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Capitolo II RIDUZIONI DI SISTEMI DINAMICI Una classe importante di problemi della fisica matematica si riconduce alla risoluzione di un sistema di equazioni differenziali alle derivate ordinarie del primo ordine (per esempio, lo studio dell’evoluzione di un sistema meccanico). Possiamo scrivere un tale sistema nella forma (1) ˙ x i = X i (x 1 ,...,x n ), i =1,...,n dove le x 1 (t),...,x n (t) sono le n funzioni incognite e ˙ x i = dx i dt (abbiamo assunto che il sistema di equazioni sotto esame sia autonomo, ovvero, che il membro di destra della (1) non contenga t). In un contesto geometrico risolvere il sistema (1) significa, dato un campo vettoriale X , determinarne il flusso. Spesso la soluzione del problema risulta semplificata dal fatto di poter trovare delle quantit` a che si mantengono costanti “durante il moto”, ovvero, sono invarianti sotto l’azione del flusso del campo vettoriale X . Un’altra situazione in cui la risoluzione del sistema viene semplificata si ha quando il campo vettoriale X sia invariante sotto un gruppo di trasformazioni. In questo capitolo studieremo in un certo dettaglio la possibilit` a di semplificare (o, come si dice usualmente, “ridurre”) il sistema (1) quando una o entrambe di queste situazioni siano verificate, in particolare nel caso di sistemi dinamici hamiltoniani. Ci` o culminer` a con l’enunciazione e la dimostrazione del cosiddetto teorema di Marsden-Weinstein. 1. Costanti del moto di un sistema dinamico Un primo passo per la risoluzione del sistema (1) pu` o essere quello di metterlo (se possibile, e mediante un opportuno cambio di coordinate) nella forma “ridotta” ˙ y a = Y a (y 1 ,...,y r ) (2) ˙ z b = Z b (y 1 ,...,y r ; z 1 ,...,z n-r ) (3) In questo caso si dice che si ` e effettuata una riduzione del sistema, poich´ e si ` e passati dalla risoluzione del sistema (1), a n incognite, alla risoluzione successiva del sistema (2), a r incognite, seguita dalla risoluzione del sistema (3), detto sistema residuo. Tale procedura usualmente semplifica lo studio del problema. Come precedentemente accennato, una possibilit` a in questa direzione si offre quando il sistema ammetta delle costanti del moto. Ci` o giustifica la seguente definizione. II.1

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Capitolo II

RIDUZIONI DI SISTEMI DINAMICI

Una classe importante di problemi della fisica matematica si riconduce alla risoluzione diun sistema di equazioni differenziali alle derivate ordinarie del primo ordine (per esempio,lo studio dell’evoluzione di un sistema meccanico). Possiamo scrivere un tale sistema nellaforma

(1) xi = Xi(x1, . . . , xn), i = 1, . . . , n

dove le x1(t), . . . , xn(t) sono le n funzioni incognite e xi = dxi

dt (abbiamo assunto che il sistemadi equazioni sotto esame sia autonomo, ovvero, che il membro di destra della (1) non contengat). In un contesto geometrico risolvere il sistema (1) significa, dato un campo vettoriale X,determinarne il flusso. Spesso la soluzione del problema risulta semplificata dal fatto di potertrovare delle quantita che si mantengono costanti “durante il moto”, ovvero, sono invariantisotto l’azione del flusso del campo vettoriale X. Un’altra situazione in cui la risoluzione delsistema viene semplificata si ha quando il campo vettoriale X sia invariante sotto un gruppodi trasformazioni.

In questo capitolo studieremo in un certo dettaglio la possibilita di semplificare (o, comesi dice usualmente, “ridurre”) il sistema (1) quando una o entrambe di queste situazionisiano verificate, in particolare nel caso di sistemi dinamici hamiltoniani. Cio culminera conl’enunciazione e la dimostrazione del cosiddetto teorema di Marsden-Weinstein.

1. Costanti del moto di un sistema dinamico

Un primo passo per la risoluzione del sistema (1) puo essere quello di metterlo (se possibile,e mediante un opportuno cambio di coordinate) nella forma “ridotta”

ya = Y a(y1, . . . , yr)(2)

zb = Zb(y1, . . . , yr; z1, . . . , zn−r)(3)

In questo caso si dice che si e effettuata una riduzione del sistema, poiche si e passati dallarisoluzione del sistema (1), a n incognite, alla risoluzione successiva del sistema (2), a r

incognite, seguita dalla risoluzione del sistema (3), detto sistema residuo. Tale procedurausualmente semplifica lo studio del problema.

Come precedentemente accennato, una possibilita in questa direzione si offre quando ilsistema ammetta delle costanti del moto. Cio giustifica la seguente definizione.

II.1

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II.2

Definizione 1.1. Un sistema dinamico e una coppia (V,X), dove V e una varieta differen-ziabile e X e un campo vettoriale su V . Una costante del moto di X e una funzione f : U → R(dove U e un aperto di V ) che e costante lungo le curve integrali di X.

Quindi, se ψt e il flusso di X, f e una costante del moto se f = f ψt identicamente int, o equivalentemente, X(f) = 0. Se U e contenuto propriamente in V , diciamo che f e unacostante del moto locale; in generale non e possibile estendere una costante del moto localead una globale (si noti tra l’altro come, per il teorema di raddrizzamento dei campi vettoriali,ogni sistema dinamico ammetta sempre n− 1 costanti del moto locali se n = dimV ).1

Esempio 1.2. Sia V = R2 − 0, con coordinate canoniche x1, x2, e si consideri il campovettoriale

X(x1, x2) =1

(x1)2 + (x2)2∂

∂x1+

2x1

(x1)2 + (x2)2∂

∂x2.

La funzione f = x2 − (x1)2 e una costante del moto. Posto per semplicita y2 = x1, y1 = f =x2 − (x1)2 il problema dell’integrazione di X si scrive

y1 = 0y2 =1

y22 + (y1 + y2

2)2

ed e pertanto facilmente risolubile.

Esempio 1.3. (Il flusso di Kronecker su T 2). Prendiamo V = T 2, con coordinate x, y, eX = α ∂

∂x + β ∂∂y , con α, β costanti. La funzione f definita sull’aperto di T 2 corrispondente

all’interno della cella fondamentale dalla condizione f(x, y) = βx − αy e una costante delmoto locale, ma non puo essere estesa a tutto T 2 a meno che α = β = 0 (f non e periodica).

Consideriamo il caso in cui α/β /∈ Q; allora le curve integrali di X sono dense in T 2. Inquesto caso non esistono costanti del moto f globali non banali (infatti se f e costante su unsottoinsieme denso allora e costante su tutto T 2). Piu in generale, per lo stesso argomentoun sistema dinamico che possiede almeno una costante del moto globale non banale non puoavere traiettorie dense.

Esempio 1.4. (Reticolo di Toda) E un sistema composto da n particelle di massa unitariache si muovono su una retta, sottoposte ad una interazione “fra primi vicini” data da unpotenziale di tipo esponenziale; se xi e la posizione dell’i-esima particella,

xi = −∂V∂xi

, V =n−1∑i=1

exi−xi+1

.

La dinamica del sistema si puo scrivere in forma hamiltoniana; la funzione di Hamilton e

H(x1, . . . , xn, y1, . . . , yn) = 12

n∑i=1

y2i +

n−1∑i=1

exi−xi+1

.

Ricordiamo che le equazioni di Hamilton sono

(4) yi = −∂H∂xi

, xi =∂H

∂yi.

1Ricordiamo che, dato un campo vettoriale X e un punto x ∈ V in modo che X(x) 6= 0, si possono scegliere

attorno a x coordinate locali x1, . . . , xn tali che X = ∂∂x1 . Le coordinate x2, . . . , xn sono pertanto costanti

(locali) del moto.

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II.3

Consideriamo la matrice simmetrica L avente la struttura

L(x, y) =(y1e

12(x1−x2)0e

12(x1−x2)y2e

12(x2−x3)0e

12(x2−x3)y3 . . . . . . . . . yn−1e

12(xn−1−xn)e

12(xn−1−xn)yn

)e la matrice antisimmetrica

A(x, y) =12

(0e

12(x1−x2)0− e

12(x1−x2)0e

12(x2−x3)0− e

12(x2−x3)0 . . . . . . . . . 0e

12(xn−1−xn) − e

12(xn−1−xn)0

)Un calcolo esplicito mostra che le equazioni (4) si possono scrivere nella forma (detta di Lax )

L = [L,A] .

Da questa e facile dedurre che le funzioni

Fk =1k

trLk

sono costanti del moto: infatti

Fk = tr(LLk−1) = tr([L,A]Lk−1) = tr(Lk A−ALk) = 0 .

Si noti che F1 = trL e la quantita di moto, mentre F2 e l’energia (cioe, F2 ≡ H). Sipuo dimostrare che le funzioni Fk sono in involuzione (Fi, Fk = 0 per ogni i, k) e, perk = 1, . . . , n, sono linearmente indipendenti.

Vediamo come in generale si possa operare il processo di riduzione qualora siano presenticostanti globali del moto. Sia (V,X) un sistema dinamico, e siano f1, . . . , fr costanti del motoglobali. Fissata una r-pla µ = (µ1, . . . , µr) ∈ Rr, consideriamo la “superficie di livello”

Sµ = x ∈ V | fi(x) = µi, i = 1, . . . , r .

Consideriamo l’applicazione

ψ : V → Rr, x 7→ (f1(x), . . . , fr(x)) .

Se i differenziali dfi sono linearmente indipendenti per ogni x ∈ Sµ (ovvero, se µ e un valoreregolare di ψ), allora esiste un intorno U di µ ∈ Rr tale che la restrizione di ψ su ψ−1(U) siauna summersione. Pertanto, Sµ e una sottovarieta regolarmente immersa in V di dimensionem = dimV − r. Su ψ−1(U) possiamo prendere coordinate locali y1, . . . , ym, z1, . . . , zr,con zi = fi. Poiche X(zi) = 0 (X e tangente a Sµ), in queste coordinate il problemadell’integrazione di X si scrive

(5) zi = 0, i = 1, . . . , ryj = Xj(y, z), j = 1, . . . ,m .

L’Esempio 1.2 mostra una situazione di questo tipo. Questo processo di riduzione viene spessodetto riduzione per restrizione.

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II.4

2. Simmetrie di un sistema dinamico

Una simmetria di un sistema dinamico (V,X) e un diffeomorfismo φ di V che trasformacurve integrali di X in curve integrali di X, ovvero,

(6) φ ψt = ψt φ

essendo ψt il flusso di X. Questa condizione equivale a φ∗(X) = X.

Un gruppo ad un parametro di simmetrie di (V,X) e un gruppo ad un parametro φs didiffeomorfismi di V ognuno dei quali e una simmetria di X, ovvero (equivalentemente)

(7) φs ψt = ψt φs o £YX = 0

essendo Y il generatore di φs.Un gruppo di simmetrie G di (V,X) e un gruppo di Lie con un’azione φ su V , tale che per

ogni g ∈ G il diffeomorfismo φg : V → V sia una simmetria di X. Sia g l’algebra di Lie di G.

Proposizione 2.1. Se (G,φ) e un gruppo di simmetrie di X, allora, dato Y ∈ g, vale[Y ∗, X] = 0, essendo Y ∗ il campo vettoriale fondamentale su V associato a Y . Viceversa, seG e un gruppo di Lie connesso con un’azione φ su V , e Y ∈ g e tale che [Y ∗, X] = 0, allora(G,φ) e un gruppo di simmetrie di (V,X).

Dimostrazione. La prima affermazione e di immediata verifica. Per dimostrare la seconda siusa il fatto che essendo G connesso esso e generato da un intorno della sua identita su cui expe surgettivo; inoltre, la condizione [Y ∗, X] = 0 implica φexp sY ψt = ψt φexp sY e pertantofornisce φg ψt = ψt φg.

Se (G,φ) e un gruppo di simmetrie di (V,X), la condizione φg ψt = ψt φg implica cheper ogni x in V valga ψt(Ox) ⊂ Oψt(x), ossia, il flusso di X manda orbite di G in orbite di G.Se il quoziente VG = V/G e una varieta differenziabile, cio significa che X induce un sistemadinamico “ridotto” su V/G (riduzione per proiezione); ovvero, esiste un campo vettoriale Xsu VG tale che X = π∗X, essendo π : V → VG la proiezione.2

In aggiunta all’assunzione che il quoziente VG = V/G sia una varieta differenziabile, sup-poniamo anche che l’azione di G sia libera. In questo caso le orbite di G sono sottova-rieta regolarmente immerse di dimensione r = dimG;3 possiamo introdurre coordinate localiy1, . . . , ym, z1, . . . zr “adattate alla orbite”, dove le z1, . . . , zr sono coordinate sulle orbite,e le y1, . . . , ym sono coordinate sul quoziente VG (si ha m = dimVG = dimV −r). In questecoordinate il problema dell’integrazione di X si scrive

yi = Xi(y1, . . . , ym)zj = Xj(y1, . . . , ym, z1, . . . zr) .

2Questa relazione va intesa nel senso π∗(X(x)) = X(π(x)) per ogni x ∈ V .3Le orbite di G in V sono regolarmente immerse perche sono chiuse in V (cfr. S. Helgason, Differential

geometry and symmetric spaces, Academic Press). Essendo l’azione libera, tutti i gruppi di isotropia Gx sono

banali, e pertanto ogni orbita e diffeomorfa a G; in particolare, dimOx = dim G. Si noti che al variare di

ξ ∈ g = Lie(G) i campi vettoriali fondamentali ξ∗ formano una distribuzione involutiva in V , le cui varieta

integrali massimali sono le orbite di G.

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II.5

Esempio 2.2. Si interpreti, alla luce della precedente discussione, il caso di un campo vettorialesu Rn che non dipenda da una coordinata. Qual e il gruppo di simmetria? Scrivere il sistemaridotto ed il sistema residuo.

Esempio 2.3. Si determinino le curve integrali del campo su V = R2 − 0

X(x1, x2) = − x1 + x2

(x1)2 + (x2)2∂

∂x1+

x1 − x2

(x1)2 + (x2)2∂

∂x2.

Si verifica facilmente che X ammette il gruppo di simmetria SO(2,R) con la sua azionenaturale su R2−0. La varieta quoziente e evidentemente la semiretta aperta (0,+∞), e laproiezione π e data da

(x1, x2) 7→ ρ =√

(x1)2 + (x2)2 .

Un sistema di coordinate adattato alle orbite e fornito dalle coordinate polari (ρ, θ), in cui ilproblema dell’integrazione di X si scrive

ρ = −1ρθ =

1ρ2.

3. Simmetrie di un sistema hamiltoniano

Sia (V, ω) una varieta simplettica. Ricordiamo che un simplettomorfismo di (V, ω) e undiffeomorfismo φ di V tale che φ∗ω = ω. La forma simplettica induce un isomorfismo difibrati vettoriali

T ∗V → TV, α 7→ Xα con α(Y ) = ω(Xα, Y ) per ogni Y ∈ TV .

Se α e una 1-forma esatta, α = df , il campo Xdf si dice il campo vettoriale hamiltonianoassociato alla funzione f ; quest’ultima e la funzione hamiltoniana di Xdf . Se α e chiusa, Xα

e detto localmente hamiltoniano; infatti ogni punto di V ha un intorno U su cui α = df , eXα|U e hamiltoniano.

Un gruppo ad un parametro di simplettomorfismi φt e un gruppo ad un parametro di dif-feomorfismi di V tale che per ogni t, φt sia un simplettomorfismo. I generatori dei gruppi ad unparametro di simplettomorfismi sono esattamente i campi vettoriali localmente hamiltoniani.

Proposizione 3.1. Sia X il campo vettoriale generatore di un gruppo φt ad un parametrodi diffeomorfismi di V . Le seguenti condizioni sono equivalenti.

(1) φt e un gruppo ad un parametro di simplettomorfismi.

(2) £Xω = 0.

(3) X e localmente hamiltoniano.

Dimostrazione. (1) ⇒ (2): segue da

£Xω =[d

dtφ∗tω

]t=0

= 0 .

L’implicazione opposta si ottiene dalla stessa formula, scritta per t generico: se £Xω = 0allora φ∗tω non dipende da t, ed essendo φ0 = idV , si ha φ∗tω = ω.

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II.6

(3) ⇒ (2): se X = Xα e localmente hamiltoniano, vale

£Xω = iXdω + d(iXω) = −dα = 0;

la stessa formula mostra che se £Xω = 0 allora d(iXω) = 0, per cui localmente iXω = −df ,ovvero, X e localmente hamiltoniano.

Nota 3.2. Non e in realta necessario assumere la completezza del campo vettoriale localmentehamiltoniano; in altri termini, il flusso di un campo vettoriale X e formato da simplettomor-fismi se e solo se X e localmente hamiltoniano (e se e solo se £Xω = 0).

Esempio 3.3. Sia V = R× S1 con la forma simplettica ω = dz ∧ dθ. Posto X = ∂∂z , Y = ∂

∂θ ,si ha £Xω = £Y ω = 0. Y e hamiltoniano, mentre X lo e solo localmente (nonostante lascrittura, la forma dθ su S1 non e esatta).

Esempio 3.4. (Trasformazioni canoniche puntuali) Siano V = T ∗Q il fibrato cotangente di unavarieta differenziabile Q, con proiezione canonica π : T ∗Q → Q, e sia θ la forma di Liouvillesu T ∗Q. (Ricordiamo che questa e definita dalla condizione < X, θ >α = < π∗X,α > perogni α ∈ T ∗Q e ogni X ∈ TαT ∗Q. In coordinate locali fibrate x1, . . . , xn, y1, . . . , yn si haθα = pi(dqi)α se x = π(α) e α = pi(dqi)x). La 2-forma ω = dθ e una forma simplettica suT ∗Q.

Sia Y il generatore di un gruppo ad un parametro ψs di diffeomorfismi di Q. Possiamodefinire un “sollevamento” di ψs su T ∗Q; questo e il gruppo ad un parametro Ψs didiffeomorfismi

(8) Ψs(α) = ψ∗−sα .

Si ha un diagramma commutativo

T ∗QΨs−−−−→ TQ

π

y yπQ

ψs−−−−→ Q

Sia X il generatore di Ψs. Dimostriamo che £Xθ = 0 facendo il calcolo in coordinate localifibrate4 x1, . . . , xn, y1, . . . , yn di T ∗Q. Se Y = Y i ∂

∂xi dalla definizione (8) si ottiene

X = Y i ∂

∂xi− ∂Y k

∂xiyk

∂yi

e pertanto

£Xθ = iXdθ + d(iXθ) = −Y i dyi −∂Y k

∂xiyk dx

i + d(Y i yi) = 0 .

Di conseguenza, £Xω = 0, il campo X e localmente hamiltoniano, e Ψs e un gruppo disimplettomorfismi di T ∗Q. In realta X e anche hamiltoniano. Infatti

iXω = £Xθ − d(iXθ)

per cui X = Xdf con f = −iXθ = −yi Y i.

4Alternativamente si puo dimostrare direttamente che Ψ∗sθ = θ dalla definizione intrinseca di θ.

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II.7

Definizione 3.5. Un sistema dinamico hamiltoniano e una tripla (V, ω,X), dove V e unavarieta differenziabile, ω una forma simplettica su V , e X e un campo vettoriale hamiltonianosu V .

Proposizione 3.6. Sia (V, ω,X) un sistema dinamico hamiltoniano. (1) Una funzione f suV e una costante del moto per XdH se e solo se f, H = 0. (2) Ogni simplettomorfismo φdi (V, ω) che lasci invariante H — ovvero, tale che H φ = H — e una simmetria di XdH .

Dimostrazione. (1) f, H = 0 equivale a XdH(f) = 0.

(2) Per ogni funzione g su V vale

(φ∗XdH)(g) = XdH(g φ) φ−1 = g φ, H φ−1 = g, H φ−1 = g, H = XdH(g) .

Proposizione 3.7. (Teorema di Noether) Sia (V, ω,XdH) un sistema dinamico hamiltoniano;sia f una funzione su V , e sia φs il flusso di Xdf .5 La famiglia φs lascia invariato H

(ovvero H φs = H per ogni s) se e solo se f, H = 0.

Dimostrazione. La condizione H φs = H equivale a[d

dsH φs(x)

]s=0

= 0 per ogni x ∈ V.

Essendo[ddsH φs

]s=0

= Xdf (H) = f, H si ha la tesi.

In conseguenza del teorema di Noether, ad ogni costante del moto f di XdH e associatoun “gruppo locale” di simmetria di XdH ; il gruppo e “globale” se Xdf e completo. Viceversa,sia φs un gruppo ad un parametro di simplettomorfismi che preservano H (il che per ilpunto (2) della Proposizione 3.6 implica che φs e un gruppo di simmetria di XdH). Allorail generatore X di φs e localmente hamiltoniano, ovvero, localmente vale X = Xdf , e dalteorema di Noether segue che f e una costante del moto locale; se X e hamiltoniano, f e unacostante del moto globale.

Esempio 3.8. Con riferimento all’esempio 3.4, la funzione f = −iXθ e una costante del motoper XdH se e solo se Ψs lascia invariata H, ovvero, H Ψ = H.

Esempio 3.9. (Coordinate cicliche) Supponiamo che Q ammetta una carta globale con coor-dinate q1, . . . , qn, e sia ψs : Q→ Q dato da

ψs(q1, . . . , qn) = (q1, . . . , qk + s, . . . , qn)

per un k fissato. Il sollevamento Ψs di ψs a T ∗Q e un gruppo di simplettomorfismi ilcui generatore e hamiltoniano, con funzione hamiltoniana f(q, p) = pk (stiamo denotando conq1, . . . , qn, p1, . . . , pn un sistema di coordinate fibrate su T ∗Q). Per il teorema di Noether,f e una costante del moto se e solo se H non dipende da qk. In particolare in quest’ambitosi formalizza l’invarianza per traslazioni e rotazioni di un sistema meccanico.

5Gia sappiamo che i diffeomorfismi φs sono simplettomorfismi di (V, ω).

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II.8

Esempio 3.10. Sia Q = R3, con coordinate canoniche (q1, q2, q3). Le rotazioni attorno all’asseq3 costituiscono un gruppo ad un parametro di diffeomorfismi di Q, descritto da

ψs :(q1q2q3

)7→ (cos s sin s0− sin s cos s0001)

(q1q2q3

)Posto in coordinate (q, p) = Ψ(q, p), si ha qk = ψk(q), pk = (J−1)ikpi, con J ik =

∂ψi

∂qk.

Essendo ψs lineare e J ortogonale, si ha

(p1p2p3) 7→ (cos s sin s0− sin s cos s0001) (p1p2p3) .

Il generatore di Ψs e hamiltoniano con funzione hamiltoniana f(q, p) = p1q2− p2q

1 (coinci-dente con la proiezione del momento angolare lungo l’asse q3). Il teorema di Noether affermache f e una costante del moto per XdH se e solo se H e invariante per rotazioni attornoall’asse q3.

4. Dalle costanti del moto alle simmetrie

Sia (V,XdH) un sistema dinamico hamiltoniano che ammette costanti del moto f1, . . . , fr,e supponiamo che ogni campo hamiltoniano Xdfi

sia completo. Per il teorema di Noethersi hanno r gruppi ad un parametro di simmetrie di XdH . Vogliamo da questi costruire ungruppo G di simmetrie di XdH . A questo scopo faremo un’ipotesi.

Se calcoliamo la parentesi di Poisson fi, fk di due costanti del moto otteniamo unaulteriore costante del moto, in conseguenza dell’identita di Jacobi:

fi, fk, H = −H, fi, fk − fk, H, fi = 0

(o, equivalentemente, perche il commutatore dei campi hamiltoniani Xdfie Xdfk

e anch’essohamiltoniano, con funzione hamiltoniana fi, fk). Aggiungiamo alle funzioni f1, . . . , fr tuttele funzioni fi, fk, i, k = 1, . . . , r, e iteriamo questo procedimento — ottenendo cosı un nuovoinsieme di costanti del moto, f1, . . . , fm, con m ≥ r — sino a che sia vero il seguente fatto:esistono costanti cijk e σij , i, j, k = 1 . . .m, tali che

fj , fk = cijk fi + σjk.

Stiamo evidentemente assumendo che cio avvenga dopo un numero finito di iterazioni.

Dati ξ = (ξ1, . . . , ξm), η = (η1, . . . , ηm) ∈ Rm poniamo

fξ =m∑i=1

ξi fi, [ξ, η]k = ckij ξi ηj , σ(ξ, η) = σij ξ

i ηj .

Si ha cosı fξ : V → R, [ξ, η] ∈ Rm, σ(ξ, η) ∈ R. La (4) si riscrive

fξ, fη = f[ξ,η] + σ(ξ, η) ,

e l’identita di Jacobi implica

(9) [[ξ, η], θ] + [[θ, ξ], η] + [[η, θ], ξ] = 0

(10) σ([ξ, η], θ) + σ([θ, ξ], η) + σ([η, θ], ξ) = 0 .

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II.9

L’equazione (9) esprime il fatto che g = (Rm, [ , ]) e un’algebra di Lie; la (10) invece affermache σ e un 2-cociclo di tale algebra. I corrispondenti campi vettoriali hamiltoniani verificanola condizione

[Xdfξ, Xdfη ] = Xdfξ, fη = Xdf[ξ,η]

;

in altri termini, si ha un omomorfismo di algebre di Lie

(11) g→ X(V ).

Si dice che cio definisce un’azione dell’algebra g su V .

SiaG un gruppo di Lie connesso avente algebra di Lie g.6 In generale un’azione di g su V non“si esponenzia” ad un’azione di G. Supponiamo comunque che cio accada; piu precisamente,assumiamo che esista un’azione destra7 φ di G su V in modo che la corrispondenza ξ 7→ ξ∗,che ad ogni ξ ∈ g associa il corrispondente campo vettoriale fondamentale su V , coincida conl’omomorfismo (11).

Proposizione 4.1. Il gruppo G costruito sotto queste ipotesi, con l’azione φ, e un gruppo disimplettomorfismi di (V, ω) che lascia H invariata.

Dimostrazione. Fissato ξ ∈ g, il campo vettoriale ξ∗ = Xdfξe hamiltoniano, e fξ e una

costante del moto di XdH (cio a causa delle ipotesi enunciate all’inizio del paragrafo). Per ilteorema di Noether, la famiglia φexp sξs∈R e un gruppo ad un parametro di simplettomorfismiche lascia H invariata. Essendo G connesso, lo stesso vale per ogni φg.

6Un tale gruppo esiste sempre. Se g non ha centro il gruppo G si puo costruire facilmente. Il nucleo

dell’applicazione ad: g → End(g), ad(ξ)(η) = [ξ, η], e proprio il centro di g, per cui ad e iniettiva. Si definisce

allora G come l’immagine in Aut(g) della composizione

gad−→ End(g)

exp−→ Aut(g) .

Se invece il centro di g non e banale la costruzione di G e piu complicata.7La scelta dell’azione destra segue da questo fatto: se G e un gruppo di Lie che agisce da destra su una

varieta differenziabile V , allora l’applicazione lineare

g → X(V ), ξ 7→ ξ∗

e un omomorfismo di algebre di Lie. Infatti, se ξ, η ∈ g, ed f e una funzione su V , vale

[ξ∗, η∗](f) =

»d

ds

d

dt(f(ρexp sη(ρexp tξ(x))− f(ρexp tξ(ρexp sη(x)))

–(s=t=0)

=

»d

ds

d

dt(f(ρexp tξ exp sη(x))− f(ρexp sη exp tξ(x)))

–(s=t=0)

.

Essendo

(12) exp sη exp tξ = exp(sη + tξ + 12st[ξ, η] + O(t, s)2)

si ottiene

[ξ∗, η∗](f) =

»d

ds

d

dtf(ρexp st[ξ,η](x))

–(s=t=0)

= [ξ, η]∗(f) .

L’equazione (12) e un troncamento della cosiddetta formula di Baker-Campbell-Hausdorff, cfr. V.S. Varada-

rajan, Lie groups, Lie algebras, and their representations, Springer-Verlag. Si puo facilmente provare la (12)

quando G non ha centro, cosicche mediante la rappresentazione aggiunta G stesso puo essere pensato come un

gruppo di matrici. Ci si puo quindi ridurre alla situazione G = Gl(n, R), nel qual caso la formula e elementare.

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II.10

Esempio 4.2. Sia Q = R3, V = T ∗Q ' R6 con coordinate canoniche (q1, q2, q3, p1, p2, p3),dotato della forma simplettica canonica. Sia H(q, p) una qualunque funzione C∞ dellequantita

3∑i=1

(qi)2,3∑i=1

(pi)2,3∑i=1

qi pi .

Le funzioni f1 = −p2q3 + p3q

2, f2 = −p3q1 + p1q

3 sono costanti del moto. Anche f3 =f1, f2 = p1q

2 − p2q1 e una costante del moto. Non e possibile pero generare altre costanti

del moto, in quanto f1, f3 = −f2 e f2, f3 = f1. Queste costanti del moto soddisfanopertanto la condizione della precedente discussione, con σ = 0 e cijk = εijk (il simbolo diLevi-Civita a tre indici). L’algebra di Lie generata dalle costanti del moto fi coincide quindicon l’algebra o(3,R). Si una cosı un’azione di o(3,R) su R6, data da

ξ 7→ fξ =3∑i=1

ξi fi 7→ Xdfξ=∂fξ∂qi

∂pi−∂fξ∂pi

∂qi.

In particolare,

ξ = (0, 0, 1) 7→ f3 7→ Xdf3 = q2∂

∂q1− q1 ∂

∂q2+ p2

∂p1− p1

∂p2.

Questa azione si esponenzia ad un’azione di SO(3,R) su R6, ed allora coincide con il solle-vamento a R6 ≡ T ∗R3 dell’azione destra di SO(3,R) su R3 data da (R, q) 7→ Rq. Il gruppoSO(3,R) agisce mediante simplettomorfismi che preservano H.

5. Dalle simmetrie alle costanti del moto: l’applicazione momento

Un’azione φ di un gruppo di Lie su una varieta simplettica V con forma simplettica ω

e detta simplettica se ogni φg e un simplettomorfismo. Cio implica che per ogni ξ ∈ g lafamiglia φexp sξs∈R e un gruppo ad un parametro di simplettomorfismi, ed il campo vettorialefondamentale ξ∗ su V e localmente hamiltoniano. Supponiamo che esso sia hamiltoniano, confunzione hamiltoniana fξ.8 Per ogni ξ la funzione fξ e definita a meno di una costante seV e connesso (se V non e connesso si ha una costante additiva arbitraria diversa su ognicomponente connessa di V ). E pertanto necessario imporre delle condizioni per eliminarequesta ambiguita; per esempio, scelto un punto xi in ogni componente connessa Vi di V , sipuo imporre fξ(xi) = 0 per ogni ξ ∈ g.

Per ogni x ∈ V definiamo un’applicazione

Jx : g→ R, Jx(ξ) = fξ(x) .

Questa e lineare; infatti fcξ = cfξ. Una conveniente descrizione di questa applicazione si hascegliendo una base ξ1, . . . , ξm di g; allora

(13) Jx =m∑i=1

fξi(x) Ξi ,

8Cio accade automaticamente se il primo gruppo di coomologia di de Rham di V e nullo, in particolare se

V e semplicemente connessa.

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II.11

essendo Ξ1, . . . ,Ξm la base duale di g∗.

Abbiamo in questo modo costruito un’applicazione differenziabile J : V → g∗, che percostruzione soddisfa la seguente condizione: se φ e un’azione simplettica di un gruppo diLie G su V , tale che i suoi campi vettoriali fondamentali siano hamiltoniani, la funzionefξ : V → R, fξ(x) =< ξ, J(x) >, e la hamiltoniana di ξ∗. Chiameremo applicazione momentoogni applicazione differenziabile J : V → g∗ soddisfacente questa condizione.

Se µ ∈ g∗ e un elemento fissato, e J e una applicazione momento, allora J ′ = J + µ

(ovvero, J ′(x)(ξ) = J(x)(ξ)+ < ξ, µ >) definisce un’altra applicazione momento (cio cam-bia la costante additiva arbitraria delle costanti del moto fξ). Viceversa, se J ′ e un’al-tra applicazione momento, allora esiste µ ∈ g∗ tale che J ′ = J + µ; infatti l’applicazioneξ → f ′ξ(x) − fξ(x) ∈ R non dipende da x ed e lineare, quindi determina un elemento µ ∈ g∗

tale che < ξ, µ > = f ′ξ(x)− fξ(x).Se H e una funzione invariante per l’azione di G, ovvero, H = H φg per ogni g ∈ G, allora

J e una costante del moto di XdH (a valori in g∗), in quanto ogni fξi e una costante del moto.

Esempio 5.1. Sia G un gruppo di Lie che agisce su una varieta differenziabile Q con un’a-zione φ. Per ogni elemento g ∈ G si ha un diffeomorfismo φg : Q → Q, il quale induce undiffeomorfismo

Φg : T ∗Q→ T ∗Q, Φg(α) = φ∗g−1α,

definendo cosı un “sollevamento” dell’azione di G su T ∗Q. Per ogni ξ ∈ g, sia Xξ il campovettoriale fondamentale dato da questa azione. Si ha una situazione come nell’Esempio 3.4; ilcampo Xξ e hamiltoniano, con funzione hamiltoniana fξ = −iXξ

(θ). l’applicazione momentoe data da

< ξ, J(α) > = −< Xξ, θ >α

con α ∈ T ∗Q. Definita per ogni α ∈ T ∗Q l’applicazione

Φα : G→ T ∗Q, Φα(g) = Φg(α) ,

si ha Xξ(α) = (Φα)∗(ξ), e

< ξ, J(α) > = −< (Φα)∗(ξ), θ > = −< ξ, (Φα)∗(θ) >

da cui J(α) = −(Φα)∗(θ).

Avremmo anche potuto scrivere le costanti del moto fξ nella forma (equivalente alla prece-dente) fξ(α) = −< Yξ(x), α >, essendo Yξ il campo vettoriale fondamentale dato dall’azionedi G su Q, e x il punto di applicazione di α in Q. In questo caso avremmo ottenuto la scritturaJ(α) = −(φx)∗(α), essendo adesso φx : G→ Q dato da φx(g) = φ(g, x).

Piu concretamente, possiamo scrivere l’applicazione momento usando l’equazione (13); fis-sata una base ξ1, . . . , ξm di g, e detto Y(i) il generatore di φexp sξi, in coordinate localifibrate q1, . . . , qn, p1, . . . , pn si ha fξi = −pj Y j

(i), e pertanto

J(q, p) = −m∑i=1

pjYj(i)(q) Ξi

essendo Ξ1, . . . ,Ξm la base duale di g∗.

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II.12

Esempio 5.2. Consideriamo il gruppo delle traslazioni Rn che agisce su Q = Rn medianteq 7→ q − a. In questo caso φq : Rn → Q e dato da φq(a) = q − a, per cui (φq)∗ = id, eJ(q, p) = p; l’applicazione momento e la quantita di moto.

Esempio 5.3. Prendiamo Q = Rn, V = T ∗Q, G un sottogruppo di Gl(n,R), con l’azionedestra (M, q) 7→ Mq (denotiamo q = (q1, . . . , qn) gli elementi di Rn, visti come vettori colonna.Alternativamente, se i punti di Rn vengono visti come vettori riga, l’azione si scrive (M, q) 7→qM). Allora per ogni ξ ∈ g vale ξ∗(x) = ξx, e quindi < ξ, J(q, p) > = −< p, ξ∗(q) > = −p ξ q.Se n = 3 e G = SO(3,R), denotato ξ 7→ ωξ l’usuale isomorfismo o(3,R) ∼→ R3, si ha ξ q =ωξ ∧ q. Denotando inoltre “·” il prodotto scalare standard in R3, si ha

< ξ, J(q, p) > = p ξ q = p · ωξ ∧ q = ωξ · q ∧ p ,

da cui J(q, p) = q ∧ p: l’applicazione momento e il momento angolare.

Azioni poissoniane. Sia φ un’azione simplettica di un gruppo di Lie G su una varietasimplettica (V, ω), e sia J un’applicazione momento. Per ogni ξ ∈ g il campo vettorialefondamentale ξ∗ e hamiltoniano, con funzione hamiltoniana fξ(x) = < ξ, J(x) >.

Definizione 5.4. L’azione φ e poissoniana se e possibile scegliere J in modo che fξ, fη =f[ξ,η].

L’applicazione g→ F(V ), ξ 7→ fξ diventa cosı un omomorfismo di algebre di Lie.

Esempio 5.5. (Un’azione simplettica non poissoniana) V = R2, ω = dx1∧dx2; G = R2 agiscesu V per traslazioni. I campi vettoriali fondamentali sono

ξ∗ = ξ1∂

∂x1+ ξ2

∂x2.

Si ha iξ∗ω = ξ1 dx2 − ξ2 dx1 e quindi la funzione hamiltoniana di ξ∗ ha la forma fξ =ξ1 x2 − ξ2 x1 + c(ξ), dove c : g → R e una funzione differenziabile. L’azione di G e infattisimplettica, e le possibili applicazioni momento sono del tipo

J(x1, x2) = (x2 + µ1,−x1 + µ2), µ ∈ R2 .

Esiste un 2-cociclo non nullo, dato da

σ(ξ, η) = fξ, fη − f[ξ,η] = −ξ1η2 + ξ2η1 .

Proposizione 5.6. Il sollevamento a T ∗Q dell’azione di un gruppo di Lie G su Q e un’azionepoissoniana.

Dimostrazione. Per ogni ξ ∈ g denotiamo con ξ∗ il campo fondamentale associato all’azionedi G su Q e ξ∗ il suo sollevamento a T ∗Q. Quest’ultimo e hamiltoniano, ovvero, ξ∗ = Xdfξ

per una funzione fξ : T ∗Q→ R. Si ha fξ, fη = ω(Xdfξ, Xdfη) con fξ(α) = −< α, ξ∗(q) > se

q = π(α) (ξ∗ e il campo fondamentale su Q). Inoltre dalla formula di Cartan

ω(X,Y ) = dθ(X,Y ) = X(< Y, θ >)− Y (< X, θ >)− < [X,Y ], θ >

= < Y,£Xθ >−< X,£Y θ >+< [X,Y ], θ >

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II.13

essendo £Xdfξθ = £Xdfη

θ = 0 abbiamo

fξ, fη(α) = −< [Xdfξ, Xdfη ], α > = −< Xdf[ξ,η]

, α > = f[ξ,η](α) .

Proposizione 5.7. Sia φ un’azione poissoniana di un gruppo di Lie connesso G su unavarieta simplettica (V, ω), e sia J un’applicazione momento che annulla il cociclo σ. AlloraJ e Ad∗-equivariante, nel senso che per ogni g ∈ G il seguente diagramma e commutativo:

Vφg−−−−→ V

J

y yJg∗

Ad∗g−−−−→ g∗

Viceversa, se J e un’applicazione momento Ad∗-equivariante, e fξ(x) = < ξ, J(x) >, allorafξ, fη = f[ξ,η]; ovvero, un’azione simplettica che ammette un’applicazione momento Ad∗-equivariante e poissoniana.

Dimostrazione. La condizione di Ad∗-equivarianza di J equivale a

< ξ, J φg(x) > = < ξ,Ad∗g J(x) > = < Adg ξ, J(x) >

e pertanto J e Ad∗-equivariante se e solo se fξ φg = fAdgξ per ogni ξ ∈ g, g ∈ G. Questaaffermazione e equivalente a fξ φexp sη = fAdexp(sη) ξ per ogni ξ, η ∈ g, s ∈ R, ovvero,[

d

dsfξ φexp sη

]s=0

=[d

dsfAdexp(sη) ξ

]s=0

;

ma il membro di sinistra di questa uguaglianza e Xdfη(fξ) = −fξ, fη, mentre il membro didestra e fadη ξ = −f[ξ,η].

Esempio 5.8. Verifichiamo l’Ad∗-equivarianza dell’applicazione momento nel caso del solleva-mento a T ∗Q dell’azione di un gruppo di Lie G su una varieta Q. Usiamo le stesse notazionidella Proposizione 5.6. Valgono per ogni ξ ∈ g e ogni α ∈ T ∗Q le implicazioni

J Φg(α) = Ad∗g J(α) ⇐⇒ < ξ, J Φg(α) > = < Adg ξ, J(α) >

⇐⇒ < Xdfξ, θ >Φg(α) = < XdfAdg ξ

, θ >α

Ma (Φg)∗Xdfξ= XdfAd

g−1 ξ,9 e quindi il secondo membro dell’ultima equazione e

< (Φg)∗Xdfξ, θ >α = < Xdfξ

,Φ∗g−1θ >Φg(α) = < Xdfξ

, θ >Φg(α) .

9Si ha infatti

(Φg)∗Xdfξ =

»d

dsΦg Φexp sξ(α)

–s=0

=

»d

dsΦ(exp sξ)g(α)

–s=0

.

Definita l’applicazione

Φα : G → T ∗Q, Φα(g) = Φg(α)

vale ξ∗(α) = (Φα)∗(ξ), e pertanto

(Φg)∗Xdfξ (α) =

»d

dsΦα Rg(exp sξ)

–s=0

= (Φα)∗(Rg)∗ ξ

= (Φα)∗(Rg)∗(Lg−1)∗ ξ = (Φα)∗Adg−1 ξ = XdfAdg−1 ξ (α) .

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II.14

6. Riduzione di sistemi hamiltoniani

Iniziamo con alcuni esempi.

Esempio 6.1. (Variabili cicliche) Prendiamo Q = Rn, T ∗Q ' R2n con coordinate q1, . . . , qn,p1, . . . , pn e forma simplettica ω = dpi ∧ dqi. Sia H una funzione che non dipende da r dellecoordinate q, per esempio q1, . . . , qr. Allora le funzioni p1, . . . , pr sono costanti del moto (ininvoluzione, ovvero pi, pk = 0 per i, k = 1, . . . , r). Il corrispondente gruppo di simmetria eil gruppo delle traslazioni G = Rr che agisce su Q secondo

φa(q1, . . . , qn) = (q1 − a1, . . . , qr − ar, qr+1, . . . , qn) se a = (a1, . . . , ar).

Vogliamo studiare la riduzione di questo sistema. Un primo passo e la restrizione delsistema alla sottovarieta

Sµ = (q, p) ∈ R2n | pi = µi, i = 1, . . . , r .

Il campo vettoriale XdH e tangente a Sµ, avendo la forma

XdH =n∑

α=r+1

∂H

∂qα∂

∂pα−

n∑i=1

∂H

∂pi

∂qi

e induce pertanto un campo vettoriale Xµ su Sµ. Il sistema ristretto a Sµ si scrive

qi =∂H

∂pi(qr+1, . . . , qn, µ1, . . . , µr, pr+1, . . . , pn) i = 1, . . . , npα = − ∂H

∂qα(qr+1, . . . , qn, µ1, . . . , µr, pr+1, . . . , pn) α = r+1, . . . , n

mentre il sistema residuo si riduce a pj = 0, j = 1, . . . , r. Secondo passo: il gruppo delle

traslazioni G agisce su Sµ ed e un gruppo di simmetrie di Xµ. Lo spazio quoziente Vµ =Sµ/G e un iperpiano sul quale le funzioni qr+1, . . . , qn, pr+1, . . . , pn formano un sistema dicoordinate. Il campo vettoriale Xµ induce su Vµ un campo vettoriale hamiltoniano la cuifunzione hamiltoniana e

Hµ(qr+1, . . . , qn, pr+1, . . . , pn) = H(qr+1, . . . , qn, µ1, . . . , µr, pr+1, . . . , pn) ;

il sistema ridotto e ora

(14) qα =∂Hµ

∂pαpα = −∂Hµ

∂qα, α = r + 1, . . . , n .

Il sistema residuo e ora dato da

qj =∂H

∂pj(qr+1, . . . , qn, µ1, . . . , µr, pr+1, . . . , pn) , pj = 0, j = 1, . . . , r .

Possiamo notare che

(i) La varieta Vµ e simplettica: su di essa si puo definire la forma simplettica

ωµ =n∑

α=r+1

dpα ∧ dqα .

Inoltre il sistema ridotto (14) e hamiltoniano.

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II.15

(ii) L’esistenza di r costanti del moto (oppure l’esistenza di un gruppo di simmetria r-dimensionale) permette di ridurre l’ordine del sistema di 2r unita.

(iii) Una volta risolto il sistema ridotto, il sistema residuo si integra per quadrature, inquanto le funzioni ∂H

∂pjnon dipendono dalle qj (j = 1, . . . , r).

Esempio 6.2. Sia (V, ω,XdH) un sistema dinamico hamiltoniano, e f una sua constante delmoto. Assumiamo che Xdf sia completo. Se µ ∈ R e un punto regolare di f , l’insiemeSµ = f−1(µ) e una sottovarieta regolarmente immersa di V . Il campo XdH e tangente a Sµ(essendo f, H = 0), ed induce un campo Xµ su Sµ.

D’altra parte essendo Xdf completo il gruppo ad un parametro ψs da esso generato daluogo ad un’azione di R su V , che per il teorema di Noether e un gruppo di simmetrie diXdH . l’applicazione momento coincide con f (si noti che g∗ ' R, e l’azione di R e ovviamentepoissoniana). Ogni diffeomorfismo ψs lascia Sµ invariata (Xdf (f) = 0), e pertanto ψs induceun gruppo ad un parametro ψµs di diffeomorfismi di Sµ.

Se supponiamo che quest’azione sia libera e propria, il quoziente Vµ = Sµ/R e una varietadifferenziabile, ed il campo vettoriale Xµ si proietta sul quoziente.

La varieta Vµ e simplettica; possiamo infatti scegliere (localmente) in V coordinate simplet-tiche q1, . . . , qn, p1, . . . , pn tali che p1 = f . In queste coordinate ψs e descritto dall’equazione

ψs(q1, . . . , qn, p1, . . . , pn) = (q1 − s, q2 . . . , qn, p1, . . . , pn) .

Le funzioni q2, . . . , qn, p2, . . . , pn sono allora coordinate su Vµ, e la forma

ωµ =n∑i=2

dpi ∧ dqi

e simplettica.

Localmente siamo nella stessa situazione dell’esempio precedente, e valgono le stesse con-clusioni. Notiamo che, dette ιµ : Sµ → V l’inclusione e πµ : Sµ → Vµ la proiezione, la formasimplettica ωµ verifica la condizione π∗µωµ = ι∗µω.

Esempio 6.3. Prendiamo V = R4 con coordinate canoniche q1, q2, p1, p2, ω = dp1 ∧ dq1 +dp2∧dq2, H = 1

2(p21+p2

2)+V (q1−q2) (questa e la funzione hamiltoniana di due particelle che simuovono su una retta soggette ad una forza conservativa che dipende solo dalla loro posizionerelativa). La funzioneH e invariante per il gruppo di trasformazioni ψs : (q1, q2, p1, p2) 7→ (q1−s, q2 − s, p1, p2) il cui generatore X = − ∂

∂q1− ∂

∂q2e hamiltoniano, con funzione hamiltoniana

f = p1 + p2; questa e una costante del moto (fisicamente, la quantita di moto totale delsistema). Dal precedente esempio sappiamo che e possibile ridurre di due unita l’ordine delsistema; cio si ottiene introducendo la nuove coordinate simplettiche

q1 = q1, q2 = q2 − q1, p1 = p1 + p2, p2 = p2

che “raddrizzano” X, in quanto X = − ∂∂q1

. In queste variabili H non dipende da q1,

H = p22 − p1p2 + 1

2 p21 + V (−q2) .

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II.16

Il sistema delle equazioni di Hamilton si spezza in

˙q2 = 2p2 − p1, ˙p2 =∂V

∂q2, (sistema ridotto)

˙q1 = p1 − p2, p1 = µ = costante (sistema residuo) .

Una volta risolto il sistema ridotto il sistema residuo si integra direttamente:

q1(t) = −∫p2(t) dt+ µ1 t .

Esercizio 6.4. E utile notare che il sistema del precedente Esempio si puo studiare anche senzaintrodurre coordinate simplettiche. Rifare dunque i calcoli usando le coordinate

p = p1 + p2, q = q1, y = p1, r = q1 − q2 .

Esempio 6.5. Siano V = R4 con coordinate canoniche q1, q2, p1, p2, ω = dp1∧dq1+dp2∧dq2,H = f(p2, p1e

q2). La funzione H e invariante sotto l’azione di R2 data da

ψs,t(q1, q2, p1, p2) = (q1 − s, q2 + t, p1e−t, p2) .

Il campo fondamentale t∗ = ∂∂q2− p1

∂∂p1

, e la 1-forma corrispondente e −p1dq1− dp1, che non

e chiusa. t∗ non e localmente hamiltoniano, e l’azione non e simplettica. La funzione H eanche invariante sotto l’azione φ di R2 data da10

(15) φs,t(q1, q2, p1, p2) = (q1et + s, q2 + t, p1e−t, p2) .

In questo caso i campi fondamentali

s∗ =∂

∂q1e t∗ = q1

∂q1+

∂q2− p1

∂p1

sono hamiltoniani, e l’azione φ e simplettica. Le costanti del moto associate a questa simmetriasono f1 = −p1q

1 − p2, f2 = −p1; si ha f1, f2 = −f2, e quindi l’azione e poissoniana.

Introduciamo nuove coordinate

q1 = p1q1 + p2, q2 = q2 + log p1, p1 = log p1, p2 = p2 .

Il calcolo diretto mostra che

dp1 ∧ dq1 + dp2 ∧ dq2 = ω ,

ovvero, le nuove coordinate sono simplettiche. La funzione H dipende solo da q2 e p2: leequazioni di Hamilton si scrivono adesso

q1 = µ1 = costante, p1 = µ2 = costante, ˙q2 =∂H

∂p2, ˙p2 = −∂H

∂q2.

Sia Sµ, con µ = (µ1, µ2), la superficie di equazione q1 = µ1, p1 = µ2. I campi fondamentalis∗, t∗ non sono tangenti a Sµ, il che significa che l’azione (15) non preserva Sµ.

10In realta non e il gruppo R2 che agisce, in quanto, come si puo verificare direttamente, e come vedremo

sotto, questa azione non e abeliana. Si tratta quindi dell’azione di un gruppo di Lie G diffeomorfo (ma non

isomorfo come gruppo) a R2.

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II.17

Esercizio 6.6. Con riferimento al precedente esempio, si consideri il quoziente di V sottol’azione (15). In questo caso conviene considerare coordinate u, v, p1, p2, con

u = p1eq2 , v = p1q

1 + p2 .

(Attenzione: queste coordinate non sono simplettiche!) Le funzioni (u, p2) sono coordinatesul quoziente W . Dimostrare che il campo vettoriale XdH si proietta su W , mentre i campis∗ e t∗ non proiettano.

Si caratterizzi inoltre il gruppo G la cui azione e data dalla formula (15).

Sulla base di questi esempi discuteremo ora un risultato riguardante la riduzione di sistemihamiltoniani in presenza di un’azione poissoniana. Sia (V, ω) una varieta simplettica e φ

un’azione poissoniana di un gruppo di Lie G su V . Per definizione φ ammette un’applicazionemomento J Ad∗-equivariante. Sia µ un fissato elemento di g∗ e sia Sµ = J−1(µ). Supponendoche µ sia un valore regolare di J , il sottoinsieme Sµ ⊂ V e una sottovarieta regolarmenteimmersa. Come abbiamo visto nel precedente esempio, non e detto che φ lasci Sµ invariata,in quanto in generale l’azione del gruppo cambia il valore di µ. Introduciamo allora il gruppodi isotropia di Sµ rispetto all’azione coaggiunta,

Gµ = g ∈ G | Ad∗g µ = µ .

Poiche Gµ = χ−1µ (µ), essendo χµ : G→ g∗ l’applicazione χµ(g) = Ad∗g µ, Gµ e un sottogruppo

chiuso di G, ed e pertanto un gruppo di Lie. Per la Ad∗-equivarianza di J si ha φg(Sµ) ⊂Sµ se g ∈ Gµ (infatti se x ∈ Sµ vale J(φg(x)) = Ad∗g J(x) = Ad∗g µ = µ); cio definisceun’applicazione differenziabile Gµ × Sµ → Sµ, che e un’azione φµ di Gµ su Sµ. Supponiamoinfine che quest’azione sia libera e propria, in modo che il quoziente Vµ = Sµ/Gµ sia unavarieta differenziabile. La dimensione di Vµ e

(16) dimVµ = dimSµ − dimGµ = dimV − dimG− dimGµ .

Siano ιµ : Sµ → V l’immersione della sottovarieta Sµ, e πµ : Sµ → Vµ la proiezione sullo spazioquoziente.

Proposizione 6.7. (Teorema di Marsden-Weinstein) Sotto le ipotesi enunciate nella prece-dente discussione, e sotto l’ulteriore ipotesi che G sia compatto e connesso,

(1) esiste un’unica forma simplettica ωµ su Vµ tale che π∗µωµ = ι∗µω.

(2) Se H e una funzione differenziabile su V invariante sotto l’azione φ di G, allora il flussoψt di XdH lascia Sµ invariata e commuta con l’azione di Gµ su Sµ, inducendo un flussoψt su Vµ. Tale flusso e hamiltoniano, e la sua funzione hamiltoniana Hµ e la proiezione diH su Vµ, ovvero, verifica la condizione Hµ πµ = H ιµ.

Dimostrazione della parte (2). Incominciamo col dimostrare la parte (2), assumendo giadimostrata la parte (1). Il flusso ψt diXdH lascia Sµ invariata percheXdH(J) = H, J = 0.Poiche H e invariante sotto l’azione di G, il gruppo Gµ e un gruppo di simmetria per XdH |Sµ

,ovvero, Gµ commuta con i diffeomorfismi ψt|Sµ

. Risulta pertanto indotto un flusso “ridotto”ψt su Vµ. Sia Xµ il generatore di questo flusso. Nuovamente per la sua G-invarianza, Hinduce una funzione Hµ su Vµ tale che Hµ πµ = H ιµ.

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II.18

Rimane da mostrare che Xµ e hamiltoniano con funzione hamiltoniana Hµ. Sia y ∈ Vµ, esia x ∈ Sµ tale che πµ(x) = y. Dato Y ∈ TyVµ sia Y ∈ TxSµ tale che (πµ)∗Y = Y . Vale allora

ωµ(Xµ(y), Y ) = ωµ(πµ∗XdH(x), (πµ)∗Y ) = (π∗µωµ)(XdH(x), Y )

= (ι∗µω)(XdH(x), Y )

= ω(XdH(x), Y ) perche Y , XdH sono tangenti a Sµ

= < Y , dH(x) > = < Y , ι∗µdH(x) > = < Y , π∗µdHµ(y) >

= < Y, dHµ(y) > ,

ovvero, Xµ = XdHµ .

La rimanente parte del presente paragrafo sara dedicata alla dimostrazione della parte(1) del teorema di Marsden-Weinstein. Studiamo in primo luogo il caso “lineare”, ovvero,consideriamo uno spazio vettoriale E con una forma simplettica ω. Per ogni sottospaziovettoriale F ⊂ E definiamo il suo complemento simplettico come il sottospazio vettoriale diE

Fω = u ∈ E | ω(u, v) = 0 per ogni v ∈ F .

Definizione 6.8. Un sottospazio vettoriale F di E e detto

— isotropo se F ⊂ Fω

— coisotropo se Fω ⊂ F— simplettico se F ∩ Fω = 0— lagrangiano se F = Fω.

Esercizio 6.9. Dimostrare che (Fω)ω = F . Di conseguenza, il complemento simplettico di unsottospazio isotropo e coisotropo, e viceversa.

Ogni sottospazio coisotropo da luogo ad un nuovo spazio vettoriale simplettico.

Lemma 6.10. Se F e sottospazio coisotropo di E, ι : F → E l’inclusione, e π : F → F ′ laproiezione sul quoziente F ′ = F/Fω, quest’ultimo ammette un’unica forma simplettica ω′ taleche π∗ω′ = ι∗ω.

Dimostrazione. Se v ∈ Fω e w ∈ F vale ω(v, w) = 0. Allora, denotando con [w] la classe inF ′ di un elemento ω ∈ F , possiamo definire ω′([w1], [w2]) = ω(w1, w2). Se ω′([w1], [w2]) = 0per ogni [w2] ∈ F ′ allora ω(w1, w2) = 0 per ogni w2 ∈ F , per cui w1 ∈ Fω, e [w1] = 0. Laforma ω′ verifica la condizione π∗ω′ = ι∗ω per costruzione. L’unicita segue dal fatto che π∗ einiettiva.

Passiamo ora al caso delle varieta. Una sottovarieta Q di una varieta simplettica (V, ω) edetta isotropa (coisotropa) se per ogni x ∈ Q lo spazio tangente TxQ e isotropo (coisotropo)in TxV .

Consideriamo il caso di una sottovarieta coisotropa Q. Definiamo in Q la distribuzione (nelsenso del teorema di Frobenius) ∆Q data da ∆Q(x) = (TxQ)ω.

Lemma 6.11. La distribuzione ∆Q e integrabile.

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II.19

Dimostrazione. Siano X, Y campi vettoriali su Q che stanno in ∆Q. Poiche ω e chiusaabbiamo, per ogni campo vettoriale Z su Q,

0 = dω(X,Y, Z) = X(ω(Y, Z)) + Z(ω(X,Y )) + Y (ω(Z,X))

+ ω([Y, Z], X) + ω([X,Y ], Z) + ω([Z,X], Y ) .

Essendo Q coisotropa si ha ω(Y, Z) = ω(X,Y ) = ω(Z,X) = 0. Anche i termini ω([Y, Z], X) eω([Z,X], Y ) si annullano perche [Y, Z] e [Z,X] sono campi vettoriali suQ. Quindi ω([X,Y ], Z)= 0, e [X,Y ] ∈ ∆Q.

Essendo ∆Q integrabile, ne possiamo considerare le varieta integrali massimali.11 In virtudel precedente Lemma e del teorema di Frobenius, la varieta Q ammette una foliazione lecui foglie sono sottovarieta isotrope di Q. Diciamo che Q e regolare se ognuna di questefoglie e una sottovarieta regolarmente immersa di Q, compatta e connessa. In questo caso, sedefiniamo una relazione di equivalenza in Q ponendo x1 ∼ x2 se x1 e x2 stanno sulla stessafoglia, il quoziente Q/ ∼ e una varieta differenziabile.

Lemma 6.12. Se Q e una sottovarieta coisotropa regolare di una varieta simplettica V , ilquoziente Q/ ∼ e una varieta simplettica.

Dimostrazione. Sia p : Q → V ′ = Q/ ∼ la proiezione sul quoziente. Se y = p(x) lo spaziotangente TyV ′ e isomorfo al quoziente TxQ/∆Q(x). Per il Lemma 6.10 in TyV

′ c’e un’unicaforma simplettica ω′(y) tale che p∗ω′(y) = ι∗ω(x), essendo ι : Q → V l’inclusione. Mettendoin Q coordinate locali “adattate” (come si puo effettivamente fare in virtu del teorema diFrobenius), si nota che al variare di y la forma ω′(y) e differenziabile. Inoltre la condizionep∗ω′(y) = ι∗ω(x), essendo p∗ iniettiva, implica che ω′ sia chiusa. Quindi ω′ e una formasimplettica su V ′.

Dimostrazione della parte (1) del teorema di Marsden-Weinstein: il caso µ = 0. Cominciamocol dimostrare il teorema di Marsden-Weinstein quando µ = 0. Il gruppo di isotropia coincideallora con G, e la dimensione del quoziente V0 = S0/G e

(17) dimV0 = dimV − 2 dimG .

Sia x ∈ S0, e sia Ox l’orbita dell’azione di G su x; si ha Ox ⊂ S0. Lo spazio tangente TxOxe generato dai valori ξ∗(x) dei campi vettoriali fondamentali al variare di ξ in g. Vogliamomostrare che TxOx e il complemento simplettico di TxS0. Infatti essendo J(x) = 0 valefξ(x) = 0 per ogni ξ ∈ g e pertanto ω(Xdfξ

, Y ) = dfξ(Y ) = 0 per ogni Y ∈ TxS0, il cheimplica TxOx ⊂ (TxS0)ω. Ma i due spazi vettoriali hanno la stessa dimensione, e quindicoincidono.

Essendo (TxS0)ω = TxOx ⊂ TxS0, la sottovarieta S0 e coisotropa. La foglie della foliazioneisotropa di S0 sono quindi le orbite di G; in base alle ipotesi fatte (G e compatto e connessoe la sua azione e libera), le orbite sono sottovarieta compatte regolarmente immerse, ovvero,S0 e una sottovarieta coisotropa regolare.

11Una varieta integrale W di una distribuzione integrabile ∆ si dice massimale se ogni varieta integrale di

∆ passante per un punto x ∈ W e contenuta in W . Per costruzione, per ogni punto x ∈ V passa una sola

varieta integrale massimale. Una varieta integrale massimale e spesso detta “foglia”, e si dice che V ammette

una “foliazione”.

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II.20

Il risultato cercato segue ora dal Lemma 6.12. L’unicita di ω0 segue nuovamente dall’iniet-tivita di π∗0.

Una generalizzazione. La versione appena dimostrata del teorema di Marsden-Weinstein(ovvero il caso µ = 0) ammette una generalizzazione del seguente tipo. Sia O un’orbitadell’azione coaggiunta di G su g∗ tale che ogni punto di O sia un valore regolare di J . AlloraSO = J−1(O) e una sottovarieta regolarmente immersa di V , invariante sotto l’azione di G.Si assuma inoltre che G sia compatto e che la sua azione su SO sia libera.

Proposizione 6.13. Sotto le ipotesi sopra menzionate, il quoziente VO = SO/G e una varietasimplettica di dimensione

(18) dimVO = dimV + dimO − 2 dimG .

Per dimostrare questo enunciato avremo bisogno di alcuni risultati circa le orbite coaggiuntein g∗. Consideriamo in particolare le orbite sotto l’azione destra di G su g∗

(19) $g(Γ) = Ad∗g Γ per ogni Γ ∈ g∗.

Essendo queste orbite chiuse, esse sono delle varieta regolarmente immerse di g∗. Su ogniorbita O si puo definire una forma simplettica. Lo spazio tangente a O in Γ ∈ O si puoidentificare come

TΓO = ad∗ξ Γ |ξ ∈ g ;

infatti i campi vettoriali fondamentali dell’azione coaggiunta sono proprio dati da

ξ∗(Γ) =[d

dsAd∗exp sξ Γ

]s=0

e vale, per ogni η ∈ g,

< η, ξ∗(Γ) > =[d

ds< Adexp sξ η,Γ >

]s=0

= < adξ η,Γ > = < η, ad∗ξ Γ >.

Lemma 6.14. La 2-forma differenziale Ω definita su O dalla condizione

ΩΓ(ξ∗, η∗) = ΩΓ(ad∗ξ Γ, ad∗η Γ) = −< [ξ, η],Γ >

e non degenere e chiusa.

Dimostrazione. Dimostriamo che Ω e non degenere. Fissato Γ ∈ g∗ sia ΩΓ(ξ∗, η∗) = 0 perogni η ∈ g. Allora

< η, ad∗ξ Γ > = −ΩΓ(ξ∗, η∗) = 0 per ogni η ∈ g ;

pertanto ξ∗(Γ) = ad∗ξ Γ = 0.

Dimostriamo ora che dΩ = 0. Per ogni λ, ξ, η ∈ g si ha

dΩ(λ∗, ξ∗, η∗) = λ∗(Ω(ξ∗, η∗)) + permutazioni cicliche

− (Ω(λ∗, [ξ∗, η∗]) + permutazioni cicliche).

Essendo

λ∗(Ω(ξ∗, η∗))Γ =[d

ds< [ξ, η],Ad∗exp sλ Γ >

]s=0

= < [λ, [ξ, η]],Γ >

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II.21

Ω(λ∗, [ξ∗, η∗]) = < [λ, [ξ, η]],Γ >

si ha dΩ(λ∗, ξ∗, η∗) = 0.

Avremo piu avanti bisogno del seguente risultato.

Proposizione 6.15. La forma simplettica Ω definita su un’orbita coaggiunta soddisfa laseguente relazione di Ad∗-invarianza:

$∗g(Ω$g(Γ)) = ΩΓ .

In altri termini, la rappresentazione coaggiunta di G agisce su O per simplettomorfismirispetto alla forma simplettica Ω.

Dimostrazione. Cominciamo col notare che i campi vettoriali fondamentali verificano la pro-prieta di Ad∗-equivarianza

($g)∗ξ∗ = (Adg−1 ξ)∗ ,

o, piu precisamente,($g)∗ξ∗($g−1(Γ)) = (Adg−1 ξ)∗(Γ)

per ogni ξ ∈ g, Γ ∈ g∗, g ∈ G. Si ha infatti

(Adg−1 ξ)∗(Γ) =[d

ds$exp sAdg−1 ξ(Γ)

]s=0

=[d

ds$g−1(exp sξ)g(Γ)

]s=0

=[d

ds$g $exp sξ $g−1(Γ)

]s=0

= ($g)∗ξ∗($g−1(Γ)) .

Si calcola allora

($∗gΩ$g(Γ))(ξ

∗(Γ), η∗(Γ)) = Ω$g(Γ)(($g)∗ξ∗(Γ), ($g)∗η∗(Γ))

= −< [Adg−1 ξ,Adg−1 η],Ad∗g Γ > = −< Adg−1 [ξ, η],Ad∗g Γ >

= ΩΓ(ξ∗(Γ), η∗(Γ)) .

I campi vettoriali fondamentali dell’azione (19) di G su O sono la restrizione dei campiξ∗, ξ ∈ g a O; questi sono hamiltoniani, con funzione hamiltoniana fξ(Γ) = < ξ,Γ >.Infatti per ogni η ∈ g si ha

dfξ(η∗)Γ = η∗(fξ)Γ =[d

dsfξ(Ad∗exp sη Γ)

]s=0

=[d

ds< ξ,Ad∗exp sη Γ >

]s=0

= −< [ξ, η],Γ > = ΩΓ(ξ∗, η∗)

e quindi Xdfξ= ξ∗. La corrispondente applicazione momento JO : O → g∗ e l’inclusione

naturale.

Dimostriamo infine che l’azione (19) e poissoniana. Si ha

fξ, fηΓ = −Ω(Xdfξ, Xdfη)Γ = −Ω(ξ∗, η∗)Γ

= < [ξ, η],Γ > = f[ξ,η](Γ).

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II.22

D’altra parte l’applicazione momento e ovviamente Ad∗-invariante:

JO $g(Γ) = Ad∗g Γ = Ad∗g JO(Γ) .

Dimostrazione della Proposizione 6.13. Lo spazio VO e una varieta differenziabile comeconseguenza delle ipotesi riassunte prima dell’enunciato della Proposizione. Costruiamo orala forma simplettica ωO su VO. Per ogni ξ ∈ g denotiamo con Xξ il campo vettoriale fonda-mentale associato all’azione di G su V e con ξ∗ il campo vettoriale fondamentale associatoall’azione coaggiunta di G su O.

Si consideri la varieta V = V × O dotata della forma simplettica ω = ω ⊕ (−Ω), essendoω la forma simplettica di V , e Ω la forma simplettica di O precedentemente descritta. Ilgruppo G agisce su V per simplettomorfismi (cfr. in particolare la Proposizione 6.15), e lacorrispondente applicazione momento J : V → g∗ e data da J(x,Γ) = J(x)−JO(Γ) = J(x)−Γ.La restrizione a SO dell’applicazione

V → V × g∗, x 7→ (x, J(x))

stabilisce un diffeomorfismo SO → J−1(0), il cui inverso e la restrizione a J−1(0) della pro-iezione V ×O → V . Si ha pertanto un diffeomorfismo VO ' J−1(0)/G, e dalla formula (17)segue che la dimensione di VO e data dall’equazione (18).

Per il teorema di Marsden-Weinsten nel caso µ = 0, che gia abbiamo dimostrato, esiste suJ−1(0)/G un’unica forma simplettica ω0 tale che

(20) π∗ω0 = ι∗ω .

Identificando VO con J−1(0)/G otteniamo la forma simplettica richiesta.

Dimostrazione della Proposizione 6.7 (teorema di Marsden-Weinstein per un qualsiasi valore diµ ∈ g∗). Sia Oµ l’orbita di µ in g∗. Riconduciamo la Proposizione 6.7 alla 6.13, dimostrandoin primo luogo che J−1(µ)/Gµ ' J−1(Oµ)/G, ovvero, Vµ ' VOµ . Notiamo che J−1(µ) ⊂J−1(Oµ). Sia π′ : J−1(Oµ) → J−1(Oµ)/G la proiezione sul quoziente, e sia y ∈ Vµ. Sex ∈ J−1(µ) e tale che πµ(x) = y, l’elemento π′(x) ∈ J−1(Oµ)/G non dipende dalla scelta dix in π−1

µ (y). Definiamo allora un’applicazione

α : J−1(µ)/Gµ → J−1(Oµ)/G, y 7→ π′(x).

Viceversa, se z ∈ J−1(Oµ)/G, sia x ∈ J−1(Oµ) tale che π′(x) = z, e sia Γ = J(x). Esisteg ∈ G tale che Ad∗g Γ = µ; allora φg(x) ∈ J−1(µ). Definiamo un’applicazione

β : J−1(Oµ)/G→ J−1(µ)/Gµ , z 7→ πµ(φg(x)) .

Le due applicazioni sono entrambe differenziabili, e sono l’una l’inverso dell’altra; di conse-guenza le varieta J−1(µ)/Gµ e J−1(Oµ)/G sono diffeomorfe.

Consideriamo adesso il diagramma commutativo

VOµ

πOµ←−−−− SOµ

ι−−−−→ V ×Oµα

x xj xVµ

πµ←−−−− Sµιµ−−−−→ V

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II.23

dove le applicazioni j e sono rispettivamente l’inclusione naturale e l’applicazione (x) =(x, J(x)) (si noti che per ogni x ∈ Sµ vale ιµ(x) = (x, µ), e che pertanto ι∗µω = ι∗µ ∗ω).Inoltre πOµ e la naturale proiezione sul quoziente.

Definiamo ωµ = α∗ωO. Dalla (20) e dalla commutativita del precedente diagramma seguela condizione π∗µωµ = ι∗µω.