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CAPITOLO 4 Teorie e modalità didattiche 4.1. Premessa Abbiamo già espresso la convinzione che l’ingegnere possa fornire il proprio specifico contributo nell’ambito della didattica scientifica. Prima di proseguire dobbiamo porci alcune domande 64 : Quali sono le finalità del progetto didattico? Quali esperienze educative sono più adatte a conseguirle? Come si possono concretamente organizzare queste esperienze? In quale modo è possibile verificare se le finalità sono state raggiunte o no? Le finalità del progetto didattico: che cosa insegnare. In questo ambito ci occupiamo di fisica, in particolare della fisica dell’elettrostatica e dell’elettromagnetismo: oltre a fornire un’idea, sufficientemente chiara, di cosa siano l’elettricità e i campi magnetici, vorremmo che si sviluppasse il senso critico e la comprensione del metodo scientifico. Il progetto è rivolto agli studenti del IV e V anno dei licei scientifici, organizzati in piccoli gruppi (classi non rigide), meglio se in orario extrascolastico. In che modo? Utilizzeremo diversi approcci didattici in aggiunta a quello “tradizionale”: essi dovrebbero contribuire a fornire una visione della scienza a 360°. Si parlerà di approccio: 1. storico-umanistico e narrativo (storia della fisica e aspetti sociali) 2. sperimentale e “pseudoeuristico” (facili esperimenti, riproducibili dallo studente) 3. pratico pragmatico (fisica negli oggetto d’uso quotidiano) 4. collaborativo (collaborazione - tra gruppi di studenti ed insegnanti) 5. ludico e creativo (curiosità intellettuale e creatività) 6. “parascientifico” (scienza e parascienza a confronto) 7. interdisciplinare (della “contaminazione” di altre discipline come storia e filosofia). Come si organizzano le esperienze? Con l’aiuto di chi? 64 Le domande sono quelle che propose Ralph Tyler negli anni ’30; sono state riprese e sviluppate nel dopoguerra negli Stati Uniti: l’obiettivo principale era quello di rendere più trasparenti e comparabili l’attività e l’efficacia degli insegnamenti: tale approccio diede vita alla cosiddetta “tassonomia degli obiettivi didattici” Si veda Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 141

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CAPITOLO 4

Teor ie e modali tà didatt iche

4.1. Premessa Abbiamo già espresso la convinzione che l’ ingegnere possa fornire il proprio specifico contributo nell ’ambito della didattica scientifica. Prima di proseguire dobbiamo porci alcune domande64:

• Quali sono le finalità del progetto didattico? • Quali esperienze educative sono più adatte a conseguirle? • Come si possono concretamente organizzare queste esperienze? • In quale modo è possibile verificare se le finalità sono state raggiunte o no?

• Le finalità del progetto didattico: che cosa insegnare. In questo ambito ci occupiamo di fisica, in particolare della fisica dell ’elettrostatica e dell ’elettromagnetismo: oltre a fornire un’ idea, suff icientemente chiara, di cosa siano l’elettricità e i campi magnetici, vorremmo che si sviluppasse il senso criti co e la comprensione del metodo scientifico. Il progetto è rivolto agli studenti del IV e V anno dei li cei scientifici, organizzati in piccoli gruppi (classi non rigide), meglio se in orario extrascolastico. • In che modo? Utili zzeremo diversi approcci didattici in aggiunta a quello “ tradizionale”: essi dovrebbero contribuire a fornire una visione della scienza a 360°. Si parlerà di approccio:

1. storico-umanistico e narrativo (storia della fisica e aspetti sociali ) 2. sperimentale e “pseudoeuristico” (facili esperimenti, riproducibili dallo studente) 3. pratico pragmatico (fisica negli oggetto d’uso quotidiano) 4. collaborativo (collaborazione - tra gruppi di studenti ed insegnanti) 5. ludico e creativo (curiosità intellettuale e creatività) 6. “parascientifico” (scienza e parascienza a confronto) 7. interdisciplinare (della “contaminazione” di altre discipline come storia e filosofia).

• Come si organizzano le esperienze? Con l’aiuto di chi?

64 Le domande sono quelle che propose Ralph Tyler negli anni ’30; sono state riprese e sviluppate nel dopoguerra negli Stati Uniti: l ’obiettivo principale era quello di rendere più trasparenti e comparabili l ’attività e l’eff icacia degli insegnamenti: tale approccio diede vita alla cosiddetta “ tassonomia degli obiettivi didattici” Si veda Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 141

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L’ ipotesi è quella di interagire con tutti coloro che hanno a che fare con la didattica, gli insegnanti, i genitori, gli studenti, il tessuto sociale ... • Come verificare se si sono raggiunti gli obiettivi? Occorre utili zzare un criterio per misurare le cognizioni e le metacognizioni acquisite. E’ essenziale sviluppare all ’ interno delle lezioni stesse, un metodo di “controreazione” per correggere e migliorare i risultati ottenuti, una continua verifica delle strategie adottate. I metodi proposti – in parte passati al vaglio di una prima sperimentazione ricognitiva nei moduli didattici sperimentali – non esauriscono gli approcci possibili , né si contrappongono alla lezione “canonica” (frontale, con ausili o di lavagna o lucidi, con obiettivi di tipo “quantitativo”). Non si vogliono negare o ignorare altri sistemi didattici che, evidentemente, rispondono a metodologie consolidate, ma si desidera offr ire forme integrative, non necessariamente nuove, di fare scuola, soprattutto avvalendosi di strumentazione elettronica ed informatica. 4.2 Didatt ica “multimediale” Tra gli approcci che indicheremo, non si parlerà di “didattica multimediale”, in quanto l’utili zzo di molti media è, in un certo senso, implicito, direi quasi ovvio; ci si troverà di fronte, semmai, al problema di quali mezzi utili zzare, di volta in volta, per rispondere eff icacemente agli obiettivi da raggiungere: verranno allora analizzati una serie di fattori (costi, opportunità, eff icacia) che vorrebbero prescindere dalle preferenze (legate alle conoscenze) del docente. Quest’ultimo dovrebbe essere aperto ad acquisire “competenza” nelle tecniche che non conosce, in un continuo sviluppo e crescita personale65. Questo non vuol dire che basta creare «effetti speciali» per “conquistare la fiducia, la mente, la volontà”66 degli alli evi. Secondo Bertolini il formatore dovrebbe essere un manipolatore virtuoso nel senso che: «egli mette in contatto, crea transazioni, provoca attenzioni tra ciò che c’è già e ciò che potrebbe esserci. In questo, è sicuramente un prestigiatore; dal momento che, se abile, riesce a far apparire ciò che prima non c’era. Ma a differenza dell ’ impostore da baraccone, ha l’onere di spiegare il trucco – durante o alla fine della mediazione – e di cambiare il suo pubblico: Non solo di stupirlo e intrattenerlo»67. «L’ insegnamento non è un semplice trasferimento di nozioni dal docente al discente, ma un processo di costruzione di una nuova conoscenza attraverso l’attiva partecipazione di tutte le parti coinvolte»68. L’attività progettuale dell ’ Ingegnere e dell ’esperto in tecnologie dell ’educazione potrebbe rendere «più probabile il prodursi di eventi che favoriscono il conseguimento della finalità didattica: l’ambiente formativo che interessa è un ambiente artifi ciale in cui vengono collocati particolari dispositivi che, a mo’ di dadi truccati, modificano il corso casuale degli eventi, rendendo più probabili alcune direzioni di svolgimento e non altre»69.

65 l’affermazione è autoriferita 66 Piero Bertolini e Guido Armelli ni, Sulla didattica, La nuova Italia, Scandicci (FI), 1994 p. 15 67 in Piero Bertolini e Guido Armelli ni, Sulla didattica, La nuova Italia, Scandicci (FI), 1994: La manipolazione. Vizi e virtù della didattica come tecnica dell ’ ingannare a fin di bene (di Duccio Demetrio) 68 Muzio Gola - Adriana Luciano Insegnare all ’Università. Formazione dei docenti e qualità della didattica, Torino, Utet, 1999 p. 31 69 Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 197

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4.3 Teor ie sull ’apprendimento. Le diverse prospett ive Ci si ritrova, inevitabilmente, ad invocare le teorie sull ’apprendimento: quale sperimentazione in campo didattico può ignorare i meccanismi noti o supposti che riguardano l’apprendimento? La visione dell ’ Ingegnere potrebbe essere limitata e, forse, avvilit a nei risultati pratici ottenibili a causa di una scarsa competenza pedagogica; “Chi viene da una formazione tecnico-scientifica tende a vedere i problemi della formazione come una sottospecie dei problemi della comunicazione e a fare un uso eccessivo di formalismi ...” 70 Tuttavia questo limite non vuol dire lasciare il campo a chi viene dalla pedagogia che può, a sua volta, essere in difetto a causa di “scarsa famigliarità con apparati scientifi ci e tecnologici riportabili ad una formazione eminentemente umanistica; residui culturali , ad esempio di derivazione idealistica, che portano a contrapporre attività spirituali ad attività pratiche con scarsa considerazione per le seconde; paura di disumanizzazione, disgregazione, frammentazione, dinanzi alla pervasività dei media (ad es. della televisone)” . Si potrebbero analizzare divergenze o meglio, punti di vista differenti anche tra i pedagoghi e gli psicologi, tra questi ultimi e gli psichiatri. Ma allora anche i fisici teorici e gli i ngegneri possono interpretare la didattica della fisica in modo differente. Poi coloro che sono tenuti a gestire ed indirizzare le risorse pubbliche, cioè i politi ci, possono analizzare i possibili i nterventi da una posizione ancora diversa. Chi difende gli i nteressi economici delle varie categorie e associazioni di insegnanti avrà una visione criti ca nei confronti di proposte che richiedano ulteriore impegno da parte dei docenti, soprattutto se non corrisposto da adeguata remunerazione (ma non solo per questa ragione) ... Si finisce per non trovare alcuno specialista nel campo della didattica e tutta la ricerca educativa nel suo insieme, rischia di uscirne depauperata, ridotta alla contrapposizione di diversi punti di vista, sempre più lontana dalle trasformazioni reali del nostro tempo. «La professionalità docente è frutto di competenze largamente trasversali (quelli dell 'area di scienze dell 'educazione: ad esempio pedagogia, metodologia e didattica generale, sociologia dell 'educazione, psicologia, antropologia, legislazione scolastica, cultura dell 'organizzazione, tecniche della comunicazione etc.), ma deve, al tempo stesso, poggiare su una solida preparazione specialistica disciplinare».71

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Ecco come si esprime Howard Gardner: «Secondo me l’educazione è troppo importante per essere lasciata ad un qualsiasi gruppo di persone, sia esso formato dagli i nsegnanti di classe, dal consiglio di circolo o di istituto, dal ministero o dalla comunità scientifi ca. [ ...] Essa rientra propriamente nei compiti della più vasta comunità delle persone informate.»73 Naturalmente il rischio di non avere adeguata competenza in qualche campo, o in molti campi, esiste ed è innegabile. Per non rimanere immobili zzati, realizzando poco o nulla, non resta che collaborare, senza pregiudizio, confrontando ed arricchendo le proprie competenze, soprattutto sulla base di un’analisi “scientifica” dei risultati, per condividere quella sorta di intelli genza collettiva che permette alle persone di “scambiare il l oro sapere, cooperare”74. Rendersi conto della propria ignoranza, della propria limitatezza, è assolutamente inevitabile, ma si trasforma in fase operativa, in una continua apertura verso qualsiasi forma di cultura, senza

70 Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) p.45-46 71 A.I.F. www.aifonline.it/ 72 L’aforisma è di Ippocrate: lunga è l’arte, breve la vita 73 Howard Gardner, Sapere per comprendere, Feltrinelli , Milano, 2000 (pag. 61) 74 Pierre Levy "L' intelli genza collettiva" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy.htm Parigi - European IT Forum, 04/09/95

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disprezzo o pregiudizi75. Oggi esistono potentissimi mezzi che favoriscono le strategie di collaborazione: vi è una relativa facilit à nel reperire testi, riviste, documentazione, sfruttando le risorse che ci offrono le telecomunicazioni e, soprattutto, internet. Possiamo poi scambiare idee ed esperienze tramite la posta elettronica. Queste considerazioni portano, inevitabilmente, alla presentazione dello stato dei lavori ed alla discussione di limiti , diff icoltà, strategie attraverso una delle forme meno invadenti che si conoscano: la creazione di un sito internet e lo scambio di idee mediante la posta elettronica. 4.4 Com’è insegnata la fisica e con quali r isultati Come anticipato in premessa, abbiamo schematicamente individuato 7 approcci didattici. Essi vanno intesi come sviluppi integrativi al metodo classico di insegnamento della fisica nei li cei scientifici. La “norma” prevede 3 ore a settimana, che costituiscono il 10% del totale76. Durante il quinto anno l’ insegnante dispone di circa 80 ore per sviluppare il programma, dedicando spazio al laboratorio (ma piuttosto raramente, in media) e alle verifiche (interrogazioni e compiti in classe). Il tempo a disposizione, forse, non permette di sviluppare metodologie didattiche diverse dall ’analisi dei principi e delle leggi fisiche, con l’ausili o della matematica e dalla verifica di tali l eggi mediante problemi elementari in cui, per lo più, si introducono (meccanicamente, purtroppo) formule e unità di misura. Il rischio di tale impostazione didattica è quello di perdere di vista le ragioni di certe formulazioni matematiche, quasi cadessero dall ’alto: il discente, spesso, impara a memoria qualche formula, qua e là, ma gli sfugge una visione globale dei fenomeni, del come e del perché si sia arrivati a tali “ regole”. Inoltre, raramente, riesce ad associare i principi studiati al mondo circostante. Sente lo studio della fisica come qualcosa di lontano dalle proprie esperienze e dal proprio mondo, qualcosa di dogmatico che si deve studiare, ma non discutere né approfondire. Questa disamina non vuole essere una criti ca sterile o ingenua. Il tempo a disposizione è poco, anche per la rielaborazione di quanto visto in classe: seguire strade diverse spesso significa non svolgere il programma, o svolgerlo in parte, il che non pare ammissibile né per chi prosegue gli studi iscrivendosi a facoltà scientifiche, né per gli altri. Inoltre l’approccio logico matematico non è in discussione. Tutto sommato la maggior parte degli i nsegnanti fa del proprio meglio, anche se, naturalmente, esistono situazioni discutibili ... A tal proposito ricorderei una sorta di ammonimento di un riconosciuto esperto nel campo delle scienze dell ’educazione, il già citato Howard Gardner77: «Le scuole, se non più in generale l’educazione, sono istituzioni intrinsecamente conservatrici. E io, in larga misura difendo il l oro conservatorismo. Ci sono metodi didattici che hanno conosciuto un’evoluzione secolare e che possono vantare molti pregi; al contrario troppe pratiche alla moda si rivelano inconsistenti, se non addirittura inutili o dannose. La sperimentazione didattica non è mai stata completamente abbandonata, ma ha avuto per lo più carattere marginale. E’ vero che l’ultimo secolo ha visto importanti esperimenti pedagogici ideati da educatori carismatici come Maria Montessori, Rudolf Steiner, Shiniki Suzuki, John Dewey e A.S. Neill . Le loro iniziative hanno avuto un successo notevole e certamente potrebbero impressionare il nostro ipotetico visitatore del 1900 [Gardner fa l’esempio di un uomo trasportato dal 1900 ad oggi, N.d.R.], ma hanno inciso in misura relativamente superficiale sulle grandi istituzioni educative del mondo contemporaneo.»

75 Il riferimento è, tra gli altri, all ’analisi del matematico Piergiorgio Odifreddi: “Culture: una nessuna, centomila” reperibile al sito http://www.vialattea.net/odifreddi/culture.htm , febbraio 1997 76 Negli orari settimanali tradizionali , al quinto anno, il carico didattico è di 30 ore, almeno. Spesso il numero di ore passa a 31 o 32 nelle classi “sperimentali ” 77 Howard Gardner, Sapere per comprendere, Feltrinelli , Milano, 2000 pag. 40

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4.5 Altre strade per “ fare” fisica. I l fattore tempo Prima di proporre altre strade, bisognerebbe analizzare dove collocare eventuali i nterventi integrativi. Vorrei sottolineare che tutto quanto viene proposto in questo lavoro non vuole tentare di sostituirsi alle lezioni svolte in classe: non già per ragioni di umiltà o di sudditanza, bensì perché chi scrive non ritiene logico credere di migliorare le conoscenze di una materia o di una branca del sapere, mantenendo inalterato l’ impegno degli studenti e sostituendo un metodo, ritenuto miracoloso ad un metodo che pare fallimentare o poco eff iciente. Il rischio non è tanto quello di non migliorare le cose, ma di peggiorarle. La prima obiezione che si può portare ad una richiesta in orario extracurricolare è ben espressa dalle parole di un docente di chimica78: « L'unica perplessità che ho riguarda la collocazione delle attività in orario extrascolastico. Capisco benissimo le motivazioni di questa scelta, ma, tutto sommato, i ragazzi trascorrono già molto tempo sui banchi. Un ulteriore appesantimento dell 'orario potrebbe creare una sorta di rifiuto. Molto meglio sarebbe se tale progetto venisse portato avanti dagli stessi insegnanti di discipline scientifi che in orario curr icolare. Mi rendo conto però delle diffi coltà pratiche di attuazione». Naturalmente l’osservazione è legittima. Resto convinto che occorra intervenire fuori dell ’orario scolastico, vincendo la concorrenza di videogiochi e di tutta una serie di passatempi non troppo “utili ” mostrando come la scienza sa essere più divertente e appassionante di tanti pseudodivertimenti. Come mostrano le statistiche viste in precedenza pare che i ragazzi studino, progressivamente, di meno: come utili zzano il tempo che, forse, dovrebbero dedicare allo studio e cosa preferiscono fare nel tempo libero? Almeno teoricamente il tempo dovrebbe esistere. Altra questione sarà vincere al concorrenza. Ecco cosa riporta il noto giornalista e divulgatore scientifico torinese Piero Angela79:

Ventiquattromila ore libere. Rimane da dire, naturalmente, che il compito di formare e di educare non appartiene più soltanto alla scuola o all ’università. Perché, come si diceva all ’ inizio, l’apprendimento ormai deve continuare per tutta la vita. E sono sempre più necessarie nuove forme di insegnamento. Anche l’ informazione svolge, del resto, un grande ruolo: giornali , riviste, libri, radio e televisione. Le videocassette o i videodischi, in particolare, diventeranno probabilmente un nuovo strumento pieno di potenzialità. Anche per la scuola. Qualcuno ha fatto, in proposito, un curioso calcolo. In un giorno ci sono 24 ore, in un anno 365 giorni. Moltiplicando 24 x 365 si arr iva ad una cifra di poco inferiore alle 8800 ore all ’anno. Di queste noi ne spendiamo circa la metà (circa 12 ore su 24 al giorno) per dormire e mangiare. Ce ne avanzano quindi 4400. Uno studente passa a scuola circa 1000 ore all ’anno. Supponiamo che altre 1000 le impieghi per i trasporti e per fare i compiti : ne rimangono 2400. Ciò significa che in 10 anni (tra i 15 e i 25 anni) un giovane ha a disposizione 24.000 ore libere. Cosa deve

78 il Prof. Silvano Fuso. La frase riportata fa parte di una recente intervista che l’ insegnante ligure mi ha, recentemente, rilasciato. 79 Piero Angela, Quark Economia, Milano, Garzanti, 1986 Cap. XIII – Scuola e dintorni. Quando nel 1986 Piero Angela scriveva quanto riportato, non poteva certo immaginare, almeno nel dettaglio, alcuni sviluppi della società e della scuola. Negli ultimi anni si sono visti importanti passi significativi per rendere la scuola più “moderna”: sono sorti laboratori di informatica, si sta tentando di rendere le singole scuole autonome ed eff icienti, lasciando libertà per le attività extrascolastiche. Dal mio punto di vista si è capito abbastanza bene quali possano essere le potenzialità del computer e, ultimamente, anche di Internet. Anche per le lingue straniere si ha una maggiore sensibilit à. Tuttavia, il quadro generale delle scuole medie superiori (mi riferisco essenzialmente ai Licei) evidenzia un certo imbarazzo di fronte alle nuove tecnologie e ai nuovi media. Per non parlare di altri aspetti (ad esempio legati all ’economia e al diritto) che sono praticamente ignorati.

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fare in questo «monte ore» (oltre ad andare a spasso e a divertirsi)? E’ infatti proprio in questi spazi che può preparare e coltivare la sua flessibilit à mentale […] Probabilmente esiste una finestra temporale in cui collocare opportunamente i nostri interventi. Tutto sta a vedere se i giovani, tali finestre, le vogliono aprire: possiamo cercare di convincerli , ma sarebbe meglio evitare di costringerli . Una larga fetta del monte ore sopraccitato, si distribuisce nel periodo estivo: da metà giugno a metà settembre, il giovane studente liceale passa da una media di 43 ore settimanali 80 a valori quasi nulli (forse con un picco nei giorni di settembre che precedono l’ inizio del nuovo anno scolastico; per gli studenti che superano l’esame di maturità le cose non stanno in maniera molto diversa, anche se il periodo di pausa va da luglio a fine settembre, o anche ottobre). Vi sono poi periodi, durante l’attività scolastica, meno intensi, in cui lo studio a casa è ridotto (per poi ritrovarsi in certe settimane dell ’anno, soprattutto nel mese di maggio, sottoposti – non senza qualche responsabilit à – ad un vero e proprio tour de force)81. Come vedremo nel prossimo capitolo, i primi tentativi concreti di collocarsi in orario extrascolastico, tra dicembre e marzo hanno avuto esiti tutt’altro che brill anti. In linea di principio il tempo esiste, ma vi sono una serie di problematiche che vanno risolte.

Altri fattori Tra gli altri fattori con cui dovremo confrontarci vi sono:

1. far conoscere l’ iniziativa, adeguatamente a docenti, dirigenti scolastici, famiglie e, naturalmente, a studenti;

2. valutazione dei costi e chi li dovrà (o vorrà) affrontare82; 3. sviluppare materiale e risorse didattiche collaborando con insegnanti, istituzioni, enti

locali e privati. Il secondo punto ha interesse solo per gli sviluppi futuri. Per quanto riguarda il primo ed il terzo, nel prossimo capitolo si analizzeranno i risultati ottenuti e si valuteranno le ipotesi migliorative. 4.6 Cenni sulla valutazione della quali tà della didatt ica «La “ qualità” della didattica evidentemente dovrebbe avere a che fare con la bontà dei risultati del processo di istruzione e apprendimento. [...] I metri [ di valutazione] devono essere più d’uno, perché - come è accettato da tutti - la qualità è multidimensionale, essa sta negli occhi dell ’osservatore, gli osservatori da accontentare sono di più tipi ed hanno esigenze diverse.»83 Potremmo distinguere gli osservatori in gruppi interni (docenti e studenti) ed esterni (chi mette le risorse: Stato, finanziatori, famiglie... e chi attende di utili zzare nel lavoro le persone formate: datori di lavoro, ecc ).

80 Ovvero 30 dell ’orario scolastico + 13 (dalla statistica Cattaneo) 81 Potrebbe essere interessante ed utile approfondire queste tempistiche. Qui mi limito ad una analisi basata sulla mia esperienza personale e su quella di molti studenti e conoscenti. 82 Nell ’ambito della tesi tutta la sperimentazione ed i moduli sono stati effettuati a costo nullo per le scuole interessate. Così come nullo, in termini di spesa, è stato il contributo del Politecnico (che, invero, ha fornito un’aula multimediale e la collaborazione di docenti, primi fra tutti i miei relatori). Il solo ad investire in termini di tempo e di risorse (acquisto di materiale e di attrezzature quali una videocamera digitale ed un computer con scheda di acquisizione video per la realizzazione di filmati) è stato il candidato all ’esame di laurea, cioè io. 83 Gola Luciano 1999, pag. XVII

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«La raccolta di dati sulla qualità della didattica e la formulazione di indicatori si accompagna a aspettative di miglioramento; la valutazione deve condurre a risultati tangibili altrimenti diventa un adempimento rituale di interesse nullo»84. Le procedure di valutazione dovrebbero cogliere 4 aspetti chiave:

1. obiettivi e Piano dell ’Offerta Formativa: chiarezza e coerenza degli obiettivi, validità rispetto a documentate esigenze esterne (mondo del lavoro, facoltà scientifiche), pianificazione e coordinamento degli i nsegnamenti;

2. insegnamento e apprendimento: strategie di insegnamento in funzione dei contenuti e degli obiettivi di apprendimento, metodi di insegnamento in relazione ai processi di apprendimento, risorse a disposizione dell ’ insegnamento, indirizzamento dello studenti verso capacità di autoapprendimento;

3. supporto e verifica costante delle competenze attese e della loro coerenza con il processo di formazione e con le competenze stesse;

4. risultati degli studenti: quali ficazione degli studenti all ’ ingresso, conoscenze ed abilit à effettivamente acquisite, carriera scolastica e/o lavorativa successiva85.

Per quanto riguarda la valutazione della qualità della didattica occorre far riferimento a tutte le componenti che hanno un ruolo:

• gli i nsegnanti: dovrebbero autovalutare con criteri non ambigui la bontà del loro intervento formativo. Tale intervento dovrebbe, inoltre, essere valutato “ in assenza di dislivello gerarchico86” da commissioni di docenti;

• gli studenti (perlomeno nel triennio delle scuole superiori) e le loro famiglie essendo i fruitori di un servizio, esplicitamente progettato nel loro interesse;

• lo Stato ed i finanziatori del servizio; • l’università che accoglie gli studenti.

In particolare come osserva Crepet: « Occorre rinegoziare un patto tra famiglia e scuola ove ognuna assuma nuove competenze e obblighi. Nella nostra comunità è transitata una profonda trasformazione; [ ...] è urgente che la famiglia e la scuola si adeguino alle ricadute che queste trasformazioni hanno comportato»87. Andrebbero, probabilmente, inserite, nell ’ambito della rinegoziazione, anche le altre componenti sopraccitate. Per quanto riguarda le lezioni sperimentali ho utili zzato:

1. un’autovalutazione della lezione e degli approcci didattici, basata sulle risposte fornite dagli studenti all ’ inizio e alla fine della medesima (senza interporre lo studio personale dello studente);

2. la valutazione/giudizio da parte degli studenti (con raffronto ad una lezione “media”) sia in forma sintetica (voto) sia in forma più analiti ca mediante osservazioni e valutazioni. Entrambe erano proposte in maniera anonima così da non influenzare il parere espresso.

Restano, ovviamente, molti altri sistemi di valutazione: l’approccio più proficuo (e naturale per l’ ingegnere) dovrebbe portare al continuo miglioramento del prodotto offerto, con soddisfazione e vantaggi per tutte (o quasi tutte) le componenti della società coinvolte.

84 Gola Luciano 1999 pag. XXX III ( Tesi n. 49 del CPD) 85 Gola e Luciano, 1999 pag. XXX IV 86 si veda § 1.10.2 “Chi deve giudicare gli i nsegnanti” a pag. 25 87 Crepet 2000 pag. 62

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4.7 Approcci didattici Ammettiamo di poter superare le diff icoltà evidenziate nei due precedenti paragrafi, il che, già in linea di principio, pare essere tutt’altro che semplice88. Definiamo una serie di “approcci metodologici” e diamone una sommaria giustificazione. Se si può estrapolare un leit motiv potremmo dire che si vuole attirare il giovane studente liceale nel mondo della scienza, facendo leva su tutti quegli aspetti, per tante ragioni trascurati, che potrebbero trasformare una disciplina diff icile e poco interessante in un vero e proprio hobby89. In merito alla costruzione di nuovi campi di interesse per favorire la divulgazione e l’educazione scientifica, Torino è certamente all ’avanguardia. Tra tutte le iniziative – e sono molte per fortuna – meritano un cenno, in quanto costituiscono fonti e riferimenti per il mio lavoro, la felice serie di conferenze GiovedìScienza condotte, ogni anno, da un altro eccellente giornalista scientifico torinese, Piero Bianucci, ed Experimenta, un parco scientifico che ogni anno propone temi di grande interesse, fornendo molteplici punti di vista90. Calvani, a tal proposito, si esprime in questi termini: « ... Rispetto alle attività tradizionalmente svolte dall ’esperto di pedagogia sperimentale, di docimologia o di didattica (organizzare curr icoli , unità didattiche, verificare sperimentalmente gli apprendimenti, ecc.), si richiedono interventi in ambiti nuovi. In molti casi infatti non ci si muove all ’ interno di coordinate già definite quali quelle rappresentate dal sistema scolastico esistente; ambienti educativi extrascolastici, di intrattenimento, ludoteche, formazione professionale, parchi didattico-scientifi ci e didattico-museali , editoria multimediale, software didattico, [...] modelli di apprendimento multimediale cooperativo, comunità di apprendimento, sono tra gli ambiti i n cui si fa luce una richiesta più vivace.»91 4.7.1 Approccio storico-umanistico e narrativo Di recente su molti testi di Fisica adottati nei li cei scientifici si vedono ampie digressioni sulla vita dei principali personaggi della Fisica. Quello che manca nel tentativo di umanizzare questa disciplina è una vera e propria storia (da esporre essenzialmente con filmati) che affronti le teorie (anche quelle che si sono rivelate sbagliate) e le invenzioni scientifiche, inserendole in un contesto storico e sociale. Occorre procedere senza saltare momenti rilevanti, in maniera cronologica. Al contrario la fisica viene affrontata per argomenti: la Meccanica (Cinematica, statica, dinamica) in terza liceo, la Termodinamica (insieme all ’acustica e all ’ottica) in quarta, l’Elettromagnetismo in quinta. Questo approccio che ha, indubbiamente, dei vantaggi presenta uno schema preordinato e non rende l’ idea di come si sia arrivati e perché alle varie scoperte ed invenzioni. Trascura proprio il l ato più umano della fisica e della scienza. Nella comprensione di una legge fisica può essere invece interessante capire come ci si è arrivati, con quali i potesi, con quali esperimenti, con quali effetti sulla società. In aggiunta il mondo della scienza è ricco di strani e, a volte buff i, personaggi e le scoperte scientifiche, non di rado, sono il frutto di

88 e, di fatto, si è dimostrato, nonostante il costo zero delle lezioni sperimentali (o chissà, proprio per questo!) effettivamente complicato 89 Tranne che per l’ultimo punto, non si intende erodere o portar via ore di lezione o di studio al discente. Naturalmente è irragionevole operare indipendentemente dalla scuola che il ragazzo frequenta. L’obiettivo resta educativo e andrebbe conseguito con rispettiva visibilit à: si è verificato, già nelle rudimentali fasi sperimentali , un desiderio di sviluppare e approfondire i temi proposti da parte di alcuni studenti (e venivano coinvolti , e forse disturbati, gli i nsegnanti di fisica o di filosofia). Anche i docenti delle normali attività didattiche, inserendo compiti di recupero al pomeriggio o interrogazioni e terze prove simulate, hanno interagito negativamente sulla frequenza ai moduli sperimentali . Di questo genere di attività didattica dovrebbero avere notizia tutti i docenti e le famiglie. 90 Nel 2001 (quindicesima edizione) il tema era “La trasmissione dei pensieri. Odissea nella comunicazione”. Si veda l’omonimo opuscolo Utet, Torino, ottobre 2001 91 Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 194

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combinazioni fortuite, da un lato e di eccezionali previsioni teoriche dall ’altro: tutte le tipologie umane e le classi sociali vi sono rappresentate e - un elemento da non trascurare - le sofferenze e le diff icoltà, i grandi onori ed il successo, che vari personaggi hanno incontrato nel tentativo di affermare le proprie idee. E non tutte erano buone: le imprecisioni, le interpretazioni erronee ed anche quelle disoneste, vanno mostrate agli studenti. «Fondamentale ed originale l'insistenza sulla necessità dello studio della vita degli uomini di scienza... Ed anche didatticamente accattivante. Le "favole" si ascoltano sempre volentieri.» Con queste parole lo psicologo Mauro Alfonso92, intervenendo nel dibattito sulla didattica affrontato sul sito internet, manifesta il suo consenso. Calvani parla di formato narrativo («ill ustrare una storia è il modo più efficace di presentazione»), ma ammonisce «a questo punto balzano subito agli occhi i rischi che si corrono su questa via; il principale è quello di un sostanziale cedimento del progetto d’ istruzione dinanzi alle idiosincrasie dei soggetti, con la terminale riduzione dell ’ istruzione ad intrattenimento»93. Riportare la fisica su un ambito che richiama il vissuto ed i sentimenti personali (ad esempio di simpatia e antipatia) dello studente, che costruisce la propria conoscenza del mondo tramite l’analisi dell ’esperienza personale, vuol dire seguire, almeno in parte, l’approccio costruttivista di Bruner (apprendimento intrinsecamente multidisciplinare, ricerca continua di significato, necessità di partire da temi interessanti e motivanti per lo studente)94. Di fatti ecco come si esprime Jerome Bruner: «[...] Non sto proponendo di sostituire alla scienza la storia della scienza. Sostengo invece che la nostra istruzione scientifi ca dovrebbe tener conto dei processi vivi del fare scienza, e non limitarsi ad essere un resoconto della “ scienza finita” quale viene presentato nel li bro di testo, nel manuale e nel comune e spesso noiosissimo “ esperimento di dimostrazione” 95». Peraltro la stessa impostazione vista per la fisica potrebbe valere per la matematica: Gabriele Lucchini96, sottolineando il bisogno di creare quella coscienza storica senza la quale nessuna cultura può incidere a fondo sulla personalità ribadisce che: «occorre che la matematica sia insegnata mettendone in evidenza i suoi aspetti umani; e quindi anche presentando gli uomini che di questa scienza si sono occupati durante i secoli e che hanno contribuito a costruirla». Enrico Smargiassi del dipartimento di Fisica teorica dell ’Università di Trieste sottolinea, con le parole che seguono, i rischi di una scienza “disumanizzata”: «Temo che il modo in cui si insegna e si divulga la fisica ingeneri involontariamente dei forti pregiudizi: ci vengono presentate quasi solo le teorie e le idee che hanno avuto successo, con un'aria quasi di inevitabilit à, e le altre sono trattate di sfuggita o ignorate. Il risultato è di dare l'impressione che tutte le "belle idee" siano state coronate da successo, trascurando tutte quelle, e sono tante, che giacciono nella fossa comune delle teorie morte97». Silvano Fuso sostiene, esplicitamente, che un eff icace antidoto contro il dogmatismo scientifico può essere l’utili zzo di un approccio storico: «Anziché limitarsi a insegnare le “ teorie giuste” della scienza è didatticamente proficuo esaminare anche le “ teorie sbagliate” formulate nel passato, per capire meglio le dinamiche interne che producono l’evoluzione della scienza. In tal modo, si fa comprendere il carattere dialettico che caratterizza la scienza, e in generale, la razionalità, e si evita il rischio di far apparire le affermazioni scientifi che statiche ed immutabili .

92 Mauro Alfonso, torinese di adozione, ha una lunga carriera come insegnante di Storia nelle scuole medie inferiori. 93 Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag.175 e 178 94 si veda in Gola Luciano a pag. 34-35 95 Jerome Bruner, La cultura dell ’educazione, Feltrinelli , Milano, 2001 pag. 140 96 Gabriele Lucchini, L’ insegnamento della matematica e le nuove metodologie, Corso editore, Ferrara 1983 pag. 7 97 Enrico Smargiassi, Un esempio di pseudofisica teorica: Cassani e la TOC. http://www.dft.ts.infn.it:6163/~esmargia/physics/werc.html

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Uno studio diretto delle dinamiche evolutive delle idee scientifi che può inoltre permettere di introdurre alcuni elementi di fil osofia della scienza»98. Purtroppo invece «la totale assenza dell ’epistemologia nell ’ insegnamento delle scienze caratterizza non solo la scuola secondaria ma anche l’università. Senza contare che un approccio storico consente ampie aperture interdisciplinari a tutto vantaggio di una visione unitaria della cultura e del superamento della tradizionale, e tutto sommato priva di senso, contrapposizione tra cultura umanistica e scientifi ca.»99 Da un punto di vista psicologico Nicola Peluffo100 sottolinea l’ importanza di toccare i sentimenti in una narrazione: «Il detto latino “ verba volant, scripta manent” si dovrebbe completare con il suo contrario ugualmente vero “ verba manent, scripta volant” . Non sono certo il primo a fare queste affermazioni. Implicitamente lo sanno tutti e tra questi anche coloro che si occupano di insegnamento. L’adulto dimentica quello che legge e ascolta poco. La parola scritta è spesso priva di affetto e quindi non comunica. La parola detta conserva il suo affetto ma per penetrare sino alle basi del sistema difensivo che tende a neutralizzarlo deve toccare la parte più infantile dell ’uomo, quella che ancora ascolta. La favola, la poesia, la canzone ne sono un esempio». Vedremo come l’approccio storico-umanistico e narrativo venisse utili zzato come substrato nei moduli sperimentali . Per portare un esempio concreto, se il tema base era “ la storia dell ’elettricità”, l’esperimento, la teoria, il principio fisico costituivano una sorta di digressione, di divagazione, ma anche di riflessione per capire dove volesse arrivare un Franklin, un Gray o un Romagnosi101. In aggiunta alla favola ed alla canzone (la musica pareva il sottofondo più adeguato per i filmati) anche il cartone animato, poteva amichevolmente ed ironicamente introdurre concetti scientifici e filosofici o semplicemente fissare l’attenzione su una disputa relativamente ad un tema particolarmente importante102. 4.7.2 Approccio sperimentale e pseudoeuristico Il racconto si ferma di fronte all ’esperimento. Un’ idea, una intuizione, una teoria cerca conferma in qualcosa che superi l ’opinione: storicamente l’esperimento può essere casuale, non voluto, o teso a dimostrare tutt’altro. Spesso ci si pone nelle medesime condizioni in cui si trovava lo sperimentatore, si crea suspense. Lo studente non sa quale sarà l’esito e che cosa si scoprirà. Si può addirittura portarlo a credere, con una serie di ragionamenti e connessioni (logiche o no) che si dovrà ottenere un certo risultato: l’esperimento può invece far crollare l’edificio teorico costruito e porre una serie di nuove domande ai presenti. Ecco cosa scrive, in proposito, il Prof. Fuso: «Almeno nelle prime fasi dell ’ insegnamento scientifi co, il processo di astrazione e formalizzazione, sia pure successivamente indispensabile, deve essere limitato al minimo. L’alli evo deve capire lo stretto legame tra affermazioni scientifi che e realtà. Per questo motivo un approccio sperimentale e induttivo ai problemi appare didatticamente proficuo. Inoltre gli alli evi, di solito, trovano divertente l’attività di laboratorio e questo può sicuramente invogliarli allo studio delle discipline scientifi che.»103 L’esperimento dovrebbe esser particolarmente semplice e facilmente realizzabile con il minimo di strumentazione o, addirittura, senza alcuno strumento di laboratorio. 98 Silvano Fuso Realtà o ill usione p. 231 99 Silvano Fuso Realtà o ill usione p. 231 100 Nicola Peluffo, Riflessioni, definizioni ed ipotesi di ricerca, in Esperienze 2. Aspetti psicodinamici della ricerca didattica in psicologia sociale, Books’ store, Torino, 1976 pag. 3 101 Per i dettagli si veda il prossimo capitolo 102 ad esempio la diatriba tra Galvani e Volta sull ’elettricità animale 103 Silvano Fuso Realtà o ill usione p. 231

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La semplicità, sia nella terminologia utili zzata, sia nelle operazioni elementari con cui si rappresenta un fenomeno, aiuta la comprensione. «Non inseguire quindi l 'ultima moda della tecnologia ma insegnare i principi di base. Per esempio, negli esperimenti di fisica io credo che sia essenziale non usare sempre e solo strumenti basati su una tecnologia estremamente raffinata perché impediscono poi al ragazzo di capire effettivamente cosa accade e gli sottraggono anche la possibilit à di fare veramente delle misure.»104 A volte non ci si rende conto che un uso inopportuno della terminologia, pur essendo preciso e corretto, non aggiunge nulla di importante a ciò che si vuol far comprendere, ma porta fuori strada il discente. «I concetti sono nascosti da una cortina fumogena di parole, che mortifi ca la curiosità e uccide il desiderio di capire. Anche qui non penso che le idee essenziali siano così inaccessibili come appaiono. La diffi coltà non è nei concetti, ma nel modo in cui sono espressi.»105 «Sono in molti a ritenere normale che una persona colta parli i n modo diffi cile ed incomprensibile: altrimenti, se si fa capire che persona colta è? Il li nguaggio oscuro è ancora percepito come un simbolo di prestigio e di potere. Ma è una trappola. Non ci si rende conto che dietro si nasconde un’ incapacità di comunicare o qualcosa di peggio. C’è per esempio una sorta di complesso di inferiorità nei confronti di certi uomini di cultura, i quali , parlando in televisione, si esprimono in modo oscuro. Ma invece di dire: “ Come sono stupido! Non capisco ...” , bisognerebbe dire: “ Come è stupido! Non riesce a farsi capire...” Non ci vuole molto per riuscire ad essere incomprensibili . Invece, è più diffi cile essere facili .»106 La vera conoscenza, l’effettiva capacità di comunicare un’ idea, una definizione od un principio passano attraverso un linguaggio comprensibile e adatto allo studente. Ecco come si esprime il fisico e matematico francese Jules-Henri Poincaré: «In cosa consiste una definizione soddisfacente? Per il fil osofo e lo studioso, una definizione è soddisfacente se è pertinente alle cose che definisce e solo a quelle; ecco quanto richiede la logica. Ma nell ’ insegnamento non è così: una definizione è soddisfacente solo se lo studente la comprende»107. La sempli ficazione, che dovrebbe valere per qualsiasi approccio didattico, non va confusa con la banalizzazione o con una mera sostituzione di termini “diff icili ” con altri più semplici: «Tradurre è un lavoro creativo non meccanico. Bisogna inventare una struttura adeguata che consenta di esporre un argomento complesso in modo graduale, per approssimazioni successive. Occorre trovare il li nguaggio adatto, che lo renda comprensibile e interessante, creare la metafora giusta, individuare l’esempio chiarifi catore. Bisogna cogliere il nocciolo della questione, le relazioni fondamentali , senza perdersi nei dettagli ed è quindi necessario saper sfrondare, saltare ciò che è inutile, perché non si tratta di riportare pari pari quello che si è studiato, ma di rielaborarlo in una forma nuova, adatta a un destinatario diverso.»108 Un approccio di tipo sperimentale, per di più in un’ottica di interscambio e di collaborazione, rientra pienamente nei compiti di un insegnante di fisica, come risulta dal documento dell ’Associazione per l’ insegnamento della Fisica del prof. Perill o: «La formazione di base. Si

104 Lucio Russo, Contro una scuola del consumo, http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/r/russo.htm Roma, 11/05/98 105 Piero Angela e Giuseppe Ferrari, Raccontare la scienza, Nuova Pratica Editrice, Milano, 1998 pag. 140 141 106 Piero Angela e Giuseppe Ferrari, Raccontare la scienza, Nuova Pratica Editrice, Milano, 1998 pag. 145-146 107 Henri Poincaré, citato in “Come vincere la paura della matematica” pag. 50 108 Piero Angela e Giuseppe Ferrari, Raccontare la scienza, Nuova Pratica Editrice, Milano, 1998 pag. 137-138

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dovrebbero privilegiare la dimensione laboratoriale e cooperativa degli i nterventi per consentire: la presentazione di esperienze, percorsi svolti , materiali prodotti da parte di colleghi; il confronto per piccoli gruppi su materiali e percorsi didattici, la loro sperimentazione, la loro produzione.»109 La semplicità degli esperimenti risponde, per altro, ad almeno due ulteriori vantaggi per l’ insegnante: il costo modesto110 e la semplice e razionale111 riproducibilit à dell ’esperimento. Vi è infine un aspetto connesso a questo approccio. Il facile esperimento scientifico può, persino, essere attribuito come compito allo studente in una sfida che, all ’apparenza è un gioco, ma nasconde un sottoinsieme del metodo sperimentale tracciato: l’approccio euristico, o come forse sarebbe più opportuno dire, pseudoeuristico o euristico-guidato. Una tale impostazione non è, certamente, una novità nel campo della scienza dell ’educazione. I risultati di un metodo didattico fondato sulla scoperta delle leggi fisiche o matematiche, non sempre sono stati ritenuti eff icaci. Occorre evitare di cadere in quelle ingenuità di tipo rousseauiano112 e accontentarsi di un opportuno equili brio costituito, ogni tanto, da qualche piacevole, ma pilotata, scoperta. Il senso e gli ambiti i n cui va inteso tale metodo sono chiariti , per quanto riguarda la matematica, da Lydia Tornatore: «... La funzione della scuola è qui di mediazione culturale, ..., una mediazione che si attui come selezione di esperienze e come organizzazione di un ambiente in cui il ragazzo trovi ciò che gli occorre per poterle elaborare, ivi compreso l’aiuto dell ’ insegnante. ...Lo scienziato e l’alunno di quinta classe, sono motivati dalla curiosità: sono attratti dall ’avventura intellettuale. Parlando generalmente, la massima parte dei “ teenagers” sono meno attratti da curiosità intellettuale astratta. ... Il termine scoperta va inteso in senso deweyano .. Rimane comunque il fatto che solo grazie al “ metodo della scoperta” è possibile a qualunque livello insegnare più matematica, una migliore matematica, una matematica più rigorosa. ... Una volta che gli studenti abbiano raggiunto un insieme di principi mediante la scoperta, si chiede loro di vedere se alcuni di essi potevano essere previsti piuttosto che scoperti; la via per controllare questo è il ragionamento deduttivo»113. Per quanto concerne gli esperimenti più complicati o pericolosi - si pensi al celebre esperimento di Franklin con l’aquilone e la bottiglia di Leyda, ed il tentativo (fortunato) di “ imbottigliare” l’elettricità del fulmine – essi possono essere opportunamente descritti , cercando sempre di evidenziare i concetti elementari, senza introdurre - o facendolo con cautela – interpretazioni e termini storicamente successivi114. Si sottolinea in questa sede, ma tale aspetto è assolutamente generale, lo sforzo nell ’evidenziare i concetti elementari e nel mostrarli nella maniera più semplice possibile. Come insegna il grande poeta di Recanati, in questa semplicità consiste, anche se non sempre lo si riconosce, la vera

109 E. Perill o, La formazione, www.aifonline.it 110 la maggior parte degli esperimenti svolti durante i moduli aveva un costo di materiale inferiore ai 5 ��������� � ���volta veniva utili zzato un multimetro digitale o un tester analogico, strumenti che sono di norma presenti in tutti gli istituti e che comunque non costituirebbero un investimento particolarmente oneroso (poche decine di euro) 111 gli esperimenti venivano svolti su una normale cattedra, senza neppure la necessità di “migrare” in laboratorio 112 “non si comprende veramente se non ciò a cui si arriva da sé”, ovvero il mito per cui il ragazzo deve ricostruire per proprio conto la scienza, partendo da proprie dirette esperienze, la storia, partendo dall ’esame di documenti, ecc ... 113 Lydia Tornatore, Roberto Maragliano e altri, Proposte didattiche. Insegnamenti matematici e scientifici. Esperienze di attività extracurr icolare, Lydia Tornatore Il metodo della scoperta in matematica 114 E’ pericoloso introdurre quelle spiegazioni che neppure lo sperimentatore aveva chiare. Per restare su Franklin, storicamente parlando, pare più opportuno mostrare le due teorie contrapposte, quella dualistica di Du Fay e quella del fluido unico di Franklin

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superiorità e la vera maestria: «È curioso a vedere, che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito.»115 4.7.3 Approccio pratico pragmatico La descrizione dei principi fisici connessi ad oggetti d’uso quotidiano è presente in modo significativo in numerosi testi di fisica di recente realizzazione: questo non implica che si possa dedicare abbastanza tempo a sviluppare i singoli argomenti. L’approccio da noi utili zzato è opposto a quello utili zzato dai li bri di fisica, peraltro più che legittimo. Non si parte dal principio fisico e, incidentalmente, se ne mostrano le applicazioni pratiche, bensì si parte dall ’oggetto d’uso quotidiano e se ne scoprono i principi fisici. Questo è coerente con quanto sostengono Muzio Gola e Adriana Luciano: «I docenti sviluppano il curr iculum tenendo conto da un lato del “ tema” centrale (cercando di legarlo il più possibile alla vita quotidiana degli studenti) e, dall ’altro delle varie attività cognitive che intendono sviluppare»116. Come sostiene Andrea Mameli 117 si verifica spesso uno scollamento tra la fisica studiata a scuola e la fisica degli oggetti quotidiani: «La mente dello studente viene spesso considerata come un recipiente da riempire di informazioni e concetti: forza, pressione, lavoro, conservazione della quantità di moto ... Questo modo arido può forse andare bene per gli studenti migliori per i quali è indifferente lo “ stile” dell ’ insegnante, ma è probabilmente inutile per gli studenti meno abili . Nella maggior parte dei casi ci si rende conto che gli studenti, nello spiegare il mondo che li circonda, sembrano convivere con due paradigmi paralleli i n conflitto tra loro: uno per la scuola e uno per la vita di tutti i giorni.» La visione di Mameli sembrerebbe negare una possibile rielaborazione di quanto appreso a scuola: non ritengo condivisibile una posizione drastica che proponesse, in alternativa all ’esposizione di concetti e principi in forma matematica e quantitativa, altre forme di didattica, ritenendole migliori, basandosi su non ben precisati assunti. In definitiva, se lo studente non è spinto ad approfondire ed elaborare quanto lo circonda, diff icilmente si potrà trovare un sistema più “potente”, che a parità di tempo dedicato alla disciplina possa generare molta più “conoscenza”. Si tratta, piuttosto, di comprendere con quali metodi si possa determinare, in primo luogo, un maggior interesse, una maggior curiosità, una migliore disponibilit à nei confronti della fisica (ma il discorso può valere per qualsiasi altra disciplina) ed in secondo luogo una maggiore riflessione ed uno studio più approfondito dei concetti di forza, di pressione, di lavoro, ... Un altro aspetto relativo alla conoscenza, certamente non approfondita (ma dipende molto dalle apparecchiature e dal tempo a disposizione) della tecnologia è evidenziato da Lucio Russo, in particolare per quanto riguarda media e computer: «Il punto essenziale è, da una parte, usare le tecnologie in modo strumentale, per dei fini che siano esterni alle tecnologie stesse, quindi per l' apprendimento della matematica, della fisica, della storia, di tutti i contenuti che si ritiene essenziale trasmettere e, dall ' altra, fornire delle conoscenze sulle tecnologie stesse. L' importante è che queste conoscenze non possono essere, almeno nella scuola secondaria, così dettagliate da contenere una descrizione del reale funzionamento degli apparecchi che i ragazzi stessi possono usare, ma questo non implica che

115 Giacomo Leopardi, Zibaldone, Firenze 31 Maggio 1831 116 Muzio Gola - Adriana Luciano Insegnare all ’Università. Formazione dei docenti e qualità della didattica, Torino, Utet, 1999 pag. 50 117 Andrea Mameli LibLab: un’applicazione interattiva nella didattica della Fisica. Università di Cagliari, Tesi di laurea in Fisica 1995 http://www.crs4.it/~mameli/JAVA/LibLab.html

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non bisogna dare alcuna conoscenza, perché in questo modo si diffonde un atteggiamento magico verso la tecnologia118.» Lucio Russo sfiora un tema delicato: il rapporto razionale con la tecnologia. Una scarsa conoscenza delle macchine, della loro compatibilit à reciproca e con gli esseri viventi, una visione fumosa della scienza (vista solo per gli aspetti applicativi, una sorta di Kochbuch119 come direbbe Croce), una acritica associazione “buono-naturale” , “cattivo-manipolato dall ’uomo con la tecnologia e con la chimica” , un approccio emotivo, anziché razionale, ai problemi in cui versa il Paese o il pianeta possono, tutti insieme, far convergere verso scelte miopi o insensate. Il problema non è più solo quello di formare giovani con la prospettiva di un percorso di studi eff icace, che li possa agevolare nella ricerca di un lavoro, ma di fornire un bagaglio di conoscenze che permetta loro di prendere decisioni consapevoli e utili alla collettività. L’analisi e l’approfondimento dell ’oggetto quotidiano, non va, dunque, intesa in contrapposizione con lo studio della teoria, bensì come una miglior comprensione della teoria stessa, il cui studio è giustificato dal fatto che essa non fa parte di un mondo ideale (o almeno non soltanto), ma si manifesta concretamente intorno a noi. La posizione di Calvani chiarisce che «si cerca qui di uscire dal modello stesso della scuola tradizionale che valorizza l’apprendimento individuale, che non esplicita adeguatamente gli obiettivi, che propone conoscenza “ inerte” , svincolata dai contesti reali , a favore di contesti che con il supporto delle nuove tecnologie consentano forme più articolate di condivisione e distribuzione delle conoscenze ed il superamento di tradizionali dicotomie (conoscenza teorico-pratica, gioco-studio, scuola-extrascuola).»120 Peraltro il riferimento al quotidiano non è una novità. In un Decreto Ministeriale di 30 anni fa si legge: «Nella lezione [i docenti] dovranno ispirarsi alle più moderne vedute metodologiche che consigliano di ricorrere a tecniche di insegnamento diverse da quelle tradizionali , semplicemente espositive. E’ opportuno, pertanto stimolare, anche con l’uso di adeguati sussidi didattici, le motivazioni, lo spirito di ricerca e di inventiva degli alunni riferendosi, ove possibile, a casi concreti che rientrano nelle loro dirette esperienze»121. In “POF autonomie delle scuole ed offerta formativa” del prof. Giuseppe Bertagna122 si legge: «nella scuola non deve trovare considerazione univoca una particolare forma di intelli genza – in particolare quella analiti ca, prevalente nella cultura occidentale – ma occorre offrire occasioni di espressione anche alle intelli genze pragmatica e creativa.» Ma un’analoga riflessione ci proviene da un pedagogista svizzero, Enrico Pestalozzi123 (1746-1827), che già due secoli or sono, riteneva di fondamentale importanza il tener vivo lo stimolo ad apprendere, «operando sulla mente del fanciullo con elementi presi dalla realtà».

118 Lucio Russo, Contro una scuola del consumo, http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/r/russo.htm Roma, 11/05/98 119 B. Croce, Indagini su Hegel e schiarimenti fil osofici, Laterza, Bari 1967 (p.283): il filosofo abruzzese, citando un autore tedesco, paragona le scienze ad un "Kochbuch", cioè ad un libro di cucina, la cui utilit à è solamente pratica. citato da Silvano fuso in L' atteggiamento antiscientifico http://utenti.tripod.it/fusosilv/antiscientifico.htm 120 Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 130 121 Decreto ministeriale del 3 maggio 1973 citato in Lucchini pag.10 122 Giuseppe Bertagna, Sergio Govi, Marisa Pavone, POF autonomie delle scuole ed offerta formativa, Editrice La scuola, 2001 pag. 246 123 (17 aprile 1819). http://www.sirio.regione.lazio.it/distretto41/html/medie/pag04_02.htm

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4.7.4 Approccio collaborativo Esistono numerosi studi che mostrano come i gruppi cooperativi, dove cioè i membri collaborano, ottengano risultati migliori dei gruppi competitivi, dove i membri sono in lotta reciproca per raggiungere un obiettivo. I ricercatori Harry Harlow, James McGaugh e Richard Thompson124 riferiscono che, avendo sperimentalmente creato due gruppi di cinque persone «i gruppi cooperativi erano in generale più produttivi, risolvevano i compiti semplici più rapidamente dei gruppi competitivi e davano garanzie più reali per la soluzione di compiti complessi. In questi gruppi esisteva più comunicativa ed i loro membri riferivano di avere minore diffi coltà nella comprensione reciproca. Sarebbe diffi cile fare un quadro più roseo dello spirito di cooperazione». Nel già citato “POF autonomie delle scuole ed offerta formativa”125 troviamo: «L’attività di gruppo tra compagni. L’esigenza di superare il tradizionale modello di azione didattica, fondato sulla lezione condotta dal docente, affiancando ad esso il l avoro di gruppo fra alli evi risponde a molteplici esigenze: favorire la formazione socio-affettiva; valorizzare gli apporti che l’attività di gruppo può offrire all ’apprendimento, in termini di incremento della motivazione e di capacità di scoperta e di ricostruzione delle conoscenze; offrire maggiori spazi all ’ individualizzazione dell ’ insegnamento.» Come si è visto dalle statistiche (Istat) il rapporto con i compagni di classe è motivo di soddisfazione per la stragrande maggioranza degli studenti. Vi sono comportamenti che si evidenziano soprattutto nella fase adolescenziale; «in alternativa ai modelli adulti l ’adolescente tende a ricercare il gruppo come confronto rassicurante coi suoi pari; e ciò lo porta ad adottare comportamenti conformi, spesso giudicati irr itanti dagli adulti e criti cati perché si discostano da quelli approvati nella società»126. Una didattica che dia spazio all ’approccio collaborativo, deve tenere in grande considerazione gli interessi degli studenti e non forzare o imporre argomenti e dinamiche troppo rigide: si tratta di individuare nell ’ insieme degli i nteressi della classe (o delle classi) alcuni sottoinsiemi, utili per i progetti educativi, da sviluppare. Il favorire, all ’ interno della classe, atteggiamenti competitivi può portare lontano dagli obiettivi principali della scuola, come precisa Girio Marabini: «L' uomo diviso in tanti ruoli perde la sua identità : egli è poi costretto da una concorrenza degli altri che lo minaccia, ad imporsi con le proprie forze contro gli altri e a spese degli altri . L' uomo vive di se stesso e si serve degli altri per i suoi fini personali . Pensiamo all ' interno dell ' aula quante volte l' insegnante, ma anche gli stessi alunni, e gli stessi genitori, mettono a confronto l' attività dei singoli : se io stesso mi mettessi a confronto con un altro o sarei preso da orgoglio non collaborativo e dalla presunzione d' essere superiore, oppure abbandonerei ogni sforzo per migliorarmi e di superare i miei li miti . Dobbiamo invece assumere l' atteggiamento dell ' atleta che corre contro i propri limiti .»127 De Kerckhove, direttore del Programma McLuhan di cultura e tecnologia e professore del Dipartimento Francese all’Università di Toronto (Canada) ha sviluppato una ricerca per comprendere come le tecnologie influenzano e influenzeranno la società. Egli ha promosso una nuova forma di espressione artistica, che unisce le arti, l’ ingegneria e le nuove tecnologie di telecomunicazione. De Kerckhove sviluppa un tema di grande risonanza: l’ intelli genza

124 Harry Harlow, James McGaugh e Richard Thompson, Psicologia come scienza del comportamento, Edizioni Scientifiche e tecniche Mondadori, pag. 508 125 Bertagna, 2001 pag. 290 126 Chiara Marocco Muttini, Disagio adolescenziale e scuola, pag. 18 127 Girio Marabini, Maxima debetur puero reverentia, http://www.pavonerisorse.to.it/scuola_maestra/maxima.htm

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collettiva128, che si basa su principi di collaborazione e di comunicazione, soprattutto attraverso internet, con benefici comuni: «se le imprese hanno bisogno di scambiarsi informazioni è molto più semplice usare l’ intelli genza collettiva per fare in modo che due distinti gruppi di lavoro capiscano cosa stanno facendo gli altri. Si tratta di riorganizzare il modo di lavorare. Ed è molto efficace nel mondo degli affari, molto utile per organizzare secondo distinte configurazioni tutti gli i ndividui che lavorano in quei contesti. Inoltre è utile nella scuola: invece di ricorrere al solito professore che parla di volta in volta con i singoli studenti, si può moltiplicare l’ intelli genza degli studenti nel lavoro di gruppo facendoli l avorare secondo schemi fisici e mentali completamente nuovi. Si può accelerare molto il processo di apprendimento degli studenti. Anche per i governi l ’uso dell ’ intelli genza collettiva può essere molto utile date le diffi coltà di collaborazione che esistono tra i diversi dipartimenti. Per esempio, spesso il Ministro degli Esteri non comunica con quello dell ’Educazione. Se si riesce a far lavorare insieme i diversi dipartimenti attraverso l’ intelli genza collettiva per ottenere soluzioni comuni a problemi comuni si possono ottenere risultati ottimi129». Pierre Levy, filosofo e ricercatore francese, che ha sviluppato un’analisi sull ’ intelli genza collettiva in un contesto antropologico, sostiene che: « entro qualche anno, è probabile [...] che il ruolo dell ' insegnante sia destinato a cambiare in quello di animatore dell ' intelli genza collettiva nei suoi alli evi. Dovrebbe incitarli ad apprendere, a sapersi orientare nella navigazione dentro questo nuovo spazio di conoscenze, incitarli a cooperare, stimolare il l oro desiderio di apprendere, destare la loro curiosità. Gli i nsegnanti del futuro saranno manager della conoscenza e animatori, piuttosto che persone che detengono e impartiscono un sapere. Dovranno insegnare ai loro studenti come andarselo a cercare, perché quegli studenti, quegli alli evi dovranno continuare a farlo per tutto il resto della loro vita sociale e professionale, e non ci sarà sempre un professore che li metterà davanti ad un' informazione bell ' e pronta. Dunque, bisogna prepararsi ad un apprendimento continuo, e, per questo, bisogna usare strumenti idonei alla creazione di riflessi intellettuali e relazionali nuovi, cioè imparare ad apprendere dagli altri, a cooperare, a cedere le proprie conoscenze e a trasmetterle130.» Queste forme di collaborazione che portano ad approfondimenti multidisciplinari, vanno seguite ed indirizzate dall ’ insegnante, divenuto mediatore culturale; andrebbero, pertanto, superate, laddove esistano, tutte quelle divergenze tra insegnanti di discipline diverse.

128 Derrick De Kerckhove "La mente umana e le nuove tecnologie di comunicazione" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/d/dekerckh.htm Napoli , 23/06/95. Si vedano anche: Derrick De Kerckhove "Il «neo-barocco» digitale", http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/d/dekerc03.htm Firenze, 31/05/96 Roberto Maragliano "La multimedialità a scuola" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/m/maragl03.htm Venezia, 07-03-1997 Pierre Levy "L' intelli genza collettiva" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy.htm Parigi - European IT Forum, 04/09/95 Pierre Levy "Evoluzione del concetto di sapere nell ' era telematica" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy02.htm Venezia, 07-03-1997 Pierre Levy "La comunicazione in Rete? Universale e un po' marxista" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy03.htm Milano, 20/11/1997 Derrick De Kerckhove e Pierre Levy "Due filosofi a confronto. Intelli genza collettiva e intelli genza connettiva: alcune riflessioni" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/d/dekerc05.htm Firenze - Mediartech, 27/03/98 Alberto Oliverio "Media e strutture mentali " http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/o/oliverio.htm Roma, 05/12/95 Alberto Abruzzese "Nuove tecnologie e nuove modalità d' insegnamento" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/a/abruzz02.htm Venezia, 07-03-1997 129 Derrick De Kerckhove Eccoci nell ' era delle psicotecnologie, (Bologna, 20/09/98) 130 Pierre Levy "Evoluzione del concetto di sapere nell ' era telematica" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy02.htm Venezia, 07-03-1997

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Come sottolinea un documento dell ’A.D.I.131, «L'etica verso i colleghi è un aspetto delicato ed importante dell 'etica professionale. Si rivolge al dovere ed all 'impegno di ciascun docente di contribuire a costruire relazioni feconde, improntate al rispetto e basate su un forte spirito di collaborazione, capaci di superare i ritualismi della collegialità formale, alimentare lo scambio delle esperienze e delle idee, stimolare l'elaborazione e la produzione culturale, così da costruire una vera e propria comunità scientifi ca e professionale dei docenti.»132 Queste forme di collaborazione, agevolate dalla Rete, dovrebbero facilit are un miglior sfruttamento delle risorse, prodotte da innumerevoli i niziative, e, spesso disperse. Come sostiene Gloria Bernardi: «A fronte di questa ricchezza di iniziative e di esigenze della professionalità docente, c'è la diffi coltà di trovare strumenti e procedure che consentano di mantenere memoria delle attività svolte, degli strumenti utili zzati nella pratica didattica, degli stessi prodotti del lavoro ed insieme di rendere leggibili all 'esterno i diversi percorsi. In moltissimi casi anche le esperienze più significative, non trovano adeguati canali di diffusione, vanno disperse o rimangono patrimonio del gruppo che le ha realizzate.133» All ’ interno di questo lavoro si è proposto il sito internet, come centro di aggregazione per lo sviluppo della didattica scientifica, in un’ottica di collaborazione, condivisione delle esperienze e di progettazione di nuovi percorsi culturali 134. Se le nuove tecnologie ed i nuovi media favoriscono e favoriranno l’approccio collaborativo, in varie forme e sviluppi, non si deve ritenere che, in campo didattico, questa rappresenti una novità. Tutt’altro. 4.7.4.1 La cooperazione educativa: breve excursus In questo paragrafo si vogliono analizzare alcuni risvolti “storico-sociali ” relativi a possibili approcci collaborativi, con l’obiettivo di mettere in evidenza interessanti precedenti. Da una scheda riassuntiva di Elena Bonafede135 leggiamo come la cooperazione scolastica nasca in Gran Bretagna (Joseph Lancaster) e Spagna (Andrew Bell ) alla fine del 1700 per ovviare alla carenza di maestri attraverso forme mutualistiche di collaborazione tra studenti (i più grandi insegnano ai più piccoli ). Vi sono studenti che assumono il ruolo di “monitori” cioè alunni maestri che controllano un gruppo di 30 discenti: con questo sistema un solo insegnante controllava fino a 500 ragazzi. Questo approccio trae ispirazione dai principi della Rivoluzione Francese. In Italia si hanno, tra il 1816 e il 1819, variazioni sul tema: il docente fa lezione ai migliori e questi fanno da “maestrini” agli altri compagni. Verso la fine del 1800 in tutta Europa e negli Stati Uniti prende corpo il cosiddetto paidocentrismo, che è connotato dal mutuo insegnamento e dalla socializzazione tra i ragazzi. E’ il principio delle “scuole nuove” (new schools o écoles nuovelles) e del movimento denominato “attivismo”. In Svizzera, Adolphe Ferrière, afferma che è necessario rispettare e favorire negli alli evi tutte le azioni ed i pensieri dettati dal loro slancio vitale, dato che gli i nteressi istintivi favoriscono nel fanciullo una maggiore motivazione ad apprendere e a partecipare alla vita scolastica. Egli rifiuta il modello tradizionale di scuola basata su programmi ed orari standard e prestabiliti che costituiscono una forma di coercizione per i talenti propri di ciascun individuo, e propone una “scuola attiva”. Il belga Decroly nel 1907 pone in rili evo l’ importanza dell ’evoluzione affettiva del ragazzo, della simpatia (attrazione spontanea verso altre persone) e dell ’ istinto di gruppo. La scuola avrebbe una funzione orientativa con un ridotto intervento diretto da parte degli educatori.

131 Associazione Docenti Italiani 132 A.D.I., Le etiche professionali e il codice deontologico dei docenti, www.bdp.it/adi/ 133 Gloria Bernardi. Documentare la scuola, http://sraffa.interfree.it/alef/documentare/doc_documentare.htm 134 il sito in questione è: http://www.poli .studenti.to.it/~p.scotto/ 135 Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 180-191

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John Dewey è il padre dell ’attivismo americano: «lo spirito individuale è incapace di operare e di svilupparsi da solo, ma ha bisogno di stimoli continui da parte di fattori sociali». In questo ambito si sviluppa il «metodo dei progetti»: la produzione di un giocattolo, lo studio di un monumento, il che porta ad un approccio multidisciplinare. Il lavoro di gruppo favorisce la coscienza sociale e la consapevolezza delle proprie capacità per il francese Roger Cousinet. Barthélemy Profit, ispettore scolastico francese, istituisce le prime cooperative scolastiche, soprattutto per ovviare alla scarsità di materiale dovuta alla prima guerra mondiale. George Prevot sottolinea che bambini e adolescenti che studiano in un ambiente scolastico fondato sui criteri della collaborazione sviluppano particolari virtù sociali , quali rispetto degli altri, dignità personale, obbedienza, disciplina, padronanza di sé, coraggio della propria opinione e senso di responsabilit à. Un pedagogista “popolare” che farà scuola in tutta Europa è il francese Celestin Freinet (1896-1966). Egli sostiene che alla base della costruzione dell ’ intelli genza ci debba essere la cooperazione. Infatti aveva notato come negli alli evi che operavano in comunità e che svolgevano attività manuali o intellettuali , vi fosse un aumento della motivazione e dell ’ interesse ad apprendere. Proprio quegli aspetti che oggi sembrano mancare nei giovani. In Italia Giovanni Lombardo Radice si oppone all ’ individualismo e alla competizione che, spesso, l’ambiente scolastico favorisce; egli rifiuta una educazione scolastica “standardizzata” e propone una figura di insegnante capace di adottare diversi accorgimenti e di assumere mezzi di volta in volta adeguati per aiutare ogni alli evo a crescere secondo la propria personalità, attraverso forme di collaborazione orizzontale (tra alli evi e tra insegnanti) e verticale (tra alli evi ed insegnanti).

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4.7.4.2 La cooperazione educativa alla luce delle nuove tecnologie Come si è brevemente accennato, la pratica collaborativa nasce e si sviluppa senza che le nuove tecnologie e le telecomunicazioni avessero un ruolo. Oggi sulla scia di recenti sviluppi nell ’ambito del cognitivismo sociale (Vygostskij , Piaget, Bruner) è ribadita la cooperazione educativa, attraverso l’uso delle nuove tecnologie, per un apprendimento attivo, interattivo, “significativo” e condiviso. La possibilit à di interagire a distanza potrebbe favorire quel lavoro di gruppo che raggiunge il suo scopo – secondo John Smith, dell ’Università del Nord Carolina (USA) - «se realizza la costruzione di una intelli genza collettiva, il cui compito assegnato viene affrontato come se il gruppo fosse un unico organismo intelli gente, costituito da una mente globale»136. Le nuove tecnologie informatiche possono modificare ed aumentare le dinamiche motivazionali presenti nella collaborazione orizzontale e verticale, come già ha osservato Lombardo Radice. Un esempio eclatante di intelli genza collettiva, fortemente caldeggiato dal prof. Angelo Raffaele Meo137 è relativo alla realizzazione ed al continuo miglioramento di sistemi operativi (S.O.) e di altro software, anche e soprattutto, per ragioni etiche138. 4.7.4.3 La classe “ trasversale” Un elemento interessante, che rientra pienamente nei nostri obiettivi, è la formazione di gruppi collaborativi sulla base degli i nteressi esplicitamente mostrati dagli studenti e non sulla rigida divisione in classi precostituite. «Il sistema di organizzazioni in classi ha avuto, per modello, l’organizzazione milit are. Si basa sul postulato che si possa dirigere un gruppo di cervelli esattamente come un ufficiale dell ’esercito ordina e dirige i movimenti di una compagnia di soldati»139. Una tale suddivisione in classi:

• rovina gli scolari pronti e intelli genti perché devono rallentare la loro corsa per mantenersi al passo col mitico compagno “ medio” 140;

• basandosi sulla media matematica, si rende impossibile l’ istruzione per quasi la metà della classe. Quale metodo potrebbe essere più ottuso nei suoi postulati? Tuttavia esso ha durato ed è stato sopportato per secoli 141.

In linea con le posizioni moderate di Dottrens142 si ritiene che, a lato della lezione tradizionale, sia possibile una organizzazione per schede di lavoro (modulari), con la finalità di sviluppare percorsi formativi. Luigi Berlinguer, in un’ intervista del marzo 1997 ha dichiarato: «Le classi rigide oggi hanno fatto il l oro tempo. Abbiamo scritto, nella legge sulla autonomia, che la rigidità sia del numero di studenti in classe, sia dell ' orario e dei programmi non esisterà più e che le scuole organizzeranno classi elastiche: gli studenti cambieranno classe a seconda 136 citato in Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 190 137 Angelo Raffaele Meo, conferenza “ tecnologia e solidarietà”. GiovedìScienza, Torino, 4-11-1999. Meo è docente di Sistemi per l’elaborazione dell ’ informazione al Politecnico di Torino 138 il S.O. più noto, a cui si fa riferimento, è certamente Linux. Le ragioni etiche di cui Meo si fa paladino sono connesse alla possibilit à che i Paesi più poveri possano usufruire di “ free software”, partecipare allo sviluppo del medesimo ( senza acquistare tutto dai paesi ricchi) e recuperare terreno in un campo che potrebbe rivelarsi di grande aiuto per risolvere molte delle gravi problematiche del Terzo Mondo. La conoscenza diventerebbe la vera risorsa di queste popolazioni. 139 Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 131 140 Ernst Christian Trapp nel 1780 (!) citato in Calvani pag. 131 141 Frederick Burk nel 1912, citato in Calvani pag. 131 142 Dottrens (1960) citato in Antonio Calvani, Manuale di tecnologie dell ’educazione, Edizioni ETS, Firenze, 1999 (II edizione) pag. 132

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del tipo di insegnamento. L’ introduzione delle tecnologie è fondamentale a questo progetto perché consente interattività con sussidi didattici, tecnologici che permettono al docente di svolgere una funzione diversa rispetto a quella tradizionalmente esercitata»143. 4.7.5 Approccio ludico e creativo Tra i principi più significativi del modello brain-based learning vi è quello per cui l’apprendimento è stimolato dalle sfide ed inibito dalle minacce. Il feedback sull ’apprendimento è migliore se proviene dal mondo reale e non da una figura carica di autorità, ed i migliori solutori di problemi sono quelli che si divertono nel risolverli . La scuola parrebbe inibire, spesso, la comprensione, ignorando o persino punendo i naturali processi di apprendimento del cervello. Altri principi enunciati da questa teoria riguardano la ricerca del significato144 (che è innata) e le emozioni che hanno un ruolo chiave nella ricerca del significato. Il modello right brain/left brain thinking sostiene che i due emisferi cerebrali controllano modi di pensare diversi e che ciascun individuo preferisce un ben determinato modo di pensare, e spesso privilegia uno dei due emisferi. Si evidenziano le seguenti distinzioni:

Emisfero sinistro Emisfero destro Pensiero logico Pensiero casuale

Ragionamento sequenziale Ragionamento intuitivo Pensiero razionale Pensiero olistico Capacità di analisi Capacità di sintesi

Ragionamento oggettivo Ragionamento soggettivo Comprensione delle parti Comprensione del tutto

«In generale la scuola favorisce il modo di imparare tipico dell ’emisfero sinistro, insistendo sull ’acquisizione di capacità logiche e verbali , e non stimola a sufficienza l’emisfero destro, sottovalutando l’estetica, la creatività e la sensibilit à. Questo modello pone in rili evo la necessità di interventi formativi più bilanciati, in grado di stimolare entrambe le modalità di apprendimento.145» Gola e Luciano ritengono che «il formatore debba incoraggiare la curiosità intellettuale e la creatività»146 dell ’alli evo. L’analisi dei processi di comunicazione mostra come «la credibilit à del docente (inteso come emittente) derivi anche dalla capacità di suscitare empatia (termine che potremmo tradurre con “ feeling” ). Questo rapporto nasce dalla capacità di chi emette il messaggio di coinvolgere, nel profondo, chi lo riceve147». 143 Luigi Berlinguer Venezia, 07/03/97 "La riforma tecnologica della scuola" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/b/berlingu.htm 144 che l’apprendimento corrisponda alla ricerca di significato e che quindi si dovrebbe partire da temi interessanti e motivanti per lo studente è uno dei principi fondamentali del costruttivismo di Bruner 145 I modelli menzionati si trovano all ’ interno del paragrafo Le basi fisiologiche dell ’apprendimento di Gola e Luciano 146 Muzio Gola - Adriana Luciano Insegnare all ’Università. Formazione dei docenti e qualità della didattica, pag. 69 147 Gola Luciano 1999pag. 89

Rumore

Emittente Ricevente

Canale MESSAGGIO FEEDBACK

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Si è già fatto cenno della metafora “insegnante prestigiatore”. Gli autori del testo sulla formazione dei docenti e sulla qualità della didattica pare si orientino su un’altra associazione, “ insegnante-attore”: «La lezione può essere considerata come il momento più teatrale del mestiere di docente: ogni aula è un piccolo palcoscenico che ospita uno spettacolo e, come a teatro, le persone richiedono di stare bene, di divertirsi, di provare il piacere di essere stimolate. A chi non possiede l’ ineffabile dote dello humor non è consigliabile tentare di essere divertenti ...»148 Naturalmente, se ci si pone dalla parte del discente le cose vanno proprio nella direzione indicata. Se riprendiamo la sezione “Le lezioni viste dagli studenti” con 6 delle 60 tesi del Comitato Paritetico per la Didattica149 possiamo leggere:

• Tesi n. 22. Per trasmettere conoscenza, non utili zzare solo le lezioni: è una comunicazione unilaterale, specialmente con classi numerose, e la motivazione è bassa; le lezioni devono essere aff iancate da metodi di insegnamento più attivi;

• Tesi n. 27. I docenti, di ogni li vello, devono possedere almeno le capacità e le conoscenze pedagogiche elementari, e si dovrebbe loro offr ire un addestramento specifico.

Mutatis mutandis, queste considerazioni potrebbe valere per qualsiasi approccio didattico.

La valorizzazione della creatività diviene fondamentale per proteggere i giovani dai rischi a cui sono sottoposti, anche al di fuori della scuola: Paolo Crepet, psichiatra e sociologo sottolinea come sia l’eccesso di stimoli e il “superfluo” a deprimere la creatività e a rendere il giovane apatico e passivo. «La noia si apprende : la si può ben insegnare a un adolescente proteggendolo da tutto, colmandolo del superfluo, sottraendogli l a voglia, la fantasia, la necessità di sperimentare il nuovo.»150 Inoltre, sempre a proposito di creatività, ribadisce: «se la scuola non sa come valutarla, i genitori rischiano di non apprezzarla nei figli , i quali a loro volta la riterranno del tutto marginale nella valutazione di sé.»151 La creatività per Gardner rappresenta un elemento cruciale ai li velli più alti delle conquiste intellettuali umane152. Il pensiero creativo (o laterale come lo definisce Edward De Bono) si integra a quello razionale: «Nell ’educazione si è sempre posto l’accento sul pensiero logico consequenziale che secondo la tradizione è l’unico a fare un uso appropriato delle informazioni: la creatività viene vagamente incoraggiata come un dono misterioso. [...] Il pensiero laterale è generativo, il pensiero verticale è selettivo: scopo di entrambi è l’efficacia. [...] Il pensiero laterale è utile nel problem solving e nella generazione di nuove idee, ma non resta confinato in queste situazioni perché è parte essenziale del pensiero in generale153. Il pensiero laterale è come la retromarcia in un’automobile. Non si cercherebbe mai di guidare sempre in retromarcia. D’altro canto occorre disporne e saperla usare per poter fare manovra ed uscire da un vicolo cieco»154. Lo sviluppo della creatività è sostenuto dal fisico Tulli o Regge, anche in situazioni di “svantaggio” :

148 Gola Luciano 1999 pag. 107 149 www.polito.it/cpd, Politecnico di Torino, 1997 150 Paolo Crepet, Non siamo capaci di ascoltarli . Riflessioni sull ’ infanzia e sull ’adolescenza, Einaudi, Torino, 2001, pag. 77 151 Crepet pag. 13 152 Gardner Formae mentis pag. 43 153 Edward De Bono, Creatività e pensiero laterale, SuperBUR, Milano, 1999 pagg. 295-296 154 Edward De Bono, Creatività e pensiero laterale, SuperBUR, Milano, 1999 pag. 50

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«Da alcuni anni sono state sviluppate tecniche che permettono di scoprire risorse inaspettate non solamente tra i disabili ma anche tra le persone normali . Una delle più note è dovuta a Feuerstein ed è stata sviluppata per r icondurre a vita normale i bambini ebrei scampati all ’Olocausto. La scuola di Feuerstein in Italia oggi è nota anche per merito dell ' Airh, una associazione ha come scopo la prevenzione degli handicap e che ha organizzato a Torino [...] un convegno sul recupero e il potenziamento dell ' intelli genza. In questa occasione si parlerà dei risultati della scuola di Edward de Bono, un maltese che da anni si occupa del potenziamento della creatività umana. Penso che molti uomini politi ci italiani farebbero bene a seguire i corsi di de Bono155.» 4.7.6 Approccio “parascientifico” Per approccio “parascientifico” intendo un metodo di analisi delle pseudoscienze e dei misteri legati al paranormale che portino, con un’analisi razionale “indiretta” - cioè senza lanciarsi a spada tratta in una crociata nei confronti di tali “discipline” - ad uno sviluppo del metodo scientifico e del senso criti co. Vi sono 5 aspetti sui quali vorrei porre l’attenzione:

• le statistiche mostrano come siano lontani da una cultura scientifica e razionale persino gli studenti “maturi” dei li cei “scientifici” e come, collateralmente, vi siano forti consensi nei confronti delle pseudoscienze (astrologia, telepatia, telecinesi, chiaroveggenza, pranoterapia);

• il paranormale, affascinante e misterioso, soprattutto per i giovani, risponde ad esigenze emotive: occorre evitare di contrapporre scienza e parascienza, ragione a “sentimento” in modo diretto ed esplicito;

• la distinzione tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è (fino a prova contraria) non può essere dialettica e scaturire dal confronto di opinioni o interpretazioni o, peggio ancora, dal principio di autorità. Occorre seguire la strada della logica, dei principi di non contraddizione (aristotelico), di falsificabilit à (popperiano), di accordo intersoggettivo (distinto da altri sistemi di accordo “democratici” ).

• è doveroso mostrare anche quegli abbagli , quegli errori in buona ed in malafede, quelle teorie provenienti da ambiti scientifici, che si sono dimostrate errate, mostrando come, nella ricerca del “vero” onestà ed integrità scientifica, alla lunga, prevalgano sempre. L’onesta intellettuale e la capacità di autocritica sono valori da contrapporre alla ciarlataneria ed alle false promesse;

• occorre separare nettamente “scienza” e “fede”, “ fisica” e “metafisica”. In linea con l’approccio indicato sono le posizioni di Lucio Russo (fisico, docente), Tulli o Regge (fisico, docente) Silvano Fuso (fisico-chimico, docente) Piero Angela (divulgatore scientifico), Richard Feynman (fisico, premio Nobel) e Alberto Bertini (insegnante di scienze). Vediamone una sintesi. 4.7.6.1 Mancanza di metodo scientifico e irr azionalismo «La tendenza a rinunziare a trasmettere il metodo scientifi co nelle scuole secondarie, limitandosi a informare su aspetti esteriori, soprattutto terminologici, della scienza

155 Regge Tulli o Prevenire l' handicap. E se il bambino non è perfetto? Tra diagnosi prenatale e tecniche di recupero sito internet http://digilander.iol.it/arti2000/ts99/930324.htm

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contemporanea mediante una “ divulgazione” superficiale, ha forse per principale scopo, ma certo come principale effetto, l’ indurre un atteggiamento di reverente ammirazione per la scienza proprio in quanto è ritenuta incomprensibile. Si fornisce così un poderoso aiuto alla diffusione dell ’ irrazionalismo.»156 «Un discorso analogo, e per certi aspetti ancora peggiore, va fatto sulla fisica. C' è una rincorsa ad inserire, nei programmi della scuola secondaria, e questo almeno dagli anni ottanta in Italia, argomenti di fisica moderna come, per esempio, la meccanica quantistica. Nei manuali di fisica che hanno usato i miei figli , ad esempio, si parla di quark, buchi neri, big bang ma quello che non viene assolutamente trasmesso è il metodo scientifi co. Un ragazzo che si iscrive all ’università, in genere non sa giustifi care il perché è stata introdotta l’ ipotesi atomica, cioè non sa quali fatti vengono spiegati dall ’ ipotesi atomica, non sa qual è la fenomenologia corr ispondente, il perché del modello, e perché il modello funziona; sa invece benissimo che l’atomo è costruito da un nucleo di elettroni, che il nucleo è formato da neutroni e protoni, sa che esistono i quark. Tutte queste conoscenze sono trasmesse in modo acritico e mnemonico, e questa conoscenza, di tipo acritico e mnemonico, sostituisce quel po’ di metodo scientifi co, molto poco per quanto riguarda la fisica, che una volta era insegnato nelle scuole».157 «Purtroppo se analizziamo il modo in cui le discipline scientifi che vengono tradizionalmente insegnate, ci rendiamo ben presto conto che molte delle caratteristiche che contraddistinguono la scienza non vengono affatto evidenziate. L’ insegnamento appare sostanzialmente nozionistico e in qualche misura dogmatico. Gli aspetti metodologici ed epistemologici vengono preoccupatamente ignorati. Come pure è tenuto nascosto il processo storico che ha generato le conoscenze. I giovani alli evi maturano l’ idea che la scienza sia una sorta di catechismo da imparare a memoria per strappare la sufficienza al docente. I contenuti disciplinari assumono l’aspetto di lunghi elenchi di risposte, senza che gli studenti abbiano la minima idea di quali siano le domande cui esse si riferiscono. Le conoscenze scientifi che assumono agli occhi degli alli evi un aspetto statico, essendo completamente ignorata la dinamica evolutiva che le ha generate. Nella stessa maniera gli studenti vengono tenuti allo scuro del dibattito e del confronto di idee che hanno portato allo sviluppo di certe concezioni. In poche parole la scienza appare ai giovani come un insieme di affermazioni dogmatiche, la cui origine non appare affatto chiara, molto spesso controintuitive, ma che bisogna comunque accettare in base ad un principio di autorità attribuito al tale scienziato, al li bro di testo o all ’ insegnante.»158 «Il progresso tecnologico non è quindi strumento particolarmente selettivo, i mass media non riescono a diffondere la conoscenza scientifi ca ma in compenso sono mostruosamente efficienti nel propagandare miti e superstizioni. Giungiamo quindi al paradosso che, alla fine del XX secolo, sono più che mai diffuse le credenze ed i miti del paranormale e le superstizioni che l' ill uminismo credeva di cancellare con la forza della ragione. Il grande fisico e divulgatore Richard Feynman, recentemente scomparso, fu tra i primi a far notare come la cifra investita nella ricerca scientifi ca, all ' apparenza cospicua, sia di molto inferiore al giro di affari legato alla predizione del futuro ed al paranormale. La parascienza non è stata abolita dalla tecnologia, anzi ne ha tratto profitto entrando in simbiosi con questa mostrando grande spirito imprenditoriale. I calcolatori vengono usati per compilare oroscopi e tabelle di bioritmi quanto mai richiesti. Il pericolo maggiore non è tuttavia rappresentato dal matrimonio occasionale tra tecnologia ed astrologia bensì dal sorgere di

156 Lucio Russo, Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la scuola? Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2000, pag. 38 157 Lucio Russo "Contro una scuola del consumo" http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/r/russo.htm Roma, 11/05/98 158 Silvano Fuso, Realtà o ill usione?, p. 228

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discipline nuove che sono di fatto ibridi tra la scienza ufficiale e miti di varia estrazione. L’astrologo o anche il cultore del paranormale usa il calcolatore con la stessa indifferenza ed ignoranza con cui usa l’automobile o il telefono. [...] Da alcuni anni mi sono reso conto che la separazione tra scienza ufficiale e gli i bridi non è così netta e che un diploma universitario o anche una onorata carr iera scientifi ca non protegge dagli scivoloni. La visione scientifi ca degli i bridi è di regola settoriale e concentrata esclusivamente su pochi settori di alto richiamo pubblicitario senza alcun apprezzamento per il l ungo e faticoso percorso fatto dai ricercatori e delle diffi coltà che essi hanno superato per giungere a tali risultati. Più volte ho incontrato persone che rifiutavano nel modo più completo ed aprioristico la teoria dell ’elettromagnetismo di Maxwell senza rendersi conto di essere letteralmente sommersi e condizionati da ritrovati tecnici, dal cellulare al fax fino al televisore, che non sarebbero mai stati inventati e commercializzati se non si conoscessero le equazioni di Maxwell .»159 4.7.6.2 Metodo scientifico e pseudoscienze «Può essere didatticamente utile affrontare il problema delle pseudoscienze: come accennavamo sopra, spesso agli occhi dei ragazzi appaiono egualmente incomprensibili ed estranee sia le affermazioni scientifi che sia quelle pseudoscientifi che. Esaminare a fondo alcune pseudoscienze, evidenziarne le caratteristiche e le differenze rispetto alle “ vere” scienze può essere estremamente utile per far comprendere la reale natura della scienza. Le pseudoscienze, come abbiamo più volte osservato sono spesso emotivamente attraenti. Questo può essere utilmente sfruttato dall ’ insegnante per accendere l’attenzione dei ragazzi e far loro comprendere l’ importanza di una solida cultura scientifi ca per non cadere vittime di abbagli ed ill usioni.»160 «Un approccio scientifi co allo studio dei cosiddetti fenomeni paranormali coinvolge necessariamente diverse discipline: fisica, chimica, biologia, filosofia, psicologia. I ragazzi di solito manifestano un grande interesse nei confronti del paranormale. Tale interesse può essere utilmente sfruttato dal docente per coinvolgere maggiormente gli alli evi nello studio delle discipline curr iculari.»161 4.7.6.3 Rischi dell ’approccio “parascientifico”

«Naturalmente c' è un rischio, in questa smitizzazione dei fenomeni paranormali : quello di demoli re qualcosa senza rimpiazzarlo con qualcos' altro di altrettanto attraente.»162

«Un astrofisico americano era solito iniziare i suoi corsi universitari di astronomia mostrando, con delle analisi statistiche, come le presunte correlazioni tra il carattere di una persona e il suo segno zodiacale siano del tutto immaginarie. Da qualche anno ha dovuto rinunciare a questa introduzione, che suscitava un coro di proteste. Gli studenti ritenevano infatti che non fosse “ politi camente corretto” che uno scienziato negasse il valore dell ’astrologia senza invitare degli astrologi e fornire loro eguali opportunità di convincere gli studenti.163»

159 Tullio Regge, Prolusione su “ scienza e società” Inaugurazione Anno Accademico Politecnico di Torino, 29 gennaio 1996 http://www.polito.it/organizz/docuffic/inaugurazione96/Regge.html 160 Silvano Fuso, Realtà o ill usione. Scienza, pseudoscienza e paranormale, Edizioni Dedalo, Bari, 1999 pag. 232 161 Silvano Fuso, Paranormale o normale? Padova, CICAP, 1999, Pag. IX 162 Piero Angela, Viaggio nel mondo del paranormale, Garzanti (edizione Club), 1985 pag. 408 163 Lucio Russo, Segmenti e bastoncini, pag. 41

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4.7.6.4 Educare al senso critico «[ ...] Michael Faraday: "Ora, che cos’altro può sottendere ciò se non il fatto che la società, generalmente parlando, non solo ignora l’educazione al giudizio, ma ignora persino la propria ignoranza?". È piuttosto disarmante constatare che a distanza di oltre un secolo le parole di Faraday siano ancora drammaticamente attuali . Evidentemente le nostre istituzioni scolastiche non forniscono un’adeguata "educazione al giudizio". Nelle nostre scuole è oramai di moda parlare di educazione alla salute, alla legalità, alla mondialità, di educazione ambientale, sessuale, stradale ecc. Nessuno dei nostri legislatori ha mai pensato di introdurre una “ educazione al senso criti co” che, sicuramente, è prioritaria e trasversale rispetto a tutte le altre “ educazioni” .»164 4.7.6.5 Scienza e onestà intellettuale Il grande libro della scienza, attendibile, ma non infalli bile165, ci racconta non pochi episodi curiosi ed emblematici di fallimenti clamorosi e ci mostra aspetti di tipica debolezza umana: la frode metrologica di Milli kan166, il caso dei raggi N167 di Blondlot, le strane proprietà della “poliacqua168” sono esempi molto significativi. Richard Feynman parla di “Cargo Cult Science” quando si riferisce a “discipline” che seguono i precetti e le forme apparenti dell ’ indagine scientifica, ma alle quali manca soprattutto una cosa: «l’ integrità scientifi ca. Un principio del pensiero scientifi co che corr isponde essenzialmente ad una totale onestà, ad una disponibilit à totale. Per esempio, quando si effettua un esperimento bisogna riferire tutto ciò che potrebbe invalidarlo, e non soltanto quello che sembra in accordo con le aspettative; le altre cause che potrebbero insomma originare gli stessi risultati. Bisogna riferire tutti i punti superati di precedenti esperimenti, e spiegare cosa sia avvenuto di nuovo (e come); ed accertarsi che anche gli altri possano capire che sono stati davvero superati.»169 4.7.6.6 Scienza e metafisica «Scienza e fede possono benissimo convivere a patto che ciascuna rimanga all ' interno del proprio dominio. La fede deve limitarsi all ' ambito prettamente metafisico e non può interferire in ciò che può essere indagato empiricamente. Analogamente la scienza deve astenersi da ogni giudizio su tutto ciò che è tipicamente metafisico. I contrasti nascono inevitabilmente ogniqualvolta vi siano interferenze. I miracoli rappresentano l' esempio più evidente di tali interferenze. Essi, inevitabilmente, appartengono a forme primitive di religiosità e non sembrano differenziarsi molto dalle semplici superstizioni. Una religiosità evoluta, infatti, non ha bisogno di prove empiriche per sostenere una fede metafisica. Oltretutto il pretendere prove empiriche per sostenere affermazioni metafisiche appare piuttosto contraddittorio.» [...]

164 Silvano Fuso, commento a “ Il sesto senso” di Massimo Polidoro Tratto da Scienza & Paranormale N. 32 e su http://www.cicap.org/articoli/at100236.htm 165 si vedano di Silvano Fuso Perché la scienza è attendibile (S&P , n. 18-VI, 1998 ) e Perché la scienza non è infalli bile (S&P , n. 19-VI, 1998). 166 http://www.pd.infn.it/~loreti/did/cargo.pdf di Maurizio Loreti docente di Fisica a Padova. 167 Silvano Fuso "La scienza patologica: il caso dei raggi N", S&P n. 25-VII , 1999;. 168 Silvano Fuso. "La scienza patologica: il caso della poliacqua", S&P n. 26-VII , 1999 169 Richard Feynman, Cargo Cult Science (discorso inaugurale apertura anno accademico 1974-75 Caltech Pasadena) http://www.physics.brocku.ca/etc/cargo_cult_science.html

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«Se si vuol essere obiettivi, bisogna constatare che, a volte, purtroppo accade che alcuni esponenti del mondo scientifi co facciano affermazioni imprudenti che possono avvalorare le accuse di scientismo e d’ insensibilit à ai valori rivolte loro dagli oppositori della scienza. Certi atteggiamenti di superiorità e d’ indifferenza nei confronti delle problematiche etiche ed emotive non possono che danneggiare l' immagine che i non addetti ai lavori si costruiscono relativamente alla scienza. Il più bel modo di difendere la scienza ci sembra dunque quello di farla conoscere per quello che realmente è: un’entusiasmante avventura del pensiero, limitata a certi aspetti del reale, profondamente ricca di umanità e di slanci emotivi, ma saldamente retta dalla ragione e ancorata ai fatti170.» «Non mi danno fastidio gli astrologi, li prego solamente di non adornare l’astrologia con divagazioni pseudosceintifi che, tentando di darle una base logica e osservativa che non ha»171. 4.7.6.7 Esperienze in campo scolastico L’approccio “parascientifico” annovera precedenti scolastici, sviluppati con alli evi di scuola media e biennio del li ceo. Tra quelli documentati merita un cenno l’ ipertesto “Mondi razionali e mondi irrazionali ” realizzato alla scuola media statale Paolo Straneo di Alessandria172, il l avoro di Alberto Bertini, insegnante di scienze presso la Scuola Media di Caprile di Alleghe (BL) “ Insegnare scienze con il paranormale”173, e, anche, il sito su astrologia ed oroscopo174 di una classe II del Liceo Scientifico A. Pacinotti di La Spezia nell ’anno scolastico 96-97. Indicative sono le osservazioni di Alberto Bertini: «Può sembrare strano, quasi un paradosso, ma, dopo varie esperienze, mi sono accorto che il mondo del "paranormale" [ ...] può essere un buon argomento da trattare per affrontare le scienze dal punto di vista scolastico. O meglio, dalla spiegazione e dallo smascheramento di alcuni trucchi pseudo-scientifi ci, si può dimostrare agli alunni che la realtà in cui vivono si basa su precise leggi fisiche che regolano tutte le nostre azioni quotidiane.» 4.7.6.8 Scienza e pseudoscienza: temi a confronto L’analisi di alcune pseudoscienze permette di studiare fenomeni e principi scientifici partendo da temi misteriosi e appassionanti per i ragazzi. Ecco alcuni spunti elaborati per i moduli sperimentali :

Argomento pseudoscientifico Argomento scientifico correlato Oroscopo Analisi di affermazioni non sempre falsificabili , e,

comunque, vaghe Astrologia Legge di gravitazione universale (interpretazione

quantitativa), precessione equinozi Telepatia Come funzionano le telecomunicazioni: Hertz,

Maxwell , Marconi, ... Telecinesi Energia cerebrale e codici di trasmissione

Levitazione Forze e gravità Pranoterapia Magnetismo e “fluidi magnetici”

170 Silvano Fuso. Scienza, metafisica e valori. http://utenti.tripod.it/fusosilv/scienzaemetafisica.htm 171 Tulli o Regge, Le meraviglie del reale, La Stampa, Torino, 1987 pag. 45 172 sito http://space.tin.it/scuola/elmancus/ricerca/indice.htm 173 reperibile al sito http://www.cicap.org/articoli/a_sr02.htm 174 http://www.geocities.com/CapeCanaveral/Lab/9082/astrolog.html

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La lista potrebbe essere molto lunga e comprendere anche l’analisi di quei prodotti tecnologici pubblicizzati, messi in commercio e ritenuti eff icaci (come le recenti coccinelle che dovrebbero proteggere dai campi magnetici dei telefoni cellulari), o gli atteggiamenti irrazionali di politi ci o personaggi dello spettacolo nei riguardi di campi elettromagnetici, OGM (natura versus “chimica”) e molto altro. 4.7.7 Approccio interdisciplinare (della “contaminazione” ) Un intervento che è possibile sviluppare per tentare di fornire una visione della scienza a 360°, senza sottrarre ore ad altre discipline e senza prolungare l’orario scolastico, è l’approccio interdisciplinare o della “contaminazione”. Con la collaborazione dei docenti di altre discipline, soprattutto umanistiche, si introducono elementi ed informazioni scientifiche; sono gli i nsegnanti stessi a trattare temi scientifici. Vediamo alcuni esempi:

• Latino scientifico: traduzione dal latino di brani scientifici selezionati (Galil ei, Galvani, Volta; Giovanbatista Beccaria, ecc ...): tra l’altro questa impostazione è, per così dire, biunivoca in quanto mostra come il l atino sia stata una lingua fondamentale fino all ’800, cioè per 25 secoli !

• Lingue scientifiche: traduzione dall ’ inglese o dal francese di brani, come per il l atino. • Filosofia della scienza: si pensi a tutti i filosofi che si sono occupati di natura e di

scienza, fino ai più recenti Poincaré, Pierce, Dewey, Bridgman, Kuhn, Lakatos, Feyerabend e Popper.

• Storia della scienza: impatto di alcune invenzioni sulla società, magia, spiriti smo e metodo scientifico, ecc.

• Letteratura scientifica: da Dante175 ai contemporanei non mancano le connessioni ed i collegamenti tra letteratura italiana (e latina) ed il mondo della matematica, della chimica e della fisica.

4.8 Conclusioni. Verso l’approccio quantitativo Abbiamo considerato 7 possibili approcci didattici, valutandone le possibili applicazioni nella didattica della fisica. Un intervento, soprattutto nel triennio dei li cei scientifici, dovrebbe, in sintesi, porsi come obiettivi:

1. incrementare la motivazione e l’ interesse per la fisica, sollecitando quegli aspetti e quelle modalità più adatte e più vicine al mondo adolescenziale;

2. aumentare la comprensione della macchine d’uso quotidiano (apparati per telecomunicazioni, computer, ecc.) soprattutto per quanto riguarda i principi fisici;

3. smantellare quel bagaglio di concezioni erronee che ostacola un razionale e corretto approccio alle discipline scientifiche.

175 ad esempio la nota proprietà geometrica “O se del mezzo cerchio far si puote triangol sì ch' un retto non avesse” Paradiso Canto XIII

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I vari metodi analizzati, per strade diverse e con procedimenti di volta in volta differenti, non possono non convergere verso lo studio quantitativo dei fenomeni fisici. Gli studenti, dopo aver preso confidenza con una disciplina umanizzata, sempli ficata, resa interessante e vicina al quotidiano, sperimentata, ricca di correlazioni e profondamente onesta, sentiranno la necessità di andare oltre, di creare, di progettare, di prevedere un risultato. Si renderanno conto che il li bro della scienza non si può intendere se non s’ impara a comprenderne la lingua matematica con cui è scritto, senza la quale è impossibile capire i significati ed è soltanto un vano aggirarsi per un oscuro labirinto176...

176 l’osservazione riprende abbastanza fedelmente un brano de “ Il saggiatore” di Galil eo Galil ei

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