzionare; in ogni caso necessita dell’adattatore di impedenza che può essere alimentato, in maniera più semplice, anche da una piccola batteria. La tecnologia di costruzione è più semplice ed economica del microfono a condensatore tradizionale, può raggiungere buone prestazioni e, soprattutto, un elevatissimo grado di miniaturizzazione cosa che lo rende particolarmente efficace in molte situazioni di ripresa molto ravvicinata (come ad esempio per i radiomicrofoni).

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Figure 1 e 1a) Principio di funzionamento di un Microfono a Condensatore Il microfono a bobina mobile (figura 2), usualmente chiamato dinamico, è costituito da un diaframma mobile a cui è fissata una leggerissima bobina immersa in un campo magnetico generato da un magnete permanente; la pressione sonora provoca il movimento del diaframma e di conseguenza della bobina che è immersa nel campo magnetico; secondo i principi che regolano il funzionamento del campo elettromagnetico (il microfono ha lo stesso principio di funzionamento di un normale generatore sincrono di una centrale elettrica o di un motore Torque di una automobile a trazione elettrica) la corrente generata è proporzionale alla variazione di flusso magnetico nell’unità di tempo; in termini matematici: di = k n dФ/dt dove k è una costante che dipende dalla costruzione geometrica del sistema, n è il numero di spire della bobina e Ф il flusso magnetico generato dal magnete permanente. Il segnale di uscita è quindi proporzionale alla velocità di spostamento della bobina. Il microfono, essendo lui stesso un generatore, non contiene alcuna elettronica.

Figura 2: Schematizzazione di un Microfono Dinamico Il microfono a nastro, meno diffuso dei due tipi precedenti, (figura 3) è costituito da un leggero e sottile (circa 2 micron) foglio metallico corrugato immerso in un forte campo magnetico; la pressione sonora, muovendo il foglio ortogonalmente al campo magnetico, induce una corrente nel foglio proporzionale all’intensità ed alla frequenza dell’onda sonora (come avverrebbe in un microfono dinamico con numero di spire della bobina unitario n=1). Essendo l’impedenza del trasduttore (il foglio metallico) assolutamente troppo bassa ed il segnale molto debole nonostante il forte campo magnetico, viene impiegato un trasformatore di uscita.

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Figura 3: Schematizzazione di un Microfono a Nastro Si noti ancora la quasi perfetta simmetria con i sistemi di diffusori: il microfono a condensatore ha principio di funzionamento contrario a quello di un diffusore elettrostatico; invece il microfono dinamico è il contrario esatto di un woofer, midrange o tweeter; il microfono a nastro è il contrario di un tweeter a nastro. Da un punto di vista puramente teorico i sistemi sono reversibili (ovvero si potrebbe usare un microfono come altoparlante ed un altoparlante come microfono); nella pratica la costruzione, le masse in gioco e l’ottimizzazione fan si che questa reversibilità non sia possibile. Per una completezza puramente storico-culturale, vale la pena di citare anche i microfoni a carbone e quelli piezoelettrici. Il microfono a carbone è stato uno dei primi trasduttori mai sviluppati. La figura 4 ne mostra uno schema di principio. Una piccola coppa di ottone viene riempita di carbone polverizzato e chiusa da un lato da un disco di ottone chiamato bottone (b) collegato ad un diaframma metallico (c); il bottone ed il retro della coppa sono i terminali dell’altoparlante; quando un suono arriva al disco metallico provoca uno spostamento del bottone e quindi una compressione/decompressione della polvere di carbone; tutto ciò provoca una variazione della resistenza elettrica fra bottone e coppa proporzionale alla pressione sonora. Alimentando il microfono con una tensione continua si avrà una corrente istantanea proporzionale alla pressione sonora istantanea. Un idoneo trasformatore di uscita separa la corrente continua dal segnale e adatta opportunamente l’impedenza del microfono. Sono stati per lungo utilizzati negli apparecchi telefonici.

Figura 4: Principio di funzionamento di un microfono a carbone La figura 5 mostra il principio di funzionamento di un microfono piezoelettrico. Una membrana flessibile (a) viene meccanicamente collegata ad un cristallo piezo-elettrico (b); quando il cristallo viene deformato genera una tensione elettrica sulle sue superfici. Nuovamente quindi la tensione ai capi del cristallo è proporzionale alla pressione sonora incidente sulla membrana. Si tratta di trasduttori piuttosto economici e con qualità non molto elevata. Vengono a volte impiegati per realizzare microfoni a contatto.

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Figura 5: Principio di funzionamento di un microfono piezoelettrico. Caratteristiche dei microfoni Le caratteristiche tecniche principali che definiscono le qualità di un microfono sono: sensibilità, risposta in frequenza, rumore di fondo, massima pressione sonora indistorta, caratteristica polare, l’impedenza di uscita. La sensibilità si definisce come la tensione prodotta all’uscita del microfono per unità di pressione sonora, ovvero 1 Pa, a 1000 Hz; usualmente viene data in dB riferita ad un 1 V/Pa (spesso indicata con dBV). Dato che la pressione sonora corrispondente ad 1 Pa è 94 dBSPL, è facile esplicitare un valore in dBV (l’equazione sarà dBV = 20 log (mV/Pa) - 60)). (si ricordi che il livello di 0 dBV è definito come il valore medio del limite di percettibilità di un suono ed è pari a 20 μPa e quindi 1 Pa=93,9794 dB). La sensibilità dei microfoni varia da 1-2 mV/Pa per i dinamici ed i condensatore a bassa sensibilità sino a 60 mV/Pa per i microfoni a condensatore ad alta sensibilità. Dato questo valore è facile calcolare la tensione di uscita di un microfono nota la pressione sonora applicata. Supponendo ad esempio una pressione sonora di 100 dBSPL si avrà una tensione di uscita di 4 mV per un microfono con una sensibilità di 2 mV/Pa e 100 mV (ovvero 28 dB in più) per un microfono avente una sensibilità di 50 mV/Pa. Appare evidente come un microfono ad elevata sensibilità possa dare luogo a tensioni di uscita non facilmente gestibili con sorgenti robuste e, per contro, un microfono a bassa sensibilità in presenza di sorgenti deboli debba essere amplificato molto dando luogo ad un rumore di fondo sensibile. Ad esempio la registrazione ravvicinata di una percussione robusta o del fortissimo di un pianoforte gran coda può superare facilmente i 110 dBSPL e quindi un microfono con 60 mV/Pa produrrà facilmente un segnale superiore a 400 mV e quindi molto prossimo alla sensibilità standard di un convertitore AD (usualmente 0,775 V); di conseguenza il segnale del microfono è addirittura di tipo linea e non necessità di amplificazione (ma sicuramente di alimentazione); si noti che non è detto che il preamplificatore o il mixer connesso al microfono siano in grado di trattare un simile segnale senza distorcere. Viceversa un gregorianista od un liuto ripresi ad una certa distanza produrranno una pressione sonora nell’intorno dei 70 dBSPL; quindi usando un microfono a bassa sensibilità (ad esempio 2 mV/Pa), avremo una tensione di uscita di 0,127 mV e, di conseguenza, avrò bisogno di un guadagno di circa 76 dB per arrivare ai 775 mV di cui sopra; si osservi che in questo modo il rumore di fondo risultante sarà sicuramente ben percepibile e che la maggior parte dei preamplificatori non riesce a dare un guadagno superiore a 60-65 db. La risposta in frequenza è la misura della tensione di uscita del microfono per una sorgente di pressione sonora in asse al microfono stesso a frequenza variabile e riferita al valore misurato a 1000 Hz. In altre parole si sottopone, in asse al microfono, una sinusoide di intensità costante ma frequenza variabile e si misura la tensione in uscita. Il riferimento è la tensione in uscita a 1000 Hz. Viene usualmente rappresentata in un grafico Livello [dB]/frequenza [Hz] con quest’ultima in scala

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logaritmica. Spesso viene indicata la banda di risposta che si ha con una certa tolleranza rispetto al valore a 1000 Hz; usualmente questa tolleranza è + 1 dB o + 3 dB (ad esempio 20 Hz-20 Khz + 3 dB); alcuni microfoni a condensatore riescono a scendere in basso sino a 3 Hz ed a salire in alto sino a 60 kHz mentre per un microfono dinamico è già ottimo riuscire ad avere una banda da 80 Hz a 15 kHz. Si noti come il concetto di risposta in frequenza, sia pur con metodologie di misura differenti, sia applicabile alla gran parte delle apparecchiature audio. Si osservi inoltre come una eccessiva linearità in basso possa essere, in alcune situazioni, non desiderabile; infatti in programmi musicali che non contemplano frequenze eccessivamente basse si rischia di registrare fastidiosi rumori subsonici (si tenga presente che la nota più grave di uno strumento musicale accordato è il do basso di un registro d’organo da 32” che ha la fondamentale attorno a 16 Hz e che solo alcune percussioni particolarmente “grandi” scendono sotto i 10 Hz). In generale possiamo dire che un microfono ideale data una certa pressione sonora riproduce lo stesso segnale elettrico in uscita indipendentemente dalla frequenza; in questo caso si dice che il microfono ha una risposta piatta. Si noti come non è necessariamente vero che il miglio microfono sia quello con la risposta più piatta; spesso deviazioni della risposta in frequenza sono desiderabili per compensare o ridurre problemi nella sorgente sonora (ad esempio una enfasi alle frequenze più alte può essere utile per dare una maggiore intelligibilità ad una voce).

Figura 6: Esempio di risposta in frequenza di due diversi microfoni. Il rumore di fondo è definito come la pressione sonora equivalente alla tensione misurata in uscita dal microfono in assenza di pressione sonora; la misura viene normalmente fatta a 20 °C. Si misura quindi in dB assoluti (a volte indicati con dBA o dBSPL). Quindi un rumore di fondo di 15 dB indica semplicemente un microfono che produce in uscita un rumore pari ad una sorgente sonora di 15 dB. A volte viene indicata come rapporto segnale rumore riferito alla pressione di 1 Pa (ovvero 94 dB). Inoltre spesso questo valore viene pesato secondo alcuni tipi di curve (la “A” è la più comune) per dare un valore che sia meglio rispondente alle curve “soniche” dell’orecchio umano (tabella A e figura 7). Si osservi che la curva A è la più adatta alla pesatura del rumore di fondo in quanto meglio rappresenta il reciproco della curva di sensibilità dell’orecchio umano con basse pressioni sonore. Risulta ovvio che questa caratteristica non si può applicare ai microfoni dinamici sia perché non hanno una elettronica a bordo sia perché il loro rumore dipende dallo stadio di preamplificazione a cui vengono collegati. Il rumore di fondo di un microfono è dovuto essenzialmente ai moti browniani delle molecole di aria. L’agitazione delle molecole, dovuta alla temperatura, provoca degli urti con la lamina del condensatore; nell’urto una parte dell’energia viene ceduta al condensatore (parte anelastica) che viene trasformata in segnale casuale ovvero nel rumore di fondo. Da ciò risulta evidente che: a) il rumore di fondo dipende dalla temperatura; b) il rumore di fondo dipende dalla caratteristiche meccaniche della capsula (rigidezza/elasticità).

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Tabella A: Pesatura a terzi di ottava secondo le curve A, B e C Figura 7: Pesatura secondo le curve A, B, C La massima pressione sonora indistorta è la misura della pressione sopportata da un microfono per un dato valore di distorsione; in pratica si sottopone al microfono una pressione sonora di livello crescente sino a quando la distorsione diviene sensibile. Usualmente il valore di distorsione di riferimento è l’1 % o, a volte, 0,5 % e la frequenza di misura è 1000 Hz; si misura in dB (spesso con l’indicazione SPL). I microfoni dinamici riescono a riprodurre, generalmente, pressione sonore sino a 140 db. La Max SPL dei microfoni a condensatore varia da 120 dB ad oltre 160 dB; in questi microfoni però può accadere che la capsula sia in grado di riprodurre un segnale che il convertitore di impedenza non riesce a reggere; per questo motivo spesso viene inserito un attenuatore, usualmente chiamato “pad”, per adattare il segnale della capsula all’elettronica a cui è collegata, nei casi di pressione sonora più estremi. In tabella B degli esempi di pressione sonore “più o meno” quotidiane. In tabella C esempi relativi a strumenti musicali. Si osservi come spesso si tenda ad additare la causa della distorsione di un segnale al microfono mentre, nella maggior parte dei casi essa è qualche altro elemento audio della catena (tipicamente il preamplificatore o il mixer).

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Tabella B: livelli di pressione sonora di eventi reali e non

Tabella C: livelli di pressione sonora di strumenti musicali La dinamica di un microfono, come di tutte le altre apparecchiature audio, è definita come la differenza fra il massimo livello sonoro con un certo tasso di distorsione ed il rumore di fondo dell’apparecchio stesso. La definizione segue la norma internazionale IEC 268. Il costruttore sceglie e dichiara il livello di distorsione a cui viene misurata la massima pressione sonora e misura il rumore di fondo (o meglio la pressione sonora equivalente al segnale misurato in uscita); dalla semplice differenza si ricava la dinamica disponibile. La figura 8 da una semplice rappresentazione grafica del concetto di dinamica.

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Figura 8: Rappresentazione grafica del concetto di Dinamica L’impedenza di uscita, misurata in Ohm, è fondamentale per capire che tipo di apparecchiatura e la lunghezza massima del cavo che possiamo collegare ad un microfono; spesso i costruttori aggiungono anche l’indicazione dell’impedenza di carico minima che il microfono è in grado di pilotare. L’impedenza di carico è la somma (vettoriale) delle impedenza dello stadio di ingresso del preamplificatore e del cavo di collegamento; si tenga presente che il circuito equivalente di un cavo può essere schematizzato come una serie di filtri RC dove la resistenza è semplicemente la resistenza caratteristica del cavo (che i costruttori danno sempre in Ohm per chilometro di lunghezza) e la capacità del cavo, che viene usualmente indicata in pF per metro di lunghezza, è dovuta al parallelismo dei due conduttori che costituiscono un sottile ma lungo condensatore. Più il cavo è lungo, maggiore sarà il numero di gruppi RC in serie. L’induttanza del cavo è generalmente trascurabile per trasmissioni di segnali in banda audio (non lo è per i cavi di potenza dei diffusori passivi). Quindi, trascurando l’effetto Hall (chiamato anche effetto pelle, importantissimo invece per i cavi di potenza e per la trasmissione di segnali digitali), avremo due tipi di problemi: a) maggiore è la lunghezza del cavo maggiore sarà il carico che il microfono dovrà pilotare; b) il carico non è lineare ed avremo delle rotazioni di fase e limitazioni di dinamica in alta frequenza. Volendo essere tecnicamente più corretti dato che, come abbiamo visto trattando il principio di funzionamento, un microfono dinamico corrisponde ad un generatore di corrente ed un microfono a condensatore ad un generatore di tensione possiamo rappresentare il collegamento microfono-cavo-preamplificatore con i due schemi equivalenti delle figure 9a e 9b.

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Figura 9a: Schema di principio semplificato di un microfono dinamico accoppiato ad un cavo ed un carico

Figura 9b: Schema di principio semplificato di un microfono a condensatore accoppiato ad un cavo ed un carico Da questo si deduce che le condizioni ottimali saranno: impedenza di uscita del microfono più bassa possibile, cavo corto e di buona qualità (soprattutto a bassa capacità), alta impedenza di ingresso del preamplificatore microfonico. Tanto maggiore sarà l’impedenza di uscita di un microfono, tanto minore sarà la sua capacità di pilotare cavi lunghi ed amplificatori non ottimali. Fondamentale è tenere presente che la trasmissione del segnale avviene su linea bilanciata. Questo tipo di trasmissione consente di ottenere per maggiore immunità ai disturbi esterni. In figura 9c è riportato lo schema di un amplificatore differenziale.

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Figura 9c: schema di massima di un amplificatore differenziale atto a ricevere il segnale da un microfono. L’amplificatore operazione A3 opera una differenza dei due segnali; quindi la tensione di uscita è Vo = (1+2R’/R) x (V1-V2) x R2/R1 Si noti come mentre il segnale del microfono “arriva” su V1 e “ritorna” su V2 in opposizione di fase. Di conseguenza si somma (essendo cioè V2=-V1); viceversa un eventuale disturbo “arriva” ugualmente (ovvero in fase) su ambedue le linee annullandosi quindi nell’amplificatore; la misura di questo annullamento negli amplificatori differenziali e, più in generale, nelle apparecchiature professionali, si chiama reiezione al modo comune (CMRR) e normalmente si indica in db. Una buona apparecchiatura audio ha un CMRR superiore a 80 db (a volte arriva a 100 db); un CMRR di 100 db significa che un rumore comune sui due cavi viene attenuato di 100.000 volte. Si noti che la caratteristica riguarda l’apparecchio che “riceve” il segnale. Come abbiamo già visto, la maggior parte dei microfoni a condensatore professionali attualmente usati necessita, per il suo funzionamento, di un sistema di alimentazione (sia esso interno o esterno). Sono usualmente progettati per essere pilotati direttamente dal preamplificatore per mezzo di una alimentazione “phantom”, ovvero fantasma (brevetto dell’Ing. Georg Neumann). Questo sistema di alimentazione opera fornendo una tensione positiva in corrente continua di + 48 volt (in origine 12 V) a entrambi i conduttori (piedini 2 e 3 ovvero “caldo” e “freddo”) della linea microfonica bilanciata. Questa tensione è equamente distribuita mediante resistenze di pari valore (4,7 o 6,8 kOhm, con una tolleranza di ±l % sono valori accettabili), in modo che non ci sia una differenza di potenziale fra i due conduttori. La parte positiva della tensione in corrente continua non è perciò elettricamente visibile allo stadio di ingresso di un preamplificatore microfonico bilanciato. Invece viene recepito solo il segnale audio che è stato simultaneamente portato sui due conduttori. Il circuito in corrente continua è completato fornendo la parte negativa dell'alimentazione al terzo conduttore del cavo o alla schermatura. Le resistenze usate per distribuire la corrente ai conduttori del segnale possono dare un certo grado di isolamento rispetto agli altri ingressi microfonici in una console. Se un conduttore di segnale fosse accidentalmente mandato in corto circuito con la massa (come potrebbe effettivamente accadere se si usassero cavi difettosi o XLR sbilanciati), l'alimentazione dovrebbe comunque essere in grado di fornire potenza agli altri microfoni presenti nel sistema. Se due o più ingressi sono in corto circuito, comunque, la tensione dell'alimentazione phantom potrebbe scendere a livelli troppo bassi per essere utilizzata. In figura 10 un possibile esempio di alimentazione “phantom”. Non tutti i microfoni a condensatore sfruttano questo sistema

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di alimentazione: esistono costruttori che propongono alimentazione non “phantom” a tensioni molto più elevate (100-130 Vdc); naturalmente il microfono avrà bisogno di un alimentatore/preamplificatore dedicato ma avrà il vantaggio di avere una dinamica ovvero di una pressione sonora indistorta più alta ed una migliore capacità di riprodurre correttamente i transitori del segnale audio.

Figura 10: possibile schema di alimentazione “phantom” (esempio tratto da manuale Sennheiser)

Figura 11: Caratteristica Polare di un microfono Ultima, ma assolutamente fondamentale è la caratteristica polare; la caratteristica polare si definisce come la misura della tensione di uscita del microfono al variare dell’angolo riferita al valore misurato sull’asse principale del microfono a 1000 Hz (principio di misura in figura 11). Si tratta quindi di una misura nello spazio o, per la gran parte dei microfoni, sul piano avendo lo stesso comportamento per tutti i piani incernierati sull’asse del microfono stesso. La caratteristica polare si può definire anche come la misura della sensibilità del microfono per angoli diversi dall’asse principale, ma sempre riferita alla risposta in asse; in altri termini ancora può essere espressa come la risposta in frequenza del microfono al variare dell’angolo rispetto alla risposta misurata in asse. Come vedremo la caratteristica polare non è costante con la frequenza e di conseguenza questa

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seconda definizione, sia pur equivalente alla prima, può, a volte, risultare graficamente più immediata. Le principali caratteristiche polari sono: omnidirezionale, otto, sub-cardiode, cardioide largo, cardioide, super-cardioide, iper-cardiode o mezzo-fucile, fucile. In figura 12 sono rappresentate alcune di queste figure in forma di diagramma polare riferito all’asse principale del microfono (angolo 0°).

Figura 12: Rappresentazione delle principali caratteristiche polari

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Figura 13: caratteristica polare e risposta in frequenza di un microfono a fucile (Schoeps CMIT 5U). Si noti la rappresentazione della caratteristica polare sia come diagramma polare che come grafico di risposta in frequenza per diversi angoli.

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Le caratteristiche polari sono matematicamente rappresentate da semplici relazioni trigonometriche (figura 14).

Figura 14: Equazioni relative alle caratteristiche polari del primo ordine (ovvero costituite da una sola capsula). L’efficienza energetica ed il fattore di distanza sono riferiti alla caratteristica omnidirezionale e quindi rappresentano, rispettivamente, la porzione di energia raccolta rispetto all’omnidirezionale e la distanza che occorre tenere per avere la stessa quantità di ambiente. Dall’analisi delle formule e dei grafici, risulta evidente che la “direzionalità” del microfono aumenta passando dal subcardioide all’ipercardiode, ovvero il cono in cui viene raccolta l’energia diviene sempre più stretto passando dal subcardiode (-6 db a 264°) all’ipercardioide (-6 db a 141°). Molto interessante è il fattore di distanza; esso dà una indicazione della distanza da tenere per avere la stessa quantità di ambiente rispetto ad un microfono omnidirezionale; ad esempio con un cardioide avrò la stessa proporzione fra suono diretto ed indiretto se lo pongo ad una distanza approsimativamente 1,7 volte quella di un omnidirezionale. Costruttivamente il microfono omnidirezionale è “aperto” solo frontalmente; ovvero il suono colpisce la capsula solo dal lato anteriore e questo lo rende sensibile in tutte le angolazioni incidenti; per questo motivo viene chiamato trasduttore di pressione. Per contro nei microfoni direzionali il suono colpisce la capsula da entrambi i lati; la costruzione del percorso e del tipo di

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apertura “posteriore” della capsula determina la direzionalità del microfono, ovvero la sua caratteristica polare subcardioide, cardiode o supercardioide (figura 15).

Figura 15: principio di funzionamento di un microfono cardioide; il microfono è aperto posteriormente e costruito in modo che i segnali provenienti da “dietro” (180 gradi) arrivino in fase sui due lati della capsula annullandosi; i segnali provenienti dall’asse anteriore (0 gradi) arrivando in controfase sui due lati e quindi si sommano (ad esempio se sul lato anteriore ho una pressione positiva che spinge, sul lato posteriore della capsula ho la stessa pressione ma negativa e quindi tira: i due effetti quindi si sommano). Il fatto che la capsula sia aperta posteriormente da luogo all’effetto prossimità. Il fenomeno avviene in presenza di onde sferiche di diametro abbastanza piccolo, ovvero per distanze ravvicinate alla sorgente sonora; infatti in questi casi alle basse frequenze avremo una non trascurabile differenza di intensità fra i due lati della capsula, ma con una differenza di fase trascurabile; questo effetto va a sommarsi al gradiente di pressione che si ha normalmente a causa delle caratteristiche costruttive del microfono producendo un rigonfiamento delle frequenze al di sotto dei 150-200 Hz (figure 16, 16a, 16b). Per questa ragione i microfoni direzionali sono molto sensibili al “maneggiamento” (che in effetti corrisponde ad un rumore generato su loro stessi e quindi massimamente sferico); infatti muovendoli in aria libera si genera una differenza di pressione fra i due lati a frequenze subsoniche che manda in crisi preamplificatori, convertitori ed impianti di riproduzione. Per limitare il problema, nei microfoni direzionali il costruttore inserisce un roll-off alle basse frequenze e spesso anche un filtro passa alto inseribile utile ove occorrano prese particolarmente ravvicinate (in generale al di sotto dei 30-40 cm dalla sorgente) e, per i soli microfoni da voce, anche una sospensione elastica interna. Risulta anche chiaro che, per riprese ravvicinate, anche un piccolo spostamento dalla sorgente avrà una grande influenza sulla quantità di basse frequenze raccolte da un microfono cardioide.

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Figura 16: effetti prossimità per un microfono cardiode. Il microfono risulta lineare a 30 cm dalla sorgente. Per distanze superiori la risposta in frequenza “declina” a partire dai 200 Hz mentre per distanze inferiori l’effetto prossimità “compensa” troppo dando luogo ad un rigonfiamento delle frequenze al disotto dei 400 Hz circa.

Figura 16a: risposta in frequenza di un microfono super-cardioide adatto a ripresa ravvicinata (risposta pressoché lineare con distanza di 5 cm) [Neumann KMS-105]

Figura 16b: risposta in frequenza di un microfono cardioide da ripresa molto ravvicinata (risposta pressoché lineare con distanza di 1 cm) [Sennheiser HSP-4] Per un microfono bidirezionale di piccole dimensioni si può dimostrare che il rapporto fra la tensione di uscita e quella di un omnidirezionale di pari sensibilità in asse è: V8/Vo = 1/cos α dove tan α = λ / (2 π r)

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In cui V8 = tensione di uscita del microfono con caratteristica bidirezionale

Vo = tensione di uscita di un microfono omnidirezionale r = distanza fra la sorgente ed il microfono λ = lunghezza d’onda in metri

Nel caso di un microfono cardiode, sempre di piccole dimensioni, si dimostra che il rapporto fra la tensione di uscita e quella di un omnidirezionale di pari sensibilità in asse è: Vc/Vo = (1 + λ2 / (16 π2 r2))1/2 In cui Vc = tensione di uscita del microfono con caratteristica cardiode

Vo = tensione di uscita di un microfono omnidirezionale r = distanza fra la sorgente ed il microfono λ = lunghezza d’onda in metri

La figura 17 mostra l’andamento del guadagno di sensibilità dovuto all’effetto prossimità per microfoni a otto e cardiodi in funzione del rapporto fra distanza e lunghezza d’onda. Si osservi come non sia così difficile/improbabile avere guadagni dell’ordine di 20 dB.

Figura 17: Aumento della sensibilità alle basse frequenze a causa dell’effetto prossimità per microfoni cardiodi e a otto. Nel microfono omnidirezionale (aperto solo anteriormente) la risposta in frequenza è teoricamente illimitata in basso, ovvero potrebbe arrivare sino a 0 Hz. Se così fosse però il microfono sarebbe sensibile anche alle variazioni metereologiche della pressione atmosferica; per evitare questo si usa una micro apertura posteriore che limita la risposta alle basse frequenze compensando le variazioni barometriche. Nei microfoni omnidirezionali quindi la risposta alle basse frequenze è limitata dal costruttore a 10-20 Hz (in qualche caso a 5-3 Hz).

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I microfoni con caratteristiche polari iper-cardioide e fucile sono invece realizzati con un numero elevato di capsule di tipo diverso (usualmente da sei in su) il cui segnale viene opportunamente elaborato con somme e sottrazioni per ottenere un alta direzionalità; lo stesso principio vale anche per i microfoni surround (anch’essi costituiti da un numero elevato di capsule) nei quali una apposita elettronica o software va ad elaborare il segnale delle singole capsule in modo da ottenere un segnale 5.1 standard. Da quanto descritto sopra si deduce immediatamente che con un microfono dinamico è fisicamente impossibile avere una caratteristica polare omnidirezionale o ipercardiode; usualmente i microfoni dinamici hanno caratteristica polare cardioide o supercardioide. Riguardo le caratteristiche polari e la costruzione dei microfoni è bene approfondire alcuni aspetti. Prima di tutto dobbiamo renderci conto che il nostro microfono (così come il nostro orecchio) deve raccogliere segnali con oltre tre decadi di frequenze (ovvero più di dieci ottave). La nota più grave di un organo è il Do di un registro da 32”; la fondamentale di questa nota è a 16,3 Hz e quindi ha una lunghezza d’onda di circa 21 metri (indico circa in quanto dipende da temperatura ed umidità); Alcune grosse percussioni scendono sino a pochi Hz (quindi con lunghezze d’onda superiori ai 100 metri). Le armoniche più acute e con energie per niente trascurabili di diverse percussioni metalliche (come il glockenspiel) e delle trombe più acute vanno ben oltre i 30 kHz con lunghezze d’onda dell’ordine di 10-15 mm. L’orecchio umano ha il limite superiore usualmente attorno ai 16 kHz e qualche persona riesce ad arrivare nell’intorno dei 20 kHz; il limite inferiore è invece difficilmente definibile in quanto una parte della pressione sonora alle bassissime frequenze viene raccolta come vibrazione ossea (della scatola cranica) ed anche, per frequenze estremamente basse, come sensazione di pressione o vibrazione su tutto il corpo (specialmente dai muscoli della cassa toracica e dal muscolo respiratorio del diaframma). Dobbiamo tenere in considerazione due aspetti nella meccanica del nostro apparato uditivo: la dimensione della membrana del timpano ed il sistema meccanico di trasmissione della vibrazione. Partendo da quest’ultimo, esso ci limita la risposta in frequenza in basso, salvandoci da tutta una serie di variazioni di pressione/rumori presenti nell’ambiente in cui viviamo (si tenga però presente il fastidio alle orecchio salendo velocemente in macchina una ripida strada di montagna o peggio ancora con un brusco dislivello percorso in funivia). Più interessante alla nostra dissertazione è invece la dimensione della membrana che, pur variando da persona a persona, ha un diametro di circa 10-12 mm. Se andiamo a calcolare la lunghezza d’onda di un segnale a 16 kHz otteniamo circa 21,4 mm. Questo rapporto quasi perfetto uno a due non è assolutamente casuale; infatti le frequenze con lunghezza d’onda pari o inferiore al doppio della dimensione della membrana ed incidenti non perpendicolarmente, daranno luogo a cancellazioni di segnali o addirittura a segnale risultante nullo o quasi (figura 18); questo spiega almeno in parte perché la sensibilità del nostro orecchio diminuisce velocemente all’aumentare della frequenza oltre i 10 kHz. In pratica l’orecchio come il microfono comincia ad avere problemi di risposta quando la dimensione fisica del trasduttore e la lunghezza d’onda del segnale assumono lo stesso ordine di grandezza. Seguendo questo ragionamento si propenderebbe per affermare che i microfoni dovrebbero avere capsule di dimensioni pari alla membrana del nostro orecchio in modo da avere prestazioni simili. Rifacendomi a quanto enunciato in prefazione, non sono d’accordo su questa idea. Infatti, se così fosse non faremmo altro che raddoppiare il “difetto” del nostro orecchio; in altre parole avremmo un roll-off alle alte frequenze sia nel microfono che nell’orecchio col risultato che il suono riprodotto sarà “scuro” di quello reale. Meglio quindi che il microfono “non ci sia”, ovvero sia perfettamente “trasparente” anche ai segnali di frequenza più alta.

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Figura 18: Esempio di cancellazione di segnale in un omnidirezionale: l’onda incidente ortogonalmente alla capsula ha lunghezza d’onda pari al diametro della capsula e quindi la pressione risultante sulla faccia libera della capsula è nulla. In ogni caso la dimensione della capsula ha un importanza enorme su molte delle caratteristiche del microfono (si veda ad esempio la figura 18). Lo stesso vale anche per il corpo del microfono che per frequenze elevate (o più precisamente con lunghezza d’onda dello stesso ordine di grandezza del corpo del microfono) e segnali fuori asse interferisce pesantemente sulla trasmissione del segnale alla capsula. Per questo motivo quando si vuole estendere la risposta oltre i 20 kHz la tendenza dei costruttori è, man mano che la tecnologia lo consente, di ridurre progressivamente le dimensioni della capsula e del microfono (o quanto meno della parte del corpo microfonico vicina alla capsula). Come prima e diretta conseguenza di quanto sopra, deduciamo che la risposta in frequenza non è costante al variare dell’angolo rispetto all’asse del microfono, ovvero la caratteristica polare alle alte frequenze è ben lontana da quella alle basse e, quindi, dalla formula trigonometrica che la definisce. Se osserviamo la figura 19 relativa ad un microfono omnidirezionale vediamo che all’aumentare delle frequenza la caratteristica polare si “stringe” ed il microfono diviene più direzionale; in figura 19b viene riportato un altro microfono omnidirezionale, ma con caratteristiche molto diverse. Tutto ciò è dovuto al fenomeno di cancellazione del segnale per pressioni incidenti la capsula da un angolo diverso da 0 e con lunghezze d’onda dello stesso ordine di grandezza del doppio del diametro della capsula. Il confronto delle figure 19a e 19b è interessante anche per un altro aspetto: in figura 19a è rappresentato un microfono con capsula montata a 90° rispetto all’asse del corpo del microfono (ovvero il microfono viene usato con corpo verticale) mentre in figura 19b un microfono con capsula montata secondo l’asse del corpo del microfono (quindi il microfono verrà usato in posizione orizzontale); si nota immediatamente l’influenza del corpo del microfono per il microfono di cui alla figura 19b per angoli compresi fra 120° e 240°. Come vedremo in seguito, il microfono della figura 19a è costituito da due capsule cardioidi contrapposte e quindi è perfettamente davanti/dietro.

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Figura 19a: esempio di caratteristica polare e risposta in frequenza di un microfono Sennheiser MKH-800 in configurazione omnidirezionale (il microfono può funzionare anche come subcardioide, cardioide, ipercardioide, otto).

Figura 19b: esempio di caratteristica polare e risposta in frequenza di un microfono omnidirezionale DPA 4006 (microfono a capsula larga).

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Per questo ed anche per approfondire i principi che governano il funzionamento di base dei microfoni, andiamo ad esaminare le differenze relative ad una capsula grande rispetto ad una capsula piccola ed i vantaggi/svantaggi ad essi afferenti. Si tratta di differenze di principio su cui intervengono molto le caratteristiche costruttive del microfono; pertanto non possono essere considerate verità assolute. Rumore di fondo: in un microfono a condensatore il rumore di fondo è dovuto essenzialmente al moto browniano delle molecole d’aria; in pratica le molecole d’aria, il cui moto ed in particolare la loro velocità dipende dalla temperatura, colpiscono la capsula producendo un rumore d’impatto. Nei microfoni con capsula a diametro più piccolo la membrana è usualmente meno elastica e quindi assorbe molta più energia nell’impatto rispetto ad una microfono con grande diametro la cui capsula, più elastica, restituisce alle molecole d’aria la maggior parte della loro quantità di moto. Sensibilità: come per il rumore di fondo, la membrana più rigida di una capsula a diametro piccolo è più difficile da muovere di una membrana grande ed elastica; inoltre l’energia incidente è proporzionale all’area interessata; quindi i microfoni a capsula grande hanno generalmente una sensibilità superiore ai microfoni a capsula piccola. Massima pressione sonora indistorta: la capacità di sopportare grandi pressioni sonore dipende essenzialmente da due fattori: a) lo spazio fra la membrana e l’elettrodo fisso della capsula e, di conseguenza, la possibilità di muoversi senza distorcere; b) la tensione di alimentazione dell’elettronica. Risulta abbastanza ovvio come un microfono piccolo e rigido sia in grado di maneggiare pressioni sonore più elevate di un grande microfono elastico; per andare oltre alcuni costruttori hanno elevato la tensione di alimentazione a 100-130 Vdc in modo che l’elettronica non limiti le prestazioni del microfono (ad esempio B & K, Sanken). Risposta in frequenza: il lato inferiore della banda è limitato, nel caso dei microfoni direzionali, dal roll off imposto dall’elettronica per limitare l’effetto prossimità ed il rumore di maneggiamento mentre nel caso dei microfoni omnidirezionali, come citato in precedenza, da un piccolo foro posteriore che serve a far si che il microfono non sia sensibile alle variazioni di pressione atmosferica ovvero ai rumori con frequenze di pochissimi Hz. Verso la gamma alta delle frequenze va tenuto presente che: una capsula grande tende a vibrare e a flettersi invece che lavorare come un vero pistone (anche per questo i Tweeter hanno dimensioni più piccole dei Woofer); il peso di una capsula grande impedisce il moto alle frequenze più alte. Da ciò si deduce che un microfono a capsula larga ha una risposta in frequenza limitata rispetto ad uno a capsula piccola. Caratteristica polare: come enunciato in precedenza, la dimensione della capsula influenza molto la risposta polare quando la lunghezza d’onda del suono incidente da angoli diversi da 0 (rispetto all’asse ovvero perpendicolari rispetto al piano della capsula), diviene comparabile col diametro della capsula stessa; non solo, ma alle alte frequenze diviene anche importante la forma costruttiva del microfono, del suo preamplificatore e perfino del connettore di collegamento; di conseguenza più la capsula è grande, più il microfono avrà una caratteristica polare “stretta” alle alte frequenze rispetto a quella alle basse frequenze e sarà, cioè, molto più direzionale alle alte frequenze che non alle basse. In figura 20 la caratteristica polare di un microfono omnidirezionale a capsula piccola. Si noti la grande differenza rispetto ai diagrammi di figura 19a o 19b. Val la pena di osservare come la caratteristica polare, ovvero la sua “variabilità” con la frequenza e la sua “somiglianza” a quella teorica, abbia un’importanza fondamentale sull’uso e sulla timbrica di un microfono. Appare evidente che un microfono con ottime caratteristiche di risposta in frequenza, sensibilità, rumore, impedenza ma con una brutta caratteristica polare alle frequenze medio alte, non sarà utilizzabile per riprese di ambiente, ma solo per riprese ravvicinate; invece un microfono con una “bella” caratteristica polare potrà essere utilizzato sia per riprese ravvicinate che di ambiente diventando “universale”. Questa dissertazione spiega anche perché nei microfoni omnidirezionali siano spesso presenti equalizzazioni meccaniche o elettroniche in alta frequenza: dato che spesso i microfoni omnidirezionali vengono usati come microfoni d’ambiente, una più o meno leggera equalizzazione in gamma alta da luogo ad una eccessiva brillantezza in asse, ma compensa in parte il timbro

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“scuro” fuori asse. Inoltre si spiega la necessità di rendere il corpo microfonico più piccolo possibile, forme “coniche” verso la capsula o montaggi particolari della capsula se si vogliono raggiungere risposte in frequenza estese e caratteristiche polari che si avvicino a quelle teoriche. Al riguardo si vedano le figure 20 e 21. Si ribadisce che la costanza della caratteristica polare al variare della frequenza è una delle caratteristiche che più influenzano la timbrica di un microfono; unica eccezione la ripresa ravvicinata ed in ambienti particolarmente poveri di acustica propria.

Figura 20: Diagramma polare di microfono omnidirezionale con capsula di piccolo diametro (B & K 4004)

Figura 21: Diagramma polare di un microfono omnidirezionale con capsula e corpo microfonico miniaturizzata (DPA 4060) Dinamica: come abbiamo visto la dinamica è la differenza fra la massima pressione sonora indistorta e il rumore di fondo; nei microfoni a capsula piccola sono ambedue più alti rispetto a

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quelli a capsula grande e quindi i due fattori vanno più o meno a compensarsi; in questo caso, generalmente, non ci sono quindi differenze sostanziali fra i due tipi di capsula.

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Tecniche di ripresa stereofoniche La stereofonia nasce agli inizi degli 50 da una serie di studi ed esperimenti in America (studi Bell e RCA) ed Inghilterra (DECCA). Le tecniche microfoniche di base prevedono l’uso di due microfoni che, opportunamente scelti e posizionati, siano in grado di dare una “naturale” riproduzione del suono. Infatti, essendo l’apparato uditivo umano composto da due sensori distanziati di circa 20 cm, siamo naturalmente portati ad una percezione sonora stereofonica. L’elaborazione dei segnali trasmessi dal timpano al nostro cervello ci rende sensibili sia all’intensità che alla fase del segnale; per questo siamo usualmente in grado di percepire la spazialità del suono ovvero la posizione nello spazio della sorgente sonora. Da queste semplici osservazioni si svilupparono negli anni tutte le tecniche di ripresa di base: ricreare una stereofonia sfruttando differenze di intensità e/o di fase. In figura 11 sono riassunte le principali e più note tecniche di ripresa stereofoniche con le loro principali caratteristiche che andremo a discutere nel prosieguo.

Se consideriamo che l’intensità di un segnale varia col quadrato della distanza dalla sorgente (figura 22), tenendo sotto mano le formule che descrivono le caratteristiche polari dei microfoni (capitolo 1) e con l’ausilio di trigonometria e logaritmi, è possibile simulare e “sperimentare a tavolino” tutte le tecniche microfoniche. Con un po’ di pazienza è possibile costruire un modello matematico in grado di calcolare l’andamento del segnale per ogni posizione ed inclinazione dei microfoni rispetto al fronte sonoro.

Figura 22: Propagazione del suono e legge dell’inverso del quadrato: in determinato angolo solido la stessa potenza su superfici sferiche di area crescente a causa dell’incremento del raggio; la superficie di una sfera è 4πr2. Quindi l’intensità del suono è inversamente proporzionale al quadrato della distanza dalla sorgente.

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Tecniche microfoniche coincidenti Come già si intuisce dal nome, le capsule dei due microfoni impiegati sono coincidenti e, di conseguenza, la stereofonia deriverà solamente da differenze di intensità essendo la differenza di fase nulla. Il grosso vantaggio che ha dato a queste tecniche una grande diffusione, stà nella completa mono-compatibilità del segnale risultante; infatti la perfetta coerenza di fase assicura che nel sommare i due canali (Left e Right) non si abbia nessuna cancellazione di frequenze. Questo vantaggio è andato diminuendo di importanza negli anni con la progressiva riduzione del numero di trasmissioni e di impianti di ascolto monofonici; oggigiorno infatti la quasi totalità delle trasmissioni radio e la gran parte di quelle televisive sono stereofoniche mentre da satellite si cominciano anche le trasmissioni in 5.1 sia radiofoniche che televisive e, dal lato degli impianti d’ascolto, anche il più economico reader MP3 è stereo (qualcuno forse ricorderà qualche vecchissimo LP con la scritta “Stereo – Mono compatibile”). La tecnica X-Y consiste in due capsule direzionali, usualmente cardioidi, coincidenti ed inclinate di un angolo compreso fra 90° e 150°. La stereofonia nasce dalla variazione di sensibilità della caratteristica polare direzionale utilizzata al variare dell’angolo rispetto all’asse principale del microfono. Nel collegare il sistema va sempre tenuto presente che il microfono di destra punta a sinistra e viceversa essendo i microfoni incrociati. Da una semplice occhiata alla caratteristica polare di un cardioide si evince che all’aumentare dell’angolo di apertura, aumenta la separazione fra i canali; inoltre la separazione fra i canali aumenta al diminuire della distanza dal fronte sonoro. Si osservi che mettendo due cardioidi a 180° la somma dei segnali è esattamente un omnidirezionale: X + Y = (0,5+0,5 cos α) + (0,5+0,5 cos ( α + 180)) = 1 La tecnica M-S prevede in un microfono ad otto ed un omnidirezionale sovrapposti; il microfono ad otto ha l’asse ortogonale rispetto al fronte sonoro. Il segnale viene elaborato nel preamplificatore o nel mixer da un apposita matrice nota appunto come M-S; indicando con M il segnale del microfono omnidirezionale (Mid) e con S il segnale del microfono a otto (Side), il canale sinistro è la somma dei due microfoni (M+S) mentre il canale destro la differenza (M-S); la perfetta mono-compatibilità deriva dalla somma dei due segnali ovvero Left + Right = (M+S) + (M-S) = 2M. La prima osservazione da fare è che, a differenza delle altre tecniche necessita di una elettronica per la sua decodifica; quindi, almeno in parte, il risultato dipende dalla qualità dell’elettronica utilizzata. A differenza delle tecniche X-Y ed ORTF la qualità del suono frontale deriva dal Mid che usualmente è un omnidirezione che lavora frontalmente; quindi migliore risposta in frequenza e migliore timbrica sia dello stereo che del mono eventuale. Un altro vantaggio deriva dalla possibilità di sostituire il Mid-Omnidirezione con un Cardioide o addirittura un Supercardioide per riprendere più suono diretto rispetto al suono ambiente. Questa tecnica è tutt’ora molto popolare per le riprese televisive e cinematografiche. La tecnica Blumlein prevede due microfoni ad otto sovrapposti ed inclinati di 90 gradi fra di loro; il sistema, molto rigido, prevede che gli assi dei due microfoni puntino esattamente, o alla peggio esternamente, alle due estremità del fronte sonoro; se il fronte sonoro “debordasse” da questi due assi parte del suono diretto verrebbe preso dal lobo posteriore dell’otto e quindi in controfase. Il più grosso difetto stà nella sua “rigidezza” geometrica. Il sistema infatti obbliga ad avere gli assi dei microfoni indirizzati con buona precisione agli estremi del fronte sonoro; se si sbaglia nel posizionamento si ottiene una ridotta stereofonia da una parte oppure una incorretta spazializzazione dall’altra. Inoltre, come per tutte le tecniche che usano microfoni a gradiente di pressione, se ci si allontana troppo dalla sorgente si avrà un impoverimento delle basse frequenze.

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Tecniche microfoniche non coincidenti In questo caso la stereofonia deriva sia da differenza di intensità che da differenza di fase. La tecnica per eccellenza è nota come A-B. Consiste in due microfoni usualmente paralleli fra loro ed ortogonali al fronte sonoro. La distanza dal fronte sonoro e la spaziature fra A e B definiscono a stereofonia; appare abbastanza ovvio come la stereofonia cresca all’aumentare della spaziatura fra i microfoni ed al diminuire della distanza dal fronte sonoro. Usualmente la distanza dal fronte è metà/un terzo della larghezza del fronte e lo stesso per l’interasse fra i microfoni.

Figura 22: Principali tecniche di ripresa stereofonica con relative caratteristiche salienti (fonte documentazione tecnica Schoeps)

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Tecniche microfoniche quasi coincidenti Come dice il nome queste tecniche pongono i microfoni a distanza ravvicinata e sono, quindi, per certi versi, una via di mezzo fra la tecnica A-B e la tecnica X-Y. La tecnica più nota è la ORTF. Consiste di due microfoni direzionali, usualmente cardioidi, con le capsule distanziate di 17 cm e con un angolo di apertura di 110°. In questo caso la differenza di fase sarà trascurabile solo per segnali in bassa frequenza e la stereofonia, come per la tecnica X-Y, di cui può considerarsi una variante, aumenta all’aumentare dell’angolo ed al diminuire della distanza dal fronte sonoro. La tecnica tende a riprodurre la stereofonia naturalmente percepita dall’uomo; infatti la distanza fra le capsule simula la distanza fra i padiglioni auricolari, mentre la caratteristica polare simula il comportamento schermante della scatola cranica. Anche qui, come per la tecnica XY, i microfoni lavorano ad un’angolazione molto sfavorevole (pensando alla caratteristica polare) e rimarranno sempre poveri di basse frequenze.

Una variante è la tecnica DIN. Questa prevede l’uso di due microfoni cardiodi con le capsule distanziate di 20 cm e con un’apertura di 90°. Rispetto alla tecnica ORTF necessità di una ripresa più ravvicinata alla sorgente in modo da riuscire a mantenere una stereofonia accettabile.

Altra variante è la tecnica NOS (acronimo di Nederlandse Omroep Stichting, ovvero Radio Olandese). Questa prevede l’uso di due microfoni cardiodi con le capsule distanziate di 30 cm e con un’apertura di 90°. La figura 23 raffigura le tre tecniche testé citate.

Figura 23: Tecniche ORTF, DIN, NOS Un’altra tecnica è quella del disco di Jecklin (anche indicata come OSS) (figura 24). Il nome deriva dall’ingegnere del suono svizzero Jürg Jecklin. In questo caso i due microfoni quasi coincidenti sono separati da un disco di materiale fonoassorbente (usualmente di diametro attorno ai 35 cm); lo scopo del disco è di aumentare la separazione dei canali per onde sonore di provenienza non frontale. In questo modo anche con due microfoni omnidirezionali piuttosto vicini è possibile avere una buona separazione dei canali pur senza perdere completamente la coerenza di fase; questa tecnica è stato poi sviluppata dando luogo alle riprese con la “testa artificiale”; in questo caso in una sagoma di una testa (o qualcosa che ne riproduca le dimensioni principali) vengono inserite due capsule in una posizione equivalente alle nostre orecchie. Una considerazione: lo scopo del disco è di creare una separazione artificiale dei suoni come avviene ad esempio per la scatola cranica fra le orecchie. Va tenuto presente che il disco è un ostacolo solo per frequenze abbastanza alte ovvero per lunghezze d’onda ragionevolmente corte (per questo motivo l’orecchio umano non è direzionale alla basse frequenze e per lo stesso motivo si usano le trasmissioni radio in onde lunghe per superare le montagne o la curvatura del pianeta). Il disco dovrebbe avere una forte attenuazione il più possibile costante a tutte le frequenze. Dato che non possiamo appendere all’asta che sostiene i due microfoni un pezzo di muro in pietra massiccia con intercapedine in lana di roccia, il disco reale sarà efficientemente assorbente solo alle alte frequenze, lo sarà poco alle medie e per niente alle basse frequenze; ecco quindi che il rischio sarà di non avere una grande separazione fra i canali e di esaltare il difetto di direzionalità degli omni alle alte frequenze.

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Figura 24: La tecnica del disco di Jecklin

Questa è la teoria. Nel mondo reale occorre tenere presente diversi fattori per poter scegliere la tecnica più adatta e posizionare assennatamente i microfoni. Occorre pertanto tenere bene a mente:

a) la caratteristica polare dei microfoni non è costante al variare delle frequenze; infatti, come esaminato nel capitolo 1, i microfoni diventano più direzionali alle alte frequenze

b) il fronte sonoro può essere lineare o curvo ed ha quasi sempre una certa profondità; c) si lavora in uno spazio tridimensionale e non su di un piano, ovvero i microfoni possono

essere posti ad una altezza rispetto al pavimento diversa da quella della nostra sorgente sonora ed inoltre la sorgente stessa potrebbe avere una sua disposizione oltre che in larghezza e profondità, anche in altezza

d) a seconda della tecnica impiegata e del posizionamento andremo a “raccogliere” una certa quantità di suono ambiente che potrebbe essere buono o cattivo, silenzioso o rumoroso a seconda dell’ambiente in cui stiamo registrando

Approfondimento della tecnica A-B

Cominciamo con l’approfondire la tecnica A-B. Nelle figure da 25.1 a 25.28 sono state fatte delle simulazioni di risposta dei singoli microfoni e della somma a bassa frequenza, a 8 kHz ed a 16 kHz per diversi tipi di microfoni e diverse posizioni dei microfoni rispetto al fronte sonoro. Le ipotesi di partenza sono:

a) siamo su di un piano b) il fronte sonoro è una retta (ovvero lineare e senza profondità) c) il fronte sonoro è largo X, la distanza dal fronte sonoro è indicata con y e la distanza fra i

microfoni con d d) i valori di y e d sono in rapporto ad X (ovvero, ad esempio, se X=10 metri y=1/2 significa 5

metri)

Prima di tutto andiamo a vedere cosa succede muovendo dei microfoni omnidirezionali B&K 4041 a capsula larga (allontanandoli o avvicinandoli dal fronte sonoro, allargandoli o stringendoli fra di loro). Osserviamo quindi le figure 25.1 – 25.6 – 25.11 – 25.16 -25.21 – 25.25. Si osservano immediatamente due “rischi”: microfoni troppo “stretti” comportano perdere le ali del fronte sonoro (figura 25.11), se troppo larghi si rischia di fare un “buco”. La distanza influenza molto la separazione dei canali (confrontare 25.1 con 25.16 in cui si passa da circa 8 db a circa 3 db di separazione). Osservando le curve in alta frequenza si vede la separazione aumenta molto e nel

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contempo si accentua il rischio di fare il “buco” in centro e di perdere le ali, ovvero di avere una risultante a “gobba di cammello” (si veda figura 25.6 o 25.11). Se andiamo a vedere la stessa cosa con dei microfoni Schoeps MK-2H a capsula più piccola, possiamo osservare come ci sia minore disuguaglianza fra le basse e le alte frequenze (per esempio se confrontiamo le figure 25.1 ed 25.2, gli Schoeps recuperano circa 4 db a 16 kHz al limite esterno del fronte sonoro rispetto ai DPA a capsula grande); la differenza rimane comunque piuttosto elevata; quindi il timbro cambia lungo il fronte sonoro: in corrispondenza dei microfoni la differenza è di pochi db (3-4 db), maggiore al centro (5-10 db) ed ancora più elevata agli estremi del fronte sonoro (10-15 db). Questo spiega l’utilità/necessità di equalizzare i microfoni omnidirezionali; la gran parte dei microfoni omnidirezionali prevede, proprio per questo motivo, un’enfasi (inseribile o fissa) di 4-6 db al di sopra dei 6-8 kHz. Ipotizzando una correzione di 6 db avremmo con una configurazione A-B un guadagno in corrispondenza dei microfoni di 2-3 db, più o meno nullo al centro (ovvero si compensa completamente la perdita) e si riduce la perdita al bordo del fronte a circa 5-10 db. Per limitare il problema si possono aprire i microfoni, ovvero invece che tenerli paralleli, dare loro un angolo di apertura di 30-60 gradi. In questo modo si aumenta la differenza fra basse ed alte frequenze in centro ed in corrispondenza dei microfoni ma si riduce ai bordi del fronte. Di conseguenza si riduce la non uniformità e quindi è più semplice trovare una correzione che funzioni bene lungo tutto il fronte sonoro.

Per quanto riguarda l’acustica è chiaro che usando microfoni omnidirezionali si raccoglie anche tutto l’ambiente circostante; il bilanciamento fra suono diretto e riverberato si ottiene solamente avvicinando/allontanando i microfoni dal fronte. Dall’analisi della caratteristica polare si deduce che il segnale ambiente sarà raccolto con una forte limitazione della risposta in frequenza; a 180° rispetto all’asse il microfono perde 10-15 db a 16 kHz (compensato in parte dall’enfasi sopraccitata), ma dato che il riverbero di un ambiente non ha molta energia al di sopra di 2-3 kHz e che a queste frequenze la caratteristica polare è ancora molto vicina a quella ideale il riverbero risulta generalmente timbricamente accettabile. Questo tipo di ripresa da luogo ad un suono molto ricco sia in alto che, soprattutto, in basso, molto ben spaziato, dinamico, ma a volte non ben localizzato (ovvero ad esempio risulta difficile localizzare spiazialmente un flauto in mezzo ad una orchestra sinfonica).

Se l’ambiente fosse troppo abbondante o non bello acusticamente, si potrebbe pensare di abbandonare gli omnidirezionali in favore di subcardiodi o cardiodi; in questo modo si può ridurre di una decina di db l’ambiente posteriore (con i subcardioidi) o quasi eliminarlo (con i cardioidi); dalle simulazioni eseguite si evince immediatamente che aumenta molto il rischio di perdere le ali o di avere un segnale somma a “gobba di cammello” (ed in maniera molto più accentuata rispetto agli omnidirezionali); la separazione dei canali aumenta notevolmente e, nello stesso tempo, si riduce di molto la non uniformità fra basse ed alte frequenza grazie alla più precisa caratteristica polare; il risultato ottenuto è sicuramente molto più preciso riguardo alla posizione degli strumenti rispetto a quanto si ottiene con degli omnidirezionali ma diventa particolarmente difficile trovare una posizione ottimale. A maggior ragione si intuisce, anche osservando i grafici delle simulazioni, come non sia possibile utilizzare in questo modo dei microfoni supercardioidi (se non rinunciando ad ottenere una risposta uniforme ed ottenendo una eccessiva separazione dei canali). La tecnica A-B offre quindi da un lato un suono molto naturale e pieno, in particolare riguardo alle frequenze più basse quando si adoperano microfoni omnidirezionali, ma nel contempo rischia di avere un avvallamento della risposta nel centro del fronte sonoro oppure di perderne le ali. Per ovviare a questa problematica si possono immaginare diverse soluzioni:

a) usare tre microfoni in linea anziché due col microfono aggiunto allo scopo di coprire il buco centrale

b) usare quattro microfoni in linea in cui i due aggiunti servono a rinforzare le ali c) usare quattro microfoni in cui i due aggiunti sono in X-Y per rinforzare il centro

Ognuna di queste proposte ha dei vantaggi e degli svantaggi. Nel caso a) è necessario utilizzare un microfono cardioide o supercardioide per non rendere troppo monofonico la somma dei tre

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microfoni; il livello del centrale sarà più basso degli altri due dovendo solo aiutare il centro non coprirlo completamente; il difetto principale sta nel fatto che il microfono centrale, essendo di tipo completamente diverso, ha un timbro diverso; questa tecnica era quella nota come Living Stereo (anni 50-60 Stati Uniti), e, semplicemente col microfono centrale più in avanti rispetto ai due laterali, Decca Tree. Invece, la tecnica b) consiste nell’usare quattro microfoni identici in cui i due più esterni dovrebbero avere un livello più basso dei due principali iniziali; il difetto risiede nel fatto che utilizzando due coppie stereo nel mix siamo costretti a sommare dei segnali completamente fuori fase. Infine la tecnica c) è semplicemente una estensione della a) col solo rischio di dare una immagine centrale eccessiva o rendere il tutto poco stereofonico. Approfondiremo questi aspetti nel paragrafo dedicato alla multimicrofonia

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Fronte lineare

Omni A-B y=1/2 d=1/2 B & K 4041

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.1. Buona configurazione; solo le ali sono un poco deboli (circa -3db)

Omni A-B y=1/2 d=1/2 Schoeps MK-2H

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.2 Buona configurazione; solo le ali sono un poco deboli (circa -3db). Meglio di B & K alle alte frequenze

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Subcardioidi A-B Schoeps MK-21 y=1/2 d=1/2

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.3 Buona configurazione; solo le ali sono un poco deboli (circa -3db). Simile a 15.2 ma più scuro (somma a 16 kHz più “bassa”)

Cardioidi A-B Schoeps MK-4 y=1/2 d=1/2

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.4 Buona configurazione; solo le ali sono un poco deboli (circa -3,5 db). Simile a 15.2 ma migliore alle alte frequenze (somma a 16 kHz quasi coincidente alla somma a bassa frequenza); cresce la separazione dei canali

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Supercardioidi A-B Schoeps MK-41 y=1/2 d=1/2

-16,00-14,00

-12,00-10,00

-8,00-6,00

-4,00-2,00

0,002,00

4,006,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte Sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.5 Perdita alle estremità eccessiva (circa 5 db); risposta alle alte frequenze praticamente perfetta

Omni A-B y=1/3 d=1/2 B & K 4041

-35,00

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 15.6 Configurazione non bellissima; le ali sono un poco deboli (circa – 4 db) ed alle alte frequenze si ha la “gobba di cammello”

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Pagina 36

Omni A-B y=1/3 d=1/2 Schoeps MK-2H

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.7 Configurazione non bellissima; le ali sono un poco deboli (circa – 4 db) ed alle alte frequenze si ha la “gobba di cammello”

Subcardioidi A-B Schoeps MK-21 y=1/3 d=1/2

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.8 Configurazione non bellissima; le ali sono piuttosto deboli (circa – 5 db) ed alle alte frequenze si ha la “gobba di cammello”

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Cardioidi A-B Schoeps MK-4 y=1/3 d=1/2

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.9 Configurazione non buona: somma a “gobba di cammello” con ali molto deboli

Supercardioidi A-B Schoeps MK-41 y=1/3 d=1/2

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte Sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.10 Configurazione non accettabile a causa della eccessiva non uniformità

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Pagina 38

Omni A-B y=1/3 d=1/3 B & K 4041

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.11 Configurazione non accettabile: troppa differenza fra centro ed estremità

Omni A-B y=1/3 d=1/3 Schoeps MK-2H

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.12 Configurazione non accettabile: troppa differenza fra centro ed estremità

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Subcardioidi A-B Schoeps MK-21 y=1/3 d=1/3

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.13 Configurazione non accettabile: troppa differenza fra centro ed estremità

Cardioidi A-B Schoeps MK-4 y=1/3 d=1/3

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.14 Configurazione non accettabile: troppa differenza fra centro ed estremità

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 40

Supercardioidi A-B Schoeps MK-41 y=1/3 d=1/3

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte Sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.15 Configurazione non accettabile: troppa differenza fra centro ed estremità

Omni A-B y=1 d=1/2 B & K 4004

-10,00

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

8,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.16 Configurazione non accettabile: buona l’uniformità, ma assolutamente insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico)

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 41

Omni A-B y=1 d=1/2 Schoeps MK-2H

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

8,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.17 Configurazione non accettabile: buona l’uniformità, ma assolutamente insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico)

Subcardioidi A-B Schoeps MK-21 y=1 d=1/2

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

8,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.18 Configurazione non accettabile: buona l’uniformità, ma assolutamente insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico)

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 42

Cardioidi A-B Schoeps MK-4 y=1 d=1/2

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.19 Configurazione non accettabile: buona l’uniformità, ma assolutamente insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico)

Supercardioidi A-B Schoeps MK-41 y=1 d=1/2

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte Sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.20 Configurazione non accettabile: buona l’uniformità, ma assolutamente insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico)

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 43

Omni A-B y=1 d=3/4 B & K 4004

-12,00

-10,00

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.21 Configurazione non accettabile: buona l’uniformità, ma assolutamente insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico)

Subcardioidi A-B Schoeps MK-21 y=1 d=3/4

-10,00

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.22 Configurazione non accettabile: buona l’uniformità, ma assolutamente insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico)

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 44

Cardioidi A-B Schoeps MK-4 y=1 d=3/4

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.23 Configurazione non accettabile: buona l’uniformità, ma assolutamente insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico)

Supercardioidi A-B Schoeps MK-41 y=1 d=3/4

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte Sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.24 Configurazione non molto accettabile: buona l’uniformità, ma insufficiente la separazione dei canali (risultato poco stereofonico)

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 45

Omni A-B y=1 d=1 B & K 4004

-14,00

-12,00

-10,00-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,002,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.25 Configurazione non accettabile: ottima l’uniformità, ma insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico); un po’ “scuro” il risultato

Subcardioidi A-B Schoeps MK-21 y=1 d=1

-12,00

-10,00

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.26 Configurazione non accettabile: ottima l’uniformità, ma insufficiente la separazione dei canali (risultato quasi monofonico); un po’ “scuro” il risultato

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Pagina 46

Cardioidi A-B Schoeps MK-4 y=1 d=1

-10,00

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ello

rel

ativ

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.27 Configurazione poco accettabile: ottima l’uniformità, ma insufficiente la separazione dei canali (poco stereofonico)

Supercardioidi A-B Schoeps MK-41 y=1 d=1

-10,00

-8,00

-6,00

-4,00

-2,00

0,00

2,00

4,00

6,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte Sonoro

Liv

ello

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 25.28 Configurazione poco accettabile: ottima l’uniformità, ma insufficiente la separazione dei canali (poco stereofonico)

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Pagina 47

Continuando l’approfondimento della tecnica A-B esaminiamo il caso di fronte sonoro curvo. Nelle figure da 26.1 a 26.16 sono state fatte delle simulazioni di risposta dei singoli microfoni e della somma a bassa frequenza, a 8 kHz ed a 16 kHz per diversi tipi di microfoni e diverse posizioni dei microfoni rispetto al fronte sonoro. Abbiamo aggiunto anche la variabile di inclinazione dell’asse dei microfoni. Le ipotesi di partenza sono:

a) siamo su di un piano b) il fronte sonoro è un arco di circonferenza di raggio r (senza profondità) c) il fronte sonoro è largo L, la distanza dal fronte sonoro è indicata con y e la distanza fra i

microfoni con d d) i valori di r, L, y e d sono nella stessa unità di misura (ad esempio metri)

La situazione cambia non poco; infatti la disposizione curvilinea tende a compensare il problema della perdita di energia dagli estremi del fronte sonoro (figura 26.1); bisogna però fare attenzione a non andare troppo vicini per non fare nuovamente la “gobba di cammello” (figura 26.5) o a ridurre troppo l’interasse perdendo ancora le estremità (figura 26.9). Anche in questo caso si possono utilizzare dei microfoni subcardioidi o cardioidi, ma difficilmente supercardiodi; si possono anche puntare i microfoni con angolazioni diverse da 0° (paralleli) come esemplificato nella figure da 26.13 a 26.16 con un angolo di 110°. Si noti come, in questo caso, la separazioni dei canali passi da circa 10 db per gli omnidirezionali a circa 20 db per i cardioidi (veramente elevata) per arrivare ad oltre 30 db con gli supercardioidi (veramente eccessiva). In alta frequenza (16 kHz) la separazione passa da circa 35 db per gli omnidirezionali a circa 45 db per due cardioidi, sino ad arrivare ad oltre 60 db con due supercardioidi. In conclusione questa tecnica andrebbe utilizzata con due omnidirezionali e, solo in caso di necessità o ambienti difficili, si possono utilizzare subcardioidi o cardioidi. L’inclinazione dei microfoni e il fronte curvo anziché rettilineo aiutano ad avere una risposta abbastanza uniforme lungo tutto il fronte sonoro. Il posizionamento dei microfoni è piuttosto delicato, ma se ben piazzati, il risultato è eccellente.

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Pagina 48

Fronte curvo

Omni A-B Fronte Curvo r=30 L=10 y=5 d=5 angolo=0

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.1 Buona configurazione: somma piuttosto uniforme e separazione sufficiente

Subcardioidi AB Fronte curvo r=30 L=10 y=5 d=5 angolo=0

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.2 Buona configurazione: somma piuttosto uniforme e separazione sufficiente

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Pagina 49

Cardioidi AB fronte curvo r=30 L=10 y=5 d=5 angolo=0

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

oo

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.3 Buona configurazione: somma piuttosto uniforme e buona separazione

Supercardioidi AB Fronte curvo r=30 L=10 y=5 d=5 angolo=0

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.4 Buona accettabile: somma piuttosto uniforme e separazione un poco alta

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 50

Omni A-B Fronte Curvo r=30 L=10 y=3 d=5 angolo=0

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.5 Configurazione abbastanza buona: somma piuttosto uniforme (meno alle alte frequenze) e buona separazione

Subcardioidi AB Fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=5 angolo=0

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.6 Configurazione abbastanza buona: somma piuttosto uniforme (meno alle alte frequenze) e buona separazione

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 51

Cardioidi AB fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=5 angolo=0

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

oo

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.7 Configurazione quasi accettabile: somma non molto uniforme (peggio alle alte frequenze) e separazione un po’ eccessiva

Supercardioidi AB Fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=5 angolo=0

-35,00

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.8 Configurazione non accettabile: somma non molto uniforme (peggio alle alte frequenze) e separazione eccessiva

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 52

Omni A-B Fronte Curvo r=30 L=10 y=3 d=3 angolo=0

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.9 Configurazione non accettabile

Subcardioidi AB Fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=3 angolo=0

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.10 Configurazione non accettabile

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 53

Cardioidi AB fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=3 angolo=0

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

oo

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.11 Configurazione non accettabile

Supercardioidi AB Fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=3 angolo=0

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.12 Configurazione non accettabile

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Dispensa Microfoni Corso di Tecnico di Sala di Registrazione

Pagina 54

Omni A-B Fronte Curvo r=30 L=10 y=3 d=3 angolo=110

-50,00

-40,00

-30,00

-20,00

-10,00

0,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.13 Configurazione non accettabile: fronte sonoro non uniforme e “gobba di cammello” alle alte frequenze

Subcardioidi AB Fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=3 angolo=110

-50,00

-40,00

-30,00

-20,00

-10,00

0,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.14 Configurazione non accettabile: fronte sonoro non uniforme e “gobba di cammello” alle alte frequenze

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Pagina 55

Cardioidi AB fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=3 angolo=110

-60,00

-50,00

-40,00

-30,00

-20,00

-10,00

0,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

oo

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.15 Configurazione non accettabile: fronte sonoro non uniforme, “gobba di cammello” alle alte frequenze, separazione eccessiva

Supercardioidi AB Fronte curvo r=30 L=10 y=3 d=3 angolo=110

-70,00

-60,00

-50,00

-40,00

-30,00

-20,00

-10,00

0,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 26.16 Configurazione non accettabile: fronte sonoro non uniforme, “gobba di cammello” alle alte frequenze, separazione eccessiva

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Pagina 56

Approfondimento della tecnica X-Y, ORTF e delle loro varianti

Nell’approfondimento della tecnica X-Y esaminiamo il caso di fronte sonoro curvo. Nelle figure da 27.1 a 27.8 sono state fatte delle simulazioni di risposta dei singoli microfoni e della somma a bassa frequenza, a 8 kHz ed a 16 kHz per diversi tipi di microfoni e diverse posizioni dei microfoni rispetto al fronte sonoro. Le ipotesi di partenza sono:

a) siamo su di un piano b) il fronte sonoro è un arco di circonferenza di raggio r (senza profondità) c) il fronte sonoro è largo L, la distanza dal fronte sonoro è indicata con y e la distanza fra i

microfoni con d e forzata a 0 per X-Y e a 0,25 per ORTF d) i valori di r, L, y e d sono nella stessa unità di misura (ad esempio metri)

Le curve relative a microfoni omnidirezionali hanno poco senso: è evidente, essendo i microfoni coincidenti, che non esiste separazione fra i canali; la separazione esiste solo in alta frequenze a causa della “direzionalità” della caratteristica polare in questa situazione; ad esempio nel caso di figura 27.1 la separazione ad 8 kHz è di circa 8 db e circa 20 db a 16 kHz. Dalla figura 27.2 si evince che anche i subcardioidi sono inutilizzabili in questo caso risultando il tutto troppo “monofonico” (separazione di soli 5 db circa). Questa tecnica, come già detto, in effetti nasce per microfoni cardioidi. Infatti nell’esempio di figura 27.3 la separazione sale a circa 10 db. Si noti però che in queste configurazioni si ha una forte immagine centrale e le estremità sono piuttosto deboli (figura 27.3); la cosa peggiora notevolmente se ci si avvicina troppo al fronte sonoro (figura 27.7). L’immagine risulta molto più definita rispetto alla configurazione A-B, ma nel contempo molto meno piena specialmente nelle frequenze più gravi. Le figure 27.8 e 27.9 consentono un confronto fra X-Y ed ORTF. Si vede che non ci sono differenze sostanziali; la differenza è più che altro dovuta alla differenza di fase che si ha alle medie ed alte frequenze (dove l’orecchio umano è più sensibile); risulta quindi, in generale, un suono leggermente più aperto e piacevole, ma sempre piuttosto concentrato in centro e carente di basse frequenze. Uno dei grossi “difetti” di queste due tecniche è che ambedue i microfoni lavorano sempre con angolazioni molto elevate rispetto al loro asse. Quindi tanto la caratteristica polare dei microfoni si allontana da quella teorica, tanto peggiore sarà la timbrica della registrazione. Nella tecnica AB i due omnidirezionali ricevono il suono diretto da angolazioni piuttosto piccole e di conseguenza quasi libere da variazioni timbriche dovute alle irregolarità delle caratteristiche polari. Un altro grosso problema delle tecniche X-Y ed ORTF risiede nella limitazione in basso della risposta in frequenza dei cardioidi. La ripresa manca quindi, in generale di impatto e dinamica.

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Pagina 57

Omni X-Y Fronte Curvo r=30 L=10 y=5 d=0 angolo =130°

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.1 Configurazione inaccettabile (monofonica)

Subcardioidi X-Y Fronte Curvo r=30 L=10 y=5 d=0 angolo =130°

-35,00

-30,00

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.2 Configurazione inaccettabile (quasi monofonica, separazione di soli 5 db)

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Pagina 58

Cardioidi X-Y Fronte Curvo r=30 L=10 y=5 d=0 angolo =130°

-40,00-35,00-30,00-25,00-20,00-15,00-10,00

-5,000,005,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

oo

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.3 Configurazione quasi accettabile: separazione sufficiente, ma troppa immagine centrale rispetto alle estremità

Supercardioidi X-Y Fronte Curvo r=30 L=10 y=5 d=0 angolo =130°

-45,00-40,00-35,00

-30,00-25,00-20,00-15,00-10,00

-5,000,005,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.4 Configurazione quasi accettabile: separazione sufficiente, ma troppa immagine centrale rispetto alle estremità

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Pagina 59

Omni X-Y Fronte Curvo r=30 L=10 y=2 d=0 angolo =130°

-50,00

-40,00

-30,00

-20,00

-10,00

0,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.5 Configurazione inaccettabile

Subcardioidi X-Y Fronte Curvo r=30 L=10 y=2 d=0 angolo =130°

-60,00

-50,00

-40,00

-30,00

-20,00

-10,00

0,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

o r

ela

tiv

o [

db

]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.6 Configurazione inaccettabile

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Pagina 60

Cardioidi X-Y Fronte Curvo r=30 L=10 y=2 d=0 angolo =130°

-70,00

-60,00

-50,00

-40,00

-30,00

-20,00

-10,00

0,00

10,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

oo

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.7 Configurazione inaccettabile

Cardioidi X-Y Fronte Curvo r=15 L=10 y=2 d=0 angolo =130°

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

oo

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.8 Configurazione quasi accettabile, solo separazione un po’ bassa

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Cardioidi ORTF Fronte Curvo r=15 L=10 y=2 d=0,25 angolo =130°

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

5,00

1 3 5 7 9 11 13 15 17

Fronte sonoro

Liv

ell

oo

re

lati

vo

[d

b]

L [db]

R [db]

Somma [db]

L 8 kHz

R 8 kHz

Somma 8 kHz

L 16 kHz

R 16 kHz

Somma 16 kHz

Figura 27.9 Configurazione quasi accettabile, solo separazione un po’ bassa Un’ultima considerazione di tipo pratico/estetico: tutte le tecniche discusse utilizzano un solo supporto per ambedue i microfoni ad eccezione della tecnica AB. Da un punto di vista sia pratico che estetico è un grosso vantaggio specialmente in situazioni live o con riprese video. Considerazioni di questo tipo non sono affatto trascurabili, in particolar modo se i microfoni debbono essere appesi dall’alto. Tecniche di ripresa Pluri-Microfoniche La necessità di utilizzare più di due microfoni nasce da diverse considerazioni:

a) Correggere i difetti o migliorare i risultati ottenuti con le tecniche di base b) Correggere eventuali sbilanciamenti intrinseci alla sorgente sonora c) Impossibilità di utilizzare una tecnica stereofonica appropriata per motivi estetici (live e/o

ripresa con video) d) Richiesta di audio multicanale o surround

Correzione dei difetti delle tecniche Stereofoniche di Base

Da un punto di vista strettamente temporale, la prima esigenza che nacque fu quella di correggere i difetti delle tecniche di base. A tal riguardo vale la pena di citare le famose registrazioni Mercury Living Presence realizzate negli Stati Uniti negli anni 50 e 60. Queste registrazioni sono tutt’ora disponibili sul mercato ed in molti casi erano realizzate con tre microfoni in linea (interessanti i SACD multicanali in cui i tre canali frontali riproducono i singoli microfoni). Si tratta quindi di una applicazione AB larga con microfono centrale per coprire il “buco” di cui abbiamo discusso in precedenza. Il posizionamento dei tre microfoni, la scelta di quello centrale ed il suo livello rispetto all’AB sono molto delicati; infatti un centrale troppo rilevante tende a far collassare il suono al centro così come una coppia AB troppo stretta; un microfono cardioide, ipercardioide o a otto applicato assieme a due omnidirezionali darà un suono pulito e facilmente

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controllabile, ma con una timbrica, ambiente e presenza dei bassi molto diversi. Il mix dei tre microfoni in uno stereo sarà automatico: il microfono A completamente Left, il microfoni B completamente Right ed il centrale, ovviamente, Centre; come appena detto, deve essere deciso con cura il livello del centrale. Una possibile variante è utilizzare, in luogo del microfono centrale, un’altra coppia stereo; si può pensare di utilizzare una qualsiasi delle tecniche stereofoniche AB, XY, ORTF, NOS …. In questo caso si vanno ad utilizzare quattro microfoni. Ci sono pregi e difetti rispetto ai tre microfoni: il principale difetto è che nel mixare si vanno a sommare due coppie stereo con fasi e ritardi completamente differenti e, se si usano microfoni diversi, con timbrica dissimile; il principale pregio si ha nei casi in cui la parte centrale della sorgente sonora da riprendere è molto importante e deve essere tenuta in debita evidenza (ad esempio un gruppo di solisti che deve risultare più avanti dell’orchestra); in questo caso può essere molto utile una ripresa stereofonica centrale ben fatta ed una esterna per “aprire” il suono.

Figura 28: Un esempio di Decca Tree

Il Decca Tree, venne originariamente introdotto dagli Ingegneri del Suono della celebre etichetta inglese Decca negli anni 50 per ottenere buone riprese stereofoniche. Consiste in una ripresa a tre punti con microfoni omnidirezionali posti ai vertici di un triangolo (a volte equilatero). La distanza fra i due microfoni esterni è tale per cui si avrebbe un “buco” in centro senza il centrale; per questo motivo, esattamente come per i tre microfoni in linea, il microfono centrale deve esser mixato con cura onde evitare che il tutto “cada” al centro riducendo pesantemente la stereofonia; usualmente il microfono centrale viene attenuato di 3-5 db rispetto agli altri due e con panpot rigorosamente centrale. Rispetto alla tecnica con i tre microfoni in linea, il centrale è più in avanti e quindi da un maggior dettaglio e pulizia al mix finale. Spesso si pone il Decca Tree dietro o quasi sopra il direttore del gruppo/orchestra con un risultato molto naturale e spettacolare allo stesso tempo. Naturalmente anche l’altezza rispetto del tree rispetto all’ensemble è importante sia per la stereofonia che per il rapporto fra suono diretto ed ambiente. In figura 28 un possibile esempio di Decca Tree. L’uso di microfoni omnidirezionali consente una convincente ripresa anche delle frequenze più basse. Per migliorare la timbrica si possono inclinare verso l’esterno di 30-45° i due microfoni esterni; infatti in questo modo la ripresa è più confacente alla caratteristica polare dell’omnidirezionale che usualmente, come abbiamo visto, diventa piuttosto direzionale alle alte frequenze. Le tecniche coincidenti o quasi coincidenti prevedono l’utilizzo di microfoni a gradiente di pressione; come abbiamo già visto, nel loro utilizzo insorgono principalmente due problemi: a) i microfoni lavorano con angoli di ripresa elevati e quindi, a causa della caratteristica polare

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imperfetta, con timbrica non ottimale; b) mancanza di basse frequenze dovuta alle caratteristiche costruttive di tutti i microfoni direzionali. Il peso del primo problema dipende molto dalla qualità dei microfoni utilizzati ed una leggera enfatizzazione delle alte frequenze potrebbe essere una semplice anche se parziale soluzione. Per il secondo problema può essere efficacemente utilizzato un microfono omnidirezionale posizionato vicino alla coppia principale; il segnale di questo terzo microfono deve poi essere “passato” in un filtro passa basso con frequenza di taglio variabile fra 60 e 80 Hz a seconda delle caratteristiche della coppia principale; in questo modo si viene a coprire la mancanza delle basse frequenze senza influenzare il timbro, la stereofonia e la fase della copia di base; si osservi che il microfono omnidirezionale, per comodità, può essere posto sullo stesso stativo della coppia principale (sia essa XY, MS, ORTF, NOS, Blumlein, …), ma può essere anche leggermente distanziato in quanto non ha problemi di fase (la lunghezza d’onda a 60 Hz è circa 5,7 metri per cui qualche centimetro di distanza sarà ininfluente).

Figura 29: Esempio di filtro bassa basso da applicare ad un omnidirezionale per rinforzo delle basse

frequenze per tecniche stereofoniche che utilizzano microfoni a gradiente di pressione Correzione di sbilanciamenti intrinseci alla sorgente sonora Se nel gruppo da registrare c’è uno strumento od un gruppo di strumenti troppo debole, o un solista troppo “indietro”, od uno strumento troppo poco nitido, può essere molto utile o addirittura necessario aggiungere dei microfoni spot detti anche microfoni d’accento. La necessità può provenire anche dalla richiesta di poter modificare l’equilibrio fra gli strumenti in fase di post-produzione oppure in situazioni in cui non viene data la possibilità di fare prove di suono per trovare il posizionamento ottimale dei microfoni principali. Qualunque sia la ragione per cui usiamo i microfoni d’accento, dobbiamo tenere a mente che insorgono una serie di problemi di varia natura: a) il suono preso dal microfono spot arriva prima di quello raccolto dai principali; b) il microfono spot è probabilmente di tipo diverso rispetto ai principali e quindi con timbrica ed ambiente differente; c) usualmente i microfoni di prossimità sono direzionali e quindi si può incorrere nell’effetto prossimità; d) il microfono d’accento quasi sempre raccoglie segnali non desiderati (strumenti vicini, riflessioni indesiderate). La differenza temporale fra i segnali provenienti dal microfono spot e dai principali dipende unicamente dalla distanza fisica fra i microfoni o, più correttamente, dalla differenza delle distanze fra la sorgente ed i microfoni; infatti nell’aria il suono si propaga a circa 343 m/s mentre il segnale elettrico in un cavo viaggia a velocità prossime a quelle della luce nel vuoto (ovvero circa 3 x 108 m/s). Da un punto di vista di ascolto questo ritardo dei microfoni principali può dare luogo a poca definizione, poca chiarezza nella dislocazione della sorgente fino a ri-battimento del suono per segnali percussivi (pianoforte, marimba, glockenspiel, xilofono, etc…). Si tenga presente che 10 metri equivalgono a 34,3 ms in aria e quindi non è così difficile che un colpo secco di percussione sia raddoppiato (ovvero che l’ascoltatore ne percepisca due in rapidissima successione); infatti va tenuto in debita considerazione che fra 30 e 40 ms, a seconda della sensibilità delle persone e del tipo di suono si cominciano a distinguere i due suoni; al di sotto dei 30 ms si percepisce una aberrazione del timbro e/o una distorsione metallica sulla coda del suono. Da un punto di vista

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tecnico è possibile compensare parzialmente questo fenomeno utilizzando un ritardo (delay) sui segnali provenienti dai microfoni di prossimità. Appare piuttosto ovvio come non sia possibile compensare perfettamente la differenza temporale se non nel fortuito caso in cui il microfono spot sia equidistante rispetto ai principali; quindi una compensazione perfetta è possibile solo con microfoni principali coincidenti (XY, MS, Blumlein) o nelle tecniche non coincidenti se i due principali ed il microfono spot risultano ai vertici di un triangolo isoscele. In tutti gli altri casi è possibile solamente una compensazione parziale (al riguardo si veda figura 30).

Figura 30: Il problema del ritardo nell’uso dei microfoni d’accento. Si noti come la distanza della

sorgente sia diversa per i due microfoni principali dando luogo a due ritardi temporali diversi rispetto al microfono spot. Una compensazione perfetta non è quindi possibile.

Dato che il microfono di prossimità è necessariamente in una posizione completamente diversa rispetto ai microfoni principali, avrà una proporzione fra ambiente e suono diretto differente sempre in riferimento ai primi; inoltre molto spesso deve essere utilizzato un microfono direzionale per evitare di raccogliere troppo segnale provenienti da sorgenti vicine. Il risultato è sicuramente un suono molto più “secco” ovvero con meno ambiente e con timbrica decisamente disuguale. L’effetto che si ottiene con un uso eccessivo dei microfoni di prossimità è mettere “in faccia” all’ascoltatore la sorgente, ovvero portarla davanti al resto dell’ensemble; questa sensazione d’ascolto può essere utile in qualche caso, ma nella maggior parte dei casi è considerato un difetto del mix (classico esempio di ripresa di violino e pianoforte o di voce e pianoforte, in cui il primo è molto presente e dettagliato ed il pianoforte confuso e lontano come se fosse in cantina). Per ovviare o limitare il problema, può essere utile/necessario aggiungere, esclusivamente alle tracce spot, un riverbero dedicato ed accuratamente scelto in modo da uniformare la presenze e la profondità a quella dei microfoni principali. Per la differente timbrica poco si può fare se non cercare di compensarla con una equalizzazione in fase di mix. L’effetto prossimità, come abbiamo visto, è una invitabile conseguenza del principio di funzionamento dei microfoni direzionali (detti anche a gradiente di pressione). L’unica maniera per evitarlo è un attento posizionamento dei microfoni, nonché un’adeguata scelta del microfono; ci sono infatti microfoni direzionali costruiti per ripresa ravvicinata e che, di conseguenza, hanno già un adeguato filtraggio delle basse frequenze; in questo caso il posizionamento sarà ancora più critico giacché i microfoni da ripresa ravvicinata andrebbero posizionati alla distanza dalla sorgente prevista dal costruttore (un esempio in Figura 31).

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Figura 31: Esempio di microfono per ripresa ravvicinata (Neumann KMS-105)

Impossibilità di utilizzare una tecnica stereofonica appropriata per motivi estetici In moltissime occasioni non è possibile posizionare una coppia di microfoni principali come si vorrebbe. Spesso accade che in un concerto non vi sia sufficiente spazio fra pubblico ed ensemble, oppure se lo spazio esiste, deve essere lasciato libero per motivi di sicurezza (legge 626, ovvero Testo unico sulla Sicurezza, imperat), oppure ci sono delle riprese video e non si vuole deturpare l’immagine frontale. In casi estremi, l’acustica della sala potrebbe essere così pessima da rendere impossibile un posizionamento soddisfacente di una coppia stereo; in questa situazione occorrerà pensare ad una ripresa che massimizzi il suono diretto rispetto al suono riflesso.

Qualsiasi sia la causa, i microfoni finiscono per essere sistemati in posizioni non ottimali (molto laterali o troppo vicini o troppo lontani o appesi dall’alto in posizione determinata solamente dalle caratteristiche costruttive del soffitto della sala o del graticcio, nel caso di un teatro). A questo punto diventa imprescindibile, volenti o nolenti, moltiplicare il numero di microfoni spot per poter ricostruire correttamente il suono generale; perciò diviene essenziale l’abilità del tecnico in fase di post-produzione (abilità sia tecnica ma anche musicale). I problemi sono quelli che abbiamo già citato nel paragrafo precedente, ma proporzionalmente moltiplicati ed ingigantiti dall’elevato numero di microfoni spot utilizzati. Accade perciò che nella registrazione di un brano in un buon ambiente con libertà di posizionamento dei microfoni si usino 4 o 6 microfoni e per lo stesso brano, in condizioni critiche o con limitazioni, se ne usino 40 o più. Come si diceva pocanzi, nella fase di postproduzione il tecnico diventa veramente protagonista del risultato sonoro in maniera non meno importante di quanto lo sono stati i musicisti: infatti deve creare qualcosa che non è stato possibile ottenere durante la registrazione. Audio multicanale o surround La richiesta di estendere la riproduzione dell’audio da due canali (stereo) ad un numero superiore, nacque da un esigenza dell’industria cinematografica a partire dagli anni 60: coinvolgere il pubblico con effetti sonori provenienti chiaramente da dietro o dai lati (qualcuno ricorderà gli elicotteri di Apocalipse Now). Il numero di canali riprodotti può essere, attualmente, da tre ad otto e, a seconda delle esigenze, con o senza canale LFE (Low Frequency Effects detto anche impropriamente subwoofer). Nell’ambito musicale le prime produzioni in multicanale sono state legate ad applicazioni video (riprese di concerti ed opere poi pubblicate in DVD-Video); l’introduzione del DVD-Audio e successivamente del SACD hanno fatto nascere la richiesta di riprese multicanali anche per produzioni solo audio. Nel seguito useremo indifferente i termini surround e multicanale per intendere una ripresa atta alla riproduzione contemporanea di più canali. Si tenga presente che spesso, in italiano, col termine multicanale si indica anche una registrazione effettuata con più di due canali (ad esempio una ripresa stereofonica con dei microfoni spot). Come per la stereofonia, nel multicanale ci sono delle tecniche di ripresa più o meno consolidate ed un numero enorme di varianti giacché pressoché ogni tecnico la adatta ai propri gusti ed esigenze. Il terreno è chiaramente molto più giovane e fertile della stereofonia e quindi si è

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ancora, almeno in parte, alla ricerca di una estetica “standard”. In queste applicazioni, appare chiaro come sia ancora più importante che la caratteristica polare dei microfoni sia quanto più possibile costante con la frequenza onde evitare colorazioni indesiderate. Si noti anche un altro paradosso: nella storia delle ripresa, l’audio è sempre stato qualitativamente molto più avanti dell’audio per il video; negli ultimi anni si osserva una inversione di tendenza: l’audio puro oggi viene fruito con qualità progressivamente più basse di anni or sono (MP3 e lettori CD nelle automobili sono peggiorativi rispetto ai vecchi HI-FI domestici) mentre nella cinematografia la continua richiesta di effetti e coinvolgimento dell’ascoltatore ha provocato un tale incremento qualitativo delle codifiche audio (ad esempio Dolby Digital True HD e DTS HD) da richiede un parallelo miglioramento tecnico alla registrazione (si pensi al passaggio dalle cassette VHS al DVD-Video ed ora al BLU-RAY).

Come per lo stereo, abbiamo tecniche coincidenti e tecniche non coincidenti. Analogamente a quanto già detto per lo stereo, le tecniche coincidenti hanno il vantaggio della coerenza di fase fra i canali con conseguente buona localizzazione della sorgente nell’ascolto; la separazione dei canali deriva solamente da differenza di volume. Altro vantaggio delle tecniche coincidenti sta nel basso ingombro (sia di trasporto che visivo) e nella maggiore portabilità del sistema. Le tecniche non coincidenti sono in generali più spettacolari; la differenza di tempo fra i canali da un maggior senso di spazio dando, per le riprese meglio riuscite, anche un senso di tridimensionalità della ripresa. Molti tecnici propongono, per aumentare il senso di profondità di allontanare molto i microfoni di surround e/o di ritardarli molto; l’evidente contro indicazione di questa distanza è un pronunciato effetto eco che può non essere gradevole. Prima di esaminare le varie tecniche che si incontrano in letteratura, vale la pena di osservare che non è necessario che il numero di microfoni sia pari al numero di canali, ne che si debba usare necessariamente usare una tecnica multicanale di ripresa; infatti il desiderato multicanale può essere costruito/ricostruito in fase di post-produzione anche partendo da una ripresa fatta con una coppia stereo ed un certo numero di microfoni spot. Inoltre in questa momento rimane molto importante la stereo-compatibilità; un po’ come per anni è stata importante la mono-compatibilità delle registrazioni stereofoniche, oggi ancora molti non sono dotati di impianto multicanale e quindi la registrazione deve “suonare” bene anche quando viene ridotta a due canali (si ricorda che i lettori DVD e gli amplificatori Audio-Video consentono il down-mix automatico dal multicanale allo stereo). Quando si pensa ad una produzione surround, è sicuramente molto più facile progettare una ripresa cinematografica o di musica leggera, in cui si sorprende l’ascoltatore con suoni in movimento ed effetti improvvisi dai canali posteriori che non la ripresa di un ensemble acustico Classico o Jazz; infatti se nel primo caso si costruisce qualcosa che nella realtà non esiste, nel secondo si cerca di ricreare un evento reale. Nel caso di eventi acustici, i canali posteriori dovrebbero servire, tranne che casi e repertori eccezionali, solo a dare profondità al risultato, nel tentativo di dare l’impressione all’ascoltatore di trovarsi nella sala dove i musicisti stanno suonando; un buona registrazione che ricrea bene l’ambiente dovrebbe non far sentire il suono proveniente dal singolo altoparlante, ma avvolgere l’ascoltatore; lo spegnimento improvviso dei canali posteriori non dovrebbe dare significativi cali di volume, ma dovrebbe appiattire il suono togliendo il senso di profondità; uno spostamento del punto di ascolto verso i canali posteriori, dovrebbe dare l’impressione di camminare nella sala allontanandosi dallo stage.

Ultima considerazione: un buon tecnico dovrebbe sempre pensare anche ai possibili sviluppi futuri quando esegue una registrazione ovvero lasciare spazio a successivi interventi di remix in formati diversi; vi sono molti esempi nel mercato di registrazioni degli anni 60-70-80 ripulite e re-mixate nei nuovi formati con risultati assolutamente notevoli. Da qui l’importanza di utilizzare sempre il massimo della tecnologia disponibile e di archiviare sempre tutto il materiale con più informazioni possibili sulla ripresa e sui materiali utilizzati.

Nel seguito daremo un breve elenco delle tecniche sino ad oggi sviluppate.

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Il Decca Tree è stata, probabilmente, la prima tecnica utilizzata per il multicanale; da come è stata presentata in precedenza risulta abbastanza immediato assegnare i tre microfoni dell’albero ai tre canali frontali. Per i canali surround una buona soluzione possono essere due microfoni cardioidi in configurazione AB; questi microfoni dovrebbero essere posti più possibili vicino ai due omnidirezionali laterali se si vogliono evitare problemi di fase/ritardo, oppure leggermente staccati se si vuole aumentare la profondità percepita; si può anche pensare ad un ORTF posteriore un po’ distanziati dal tree. Un’altra possibile alternativa per i posteriori può essere l’utilizzo di due omnidirezionali posti a sufficiente distanza da avere un rapporto suono diretto/ambiente completamente diverso. La figura 32 mostra tre possibili configurazioni del Decca Tree esteso e modificato per il multicanale. Uno dei punti di forza del sistema è la sua grande naturalezza e ricostruzione dell’ambiente (specialmente nei grandi ambienti), ma a volte manca di precisione nella localizzazione delle sorgenti sonore.

Figura 32: Tre possibili configurazioni del Decca Tree; la terza prevede due omnidirezionali posteriori distanziati dall’albero (in rosso).

Una semplice ed intuitiva tecnica è la croce IRT (dove IRT è l’acronimo di Institut Für Rundfunktechnik, Germania). Come dice il nome, si tratta di quattro microfoni disposti ai vertici di un quadrato avente lato di 20-25 cm. Questa tecnica può anche essere pensata come un doppio NOS in cui una coppia serve per il fronte ed una per il surround. Questo sistema si presta molto bene per riprese in grandi ambienti o all’aperto (TV, Cinema) perché ha una buona e, soprattutto, costante resa su 360°; manca ovviamente del canale centrale che, nelle applicazioni con video, viene utilizzato esclusivamente per il parlato. Naturalmente devono essere utilizzati quattro microfoni cardioidi altrimenti non si ottiene una sufficiente separazione dei canali. Come già detto per quanto riguarda le tecniche stereofoniche che utilizzano microfoni a gradiente di pressione, si ha una certa “debolezza” e mancanza di impatto delle basse frequenze. Anche qui un microfono omnidirezionale abbinato ad un passa basso a 60-80 Hz può essere una buona soluzione.

Figura 33: la Croce IRT.

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La tecnica OCT, acronimo di Optimized Cardioid Triangle, prevede l’utilizzo di un microfono cardioide centrale e di due supercardioidi posti 8 cm più indietro ai vertici di un triangolo la cui base può variare fra 40 e 90 cm. Giacchè la parte posteriore di tutti i microfoni deve puntare a metà della base del triangolo l’apertura dei due supercardioidi può variare da 90° a 160 °. In figura 34 una rappresentazione geometrica del sistema. Questa tecnica venne sviluppata da Günther Theile dell’IRT. Come per il Decca Tree deve essere accompagnato da un sistema per la ripresa dei canali posteriori e può essere utilizzato un microfono omnidirezionale per supportare le basse frequenze. Nel sistema si può aumentare l’altezza del triangolo mantenendo la geometria. La variante OCT2 prevede infatti un’altezza del triangolo di 40 cm. Uno dei punti di forza del sistema è l’ottimale separazione fra i tre canali frontali: il segnale del lato destro del fronte sonoro viene preso molto poco dal supercardioide di sinistra e viceversa; di conseguenza si ha una localizzazione ottimale delle sorgenti sonore. Si noti che i due supercardioidi prendono la maggior parte del segnale fuori asse e quindi è necessario utilizzare microfoni con caratteristica polare il più possibile perfetta. La variante OCT2 è un tentativo di aumentare la naturalezza della ripresa dell’ambiente (avvicinandosi così al Decca tree) mantenendo la precisa localizzazione tipica del sistema OCT originale.

Figura 34: Geometria ed esempi delle configurazioni OCT e OCT2

Figura 35: Esempio di configurazione OCT combinata ad un AB di cardioidi per i canali surround La tecnica con Doppio MS prevede l’uso di due coppie MS che condividono lo stesso microfono bidirezionale laterale (S); chiaramente i due microfoni M (uno che punta verso il fronte ed uno che punta posteriormente) devono essere cardioidi. Si noti che questo sistema prevede l’uso di soli tre microfoni ed è quindi molto semplice e compatto; quest’ultima caratteristica lo rende estremamente interessante per riprese ove occorre seguire una scena in movimento (come nelle riprese cinematografiche). I due canali frontali sono dati dalla coppia MS anteriore, il centrale direttamente dal canale M frontale ed i due canali surround dalla coppia MS posteriore. Si noti che, essendo le tre capsule allineate verticalmente e quindi esattamente equidistanti dalla sorgente sonora, il sistema è completamente stereo compatibile, permette di giocare facilmente con la larghezza della ripresa (cambiando il peso di M ed S nella coppia anteriore) ed è perfino perfettamente mono-compatibile.

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Figura 36: Un compattissimo doppio MS con microfoni ed accessori Schoeps Il quadrato Hamasaki, sviluppato da Kimio Hamasaki della NHK (Radio Televisione Giapponese), prevede l’utilizzo di quattro microfoni bidirezionali posti con la parte anteriore verso i lati esterni come in figura 37. Viene utilizzato per supportare i canali posteriori dei sistemi Decca Tree e OCT in alternativa a quelli citati in precedenza. I quattro canali vengono mixati sia ai due frontali che ai due posteriori in modo tale da dare profondità al risultato globale e mantenere correttamente le riflessioni laterali. Si noti che siccome il quadrato Hamasaki riprende anche parte del suono diretto dovrebbe essere posto vicino agli altri microfoni per evitare problemi di fase e di ritardi. In alternativa può essere posto sopra il pubblico per rendere in maniera spettacolare grandi ambienti, senza prendere troppo rumore ambiente.

Figura 37: Il quadrato Hamasaki utile per creare i canali posteriori di un sistema OCT o Decca Tree.

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Tabella D: Riassunto delle principali tecniche di ripresa surround, della loro struttura e, indicativamente, dei loro pregi e difetti

La tabella D, di fonte Schoeps, da un utile riassunto delle principali tecniche di ripresa per surround. Riporta una indicazione del principio di funzionamento, geometria, tipo di microfoni utilizzabili,

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qualità e difetti dei vari sistemi. Chiaramente dà solo indicazioni di massima giacché influiscono molto sui risultati le caratteristiche della sala, la disposizione e le caratteristiche della sorgente sonora ed anche il tipo di risultato che si vuole ottenere (riferito alla destinazione finale del lavoro). Oltre alle tecniche surround appena discusse esistono soluzioni “preconfezionate” come la sfera surround proposta da Schoeps, il sistema Holophone, il microfono surround Soundfield per citare solo alcuni dei più noti. Tutti questi sistemi necessitano di una elettronica dedicata più o meno complessa in quanto richiedono una elaborazione a matrice dei segnali provenienti dalle singole capsule (usualmente quattro). In alcuni casi è anche possibile registrare le singole capsule separatamente per poi gestire il surround in fase di post-produzione; alcuni di questi sistemi prevedono anche la possibilità di una elaborazione software all’interno delle unità di editing più diffuse.

Figura 38: Alcuni fra i più noti “microfoni” surround. Schoeps, Holophone, Soundfield (ultime due immagini a destra)

Forse l’applicazione più semplice di elaborazione di segnali provenienti da più capsule è la combinazione di due cardioidi contrapposti. Si tratta del principio di funzionamento utilizzato nella maggior parte dei microfoni a caratteristica polare variabile. Come abbiamo visto nella parte dedicata alla teoria dei microfoni, la somma di due cardioidi contrapposti da un omnidirezionale. Infatti

[0,5 + 0,5 cos (α)] + [0,5 + 0,5 cos (α + 180)] = 1 Se invece facciamo la somma invertendo la fase del cardioide posteriore (o se si preferisce, facciamo la differenza dei due segnali) si ottiene un bidirezionale, ovvero

[0,5 + 0,5 cos (α)] - [0,5 + 0,5 cos (α + 180)] = cos (α) Con combinazioni intermedie è possibile ottenere la figura sub cardioide e quella supercardioide; ovviamente usando solo la capsula anteriore si ha un cardioide. Con un po’ di fantasia ed orecchio possiamo variare la caratteristica polare di questa combinazione in modo continuo da omnidirezionale a cardioide e da bidirezionale a supercardioide. Interessante a tal riguardo è il microfono Sennheiser MKH-800 Twin costituito appunto da due capsule cardioidi contrapposte e perfettamente accoppiate; il microfono si differenzia dal suo predecessore MKH-800, in quanto ha le uscite delle due capsule separate. Questo consente, in fase di mix e/o postproduzione di modificarne a piacimento la caratteristica polare. Esemplificazione di tutto ciò si trova in figura 39.

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Il vantaggio di un simile microfono rispetto a due separati risiede evidentemente nel perfetto accoppiamento delle capsule, nell’ottimizzazione del montaggio meccanico, nella praticità di uso.

Figura 39: Alcune delle possibili caratteristiche polari realizzabili in post-produzione col Sennheiser MKH-800 Twin

Un’altra applicazione interessante, proposta dalla DPA e battezzata FRLB, prevede l’utilizzo di quattro cardioidi ai vertici di un quadrato come una croce IRT, ma ruotato di 45° in modo che uno dei vertici miri al fronte sonoro come mostrato in figura 40. Innanzitutto si noti che se i quattro cardioidi vengono montati con le capsule sovrapposte si ha una perfetta coerenza di fase dei quattro segnali; questo particolare è assolutamente fondamentale per l’elaborazione a matrice successiva. Per riuscire a realizzare questa coincidenza senza interferenze meccaniche ed acustiche occorre utilizzare microfoni miniaturizzati oppure capsule con cavi attivi e supporti particolari. Di seguito una spiegazione del sistema come viene presentato dai tecnici della DPA.

Figura 40: Una possibile applicazione con quattro cardiodi da elaborare a matrice in fase di postproduzione.

In questa configurazione, le capsule L ed R vengono usate per generare il microfono “laterale” bidirezionale. C’è anche un microfono rivolto verso la parte frontale, etichettato come F, ed un microfono rivolto verso la parte posteriore, etichettato come B. Immaginate ora che i microfoni L ed R vengano invertiti e sommati insieme per formare internamente il segnale (S) laterale a figura di 8. Come in una matrice M-S stereo standard, questo segnale (S)-Side-Laterale può essere sommato

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e sottratto alla capsula microfonica F frontale per generare i due canali frontali. Il canale del microfono (F)rontale può poi essere usato come centrale in un sistema LCR. Estrapolando ulteriormente, il microfono (B) rivolto verso il retro può essere usato per produrre un campo sonoro posteriore mono per un sistema surround LCRS. Il segnale (S)-Side-Laterale derivato dalla figura-di-8 può essere sommato e sottratto al canale (B)-Back-Posteriore per generare, analogamente ai canali frontali, un surround a cinque o sei canali. Infine, il segnale originale dei canali microfonici (L)-Left-Sinistro ed (R)-Right-Destro può essere usato per creare i due segnali di laterali di un surround a sette canali. Al solito, se si ritiene utile avere il segnale LFE, basterà aggiungere un microfono omnidirezionale filtrato a 60-80 Hz. La figura 41 raffigura quanto appena esemplificato. Come nel caso del microfono Sennheiser poco sopra citato, anche qui è possibile registrare i quattro segnali per elaborarli poi a proprio piacimento, nella calma del proprio studio, in una unità di editing o in un mixer digitale.

Figura 41: Elaborazione a matrice del segnale proveniente da quattro capsule cardiodi disposte come in figura 40.

Non dissimile è la sfera surround della Schoeps che prevede l’aggiunta di due microfoni bidirezionale alla sfera stereo. La somma/sottrazione dell’omnidirezionale e del corrispondente bidirezionale permette di generare i canali anteriori e posteriori rispettivamente mentre la sfera crea sufficiente separazione fra i canali. Si veda figura 42. Più complessa è l’elaborazione dei segnali del Soundfield che prevede tre microfoni a figura di 8 ed un omnidirezionale. L’idea di base è quella di poter regolare il suono secondo le tre coordinate X – Y – Z assieme ad un omnidirezionale W; in parole più semplici è un po’ come avere a disposizione un triplo sistema MS; con questo principio è possibile ruotare “virtualmente” (ovvero tramite l’hardware di controllo) il microfono sia sul piano orizzontale che verticale. Il montaggio delle capsule è tale da limitare al massimo le differenze di fase ed i ritardi fra i singoli canali.

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Figura 42: Principio di funzionamento della sfera Surround della Schoeps e del Soundfield Considerazioni Conclusive Da questo breve excursus sulla ripresa surround, appare evidente che ancora molta sperimentazione, può e deve essere fatta, ma appare evidente, ancor più di quanto accada per le tecniche stereofoniche, quanto spazio ci sia per il gusto e l’inventiva del tecnico. A seconda del particolare della ripresa a cui si da maggiore importanza, si operano scelte che a volte possono portare a risultati diametralmente opposti; si pensi solo a che cerca disperatamente di usare microfoni identici e coincidenti e chi invece usa microfoni differenti e li pone a metri di distanza.

Un aspetto comunque è chiaro ed indiscutibile: se per le riprese stereofoniche è importante la regolarità e la costanza della caratteristica polare, nella ripresa multicanale è semplicemente fondamentale. Di conseguenza sarà preferibile l’uso di microfoni a capsula piccola e montati in modo che non possano interferire acusticamente l’uno con l’altra. A tal riguardo fa un po’ paura una struttura “ingombrante” come il microfono Soundfield che è costituito da quattro capsule decisamente non piccole montate in un corpo microfonico decisamente grosso: è difficile pensare che tutto ciò non influisca sul risultato finale.

Un’altra analisi importante da fare riguarda la tendenza di queste tecniche a riprendere il più possibile in maniera naturale il surround per poi far sentire l’ascoltatore immerso nell’ambiente in cui è stata effettuata la registrazione. Questo presuppone che la sala di registrazione sia acusticamente buona o ottima e che non ci siano problemi di piazzamento fisico dei microfoni e/o di rumore ambiente. Purtroppo, nella maggior parte dei casi la situazione è molto diversa; come abbiamo accennato prima spesso i microfoni non possono essere posti dove si desidera, spesso ci sono problemi di rumori indesiderati provenienti dal pubblico o dall’esterno e, purtroppo, molto spesso l’acustica è tutt’altro che buona! A questo punto probabilmente converrà rinunciare all’utilizzo di tecniche microfoniche surround per puntare invece ad una buona tecnica stereofonica che ci dia un buon suono di base, accompagnata da un adeguato numero di microfoni spot. In fase di postproduzione in studio, sarà poi possibile ricostruire un convincente surround usando le matrici delle unità di editing o dei mixer digitali aggiungendo anche un certo numero di canali di riverbero artificiale. Possiamo così dire che col primo metodo si investe del tempo in prove ed ascolti nella sala di registrazione per ricreare con naturalezza l’ambiente naturale, nel secondo caso si investe tempo nello studio di post produzione per costruire un piacevole e realistico ambiente artificiale. Nella scelta fra i due metodi oltre ai fattori citati incidono altri fattori di non trascurabile importanza: a) per fare una ripresa surround in loco, è assolutamente necessario disporre di un impianto di ascolto surround perfettamente bilanciato; b) per fare una ripresa surround in loco, occorre fare molti più test e prove di ascolto che non per una ripresa stereofonica accompagnata da microfoni di accento (questo sia per la maggior abitudine a lavorare in questo modo, sia per il moltiplicarsi di fattori da considerare nella ripresa surround). Se già in molte situazioni il primo

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fattore è determinante perché quasi mai si può disporre di una sala adatta ad un ascolto multicanale, il secondo fattore è ancora più stringente giacché normalmente l’ensemble non è a disposizione del tecnico per più di qualche minuto per il solo check dei microfoni e dei livelli (una delle abilità richieste maggiormente oggi è di lavorare alla cieca, ovvero realizzare ripresa riducendo al minimo i tempi morti e di attesa; tutto ciò, evidentemente, per ridurre i costi della produzione). Una cosa però è evidente: quando si ascolta un lavoro surround ben fatto, tornare ad un ascolto stereofonico è estremamente triste! La mancanza di profondità, di larghezza, di coinvolgimento nell’evento sono assolutamente evidenti. Se passare dal Mono allo Stereo ha consentito di espandere l’ascolto da un punto ad una linea davanti all’ascoltatore, il surround ha consentito l’estensione ad una superficie in cui l’ascoltatore sta all’interno. A quando la trasformazione in un volume ? Audio 3D ? Radiomicrofoni e Loro Uso Introduzione

La trasmissione radio è costituita da campi elettromagnetici variabili generati da sorgenti fisiche a cui viene applicata un tensione e/o una corrente variabile. Queste sorgenti possono essere artificiali come un circuito elettrico o elettronico oppure naturali come un fulmine o la radiazione generata dal sole. Il campo elettromagnetico si irradia per mezzo di onde elettromagnetiche che si propagano nello spazio. Un’onda sonora ha solamente una componente di campo: la pressione dell’aria che si propaga senza particolare orientamento. A differenza della pressione sonora, il campo elettromagnetico ha due componenti: quella elettrica e quella magnetica. Ambedue le componenti variano nello stesso modo, ma sono sfasate nello spazio di 90 gradi (figura 43). L’orientamento della componente elettrica del campo elettromagnetico è molto importante perché determina la polarizzazione dell’onda radio ed è essenziale per la progettazione ed il funzionamento delle antenne.

Figura 43: il campo elettromagnetico e le sue due componenti, elettrica e magnetica, sfasate di 90

gradi nello spazio. Come per le onde sonore, un’onda radio può essere descritta dalla sua frequenza e dalla sua ampiezza; la frequenza rimane espressa in Hertz (Hz) e rappresenta il numero di periodi al secondo. Lo spettro delle frequenze radio può andare da pochi Hz sino ai GHz (1). Il genere umano è sensibile al campo elettromagnetico solo in una minima fascia di pochi GHz tramite l’occhio e poco al di sotto di queste frequenze come calore (radiazione infrarossa). Frequenze più elevate possono

1) I moltiplicatori sono sempre i soliti k (kilo ovvero migliaia 103), M (mega ovvero milioni 106), G (giga ovvero miliardi 109), T (tera ovvero migliaia di miliardi 1012).

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essere invece molto dannose per il nostro corpo e sono i raggi X e le radiazioni ionizzanti chiamate raggi gamma (quelle che sono bloccate dallo strato di ozono nella parte alta della nostra atmosfera). La figura 44 può essere utile per avere una idea dello spettro di frequenze con cui abbiamo a che fare.

Figura 44: Frequenza e lunghezza d’onda delle onde radio L’ampiezza di un’onda radio è l’intensità della variazione del campo elettromagnetico; questa caratteristica ne determina la forza. Più in dettaglio, l’ampiezza è riferita alla variazione della componente elettrica. Si misura in volt (2) per unità di lunghezza e varia da pochi nV/m a molti kV/m (3). Il livello di ampiezza minimo per ricevere correttamente una radiofrequenza è di poche decine di μV ma quando il ricevitore ed il trasmettitore sono molto vicini si possono incontrare livelli decisamente più alti. Questo naturalmente provoca grossi problemi di progettazione e di uso dei radiomicrofoni, specialmente per quanto riguarda i ricevitori. Un’altra caratteristica che abbiamo già incontrato è la lunghezza d’onda. Ricordiamo che la lunghezza d’onda è la distanza fisica, nello spazio, percorsa da un periodo. Il legame fra lunghezza d’onda e frequenza è dato dalla velocità di propagazione. La ben nota equazione è:

λ = c f

dove λ è la lunghezza d’onda misurata in metri, c è la velocità di propagazione in metri al secondo e f è la frequenza in Hertz L’equazione si applica a tutti i tipi di onde (onde sonore, campo elettromagnetico, onde marine, onde sismiche, etc…). Il parametro che cambia di caso in caso è la velocità di propagazione. Nel caso delle onde elettromagnetiche la velocità di propagazione è di circa 3 x 108 m/s (conosciuta come velocità della luce). Quindi una normale frequenza radio FM di 100 MHz ha una lunghezza d’onda di circa 3 metri, mentre una trasmissione in GSM a 900 MHz ha una lunghezza d’onda di circa 0,33 metri; una radiazione gamma avrà una lunghezza d’onda dell’ordina di grandezza di 0,001 pm.

2) Il Volt è l’unità di misura della tensione 3) I divisori di nostro interesse sono sempre m (milli ovvero millesini 10-3), μ (micro ovvero milionesi 10-6), n (nano ovvero miliardesimi 10-9), p (pico ovvero millesimi di miliardesimi 10-12)

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A differenza del suono, le onde radio non necessitano di una sostanza fisica (come aria, solidi o liquidi) ma si propano liberamente nel vuoto. La velocità di propagazione del campo elettromagnetico dipende, in una certa misura, dal mezzo che attraversa; si tratta del fenomeno della rifrazione che conosciamo bene in ottica (si veda il prisma di Fresnel o più semplicemente l’arcobaleno). Si osservi inoltre che il campo elettromagnetico generato da una antenna verticale (come quelle dei sistemi di telefonia mobile che si vedono pressoché ovunque ed in particolar modo lungo le autostrade) si espande sul piano orizzontale con un’apertura verticale minima.

Il materiale conduttivo (metalli) è in grado di ostacolare e/o riflettere la propagazione delle onde radio. I fenomeni di schermatura e/o riflessione avvengono solamente, come abbiamo già visto in ambito audio, quando la dimensione dell’oggetto metallico ha una dimensione comparabile o più grande della lunghezza d’onda dell’onda radio. Grandi superfici saranno quindi in grado di riflettere sia basse frequenze che alte frequenze, ovvero grandi e piccole lunghezze d’onda, mentre piccoli oggetti avranno influenza solo su frequenze elevate.

Figura 45: Propagazione o non propagazione di onda attraverso una apertura.

Figura 46: Propagazione di onda oltre un ostacolo

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Con la luce sperimentiamo continuamente come qualsiasi oggetto (non trasparente) provochi un’ombra. Questo perché la lunghezza d’onda della luce visibile è così piccola che qualsiasi oggetto ha dimensioni talmente maggiori da fare sempre da schermo (e quindi riflettere o assorbire la luce). Per i motivi suddetti uno schermo metallico forato è uno schermo per le onde radio sino a quando la lunghezza d’onda rimane abbastanza più grande delle dimensioni dei fori. Idem per una griglia: se la lunghezza d’onda dell’onda radio è inferiore alle dimensioni dei “fori” passerà indisturbata, altrimenti verrà parzialmente o completamente riflessa (a seconda che sia dello stesso ordine di grandezza o superiore). Un esempio pratico: la griglia metallica contenuta nei vetri dei forni a microonde lascia passare la luce della lampadina interna, ma non le onde elettromagnetiche utilizzate per il riscaldamento dei cibi. I materiali non metallici danno luogo ad attenuazione e/o diffrazione del segnale; in particolare modo tutti i materiali contenenti molecole polari (come l’acqua); l’attenuazione dipende dal tipo di materiale e dal suo spessore; ad esempio, il corpo umano, ricco di acqua, è in grado di produrre attenuazioni non sempre trascurabili, specialmente alle frequenze più elevate. Da quanto appena detto si capisce perché le frequenze più basse sono in grado di fare più “strada” di quelle più elevate; infatti più la lunghezza d’onda cresce, minori sono gli ostacoli in grado di schermare il segnale (per questo motivo le trasmissioni militari utilizzano basse frequenze di trasmissione che, per contro comportano antenne di grandi dimensioni). Come per l’acustica e per l’ottica, uno schermo produce una zona d’ombra del segnale. Inoltre come per l’acustica e per l’ottica il segnale che arriva al ricevitore è composto da segnale diretto e segnale indiretto dove la differenza di livello fra l’uno e l’altro deriva dal maggior percorso fatto dal segnale indiretto e dalla perdita di energia dello stesso nella/nelle riflessioni (che dipende dalle caratteristiche del materiale riflettente). Anche qui vale la legge dell’inverso del quadrato: al raddoppio della distanza corrisponde un quarto dell’intensità del segnale (ovvero il quadrato della variazione di distanza). Infine nel segnale radio è sicuramente presente del rumore derivato da altre apparecchiature vicine o lontane o sorgenti naturali. Quindi il segnale ricevuto sarà composto di segnale diretto, segnale indiretto e rumore; perciò la bontà di una trasmissione dipende dal rapporto fra segnale diretto da una parte e segnale indiretto e rumore dall’altra nonché dall’abilità del ricevitore di “sentire” solo il segnale diretto. Modulazione delle onde radio

In questo paragrafo tratteremo i principi su cui si basa la trasmissione di segnali via radio, ovvero di come un segnale audio possa essere trasmesso tramite un’onda radio. Un segnale audio è costituito da un complesso insieme di variazioni di frequenza e di ampiezza. Viceversa l’informazione di un segnale radio è usualmente dato da una singola frequenza con una sua ampiezza ed una sua polarità (o fase) ed inoltre le trasmissioni radio non possono essere riconosciuto o “decodificate” direttamente dall’uomo. Per i nostri scopi l’onda radio è soltanto la portante (carrier in inglese) dell’informazione che ci interessa; quindi l’informazione dovrà essere contenuta nella variazione di ampiezza o di frequenza della portante. Questa variazione si chiama modulazione da cui i nomi dei due principi di trasmissione: la modulazione di ampiezza (nota come AM) e la modulazione di frequenza (nota come FM). La quantità e la qualità della trasmissione dipendono dal tipo e dal livello della modulazione. Inoltre dei limiti sono imposti a livello normativo/legislativo sia a livello di frequenza che di ampiezze del segnale (e quindi di potenza della trasmissione). La trasmissione AM: in questo caso si ha una singola e costante frequenza radio con una ampiezza variabile attorno ad un valore base (che dipende dalla potenza del trasmettitore); l’ampiezza viene modulata dal segnale audio che si vuole trasmettere. I limiti imposti per le trasmissioni AM danno luogo ad una risposta in frequenza da circa 50 Hz a 9 kHz ed una dinamica massima di circa 50 db. In figura 47 un esempio di modulazione AM.

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La trasmissione FM: l’onda radio ha una ampiezza costante, sempre determinata dalla potenza del trasmettitore ed una frequenza variabile attorno ad un valore base; la frequenza base viene variata (modulata) dal segnale audio per creare il segnale radio risultante. La modulazione della frequenza viene anche chiamata deviazione perché provoca una variazione in su ed in giù della frequenza base non modulata. In figura 48 un semplice esempio di modulazione FM. L’ammontare della deviazione dipende dall’ampiezza del segnale audio ed è, per i normali radiomicrofoni, fra i 12 ed i 45 kHz a seconda della frequenza base. In figura 7 è riportata e rappresentata una spiegazione più dettagliata del principio su cui si basa la modulazione FM. I valori imposti dalle normative danno luogo a risposte in frequenza di circa 50-15.000 Hz e dinamiche superiori a 90 db e, di conseguenza, decisamente migliori dei sistemi con modulazione AM.

Figure 47 e 48: esemplificazione di un’onda radio a sinistra con modulazione AM e, a destra, con modulazione FM

Figura 49: il grafico a sinistra rappresenta il segnale audio (AF = Audio Frequency) ruotato di 90 gradi; il grafico a destra rappresenta la variazione del segnale radio (RF = Radio Frequency) rispetto alla portante (carrier) rappresentata dalla linea centrale in grassetto; maggiore è l’ampiezza del segnale audio, maggiore sarà la deviazione dalla frequenza portante; maggiore sarà la frequenza del segnale Audio (AF), più elevata sarà la velocità di variazione della modulazione Radio (RF)

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La figura 50 riporta graficamente un esempio pratico di risposta in frequenza di un sistema telefonico. La risposta in frequenza è evidentemente limitata ad una banda molto ristretta (indicativamente 300 Hz – 3,5 kHz) che però è sufficiente per l’intelligibilità della conversazione (limitando così la quantità di informazioni da trasmettere e semplificando perciò i circuiti e, di conseguenza, riducendo i costi della trasmissione). Nel caso della musica e delle trasmissioni professionali la banda di frequenza necessarie dovrà estendersi almeno da 40 Hz a 20 kHz e con rapporti segnale rumore superiori a 90 db (esempio in figura 51). Da quanto detto risulta evidente perché tutti i sistemi di trasmissione radio oggi in uso prevedano la modulazione FM e sia stata progressivamente abbandonata la modulazione AM. Inoltre i sistemi FM sono decisamente molto più immuni al rumore. Di conseguenza nel seguito si parlerà solo di FM.

Figura 50: risposta in frequenza di una tipica trasmissione telefonica

Figura 51: risposta in frequenza di un sistema di trasmissione radio professionale Indicativamente, nei sistemi di nostro interesse si parla di tensioni di antenna da 3 μV a 50 mV, deviazione della portante di + 50 kHz e risposta in frequenza da 40 Hz a 20 kHz.

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Descrizione del sistema

Nello schema a blocchi di figura 52 viene descritto il flusso dei segnali in un sistema radio. Il segnale audio viene captato da un microfono (usualmente a condensatore di tipo “electret” ovvero a polarizzazione permanente - Figura 53) collegato al trasmettitore; nel trasmettitore c’è quindi il preamplificatore per il microfono ed il modulatore FM. Il trasmettitore può essere di tipo tascabile come in figura 54 (utile per i microfoni più piccoli da fissare ai vestiti o ai capelli) oppure incorporato nel microfono stesso (come in figura 55) quando il microfono deve essere tenuto in mano o su di un’asta; un ulteriore modello è quello ad innesto (figura 56) o plug-on per trasformare un normale microfono, dinamico o a condensatore, in un radio microfono. L’antenna sul trasmettitore genera il campo elettromagnetico che si diffonde attorno ad essa. L’antenna del ricevitore lo raccoglie ed il ricevitore si preoccupa di demodulare il segnale e renderlo disponibile nuovamente in formato Audio per il suo utilizzo verso un mixer, un sistema di amplificazione, un registratore o altro. La struttura del sistema è sempre la stessa sia per le trasmissioni televisive o radiofoniche che per i sistemi “Wireless” per applicazione audio. Ciò che cambia sono struttura, dimensioni e potenza degli apparati.

Figura 52: Schema a blocchi di un impianto per trasmissione radio (AF = Audio Frequency; RF = Radio Frequency)

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Figure 53, 54, 55 e 56: da sinistra verso destra: microfono electret, trasmettitore tascabile, microfono con trasmettitore incorporato, trasmettitore Plug-on (che può avere l’alimentazione phantom) Le configurazioni possibili sono sostanzialmente quattro:

a) trasmettitore portatile e ricevitore fisso; in questo caso il trasmettitore è usualmente fissato al suo utilizzatore che può essere una persona od uno strumento musicale; la sorgente sarà dunque un microfono, un pickup o la linea di uscita di uno strumento elettronico; questa è la configurazione più usata per registrazioni dal vivo di spettacoli ed opere, per programmi televisive.

b) Trasmettitore fisso e ricevitore portatile; questo è esattamente il contrario della configurazione a) per cui chi utilizza il segnale del ricevitore deve potersi muovere; la sorgente sarà quindi un microfono, un mixer od altro; il principale utilizzo è per sistemi in-ear-monitor da palco (monitor in micro cuffie per cantanti e strumentisti su palco), collegamento fra personale di palcoscenico e regia sia in teatro che in televisione, ascolto assistito (per ipoudenti o traduzione simultanea), sistemi di audio-guida per visite a musei o monumenti, etc… Si noti che è la stessa configurazione di un sistema radiofonico in cui l’ascoltatore utilizza la sua radio tascabile o in macchina.

c) Trasmettitore e ricevitore mobili: qui la sorgente sarà nuovamente un microfono ed il ricevitore potrà essere una persona con una microcuffia oppure una videocamera mobile su cui va registrato l’audio preso dal microfono, oppure sistemi di amplificazione e/o comunicazione mobile (ad esempio eventi sportivi), registrazione mobile in riprese cinematografiche, etc…

d) Trasmettitore e ricevitore fissi: questa configurazione è tipica di sistemi di distribuzione del segnale/amplificazione per eventi temporanei, collegamenti fra studio fisso e studio esterno per riprese televisive o radiofoniche e naturalmente il sistema di trasmissioni standard tele-radiofoniche commerciali e non.

Come si diceva pocanzi, la sorgente audio può essere un microfono od un segnale linea; in

pratica, se guardiamo dal punto di vista del trasmettitore, può essere un segnale a livello microfonico o a livello linea con una impedenza che può essere alta o bassa a seconda del tipo di sorgente. In pratica il trasmettitore/ricevitore sostituisce il cavo bilanciato di collegamento. Chiaramente il trasmettitore dovrà essere in grado di gestire livelli ed impedenze molto diversi ed anche, in alcuni modelli, poter fornire l’alimentazione Phantom per poter utilizzare microfoni a condensatore standard. Il microfono potrà essere da tenere a mano (usualmente detto handheld figura 55), o da fissare al vestito, ai capelli o ad uno strumento musicale (usualmente detto lavaliere figura 53), o ad archetto (ovvero un lavaliere fissato ad un opportuno supporto in modo da poter stare di fronte alla bocca di un cantante, presentatore, ballerino).

La scelta del microfono da utilizzare dovrebbe essere fatta con gli stessi principi che si utilizzano per un normale microfoni via cavo: dinamico o a condensatore, risposta in frequenza piatta o modificata, caratteristica polare, tipo di uscita (bilanciata o sbilanciata e livello della stessa), forma estetica.

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Infine la sorgente potrebbe essere uno strumento musicale portatile (come una chitarra o una tastiera) e quindi una sorgente a livello più o meno alto, ma ad alta o altissima impedenza. In questo caso va posta attenzione al livello massimo di uscita della sorgente in modo da non saturare l’ingresso del trasmettitore. Come detto sopra il trasmettitore può essere fisso o portatile; i trasmettitori portatili sono chiaramente alimentati a batteria e quindi se devono dare alimentazione phantom 48 V ad un microfono devono necessariamente incorporare un convertitore push-pull dc-dc. Le regolazioni minimali sono la frequenza di trasmissione, ed il guadagno del segnale di ingresso (spesso indicato anche come sensibilità che ovviamente è l’inverso del guadagno). I trasmettitori portatili noti come bodypack o beltpack sono usualmente accessoriati di clip per il fissaggio ai vestiti, o come spesso accade in Teatro, sotto i vestiti o in una tasca. Oltre al controllo di guadagno ed alla frequenza di trasmissione, vi è sempre un indicatore della carica della batteria ed un selettore di mute. Inoltre vi è il connettore a cui collegare la sorgente sia essa un microfono, una linea od una pick up. Le stesse caratteristiche valgono per i microfoni da palco detti handheld che sono ovviamente un blocco unico microfono-trasmettitore e quindi non utilizzabile per raccogliere segnali linea o pick-up. In alcuni modelli di Handheld è possibile sostituire la capsula del microfono per cambiarne la caratteristica polare e/o la timbrica. Il microfono handheld è quindi leggermente più grande e pesante del corrispondente microfono a filo. I trasmettitore plug-on sono ovviamente dotati di un connettore XLR femmina in modo da poter essere innestati direttamente sul microfono o nelle vicinanze tramite un normale cavo XLR (nel caso di una ripresa in un punto non raggiungibile via cavo (per esempio su un oggetto mobile).

Figura 57: esempio di fissaggio di microfono per spettacolo televisivo e/o teatrale Il primo elemento di un trasmettitore è il circuito di ingresso; naturalmente questo serve ad per poter poi ottenere una appropriata ottimizzazione del livello/impedenza della sorgente; in questo modo il segnale potrà essere trasmesso senza distorsioni.

Un primo processo di ottimizzazione è l’enfasi: si tratta di una particolare equalizzazione delle alte frequenze atta a ridurre il livello apparente del rumore e della distorsione di trasmissione. Il principio è molto semplice: si attua una precisa equalizzazione delle alte frequenze prima della modulazione e, dal lato opposto, nel ricevitore dopo la demodulazione si attua una equalizzazione

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precisamente inversa. In questo modo il segnale audio, a meno della precisione del processo, ritorna come l’originale mentre il rumore alle frequenze medio/alte viene abbondantemente attenuato (usualmente di 10 db); il processo non può essere spinto esageratamente per limiti di gestione della trasmissione del segnale. Nelle figure 58 e 59 una rappresentazione grafica del processo. Un secondo processo di ottimizzazione è il “companding”. Il segnale audio viene compresso nel trasmettitore, sempre prima del modulatore, per essere poi espanso, ovviamente con parametri simmetrici nel ricevitore dopo la de-modulazione. In questo modo la dinamica del segnale trasmesso via radio viene ridotta e quindi ancora una volta migliorato il rapporto segnale rumore; il rapporto tipico di compressione/espansione è 1:2. La figura 60 esplicita in maniera grafica ed intuitiva il funzionamento del “companding”. In questo modo si riesce ad ottenere una gamma dinamica superiore a 100 db. Il companding può anche essere multi banda; in questo caso il segnale audio viene diviso in due o più bande audio ed ogni singola banda viene sottoposta ad enfasi e companding in maniera ottimizzata migliorando ulteriormente il risultato. Il processo di compressione/espansione non è però perfettamente trasparente dovendo lavorare con segnali non costanti e non prevedibili; anche con una buona progettazione dei circuiti può essere udibile una modulazione del rumore e/o del segnale quando quest’ultimo è particolarmente basso. Infine molti trasmettitori incorporano un limiter per evitare saturazioni del modulatore e/o eccessiva deviazione della frequenza di trasmissione che potrebbe portare allo “sgancio” del ricevitore (ovvero alla perdita del segnale). Chiaramente questo processo, che viene applicato dopo l’enfasi ed il compressore non è reversibile.

Figure 58 e 59: da sinistra a destra: processo di enfasi (anche chiamato pre-enfasi) nel trasmettitore, prima della modulazione e di de-enfasi nel ricevitore dopo la de-modulazione.

Figura 60: principio di funzionamento del companding per la trasmissione radio

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A questo punto il segnale viene inviato ad un oscillatore controllato in tensione. In pratica questo converte il segnale audio in un segnale radio modulato semplicemente modificando leggermente la frequenza in maniera proporzionale al segnale audio come visto in precedenza. Come già citato prima l’entità della modulazione viene chiamata deviazione e si misura in kHz. Trasmettitori con deviazione elevata vengono chiamati wideband, viceversa trasmettitori con deviazione ridotta vengono chiamati narrowband; per quanto detto sopra più ampia è la deviazione maggiore sarà l’informazione trasmissibile. La figura 61 rappresenta lo spettro di un segnale radio fisso e modulato, in quest’ultimo caso con l’esemplificazione grafica della deviazione. Siccome la frequenza base del sistema è fissa, per poter cambiare la frequenza di trasmissione si possono utilizzare dei circuiti moltiplicatori (quindi si cambia la frequenza di trasmissione cambiando il fattore di moltiplicazione) oppure dei circuiti PLL (phase locked loop) in cui un divisore agisce rispetto ad un oscillatore di precisione fisso. L’ultima parte del trasmettitore è l’amplificatore d’antenna che porta il livello della tensione ad una valore adeguato alla potenza necessaria per il corretto funzionamento del sistema.

Figura 61: spettro di un segnale Radio fisso e di un segnale FM

Passando ai ricevitori, il primo elemento del circuito, dopo l’antenna, è il filtro RF. Questo filtro, importantissimo, serve ad eliminare o ridurre al massimo le frequenze spurie, ovvero quelle frequenze che non afferiscono al sistema (per esempio frequenze di altri trasmettitori/ricevitori). Il secondo stadio è chiamato Local Oscillator (LO). Questo oscillatore genera una nuova frequenza in rapporto fisso alla frequenza di trasmissione quando questa viene modificata; questa frequenza viene sommata e sottratta al segnale radio originale ottenendo così due diversi segnali Radio, ambedue contenenti il segnale audio originale, che vengono poi inviati ad opportuni filtri tarati sulla frequenza differenza. In questo modo si ottiene una nuova frequenza radio chiamata IF (intermediate frequency) molto più bassa di quella originale. Finalmente il segnale radio entra nel demodulatore FM; a questo punto il segnale audio risultante attraverserà i processi inversi a quelli applicati nel trasmettitore (espansore e de-enfasi). Infine troviamo lo stadio di uscita che serve ad ottenere un appropriato livello di uscita. La figura 62 riporta uno schema a blocchi di un ricevitore.

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Figura 62: schema a blocchi di un ricevitore FM

Un altro circuito presente nel ricevitore è lo “Squelch”. Lo squelch serve a mandare in mute l’uscita in assenza del segnale radio corretto. Quando il segnale radio non è sufficiente o non è interpretabile correttamente (distanza eccessiva, perdita di potenza del trasmettitore, materiali schermanti), il ricevitore potrebbe demodulare segnali impropri o amplificare il rumore di fondo della trasmissione radio; il risultato sarebbe un rumore bianco usualmente a livello molto più alto del segnale audio standard. Lo Squelch è quindi un sistema di mute del segnale audio controllato da una soglia regolabile del segnale Radio. Teoricamente lo squelch andrebbe tarato al di sopra del rumore di fondo radio o comunque al disopra del livello minimo accettabile del segnale radio. Un livello di squelch eccessivo potrebbe invece portare a perdere il segnale audio anche in presenza di segnale radio sufficiente. Lo squelch può funzionare in base a due diversi principi. Un primo metodo prevede il confronto fra il rumore radio ed il livello impostato dello squelch; una variante di questo sistema prevede il controllo del rumore in alta frequenza audio ed il livello programmato dello squelch; in questo modo viene controllata solo la qualità del segnale radio ricevuto. Un secondo metodo prevede la trasmissione, assieme al segnale audio, di una frequenza di riferimento fuori dalla banda audio (ad esempio a 30 kHz); il circuito dello squelch controlla il livello e la presenza della frequenza di riferimento e, in sua assenza, manda in mute l’uscita del ricevitore. La figura 63 esemplifica in forma grafica i vari tipi di squelch.

Figura 63: lo squelch. Da sinistra verso destra: controllo del rumore radio, controllo del rumore in alta frequenza audio, controllo della presenza del tono pilota I ricevitori vengono prodotti in due configurazioni: diversity e non diversity. Esternamente si riconoscono per la presenza di due antenne, nel primo caso, ed una sola antenna nel secondo caso. La scelta fra i due sistemi va fatta in funzione della qualità che si desidera ottenere. I ricevitori

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diversity sono in grado di “reggere” meglio perdite di segnale radio o fenomeni di oscuramente dovute a masse schermanti. Il primo fenomeno da tenere in considerazione è la presenza di percorsi multipli nella ricezione del segnale radio. Nella situazione più semplice e tranquilla le onde radio procedono direttamente dal trasmettitore al ricevitore e quindi la forza del segnale ricevuto dipende sono dalla potenza del trasmettitore e dalla distanza fra trasmettitore e ricevitore. Nella realtà questa situazione ideale può accadere solo all’aperto e con terreni non “magnetici” (ad esempio un prato e non cemento armato). In realtà, nella maggior parte delle situazioni ci sono oggetti che attenuano la trasmissione ed oggetti che riflettono le onde radio; siccome sia l’antenna trasmittente che quella ricevente sono piuttosto omnidirezionali e le onde riflesse fanno un percorso diverso rispetto a quelle dirette, si ha una ricezione da percorsi diversi con lunghezze diverse. Da qui il termine inglese multi-path. Si tratta esattamente dello stesso processo che da luogo al riverbero in banda audio. Si veda un esempio al riguardo figura 64 a. Chiaramente tutto ciò da luogo a livelli diversi, tempi di arrivo e fasi differenti. Il segnale ricevuto sarà quindi la somma di tutto ciò che darà luogo a variazione dell’intensità nella zona interessata; si posso avere brusche variazioni di livello anche per piccoli spostamenti del trasmettitore ed anche cancellazioni di segnale. Si veda al riguardo la figura 64 b. Gli effetti di tutto ciò possono variare da sottili fischi modulanti, a forti scariche allo sgancio completo del ricevitore. Purtroppo gli effetti di questo fenomeno non sono prevedibili ed inevitabili nei sistemi non diversity (ovvero con una sola antenna).

Figura 64 a: percorsi diversi delle onde radio: il multi-path – Figura 64 b: esempio di segnale ricevuto da due antenne in dipendenza dallo spostamento del trasmettitore

Il sistema diversity sfrutta il principio per cui è estremamente difficile che più antenne in luoghi diversi, generalmente due, abbiamo problemi contemporaneamente; tutto ciò perché l’andamento del segnale riflesso e diretto sono statisticamente indipendenti in luoghi diversi. Perché ciò accada ci deve essere una certa separazione fisica delle antenne; in generale il segnale non è correlato se la distanza è superiore ad un quarto della lunghezza d’onda e quindi, per le frequenze di nostro interesse, almeno 10 cm. Aumentare la distanza può dare qualche effetto positivo sino alla lunghezza d’onda, mentre andare più lontano non comporta vantaggi da questo punto di vista. Potrebbe invece essere estremamente utile porre le antenne su diversi lati della sala o del palco se esiste la possibilità di avere elementi schermanti davanti alle antenne; in questo caso un adeguato posizionamento delle antenne potrà salvare la situazione. Col termine True Diversity si identificano quei ricevitori che, in maniera intelligente, combinano il segnale delle due antenne. La struttura più semplice di un sistema diversity è costituita da due o più antenne passive direzionali collegate fra loro; in questo modo l’unico ricevitore utilizzerà la somma dei segnali; con due antenne il segnale non è sicuro perché nelle situazioni di controfase si avrebbe la cancellazione totale; con tre il rischio

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di dropout è praticamente nullo; evidentemente questo sistema non è true diversity. Un semplice sistema true diversity utilizza due antenne e due ricevitori con un circuito che permette l’inversione di fase fra i due segnali in modo da evitare la cancellazione totale; il sistema utilizza quando sempre le due antenne. Un’altra variante prevede l’utilizzo di un solo ricevitore, ma con un sistema che riconosca la qualità del segnale delle due antenne ed utilizzi solo quella giudicata migliore; in questo caso viene utilizzata una sola antenna alla volta. Il difetto di questo sistema è che, in assenza di segnale particolarmente buono, potrebbe inutilmente continuamente a commutare da una antenna all’altra dando luogo a variazioni del rumore; inoltre tempi di commutazione molto rapidi possono dar luogo a rumore percettibile, mentre tempi di commutazione troppo lunghi possono dare luogo a dropout. Sistemi più potenti e che utilizzano dei DSP possono fare delle previsioni sul segnale delle due antenne basandosi sulle medie e sui picchi dei livelli dei due segnali. In questo modo si riescono ad evitare la maggior parte delle commutazioni inutili. La stessa cosa può essere fatta utilizzando due ricevitori e quindi commutando le uscite dei ricevitori invece che i segnali d’antenna. In alternativa si possono combinare i segnali delle due antenne con un mix proporzionale alla qualità del segnale; questo sistema si base sul fatto che quasi sempre ambedue i segnali d’antenna sono utilizzabili; quindi, essendoci in funzione due antenne, il pericolo di dropout è molto basso e si evita il rumore di commutazione fra le antenne. Il vantaggio del sistema diversity è particolarmente evidente in situazioni disturbate e con molte riflessioni e, grazie alla maggiore affidabilità, nelle situazioni in cui non c’è possibilità di fare molte prove. In figura 65 gli schemi a blocchi dei sistemi diversity qui descritti.

Figura 65: Schemi a blocchi dei diversi sistemi diversity; da sinistra verso destra: combinazione di

più antenne passive, commutazione della fase di una antenna, commutazione delle antenne, commutazione dei ricevitori, combinazione dei segnali dei due ricevitori.

Un elemento molto importante è sicuramente l’antenna stessa. La dimensione dell’antenna deve essere proporzionale alla lunghezza d’onda del segnale (e quindi inversamente proporzionale alla frequenza). L’antenna più piccola possibile deve essere lunga un quarto della lunghezza d’onda; quindi radiofrequenza basse richiedono grandi antenne mentre alte frequenze si accontentano di piccole antenne. Un’altra caratteristica importante è l’efficienza di radiazione dell’onda radio; più il sistema sarà efficiente e maggiore sarà la distanza a cui potrò ricevere il segnale; questo parametro è molto importante per due motivi: a) la potenza del trasmettitore è limitata da normative; b) la maggior parte dei trasmettitori va a batteria per cui un’elevata efficienza comporta maggiore autonomia. La maggior parte dei trasmettitori portatili utilizza antenne da ¼ della lunghezza d’onda, spesso nascoste all’interno del corpo stesso del trasmettitore. Nell’uso dei così detti body pack si deve tenere presente che il corpo umano, essendo composto in gran parte di acqua, che è una molecola polare, offre un grado di schermatura piuttosto elevato e quindi il posizionamento del trasmettitore potrebbe essere molto critico. In tutti i casi la caratteristica polare di un antenna da ¼ di lunghezza d’onda posta in verticale è omnidirezionale sul piano orizzontale mentre l’emissione lungo l’asse verticale è quasi nulla; ricordando che l’onda radio è costituita da una componente

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elettrica e da una magnetica, nel caso dell’antenna verticale la componente elettrica sarà verticale e, di conseguenza, quella magnetica orizzontale; in questo caso si dice che l’onda è polarizzata verticalmente. La comprensione della direzionalità dell’antenna trasmittente è fondamentale per il posizionamento dell’antenna ricevente. Per quanto riguarda il ricevitore, l’antenna dovrà raccogliere nella maniera più efficiente possibile il segnale; dato che la potenza del trasmettitore è molto bassa ed il segnale che arriva al ricevitore enormemente più basso di quello trasmesso (legge del quadrato della distanza), l’antenna del ricevitore dovrà essere estremamente sensibile. Nella maggior parte dei casi l’installazione del ricevitore non è critica come quella del trasmettitore e di conseguenza si possono utilizzare antenne più grandi, più efficienti e direzionali. L’antenna minimale è nuovamente quella da ¼ d’onda, ma se si vuole incrementare la sensibilità si possono utilizzare antenne omnidirezionali da ½ d’onda o anche da 5/8 d’onda. Queste antenne esibiscono una sensibilità più alta di circa 3 db e quindi consentono una maggior campo d’azione. Le antenne da ¼ e da 5/8 d’onda necessitano di un piano di massa di dimensioni adeguate (per esempio lo chassis del ricevitore per la ¼ d’onda); non così per la ½ d’onda che quindi può essere facilmente remotata via cavo. Per quanto detto sopra l’antenna del ricevitore dovrebbe avere lo stesso orientamento dell’antenna del trasmettitore; se non fosse possibile orientare correttamente l’antenna del ricevitore rispetto a quella del trasmettitore, l’unica chance di avere una ricezione corretta sarà utilizzare dei ricevitori diversity ed inclinare le antenne in maniera differente. Le antenne direzionali possono incrementare la sensibilità fino a 10 db rispetto ad una antenna omnidirezionale da ¼ d’onda e ridurre interferenze che dovessero arrivare da altre direzioni di circa 30 db. Le forme più diffuse sono quella a stelo verticale da ½ d’onda e quella logaritmica (simile come forma, ma non come dimensioni, ad una antenna per la ricezione televisiva). In ogni bisognerà cercare sempre di avere le antenne trasmittenti verticali in modo da massimizzare l’emissione sul piano. Un aspetto molto importante e spesso trascurato, anche in altre situazioni, è il cavo d’antenna. Quando si utilizza una antenna esterna posta distante dal ricevitore è necessario utilizzare un appropriato cavo. Se solamente pensiamo che il segnale radio trasmetto lungo il cavo ha frequenza dell’ordine delle centinaia di MHz ci si rende conto di quanto possano essere pesanti le perdite di segnale e l’importanza vitale di utilizzare una cavo di alta qualità. Per ottimizzare la trasmissione del segnale (ovvero massimo trasferimento di energia da sorgente ad utilizzatore) occorre che tutti i componenti abbiamo la stessa impedenza caratteristica; tipicamente per i cavi d’antenna dei radiomicrofoni è 50 Ohm. In generale però le perdite di segnale dovute al cavo sono maggiori a quelle provocate dal non perfetto accoppiamento delle impedenze. Il cavo quindi va tenuto più corto possibile e l’uso di antenne attive ed amplificatori d’antenna può in parte compensare lunghi tratti di cavo. L’attenuazione per un cavo da 50 metri e frequenze attorno ai 600 MHz può passare da 30 db per un cavo economico (che corrisponde a perdere il segnale) a 4-5 db per un cavo di alta qualità.

Figura 66: un tipico esempio di distribuzione/amplificazione di un segnale d’antenna

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Una delle programmazioni più importanti in un sistema è la selezione della frequenza radio di trasmissione. Per un sistema wireless è un processo composta da due passi: a) deve essere definita la banda; b) deve essere definita esattamente la frequenza all’interno della banda stessa. Risulta piuttosto evidente che stabilita una certa banda (e di conseguenza le dimensioni delle antenne) solo un numero finito di radiomicrofoni potrà funzionare correttamente al suo interno. Questo processo di scelta deve includere la verifica delle normative del paese in cui si opera, verifiche di compatibilità delle apparecchiature, di selettività delle frequenze. Uno dei problemi principali nella definizione delle frequenze è la distorsione di intermodulazione. Se si utilizza un solo radiomicrofono si può usare, qualsiasi frequenza di funzionamento. Quando aggiungiamo un secondo radiomicrofono dobbiamo utilizzare una frequenza differente se vogliamo utilizzarlo contemporaneamente al primo. Infatti se fossero sulla stessa frequenza i due ricevitori non sarebbero in grado di de-modulare correttamente i segnali. In pratica il ricevitore non è in grado di fare un mix dei segnali provenienti da diversi trasmettitori; se uno dei segnali è più forte dell’altro verrà agganciato e l’altro ignorato; se i due segnali sono pressoché identici nessuno dei due sarà ricevuto correttamente (ovvero avremo distorsione e rumore). Stabilito che le frequenze debbano essere differenti, resta da capire quanto diverse debbano essere. Una prima caratteristica da considerare è la selettività ovvero la capacità di ignorare una frequenza vicina a quella programmata; è evidente che tanto maggiore sarà la selettività tanto più vicine potranno essere le frequenze. Usualmente la distanza minima fra due frequenze è dell’ordine di 300-500 kHz. Dobbiamo però tener presente che quando si applicano segnali a sistemi non lineari compare la distorsione di intermodulazione. (Figura 67)

Figura 67: La distorsione di intermodulazione nasce in presenza di circuiti non lineari La caratteristica principale di un circuito non lineare, ovvero il motivo per cui si chiama non lineare, è la presenza di segnali di uscita non presenti in ingresso. Questi segnali sono chiamati prodotti dell’intermodulazione e sono generati all’interno del circuito stesso. Le frequenze di intermodulazione sono calcolabili matematicamente a partire dalla frequenze impostate nei trasmettitori; si calcolano come somma e differenza delle frequenze dei radio microfoni e somma e differenza di multipli delle stesse. I circuiti lineari sono presenti sia nello stadio di uscita dei trasmettitori che in quello di ingresso dei ricevitori. L’intermodulazione è molto più consistente quando i trasmettitori sono molto vicini fra loro perché ognuno dei due genera segnali nello stadio di uscita dell’altro (si veda figura 69); questi segnali vengono poi trasmessi assieme alle frequenze originariamente impostate e possono essere ricevute negli stadi di ingresso dei ricevitori. Lo stesso fenomeno può avvenire quando un trasmettitore è molto vicini ai ricevitori perché un trasmettitore andrà ad influenzare lo stadio di ingresso degli altri ricevitori in particolare quando il segnale che arriva dagli altri trasmettitori è debole o assente. Il prodotto di intermodulazione più importante è quello detto del III ordine ottenuto da due trasmettitori che lavorano a frequenze F1 ed F2 (con F1<F2). I prodotti del III ordine si calcolano come IM1 IM1 = (2 x F1) – F2 IM2 = (2 x F2) – F1

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Se definiamo F2-F1= k otteniamo IM1 = F1 – k IM2 = F2 + k Ovvero i due prodotti di intermodulazione sono simmetrici rispetto alle due frequenze originali. Lo stesso principio vale in presenza di tre o più trasmettitori. Per evitare problemi è consigliabile che qualsiasi prodotto del III ordine disti almeno 250 MHz da qualsiasi frequenza impostata. Si vedano in figura 26 i prodotti di intermodulazione del III ordine con due e tre radiomicrofoni. In figura 28 i prodotti del III e V ordine per tre radiomicrofoni.

Figura 68: a sinistra I prodotti di intermodulazione del III ordine con due trasmettitori e, a destra, con tre trasmettitori

Figura 69: Importanza della distanza nell’intensità dei prodotti di intermodulazione

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Figura 70: Esempio di calcolo di prodotti di intermodulazione del III e V ordine per tre radiomicrofoni

Figura 71: Frequenze e prodotti di intermodulazione per due radiomicrofoni nel range 740-776 MHz

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Figura 72: Frequenze e prodotti di intermodulazione per quattro radiomicrofoni nel range 740-776 MHz

Figura 73: Frequenze e prodotti di intermodulazione per otto radiomicrofoni nel range 740-776 MHz

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Figura 74: Frequenze e prodotti di intermodulazione per undici radiomicrofoni nel range 740-776 MHz

Figura 75: Ammettendo distanziamenti di soli 100 kHz si possono “stipare” 16 canali; i prodotti d’intermodulazione sono però sovrapposti alle frequenze sorgenti e con intensità importanti.

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Impostando distanza minima di 400 kHz fra due qualsiasi frequenze, 250 kHz fra i prodotti del III e V ordine e le frequenze base ed un range da 740 a 776 MHz si ottengono gli spettri di cui alle figure da 71 a 74. Si noti che il numero massimo di radiomicrofoni utilizzabili secondo queste specifiche è undici. Se ammettiamo di poter usare una distanza di 100 kHz fra i prodotti del III e V ordine e le frequenze base, fermo restando tutto il resto, possiamo utilizzare 16 radiomicrofoni, ma lo spettro dei prodotti di intermodulazione diventa molto “pieno” e con alcune frequenze particolarmente forti; si veda al riguardo figura 75. Chiaramente in questo caso i rischi di problemi di perdita di segnale sono decisamente maggiori. Il tutto diventa molto più complesso e soprattutto non prevedibile in presenza di altri sistemi di trasmissioni wireless (telecamere radio, servizi di sicurezza ed antincendio, etc…). Un altro fattore importante nell’utilizzo di un sistema radio è la portata del segnale. I fattori che incidono su questa caratteristica sono, purtroppo, tanti e poco prevedibili. In linea di principio sono: la potenza e l’efficienza dell’antenna trasmittente, il percorso del segnale, l’efficienza dell’antenna ricevente, la sensibilità del ricevitore e la sua selettività, le interferenze radio. La potenza dell’antenna è limitata dalla legislazione e dalla capacità delle batterie del trasmettitore; inoltre l’efficienza tipica di un antenna di body pack è solamente il 10 % circa; questo già debole segnale può essere ulteriormente attenuato dal corpo umano o da altri oggetti schermanti. Nel valutare il percorso si deve tenere presente la legge della propagazione del segnale e la presenza di oggetti schermanti o assorbenti; in generale più la frequenza è alta più sono elevate le perdite. Le antenne dei ricevitori possono essere molto più grandi e quindi molto più efficienti di quelle dei trasmettitori. Quando ci si allontana molto diventano molto importanti le interferenza radio (RFI), dovute ad altri apparecchi radio o semplicemente a rumore generato da apparecchiature elettroniche, posso tranquillamente superare il livello del segnale del trasmettitore. In ogni caso non è possibile prevedere esattamente la portata massima di un sistema radio. Microfoni digitali Innanzitutto è necessario definire cos’è un microfono digitale. Una possibile classificazione di questo oggetto potrebbe comprendere: a) un trasduttore in cui il principio di funzionamento contiene la quantizzazione digitale; b) una combinazione di diversi trasduttori, ognuno responsabile di parte della quantizzazione; c) un microfono che, indipendentemente dal suo principio di funzionamento integri un convertitore analogico digitale. Sebbene esistano esperimenti e tentativi riguardo le tipologie a) e b), allo stato attuale l’unica possibilità reale, è attualmente la c). Nella categoria c) potremmo includere microfoni che integrano un convertitore analogico digitale e microfoni che hanno un convertitore analogico digitale il più possibile vicino (inteso ovviamente come distanza fisica di connessione fra trasduttore e convertitore). La tipologia di microfono preferenziale per una applicazione come questa che tende alla massima qualità, sarà evidentemente quella elettrostatica che raggiunge le prestazioni più elevate (risposta in frequenza, dinamica, linearità di tutti i parametri). Le prime realizzazioni di microfoni digitali risalgono al 1989 per una applicazione di computer multimediale (NeXT). Si trattava di un microfono con conversione a 16 bit e gamma dinamica di 92 dB (risultato notevolissimo per anni in cui i registratori digitali erano alle prime armi . Seguirono diverse altre applicazioni che non raggiunsero mai la qualità dei migliori microfoni analogici, ma che aprirono la strada al formato (ad esempio Beyerdynamic MCD100). L’introduzione, nell’ormai lontano 2001, dello standard AES42 che definisce le modalità di trasmissione del segnale audio, dell’alimentazione e del controllo dei parametri di un microfono con uscita digitale, ha aperto la strada al microfono digitale. La necessità di uno standard è imposta dall’esigenza di collegare insieme apparecchiature di marche diverse sia come microfoni che come

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interfacce digitali. In parallelo si sono sviluppati i microfoni digitali con interfaccia USB, ma con qualità incomparabilmente più bassa.

Analogico e digitale: pro e contro

L’esatta rappresentazione del segnale nel dominio digitale è un prerequisito necessario per permettere una esatta elaborazione matematica; il “sistema” digitale consente copia, trasmissione ed immagazzinamento di informazioni senza perdita o alterazione delle informazioni. Per contro nel dominio analogico, il segnale viene elaborato con precisione finita e si accumulano errori ad ogni passo senza la possibilità di usare sistemi di correzione degli errori presenti invece nei sistemi digitali. Nel dominio analogico ogni passo comporta una graduale riduzione della dinamica a causa dell’aggiunta di rumore e distorsione non lineare; inoltre interferenze da apparecchiature esterne e la compatibilità elettromagnetica (EMC), possono influire negativamente. Viceversa, dopo il campionamento digitale, il segnale può, almeno in linea di principio, essere elaborato senza perdita di qualità.

L’anello debole del microfoni digitale è quindi il convertitore. Gli attuali microfoni a condensatore di qualità sono in grado di riprodurre dinamiche attorno a 130 dB mentre solo recentemente sono stati resi disponibili circuiti integrati in grado di operare la conversione analogico/digitale con risoluzioni di 115-120 dB (pesato A) con una precisione teorica di 24 bit (ovvero 144 dB). Ciò significa che tutt’ora il microfono analogico è in grado di produrre dinamiche superiori a quelle del suo “fratello” digitale. Nella realtà è molto difficile poter sfruttare la dinamica totale di un microfono analogico; infatti in ogni caso si ha una degradazione del rapporto segnale rumore dovuta al preamplificatore microfonico ed al convertitore analogico digitale. Il contributo al rumore del preamplificatore microfonico sarà tanto più basso quanto più alta sarà l’uscita del microfono (ovvero pressioni sonore elevate e/o sensibilità elevata) e tanto migliore sarà la qualità del preamplificatore. Altro contributo si ha dal convertitore analogico digitale, specialmente se si considera che non si riesce quasi mai a sfruttarlo appieno, giacché la conversione viene sempre fatta lasciando un certo numero di dB di margine per evitare fastidiose distorsioni. Si veda figura 76 a tal proposito.

Figura 76: Per poter elaborare correttamente il segnale prodotto dal microfono occorre regolarne il

livello in un preamplificatore microfonico per poi convertirlo in digitale; l’invitabile rumore

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introdotto dal preamplificatore ed il necessario margine di conversione riducono l’effettivo rapporto segnale rumore finale

L’obiettivo del microfono digitale è che la conversione ottenuta all’interno del microfono stesso preservi al massimo la qualità originale del trasduttore; questo risultato si ottiene anche tramite una ottimizzazione dell’accoppiamento trasduttore/preamplificatore/convertitore oltre che dall’eliminazione di cavi e di possibili interferenze esterne. Lo Standard AES42 La normativa AES42 stabilisce principalmente:

a) L’interfacciamento digitale e la compatibilità del protocollo; viene sfruttato il protocollo AES 3 con sovrapposta un’alimentazione phantom a 10 V che utilizza il connettore standard Cannon XLR 3 pin

b) Il metodo di trasmissione delle informazioni dal microfono verso l’interfaccia digitale; si tratta di bit riservati inseriti nello stream AES3

c) Informazioni di controllo del microfono che provengono quindi dall’interfaccia; questo flusso di informazioni si trasmette con modulazione in bassa frequenza della tensione di alimentazione del microfono

Con le specifiche standard è possibile utilizzare cavi microfoni di buona qualità sino a 100 metri o cavi AES-EBU (110 Ohm) sino a circa 300 metri. Un punto fondamentale di qualsiasi impianto digitale è la sincronizzazione del segnale audio ad un clock di riferimento. In un sistema minimale si può pensare di usare un unico microfono master clock con tutta la catena audio dipendente da lui. Nella realtà ovviamente si usa più di un microfono ed il clock viene generato dalla console o da un apposito apparecchio dedicato. Dunque vi sono due possibilità operative: AES42 Mode 1: ogni microfono ha un suo clock interno e l’interfaccia che riceve il segnale usa un convertitore di frequenza (SRC = Sample Rate Converter) per sincronizzare tutti i segnali al clock di riferimento. AES42 Mode 2: ogni microfono diviene slave, tramite il protocollo AES42, del clock master del sistema; questo evita l’uso di SRC per ogni canale. La seconda soluzione semplifica e rende più economica l’interfaccia che riceve il segnale ma, soprattutto, evita il problema della latenza dovuta alla conversione che in alcuni casi (monitor in diretta oppure impianto con misto di microfoni analogici e digitali) può essere un grave problema. Appare intuibile come per trasmettere un clock standard al microfono non sia utilizzabile il cavo standard (2 poli più schermo); per evitare quindi cavi speciali è stato deciso di implementare all’interno dei microfoni che funzionano in modalità 2 un oscillatore di grande precisione controllato in tensione (VCX0); questo oscillatore viene controllato tramite lo stream di informazioni contenute nell’alimentazione phantom che l’interfaccia trasmette al microfono. In figura 77 è riportato uno schema di principio.

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Figura 77: Collegamento di un microfono digitale sincronizzato secondo le specifiche AES42 Modalità 2. La frequenza di campionamento è viene controllata tramite il segnale CTL inserito

nell’alimentazione phantom 10 V del microfono. Gamma dinamica e rumore In ogni caso, da quanto detto sopra, il punto cruciale rimane la necessità di utilizzare convertitori analogico-digitali con risoluzione confrontabile con quella ottenibile da un microfono analogico. Per confrontare la risoluzione conviene verificare il comportamento del sistema per segnali molto alti (prossimi al sovraccarico) e segnali molto bassi (vicino al rumore di fondo). Un buon microfono analogico può riprodurre dinamiche di circa 130 dB; infatti può rilevare pressioni sonore massime di circa 140 dB SPL e minime di circa 10 dB SPL (corrispondenti al suo rumore intrinseco); questi valori corrispondono a tensioni di uscita che vanno da – 120 dBu a + 10 dBu ovvero a tensioni che variano da 0,0008 mVRMS a 2,5 VRMS. Solo in casi di pressioni sonore elevatissime può essere necessario utilizzare gli attenuatori presenti in alcuni microfoni.

Figura 78: una semplice catena analogica che utilizza un microfono analogico. Il rumore generato da un microfono nmic a condensatore, come in figura 78, ha, approssimativamente, le caratteristiche di un rumore rosa mentre i microfoni dinamici, preamplificatori e convertitori AD producono un rumore sostanzialmente simile ad un rumore

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bianco (4). Il rumore equivalente di ingresso del preamplificatore npre (EIN) dipende dal guadagno v utilizzato. Concentrando tutto il guadagno nel preamplificatore, la somma del rumore della catena di figura 78 sarà:

Il limite fisico del rumore del preamplificatore microfonico è determinato dal rumore termico della resistenza di ingresso Ri:

dove k = 1,38*10-23 J/K (costante di Boltzmann), T è la temperatura in gradi Kelvin, and Δf è la larghezza di banda (tipicamente 20 kHz). Ad esempio, con un microfono avente impedenza di uscita Ri = 200 Ω si ottiene un rumore di -129 dBu (Δf = 23 kHz), ovvero -131.7 dBu (A). Nei migliori preamplificatori il rumore, con impedenza di ingresso bassa e guadagno alto, si avvicina al limite fisico, ma, nei modelli meno buoni, man mano che si abbassa il guadagno il rumore può salire sino a -100…-80 dBu (5). Quindi il rumore del preamplificatore può essere più alto o più basso di quello del microfono a seconda delle situazioni e, se il convertitore AD ha la sensibilità regolabile, un buon tecnico regolerà il guadagno del pre e la sensibilità del convertitore in modo da minimizzare il rumore della catena tenendo bene a mente il massimo headroom di entrambi (6). La figura 80 mostra la gamma dinamica di una tipica catena microfono/preamplificatore. Viene rappresentato il livello di uscita del preamplificatore in funzione del guadagno (e quindi della pressione sonora). I limiti sono dati da: n200Ω: -131.7 dBu-A limite fisico del rumore termico npre: rumore equivalente di ingresso del preamplificatore, pesato A Maxpre: Massimo livello di uscita del preamplificatore, in questo esempio +20 dBu nmic: rumore del microfono, in questo esempio -120 dBu-A Maxmic: Massimo livello di uscita del microfono, in questo esempio +6 dBu Si vede come il rumore del preamplificatore riduca la massima dinamica di circa 16 dB. I valori sono calcolati per un microfono con sensibilità di 12 mV/Pa. (7)

4 Rumore Bianco: rumore con energia costante su tutto lo spettro di frequenza. Rumore Rosa: rumore con livello decrescente di 3 dB per ottava. 5 Ad esempio, un ottimo pre microfonico come il Maselec della Prism Sound ha un rumore equivalente di ingresso con 150 Ω, banda 20 Hz – 20 kHz e 30 dB gain pari a -126 dB che diventa -129 dB con 57 dB di guadagno. 6 Come si è detto prima il rumore totale della catena è la radice quadrata della somma dei quadrati; l’ottimizzazione della catena, tenendo conto che sul microfono nulla può essere fatto, se il convertitore ha la sensibilità regolabile converrà cercare il punto in cui rumore del preamplificatore e quello del convertitore sono uguali (minimo della funzione). In pratica se il convertitore è di buona/ottima qualità converrà sfruttare al massimo la sua sensibilità mentre se il pre fosse particolarmente buono ed il convertitore meno, converrà “tirare” il più possibile il preamplificatore. Il gioco fa sempre fatto tenendo in considerazione l’headroom delle apparecchiature che si stanno considerando: più si riesce a lavorare con segnali più possibili alti e vicini all’headroom, più grande sarà la dinamica disponibile. 7 Si noti che con preamplificatori di alto livello (ad esempio Prism Sound e Millennia) la riduzione di dinamica è molto minore; infatti il rumore equivalente di ingresso rimane piuttosto basso anche con guadagni bassi (la riduzione potrebbe limatarsi a 3-4 dB).

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Nel caso del microfono digitale, il progettista può ottimizzare gli accoppiamenti/livelli in modo da non peggiorare le caratteristiche del microfono con lo stadio di preamplificazione.

Figura 79: schema di un microfono digitale.

Figura 80: dinamica di un accoppiamento microfono/preamplificatore

Figura 81: dinamica in un microfono digitale.

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La situazione è diversa nel caso del microfono digitale di figura 79. L’accoppiamento ottimizzato riduce il rumore totale a:

Di conseguenza la curva relativa al rumore del preamplificatore viene sostituita da quella del convertitore analogico digitale. La figura 81 mostra il risultato di questa nuova situazione. Si vede come la gamma dinamica risulti grandemente migliorata, specialmente per guadagni molto bassi che vengono utilizzati con microfoni a condensatore e sorgenti sonore generose. Ora la dinamica è limitata solo dal rumore del microfono e dal limite superiore del campionamento (0 dB).

Figura 82: Schema di un convertitore AD con due stadi e DSP

Figura 83: Spettro di rumore di un convertitore AD con ingresso cortocircuitato (curva inferiore rossa), con convertitore di impedenza (curva intermedia lilla) e con una capsula reale (curva superiore blu). La figura 83 mostra in maniera eloquente il comportamento del microfono digitale. Con l’ingresso cortocircuitato, il convertitore produce sostanzialmente un rumore bianco che cresce oltre i 20 kHz

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a causa del noise shaping. L’effetto del microfono aggiunge un rumore termico/acustico di circa 10 dB. Con una buona ottimizzazione dei componenti il rumore somma può essere dell’ordine di -130 dB (pesato A). La figura 82 mostra un convertitore analogico digitale con una risoluzione di 140 dB (pesato A). Per arrivare a simili livelli di dinamica è necessario utilizzare una combinazione di due o più convertitori che lavorano con livelli diversi. Com’è intuibile, la commutazione fra i diversi convertitori può portare a click o rumore di modulazione (figura 84). Questo rumore di modulazione diviene particolarmente udibile se non è mascherato da componenti in alta frequenza. Una possibile soluzione è mantenere sempre attivi i convertitori utilizzando un circuito non lineare (figure 85 e 86).

Figura 84: Possibili distorsioni di ri-accoppiamento delle conversioni in un convertitore doppio stadio

Figura 85: Possibile schema di convertitore a due stadi con circuito non lineare che mantiene sempre attivi i convertitori.

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Figura 86: Segnali dei due convertitori di figura 85 e loro somma. Il convertitore di figura 82 è sostanzialmente un processore a virgola mobile con esponenti 20 e 24. La combinazione dei convertitori comporta un ampliamento della gamma dinamica di 24 dB, ma non incrementa la risoluzione specifica. In pratica il circuito modula dal convertitore a basso livello a quello ad alto livello quando il segnale attraversa il punto di commutazione producendo quindi una variazione di rumore. Una appropriata circuitazione di commutazione rende più morbido il transitorio di commutazione del rumore. In conclusione il microfono digitale consente di raggiungere elevate caratteristiche in maniera semplice e virtualmente priva di errori di cablaggio/settaggio. Si noti però che i vantaggi sono bassi se si confronta il microfono digitale con il corrispondente analogico connesso a preamplificatori e convertitori di alto livello. La soluzione tradizionale ha dalla sua il vantaggio della modularità e della flessibilità. Vale la pena inoltre di tenere presente che l’uso del protocollo AES42 in modalità 1 richiede necessariamente di un convertitore di frequenza (SRC) nell’interfaccia che riceve il segnale in modo da adattare tutti i microfoni allo stesso clock; questo necessariamente comporta un ritardo fra ingresso ed uscita per cui una combinazione di microfoni digitali ed analogici in uno stesso impianto potrebbe non essere ottimale o consigliabile. Altro particolare da tenere presente: giacché il microfono non supporta il controllo del guadagno, l’interfaccia che riceve il segnale dovrà poterlo regolare su ampia scala (almeno 60 dB) in modo da rendere il segnale utilizzabile da qualsiasi apparecchiatura (mixer digitali, registratori digitali, processori digitali, etc…); in ognuno dei due casi la regolazione del guadagno è sempre e solo digitale. Quando però vado ad innalzare il guadagno la risoluzione effettiva del mio segnale digitale si riduce di pari passo (8); se ad esempio la mia risoluzione effettiva, rispetto allo 0 dB digitale, era 130 dB alzando il gain di 30 dB si riduce a 100 dB effettivi, ovvero a poco più di 16 bit. In pratica l’eliminazione del preamplificatore microfonico comporta un miglioramento nella parte analogica, ma un peggioramento in quella digitale. Se pensiamo sempre a preamplificatori e convertitori di alto livello, con 30 dB di guadagno, - 130 di rumore del microfono e - 115 dB di rumore del convertitore, la dinamica totale rimane limitata dal microfono e cioè attorno a 100 dB come nel caso del microfono digitale. Il discorso cambia sicuramente aspetto se pensiamo di confrontare preamplificatori e convertitori integrati in una console digitale. In figura 87 uno schema riassuntivo della struttura di un microfono digitale.

8 Basta ricordare che il protocollo AES42 come l’AES3 ha 24 bit di risoluzione

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Figura 87: Schema di principio di un microfono digitale Neumann.