Capitolo III LA TUTELA GIURISDIZIONALE

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CAPITOLO III: LA TUTELA GIURISDIZIONALE 1. LA TUTELA GIURISDIZIONALE NEL SISTEMA DELL’UNIONE La specificità del sistema dell’Unione non risiede tanto nel modo di essere del rapporto tra norme ed ordinamenti di natura ed origine diversa quanto nel meccanismo di tutela giurisdizionale. Si tratta di un meccanismo che non ha precedenti sia sotto il profilo funzionale e delle articolazioni del sistema, sia sotto il profilo degli effetti che esso produce sulla posizione giuridica soggettiva dei destinatari: le Istituzioni europee, gli Stati membri, i singoli, persone fisiche o giuridiche. Non a caso il sistema di controllo giurisdizionale è stato l’elemento fondamentale di quel modo di essere della Comunità che l’ha fatta definire <<Comunità di diritto >>. Alla realizzazione di questo risultato ha contribuito il giudice dell’Unione che ha garantito la tutela delle posizioni giuridiche su cui incide il diritto comunitario indipendentemente da una sintonia con il diritto nazionale. È significativo che il Trattato di Lisbona, all’art. 19, abbia espressamente richiamato il principio della tutela giurisdizionale , ribadendo l’obbligo per gli Stati membri di stabilire i rimedi necessari per assicurarne l’osservanza. Il Trattato di Lisbona ha mantenuto inalterato il previgente sistema giudiziario, estendendolo al settore della cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale, con la sola differenza terminologica di Tutela giurisdizionale dell’Unione, piuttosto che Comunitaria. In conseguenza dell’abolizione della struttura a pilastri delineata da Maastricht, il giudice dell’Unione ha acquisito una competenza generale in relazione al diritto dell’Unione. Le nuove attribuzioni entreranno in vigore dopo un periodo transitorio di cinque anni. Il sistema giurisdizionale si articola su due piani procedurali : A. controllo diretto : è esercitato dalla Corte di Giustizia e/o dal Tribunale, o dai Tribunali Speciali; è attivato dalle Istituzioni, dagli Stati membri, dai singoli ( legittimati attivi); B. controllo indiretto o della procedura pregiudiziale : è fondato sulla cooperazione tra giudice nazionale e giudice dell’Unione attraverso il rinvio pregiudiziale del nazionale a quello dell’Unione che si risolve attraverso il controllo indiretto della Corte. Si tratta insomma dell’incidente preliminare europeo con il quale il Giudice nazionale sospende un giudizio in attesa che la Corte di Giustizia dia una interpretazione della norma. La decisione spetta al giudice nazionale. L’art. 256 del TFUE, prevede che tale competenza pregiudiziale possa essere attribuita anche al Tribunale per materie specifiche da definire con Statuto della Corte, al momento però è inalterata la competenza della Corte. Sotto il profilo funzionale, inoltre, il sistema di controllo giurisdizionale comunitario investe: Da una parte, la legittimità degli atti dell’Unione. Dall’altra, la compatibilità delle norme e prassi nazionali con il diritto dell’Unione.

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DIRITTO UNIONE EUROPEA

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CAPITOLO III: LA TUTELA GIURISDIZIONALE1. LA TUTELA GIURISDIZIONALE NEL SISTEMA DELL’UNIONE

La specificità del sistema dell’Unione non risiede tanto nel modo di essere del rapporto tra norme ed ordinamenti di natura ed origine diversa quanto nel meccanismo di tutela giurisdizionale. Si tratta di un meccanismo che non ha precedenti sia sotto il profilo funzionale e delle articolazioni del sistema, sia sotto il profilo degli effetti che esso produce sulla posizione giuridica soggettiva dei destinatari: le Istituzioni europee, gli Stati membri, i singoli, persone fisiche o giuridiche. Non a caso il sistema di controllo giurisdizionale è stato l’elemento fondamentale di quel modo di essere della Comunità che l’ha fatta definire <<Comunità di diritto>>. Alla realizzazione di questo risultato ha contribuito il giudice dell’Unione che ha garantito la tutela delle posizioni giuridiche su cui incide il diritto comunitario indipendentemente da una sintonia con il diritto nazionale. È significativo che il Trattato di Lisbona, all’art. 19, abbia espressamente richiamato il principio della tutela giurisdizionale , ribadendo l’obbligo per gli Stati membri di stabilire i rimedi necessari per assicurarne l’osservanza. Il Trattato di Lisbona ha mantenuto inalterato il previgente sistema giudiziario, estendendolo al settore della cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale, con la sola differenza terminologica di Tutela giurisdizionale dell’Unione, piuttosto che Comunitaria. In conseguenza dell’abolizione della struttura a pilastri delineata da Maastricht, il giudice dell’Unione ha acquisito una competenza generale in relazione al diritto dell’Unione. Le nuove attribuzioni entreranno in vigore dopo un periodo transitorio di cinque anni.

Il sistema giurisdizionale si articola su due piani procedurali:

A. controllo diretto : è esercitato dalla Corte di Giustizia e/o dal Tribunale, o dai Tribunali Speciali; è attivato dalle Istituzioni, dagli Stati membri, dai singoli ( legittimati attivi);

B. controllo indiretto o della procedura pregiudiziale : è fondato sulla cooperazione tra giudice nazionale e giudice dell’Unione attraverso il rinvio pregiudiziale del nazionale a quello dell’Unione che si risolve attraverso il controllo indiretto della Corte. Si tratta insomma dell’incidente preliminare europeo con il quale il Giudice nazionale sospende un giudizio in attesa che la Corte di Giustizia dia una interpretazione della norma. La decisione spetta al giudice nazionale. L’art. 256 del TFUE, prevede che tale competenza pregiudiziale possa essere attribuita anche al Tribunale per materie specifiche da definire con Statuto della Corte, al momento però è inalterata la competenza della Corte.

Sotto il profilo funzionale, inoltre, il sistema di controllo giurisdizionale comunitario investe: Da una parte, la legittimità degli atti dell’Unione. Dall’altra, la compatibilità delle norme e prassi nazionali con il diritto dell’Unione.

2. IL CONTROLLO DIRETTO SULLA LEGITTIMITÀ DI ATTI E COMPORTAMENTI DELLE ISTITUZIONI. L’AZIONE DI ANNULLAMENTO.

Il controllo giurisdizionale diretto sulla legittimità degli atti dell’Unione è attribuito alla competenza esclusiva della Corte di Giustizia dell’Unione europea la quale comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i Tribunali specializzati (denominazione introdotta dal Trattato di Lisbona). Il controllo si realizza attraverso più procedure con effetti diversi: azione di annullamento; azione in carenza; eccezione incidentale d’invalidità; l’azione per danni da responsabilità extracontrattuale dell’Unione; il contenzioso in materia di personale. Il Tribunale è competente a conoscere dei ricorsi individuali, dei ricorsi presentati dagli Stati membri, e dei ricorsi proposti contro le decisioni dei tribunali specializzati. L’art. 51 dello Statuto ha devoluto alla cognizione della Corte di giustizia solo i ricorsi di annullamento ed in carenza promossi contro gli atti o le inattività del Parlamento e del Consiglio, nonché della Commissione. Il Tribunale risulta essere ora competente a conoscere molte delle materie, in funzione di organo di prima istanza, in particolare:

1) dei ricorsi diretti proposti dalla persone fisiche o giuridiche

2) dei ricorsi proposti dagli Stati membri contro la commissione

3) dei ricorsi proposti dagli Stati membri contro il consiglio in relazione agli atti adottati nell’ambito degli aiuti di Stato, le misure di difesa commerciale “dumping”

4) ricorsi diretti ottenere il risarcimento dei danni causati dalle istituzioni dell’unione europea o dai loro dipendenti

5) di ricorsi fondati su contratti stipulati dall’Unione Europea che prevedono espressamente la competenza del tribunale

6) di ricorsi in materia di marchio comunitario

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7) delle impugnazioni contro le decisioni dei tribunali specializzati

Le sentenze e le ordinanze del tribunale sono impugnabili dinanzi la Corte di giustizia per i soli motivi di diritto.

L’azione di annullamento.

È regolata dall’art. 263 TFUE , essa consiste nell’impugnazione mediante ricorso di un atto che si pretende viziato e pregiudizievole. È immediata la similitudine tra giudice europeo e giudice amministrativo.

Atti impugnabili

Sono gli atti legislativi , gli atti del Consiglio, della Commissione e della BCE; gli atti del Parlamento europeo e del Consiglio Europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi (anche un provvedimento a caratteri interno purché idoneo a produrre effetti giuridici in capo a terzi). In relazione all’art. 263, in base al quale è posto il principio generale del controllo giurisdizionale di ogni atto adottato da un organismo comunitario destinato a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi, il Tribunale esercita un controllo di legittimità sugli atti degli organi dell’Unione. L’espressa esclusione delle raccomandazioni e dei pareri starebbe ad indicare che sono impugnabili solo gli atti vincolanti che sono regolamenti, direttive e decisioni. Tuttavia la giurisprudenza della Corte è ispirata al criterio del privilegio della sostanza sulla forma. Pertanto, qualunque sia la natura dell’atto e indipendentemente dal nomen iuris e dalle modalità di comunicazione ai destinatari, l’ammissibilità della sua impugnazione è legata all’efficacia vincolante dell’atto ed alla sua efficacia nei confronti dei terzi. La formula utilizzata dalla Corte al riguardo è illuminate “ l’azione di annullamento deve potersi esperire nei confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni (indipendentemente dalla sua natura o forma) che miri a produrre effetti giuridici“ . L’approccio sostanziale comporta un onere per i destinatari che sono tenuti allo stesso approccio sostanziale nel decidere, quando l’atto appare lesivo dei diritti dei singoli, se impugnarlo o meno e nel verificare la legittimazione a farlo. Invero una denominazione dell’atto all’apparenza innocua può nascondere un atto che <<mira a produrre effetti giuridici>> con la conseguenza che quando se ne vogliano evitare gli effetti deve essere impugnato.

Impugnabili sono gli atti definitivi.

Sotto questo profilo non sono impugnabili gli atti preparatori in quanto e nella misura in cui, presi isolatamente, non modificano la posizione giuridica del destinatario. Ad esempio non è impugnabile, in quanto atto preparatorio, la comunicazione della Commissione alle imprese che segna l’apertura dell’inchiesta nei loro confronti in materia di concorrenza. Viceversa, è impugnabile l’atto con cui la Commissione comunica di avere archiviato definitivamente una denuncia per violazione delle norme sulla concorrenza. Sono altresì impugnabili gli atti che autorizzano o approvano la conclusione di un accordo. Del pari sono ricompresi tra gli atti impugnabili anche quelli adottati dal Parlamento se ed in quanto anch’essi idonei a produrre effetti vincolanti per i terzi. Soltanto con il trattato di Lisbona è stato esteso il controllo della Corte sugli atti adottati dal Consiglio europeo, nonché dagli organi e organismi dell’Unione, a condizione che essi siano produttivi di effetti giuridici nei confronti di terzi.

Legittimati attivi.

Legittimati ad impugnare gli atti dell’Unione sono:

A. Gli Stati membri, sempre e comunque, anche quando si tratti di atti diretti ad altri Stati ovvero ad individui. La legittimazione è attribuita unicamente allo Stato, non anche alle sue articolazioni, quali le regioni o i comuni.

B. Regioni e Comuni possono impugnare atti in quanto persone giuridiche, solo avanti il Tribunale ed alle condizioni di cui all’art. 263, c. 4° “Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d'esecuzione “ . Legittimati all’impugnazione sono altresì il Consiglio, la Commissione e il Parlamento.

C. La Corte dei Conti, la BCE e il Comitato delle Regioni (da Lisbona) sono legittimati ad agire solo <<per salvaguardare le proprie prerogative>>, art. 263, c. 3° “La Corte è competente, alle stesse condizioni, a pronunciarsi sui ricorsi che la Corte dei conti, la Banca centrale europea ed il Comitato delle regioni propongono per salvaguardare le proprie prerogative “ .

D. Molto singolarmente è prevista l’azione di annullamento per violazione del diritto , su ricorso del Governatore della Banca Centrale di uno Stato membro, ovvero del Consiglio Direttivo della BCE relativamente alla rimozione dello stesso governatore, il tutto ai sensi del Protocollo SEBC , art. 14.2. “… Un governatore può essere sollevato dall'incarico solo se non soddisfa più alle condizioni richieste per l'espletamento delle sue funzioni o si è reso colpevole di gravi mancanze. Una decisione in questo senso può essere portata dinanzi alla Corte di giustizia dal

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governatore interessato o dal consiglio direttivo, per violazione del trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa all'applicazione del medesimo...“ .

E. I singolo, persone fisiche o giuridiche, associazioni , in primo grado davanti il Tribunale, in secondo per motivi di diritto avanti la Corte. La nozione di persona giuridica è molto ampia e prescinde dalle qualificazioni di ciascun diritto nazionale. Può agire anche uno Stato terzo, quando ricorrano le condizioni di cui all’art. 263.

a. Il singolo, tuttavia non è legittimato ad impugnare tutti gli atti. In primo luogo può impugnare le decisioni a lui specificatamente indirizzate; in secondo luogo può impugnare atti di cui non sia il formale destinatario, anche regolamenti, alla condizioni che tali atti lo riguardino direttamente ed individualmente, cioè che sia destinatario sostanziale dell’atto e che vi sia un nesso di causalità tra la situazione individuale e la misura adottata. Lo scopo è di evitare che le Istituzioni adottino atti che incidano individualmente sulla posizione del singolo senza che questi abbia un rimedio giurisdizionale. Non è impugnabile, al contrario un regolamento che pure consentendo di

individuare i destinatari sia adottato in forza di una situazione obiettiva in fatto e in diritto.

i. Direttamente riguardato: la giurisprudenza ha stabilito che ciò si verifica quando non è richiesta alcuna misura di esecuzione per l’attuazione dell’atto, né nazionale né dell’Unione, quando, cioè, incida direttamente sulla posizione giuridica del singolo senza che, ai fini della sua applicazione, sia necessaria una ulteriore attività normativa. Nel caso contrario tale carattere deve considerarsi assente.

ii. Individualità: è ribadito che il carattere sussiste solo quando il ricorrente può sostenere che il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali o di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità.

b. Associazioni rappresentative d’interessi diffusi: i criteri restrittivi della “direttamente riguardato”, “individualità” e “modifica dei diritti acquistati dal singolo“ hanno trovato applicazione in relazione alle associazioni, per la cui legittimazione non è sufficiente la circostanza che tutelino interessi generali, occorre, invece, che i soggetti rappresentati siano direttamente ed individualmente <<riguardati>> dall’atto.

i. Modifica dei diritti acquistati dal singolo: la Corte ha precisato che un atto che riguardi un gruppo di soggetti individuati o individuabili può essere impugnato quando modifichi i diritti acquistati dal singolo prima della sua adozione

Quanto precisato vale anche per le Direttive che hanno normalmente una portata generale, in particolare occorre verificare se si tratta di una decisione dissimulata e se il singolo ne possa essere riguardato direttamente ed individualmente. Nonostante più di una critica, l’orientamento della Corte sui requisiti della rilevanza diretta ed individuale dell’atto per il singolo ai fini dell’impugnabilità è rimasto invariato. Anche rispetto al rilievo che tale orientamento avrebbe potuto comportare una riduzione nella protezione giurisdizionale la Corte aveva comunque confermato il suo orientamento, limitandosi a al rilievo che l’estensione della legittimazione attiva delle persone fisiche e giuridiche avrebbe richiesto una modifica del Trattato. Il Trattato di Lisbona ha realizzato la revisione delle condizioni di ricevibilità del ricorso di annullamento proposto dal singolo, persona fisica o giuridica, sancendo il diritto di impugnare gli atti regolamentari che li riguardano direttamente e non contengano alcuna misura di esecuzione. Art. 263, c. 4° TFUE. E’ ripresa in questo modo una novità che era prevista dal progetto di Trattato Costituzionale, fallito per mano referendaria, anche se non è dato sapere a cosa si riferisca l’espressione <<atti regolamentari>>. Questa tipologia di atti era stata espressamente prevista nel Progetto di Trattato Costituzionale, ma abbandonata dal Trattato di Lisbona che si limita ad affermare che gli atti (regolamento, direttiva e decisione) adottati in base alla procedura legislativa ordinaria o speciale, sono atti legislativi. Si deve, dunque, ritenere che gli <<atti regolamentari>> ai quali si riferisce la norma siano quelli di carattere generale adottati secondo procedure diverse da quella legislativa. Si aggiunga che l’art. 263, c. 5°, dispone che gli atti che istituiscono Organi dell’Unione possono a loro interno prevedere condizioni e modalità specifiche relative ai ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro atti di detti organi destinati a produrre effetti giuridici nei loro confronti. Il termine per l’impugnazione è di due mesi a decorrere dalla pubblicazione dell’atto, peraltro nel caso di atti pubblicati il termine decorre dalla data in cui la Gazzetta Ufficiale è stata effettivamente diffusa, cosa che non sempre corrisponde con la data ufficiale. Il termine decorre, altresì, dalla data di notificazioni per gli atti che prevedano tale obbligo (decisioni), ovvero, quale criterio residuale e subordinato, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto la effettiva conoscenza.

I Vizi.

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Sono quelli del contenzioso amministrativo: incompetenza; violazione delle forme sostanziali; violazione[di legge] delle norme dei Trattati o di quelle relative alla loro applicazione; sviamento di potere.

1) L’incompetenza.

Spesso rimane assorbita dalla <<violazione di legge>>, comprende sia l’incompetenza relativa dell’Istituzione che ha adottato l’atto, sia l’incompetenza assoluta dell’Unione in quanto tale.

2) La violazione delle forme sostanziali.

Comprende, in particolare, il difetto di motivazione nonché l’errata base giuridica.

Relativamente alla errata base giuridica è patologia dell’atto di non trascurabile rilievo e presta profili più generali che investono lo stesso equilibrio delle istituzioni. Si pensi, ad esempio ad un atto che poteva essere adottato a maggioranza(207) e che invece è stato basato sull’unanimità (352).

3) La violazione di legge.

Comprende la violazione delle norme dei Trattati e di diritto derivato dell’Unione. Inoltre essa comprende anche i principi generali consolidatisi nella giurisprudenza della Corte: proporzionalità, non discriminazione, legittimo affidamento, rispetto dei diritti della difesa. La violazione di legge riguarda, infine, anche le norme internazionali convenzionali e quelli consuetudinarie internazionali generalmente riconosciute. Relativamente alle norme convenzionali la giurisprudenza richiede che siano provviste di effetto diretto. Ciò ha riguardato le norme GATT (Accordo sulle tariffe ed il Commercio) che data la loro peculiare flessibilità non potevano costituire parametro di legittimità.

4) Lo sviamento di potere.

Si verifica quando l’amministrazione, nell’ambito della discrezionalità di cui gode, esercita un determinato potere allo scopo di raggiungere fini diversi da quelli per il quale il potere è stato conferito. Lo sviamento deve risultare da indizi <<obiettivi, pertinenti e concordanti>>. Lo sviamento di potere comprende anche lo sviamento di procedura ,cioè quando una determinata procedura sia utilizzata a fini diversi da quelli per i quali è stata istituita.

Le misure cautelari.

Il ricorso proposto al giudice dell’Unione non ha effetto sospensivo. Tuttavia, l’art. 278 TFUE prevede la possibilità di chiedere alla Corte, in via cautelare, la sospensione dell’atto impugnato. La Corte può, inoltre, ordinare misure provvisorie, diverse dalla sospensione, che ritiene necessarie. La misura viene decisa dal Presidente della Corte che, eccezionalmente, può investire anche il plenum . L’ordinanza cautelare del Presidente del Tribunale è impugnabile dinanzi alla Corte. Quanto alle condizioni che giustificano un provvedimento cautelare non si discostano da quelle di qualunque ordinamento: accessorietà e strumentalità della misura rispetto al giudizio principale, fumus boni iuris o l’apparenza del diritto, irreparabilità del danno scaturente dall’esecuzione del provvedimento impugnato o periculum in mora, bilanciamento degli interessi a confronto .

L’accoglimento del ricorso da luogo all’annullamento dell’atto impugnato con effetto ex tunc. In casi eccezionali è prevista la facoltà della Corte di dichiarare che l’annullamento è con effetto ex nunc.

3. L’AZIONE IN CARENZA

Il ricorso in carenza è uno strumento che tende a porre rimedio giudiziale alla illegittima inattività di una Istituzione dell’Unione o della BCE. Esso consente di metter in discussione il comportamento del Parlamento europeo, del Consiglio Europeo, del Consiglio e della Commissione, nonché della BCE, allorché tali Istituzioni e Organi, in violazione del Trattato, si astengano dal pronunciarsi. L’art. 265, TFUE prefigura uno strumento d’impugnazione autonomo rispetto a quello disciplinato dal 263. Il ricorso in carenza riguarda non l’ipotesi di un rifiuto, perché si tratta comunque di un provvedimento, ma l’illegittima assenza di decisione e tende ad una contestazione dell’inerzia dell’istituzione. L’introduzione del ricorso davanti la Corte è subordinata ad una fase amministrativa preliminare. Invero, perché il ricorso sia ricevibile c’è bisogno che gli Stati membri e le altre Istituzioni dell’Unione (legittimate attive) abbiano messo in mora l’Istituzione o l’Organi cui rimproverano l’inerzia. Tale messa in mora deve avere luogo dopo un <<termine ragionevole>> in cui sia possibile apprezzare l’inerzia. Dal momento della messa in mora, l’Istituzione dispone di un periodo di due mesi per prendere posizione, decorso invano il quale l’autore della messa in mora può introdurre il ricorso, a sua volta entro due mesi. Quando invece l’Istituzione rifiuti espressamente di prendere posizione, oppure adotti l’atto voluto dal richiedente o adotti un qualche provvedimento sia pure diverso da

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quello sollecitato, questo è impugnabile, se difforme dalla richiesta, non più con l’azione in carenza, ma con quella di annullamento. L’assenza di decisione deve essere attuale e permanente. Legittimati attivi sono gli Stati membri e le Istituzioni dell’Unione. Si è discusso se l’astensione debba necessariamente riferirsi all’adozione di atti vincolanti, ma il dibattito è privo di interesse , infatti, non si comprende quale possa essere il vantaggio di una azione in carenza per atti privi di vincolatività. I singoli, persone fisiche o giuridiche, possono proporre ricorso in carenza ex art. 265, c. 3°, quando l’Istituzione abbia omesso di “emanare un atto che non sia una raccomandazione o un parere “(quindi un atto vincolativo). A differenza delle istituzioni il singolo può agire in carenza solo quando l’istituzione abbia omesso di emanare nei suoi confronti un atto. Si poi discusso se l’omissione debba riferirsi ad un atto in cui il ricorrente sia formalmente il destinatario, ovvero debba accogliersi una lettura più ampia.

La Corte, dopo una prima fase di molta prudenza, ha ammesso un parallelismo tra l’impugnazione di atti che investono direttamente ed individualmente il ricorrente che non ne sia il destinatario (art. 263, 4°) e l’analoga condizione relativa all’azione in carenza (265, 3°). Nell’ambito della procedura fondata sull’art. 265, il ricorrente, Stato membro o singolo, ha anche la possibilità di chiedere ex art. 279 TFUE, provvedimenti provvisori.

4. L’ECCEZIONE D’INVALIDITÀ

L’art. 277 TFUE recita “Nell'eventualità di una controversia che metta in causa un atto di portata generale adottato da un'istituzione, organo o organismo dell'Unione, ciascuna parte può, anche dopo lo spirare del termine previsto all'articolo 263, sesto comma, valersi dei motivi previsti all'articolo 263, secondo comma, per invocare dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea l'inapplicabilità dell'atto stesso “ ; esso prefigura l’eccezione di invalidità. Si tratta di un’eccezione incidentale che le parti possono sollevare nel corso di una procedura già attivata per altri motivi, al fine di far dichiarare alla Corte l’inapplicabilità dell’atto su cui si verte e questo anche dopo che sia spirato il termine d’impugnazione previsto. La similitudine che richiama l’ipotesi è quella dell’eccezione di invalidità di un regolamento in occasione dell’impugnazione di un atto di esecuzione di quello stesso regolamento e come motivo dell’invalidità dall’atto impugnato. Se è necessario che l’eccezione di invalidità sia incidentale rispetto a procedura già pendente, è altresì indispensabile che vi sia uno stretto collegamento tra l’atto impugnato e quello di cui si chiede incidentalmente la illegittimità. Ne deriva, logicamente, che l’irricevibilità del ricorso di annullamento comporta la automatica caducazione dell’eccezione proposta ex art. 277. Nel Trattato CE l’eccezione di invalidità era formalmente limitata ai regolamenti, mentre nel TFUE è stata estesa a tutti gli atti di portata generale. L’eccezione è estesa altresì anche a quegli atti che pure avendo natura e nome iuris diversi, producano gli stessi effetti generali. L’eccezione di invalidità è collegata all’impossibilità per i singoli ex art. 263 di agire per l’annullamento di portata generale . Tuttavia questo non implica che i <<ricorrenti privilegiati>>(Stati membri e Istituzioni) sia sempre impedito di formulare tale eccezione. Non lo vieta la lettera che fa riferimento a <<ciascuna parte>>; non la ratio che è quella di evitare che un atto viziato possa costituire la base giuridica valida per altri atti; non la giurisprudenza che la ammette sia pure limitatamente al caso in cui sia contestato un regolamento nel contesto di una azione di annullamento proposta contro un altro regolamento. È evidente che allo Stato membro, come al singolo, è preclusa l’eccezione di invalidità rispetto ad una decisione individuale di cui sia il destinatario. È stato ribadito dalla giurisprudenza della Corte che lo Stato non può eccepire in via incidentale l’illegittimità di una decisione di cui sia destinatario in una procedura per inadempimento e che l’unica eccezione ammissibile riguarda l’ipotesi di un atto viziato in modo così grave ed evidente da essere inesistente. L’effetto di eventuale accoglimento dell’eccezione d’invalidità è l’inapplicabilità dell’atto e non il suo annullamento.

5. L’AZIONE DI RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE

La competenza della Corte di Giustizia in materia di responsabilità extracontrattuale e di risarcimento del relativo danno è statuita dall’art. 268 TFUE, collegata alla funzione di controllo sulla legittimità degli atti dell’Unione. La disciplina è prevista dall’art. 340, 2° c. TFUE, il quale si limita a imporre all’Unione di risarcire, conformemente ai principi generali, i danni causati dalle sue Istituzioni ovvero dagli agenti nell’esercizio delle loro funzioni. Il 3° comma estende questa disciplina ai danni causati dalla BCE e dai suoi agenti nell’esercizio delle funzioni. La disciplina ed il contenzioso meritano attenzione a cominciare dalle condizioni di ricevibilità.

A. La competenza è della Corte di Giustizia e sussiste solo quando il danno sia stato cagionato da una Istituzione dell’Unione o da un suo agente, dalla BCE o da suo agente. È competenza esclusiva.

B. La competenza appartiene ai giudici nazionali quando risulti che il danno allegato sia stato prodotto da organismi nazionali, sia pure in applicazione di normativa dell’Unione.

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In relazione alla competenza e ricevibilità ed al sottile distinguo delle regole sovresposte, la Corte ha elaborato il criterio della competenza efficiente in base al quale è il giudice nazionale a dovere essere adito qualora sia nelle condizioni di statuire utilmente. Più in generale si dovrebbe far ricorso all’azione di risarcimento per danno extracontrattuali in termini residuali rispetto ai mezzi predisposti per l’annullamento di misure ed atti nazionali. Tali mezzi debbono assicurare al singolo di restare comunque indenne dalle conseguenze dannose dell’illegittimità dell’atto. Quando, ad esempio, i mezzi interni assicurano l’annullamento dell’atto o anche la restituzione delle somme indebitamente versate, ma non anche il risarcimento del danno, è esperibile la procedura ex artt. 268 e 340, c. 2° TFUE Tuttavia, quello che la giurisprudenza ha inteso evitare con le sue pronunce, è che l’azione di responsabilità sia utilizzata per conseguire lo stesso risultato che avrebbe potuto essere raggiunto utilmente con una azione diversa. L’azione per danni non può essere il mezzo per neutralizzare gli effetti di un atto lesivo, quando tale obiettivo possa essere utilmente raggiunto attraverso una normale azione di annullamento. In questo senso la ratio della sentenza Plaumann. Infatti, se è vero che il presupposto dell’accertamento della responsabilità e della correlata risarcibilità del danno è il controllo della legittimità dell’atto lesivo, è anche vero che in tale sede il controllo non è pieno. A ciò va aggiunto che la dichiarazione di illegittimità resta puramente incidentale e non produce gli effetti propri dell’azione di annullamento. Le condizioni della responsabilità extracontrattuale e del conseguente obbligo risarcitorio sono state precisate dalla Corte:

A. illiceità del comportamento dell’istituzione;

B. danno effettivo;

C. nesso di causalità tra comportamento illecito e danno arrecato.

Inoltre, nell’ipotesi che un danno derivi da un atto normativo che implica scelte di politica economica, la responsabilità per danno sussiste solo in caso di violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare i singoli. Il danno poi deve essere individuale, non è ammissibile un’azione per responsabilità extracontrattuale quando l’atto investe categorie generalizzate di operatori economici e le conseguenze risultano molto attenuate per i singoli. Quanto, infine, al danno risarcibile, la cui prova incombe sul ricorrente, esso deve essere <<speciale>> oltre che <<certo>> ed <<attuale>>. La Corte ha avuto modo di precisare che sono risarcibili sia il pregiudizio materiale che quello morale, sia il danno emergente (la conseguenza diretta) sia il lucro cessante (il mancato guadagno). Inoltre è riconosciuta la svalutazione monetaria, nonché gli interessi moratori fissati, senza riferimento al tasso legale vigente nello Stato membro del ricorrente, nella misura del 6-8%, e comunque in misura mai superiore a quanto richiesto.

6. IL CONTENZIOSO IN MATERIA DI PERSONALE

La competenza a conoscere delle controversie tra l’Unione e i suoi agenti appartiene alla Corte, nei limiti e nelle condizioni determinati dallo statuto del personale o risultanti dal regime ad essi applicabile. Tale competenza, prevista dall’art. 270 TFUE, è stata esercitata in primo grado dal Tribunale fino al 2005, poi è stata devoluta al Tribunale della Funzione Pubblica dell’UE. Le pronunce di questa camera giurisdizionale potranno essere oggetto di impugnazione per i soli motivi di diritto dinanzi al Tribunale di primo grado; e la Corte sarà chiamata a pronunciarsi solo nelle ipotesi eccezionali di richiesta di riesame da parte dei primo Avvocato generale. Il Tribunale della Funzione Pubblica è competente a conoscere tutte le controversie che afferiscono al rapporto di impiego: assunzioni, condizioni di lavoro, trattamento economico, ecc. La possibilità di agire non spetta solo ai funzionari e agli altri agenti, ma anche agli aspiranti funzionari che partecipano ad un concorso e che intendano contestarne lo svolgimento e/o i risultati. Il regime del contenzioso della funzione pubblica è disciplinato dagli artt. 90 e 91 dello statuto del personale, che prevedono una procedura precontenziosa. In questa procedura è necessario:

L’esperimento di un reclamo in via amministrativa. Il rigetto di tale reclamo (che può essere anche implicito) mediante una decisione.

Deve sussistere un interesse del ricorrente ad agire, e l’atto impugnato deve essere tale da recargli pregiudizio. Il termine per agire è di 3 mesi, che decorrono:

Dal giorno della notifica della decisione che statuisce sul reclamo. In caso di provvedimento implicito, dalla data in cui scade il termine per la decisione.

Il ricorso può essere diretto ad ottenere sia l’annullamento di un atto, sia il risarcimento dei danni derivanti da un atto o da un comportamento dell’istituzione di cui si tratta. Attesa l’autonomia delle diverse azioni, il funzionario può scegliere la procedura che ritenga più appropriata, con il solo limite che l’azione di responsabilità non può essere un mezzo per eludere l’irricevibilità di un’azione di annullamento concernente l’illegalità dello stesso atto e tendente ad ottenere lo stesso risarcimento. Il ricorrente può chiedere, insieme all’annullamento dell’atto, sia provvedimenti provvisori, sia la sospensione dell’atto (quest’ultima è molto difficile da ottenere perché può ostacolare il buon funzionamento del servizio interessato). Le azioni promosse dai dipendenti contro le istituzioni sono numerose, ma considerata la prudenza dimostrata dal giudice dell’Unione sono stati pochi i ricorsi accolti.

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7. L’IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA DEL TRIBUNALE

L’art. 256 del TFUE prevede che tutte le azioni siano trattate in primo grado dal Tribunale, fatta eccezione per i rinvii pregiudiziali (almeno fino a quando non sarà applicato l’art. 256, c. 3°). Il Tribunale ha ormai assunto il ruolo di giudice di primo grado a competenza generale, mentre relativamente alle decisioni adottate dalle camere giurisdizionali esercita la funzione di giudice di secondo grado. La competenza del Tribunale riguarda anche i ricorsi individuali contro atti adottati da altri organi istituiti da atti dell’Unione di diritto derivato. Il trasferimento delle competenze al Tribunale va letto sotto un duplice profilo. Il primo è quello dell’istituzione di un doppio grado di giurisdizione; il secondo riguarda l’attenzione ai fatti, alle esigenze istruttorie ed ai relativi strumenti processuali. Ciò ha comportato per la Corte due risultati, da un lato una riduzione del numero delle cause, dall’altro una accentuazione del suo ruolo di “giudice costituzionale “ in senso lato, cioè custode dell’uniformità di applicazione del diritto dell’Unione. La cognizione del Tribunale, dunque, si sostituisce in primo grado alle competenze che il Trattato attribuiva alla Corte rispetto alle azioni attivate da ricorsi individuali e, in taluni casi, dagli Stati membri: di annullamento (art. 263); in carenza (art. 265); di responsabilità extracontrattuale (art. 268). È possibile che Corte e Tribunale siano chiamati a decidere contemporaneamente si ricorsi aventi lo stesso oggetto. Come ad esempio quando si verta su decisione della Commissione su aiuti pubblici alle imprese, impugnabile dagli Stati membri davanti alla Corte, dalle singole imprese dinanzi al tribunale. In tale ipotesi la norma dello Statuto della Corte consente varie soluzioni:

Il tribunale potrà sospendere la procedura ed attenere la pronuncia della Corte, soluzione che rischia di pregiudicare la tutela del singolo, in quanto non avrebbe alcuna possibilità di interloquire nel procedimento avanti la Corte.

Il tribunale potrà decidere di spogliarsi della causa, declinando la propria competenza e lasciare sia la Corte a decidere, in tal caso, anche il processo avviato dal privato verrebbe ad essere deciso dalla Corte, ma, come è evidente, verrebbe leso il diritto di doppia tutela assicurato odiernamente.

Può accadere che sia la Corte a sospendere la sua procedura, in tal caso si continuerà davanti al Tribunale, questa soluzione assicura alle parti il doppio grado di giudizio.

Sospensione e declinatoria sono, in linea di principio generale, considerati istituti incompatibili con il procedimento di urgenza. L’impugnazione della sentenza di primo grado può essere proposta entro due mesi dalle parti, principali ed intervenute. Una posizione privilegiata è assicurata agli Stati ed alle Istituzioni, i quali possono impugnare sempre una sentenza del Tribunale. L’impugnazione deve essere diretta a rimediare agli errori in diritto della sentenza di primo grado, essa non può limitarsi ad una mera riproposizione della domanda, ma deve indicare espressamente i punti della sentenza impugnata di cui si chiede l’annullamento perché viziati. Si tratta, quindi, non di un giudizio di appello, bensì di cassazione. I vizi censurabili sono:

L’incompetenza del Tribunale;

I vizi di procedura che hanno causato pregiudizio;

La violazione in diritto dell’Unione.

L’errore in diritto deve comprendere non solo l’errore nell’interpretazione o identificazione della norma applicata, ma anche l’errore nella qualificazione giuridica dei fatti. La funzione latu sensu nomofilattica della Corte richiede una rigorosa delimitazione del giudizio sui fatti, area di decisione del Tribunale, rispetto al diritto, sul quale opera il controllo di secondo grado della Corte. Altro elemento è il vizio di motivazione della sentenza impugnata. La mancata previsione nell’elencazione dei vizi censurabili, non lo esclude come ipotesi di violazione del diritto dell’Unione. La contraddittorietà, come la insufficienza, risolvendosi nella violazione dell’obbligo del Tribunale di motivare le proprie pronunce, rappresenta un errore di diritto, invocabile in giudizio di impugnazione davanti la Corte.

8. LA REVOCAZIONE, IL RIESAME, IL RINVIO

La Revocazione.

Lo Statuto della Corte prevede l’istituto della revocazione della sentenza, applicabile alle pronunce sia del Tribunale che della Corte entro il termine di dieci anni dalla data della sentenza. Non si tratta di impugnazione, ma di un mezzo straordinario di ricorso. Condizione indispensabile è la scoperta dopo la sentenza di elementi di fatto nuovi , anteriori alla sentenza e tali che, se conosciuti e apprezzati dal giudice, avrebbero potuto condurre ad una diversa soluzione della controversia.

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L’opposizione

Avverso la sentenza pronunciata in contumacia da proporsi entro un mese dalla notifica della sentenza. Segue lo stesso rito di quello ordinario.

Il Riesame.

È istituto di difficile classificazione giuridica, esso riguarda le sentenze del Tribunale. Più precisamente, l’art. 256, par. 2 e 3 del TFUE, prevede che le decisioni emesse dal Tribunale su ricorsi proposti avverso le decisioni delle camere giurisdizionali, nonché le decisioni emesse su questioni pregiudiziali, possono eccezionalmente essere oggetto di riesame da parte della Corte. Si tratta di una procedura di urgenza che trova applicazione sia nei ricorsi diretti che in quelli indiretti, quando sussistano gravi rischi per l’unità e coerenza del diritto dell’Unione. In attuazione dell’art. 256, lo Statuto ha affidato al primo avvocato generale l’iniziativa di proporre alla Corte il riesame della decisione del tribunale. La proposta deve essere presentata entro un mese dalla pronuncia del tribunale, la Corte deve decidere entro un mese. Nell’ipotesi che la Corte di giustizia costati che la decisione del Tribunale pregiudichi l’unità e coerenza del diritto dell’Unione, rinvia la causa al Tribunale che è vincolato ai punti di diritti decisi dalla Corte.

Il Rinvio.

È strettamente correlato al trasferimento di alcune, limitate, competenze pregiudiziali dalla Corte al Tribunale. Questo istituto troverà piena applicazione solo verranno effettivamente affidate al Tribunale siffatte competenze. Specificatamente, l’art. 256, par. 3, del TFUE, attribuisce al Tribunale la facoltà di disporre un rinvio alla Corte<< ove ritenga che la causa richieda una decisione di principio che potrebbe compromettere l’unità o la coerenza del diritto dell’Unione>>. Tale rimedio è subordinato alla sussistenza delle stesse condizioni eccezionali previste per il riesame, ma è altresì soggetto al potere discrezionale del Tribunale.

9. IL CONTROLLO GIURISDIZIONALE. LA PROCEDURA D’INFRAZIONE

Il controllo della Corte sulla puntuale applicazione mira a garantire l’armonia del sistema giuridico dell’Unione considerato nel suo insieme. La procedura d’infrazione si collega al ruolo attribuito alla Commissione di custode della corretta applicazione da parte degli Stati dei Trattati e degli atti dell’Unione (art. 17, Trattato U.E.). È sostanzialmente diretta a porre termine alla violazione del diritto dell’Unione. Quanto alla natura della infrazione, essa consiste nella violazione di una qualsiasi obbligazione che incomba su di uno Stato membro. È vero che l’art. 258 si riferisce agli <<obblighi incombenti in virtù dei Trattati>>, ma è chiaro che si tratta di tutti gli obblighi che derivano dal sistema giuridico europeo considerato. L’inadempimento può consistere in un comportamento o in un atto normativo o in una pratica amministrativa o, più spesso, nell’aver omesso di dare formale attuazione agli obblighi derivanti da un atto dell’Unione. Una ipotesi particolare di inadempimento è quella della mancata esecuzione di una sentenza della Corte, ciò rappresenta una violazione dell’art. 260 TFUE. La procedura d’infrazione ha in primo luogo una fase precontenziosa:

Lettera di messa in mora: avendo la Commissione in sede di controllo sistematico rilevato un inadempimento ha luogo una fase precontenziosa, prevista dall’art. 258 TFUE, essa consiste in una lettera di messa in mora che è una prima contestazione degli addebiti .

Osservazioni: Lo Stato membro cui è indirizzata la lettera di messa in mora può rispondere alla censura della Commissione, facendo valere gli argomenti di diritto e fatto che ritiene opportuni.

Parere motivato: la Commissione, se non ritiene adeguate le osservazioni invia allo Stato membro un parere motivato nel quale sono specificate le infrazioni e gli elementi in fatto e diritto che sostengono la contestazione, specificando altresì il termine entro cui lo Stato è tenuto ad adeguarsi.

La lettera di messa in mora ed il parere motivato costituiscono passaggi obbligati della procedura d’infrazione, in quanto definiscono l’oggetto della controversia e soddisfano l’esigenza del contraddittorio.

Ricorso

Se entro il termine fissato lo Stato membro non adempie a quanto richiesto, la Commissione può presentare (è una facoltà) un ricorso alla Corte di Giustizia. Nel ricorso i motivi di doglianza devono corrispondere a quelli indicati nella fase precontenziosa. L’inadempimento deve essere rigorosamente provato dalla Commissione e non può essere

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fondato su presunzioni. Non è previsto un termine per la presentazione del ricorso da parte della Commissione, che conserva un’ampia discrezionalità. Più in generale va considerato che la Commissione, secondo una consolidata giurisprudenza non ha un obbligo di attivare e proseguire la procedura d’infrazione ma solo una facoltà. La facoltà della Commissione è determinata dalla scadenza del termine concesso nel parere motivato, se quel termine è trascorso invano, sussiste e permane l’interesse della Commissione a portare lo Stato davanti la Corte di giustizia. L’adempimento tardivo dello Stato membro rispetto al termine, sia esso intervenuto prima dell’introduzione del ricorso o durante il giudizio, non determina automaticamente il venir meno dell’interesse all’azione. Infatti, proprio a motivo della possibilità che la sentenza di accertamento d’infrazione possa fondare una eventuale responsabilità dello Stato inadempiente nei confronti dell’Unione, degli altri Stati membri e soprattutto dei singoli, la Corte ha sempre respinto l’eccezione d’irricevibilità del ricorso della Commissione fondata sull’adempimento tardivo dello Stato.

Misure cautelari.

La Corte ha affermato la propria competenza ad adottare misure cautelari in virtù dell’art. 279 TFUE anche nell’ambito della procedura d’infrazione. Si è così superata qualche perplessità dovuta al fatto che tali misure si risolvono in un ordine di sospendere l’applicazione di una legge o di un atto amministrativo nazionali. Inoltre la Corte ha anche sospeso l’applicazione di una normativa nazionale inaudita altera parte in attesa dell’ordinanza conclusiva del procedimento cautelare. L’ordinanza cautelare della Corte finisce con l’avere, ed in fatto ha avuto, una portata più incisiva ed efficace rispetto alla sentenza definitiva. La sentenza, infatti, ai sensi dell’art. 260 lascia agli Stati membri o all’amministrazione dell’Unione di provvedere a trarne le conseguenze. Inoltre, la prassi non conosce casi di inosservanza delle ordinanze cautelari della Corte, mentre ben si conoscono quelli di ritardi nell’ottemperanza delle sentenze. La procedura d’infrazione è condotta nei confronti dello Stato membro, unico interlocutore riconosciuto dal diritto dell’Unione. D’altra parte i comportamenti rilevanti al di la della dimensione nazionale, sono da sempre imputati allo Stato in quanto tale. Il problema evocato è di qualche interesse soprattutto in relazione ad infrazioni che investono competenze commesse da articolazioni dello Stato, come ad esempio le Regioni. Tuttavia, lo Stato non può invocare a sua esimente competenze affidate dal proprio ordinamento ad Ente espressione della sua articolazione territoriale. In definitiva è sempre lo Stato membro ad essere dichiarato responsabile ex art. 258 TFUE, senza che rilevi la circostanza che la violazione sia imputabile al potere legislativo, esecutivo o giudiziario. Così come è irrilevante una crisi di governo ovvero la sospensione dei lavori parlamentari a causa dello scioglimento delle camere. La Corte ha precisato che possibile evocare la forza maggiore per giustificare difficoltà temporanee di adempimento, ma solo per il periodo strettamente necessario ad un’amministrazione diligente per porvi rimedio. Oltre alla procedura d’infrazione, in virtù dell’art. 259 la stessa procedura può essere attivata da uno Stato membro per veder riconosciuto l’inadempimento di un altro Stato membro. Nella fase precontenziosa lo Stato investe la Commissione della sua doglianza; all’istituzione competono gli stessi adempimenti della procedura normale. Vi sono poi specifiche ipotesi di inadempimento per i quali si prevede una procedura accelerata, dove la Commissione e gli Stati membri possono adire direttamente la Corte. Per esempio in materia di aiuti di Stato, in materia di ravvicinamento delle legislazioni.

10. EFFETTI DELLA SENTENZA DI INADEMPIMENTO E SANZIONE PECUNIARIA

Gli effetti della pronuncia di infrazione sono prefigurati dall’art. 260 TFUE. La sentenza testualmente << riconosce>> che lo Stato è inadempiente rispetto ad una o più obbligazioni. Si tratta, dunque, di una sentenza meramente <<dichiarativa>>, non esistendo la possibilità di attuare in forma coattiva la pronuncia della Corte. D’altra parte è formalmente escluso ex art. 344 che l’inadempimento riconosciuto con sentenza della Corte possa dar luogo ad una qualsiasi azione di altri Stati membri al di fuori dei meccanismi dell’Unione espressamente previsti. Ciò posto, gli Stati dichiarati inadempienti sono comunque tenuti a prendere i provvedimenti per l’esecuzione. La giurisprudenza ha statuito che la pronuncia che accerti l’incompatibilità con i Trattati di una legge nazionale, comporta per lo Stato l’obbligo di modificarla, nonché l’obbligo per i giudici di garantire l’osservanza della norma europea così come interpretata dalla Corte, determinando anche i diritti che i singoli ne traggono. In sostanza, l’incompatibilità di una norma nazionale può essere definitivamente rimossa solo con disposizioni vincolanti che abbiano lo stesso valore giuridico e lo stesso rango di quelle riconosciute in contrasto con l’ordinamento dell’Unione. Il TFUE non fissa alcun termine per l’esecuzione della sentenza, è tuttavia palmare l’esigenza, al fine di garantire l’unità e coerenza del sistema dell’Unione, di applicazione immediata ed uniforme. Nella versione precedente al Trattato di Maastricht la mancata o non corretta applicazione della sentenza era configurabile quale <<normale inadempimento>> e, come tale, passibile a sua volta di procedura d’infrazione. Era questa l’ipotesi della << doppia condanna>>. Il Trattato di Maastricht ha aggiunto la previsione di una <<sanzione pecuniaria>>. Il Trattato di Lisbona ha aggiunto una ulteriore novità, prevedendo che la <<Commissione possa direttamente richiedere nel primo ricorso alla Corte ex art. 258 TFUE, di condannare lo Stato inadempiente al pagamento di una sanzione pecuniaria [cifra forfettaria]>>. È, questa ultima, procedura accelerata limitata ai soli casi in cui lo Stato non abbia trasposto correttamente una direttiva adottata secondo la procedura legislativa, restando escluse tutte le altre violazioni del diritto europeo.

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11. CONTROLLO GIURISDIZIONALE. FUNZIONE ED OGGETTO DEL RINVIO PREGIUDIZIALE

Nel sistema di controllo giurisdizionale un rilievo decisivo ha assunto la cooperazione tra Corte di Giustizia e giudice nazionale, definito <<giudice comune>> o <<giudice naturale>> del <<diritto dell’Unione>>. Per comprendere il ruolo del giudice nazionale, occorre partire dalla considerazione che l’applicazione della norme e degli atti dell’Unione è per molta parte demandata agli Stati membri. Gran parte delle situazioni giuridiche disciplinate direttamente o indirettamente da norme dell’Unione è regolata ed ha pratica rilevanza sul piano interno. Nella patologia dei rapporti giuridici a dare applicazione del diritto dell’Unione, direttamente, ovvero nella forma dell’atto nazionale imposto da norma europea, è principalmente il giudice nazionale. È, dunque, chiaro che i giudici di 27 paesi diversi, operanti in sistemi giuridici differenti, chiamati ad applicare in via diretta o mediata il diritto dell’’Unione, possono trovare oggettive difficoltà di uniformità ed univocità di interpretazione. È nella prospettiva di applicazione uniforme del diritto dell’Unione che va messo a fuoco l’istituto del rinvio pregiudiziale prefigurato all’art. 267 TFUE, che dà al giudice nazionale la facoltà, e se di ultima istanza l’obbligo, di chiedere alla Corte di giustizia una pronuncia sull’interpretazione ovvero sulla validità di una norma dell’Unione quando tale pronuncia sia necessaria per risolvere la controversia di cui è stato investito. Così, di fronte alla possibile o accertata rilevanza di una norma dell’Unione per la risoluzione della controversia, può essere utile o necessario al giudice nazionale, prima di decidere, di avere una risposta ai seguenti possibili interrogativi:

1. Rinvio pregiudiziale di interpretazione: quale è la corretta interpretazione e con essa la portata di una norma dell’Unione;

2. Rinvio pregiudiziale di validità:se la norma dell’Unione sia valida ed efficace.

Il meccanismo non è nuovo, è lo stesso che attua il giudice a quo nel rinvio pregiudiziale di legittimità costituzionale. L’art. 267 del TFUE ha attribuito alla Corte di Giustizia una competenza generale in materia pregiudiziale. La Corte è anche competente a pronunciarsi in relazione alle disposizioni dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE) . L’incidente comunitario pregiudiziale realizza tre funzioni essenziali e risponde a specifico oggetto.

1. [NOMOFILASSI]Prima funzione essenziale: del rinvio pregiudiziale è di realizzare un’interpretazione e, quindi, una applicazione uniforme del diritto dell’Unione in tutti i Paesi membri. È pertanto indispensabile che le norme dell’Unione ricevano la stessa chiave di lettura e le stesse possibilità di applicazione, che vi sia, quindi, da parte della Corte una interpretazione centralizzata in funzione nomofilattica.

2. [SINDACATO DI LEGITTIMITÀ DELLE NORME INTERNE DEGLI STATI MEMBRI]Seconda funzione essenziale: del rinvio pregiudiziale è di verificare la legittimità di una legge nazionale o di un atto o prassi amministrativa rispetto al diritto dell’Unione. Il meccanismo è complesso e propone diversi dubbi, in quanto il giudice nazionale accerta la legittimità o meno di una legge nazionale sulla scorta di un’interpretazione del diritto dell’Unione da parte della Corte di Giustizia. Nei fatti, almeno sotto il profilo tecnico, non ci sono molte difficoltà operative, in quanto il meccanismo è simile a quello che si adotta per il rinvio pregiudiziale alla Corte Costituzionale. Da subito il controllo della Corte sulla legittimità di norme, atti e prassi amministrative nazionali, anche se indiretto, è stato momento fondamentale del sistema di tutela dei diritti che il singolo vanta in forza del diritto dell’Unione. Rilevanza a questo proposito assunse la sentenza Van Gend en Loos a proposito della disposizione che vieta agli Stati membri di introdurre negli scambi intracomunitari nuovi dazi o tasse equivalenti, di cui si assumeva la violazione da parte dei Paesi Bassi. L’obiezione era che per sindacare le infrazioni delle norme nazionali incompatibili il Trattato aveva predisposto come rimedio specifico la procedura d’infrazione ex artt. 258 e 259, sicché il singolo non poteva pretendere di giungere allo stesso risultato provocando un rinvio pregiudiziale del giudice nazionale. La Corte rispose che limitare la possibilità di far valere la violazione di una norma dell’Unione equivaleva a lasciare i diritti dei singoli privi di tutela giurisdizionale diretta. La vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce invece un efficace controllo che si aggiunge a quello degli artt. 258 e 259, effettuato dalla Commissione. Va sottolineato che spesso, sbagliando, il giudice nazionale formula la propria richiesta in termini di legittimità della norma nazionale rispetto a normativa dell’Unione. In questi casi la Corte, precisato che non è competente a dichiarare essa stessa l’incompatibilità della norma interna, provvede a riformulare il quesito in forma di “domanda interpretativa” e risponde così al reale quesito posto dal giudice . Quando singolo ritiene di subire un pregiudizio per effetto dell’applicazione di una norma o di una prassi nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione, può far valere tale incompatibilità in due modi. Il primo è la segnalazione alla Commissione che deciderà se attivare o meno la procedura d’infrazione; secondo chiedere al giudice nazionale di procedere al rinvio pregiudiziale di interpretazione ex art. 267.

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3. [SINDACATO DI LEGITTIMITÀ DEL DIRITTO DELL’UNIONE]Terza funzione essenziale: del rinvio pregiudiziale consiste nel complesso sistema di controllo giurisdizionale per verificare la legittimità degli atti dell’Unione. Tanto accade proprio in quanto le amministrazioni nazionali sono spesso chiamate a dare applicazione del Diritto dell’Unione. Succede, allora, che dinanzi al giudice nazionale, in funzione di giudice comune , sia messa in discussione o la norma giuridica dell’Unione ovvero la base giuridica dell’atto dell’Unione o del comportamento dell’amministrazione nazionale. Lo scopo può essere di farne valere l’illegittimità, ovvero di accertare definitivamente la legittimità contestata, in entrambi i casi chiamando in causa, attraverso il rinvio pregiudiziale, la Corte di Giustizia. La competenza della Corte di Giustizia è esclusiva rispetto al controllo sulla legittimità degli atti dell’Unione, in particolare nel senso che solo la Corte può dichiarare l’eventuale illegittimità dell’atto, mentre il giudice nazionale può solo confermare la legittimità. È fatta salva la procedura nazionale di natura cautelare, nella quale il giudice nazionale può sospendere l’applicazione di un atto interno di attuazione di un atto dell’Unione con l’obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. L’ipotesi di rinvio pregiudiziale va collegata logicamente e sistematicamente alle procedure di controllo diretto, quali l’azione di annullamento, l’eccezione di invalidità, l’azione di responsabilità. Ciò vuol dire che il rinvio pregiudiziale di validità completa il sistema dei rimedi giurisdizionali predisposti per la tutela dei diritti del singolo rispetto agli atti predisposti dalle istituzioni. Difatti, la pregiudiziale di validità, colma la <<lacuna>> esistente nel sistema determinata dalla circostanza che al singolo è preclusa l’azione diretta di annullamento di un atto dell’Unione a portata generale. Invece, quando ad un atto vincolante generale sia stata data attuazione sul piano interno, il singolo potrà impugnare la misura interna dinanzi al giudice nazionale, facendone valere la presunta illegittimità.

4. Oggetto : del rinvio pregiudiziale è quanto mai ampio, si tratta di tutto il sistema giuridico dell’Unione.

12. CONDIZIONI SOGGETTIVE ED OGGETTIVE DEL RINVIO PREGIUDIZIALE

Il rinvio pregiudiziale può essere deciso da qualunque giudice nazionale (amministrativo, penale, civile, tributario, del lavoro), purché si tratti della giurisdizione di uno Stato membro. La nozione di giurisdizione ai sensi dell’art. 267 TFUE è una nozione del diritto dell’Unione: essa va, dunque, definita dalla Corte di Giustizia. Quest’ultima vi ha provveduto in base a diversi elementi qualificanti: l’origine legale e non convenzionale dell’organo, la stabilità, l’obbligatorietà, l’applicazione del diritto, l’indipendenza e la terzietà. Sono, in particolare, esclusi dalla nozione di giurisdizione la pubblica accusa (come il procuratore della Repubblica italiana), gli arbitri, gli ordini professionali quando non rendono decisioni di natura giurisdizionale. Sono stati viceversa compresi nella nozione il giudice cautelare, il giudice italiano dell’ingiunzione e il giudice istruttore. La nozione di giurisdizione comprende evidentemente tutti i giudici degli Stati membri. Per quanto riguarda il sistema italiano, occorre ricordare alcune ipotesi specifiche. Anzitutto è stata negata la qualità di giurisdizione ai sensi dell’art. 267 al Tribunale in sede di volontaria giurisdizione ed in particolare di omologazione di società commerciali, con l’argomento che in quel contesto l’organo non è chiamato a risolvere una controversia. Di qualche rilievo è stata l’attribuzione della qualifica di giurisdizione al Consiglio di Stato anche nell’esercizio della sua funzione consultiva, in particolare quando è chiamato a dare il suo parere in sede di ricorso straordinario al Capo di Stato, con l’argomento che di fatto si tratta di un parere vincolante. Per quanto riguarda la Corte dei Conti, si è sottolineato che tale organo può essere in alcuni casi qualificato come giurisdizione, ed in altri tale qualità non gli può essere riconosciuta, in particolare quando non esercita funzioni giurisdizionali. Problema specifico è se la Corte Costituzionale possa essere compresa nella nozione di giurisdizione ai sensi dell’art. 267. Dal tenore di tale disposizione sembra potersi dedurre che il rinvio compete al giudice della controversia, nel senso di giudice che definisce la causa. Quindi occorre distinguere: Le ipotesi in cui il giudice che definisce la causa è il giudice a quo: in questi casi è quest’ultimo a decidere –

qualora dovessero porsi contestualmente il problema di legittimità costituzionale e quello di compatibilità comunitaria – a quale rinvio dare la precedenza.

Le ipotesi in cui il giudice costituzionale sia egli stesso il giudice che definisce la causa, come nel caso di conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, ove è anche giudice di unica e ultima istanza, sì che sarebbe a stretto rigore obbligato al rinvio.

La valutazione sulla necessità del rinvio e dunque della pronuncia pregiudiziale della Corte ai fini della decisione della causa spetta di regola al giudice nazionale. Egli, essendo a conoscenza dei fatti e degli elementi di diritto rilevanti, è infatti nella condizione migliore per valutare la pertinenza delle questioni di diritto dell’Unione sollevate dalla causa. Ciò non esclude che la Corte possa interpretare il quesito e rilevare gli aspetti di diritto che richiedono una verifica di

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validità o un’interpretazione delle norme dell’Unione, fino al punto di pronunciarsi relativamente a norme non chiamate in causa nei quesiti. Di regola la Corte non potrebbe sindacare la motivazione del provvedimento di rinvio, né la pertinenza della questioni ivi contenute. Questa regola, però, va incontro a numerose eccezioni. Nella giurisprudenza più recente la Corte ha infatti sindacato, in determinate situazioni, la pertinenza dei quesiti pregiudiziali ad essa sottoposti, riservandosi il potere di verificare la propria competenza a rispondere. In primo luogo, la Corte ha rifiutato di rispondere al quesito pregiudiziale sollevato in occasione di una

controversia che ha considerato fittizia. Tale sarebbe stata, in particolare, una causa in cui le parti erano perfettamente d’accordo sull’esito del litigio e sull’interpretazione delle norme dell’Unione, ma tendevano a far risultare l’incompatibilità di una norma di un Paese diverso da quello del foro;

In secondo luogo, la Corte ha escluso di potersi pronunciare in presenza di questioni puramente ipotetiche, o non obiettivamente necessarie al giudice nazionale per risolvere la controversia;

In terzo luogo, la Corte ha rilevato che le motivazioni di rinvio troppo scarne e imprecise fornite dal giudice nazionale, non le consentono di fornire un’interpretazione utile del diritto comunitario, né consentono alle altre parti interessate di svolgere puntuali osservazioni sulla controversia;

La Corte si è rifiutata di rispondere ai quesiti posti dal giudice di rinvio quando l’atto di cui era richiesta l’interpretazione non era configurabile come atto adottato dalle istituzioni (nella specie si trattava della norma di un accordo tra uffici centrali assicurativi degli Stati membri);

Un’ulteriore ipotesi di rifiuto della Corte è stata quella in cui le norme comunitarie in questione non erano applicabili alla situazione puramente interna.

In relazione a quest’ultimo punto, la Corte si è dichiarato competente a pronunciarsi sull’interpretazione delle norme comunitarie anche quando la fattispecie non è regolata dal diritto dell’Unione, ma dal diritto nazionale, in quanto quest’ultimo operi un rinvio a disposizioni di diritto europeo perché sia determinato il contenuto o l’interpretazione delle norme (nazionali) applicabili ad una situazione puramente interna (sentenza Dodzi); o anche nel caso in cui la norma in questione riproduca pressoché testualmente una norma dell’Unione. Tale giurisprudenza non può non destare qualche perplessità:

In primo luogo, appare in contrasto con gli stessi presupposti logici del rinvio pregiudiziale, oltre che con lo stesso principio di attribuzione delle competenze. Infatti, quando una norma dell’Unione come tale non è applicabile, manca la base giuridica della competenza della Corte ai sensi dell’art. 267 TFUE.

In secondo luogo, quando il diritto dell’Unione non è applicabile, oltre che mancare la base giuridica, inoltre può mancare la stessa esigenza di uniformità di interpretazione e di applicazione.

La stessa Corte, peraltro, aveva cominciato saggiamente a rivedere la propria posizione, e questo lasciava ben sperare in un ripensamento anche sulla giurisprudenza Dodzi. Così non è stato, poiché la Corte ha ribadito tale orientamento.

13. SEGUE: FACOLTÀ ED OBBLIGO DI RINVIO

Facoltà

Il Giudice nazionale che non sia di ultima istanza ha la facoltà di sottoporre alla Corte di Giustizia un quesito pregiudiziale ogni volta che lo reputi indispensabile per giudicare la controversia dinanzi ad esso pendente. Il Giudice che ha rivolto il quesito, inteso quale organo, deve essere lo stesso che ne riceverà la risposta, nel senso che questa deve essere necessaria per la decisione di quell’organo giurisdizionale. Il problema si è posto in sede di procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c. rispetto al rinvio operato da un Pretore, ipotesi nella quale il giudice cautelare, una volta preso il provvedimento, rinviava le parti ad un giudice diverso spogliandosi della causa. Il problema oggi è ridimensionato dalla riforma del processo civile, considerato che di norma il giudice cautelare è anche il giudice di merito.

Obbligo:

Quando si tratta di un giudice di ultima istanza, Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte costituzionale, quest’ultima limitatamente all’ipotesi di giudizio in via principale, tutti intesi nel senso del giudice le cui sentenze non siano soggette ad impugnazione, questi ha l’obbligo di operare il rinvio. Tale differenza trova giustificazione nel fatto che una pronuncia erronea del giudice di ultima istanza comporta la lesione definitiva del diritto del singolo e, conseguentemente, la mancata applicazione della norma dell’Unione. L’obbligo di rinvio pregiudiziale può in alcuni casi venir meno, quando la questione sia materialmente identica ad una già sollevata e già decisa dalla corte, ovvero vi sia comunque una giurisprudenza costante sul punto. Corte di giustizia ha di recente espressamente riconosciuto che gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto dell’Unione riconducibili ad organi giudiziari, ed in particolare quando omettono di ottemperare all’obbligo di rinvio pregiudiziale. Nell’ipotesi poi di omesso rinvio alla Corte di giustizia da parte di una giurisdizione nazionale di ultima istanza si potrebbe prefigurare

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una violazione dei diritti fondamentali ad un equo processo e ad un giudice precostituito per legge. L’obbligo di rinvio è poi assoluto nel rinvio pregiudiziale di validità, ricorre anche quando l’invalidità sia stata dichiarata per un atto del tutto analogo. La Corte può seguire una procedura semplificata sulle domande pregiudiziali, possibile in tre ipotesi:

- la questione sia identica ad una già definita

- sia desumibile con chiarezza dalla giurisprudenza

- la soluzione non alimenti alcun ragionevole dubbio

Questa ipotesi si affianca un procedimento pregiudiziale d’urgenza applicato esclusivamente nei settori relativi allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. La decisione del rinvio solo del giudice che può operarlo anche d’ufficio. Sebbene nella maggior parte dei casi siano le parti a sollecitare l’invio è pur sempre il giudice che provvede alla formulazione dei quesiti da sottoporre alla Corte.

14. SEGUE: GIUDIZIO CAUTELARE NAZIONALE E RINVIO PREGIUDIZIALE

Occorre richiamare l’attenzione su alcune pronunce pregiudiziali di grande interesse, in cui la Corte si è soffermata sulla tutela cautelare che giudici interni devono apprestare a diritti vantati dai singoli in forza di norme dell’Unione.

- La prima ipotesi è quella del diritto vantato sulla base di una norma dell’Unione e negato dalla legge o dall’atto amministrativo nazionale. Tale ipotesi è stata prospettata alla Corte dal giudice inglese, davanti al quale la società Factortame deducendo l’incompatibilità comunitaria di una norma nazionale, chiedeva che, in attesa della pronuncia, la sua applicazione fosse sospesa. La camera dei Lords, sul rilievo che il sistema inglese non consente al giudice di sospendere l’applicazione di una legge di cui non sia stata accertata definitivamente l’illegittimità, chiedeva alla Corte se in base al diritto dell’Unione questo potere doveva essergli viceversa riconosciuto; risposta della Corte è stata positiva.

- seconda ipotesi riguarda il potere del giudice nazionale sospendere in via cautelare l’applicazione della normativa nazionale a ragione della pretesa illegittimità dell’atto dell’Unione di cui l’atto impugnato rappresenta la misura interna di attuazione. Nella sostanza si tratta per il giudice nazionale di sospendere l’applicazione di un atto dell’Unione.La giurisprudenza riconosce al giudice nazionale eccezionalmente di esercitare in via cautelare il potere in questione, purché operi un rinvio alla corte di giustizia affinché si pronunci sulla validità dell’atto. Per pervenire ad un tale risultato, la Corte ha fatto valere, in particolare, l’esigenza di coerenza del sistema. Se dunque la Corte può sospendere l’applicazione di un atto nel contesto di un’azione di annullamento, anche il singolo deve poter chiedere ed ottenere dal giudice nazionale, attraverso la sospensione dell’atto interno di attuazione, la sospensione dell’atto dell’Unione. Ma la domanda al giudice nazionale di tutela cautelare per un diritto del singolo non può che avere risposta negativa. L’adozione di un provvedimento cautelare che investa un atto dell’Unione richiede la presenza di condizioni rigorose:

Il fumus boni iuris (consistenti riserve sulla validità dell’atto); Il periculum in mora; La necessità di tenere conto degli interessi dell’Unione; Il giudice nazionale deve osservare le eventuali pronunce del giudice dell’Unione.

15. SEGUE: GLI EFFETTI DELLA SENTENZA PREGIUDIZIALE

1. La sentenza interpretativa della Corte vincola il giudice a quo , tenuto a dare applicazione della norma dell’Unione così come interpretata dalla Corte, all’occorrenza lasciando inapplicata la norma nazionale contrastante.

a. Effetto: Tale sentenza deve essere considerata anche al di fuori del contesto processuale che l’ha provocata, proprio perché si pronuncia sui punti di diritto. Altri giudici, nonché le amministrazioni nazionali, saranno tenuti a fare applicazione delle norme così come interpretate dalla Corte, determinando anche i diritti di cui i singoli possono godere. Ciò non esclude, però, la possibilità di un altro rinvio pregiudiziale.

2. Sospensione in attesa di pronuncia della Corte di altro giudice su stesso quesito : La Corte di Cassazione aveva in passato precisato che il giudice che ritenesse necessaria l’interpretazione di una norma comunitaria avesse quale unico mezzo quello del rinvio pregiudiziale e che gli fosse preclusa la semplice sospensiva del processo ex art. 295 c.p.c. in attesa della sentenza della Corte di Giustizia su rinvio pregiudiziale di altro giudice relativamente allo stesso quesito. Più recentemente la sospensione è stata ritenuta ammissibile.

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3. Sentenza di validità dell’Atto dell’Unione: quando la Corte si pronuncia nel senso della validità dell’atto dell’Unione, si ha un effetto diverso dalla sentenza interpretativa.

a. Effetto: è strettamente limitato al caso ed ai motivi specifici della censura, la formula di rito della sentenza contiene la locuzione<<non sono emersi elementi idonei a inficiare la validità dell’atto>>

4. Sentenza di invalidità dell’Atto dell’Unione: quando la sentenza è di invalidità, si produce lo stesso effetto di una sentenza di annullamento, dunque l’effetto di cosa giudicata sia formale che sostanziale.

a. Effetto: l’istituzione che ha posto in essere l’atto invalidato potrà solo adottare un atto diverso che tenga conto dei motivi che hanno indotto la Corte a dichiarare l’invalidità dell’atto impugnato.

5. Effetti nel tempo: normalmente si tratta di una efficacia ex tunc in quanto la pronuncia definisce la portata della norma dell’Unione così come avrebbe dovuto essere intesa ed applicata sin dall’inizio.

a. Similitudine fra annullamento ed invalidità per l’effetto ex nunc: La giurisprudenza ha tuttavia esteso alle pronunce pregiudiziali la facoltà di dichiararne l’efficacia ex nunc prevista dall’art. 264 per le sole sentenze di annullamento. La Corte ha considerato , dunque, possibile limitare gli effetti nel tempo di una declaratoria di invalidità per <<esigenze di certezza del diritto>>. Richiamando il principio generale della certezza del diritto la Corte ha altresì limitato nel tempo gli effetti di sentenze pregiudiziali interpretative. L’ipotesi di effetti ex nunc della sentenza interpretativa resta comunque eccezionale. La Corte vi ha fatto ricorso solo in presenza di circostanze specifiche e ben precise; il rischio di gravi ripercussioni economiche dovute all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa nazionale fino ad allora ritenuta valida; un comportamento non conforme alla normativa dell’Unione dovuto ad un’obiettiva incertezza sulla portata delle disposizioni dell’Unione.

16. I PARERI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

La Corte di giustizia può rendere anche pareri. Essa è competente a rendere pareri, ex art. 218 del TFUE in ordine alla compatibilità con il Trattato di accordi <<previsti>> fra l’Unione e Paesi terzi o organizzazioni internazionali quando vi sia richiesta del Parlamento, del Consiglio, della Commissione o di uno Stato membro. Il parere della Corte è preventivo, anche se non è definito un termine a quo, infatti è sufficiente, affinché la domanda di parere sia ricevibile, che l’oggetto sia noto e anche se i negoziati siano ancora in fase iniziale. L’ipotesi in esame, pur definita come competenza consultiva, va, più correttamente, collocata fra i procedimenti di controllo di legittimità degli atti dell’Unione. Infatti, la verifica preventiva non ha portata molto diversa da quella successiva di legittimità attivata con azione diretta ex art. 263, ovvero con rinvio pregiudiziale di validità ex art. 267. Lo scopo del parere, in definitiva, è quello di evitare che i dubbi di compatibilità con i Trattati si traducano in un successivo contenzioso. Se la Corte si pronuncia nel senso dell’incompatibilità l’accordo non potrà entrare in vigore. Ne consegue che, se permane l’interesse e la volontà di stipularlo, esso dovrà essere modificato. In caso di parere positivo la stessa giurisprudenza dell’Unione ha comunque ammesso la possibilità di un controllo successivo dell’accordo ex art. 263. Infine, ai sensi dell'art. 103 del trattato CEEA, la Corte emette delle deliberazioni preventive su richiesta di uno Stato membro, nell’ipotesi in cui sia sorto un contrasto tra quest’ultimo e la Commissione in merito alla compatibilità con il Trattato di un progetto di accordo negoziato dallo stesso Stato con:

Uno Stato terzo Un’organizzazione internazionale un cittadino di uno Stato terzo.

Lo Stato membro di cui si tratta è tenuto a conformarsi alla deliberazione della Corte.

17. SANZIONI PER VIOLAZIONI DEL DIRITTO DELL’UNIONE E OBBLIGHI RISARCITORI NEI CONFRONTI DEL SINGOLO

I Trattati di Roma non prevedevano alcuna sanzione per il caso di violazione degli obblighi comunitari da parte di Stati membri, limitandosi a predisporre le procedure per l’accertamento giurisdizionale delle infrazioni.

Perdita di finanziamento UE.

La prassi ha individuato meccanismo che consentono di collegare a talune infrazioni misure di tipo sanzionatorio. In particolare, in ipotesi di violazione lo Stato membro perde il diritto ad un finanziamento dell’Unione. Conformemente la normativa sui fondi strutturali subordina l’attribuzione dei finanziamenti alla condizione che le azioni da finanziare siano realizzate in modo conforme alla disciplina dell’Unione, ad esempio nella concorrenza, nella protezione dell’ambiente, negli appalti pubblici. Il limite di tali rimedi era nella portata ridotta, in quanto riguardano solo azioni collegate ad una attività finanziata dall’Unione e non le infrazioni degli Stati membri in genere.

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Sanzione pecuniaria ex art. 260

Il problema della sanzione per le infrazioni comunitarie si pone in particolare rispetto all’ipotesi di mancata o non corretta trasposizione delle direttive. Gli inadempimenti degli Stati , infatti, implicano sempre due lesioni:

1. la parità di trattamento all’interno dell’Unione;

2. la solidarietà dell’Unione.

Un rimedio è stato introdotto dal Trattato di Maastricht attraverso una modifica dell’art. 260 che prevede la possibilità di sanzione pecuniaria per l’ipotesi di perdurante inadempimento. Al riguardo è fondata qualche perplessità sulla natura deterrente di una tale misura, che rimane comunque di ispirazione internazionalistica.

L’azione di risarcimento del danno del singolo.

In una diversa prospettiva si inquadra la giurisprudenza che ha affermato il diritto del singolo al risarcimento del danno patrimoniale per aver subito l’effetto dell’inadempimento dello Stato membro. Tale prospettiva è quella che fa leva sui mezzi predisposti dal sistema per rafforzare l’effettività delle norme dell’Unione attraverso una tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche create dalle norme dell’Unione in capo ai singoli. Va segnalata quella giurisprudenza che respinge l’eccezione di irricevibilità del ricorso o di cessata materia del contendere quando, nel corso del giudizio, o comunque dopo la scadenza dei termini fissati, lo Stato membro metta fine all’infrazione contestatagli. Infatti, la risposta della Corte è che la pronuncia che riconosce l’inadempimento può costituire presupposto o titolo per un’eventuale azione di risarcimento del danno subito dal singolo. In altri termini l’interesse a proseguire il giudizio, può ben consistere nello Stabilire con sentenza il presupposto dell’eventuale responsabilità dello Stato nei confronti del singolo. Tale giurisprudenza si è definitivamente consacrata nella sentenza Francovich , relative alle conseguenze della mancata attuazione di una direttiva.

Si trattava di una direttiva che, a tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro, imponeva agli Stati di istituire un meccanismo di garanzia per i crediti retributivi maturati; direttiva che l’Italia non aveva trasposto. Il giudice a quo chiedeva alla Corte se i singoli potessero far valere direttamente i benefici della direttiva, nonché pretendere comunque dallo Stato il risarcimento del danno subito. La Corte ha enunciato, con la formula più volte utilizzata, il principio richiesto dal giudice <<sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario… >>. Affermata l’esistenza del principio di responsabilità, la Corte ha stabilito le condizioni per darne attuazione:

1. che il risultato prescritto dalla direttiva implichi l’attribuzione di diritti a favore di singoli;

2. che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva;

3. sussista un nesso di causalità tra violazione dell’obbligo e danno subito.

Uno dei principali punti da approfondire dopo Francovich era se la responsabilità patrimoniale dello Stato nei confronti dei singoli potesse essere evocata e fatta valere soltanto in presenza di una violazione di norme prive di effetto diretto, per essere queste in particolare non invocabili da parte del singolo dinanzi al giudice o anche quando la violazione riguardasse norme aventi effetto diretto e dunque invocabili dinanzi al giudice. Le disposizioni della direttiva evocate nella Francovich lasciava gli Stati membri un ampio margine di discrezionalità quanto alla predisposizione di un sistema istituzionale di garanzia compresa l’identificazione del soggetto debitore. La Corte è quindi pervenuta alla conclusione della non invocabilità delle disposizioni della direttiva dinanzi al giudice nazionale qualora come nella specie l’Italia, non avesse provveduto all’identificazione del soggetto debitore. Quando la norma è invece provvista di effetto diretto, la tutela a favore del singolo non solo c’è già, ma è direttamente azionabile dallo stesso singolo, con la conseguenza che resta solo da accompagnare questa tutela sostanziale e processuale con quel minus che è la tutela patrimoniale.

L’inadempimento del legislatore interno.

Altro tema delicato riguarda la possibilità di estendere l’azione di risarcimento del danno proposta dal singolo alla violazione dell’obbligo dell’Unione dovuta specificatamente all’attività o alla inattività del legislatore. Orbene, all’individuazione del fondamento della responsabilità in un principio generale che vuole risarcito il danno ingiusto, vanno collegate due implicazioni. La prima è che no rileva a quale organo nazionale sia imputabile la violazione. La seconda è quella per cui l’esigenza di applicazione uniforme delle norme dell’Unione impedisce che l’esistenza e la portata dell’obbligo al risarcimento per violazione di norme europee dipenda dal riparto di competenze interne allo Stato. Va poi aggiunta una considerazione, è vero che l’attività legislativa è la massima espressione della sovranità

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dello Stato, ma nell’esercizio dei poteri sovrani che gli Stati possono procedere e di fatto hanno proceduto a limitare la propria libertà attribuendo determinate competenze normative alle istituzioni dell’Unione. Nel momento in cui tali istituzioni creano precisi vincoli per i legislatori nazionali, questi sono tenuti a rispettare i limiti che essi stessi si sono impegnati a rispettare. Legislatore nazionale che non osserva un obbligo imposto allo scopo di realizzare diritti in capo ai singoli e dunque impedendo che quei diritti vengono ad esistenza, non può esservi ragione di negare il diritto dei singoli ad agire per risarcimento del danno subito. Il principio trova applicazione anche nell’ipotesi in cui la violazione del diritto dell’unione derivi dalla decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado. La Corte ha poi precisato che le condizioni della responsabilità degli Stati membri e dell’Unione devono essere le stesse, a parità di situazioni, accomunando legislatore nazionale a quello dell’Unione anche nell’ipotesi in cui non vi sia alcun potere discrezionale.

Le tre condizioni della responsabilità patrimoniale dello Stato.

1. la norma violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli.

2. la violazione sia grave e manifesta;

3. vi sia un nesso causale tra violazione e danno

18. RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE DEGLI STATI MEMBRI NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Le ricadute della giurisprudenza dell’Unione in tema di responsabilità extracontrattuale degli Stati membri nell’ordinamento italiano meritano qualche attenzione. La Corte di Cassazione:

in un primo tempo sulla premessa che il diritto dell’Unione non può che imporre un risultato agli Stati, mentre spetta all’ordinamento interno la qualificazione della posizione giuridica soggettiva dei singoli, ha rilevato che la funzione legislativa è sottratta a qualsiasi sindacato giurisdizionale; la conseguenza è che non si può configurare la responsabilità da illecito ex art. 2043 di fronte all’attività o inattività del legislatore; né si può configurare un diritto del singolo al risarcimento del danno per mancata attuazione di una direttiva, ma solo un diritto ad essere indennizzati delle diminuzioni patrimoniali subite.

l’evoluzione successiva ritorna sulla posizione ammettendo la risarcibilità del danno, più specificatamente la decisione assunta dalla Corte di Cassazione, fondandosi sull’esigenza della sintonia tra principi comunitari e diritto interno, rileva che la fattispecie è riconducibile al dettato ex art. 2043 e che il credito dei lavoratori ha natura risarcitoria , trovando origine diretta nella responsabilità dello Stato per inadempimento.

L’attenzione si è poi focalizzata sulla responsabilità del giudice. La Corte di giustizia ha chiarito nella sentenza Köbler che la cosa giudicata non è di ostacolo al riconoscimento della responsabilità extracontrattuale dello Stato. In relazione alla legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati, la Corte si è pronunciata nel senso che è incompatibile con il diritto dell’Unione una legislazione nazionale che escluda o limiti la responsabilità del giudice alle sole ipotesi di dolo o colpa grave e che escluda in maniera generale la responsabilità del giudice di ultimo grado per l’interpretazione delle norme e dei fatti.

19. CENNI SULLA PROCEDURA

Il procedimento dinanzi al Tribunale e alla Corte di Giustizia è regolato dalle conferenti norme dei Trattati, dal Protocollo sullo Statuto della Corte di Giustizia, dai rispettivi regolamenti di procedura. Il procedimento prevede una fase scritta e una fase orale, prima che si proceda alla decisione; vi è poi qualche differenza a seconda che si tratti di azione diretta o di rinvio pregiudiziale.

1) Azioni dirette.

Nelle azioni dirette, dinanzi al Tribunale o alla Corte, annullamento, carenza, responsabilità extracontrattuale, la procedura è attivata con ricorso da presentarsi entro il termine indicato per ciascuna azione dal TFUE. A tale termine, per il passato, andava aggiunto un certo periodo diverso per ciascun Paese membro; oggi, per tutti i Paesi membri, il periodo è di dieci giorni. Il ricorso contiene l’indicazione delle parti, e dei difensori, l’esposizione dell’oggetto della controversia, dei mezzi dedotti e delle prove che si offrono, nonché la esatta enunciazione della domanda. Il ricorso è redatto nella lingua del ricorrente, a meno che il convenuto non sia uno Stato membro, nel qual caso si utilizza la lingua dello Stato. Il ricorso viene inviato alla cancelleria della Corte che provvede alla pubblicazione dell’essenziale sulla Gazzetta ufficiale nonché alla notifica alla controparte. Entro un mese la controparte può presentare un controricorso. Le parti hanno anche diritto a presentare una replica ed una contro replica nel termine di un mese. I

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termini possono essere prorogati, su richiesta delle parti, dal Presidente del Tribunale o dalla Corte. Nei ricorsi diretti le parti debbono farsi rappresentare da un avvocato abilitato al patrocinio.

2) La procedura pregiudiziale.

Inizia, viceversa, davanti il giudice nazionale, con la sospensione del procedimento e la remissione di un’ordinanza alla Corte di Giustizia con i quesiti – d’interpretazione o di validità del diritto dell’Unione – che richiedono una risposta ai fini della decisione. L’ordinanza va trasmessa direttamente (non per via diplomatica) per posta alla cancelleria della Corte a Lussemburgo. La cancelleria provvede alla traduzione dell’ordinanza e la trasmette, oltre che alle parti, anche alla Commissione, e alle altre Istituzioni interessate e agli Stati membri o nel caso anche non membri. Tutti i soggetti raggiunti dall’ordinanza possono presentare osservazioni scritte entro due mesi e comunque partecipare all’udienza per manifestare la propria posizione oralmente. La lingua della procedura è quella del giudice del rinvio. Il ritiro della domanda di pronuncia pregiudiziale da parte del giudice rimettente porta alla cancellazione della causa dal ruolo. Nelle procedure pregiudiziali le parti possono farsi rappresentare, oltre che dagli avvocati, anche, in alcune procedure speciali, da commercialisti, consulenti del lavoro, purché siano rispettate le leggi valide nei sistemi giuridici di appartenenza. Gli Stati membri possono intervenire in tutte le procedure. Nelle procedure pregiudiziali la Commissione svolge il ruolo di amicus curiae.

La fase orale.

La fase orale comprende la presentazione di una relazione da parte del giudice relatore, l’audizione degli agenti, consulenti ed avvocati e, se del caso, dei testi e dei periti, infine le conclusioni dell’avvocato generale. La fase orale termina con la lettura, in udienza pubblica., del dispositivo delle conclusioni dell’avvocato generale, nella lingua di quest’ultimo. Il dispositivo della sentenza della Corte o del Tribunale viene letto in udienza pubblica nella lingua di procedura.

La procedura accelerata.

Con le modifiche intervenute nei regolamenti di procedura della Corte e del Tribunale si è introdotta la possibilità di una procedura accelerata, su domanda di una delle parti e quando lo richieda la particolare urgenza del caso. Di rilievo è che il contraddittorio scritto si riduce ad una memoria, che è possibile integrare le prove anche nel corso dell’udienza orale e che l’avvocato generale è solo sentito.