Caporetto,Migliaia di prigionieri italiani vennero ...

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8 il “prima” e il “dopo” Caporetto, Migliaia di prigionieri italiani vennero lasciati morire di fame nei campi Un libro inchiesta racconta la storia dell’alpino Ortis e dei suoi compagni.

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il “prima” e il “dopo”Caporetto,Migliaia di prigionieri italiani vennero lasciati morire di fame nei campi

Un libro inchiesta racconta la storia dell’alpino Ortis e dei suoi compagni.

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È il 1917, Caporetto segna iltragico fallimento dello StatoMaggiore di Cadorna, gli au-striaci sono alle porte dellapianura padana, il rischio del-l’invasione fa tremare il re.

Come spiegare all’Italia in-terventista l’insuccesso, sen-za mettere alla berlina ilGeneralissimo che avrebbedovuto fare un boccone del-l’odiato nemico? L’alibi al-

l’italiana è a portata di ma-no. Un bel complotto, meglioun ignominioso “sciopero mi-litare” da parte del “popoloal fronte”. Nei confronti deitrecentomila soldati italianifatti prigionieri in quella di-sfatta autunnale si scatena unainfame campagna di accuseconfezionate a tavolino, ac-compagnate da quello cheD’Annunzio, con qualche an-ticipo, aveva affermato sulCorriere della Sera, e cioèche “chi si rende prigioniero,si può veramante dire che pec-chi contro la Patria, control’Anima e contro il Cielo”.

Il genocidio dimenticato

1918 di Mauthausen e di Theresienstadt

Da un pugno di lettere riportate alla luceda Giovanna Procacci, la tragica storiacostruita dallo Stato Maggiore per depi-stare la responsabilità della disfatta.

di Franco Giannantoni

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Caporetto,il “prima” e il “dopo”

Contro questi innocenti “pec-catori”, gli alti comandi mi-litari, assumono dopo qual-che mese un’iniziativa sin-golare, contraria a tutte le con-venzioni internazionali sultrattamento da riservare ai pri-gionieri: i pacchi viveri, in-viati dalle famiglie, debbonoessere bloccati. Nessuno dicoloro che per debolezza, pau-ra, viltà (in realtà per l’inca-pacità dei loro condottieri)concorsero al crollo difensi-vo, dovrà essere ricordato néalimentato. Una vergognosavendetta. I prigionieri, inter-nati in campi che avrebberoun paio di decenni dopo as-sunto il lugubre marchio del-lo sterminio di massa,Mauthausen, Theresienstadt,diventano veri e propri “mo-renti”, uomini giovani e ma-turi, molti con moglie e figli,abbandonati al loro tragicodestino, senza notizie, cibo.Senza speranze. Morenti chefiniranno (almeno 100 mila)la loro vita, cancellati dalleprivazioni e dal sospetto di

un tradimento ignobile, ali-mentato da una martellante,ignobile campagna di di-sinformazione e d’odio delgoverno nell’animo dei lorostessi familiari. Centomila vit-time, un quarto dei caduti sulcampo di battaglia. È un ge-nocidio.Questa vicenda, rimasta ge-losamente nascosto per oltresettant’anni (e si capisce ilperché, a cominciare dal re-gime fascista che, fondandole basi del suo potere sullaGrande guerra, aveva teso apresentare Caporetto comeuna grande epopea patriotti-ca), esce oggi dalle paginedel libro di Giovanna ProcacciSoldati e prigionieri italianinella Grande guerra (Bollatie Boringhieri, lire 58 mila,pp. 519), con il peso di unadenuncia folgorante, tremen-da, che rischiando di non la-sciare traccia nel grande pub-blico (dunque sepolta per laseconda volta), ha comunquela forza di una requisitoriadella Storia. Centomila vitti-

me dimenticate, cento milamorti mai rivendicati.Tutto inizia da un gruppo dilettere dei prigionieri di guer-ra (che Mario Missori, fun-zionario dell’ArchivioCentrale dello Stato anni fasegnalò presenti nel Fondo“Tribunale Supremo Militare”alla Procacci) che si rivolgo-no increduli alla patria, allefamiglie dalle quali sentonodi essere progressivamenteabbandonati. Lettere addolo-rate, disseminate dallo stra-zio, che in molti casi mostranocome la perfida manovra del-le autorità civili e militari ven-ga assorbita dalle migliaia deipadri e delle madri delle vit-time innocenti. Parole pesanticome macigni. Scrive daTheresienstadt un prigionie-ro: “Non mi degno chiamar-vi caro padre avendo ricevu-to la vostra lettera, dove les-si che ho disonorato voi e tut-ta la famiglia. Perciò d’ora inpoi sarò il vostro grande ne-mico e non più il vostroDomenico”. Risponde un pa-

dre ad un figlio detenuto nel-l’inferno del campo diMauthausen: “Tu mi chiedi ilmangiare ma ad un vigliaccocome te non mando nulla; senon ti fucilano quelle cana-glie d’austriaci ti fucilerannoin Italia. Non scrivere più checi fai un piacere. A morte lecanaglie”.L’effetto psicologico è vio-lento, eppure nessuno di que-sto oscuro capitolo della sto-ria patria aveva mai parlato,lo scandalo è stato rimosso,confinato in un angolo dellamemoria, un angolo assolu-tamente estremo, una feritaprofonda dentro quella bar-collante identità italiana checontinua a ignorare tragediedi questa dimensione, una re-quisitoria senza appello con-tro quello che, a fronte del fa-scismo (il totalitarismo all’i-taliana), viene tuttora indica-to come il buon governo “li-berale”, modello di demo-crazia e di pluralismo. È ve-ro invece il contrario perchése è scontato che “la prima

Lettere di prigionieri di guerra italiani controllate dal RepartoCensura Militare

Da L’Aquila a Mauthausen (Austria

21.8.1917Tu mi chiedi il mangiare, ma a un vigliacco come te nonmando nulla; se non ti fucilano quelle canaglie d’au-striaci ti fucileranno in Italia. Tu sei un farabutto, untraditore; ti dovresti ammazzare da te. Viva semprel’Italia, morte all’Austria e a tutte le canaglie tedesche:mascalzoni. Viva l’Italia viva Trieste italiana. Non scri-vere più che ci fai un piacere. A morte le canaglie (...).(Nota: la lettera è diretta dal padre al figlio. Il destinatario non figu-ra negli elenchi dei disertori).

Da K.u.K. Station (Austria) a Cremona

22.2.1918

(...) Oggi stesso ho mangiato una gavetta di carne dicane che mi è parsa buonissima. La debolezza si è im-possessata di me a tal punto che quando cammino misembra di essere un ubriaco, un sonnambulo e per dipiù la vista mi è venuta meno, che non ci vedo quasipiù (...).

Da Mauthausen (Austria) a Bianco (Reggio Calabria)

1.12.1916Mia cara madreHo ricevuto la vostra (...). Il contenuto di essa, riguar-dante la mia disgrazia mi ha recato dolore e anche pian-to. Mamma io sono innocente, ve lo confesso con am-pia sicurezza, perché la mia coscienza me lo dice e melo rafferma. Sono libero da ogni rimorso (...), ho granfede in Iddio perché lui riconoscerà la mia innocenzae mi aiuterà nella lotta che sosterrò al mio ritorno. Sì,al mio ritorno, dico, perché io verro, verrò a giustifi-care la mia ingiusta accusa. Anziché rinunciare la miapatria, desidero anche ingiustamente soffrire la con-danna (...). State tranquilla mamma perché vostro figlionon vi ha disonorato (...).

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vera esperienza di prigioniasu scala mondiale fu vissutadurante gli anni della primaguerra mondiale”, tutta ita-liana è la primogenitura diquesta bieca logica genocida.Una logica che anticipa quel-la del nazismo della secondaguerra mondiale persino inalcuni minuti aspetti pro-grammatici quando ilComando Supremo pensa diinternare in una colonia libi-ca alla fine della guerra gliex prigionieri, un progettoesattamente in linea con quel-lo hitleriano di segregare gliundici milioni di ebrei euro-pei, in alternativa allo ster-minio, in Madagascar. Una pagina vergognosa cheriuscì nell’impresa quasi dia-bolica di recidere i fili che le-gavano assieme figli e geni-tori, nonni e nipoti, fratelli esorelle, gente del nord e delsud, poveri disgraziati man-dati al macello in nome del-l’onore. Ma se questa è la col-pa, ancora più nefasto è lospegnersi della voce dei pri-

scontri nel primo anno dellaguerra mondiale ’15-’18.La sorte, in particolare deiquattro fucilati, è scandita da-gli avvenimenti del 23 giugno1916, quando denunciano, for-ti della loro esperienza (quel-le montagne infatti le cono-scevano come le proprie ta-sche), che un nuovo attacco

1916 - Un libro-inchiesta racconta la sto-ria dell’alpino Ortis e dei suoi compagni

“Dopo tuttoquel faticare ci danno la fucilazione”

“In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia diDio e volontà della Nazione Re d’Italia...”: questa la formuladi rituale retorica con la quale si insediava il Tribunale straor-dinario, per giudicare ottanta alpini e condannarne quattro al-la fucilazione, accusati di “rivolta”.

Facevano tutti parte del-la 109a Compagniadell’VIII Reggimento

impegnato in Carnia, sul “fron-te di pietra”, come venne chia-mata la zona tra il Pal Piccoloe il Pal Grande, una muragliadi montagne lunga più di cen-to chilometri, dove si svolsela scena apocalittica degli

gionieri salvatisi dall’infer-no, di chi ebbe la forza di la-sciare una traccia seppure fle-bile, del calvario percorso:“Superstiti, voi potreste rac-contare con i colori più fo-schi i patimenti vostri e di co-loro che non hanno potuto re-sistervi.Ma non sarete creduti, nonsaremo creduti, perché l’a-verli sopportati sembra un so-gno a noi stessi”. Esattamentequello che accompagnerà lavita di Primo Levi dopo la li-berazione.

Da Mauthausen (Austria) a Alberobello (Bari)

16.2.1918

(...) Ti hanno levato il sussidio. Sono grandi vigliacchiperché io quando fui fatto prigioniero fu colpa del miotenente e non è colpa mia, e poi noi fummo fatti pri-gionieri in 32 soldati e caporali e 2 sottotenenti comefanno a dire che io sono disertore? (....).

(Nota: lo scrivente caporale, non risulta negli elenchi dei disertori).

Da Mauthausen (Austria) a Cellino San Marco (Brindisi)

22.2.1918

(...) Vi scrivo questa mia lettera per ripetervi che la vi-ta che si fa da prigioniero ora, e che ci danno da man-giare, e quanti ne muoiono al giorno per fame, ne muoio-no 40-50 al giorno, che ci danno da mangiare ogni mat-tina tre reghe con vermi e brodi di farina amara (...).Si dorme come belve con un po’ di paglia vecchia, sen-za coperte (....). di Sergio Banali

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al Monte Cellon, quota 2238,nelle stesse condizioni dei pre-cedenti, si sarebbe inevitabil-mente concluso con un mas-sacro.Ortis Silvio di Paluzza, MatizBasilio di Timau, CorradazziGiovan Battista detto Giobattadi Forni di Sopra e MassaraAngelo di Maniago: questi inomi degli alpini brutalmen-te e sbrigativamente giusti-ziati, legati alle sedie davan-ti al muretto del cimitero diCercivento (Udine) alle 4,58precise del 1° luglio 1916.Due ore prima il Tribunale mi-litare, riunito con solenne pom-posità nella chiesa di SanMartino requisita per l’occa-sione, aveva pronunciato il fe-roce verdetto.Il processo era durato soltan-to due giorni, per una con-clusione già decisa in parten-za. Oltre alle quattro esecu-zioni capitali, la sentenza ave-va comminato 145 anni com-plessivi di carcere, mandan-do assolti 42 alpini degli ot-tanta che si erano rifiutati di

uscire allo scoperto, per unassalto privo di una adeguatacopertura di artiglieria.In particolare il caporal mag-giore Silvio Ortis venne indi-cato - insieme a Basilio Matiz- come un caporione della “ri-volta”. Prove? Nessuna, a me-no che considerare provaschiacciante quella frase “Nondobbiamo farci ammazzare dastupidi”, attribuita a Ortis econdivisa da tutti gli altri.Non ci fu nessun ripensa-mento, da parte dei giudici,sulle sofferenze i patimentibestiali nelle trincee, antica-mere fangose della morte. Enessuna pietà sull’orrore de-gli assalti, quando ondate diuomini balzavano “fuori” peravanzare sotto il fuoco mici-diale delle mitragliatrici e deimortai, magari imprigionatinei reticolati. Una sola cosacontava per il tribunale: “da-re l’esempio” ricorrendo alterrorismo, per “mettere in ri-ga” le truppe in preda al mal-contento e alla rabbia di fron-te allo spaventoso massacro.

“Dopo tutto quello che ab-biamo fatto per loro”, avevadetto Matiz alla lettura dellasentenza,“ecco cosa ci dan-no”.Il dramma dei giustiziati, unpiccolo, terribile segmentodelle decimazioni per rappre-saglia, è raccontato passo do-po passo nel libro La fucila-zione dell’alpino Ortis diMaria Rosa Calderoni, giàgiornalista dell’Unità e at-

tualmente collaboratrice diLiberazione. È la storia do-cumentata e incalzante dellavita e della morte di un sol-dato-contadino (uno degli ol-tre cinque milioni mandati alfronte tra il 1915 e il 1918).Un giovane di 25 anni, con lalicenza di terza elementare,due medaglie al valore in dueguerra, la Libia del 1912 e ilfronte Carnico del ’16.L’autrice - che si è avvalsa diuna ricca documentazione rac-colta nei luoghi della trage-dia e negli archivi civili e mi-litari - ha scelto efficacemen-te di “far parlare” il fucilatoOrtis, che “racconta” la Carniapovera e affamata, l’emigra-zione, la famiglia, l’amore; epoi, sempre in prima perso-na, la guerra, l’arresto e la fi-ne, a conclusione di un pro-cesso spietato. E da rifare, do-po oltre 80 anni.Lo ha chiesto con dolorosa in-sistenza soprattutto la gentecarnica, che si è tramandatail ricordo della feroce ingiu-stizia di Cercivento. Intanto

Trincea italiana nei pressi di Castelnuovo, lu-glio 1916.

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Due dei quattro fucilati di Cercivento, Silvio Ortis eBasilio Matiz.

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ha inaugurato, da tempo, unmonumento con la stessa pie-tra del monte Cellon, sul pra-to dietro il cimitero, dove iquattro alpini vennero uccisi.Vittime della storia.

Maria Rosa Calderoni,La fucilazione dell’alpinoOrtis, p.p. 196, lire 22.000Mursia

Fu una decisione presa trop-po tardi e pagata un prezzotroppo caro, un prezzo san-guinoso. Perché la prima con-seguenza di una simile impo-stazione della guerra, così co-me è voluta dal Comando su-premo e mantenuta per oltredue anni fino alla defenestra-zione di Cadorna, è portareavanti le operazioni senza ri-sparmio di uomini e con il co-stante ricorso a un tipo di di-sciplina fondata sulla repres-sione. La storia della primaguerra mondiale in Italia è an-che questa, una pagina tragi-ca di cui ancora oggi sono suf-

ficientemente noti solo alcu-ni aspetti.(...) I tribunali militari isti-tuirono 100.000 processi perrenitenza (più altri 370.000 acarico di emigrati), altri60.000 a carico di civili, ad-dirittura 340.000 contro mi-litari alle armi, per lo più perdiserzione e rifiuto di obbe-dienza. Almeno un soldato sudodici fu processato; i fuci-lati dopo regolare processofurono 750 ( ofrse 1.500, idati sono discordanti); assaipiù numerosi i fucilati sulcampo per un semplice ordi-ne dei superiori, e quelli uc-

Il costo della “vittoria”

L’Italia siglò la “Vittoria” il 4 novembre 1918, a prez-zo di un altissimo tributo di sangue, pagato da un eser-cito di contadini e operai. La guerra - “una delle più violente e furibonde vi-cende”, scriveva Winston Churchill - “che fossero maitrascorse nella storia dell’umanità”, era costata al no-stro Paese oltre 600 mila morti, più di un milione emezzo di feriti, dei quali cinquecentomila mutilati einvalidi permanenti.

Come funzionò la spietata repressioneper “dare l’esempio”

Cronache dell’immanemassacroL’impostazione della guerra in Italia si basa sciagurata-

mente, sin dall’inizio, su un’esasperata strategia offen-siva. Doveva arrivare Caporetto a costringere i coman-

di militari a rinunciare a tale strategia e a piegarli ad adotta-re una nuova direzione delle operazioni, in chiave soprattut-to difensiva.

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cisi durante il combattimen-to, al minimo tentativo di fu-ga. Ma i dati al riguardo nonsono precisi, e lo stesso si de-ve dire per le decimazioni,anche se ci furono e non fu-rono affatto rare. È una giu-stizia che si muove con du-rezza e a vasto raggio. Sottoil codice inflessibile finisco-no diversi tipi di reati: diser-zioni, ammutinamenti, ribel-lioni di vario tipo, atti di co-dardia in faccia al nemico oin presenza del nemico, au-tolesionismo.Dalle messe di sentenze pro-nunciate dai tribunali milita-ri, ci sono pervenuti nella stra-grande maggioranza dei casisolo i dispositivi finali, “ilmomento conclusivo deldramma nella sua più aridadimensione giuridica e buro-cratica”. Di questo “immen-so cimitero di drammi uma-ni” non si conosce molto. Perquasi cinquant’anni, questoaspetto è stato pressoché igno-rato dalla cultura italiana. Glistorici, anche quelli più au-

torevoli, ne fanno appena qual-che cenno; e d’altro canto, idocumenti relativi vengonotenuti ben nascosti. Né vi èinteresse a portarli alla luce.Basti pensare che la stessa re-lazione ufficiale su Caporettoè stata pubblicata solo nel1967.Secondo l’accurata ricostru-zione compiuta da AlbertoMonticone, su “circa 5 mi-lioni e 200.000 italiani cheprestarono servizio militaretra il 1915 e il 1918, ci furo-no 870.000 denunce all’au-torità giudiziaria (470.000 del-le quali emesse per renitenzaalla chiamata)”. Restano ben400.000 le denunce per reaticommessi sotto le armi, unnumero piuttosto impressio-nante. Al 2 settembre 1919(quando viene emesso il de-creto che concedeva la “am-nistia ai disertori”) la giusti-zia militare aveva messo a se-gno 350.000 processi, con140.000 sentenze di assolu-zione e 210.000 di condanna.In pratica, in tre anni e mez-

zo di guerra, “circa il 15 percento dei cittadini mobilitatie il 6 per cento di coloro cheprestarono effettivo serviziomilitare furono oggetto di de-nuncia”.(...) Quando all’andamentodella giustizia militare, le con-danne subiscono una bruscaimpennata nel primo anno diguerra, e aumentano nel se-condo, in concomitanza conl’offensiva austriaca nelTrentino, quella che va sottoil nome di Strafexpedition(spedizione punitiva); poiscendono nel 1917 fino ad at-tenuarsi nel 1918.Il numero delle condanne ca-pitali continua a essere in-

certo. Le cifre fornite dal-l’ufficio statistico del mini-stero della guerra parlano di750 condanne eseguite, 311non eseguite e ben 2.967emesse in contumacia. In to-tale 4.028 condanne a morte,il 2,3 per cento di tutte le sen-tenze emesse per tutti i tipidi reato. Tale quadro non è però esau-riente. Mancano pressochécompletamente i dati sulleesecuzioni sommarie, sulledecimazioni, le fucilazionicompiute sul campo di bat-taglia contro i soldati che ten-tavano di retrocedere. Lo stes-so Ufficio giustizia militarenel 1919 dichiarava che nonsempre pervenivano rapportiin merito dai comandi su-bordinati.La giustizia penale durante laguerra era affidata a un uffi-cio appositamente costituito:il “Reparto disciplina, avan-zamento e giustizia militare”:il principio base fu sempre esoltanto quello della “giusti-zia punitrice”. Il che ha sem-

Fanterie italiane in marcia verso monteMosciagh, giugno 1916.

Dal libro La fucilazione dell’alpinoOrtisdi Maria RosaCalderoni.Schede di ap-profondimentoe Documenti

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plicemente significato, so-prattutto nei primi due annidel conflitto, la più rigida in-terpretazione e applicazionedel codice. Tutti - presidentidi tribunale, avvocati milita-ri, giudici - furono incitati al-la massima severità e rim-proverati per ogni atto di cle-menza. Venne cioè messo inatto “un meccanismo ben chia-ro: pressione sui tribunali per-ché si adeguino alle richiestedell’accusa, pressione sugliavvocati fiscali affinché con-figurino i reati sotto le spe-cie più gravi e chiedano le pe-ne più esemplari, il tutto ac-compagnato dalla minacciadi rimozione dal posto”.(...) Fu una giustizia militaredalla mano sempre molto pe-sante. Su un totale di 170.000condanne, circa 40.000 com-portarono pene superiori aisette anni di reclusione; lametà di esse furono condan-ne a pene gravissime 4.000 amorte e 15.000 all’ergastolo.Un altro dato di fatto è da ri-marcare: i giudici si dispose-

ro e si piegarono quasi total-mente ai bandi del Comandosupremo e ai tanto racco-mandati criteri del massimorigore; anzi, in molti casi sene fecero esecutori estrema-mente diligenti.E come giudizio complessi-vo, va detto che fu essenzial-mente una giustizia militareusata come potente strumen-to per tenere a freno un eser-cito costituito prevalentementeda contadini. “Una immensaschiera di processati e con-dannati, un esercito nell’e-sercito”: spia insieme “del dis-senso di molta parte delle trup-pe e della incomprensione del-le classi dirigenti”. Della in-comprensione e delle imper-donabili colpe».

Il documento della Commissione difesadella Camera che ha chiesto la revisione delvergognoso processo di Cercivento nel Friuli

Caddero vittime di unaplatealeingiustiziaIn merito alla riabilitazione degli alpini fucilati a Cercivento(Udine) nel 1916, la Commissione difesa della Camera ha ap-provato la Risoluzione che pubblichiamo integralmente.

La IV Commissione, pre-messo che: permane or-mai da troppo tempo

l’indignazione per l’ingiustacondanna a morte dei giova-ni alpini Ortis, Matiz,Corradazzi e Massara, ese-guita il 1° luglio 1916, nel-l’ambito della vicenda notacome della “decimazione diCercivento”:solo nel 1997 si sono avvia-te iniziative per ottenere lariabilitazione dei quattro al-pini fucilati e nel febbraio1998 è stata presentata la pro-posta di legge Camera 4519Spini recante “Modifica al-l’articolo 683 del codice diprocedura penale” per offri-re una soluzione che con-sentisse di perseguire l’au-

spicata riabilitazione;l’istituto della riabilitazionetuttavia, anche nella pro-spettiva della modifica legi-slativa proposta, non apparein concreto applicabile inquanto - nonostante la deno-minazione - presuppone unavalutazione della condotta delreo successiva alla condan-na, impossibile nell’ipotesidi condanna a morte;invece contro le condanne in-giuste è esperibile il rimediodella revisione, in base alleprevisioni dell’articolo 401del codice penale militre dipace (cpmp);tale disposizoine richiama ledisposizioni del codice di pro-cedura penale (cpp), preci-sando - rispetto al regime del-

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Trincea avanzata nei pressi di Selz fotografata dal tenente Venuti nella primavera del 1916.

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la revisione in diritto pro-cessuale penale - che “ la ri-chiesta di promuovere il pro-cedimento di revisione ema-na dal Ministro (...) ed è tra-smessa al procuratore gene-rale militare dellaRepubblica” e che l’istanzaè promossa davanti alla Corted’Appello militare; in tal modo si consentirebbel’applicazione degli articoli629 cpp, che ammette la re-visione delle sentenze di con-danna in ogni tempo, anchese la pena è stata eseguita,l’articolo 630 cpp, che pre-vede che la revisione può es-sere richiesta, tra gli altri, neicasi di prove nuove ovverose si dimostra che la senten-za di condanna fu emessa inbase a falsità o altro reato, el’articolo 632 cpp, in base alquale la revisione può esse-re richiesta anche se il con-dannato è morto;il potere del Ministro di ri-chiedere la revisione si con-figura come un istituto di di-ritto processuale penale mi-

litare, attesa l’originalità del-la citata disposizione di cuiall’articolo 401 cpmp, per-tanto tale potere sembra in-suscettibile di sindacato po-litico o amministrativo inquanto previsto nell’interes-se dell’amministrazione del-la giustizia militare, nel ca-so sussistano presupposti difatto di sufficiente chiarez-za;si tratta inoltre di un presup-posto essenziale del giudizio,rispetto al quale la valuta-zione del procuratore gene-rale militare della Repubblica,al quale l’istanza va tra-smessa, non può travalicarel’accertamento della mera re-golarità formale, essendo in-fatti rimessa al solo organogiurisdizionale la valutazio-ne della fondatezza nel me-rito in sede di giudizio di re-visione;impegna il Governo ad assicurare che il Ministrodella difesa provveda all’e-sercizio del potere ad esso at-tribuito dall’articolo 401

cpmp, per non precludere larevisione del processo che hacomportato l’ingiusta con-danna dei quattro alpini vit-time della decimazione diCercivento.Firmato “Spini, Gatto,Ruffino, Lavagnini”.

Le cartoline della propaganda

Alcune rarissime cartoline di queste pagine furono in-viate dal fronte e dall’ospedale militare di Bozzolo(Mantova) dal soldato Ferdinando Calzoni di Varesealla famiglia. I messaggi utilizzati dalla propaganda patriottarda del-la monarchia, saranno ripresi e amplificati durante laseconda guerra mondiale. Naturalmente contro nemi-ci diversi.

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Jospin: riabilitarei soldati francesiuccisinelle rappresaglie

Una autorevole voce, quella del primo ministro franceseLionel Jospin, si era levata per la riabilitazione dei sol-dati fucilati per “diserzione” o “ammutinamento” du-

rante la prima guerra mondiale. Lo ha fatto - come si ricor-derà - dalla cosiddetta “Collina dei disertori” di Craonne.Quell’operazione militare costò quasi duecentomila morti fran-cesi; trecentomila furono gli ammutinati, quarantamila i pro-cessati per alto tradimento, quaranta i fucilati.“Questi soldati - propose Jospin - fucilati per dare l’esempio,in nome di una disciplina il cui rigore aveva come eguale so-lo la durezza dei combattimenti, facciano ritorno oggi, piena-mente, nella nostra memoria collettiva nazionale.”In Italia l’allora ministro della Difesa, Carlo Scognamiglio,aveva fatto eco alle posizioni di Jospin, dichiarando che “i no-stri soldati fucilati non furono meno eroici dei loro commili-toni caduti in combattimento”, tanto più “che i veri colpevolifurono comandanti che tentavano di nascondere la loro inca-pacità”.

Il primo ministro francese dalla cosiddetta“Collina dei disertori” lancia un appello